La Banconota - Numero 59 - Ottobre 2009

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la Banco nota ISSN 1972 - 8379

N. 59 - Ottobre 2009

Storia Le trasformazioni del dopoguerra: l’Italia cresce, il Banco si sviluppa Anniversari 100 anni or sono…

Il Sole 24 ORE Business Media Srl - via G.Patecchio 2 - 20141 Milano - POSTE ITALIANE SPA In caso di mancato recapito inviare al CMP di Milano Roserio per la restituzione al mittente previo pagamento resi

Management Quando il cliente è all’estero Nuove filiali Imperia tra Genova e i Savoia I Greppi a Rubiera Origine e sviluppo di Guidonia Da re Pipino al Regno d’Italia Fuoritema Vive la France! 100 anni Tutta Desio in festa



Sommario la Banco nota Nuova Serie N. 59 - Ottobre 2009 REGISTRAZIONE Tribunale di Milano n. 292 del 15/04/2005

Direttore Responsabile: Luigi Gavazzi Comitato di Direzione: Riccardo Battistel, Luigi Gavazzi, Alberto Mocchi, Marco Sala, Umberto Vaghi In Redazione: Alessandra Monguzzi Collaboratori: Enrico Casale, Giovanni Ceccatelli, Alessandra Monguzzi, Francesco Ronchi

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Impaginazione: Diego Poletti Stampa Faenza Industrie Grafiche S.r.l. Costo copia: € 2,00

Editore incaricato:

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Una storia centenaria

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Tutta Desio in festa

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Gran finale... con i botti

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Le trasformazioni del dopoguerra: l’Italia cresce, il Banco si sviluppa

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100 anni or sono…

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Quando il cliente è all’estero

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Imperia tra Genova e i Savoia

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I Greppi a Rubiera

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Origine e sviluppo di Guidonia

Presidente: Eraldo Minella Amministratore Delegato: Antonio Greco Direttore Editoriale: Mattia Losi Ufficio Commerciale e Traffico: Anna Boccaletti (anna.boccaletti@businessmedia24.com) Il Sole 24 ORE Business Media S.r.l. Via Patecchio, 2 - 20141 Milano Tel. 02.3964.60.11 - Fax 02.3964.62.91

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Da re Pipino al Regno d’Italia

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Vive la France!

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100 anni

Una storia centenaria

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l 2009 è stato un anno denso di avvenimenti per tutto il Gruppo Banco Desio, che ha voluto celebrare degnamente il primo secolo di vita della capogruppo con tutta una serie di appuntamenti che hanno coinvolto inizialmente il personale, quindi la clientela, ed infine - ed è ciò che documentiamo in queste pagine - la stessa Desio e tutti i suoi cittadini. Alla città desiana, infatti, sono state dedicate due giornate di festa, sabato 17 e domenica 18 ottobre, con un programma che ha visto svolgersi un insieme di iniziative tese da un lato a raccontare la vita del Banco, da un altro lato a celebrare degnamente il centenario insieme alla cittadinanza. Per quanto riguarda il primo punto - la vita del Banco nel contesto degli avvenimenti mondiali -, presso la sede di via

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Rovagnati nel pomeriggio di sabato è stato aperto a tutta la cittadinanza un percorso storico, “100 anni insieme”, che ha guidato i visitatori attraverso gli anni del Novecento, raccontando loro, tramite scenografie, immagini, filmati, documenti originali, auto e moto d’epoca, la nascita e la crescita della banca, e illustrando lo sviluppo del Banco da piccola Cassa Rurale a Gruppo presente in Italia e all’estero. Ulteriori opportunità per approfondire la conoscenza della banca sono state offerte tramite la possibilità di visitare gli uffici della Direzione generale, e partecipare alla presentazione del libro “Banco Desio 1909-2009 - Il valore di una storia centenaria” che raccoglie e racconta appunto il primo secolo di vita dell’Istituto.


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Il presidente del Banco Desio Agostino Gavazzi, a destra, con gli autori del libro sulla storia della banca, Riccardo Battistel e Francesco Ronchi

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Tutta Desio in festa N

ella mattinata di domenica 18 ottobre, i festeggiamenti dedicati alla cittadinanza desiana sono iniziati inaugurando per i visitatori più piccoli l’ampia area, nelle vicinanze della sede del Banco, dove è stata allestito “FantaDesio”, un insieme di momenti ludici espressamente dedicati ai bambini. Contemporaneamente sono stati riaperti al pubblico sia il percorso storico “100 anni insieme”, sia gli uffici della sede dell’istituto per la visita guidata. Il clou della giornata è stato riservato al pomeriggio: mentre nella sala congressi del Banco aveva luogo un’ulteriore presentazione del libro sulla storia del Banco e “FantaDesio” riapriva le porte ai bambini, a partire dalle ore 16 una mongolfiera ha consentito a decine e decine di cittadini di provare il brivido di un volo, favorito peraltro dalla bella giornata di sole. Intanto… intanto il PalaDesio si preparava ad aprire le sue porte allo show di un personaggio di grande richiamo che ritornava a Desio dopo una lunga assenza e gli Alpini cominciavano ad accendere i fuochi delle loro cucine per garantire un dopo spettacolo di sicura soddisfazione… gastronomica.

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100 anni

Da sinistra a destra: il presidente del Banco Desio Agostino Gavazzi, il vice presidente Guido Pozzoli e il sindaco di Desio Giampiero Mariani

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Gran ďŹ nale... con i botti

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100 anni

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opo il ringraziamento agli oltre 5000 convenuti del presidente del Banco Desio Agostino Gavazzi e il saluto del sindaco della città Giampiero Mariani, ha preso il via lo show di Giorgio Panariello, un artista che non ha bisogno di ridondanti presentazioni. Il suo spettacolo è stato una performance capace di calamitare l’attenzione del pubblico del PalaDesio grazie ad un insieme di battute, di impareggiabili imitazioni e di provocazioni dalla carica comica irresistibile: un’autentica ovazione lo ha accolto al suo apparire, uragani di applausi hanno

sottolineato di continuo i momenti salienti dello spettacolo sino ad una interpretazione conclusiva, toccante e di grande maestria. E mentre si chiudevano le porte dello show, si aprivano quelle ideali che consentivano l’accesso all’ultimo avvenimento in calendario: il grandioso spettacolo pirotecnico atteso da grandi e piccini . E così, ai primi botti, al primo balenare di luci, tutti con il naso all’insù, stretti gli uni con gli altri per il gran freddo a salutare il Banco, nella città dove una storia lunga cento anni ha avuto inizio e continua a svolgersi.

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Storia

Le trasformazioni del dopoguerra:

l’Italia cresce, il Banco si sviluppa Il ventennio che segue la fine della seconda guerra mondiale si caratterizza per il nostro Paese come un periodo di profonde trasformazioni: l’Italia rompe con il passato su di un fronte amplissimo e si trasforma radicalmente

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di Riccardo Battistel

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n ciclo espansivo di assoluta ed irripetibile rilevanza facilitò cambiamenti economici, finanziari, sociali e culturali di vasta portata che culminarono tra la seconda meta degli anni Cinquanta ed i primi anni Sessanta in quello che sarà comunemente riconosciuto come il cosiddetto “miracolo italiano”. Declinò il Paese povero e contadino e lasciò spazio ad una progressiva e massiccia industrializzazione: nel 1953 una imponente ristrutturazione della Finsider la pose nelle condizioni di offrire acciaio a prezzi competitivi per un’industria meccanica italiana in pieno fermento, nacque l’Eni (Ente Nazionale Idrocarburi) di Enrico Mattei per lo sfruttamento dei giacimenti di metano nella Valle Padana e la più importante industria automobilistica del Paese si impegnò in un investimento da


Storia 300 miliardi di lire per la costruzione di un nuovo stabilimento a Mirafori. Dalle sue catene di montaggio sarebbero uscite nel 1955 la “Seicento” e due anni dopo la “Cinquecento”, due utilitarie che sarebbero divenute l’icona automobilistica di quel periodo.

