La Banconota - Numero 58 - Giugno 2009

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la Banco nota ISSN 1972 - 8379

N. 58 - Giugno 2009

100 anni La grande festa con il personale Tutti gli anziani a raccolta Una degna cornice per la nostra clientela Storia Dal 1930 agli anni ‘50: il Banco si sviluppa

Il Sole 24 ORE Business Media Srl - via G.Patecchio 2 - 20141 Milano - POSTE ITALIANE SPA

Anniversari 100 anni fa.... Finanza Strategie d’investimento in un mondo che cambia Nuove filiali Le origini di Chiaravalle Conegliano, fra religione e devozione Agostino Gavazzi



Sommario la Banco nota Nuova Serie N. 58 - Giugno 2009 REGISTRAZIONE Tribunale di Milano n. 292 del 15/04/2005

Direttore Responsabile: Luigi Gavazzi Comitato di Direzione: Riccardo Battistel, Luigi Gavazzi, Alberto Mocchi, Marco Sala, Umberto Vaghi In Redazione: Alessandra Monguzzi

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Collaboratori: Enrico Casale, Giovanni Ceccatelli, Alessandra Monguzzi, Francesco Ronchi Impaginazione: Diego Poletti Stampa Faenza Industrie Grafiche S.r.l. Costo copia: € 2,00

Editore incaricato:

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La grande festa con il personale

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Tutti gli anziani a raccolta

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Una degna cornice per la nostra clientela

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Dal 1930 agli anni ‘50: il Banco si sviluppa

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100 anni fa....

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Strategie d’investimento in un mondo che cambia

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Le origini di Chiaravalle

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Conegliano, fra religione e devozione

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Parlo italiano?

Presidente: Eraldo Minella Amministratore Delegato: Antonio Greco

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Direttore Editoriale: Mattia Losi Ufficio Commerciale e Traffico: Anna Boccaletti (anna.boccaletti@businessmedia24.com) Il Sole 24 ORE Business Media S.r.l. Via Patecchio, 2 - 20141 Milano Tel. 02.3964.60.11 - Fax 02.3964.62.91

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100 anni

La grande festa con il personale Il Forum di Assago ha accolto i circa 3000 partecipanti alla celebrazione del centenario del Banco

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uella di sabato 23 maggio è stata una giornata decisamente speciale per il personale del Gruppo Banco Desio: è stata tutta dedicata, infatti, alla celebrazione del centenario, in un contesto assolutamente all’altezza come il Forum di Assago, alle porte di Milano. Per una festa “di famiglia” per la quale si aspettavano un numero di invitati capace di sfiorare le tremila persone non si poteva che trovare una location, come si dice oggi con un termine mutuato dal mondo della comunicazione, che assicurasse tutti gli elementi necessari per la riuscita della manifestazione, a partire dagli ampi parcheggi riservati agli invitati per finire alla disponibilità di spazi dove spiegare il senso e la portata della celebrazione. Il tutto con 4

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una regia all’altezza, capace di curare ogni particolare di contorno, piccolo o grande che fosse, per citare a caso la registrazione degli invitati, il catering complessivo, l’organizzazione del grande spettacolo conclusivo. Tutto è cominciato, appunto in un clima di festa, verso metà mattina: al loro arrivo, gli ospiti erano accompagnati nelle sale superiori della struttura per la registrazione e per un primo momento di ristoro. Un clima di festa, si è detto, favorito dalla consapevolezza che si scorgeva nei volti di tutti di essere davvero una grande famiglia, certamente dalle provenienze più diverse - dalla Lombardia al Lazio, dal Veneto alla Toscana, dal Piemonte all’Emilia alla Liguria - ma sotto un unico segno, il marchio del Gruppo Banco Desio.


