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Grano duro: produzione in crescita, ma bene insistere su ricerca e contratti di filiera Durum wheat: production up, but we need to insist on research and supply chain contracts

The8th edition of Durum Days took place at the Chamber of Commerce in Foggia; a major international event that every year takes stock of the situation of an extremely strategic sector for the Italian agri-food industry. This article discusses the key points of the event, starting with the cultivation of durum wheat in Italy. Although production is growing, it is not enough. In fact, Italy processes and exports semifinished and finished products, so it is essential to insist on research to withstand damage caused by climate change and to take action in order to protect strategic sector with relevant tools, such as supply chain contracts.

AI DURUM DAYS 2023 LA CONSUETA PANORAMICA SU MERCATO, PREZZI E PREVISIONI

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AT DURUM DAYS 2023 THE USUAL OVERVIEW ON MARKET, PRICES AND FORECASTS

La riduzione dei prezzi del grano duro e le complicazioni burocratiche emerse con la nuova Pac 2023/2027, sono due elementi che rallentano la spinta all’aumento delle superfici coltivate in Italia e quindi al raggiungimento della piena sovranità alimentare. Gli aiuti europei rimangono, comunque, un pilastro fondamentale per la ricerca varietale mentre, in campo, le aziende agricole fanno fatica a stare dietro alle disposizioni della nuova Politica agricola comune per accedere alle sovvenzioni. Le associazioni di categoria che difendono il grano 100% made in Italy, premono per una maggiore regolamentazione del mercato europeo basata su condizioni di reciprocità con i Paesi terzi importatori e su una certificazione ministeriale dei costi per la tutela del reddito agricolo posto che i prezzi precipitino con intensità diversa rispetto all’andamento dei costi. Per Confagricoltura occorre aumentare il budget sul bando nazionale per i contratti di filiera che rappresentano, al momento, uno dei principali strumenti idonei e, soprattutto, condivisi da tutti gli operatori economici per la definizione di prezzi certi e, quindi, per la garanzia del reddito agricolo. Rimane ancora al palo il miglioramento genetico con particolare riferimento alle varietà orientate a un aumento delle rese per ettaro che sono ferme intorno al 30% su quasi tutte le colture. È quanto è emerso nel corso del workshop scientifico dei Durum Days 2023 dal titolo “Mercato, prezzi e previsioni del grano duro”, organizzato dal CREA, in collaborazione con Assosementi, Cia-Agricoltori italiani, Confagricoltura, Copagri, Alleanza Cooperative Agroalimentari, Compag, Italmopa, Unione Italiana Food, con la partnership tecnica di Areté e la partecipazione di Syngenta-PSB.

L’andamento dei prezzi del duro

La produzione italiana di grano duro stimata per quest’anno è di circa 4 milioni di tonnellate. Un record assoluto, ma - se le

TECHNOBINS ha acquisito la rappresentanza in esclusiva per l’Italia di SIMEZA (primaria azienda spagnola per la costruzione di sili ondulati, con sede a Saragozza). Con questa operazione TECHNOBINS è diventata l’unica azienda sul mercato italiano a poter realizzare tutti i tipi di silos metallici per lo stoccaggio di materia prima in grani.

La professionalità di TECHNOBINS consentirà di proporre il prodotto più adatto per ogni esigenza.

Oggi Le Aziende Cerealicole Stanno Lavorando Sottocosto

condizioni di produzione non cambieranno - si teme che, con le prossime semine, si andranno a ridurre gli areali di produzione. Nell’arco di un inverno, i prezzi del frumento duro sono precipitati di circa 200 euro a tonnellata passando dai circa 500 euro di settembre 2022 ai quasi 300 euro registrati nell’aprile appena trascorso. La corsa al ribasso delle quotazioni di mercato non è stata accompagnata, peraltro, da una riduzione altrettanto intesa dei costi, con la conseguenza che le aziende agricole stanno lavorando sottocosto di circa 600 euro per ettaro. Lo si ricava da un confronto tra i dati Ismea che ha definito il reddito minimo del grano duro a 2mila euro per ettaro, con le quotazioni di mercato che assestano, attualmente, l’incasso dell’agricoltore a 1.400 euro per ettaro. Insomma, le aziende agricole stanno lavorando in perdita. Questa china al ribasso preoccupa l’industria molitoria che, per bocca di Enzo Martinelli, presidente della sezione molini a frumento duro di Italmopa, segnala: “L’andamento del mercato nazionale del frumento duro non può in alcun modo prescindere dall’evoluzio- ne, sia essa al rialzo o al ribasso, dei mercati internazionali. Fermo restando che l’Italia esporta il 60% della sua produzione di pasta alimentare con un trend in crescita e che per sostenere questo trend è necessario ricorrere alle importazioni dall’estero che rappresentano strutturalmente circa il 40% del totale del fabbisogno interno, è necessario che la valorizzazione della produzione nazionale di grano duro e la riduzione del differenziale negativo tra le quotazioni del grano nazionale e quello di importazione diventino un obiettivo prioritario del Paese. Un punto fermo non solo per l’imprenditoria agricola ma anche per l’industria della trasformazione che può essere raggiunto attraverso il superamento delle criticità che ancora, e purtroppo, contraddistinguono la nostra produzione primaria (come, ad esempio, la frammentazione dell’offerta e l’inadeguatezza logistica), ma anche attraverso l’incremento della qualità media delle nostre produzioni. Un ruolo indispensabile è rivestito dai contratti di filiera, purché siano totalmente esenti da ogni condizionamento sindacale nella determinazione dei prezzi di compravendita del prodotto. L’industria molitoria e Italmopa che la rappresenta - chiosa Martinelli - si è sempre espressa nell’interesse della filiera e di tutti gli attori che la compongono, auspicando la massima collaborazione, e non contrapposizione, tra gli stessi. Ci auguriamo che questo approccio possa essere da tutti condiviso e che siano archiviati i dogmatismi anti-industriali che si stanno pericolosamente sedimentando nel nostro Paese”. Come si osserva, oggi le aziende cerealicole stanno lavorando sottocosto. Una situazione che preoccupa tutte le associazioni di categoria che si interrogano su quale possa essere, oggi, il ruolo delle organizzazioni professionali nel coordinamento dello sviluppo di questo settore strategico per il Paese.