GLI ANNI DEL “BOOM“ Gli Italiani ebbero accesso a beni, servizi ed in generale ad un tenore di vita impensabili solo pochi anni prima e così si esprimeva il Governatore della Banca d’Italia Guido Carli nelle sue considerazioni finali sul 1960:“Se il reddito reale per abitante si è complessivamente triplicato dal 1861 al 1960, più della metà dell’incremento è stata ottenuta nel periodo relativamente breve compreso tra il 1951 ed il 1960”. Il Nord-ovest del Paese giocò un ruolo rilevante in questa fase di crescita esplosiva e la Lombardia nella fattispecie con lo sviluppo di attività produttive in diversi comparti. Sempre in Lombardia si assistette anche alla progressiva trasformazione del capoluogo di regione da città manifatturiera a capitale del terziario con il decentramento delle unità produttive in provincia, fuori dal contesto cittadino. La Brianza infine consolidò tra il Cinquanta ed il Sessanta il suo primato di distretto produttivo nei settori della lavorazione del legno e dell’arredamento (ma anche della meccanica e del tessile), promuovendo un modello di sviluppo sostanzialmente caratterizzato da unità produttive di piccole e medie dimensioni, abili nel produrre, innovare e diversificare rispetto sia ai mercati tradizionali di sbocco sia ai nuovi - quelli esteri in particolare - che in quegli anni progressivamente si aprono all’imprenditoria locale. Il Banco di Desio accompagnò ovviamente in questa fase di sviluppo la propria clientela, e sulla copertina del bilancio del 1958 si riportava orgogliosamente che“la sede di Desio e le filiali di Bovisio, Cesano, Lissone e Nova sono in sedi di proprietà”. L’economia della zona prosperava, grazie all’apporto dell’attività artigianale che continuava a costituire la principale fonte di reddito per le“laboriose popolazioni locali”. Anche il fenomeno del decentramento produttivo

veniva dal direttore Danesin inquadrato con lungimiranza: “Questo fenomeno già in fase di avanzata realizzazione, nel giro forse di pochi anni determinerà un radicale cambiamento della fisionomia economica della zona creando nuove necessità anche creditizie alle quali il Banco deve fin da ora prepararsi”.

Fra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, la Brianza si affermò come distretto produttivo d’eccellenza nei settori della lavorazione del legno, dell’arredamento, della meccanica e del tessile

IL BANCO COMPIE I PRIMI 50 ANNI DI VITA L’anno successivo il Banco festeggiò i primi cinquant’anni di vita e prese avvio per l’azienda una fase di profondi cambiamenti. Il primo riguardò l’amministrazione, con la morte di Luigi Lado Manca, per trentacinque anni consigliere e per vent’anni presidente del Banco. Si procedette quindi alla nomina del nuovo presidente: Pietro Gavazzi, consigliere dal marzo del 1943. Nato a Desio nel 1913, nipote di Egidio e figlio di Luigi, Pietro Gavazzi aveva sposato nel ’38 la cugina Maria Luisa Lado. Dopo la laurea in ingegneria elettrotecnica era entrato nella Egidio e Pio Gavazzi spa, affiancando inizialmente lo La Banco nota

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Storia Gli amministratori, la dirigenza e il personale del Banco festeggiano i 25 anni di lavoro del direttore Mario Danesin

zio Simone e ricoprendo negli anni successivi incarichi di responsabilità crescente: dirigente nel 1945, consigliere nel 1950 e, nel 1953, amministratore delegato. Il secondo cambiamento riguardò la direzione. Danesin aveva più volte manifestato il desiderio di un suo collocamento a riposo.

Da trent’anni alla guida del Banco, era stato il principale artefice del suo sviluppo: da cinque dipendenti ed una sola filiale (Nova) aperta un giorno alla settimana ad una realtà di quasi cento dipendenti. Il successore designato fu Mario Veneziani - allora condirettore -, ma Danesin volle comunque garantirsi una continuità e nella seduta del consiglio del luglio ’59 propose l’affiancamento al direttore di due vicedirettori di cui uno da scegliere tra i funzionari attualmente in servizio, proponendo il desiano Luigi Como. L’”esterno” - un uomo di Veneziani - fu il milanese Ambrogio Calenzani, funzionario del Mediocredito Regionale Lombardo, già funzionario della sede di Milano della Banca d’Italia. Al Como venne affidata la clientela della sede e lo sviluppo di nuove relazioni, al Calenzani la sorveglianza delle filiali ed attività di coordinamento organizzativo. 12

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Due anni dopo - nel 1961 - Danesin lasciò pur confermandosi a disposizione per eventuali altri incarichi. Che gli vennero puntualmente affidati, con la costituzione di un“Comitato Fidi” che “collabori con la Direzione per disciplinare l’erogazione del credito e studiare problematiche che di volta in volta il Consiglio riterrà di affidargli”. Ufficialmente analizzerà tutti gli affidamenti in facoltà del Consiglio, ma sarà anche autorizzato a spaziare su tutti i rischi del Banco indipendentemente dall’importo. Alla proclamazione ufficiale della propria nomina a direttore, le parole di ringraziamento di Mario Veneziani al Consiglio furono di completa assicurazione sulla continuità di gestione, nella consapevolezza che trent’anni di storia del Banco portavano il


Storia marchio indelebile del comasco, con il quale Veneziani avrebbe dovuto fare i conti ancora per lungo tempo. La banca che prendeva in mano il nuovo direttore era una realtà da 11,7 miliardi di massa fiduciaria, che imponeva un nuovo (l’ennesimo) aumento di capitale (passerà da 175 a 300 milioni) Tra i primi interventi del nuovo direttore vi fu quello relativo alla necessità di meccanizzare l’ufficio portafoglio, letteralmente sommerso dagli effetti che quotidianamente affluivano al Banco per lo sconto. Un esperimento effettuato con una macchina “Burroughs” aveva dato lusinghieri risultati. Fu il primo passo di quel processo di automatizzazione, prima meccanico poi elettronico ed informatico, che sarebbe diventato per il Banco - come per l’intero sistema bancario fra la metà degli anni ’70 e ’80 - fattore imprescindibile di sviluppo e crescita e che avrebbe innovato profondamente modi di lavorare, gestire e proporre prodotti e servizi al mercato. Sempre nel 1961, la Banca d’Italia concedette l’apertura delle filiali di Cusano e di Cinisello, piazze importanti per il Banco sia perché for-

temente interessate dal fenomeno di delocalizzazione delle strutture produttive da Milano verso la provincia, sia per i settori produttivi e merceologici nei quali operavano le imprese locali (infatti le attività del legname e del mobilio erano scarsamente rappresentate). Il cambio di marcia innescato dal cambio di direzione fu da subito evidente: se da un lato si tranquillizzava la proprietà sulla continuità gestionale in tema di affidamenti, sul taglio di banca locale legata al territorio, con una forte tensione alla crescita ed allo sviluppo, dall’altro Veneziani avvertiva la necessità per il Banco di compiere alcune scelte innovative. Complice gli studi, le frequentazioni e le esperienze svolte in passato, fu il primo direttore del Banco ad attivare stabilmente una fitta rete di rapporti e relazioni con l’esterno (concorrenza, mercato, istituzioni), promuovendo incontri e contatti direttamente o tramite le associazioni di categoria. Sempre lui avrebbe inaugurato - selezionando ed assumendo risorse con professionalità e competenze maturate all’esterno del Banco - una modalità di crescita che non sarebbe stata più abbandonata. Ma non dimenticò anche gli “interni”, designando come suo stretto collaboratore il funzionario capo contabile Paolo Gelosa, coordinatore della contabilità e del bilancio. Nel 1963 lo scenario internazionale vide l’uscita di scena di due protagonisti: nel giugno morì papa Giovanni XXIII - era stato eletto nel ’58 alla morte del suo predecessore Pio XII - e nel novembre a Dallas venne assassinato il presidente degli USA John Kennedy. Ad Est l’anno dopo il russo Kruschov veniva destituito dalla direzione collettiva di Breznev e Kossighin, ed in Italia moriva Palmiro Togliatti, segretario del più importante Partito Comunista fuori dalla Cortina di ferro. Il 1963 rappresentò per il nostro Paese un anno importante anche per altre ragioni: con la fine del“boom”, gli italiani scoprirono un nuovo termine: “congiuntura”. Per alcuni settori la crisi fu strutturale e non legata al momento (basti pensare al comparto tessile). Le aziende che avevano assorbito per anni manodopera, ora riducevano gli orari e dovevano incominciare a far fronte a ad un progressivo aumento del costo del lavoro e di una conflittualità crescente.

Al centro, come la stampa illustrò l’inizio del processo di automatizzazione del lavoro al Banco Desio

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Storia

I parcheggi dello stadio Meazza, a Milano, pieni di auto a dimostrazione dell’aumentato tenore di vita degli italiani

Altri nodi irrisolti dello sviluppo di quegli anni riemersero in tutta evidenza: il divario tra Nord e Sud del paese, gli investimenti in infrastrutture che, pur rilevanti, non avevano risolto il gap con gli altri Paesi europei, per esempio in tema comunicazioni e trasporti. E nel 1965 si registrò una prima rilevante accelerazione dell’inflazione dopo anni di grande stabilità. Sul fronte dei rapporti di lavoro, le organizzazioni sindacali indissero scioperi nazionali per rivendicazioni economiche e normative. Si era, infatti, aperta per il Paese una fase importante di tornate di rinnovo dei contratti in ogni settore, compreso quello bancario. Fase caratterizzata anche da forti tensioni e conflittualità crescenti ma che avrebbero consentito - tramite provvedimenti legislativi specifici in quegli anni - un accesso e una permanenza sul posto di lavoro maggiormente remunerata e garantita rispetto al passato.

