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LA FASE DI IMMAGAZZINAMENTO È CONSIDERATA L’ANELLO DEBOLE

DELLA FILIERA: NEL PNRR RISORSE PER RINNOVARLI

THE STORAGE PHASE IS CONSIDERED

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THE WEAKEST LINK IN THE SUPPLY CHAIN: RESOURCES TO RENOVATE STORAGE CENTRES IN THE NRRP

Servono dai 300 milioni ai 400 milioni di euro per ammodernare i centri di stoccaggio cerealicoli italiani, secondo una stima prudenziale di Compag, la Federazione nazionale delle rivendite agrarie. Questi impianti, che potenzialmente hanno una capacità nazionale di immagazzinamento pari a 9 milioni di tonnellate, sono considerati, dai più, l’anello debole della filiera e, per questo, il loro upgrade è uno degli obiettivi che il governo si è prefissato anche facendo ricorso all’uso delle risorse del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Le priorità

Tra le priorità poste, vi è la necessità di realizzare una mappatura reale (e non stimata) delle strutture che, oggi, si ipotizza si attestino intorno alle 1.440 unità. In seconda battuta, occorrerebbe implementare il grado di diversificazione delle partite di grano in entrata e in uscita nei magazzini (per provenienza, ad esempio, peso specifico o contenuto proteico) anche in funzione della tracciabilità della filiera. Servirebbe, inoltre, sostituire i silos realizzati prevalentemente in metallo con costruzioni in muratura che permettano di gestire meglio la temperatura e l’umidità nell’ambiente di conservazione. La lotta agli insetti infestanti evolve e, oggi, i capitolati dei molini richiedono l’eliminazione di tutti principi attivi tradizionalmente usati in fase di conservazione, anche se ammessi dalla legge. In questo senso, il settore si orienta sulle celle refrigerate, ancora poco diffuse, perché le basse temperature sono un naturale repellente contro gli infestanti nella fase di conservazione del grano.

Lo stoccaggio rientra nella tracciabilità

“Il discorso dello stoccaggio - dice Carlo Maresca, presidente della Federazione nazionale cereali alimentari di Confagricoltura - è fondamentale e fa parte del più ampio tema della tracciabilità, anche in relazione alla distinzione dei grani provenienti dall’estero che integrano la produzione italiana. Si tratta di un aspetto strettamente legato alla qualità del prodotto in funzione delle diverse tecniche di coltivazione, dato che alcune partite provenienti da oltreoceano hanno presentato, in passato, tracce di glifosato, vietato in Europa. Chi aderisce alle filiere e ha come obiettivo quello di produrre un grano di qualità, deve avere anche una perfetta tracciabilità del cammino del suo prodotto. Se un tempo il grano veniva stoccato dagli stessi cerealicoltori, in silos o magazzini di fortuna, oggi non è più possibile perché ci si interfaccia con aziende grandi che hanno capitolati stringenti e che chiedono, tra l’altro, prodotti immagazzinati in ambienti certificati. D’altro canto, per i molini servirebbe una quantità di volumi macinata molto importante per giustificare un investimento in sistemi di stoccaggio che determinano oneri di lungo periodo e strutture sovradimensionate. Sicché, la categoria intermedia dei centri di stoccaggio, è necessaria. In altri Paesi, come la Francia, che è un grande produttore di grano, è molto più sviluppata rispetto all’Italia. Altro aspetto da prendere in considerazione è quello di implementare un servizio di logistica via rotaia perché è più sostenibile”.

Problematiche e soluzioni possibili

Per ottimizzare e concentrare l’uso delle risorse da investire, posto che la capacità media di carico/scarico dei centri italiani è inferiore ai 300 q/h, c’è chi sta riflettendo anche sulla possibilità di aumentare le linee di carico e scarico presenti in ogni centro anche ad esempio, sviluppando un processo di aggregazione degli impianti sparsi lungo la Penisola per concentrare gli investimenti. È un’idea ancora in fase embrionale, ma tra alcuni operatori se n’è già iniziato a parlare. L’iniziativa ruota intorno alla creazione di centri provinciali, uno per ogni provincia, sulla falsariga delle grandi organizzazioni d’Oltralpe, che avrebbe il doppio vantaggio di efficientare la filiera soprattutto per l’avvio di economie di scala, ma anche di potere iniziare a ragionare su un database dei volumi presenti sul mercato.

Non Si Riesce A Stabilire Il Numero

Corrente Dei Centri Di Stoccaggio

La strada dell’ammodernamento dei centri di stoccaggio non sarà certo un percorso agevole se si considera che circa il 20% delle strutture italiane sono, cosiddette, “anonime”. Non sono legate a nessuna cooperativa, consorzio agrario né associate a Compag. Si tratta di strutture che, pur essendo piccole, per la quota di volumi che movimentano, rappresentano nel loro complesso, una quota di mercato pari a un quinto del settore, dacché hanno un potenziale di influenza sull’andamento del mercato. Secondo il censimento operato da Ismea nel 2019 in funzione della preparazione del Piano Cerealicolo Nazionale, solo il 36% degli impianti esistenti è stato costruito dopo gli anni ’90; il 44% tra gli anni ’70 e gli anni ’90. Circa il 20% è anteriore agli anni ’70. Più della metà di questi centri non è mai stata ammodernata, anche se il 43%, secondo quanto riferito dal Piano, ha previsto di fare ammodernamenti. Dai numeri si deduce che uno dei principali problemi