100 anni

Un momento del percorso storico. Sullo sfondo la ricostruzione di una delle sedi del Banco

Una coppia sfoglia il libro che ripercorre la storia del Banco

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100 anni

Gli azionisti di riferimento e la dirigenza del Banco in una foto della metà degli anni Cinquanta

Il percorso

di un secolo L

a celebrazione ufficiale del centenario del Banco è stata affidata a due momenti distinti: il percorso storico attraverso le testimonianze connesse alla vita dell’istituto, accompagnate dal ricordo di quanto nel frattempo accadeva nel mondo, e le parole pronunciate dal Presidente Agostino Gavazzi prima delle spettacolo conclusivo. Il primo momento, il percorso storico, è stato allestito nelle capaci sale al piano terreno del Forum: il percorso iniziava davanti alla riproduzione della casa natale di Papa Pio XI, l’edificio dove il banco ebbe una delle sue prime sedi, per snodarsi poi attraverso lo sviluppo dell’istituto, ma anche della stessa città di Desio (ricordata dalle immagini dedicate alla famiglia Gavazzi e alla storica Tessitura della famiglia). Per collocare storicamente gli avvenimenti della banca, lungo il percorso erano stati predisposti dei video che illustravano i più importanti

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avvenimenti del tempo in Italia e nel mondo, dagli inizi del ‘900 ai giorni nostri, mentre in alcune bacheche erano esposti documenti originali che testimoniavano momenti salienti della vita del Banco. Nelle ultime sale, la storia recente e meno recente del Banco: le prime filiali, le riproduzioni di documenti d’epoca, il ricordo degli amministratori degli anni Sessanta e Settanta a cui si deve il continuo sviluppo dell’Istituto, accompagnati da“documenti” d’epoca davvero palpabili oltre che ammirabili: la Balilla e la Topolino della Fiat (a cui facevano da contraltare due emblemi del marchio torinese, la storica 500 degli anni Sessanta e una recente Ferrari), e le moto della Guzzi, affascinanti nelle loro livree d’un tempo che fu. Infine, la fotografia del Gruppo di oggi, con tutte le sue filiali e con tutti i suoi istituti collegati, in Italia e all’estero.


100 anni

Gli anni Ottanta ricordati attraverso il cambiamento del logo del Banco

La storia dell’Istituto è stata arricchita da simboli assoluti degli ultimi decenni quali le automobili Ferrari e, sotto, le moto Guzzi

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100 anni

La copertina del volume sul centenario donato a tutti i partecipanti. Sullo sfondo il presidente Agostino Gavazzi durante il suo saluto agli intervenuti

Arrivederci‌ magari nel 2059 8

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100 anni

La band di “Zucchero” Fornaciari in azione: l’attesissimo momento musicale ha chiuso la giornata di festa

Attimi di suspense: Federica Panicucci assegna le due FIAT “500” messe in palio tra i partecipanti

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momenti successivi della giornata sono stati caratterizzati nell’immediato pomeriggio dall’intervento del Presidente Agostino Gavazzi che, in un sentito ed emozionante intervento, ha - tra l’altro - voluto ricordare, e ringraziare, coloro che con il proprio impegno hanno permesso al Banco di superare il traguardo del secolo di vita. Lo spettacolo finale - degna conclusione di una giornata memorabile - ha avuto tra i suoi protagonisti uno straordinario Zucchero Fornaciari che ha dato il meglio di sé attraverso brani davvero indimenticabili. Poi, purtroppo, l’avvio verso le uscite e verso il ritorno a casa, senza aver

dimenticato, immediatamente prima, di ritirare un ricordo concreto della giornata, il libro “Banco Desio 1909-2009 Il valore di una storia centenaria”, edito in occasione delle celebrazioni, un testo che attraverso le parole e le immagini racconta il Banco e il suo percorso di un secolo. Mentre i saloni del Forum lentamente si svuotavano, in molti hanno fatto capire che è giusto che le date importanti siano degnamente celebrate. Il prossimo appuntamento, anche se nessuno l’ha detto, è dunque fissato come minimo fra cinquant’anni, nel 2059, per preparare quello del 2109… La Banco nota