L’INCORPORAZIONE DELLA BANCA DELLA BRIANZA Al Banco l’analisi del momento venne svolta da Veneziani in modo puntuale: “L’incerta situazione politica, la stretta creditizia attuata dal governo e la conseguente confusione del mercato finanziario caratterizzato dalla depressione della Borsa valori e dalla fuga di capitali all’estero, convinsero le grandi banche in particolare ad attuare una rapida politica di rientro degli affidamenti concessi alle aziende, che vennero a trovarsi pertanto in grande dif14

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ficoltà. Il Banco si preoccupò di mantenere gli affidamenti concessi senza acquisire in generale nuova clientela ed evitando dunque i drastici ed impopolari provvedimenti di rientro dai fidi”. Venne ribadita comunque la politica di controllo e sorveglianza delle posizioni debitorie, come già in passato. Il 25 marzo 1966 furono riconfermati per il biennio 1966/68 i componenti del Consiglio: Pietro Gavazzi presidente, Ignazio Lado, Franco Gavazzi e Mario Danesin consiglieri e Veneziani segretario. Questo il gruppo di governo e direzione del Banco che si accingeva a varare un’operazione storica per il futuro dell’azienda.


Storia Il 15 aprile 1966 il presidente comunicò ai consiglieri di aver ricevuto l’offerta di acquistare 6.555 azioni (l’11% del capitale sociale) della Banca della Brianza, di Carate Brianza, precisando che la Banca d’Italia aveva accordato la prescritta autorizzazione. E nella seduta del settembre successivo il presidente riferì che c’era la possibilità di acquisire un’ulteriore partecipazione fino a raggiungere l’80% del capitale. Fino agli inizi degli anni ’50 l’evoluzione compiuta dalle due banche brianzole presenta molte analogie: gruppi familiari - imprenditori e professionisti - come azionisti di maggioranza, stesso capitale sociale (36 milioni la Brianza e 40 milioni il Banco) depositi fiduciari per poco più di un miliardo di lire ciascuna, quasi lo stesso numero di filiali (6 la Banca della Brianza e 4 il Banco Desio), tutte collocate sul territorio compreso nel triangolo Milano, Como e Lecco. Gli sportelli gravitavano più a nord lungo la direttrice per Lecco per la banca caratese, più a sud per il Banco, con la differenza non marginale - a favore della Banca della Brianza - di poter contare su una piazza importante come Monza. La banca caratese poteva anche contare già da un ventennio sull’importante gestione dell’Esattoria di Carate e fungeva da tesoreria per i

comuni di Besana, Biassono, Giussano, Sovico, Vedano al Lambro oltre che per svariate opere pie, enti assistenziali comunali ed asili infantili. Nel decennio successivo si realizzò il distacco tra le due banche, ed è a favore del Banco: tra il 1950 ed il 1960 la banca desiana raddoppiò gli sportelli mentre la Banca della Brianza aprì una sola filiale, il capitale sociale del Banco salì a 175 milioni, quello dell’altra banca restò fermo a 60 (e non subirà variazioni sino alla fusione). Negli anni successivi la Banca della Brianza reagì - approfittando anche della favorevole congiuntura - aprendo altre filiali ma privilegiando piccoli centri (da 2.000 a 3.500 abitanti) Veduggio, Carugo, Briosco -, mentre nello stesso periodo il Banco aprì su piazze

ben più importanti (Cinisello, Palazzolo, Meda e Cusano, dove si impose proprio sulla banca di Carate, che aveva fatto analoga richiesta nel gennaio del 1957). Ma è sul fronte organizzativo, gestionale e di governo complessivo che il Banco dimostrò negli anni precedenti la fusione di aver elaborato un modello efficiente e funzionale al proprio sviluppo: Il rapporto tra proprietà e management era chiaro, definiti gli ambiti e le possibilità di intervento, chiarite deleghe e responsabilità. Questo equilibrio complessivo ebbe effetti benefici sugli assetti organizzativi, sull’operatività, sulla motivazione del personale e, in

Al centro, un certificato azionario della Banca della Brianza

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Storia

L’incorporazione della Banca della Brianza consentì al Banco Desio di disporre di una rete di 23 filiali disposte su un territorio compreso fra Milano, Lecco e Como

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generale, sulla capacità del Banco di adeguarsi ai tempi, rendendo possibile una nuova fase di sviluppo. Nella seduta del consiglio del Banco del 16 gennaio 1967 Veneziani dichiarava:“L’esercizio può definirsi eccezionale per un avvenimento che negli anni futuri imprimerà alla storia del nostro istituto una svolta decisiva verso maggiori affermazioni, si vuole alludere all’acquisto del 93,66% suscettibile di incremento del pacchetto azionario della Banca della Brianza avvenuto nel novembre 1966 dopo lunghe e laboriose trattative e con il determinante appoggio della Banca d’Italia e sono in corso di studio le possibilità per addivenire nel corso del corrente esercizio alla fusione per incorporazione. Si darà quindi vita ad un organismo che estenderà la sua influenza su tutta la Brianza con 23 filiali e con una massa di manovra iniziale di circa 43 miliardi. Tenuto presente che le piazze attualmente servite dalla Banca della Brianza sono complementari a quelle servite dal Banco” - salvo per Giussano dove il Banco operava in una sua frazione, Paina - “e considerato che con tale acquisto abbiamo

sottratto la banca dalle mire di qualche istituto a carattere nazionale, si tratta di una svolta decisiva nella storia del nostro istituto”. Non va altresì dimenticato che ben sette degli sportelli acquisiti agivano in regime di monopolio su piazza (Albiate, Briosco, Carugo, Renate, Sovico, Veduggio e Verano). Il 1966 rappresentò anche una data importante per l’ autorizzazione ottenuta di aprire a Seregno. La cittadina era già servita da cinque banche e pertanto l’autorizzazione assunse un carattere di assoluta eccezionalità e rappresentò per il Banco la conferma della fiducia che l’ Organo di vigilanza nutriva nei suoi confronti. Nella primavera del 1967 fu deliberata la variazione di ragione sociale, il nome scelto fu quello di“Banco di Desio e della Brianza”, anche per soddisfare un esplicita richiesta formalizzata dai vecchi azionisti che desideravano fosse conservata parte della ragione sociale della banca incorporata. Nel dicembre successivo venne presentata la struttura di vertice della nuova banca: Mario Veneziani direttore generale; Ambrogio Calenzani vicedirettore generale; Paolo Gelosa vicedirettore capocontabile; Luigi Como, Giuseppe Morganti , Libero Fugazza e Augusto Masperi (questi ultimi provenienti dalla banca incorporata) vicedirettori. La banca incorporata constava di 91 dipendenti: oltre a Fugazza ed a Masperi, 11 funzionari e 78 elementi tra impiegati, commessi ed operai. Tutti vennero confermati nei gradi, nelle categorie e nelle retribuzioni.

LA CONTESTAZIONE GIOVANILE E GLI ANNI DI PIOMBO La fine degli anni Sessanta sancì per il Paese l’inizio di una fase di forti tensioni politiche e sociali che coinvolse dapprima il mondo universitario, con occupazioni a Milano, Torino e Trento, sino agli scontri alla facoltà di architettura a Roma del marzo 1968. Successivamente la protesta si allargò anche al mondo del lavoro. Il rinnovo d’importanti contratti collettivi costituì il contesto entro il quale alle rivendicazioni salariali si affiancarono


Storia richieste di un miglioramento complessivo della condizione operaia e del lavoro in fabbrica. Nel dicembre 1969 una bomba collocata all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano provocò una strage, ponendo il primo sanguinoso tassello di quella che venne definita la “strategia della tensione”. Per tutto il decennio successivo - in un clima politico e sociale connotato da forti contrapposizioni ideologiche e da critiche nei confronti dello Stato e delle istituzioni cui si disconoscevano autorità e legittimazione - il Paese conobbe una lunga e tragica serie di attentati, sequestri, omicidi e rapimenti: quel periodo sarebbe passato alla storia con la fosca definizione di “anni di piombo”. Ma il 1969 fu anche l’anno dello sbarco del primo uomo sulla Luna. L’avvenimento assunse valenze simboliche di grande impatto e rilevanza: la spedizione lunare divenne - tra l’ altro - metafora celebrativa di una tecnologia al servizio del progresso e di uno sviluppo senza apparenti limiti e confini. Solo quattro anni dopo un altro avvenimento evidenziò - a livello internazionale - i limiti di tale sviluppo e pose una pesante ipoteca sugli anni a venire: per la prima volta nella storia un improvviso e vertiginoso aumento della quotazione del petrolio. Nei primi giorni di ottobre del 1973, l’esercito egiziano con un blitz ai danni degli israeliani attraversò il canale di Suez. La controffensiva israeliana e le decisioni successive del Consiglio di sicurezza dell’ONU scatenarono reazioni nel mondo arabo, segnatamente nei Paesi produttori di greggio, con l’embargo sulle forniture ai Paesi occidentali. Fu il primo “shock petrolifero” che in Italia, più che in altri Paesi europei, ebbe un impatto rilevante ed impose al nostro governo il varo di provvedimenti eccezionali per ottenere un consistente risparmio energetico. Un altro importante aspetto che caratterizzò l’economia e lo sviluppo del nostro Paese in quegli anni fu l’inflazione. Attestata dalla seconda metà degli anni Sessanta su valori medi annuali intorno al 3%, dal 1970 riprese a crescere, raggiungendo prima valori a due cifre e superando poi il 20%. Per tutti gli anni Settanta e per parte del decennio successivo, l’inflazione costituì un aspetto strutturale dell’economia italiana.