Da mesi si sta assistendo “a una progressiva e inesorabile erosione dei prezzi del grano duro - ha denunciato con vigore Gennaro Sicolo, vicepresidente di CiaAgricoltori Italiani -. Attualmente, si sono assestati su valori insostenibili per i produttori e non lo si può ignorare, dato che la produzione di grano duro, insieme all’olivicoltura, rappresentano due punti nevralgici dell’economia del Centro e Sud Italia. Il mercato non dà più la remunerazione giusta agli agricoltori, ancor di meno a quelli che si sforzano di coltivare in maniera più sostenibile. Oltre a questo, si assiste al fatto che sul mercato europeo arriva di tutto dal mondo dei grani, anche materie prime coltivate con standard molto al di sotto dei livelli imposti ai produttori europei. In assenza di condizioni di reciprocità, il prodotto nazionale più genuino è offuscato dai prezzi più competitivi dei grani di importazione. Stanti così le cose, sarebbe necessario fare partire il registro telematico ma il suo avvio è stato fatto slittare dal governo, al 2025 con un provvedimento di inizio anno. Solo con il registro telematico possiamo certificare l’italianità della pasta che produciamo ed esportiamo. Sul mercato servono più regole”. Le parole di Sicolo sono corroborate dal peso delle 50mila firme raccolte con la petizione di Cia-Agricoltori Italiani lanciata “per salvare il grano nazionale e dire no alle speculazioni commerciali”. Una petizione che è stata sostenuta non solo dai produttori, ma anche dai consumatori molto attenti all’origine delle materie prime. Le complicazioni derivate dalle sempre più farraginose norme della Pac 23/27, sembrano non sostenere l’auspicato punto di svolta vero il net zero. “Con la nuova politica agricola dell’Unione - ha detto Daniele Castagnaviz, coordinatore del settore grandi colture e servizi di Alleanza delle cooperative italiane agroalimentare -, da un lato si riduce di circa la metà il contributo di base, d’altro canto si introducono nuove restrizioni, con le modifiche al decreto “Aiuti diretti” dello scorso aprile, su condizionalità rafforzata, aiuti accoppiati ed “ecoschema 4”. In tal senso, le misure europee che puntano a premiare i produttori più sostenibili, si traducono un ginepraio di adempimenti burocratici che rendono difficile l’accesso alle misure per i coltivatori. Così si rallenta la transizione ecologica della filiera”.

In sostanza, la nuova Politica agricola comune ripartisce le risorse in più tipologie di misure il cui accesso viene reso, però, più complicato per via di criteri più selettivi.

“In questo modo - ha chiarito Luca Palazzoni, ricercatore dell’Università degli studi di Perugia - viene vanificato, di fatto, l’obiettivo finale della Pac che è quello di sostenere il reddito agricolo. Per cui, molte aziende agricole stanno ricalcolando il proprio modello di business per cercare di capire se, a tali condizioni, convenga ancora seguire gli impegni europei oppure non rispettarli e seguire solo l’andamento del mercato”.

Ridistribuire equamente il reddito agricolo

Il contratto di filiera è stato invocato da tutti i player presenti al workshop come uno strumento idoneo a fronteggiare questa situazione di grande incertezza di mercato, resa ancor più volatile a causa del conflitto russo-ucraino.

“Per far sì che questo strumento diventi una pratica costante - ha affermato Tommaso Battista, presidente di Copagri -, tutti i protagonisti oggi presenti a questo tavolo, devono fare un passo avanti per rendere efficaci i contratti di filiera che per essere tali vanno sottoscritti da tutti gli stakeholder interessati, inclusi i player della commercializzazione. Diversamente si allontana l’obiettivo di distribuire in maniera equa il reddito agricolo. Serve un passo avanti di trasparenza in ogni passaggio della filiera che, per definizione, è piuttosto lunga. Si deve partire da dati certi. Ne abbiamo discusso al Masaf ipotizzando di potere avere dati ufficiali, che ben possono essere calcolati da Ismea al fine di certificare i costi di produzione”. Copagri ha sottolineato un secco no al prezzo imposto come soluzione politica della situazione perché nel mercato libero ognuno deve potere porre il proprio prezzo. “Piuttostoribadisce Battista - servirebbe una campagna di moral suasion per coinvolgere tutti gli attori della filiera nella condivisione delle istanze di trasparenza.