Al Banco - nel 1969 a sessant’anni dalla fondazione - si procedette con un aumento del capitale sociale da 500 a 750 milioni. Si trattava di un aumento insufficiente per la Banca d’Italia (che infatti aveva richiesto almeno il raddoppio del capitale) ma Veneziani riuscì tramite i suoi “contatti informali” a far accettare il criterio di un aumento del capitale limitato a 250 milioni, con l’impegno a varare in fasi successive ulteriori congrui rafforzamenti. Nel gennaio di due anni dopo infatti si procedette ad un ulteriore aumento a 1.250 milioni, cui seguirono negli anni successivi continui e congrui aumenti, Si susseguirono nel frattempo le aperture degli sportelli già autorizzati in nuove sedi più funzionali. Ma era Milano la piazza alla quale il “milanese” Veneziani mirava in modo particolare, ritenendo maturi i tempi per le raggiunte dimensioni del Banco e le sue prospettive di sviluppo. E nel gennaio del 1971 Banca d’Italia autorizzò l’apertura a Milano di un ufficio di rappresentanza“nello stabile di via Bocchetto angolo via del Bollo” dietro Piazza Affari, in affitto.

1969: il primo sbarco dell’uomo sulla Luna

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Anniversari

100 anni or sono... Il Futurismo, la corrente artistica italiana influenzata dall’avanzante rivoluzione tecnologica

di Enrico Casale

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IL 5 FEBBRAIO… …per la prima volta viene pubblicato sulla Gazzetta dell’Emilia il «Manifesto di fondazione del movimento futurista». Il 9 febbraio il documento viene pubblicato ancora su L’Arena di Verona e il 20 sul quotidiano parigino Le Figaro. Prende così il via il futurismo, una corrente artistica italiana che ebbe una grande risonanza sia a livello nazionale sia a livello internazionale (dove influenzò movimenti artistici simili). Il Futurismo si colloca sull’onda della rivoluzione tecnologica che ha interessato l’Europa a cavallo tra il XIX e il XX secolo. I seguaci di questa corrente esaltano il progresso. Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), che ne fu il promotore

e uno dei massimi esponenti, esaltava il dinamismo, la velocità, l’industria e la guerra vista come l’unica «igiene del mondo». Si narra che Marinetti scrisse ìil «Manifesto» dopo essere uscito indenne da un incidente automobilistico. Per evitare due ciclisti aveva sbandato finendo con la sua automobile in un fossato. L’episodio viene trasfigurato nel «Manifesto»: Marinetti estratto dalla sua auto incidentata è un uomo nuovo che vuole liberarsi dagli orpelli decadentisti e che vuole chiudere con il passato, distruggere «i musei, le biblioteche, le accademie di ogni specie» e cantare le lodi alle «grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa; glorifi-


Anniversari care la guerra, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore, le belle idee per cui si muore». Inizialmente quindi il futurismo si accostò alle ideologie guerrafondaie e anarchiche per poi in seguito avvicinarsi al fascismo. IL 25 LUGLIO… …Louis Bleriot compie per la prima volta la traversata aerea del Canale della Manica. Qualche tempo prima il quotidiano britannico Daily Mail aveva messo in palio un premio di mille sterline per chi avesse attraversato la Manica in aereo. Bleriot, laureato in ingegneria, esperto in volo planato (una tecnica che è oggi alla base del volo degli alianti) e primo francese a ottenere il brevetto di pilota d’aereo, decide di raccogliere la sfida. Inizialmente cerca di modificare il biplano costruito dai fratelli Wright. Poi opta per la soluzione del monoplano dotandolo di un motore di motocicletta costruito dall’italiano Alessandro Anzani. Il piano di volo messo a punto da Bleriot prevede di attraversare il tratto che separa Calais da Dover a un’altezza di 100 metri di quota. La traversata dura 32 minuti. La leggenda vuole che i doganieri britannici al suo arrivo fossero sprovvisti di moduli attinenti l’arrivo di velivoli. Così usarono quello per i piroscafi e registrarono l’arrivo a Dover di un piroscafo con un solo passeggero a bordo. Dopo l’impresa, Bleriot fondò una fabbrica di aeroplani in Inghilterra e una in Francia.

Una curiosità: nel 1929, a vent’anni dalla trasvolata, Bleriot attraversò di nuovo la Manica con lo stesso apparecchio che, nel frattempo, era diventato un esemplare da museo. IL 20 GIUGNO… …a Hobart, nasce Errold Flynn, attore e regista statunitense di origine australiana. Negli anni Trenta e Quaranta fu uno dei divi più popolari non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa. Alto, agile, scattante ed elegante nel portamento piaceva al pubblico per la sua immagine allegra e per il suo fascino di seduttore. Girò alcuni dei film di maggior successo dell’epoca tra i quali «La leggenda di Robin Hood» (diretto nel 1938 da Muchael Curtiz), «Il principe e il povero» (1937), «La storia del generale Custer» (1941), «La bandiera sventola ancora» (1943), «La saga dei Forsythe» (1949), «Kim» (1950), «Il sole sorgerà ancora» (1957). Errold Flynn studiò a Londra e a Parigi e, prima di esordire nel cinema, fece i mestieri e le professioni più disparate: impiegato, cuoco sulle navi, poliziotto, sorvegliante in una piantagione, contadino, manovale, giornalista, commerciante, pescatore di perle, cercatore d’oro, pugile. Al cinema arrivò dopo aver recitato a teatro. La sua ultima apparizione fu nel film «Furia d’amare», nel quale impersonò l’attore e star del cinema muto John Barrymore. Errold Flyn morì a soli 50 anni nel 1959. Un infarto lo stroncò dopo una vita segnata dagli eccessi e soprattutto dall’alcolismo.

Sopra, Louis Bleriot, che attraversò per primo la Manica in aeroplano. A fianco, l’attore Errold Flynn

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Anniversari Lo scrittore John Thomas Fante

Una colonna di Volkswagen presso la Porta di Brandeburgo, a Berlino. Nella pagina seguente, in alto a destra, il “maiale”, il siluro a lenta corsa ideato da Teseo Tesei

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Nel 1977 esce «The Brotherhood of Grape», il suo ultimo romanzo. Nei mesi successivi il diabete, diagnosticato nel 1955 e mai curato con attenzione, lo porterà progressivamente alla cecità e all’amputazione di entrambe le gambe. Nel 1979 detta alla moglie il suo ultimo libro, «Dreams from Bunker Hill», che uscirà nel gennaio 1982. L’8 maggio 1983 John Fante muore a 74 anni, lasciando numerosi inediti.

L’ 8 APRILE… …nasce a Denver (Usa), John Thomas Fante scrittore americano di origini italiane. Figlio di immigrati italiani vive un’infanzia turbolenta caratterizzata dalla povertà e dai continui litigi con il padre Nick. Nonostante le difficoltà, riesce a frequentare le scuole cattoliche e a diplomarsi. Nel 1932, lascia Boulder, dove viveva con la famiglia, per tentare la fortuna a Los Angeles dove svolge lavori di ogni genere. Nel 1932 viene pubblicato un suo racconto su «The American Mercury». Cinque anni dopo sposa Joyce Smart, da cui avrà quattro figli, e inizia a lavorare per Hollywood come sceneggiatore, un lavoro che non amerà mai, ma che gli permetterà di guadagnare molto (lavorerà anche per il produttore italiano Dino De Laurentiis). Nel frattempo, scrive il suo primo romanzo: «La strada per Los Angeles». Lo inizia nel 1935 e lo conclude nel 1936, ma vedrà la sua pubblicazione solo postumo nel 1985. Maggiore fortuna avrà invece «Aspetta primavera»: dato alle stampe nel 1937 avrà un grandissimo successo di pubblico. Negli anni successivi pubblica «Ask the Dust» (1939) e «Dago Red» (1940). Durante la guerra, John Fante vive un periodo di crisi narrativa e per mantenersi collabora con i servizi di informazione statunitensi. Nel 1952 pubblica il romanzo «Full of Life» che avrà un grande successo in tutto il mondo con traduzioni in portoghese, tedesco, svedese, francese, ebraico, giapponese e italiano.

IL 19 SETTEMBRE… …a Wiener Neustadt nasce Ferdinand Anton Ernst Porsche, meglio conosciuto come Ferry Porsche. Imprenditore austriaco, è figlio di Ferdinand Porsche e la sua vita lavorativa sarà sempre molto legata a quella del padre, con cui nel 1931 aprirà uno studio di progettazione meccanica a Stoccarda, in Germania. Quando Adolf Hitler, negli anni Trenta, vuole dare ai tedeschi un’automobile popolare che permetta di motorizzare la Germania,


Anniversari Ferry e il padre elaborano il progetto di una vettura molto semplice, con motore posteriore raffreddato ad aria. Nasce così la Volkswagen Maggiolino, automobile che entrerà nella storia delle motorizzazione mondiale e che verrà prodotta in diverse versioni fino al 2003. Dopo la seconda guerra mondiale, mentre Ferdinand Porsche è imprigionato in Francia per crimini di guerra (sarà poi scarcerato grazie all’ingente riscatto pagato dall’imprenditore italiano Piero Dusio), Ferry guida l’impresa di famiglia. Utilizzando i primi e precari impianti della ricostruita Volkswagen, crea la prima auto «firmata» Porsche, la 356, così chiamata dal numero del progetto. La 356 è stata un’automobile che ha fatto epoca vantando eccezionali livelli di maneggevolezza, leggerezza, affidabilità e tenuta di strada e spianando la strada alla futura Porsche 911. Ancora oggi è una vettura apprezzata dagli appassionati di auto storiche di tutto il mondo, e alcuni esemplari (specie le versioni Speedster destinate al mercato USA) raggiungono quotazioni da capogiro.

IL 3 GENNAIO… …nasce a Marina di Campo Teseo Tesei, militare e inventore italiano. Maggiore del Genio Navale della Regia Marina prestò servizio come incursore durante la seconda guerra mondiale venendo decorato con la medaglia d’oro al valor militare.

Teseo Tesei entra in accademia nel 1925 dove si distingue per la perseveranza e l’inventiva. Con l’aiuto di Elios Toschi, ingegnere navale, ripensa alla mignatta di Raffaele Rossetti e Raffaele Paolucci; il concetto ispiratore fu questo: partendo dalla mignatta, mirò ad arrivare a costruire un’arma che avesse su quella importanti vantaggi, che permettesse cioè a due uomini di vivere, navigare, dirigersi contro un bersaglio e attaccarlo liberamente sott’acqua. Nacque così il siluro a lenta corsa, meglio conosciuto come «maiale» per la sua forma tozza. Un’arma quest’ultima che fu protagonista di alcune delle più brillanti operazioni della Marina militare nella seconda guerra mondiale. Teseo Tesei però è diventato famoso anche per un’altra invenzione. Esisteva, all’epoca, un autorespiratore a ossigeno a ciclo chiuso, chiamato maschera Davis, che veniva utilizzato per le fuoriuscite dell’equipaggio da sommergibili in avaria. Questo autorespiratore, che aveva causato diversi incidenti, aveva una scarsa autonomia e un’ancora più scarsa affidabilità. A questi problemi lavorava il comandante Angelo Belloni alla direzione dei corsi e alla Scuola sommozzatori di Livorno. Questi, con l’aiuto di Tesei, portò l’autonomia dell’autorespiratore da venti minuti a qualche ora e soprattutto lo rese più affidabile. Tesei fu però anche un uomo d’azione. Il 26 luglio 1941 tentò di forzare la base inglese di La Valletta a Malta. Verificatosi nel corso dell’azione un ritardo, dovuto a imprevisti tecnici, che avrebbe potuto compromettere l’esito della missione, allo scopo di riguadagnare il tempo perduto e di portare a termine a ogni costo il suo compito decise di «spolettare a zero» rinunciando cioè ad allontanarsi dall’arma prima che esplodesse contro l’obiettivo, e perendo assieme al suo fedele secondo, Alcide Pedretti. Per tale atto fu insignito della medaglia d’oro. La Banco nota

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Management

Quando il cliente

è all’estero

Per l’azienda che esporta, il rischio di mancato pagamento dei prodotti/servizi forniti è un elemento critico della pianificazione commerciale e della gestione finanziaria: ecco come farvi fronte ricorrendo all’assicurazione del credito

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l primo problema che l’esportatore deve affrontare nel processo decisionale relativo alla possibilità d’instaurare un rapporto economico vantaggioso con un potenziale cliente estero è sicuramente quello della concessione di credito alla propria controparte. Cioè, fino a quale importo massimo e per quanto tempo è possibile esporsi senza correre alcun rischio di mancato pagamento? Per l’azienda che esporta, il rischio di mancato pagamento delle proprie forniture è senz’altro uno degli elementi di maggiore criticità nella pianificazione commerciale e nella gestione 22

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finanziaria delle proprie vendite all’estero. Manca, spesso, nelle aziende una cultura del rischio capace di gestire e risolvere situazioni complesse che, se non adeguatamente affrontate, possono vanificare gli sforzi aziendali e la redditività delle singole operazioni con l’estero. In alcuni casi, un rischio non ponderato può addirittura compromettere la sopravvivenza di una azienda di piccole dimensioni. Non sempre sono sufficienti un rapporto fiduciario con il proprio cliente estero e l’inserimento di apposite clausole contrattuali per ridurre, se non eliminare, il rischio di mancato pagamento.


Management Michele Montanaro, responsabile Area Estero del Banco Desio

In questa categoria di rischio rientrano tutti i casi di concessione al proprio cliente di una dilazione di pagamento rispetto alla consegna della merce. Può assumere aspetti diversi a seconda del Paese in cui risiede la controparte estera e può configurarsi in un rischio commerciale ovvero in un rischio paese. In una situazione di mercato che denota ancora una forte crisi di liquidità, una generalizzata difficoltà di accesso al credito bancario soprattutto per gli operatori economici che risiedono nei paesi in via di sviluppo, e perdurando l’assenza di veri e solidi segnali di ripresa dell’economia, abbiamo rivolto alcune domande a Michele Montanaro, responsabile Area Estero del Banco Desio. Che cosa suggerire ad un cliente esportatore per evitare di incorrere in un rischio di mancato pagamento? “Innanzitutto è opportuno che l’esportatore, prima ancora di concordare la forma tecnica di pagamento della fornitura, effettui tre fondamentali verifiche: • sulle condizioni di solvibilità del paese del compratore • sulle condizioni di solvibilità del compratore • sull’efficienza del sistema giudiziario del paese del compratore Soltanto dopo avere effettuato queste verifiche - sottolinea il nostro interlocutore - il venditore potrà decidere a quali condizioni stipulare il contratto con la controparte estera e quale il mezzo di pagamento più adatto a quella transazione commerciale, tenendo altresì conto che la scelta di una particolare forma di pagamento rispetto ad altre può influire positivamente o negativamente sia sul livello del rischio di credito sia sull’esito della trattativa commerciale stessa. Non bisogna infatti trascurare il fatto che operiamo in un contesto dove la competizione non si basa più soltanto sui prezzi; diventano infatti sempre più determinanti sia le forme sia i tempi di pagamento proposti all’acquirente estero”.

credito documentario o altra forma comunque garantita, l’unica soluzione che permette al venditore di tutelarsi in modo efficace e di sterilizzare il rischio di mancato pagamento è costituita dall’assicurazione dei propri crediti verso l’estero. L’assicurazione del credito rappresenta infatti un valido strumento non solo di protezione dal rischio di insolvenza del debitore ma si rivela anche una utile op-

Che alternative ha l’esportatore se l’importatore estero non è in grado di offrire forme di pagamento cosiddette garantite? “Quando nelle vendite internazionali non è possibile ottenere un pagamento a mezzo La Banco nota

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Management portunità per migliorare la qualità dei crediti a breve termine iscritti a bilancio. L’esportatore, che per necessità di liquidità aziendale ricorre generalmente allo smobilizzo dei crediti, non dovrebbe trascurare quest’ultimo aspetto. Diventa infatti più agevole ottenere dalla propria banca l’anticipazione di detti crediti commerciali in quanto la polizza assicurativa può rappresentare una ulteriore forma di garanzia per la banca stessa”. In che cosa consiste una copertura assicurativa? “Riguarda la copertura del rischio di perdita definitiva, originato da insolvenza e/o mancato pagamento di crediti commerciali a breve termine (entro i 12 mesi), sorti nei confronti di operatori economici esteri, a seguito di un contratto di fornitura o di una prestazione di servizi. A differenza delle polizze assicurative di altri rami, la stipula di un contratto di ‘assicurazione del credito’ non rende automatica la copertura - ci spiega Michele Montanaro -. È infatti neces-

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sario che l’esportatore avanzi alla Compagnia una formale e preventiva richiesta di limite di credito per ciascun debitore estero. Per limite di credito (oppure fido o massimale) si intende l’importo massimo entro cui una società di assicurazione accorda, dopo avere effettuato tutte le valutazioni del caso, la propria garanzia per ciascun debitore dell’assicurato”. Quali sono i rischi assicurati? “La copertura assicurativa può riguardare il ‘rischio commerciale’ (insolvenza del cliente) oppure il ‘rischio politico’ (eventi politici catastrofici che impediscono il pagamento del credito) in conseguenza dei seguenti eventi: esportazione di merci e servizi, prestazione di servizi/studi/progettazione, esecuzione di opere e lavori”. E quali le altre principali caratteristiche dell’assicurazione? “Quella principale si riferisce senza dubbio al principio di globalità su cui si basa l’assicurazione dei crediti. È il principio secondo il quale


Management l’assicurato dovrà dichiarare all’assicuratore l’intero volume del fatturato export. Da questo principio è, in linea di massima, possibile derogare definendo con l’assicuratore un tipo di polizza che consenta, ad esempio, di escludere i crediti garantiti, quelli cioè assistiti da una garanzia bancaria a ‘prima domanda’ o quelli il cui pagamento concordato con il cliente estero è a mezzo credito documentario. È possibile inoltre stipulare una polizza ‘singola’ che riguarda solo i crediti vantati verso determinati Paesi o quelli riguardanti soltanto una linea di prodotti. Un’altra importante caratteristica riguarda il valore assicurabile che non rappresenta mai il 100% del credito. Generalmente l’importo assicurabile varia a seconda del tipo di polizza e, soprattutto, della rischiosità del Paese estero, e si aggira indicativamente intorno all’80-85% se il compratore risiede in un Paese di 1° categoria e al 70-75% nel caso di Paesi di 2° categoria”. L’esportatore che ricorre all’assicurazione dei crediti ottiene altri vantaggi? “Oltre ad una analisi preventiva degli acquirenti esteri che effettua la Compagnia, i vantaggi per l’esportatore sono molteplici e si possono riassumere come segue: • ampliare il proprio mercato vendendo ad acquirenti anche sconosciuti sapendo che il rischio di mancato pagamento è coperto • accrescere la spinta commerciale concedendo alla controparte estera dilazioni di pagamento diversamente non proponibili • beneficiare di un monitoraggio costante sulla solvibilità della clientela affidata dalla Compagnia di assicurazione • attuare una efficace programmazione commerciale che consenta importanti vantaggi gestionali • ridurre l’onere amministrativo dovuto alla gestione dei crediti non pagati • assicurarsi il recupero dei crediti, nella misura pattuita contrattualmente, in caso di insolvenza del debitore estero”. In questo settore, quali sono i principali operatori? “Nel mercato italiano operano ormai da molti anni alcune Compagnie appartenenti a gruppi assicurativi di standing internazionale che of-

frono la più completa gamma di prodotti. Nel ramo crediti a breve termine (fino a 12 mesi) i principali operatori sono Euler Hermes - Siac, Coface Assicurazioni, Atradius e, da pochi anni, anche Sace B/T. Come si colloca il Gruppo Banco Desio in questo contesto operativo? “Consapevoli di una domanda in forte crescita, stiamo perfezionando un importante accordo di collaborazione con una delle Compagnie sopra citate i cui termini verranno a breve resi noti alla nostra rete con apposita comunicazione. Possiamo solo anticipare - conclude Michele Montanaro - che si tratta di una collaborazione che ha come scopo quello di sfruttare sia le sinergie operative tra la nostra banca e la compagnia di assicurazione sia la forte contiguità territoriale delle rispettive reti distributive. Il tutto con l’obbiettivo primario di potere offrire alla nostra clientela che opera con i mercati esteri un supporto consulenziale e operativo di qualità sempre più elevata”. l.b.n. La Banco nota

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Imperia tra Genova e i Savoia

Un Palio ricorda oggi la rivalità esistente un tempo fra Oneglia e Porto Maurizio, le due cittadine che solo nel 1923 si sono fuse in un unico comune

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di Francesco Ronchi

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ella rada di Imperia, capoluogo del Ponente Ligure, s’è svolto a Ferragosto il Palio del Mare. I duelli, a eliminazione diretta, si svolgono su due gozzi a remi, sulla cui poppa prende posto, armato di lancia e scudo, il campione d’uno degli otto rioni cittadini. La singolar tenzone è stata introdotta da un corteo in costume, accompagnato da sbandieratori giunti dalla vicina Ventimiglia. Il Palio, giunto alla seconda edizione dopo un’interruzione di oltre mezzo secolo, trae motivazione dall’antica e mai sopita rivalità tra Oneglia e Porto Maurizio, le due cittadine poste, rispettivamente, a est e ad ovest della foce del fiume Impero, che dal 1923 ha dato nome alla città. Porto Maurizio, sorta in un punto dominante della costa, alla fine del 1200 s’era legata alla Repubblica marinara di Genova, che la

considerava il capoluogo amministrativo e giudiziario dei propri domini nel Ponente. La cittadina anticamente trafficava legname, fichi e il sale indispensabile per la conservazione delle acciughe destinate alle valli dell’entroterra; significativa anche la produzione di cuoio, vino e d’olio. Oneglia, sviluppatasi nella piana dell’Impero, aveva esteso alle colline dell’entroterra la tecnica del terrazzamento; commerciava vino ed olio, ma anche mandorle, canapa e lino. Ai primi del ‘400 i nobili Doria, che dal 1298 avevano acquistato dai vescovi di Albenga questo territorio, diedero un ulteriore impulso alla macinazione del grano, tanto che la produzione locale dovette presto essere integrata dal frumento importato dalla Toscana. La costa era inadatta all’approdo delle navi, perciò i


Nuove Filiali mercanti/armatori dovevano lasciarle in rada e far ricorso ai piccoli gozzi dei pescatori. Tale circostanza favoriva la circolazione monetaria e la nascita d’iniziative imprenditoriali“dal basso”: i pescatori nei periodi favorevoli tendevano ad investire nell’agricoltura e nei commerci; se subentrava una crisi economica, però, diventava quasi obbligato il ricorso all’emigrazione. Nella seconda metà del ‘500 il duca Emanuele Filiberto, grazie alle vittorie ottenute al comando delle truppe spagnole nelle Fiandre, riuscì a farsi restituire dai francesi le piazzeforti piemontesi, e fece di Torino la propria capitale. I Savoia possedevano dal 1388 il porto di Nizza, ma era importante disporre d’un approdo al di qua delle Alpi; nel 1575 i Doria cedettero al duca, per 1.200 zecchini d’oro, tutti i diritti e le signorie su Oneglia e le valli di Maro, Pietralata, Pornassio e Carpasio. Gli Onegliesi furono ben contenti di legarsi ad una potenza emergente; Genova fece ricorso, tuttavia i forti legami economici con la Spagna l’indussero ad accettare, nel 1585, l’acquisizione savoiarda. A stendere l’atto fu il notaio Pompeo Belgrano Peri, esponente d’una famiglia ch’ebbe per secoli un ruolo rilevante ad Oneglia, analogamente ad altre dinastie locali, come i Berio e gli Amoretti. I Belgrano Peri erano per tradizione giuristi, tuttavia la fedeltà ai Savoia indusse i discendenti di Pompeo ad assumere anche incarichi militari; Saverio, capo del Genio Militare realizzò nel 1761-69 a Cagliari numerosi edifici pubblici e religiosi.

Ad Imperia la filiale del Banco Desio è in via Giuseppe Berio 20

Le divisioni tra Porto Maurizio e Oneglia erano ormai giustificate anche a livello politico, tuttavia nel corso del ‘600 non mancarono i tentativi d’integrazione tra due centri dagli interessi economici fatalmente convergenti. Giovanni Domenico Belgrano, laureato in medicina a Pisa, aveva sposato la figlia del nobile portese Tommaso d’Acquarone, e quando la crisi dinastica dei Savoia portò alla nascita del Principato di Oneglia si fece suddito genovese. Il figlio Paolo sposò nel 1691 la sorella del banchiere portese Pantaleone Ricci, e solo nel ‘700 i suoi discendenti riportarono gl’interessi familiari a Oneglia, a seguito di matrimoni con i Berio (armatori), i Musso (notai), e i Delbecchi, proprietari terrieri. Il 27 giugno 1798 circa settemila armati “genovesi” partiti da Porto Maurizio e da Diano attaccarono Oneglia; ma il coraggioso governatore sabaudo, Giorgio De Geneys, riuscì con soli 800 uomini, in gran parte volontari, a riportare una clamorosa vittoria. Pochi mesi dopo Napoleone avrebbe chiuso la partita, sconfiggendo a Marengo gli austro-piemontesi, tuttavia quell’episodio segnò profondamente i rapporti tra le due sponde dell’Impero e anche la fine delle ambizioni politiche dell’ambizioso orafo Giovanni G. Belgrano, capo del partito filo-francese ad Oneglia. La Banco nota

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I Greppi

a Rubiera

Come le antiche opere pie presenti nel paese passarono di mano attraverso i secoli, fino ad entrare in possesso di una delle famiglie più ricche di Milano

R di Francesco Ronchi

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ubiera, caposaldo dei Reggiani là dove la Via Emilia incrocia il Secchia, ai piedi dell’Appennino, nel 1423 venne “scippata” ai Boiardo dal duca Niccolò III d’Este, in cambio della contea di Scandiano. Pochi anni dopo il duca diede campo libero a Rubiera ai Sacrati: dopo il clamoroso caso della moglie Parisina Malatesta, che aveva fatto decapitare nel 1425 insieme all’amante (Ugo, uno dei suoi figli), per il geloso Niccolò era indispensabile conservare l’appoggio delle maggiori casate ferraresi. Il controllo dei Sacrati, un ramo dei quali s’era inserito con successo anche a Firenze, venne sancito a Rubiera dalla

costruzione del Palazzo oggi sede municipale. Tuttavia il borgo - come ribadì nel 1442 Leonello d’Este - rimase soggetto ai duchi, che preferivano lasciare sia ai reggiani che ai modenesi la speranza d’assicurarsi il controllo delle rive d’un fiume soggetto a piene rovinose, ma che consentiva acqua e foraggio al bestiame. I rapporti con il governo divennero problematici dopo il 1523: i duchi, coinvolti nella complessa lotta tra gli Asburgo e i Valois per la supremazia in Italia, decisero di trasformare le mura del Forte in bastioni resistenti alle artiglierie e fecero abbattere gli edifici circostanti nel raggio di 500 metri. Venne distrutto anche l’antico “hospitale” di S. Maria, situato al’imbocco del ponte sul Secchia, che da secoli garantiva ai viandanti cibo, alloggio per una notte e anche qualche cura medica. Aldobrandino Sacrati, i cui avi sin dal 1433 ne amministravano il patrimonio fondiario, decise allora di far costruire un nuovo grandioso edifico su terreni propri posti a nord dell’abitato, in corrispondenza d’un antico guado, i cui diritti di passaggio furono concessi all’hospitale. La costruzione di questo grande complesso rinascimentale, restaurato e riaperto al pubblico in anni recenti, non fu sufficiente a segnare un’inversione di tendenza nella realtà economica locale, fortemente condizionata dalle servitù militari. Nel 1569 il Podestà Battista Cefalo segnalava al Duca la continua emorragia di abitanti, che abbandonavano le case. Lui si preoccupava più per la conseguente difficoltà di difendere il borgo che per i riflessi sull’economia. Non era infrequente tra i giovani la scelta d’andare a prestare il servizio militare in altre zone, nonostante la minaccia di sanzioni pecuniarie e corporali. Nel XVIII secolo, durante la lunga permanenza al potere di Francesco III, andò ulteriormente consolidandosi il ruolo di Modena quale effettiva capitale del ducato; lo era diventata legalmente dal 1598, dopo che il papa Clemente VIII era riuscito a sottrargli la signoria su Ferrara, grazie al decisivo sostegno della nuova dinastia francese, i Borbone. Francesco III, molto legato alla corte austriaca, introdusse nei suoi stati alcune riforme di matrice illuministica. Tra queste, l’accentramento a Modena delle funzioni assistenziali, sia per i malati che per gl’indigenti, con conseguente soppressione


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delle antiche opere pie diffuse sul territorio, il cui patrimonio fondiario venne utilizzato per portare a termine la costruzione dell’Ospedale di S. Agostino e dell’Albergo delle Arti (oggi Palazzo dei Musei). Così scriveva confidenzialmente nel 1767 il segretario del duca:“Fra i Luoghi pii soppressi... [gli] Ospedali di Pellegrini, divenuti ricettacolo di vagabondi e birbanti, infesti moltissimo alla pubblica quiete; e tra questi è stato un luminoso colpo ... la soppressione [di quello di Rubiera], di cui oltre ai ragguardevoli fondi... si sono ritirate anche tutte le suppelletili mobili e utensili...” . Nell’atto pubblico d’acquisizione (maggio 1765) il duca aveva promesso che i poveri di Rubiera non sarebbero stati dimenticati, ma da Modena non giunsero che briciole, se paragonate al gettito assicurato dalle mille biolche di terreno sino ad allora gestite dai Sacrati. Le proteste servirono solo ad aggravare la situazione: nel 1768 il governo requisì anche l’antico convento dei francescani, cui erano stati legati dai nobili personaggi ivi sepolti varie forme d’elemosina ed assistenza. A togliere il duca dall’imbarazzo di cercare tra i suoi sudditi un compratore disposto a sfidare il risentimento della popolazione pensò uno degli uomini più ricchi di Milano, strettamente legato a Vienna: Antonio Greppi (1722-99), un

mercante originario della Val Gandino che solo dal 1778 poté fregiarsi del titolo di conte. Egli investì subito forti somme nella trasformazione dell’Ospedale in un’azienda agricola e del convento in un palazzo nobiliare, affidato al figlio Marco, sposo dal 1785 della nobile pavese Teresa Opizzoni.

La filiale del Banco Desio a Rubiera si trova in Via Emilia Ovest 7

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Origini e sviluppi di Guidonia La zona, che nel 1916 aveva accolto un campo di volo militare, col fascismo divenne prima la sede dell’Istituto Sperimentale Aeronautico, e poi del Centro Studi ed Esperienze dell’Aeronautica

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el 1887 entrò in funzione la ferrovia Roma-Sulmona. Poiché le gallerie incidevano sui costi, la stazione “Montecelio – S. Angelo” sorse a 5 km dai due antichi paesi, posti sulla sommità dei colli. Montecelio, noto per le cave di travertino, nei secoli era appartenuto ad alcune grandi famiglie romane, tra cui i Crescenzi . La grande Rocca, rinnovata agli inizi del ‘500 dal cardinal Giovanni Battista Orsini, a fine ‘700 era mezza diruta; i Borghese, che l’acquistarono dai Cesi poco dopo quella di S. Angelo, vi ricavarono due cisterne per l’acqua potabile. Nell’estate del 1916, in pieno conflitto mondiale, i campi di grano intorno al Casale dei Prati, prossimi alla linea ferroviaria, vennero trasformati in un campo di volo militare; esso venne intitolato ad Alfredo Barbieri, un aviatore romano caduto pochi mesi prima durante un duello aereo sopra Lubiana. Nel Casale ebbe sede il comando, mentre per gli ufficiali istruttori della scuola di volo si trovò posto a Montecelio. Alla fine della guerra gli allievi erano circa 500, tuttavia la rapida smobilitazione rese la struttura pressoché inutilizzata sino al 1923, quando il generale Alberto Bonzani, legato a

di Francesco Ronchi

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La filiale del Banco Desio Lazio a Villanova di Guidonia è in Viale Maremmana Inferiore 218

Mussolini ma anche alle aziende costruttrici (un settore ad alto tasso di malversazione) decise di collocarvi l’Istituto Sperimentale Aeronautico, dotato l’anno seguente d’una galleria aerodinamica. Il 27 aprile 1935, sette anni dopo la tragica scomparsa d’uno dei primi referenti militari dell’I.S.A, l’ing. Alessandro Guidoni, precipitato durante la sperimentazione d’un paracadute, il Duce pose la prima pietra d’una città giardino,


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destinata al personale del nuovo Centro Studi ed Esperienze dell’Aeronautica. Si trattava d’un intervento sponsorizzato da Italo Balbo, divenuto il dominus dell’aviazione fascista dopo il passaggio di Bonzani ai vertici dell’Esercito; la scelta di dedicare il nuovo centro ad un anziano tecnico noto ormai quasi soltanto agli addetti ai lavori era funzionale all’annosa lotta del “tecnocrate” Balbo contro i vecchi ufficiali dell’aeronautica ancora legati ad una visione

eroico-dannunziana. Altro protagonista della nascita di Guidonia, e della sua inclusione tra le cosiddette Città di Fondazione (più tipicamente “fasciste”, per l’ostentata monumentalità, rispetto alle città giardino) fu Alberto Calza Bini, presidente dell’ Istituto Case Popolari della capitale, cui venne affidato l’onere della costruzione; egli scelse quale progettista principale il figlio Giorgio, un architetto razionalista ancor fresco di studi. La costruzione fu realizzata in tempi rapidi; nell’ottobre 1937 venne costituito il comune di Guidonia, ma uno degli edifici più significativi, la chiesa di N.S. di Loreto, venne completata solo nel 1938. In quegli anni si stabilirono a Guidonia diversi scienziati e furono messe a loro disposizione strutture d’avanguardia nel campo dell’avionica e della meteorologia. Ciò implicò un notevole impegno finanziario, cui Balbo dovette far fronte limitando l’acquisto di nuovi apparecchi. Alle nuove gallerie del vento e alle imponenti installazioni del Centro Studi s’accedeva dal Largo Duca d’Aosta; data la vastità del complesso e l’abbondanza di alberi, che servivano anche a scopo mimetico, era questa la vera città giardino. Essa venne gravemente danneggiata dai bombardamenti angloamericani, ed alcuni edifici vennero poi minati dai tedeschi in fuga. Nei primi anni del Dopoguerra i ruderi rimasero una sorta di terra di nessuno, utilizzati come cava e/o discarica, mentre il quartiere di Calza Bini potè presto accrescere il numero dei residenti grazie al rapido ripristino funzionale del campo di volo, uno dei primi cui pervennero a Roma gli aiuti alimentari degli Alleati. Dagli anni ‘60 la prossimità alla Capitale ha favorito un notevole incremento dell’edilizia - anche sotto forma di quartieri-satellite sostanzialmente autosufficienti - del vasto territorio comunale di Guidonia, suddivisa in nove circoscrizioni per complessivi 75 mila abitanti. La conformazione collinosa, ma soprattutto la presenza d’infrastrutture che intersecano il territorio (non ultima la “bretella” autostradale) ha reso e rende difficile l’integrazione tra le varie frazioni; uno dei campi su cui si punta è la valorizzazione del patrimonio archeologico, testimoniato soprattutto dai resti di numerose ville d’epoca romana del Parco regionale Archeologico dell’Inviolata. La Banco nota

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Nuove Filiali

Da re Pipino

al Regno d’Italia

Decisamente ricca la storia di Bussolengo, paese dalle origini antiche ma dalla metà del 1900 proiettato senza preoccupazioni verso il futuro

L

di Alessandra Monguzzi

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La Banco nota

a ricchezza d’acque e il clima dei territori attorno alla sponda orientale del lago di Garda hanno favorito lo stanziamento di diverse popolazioni fin dall’età del bronzo, circa 1500 anni prima di Cristo. Di questi insediamenti primitivi se ne sono rilevate tracce nella zona di Bussolengo, parte di un più ampio territorio che sarebbe stato interessato prima dagli stanziamenti dei Reti, dei Veneti e dei Celti, e poi - ormai in epoca storica - dei Romani, dei quali sempre la zona di Bussolengo mantiene qualche testimonianza, come quelle che sono conservate all’interno della chiesa di San Salvor, un’enorme pietra trasformata in battistero e un cippo con un’iscrizione in latino. Di certo interessata da tutti gli accadimenti che si successero a partire dal periodo romano su su nel tempo fino al Medio Evo, della zona di Bus-

solengo si hanno le prime notizie nell’anno 807, quando re Pipino, il figlio di Carlo Magno, dona all’abate del monastero di san Zeno di Verona un terreno in San Vito al Mantico. Il territorio non ha ancora il nome di Bussolengo, ma di Gussilingus, da cui dovrebbe derivare, e di cui si ha traccia in un documento dell’epoca. Da quel periodo in poi, non si riscontrano eventi importanti per il territorio fino al XII secolo, quando sembra essere entrato a far parte dei possedimenti di una signoria locale, quella degli Olderico, dedita allo sfruttamento dei terreni ma anche al mestiere delle armi visto che il suo esponente più famoso è Garzapane, un soldato e un uomo di un certo peso visto che faceva parte della cerchia degli amici dell’imperatore Federico Barbarossa. Proprio sotto gli Olderico - riporta il sito internet del municipio di Bussolengo - la


Nuove Filiali zona si sarebbe organizzata sotto la forma di un primitivo comune, il cui primo podestà fu Garzeto figlio di Olderico di Garzapane. Certo, sotto il dominio delle grandi famiglie che si susseguirono nel controllo di quel territorio, gli Scaligeri, i Visconti, i Carraresi, le prerogative del comune non poterono superare certi limiti, e ciò fino agli inizi del XV secolo. Poi, fra il 1404 e il 1405, tutta la zona passa sotto il dominio di Venezia la quale, per tenere sotto controllo le vie di comunicazione e i guadi dell’Adige, fece edificare nel territorio di Bussolengo un accampamento fortificato, nei luoghi dove ora sorge il convento di San Francesco. L’impronta veneziana da quel momento in poi si fa decisamente sentire: viene avviata la riforma del sistema amministrativo locale e viene stilato l’elenco (il “Catastico”) delle proprietà terriere. Inoltre, visto che la zona è una delle più floride di tutto il Veronese, diventa sede di un mercato settimanale (dal 1409) ed è luogo di passaggio delle merci provenienti da nord. Bussolengo dunque segue le sorti della Serenissima attraverso i secoli successivi fino alla fine del 1700 quando il vento napoleonico impose nuove situazioni in Italia come in Europa. Con il trattato di Campoformio (ottobre 1797), Napoleone strappa all’Austria il Belgio e Milano in cambio di Venezia. Una manciata d’anni e Napoleone è ancora in Italia, sbaraglia gli austriaci a Marengo, e impone la pace di Luneville, che prevede per il Veneto la sottomissione alla Repubblica cisalpina e quindi alla Francia.

La filiale di Bussolengo del Banco Desio Veneto si trova in Via Gardesana 70, Ang. Via San Crispino 16

Scomparso Napoleone, il congresso di Vienna ristabilisce e ridisegna le linee politiche in Europa, cosa che per l’Italia settentrionale significa il passaggio definitivo sotto l’influenza e il dominio austriaco. Vi si riscatterà solo con le guerre d’indipendenza, da cui scaturirà quel Regno d’Italia cui nel 1866 tutto il Veneto aderirà dopo un referendum. Per quanto riguarda l’economia di Bussolengo, occorre ricordare che le attività principali cui è dedita la popolazione sono ancora quelle legate all’agricoltura, specialmente da quando, verso la metà del secolo scorso, la costruzione del canale Biffis ha reso possibile la coltivazione intensiva del pesco, grazie alle migliori possibilità d’irrigazione. Dal versante dell’industria, con l’inizio del 1900 anche questa zona ha beneficiato di un certo sviluppo, ma sarà l’artigianato, ed in particolar modo quello legato al settore delle calzature, a far decollare il paese negli anni Cinquanta e a farlo guardare al futuro senza troppe preoccupazioni. Nel 2000, ricorda sempre il sito del Comune, erano presenti sul territorio 1131 imprese presso le quali trovano lavoro 5808 addetti e particolare rilevanza stavano assumendo il commercio e i servizi. La Banco nota

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Fuoritema

Vive la France! È

indubitabile che ogni lingua accolga, più o meno favorevolmente, al suo interno parole ed espressioni di altre lingue. La lingua italiana è sempre stata molto ospitale da questo punto di vista e se ai giorni nostri è l’inglese a farla da padrone, nei tempi passati era il francese. Negli anni ’30 del secolo scorso - con intenti non solo linguistici - si tentò di arginare l’invasione e, per la lingua francese, laValle d’Aosta divenne la palestra per una“italianizzazione”dagli esiti dubbi

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ed anche risibili. La regione montana di confine fu oggetto infatti di una revisione sistematica dei nomi delle sue valli e delle sue località. Come nel caso della bella Courmayeur che diventò l’orribile Cormaiore. A Ollomont e Brusson andò relativamente meglio con Ollomonte e Brussone, mentre le ridenti valli diValtournanche eValsavaranche si ritrovarono tradotte in Valtornenza e Valsavara. E non andò di certo meglio alla povera LaThuile, cui toccò in sorte il celebrativo Porta Littoria…. Fu comunque inutile, molti vocaboli ed espressioni della lingua transalpina si erano insediati già da tempo e resistettero così tenacemente anche alle veline del MinCulPop (nda: abbreviazione di Ministero della Cultura Popolare, organo di governo preposto nel ventennio fascista anche al presidio della “purezza” della lingua) da arrivare sino ai nostri giorni vivi e vegeti. Qualche esempio? Menu era già entrato stabilmente nella ristorazione (liquidando l’italianissima lista) e non ci avrebbe più abbandonato. Anzi avrebbe goduto del privilegio di occuparsi - molti anni dopo - anche di elettronica e di telefonia cellulare. Hanno resistito e godono tutt’ora di buona salute anche toilette, gaffe, reclame, charme per fare qualche esempio. Ma anche molti termini, celando più o meno subdolamente la loro origine transalpina, hanno soppiantato nel tempo l’omologo italico: flacone (per boccetta), debutto (per esordio), gilet (per panciotto), pistone (per stantuffo), pantaloni (per calzoni). La lingua francese ci è sempre piaciuta al punto che se non abbiamo disponibili termini francesi arriviamo ad inventarceli. Qualche esempio? La claire (intesa come saracinesca) che i francesi chiamano rideau, il vin brulé che i francesi chiamano semplicemente vin chaud, e, per restare sul gastronomico, la paillard che in Francia diventa un escaloppe grillé. Per non citare la più straordinaria invenzione sempre di natura gastronomica: il famoso vitel tonné. Se tentate di ordinarlo in Francia, dando per scontato che sul menu non appare, se vi va bene vi guarderanno con bonaria commiserazione. “Ah les Italiens...” Datini




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