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100 anni

Tutti gli anziani

a raccolta All’incontro conviviale hanno partecipato la presidenza, la dirigenza e quasi duecento fra pensionate e pensionati del Banco

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100 anni

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l sei maggio scorso, il Presidente del Banco di Desio e della Brianza Agostino Gavazzi con il fratello Luigi, consigliere, i vicepresidenti Guido Pozzoli e Stefano Lado, l’amministratore delegato Nereo Dacci e la direzione generale dell’istituto desiano hanno incontrato il personale in quiescenza del Banco. Alla manifestazione - organizzata nell’ambito delle celebrazioni per il centenario della banca - hanno partecipato quasi duecento persone tra pensionate e pensionati. Dopo la Santa Messa, officiata da don Giuliano Parravicini (ex dipendente del Banco, poi entrato in Seminario) presso la chiesa del Crocefisso in Desio per ricordare colleghe e colleghi defunti, il ritrovo per tutti è stato in un grande ristorante locale per un pranzo conviviale durante il quale sono stati consegnati alcuni omaggi celebrativi dell’importante anniversario. “È stato un incontro molto sentito ed anche emozionante - ha commentato alla fine dell’incontro Agostino Gavazzi -. Ho salutato colla-

boratrici e collaboratori che ricordavano mio padre Pietro e Ignazio Lado, miei predecessori nella carica di presidente, e ho percepito tra di loro ancora un forte senso di appartenenza e di profondo attaccamento all’azienda in cui hanno lavorato in tempi anche molto lontani”.

Alla celebrazione con i pensionati ha partecipato tutta la direzione generale del Banco (foto in alto)

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100 anni

Una degna cornice per la nostra clientela Il Comune di Desio ha messo a disposizione la neoclassica villa Tittoni Traversi per la serata con i 400 invitati in rappresentanza dei 150.000 clienti del Banco

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enerdì 12 giugno scorso, quattrocento invitati, in rappresentanza dei 150.000 clienti del Gruppo Banco Desio, sono stati ospiti del Banco per una serata nell’ambito delle celebrazioni per il centenario della banca. Degna cornice della manifestazione villa Tittoni Traversi a Desio, ragguardevole esemplare neoclassico di residenza brianzola dell’arch. Piermarini. Accolti all’ingresso da un quintetto di musicisti, gli ospiti hanno potuto visitare la villa , un percorso storico con cimeli originali sui cent’anni del Banco e la presentazione del libro “Banco Desio 1909-2009 il valore di una storia centenaria” edito per l’importante ricorrenza. Dopo un saluto del sindaco di Desio alle personalità ed agli ospiti

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presenti, il presidente del Banco Agostino Gavazzi ha voluto ringraziare il Comune di Desio per la concessione della prestigiosa residenza, sottolineando in particolare i legami storici che vincolano il Banco e le famiglie Gavazzi e Lado alla città. La serata è proseguita nel parco dove in una scenografia di rara suggestione e bellezza - complice anche una serata particolarmente favorita dal clima - è stata offerta una cena ed un’esibizione al piano del maestro Giovanni Allevi. Uno spettacolo pirotecnico ha suggellato la chiusura di un evento che ha riportato tutti i partecipanti - per una sera - alle feste ed alle atmosfere che videro protagonista villa Tittoni Traversi nei secoli scorsi.


100 anni

L’esibizione al piano di Giovanni Allevi

Federica Panicucci presenta la serata agli ospiti nel giardino della villa

Al primo piano della villa, i 100 anni del Banco sono stati illustrati tramite pannelli, video e materiale storico originale

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Storia

Dal 1930 agli anni ‘50:

il Banco si sviluppa Superato il momento di recessione coinciso con la grande crisi della Borsa del 1929, l’istituto si affida alle mani del direttore Mario Danesin per impostare il rilancio di Francesco Ronchi

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el numero precedente di questa rivista abbiamo parlato dei primi vent’anni di vita del Banco Desio, un istituto di credito che aveva mantenuto la veste giuridica di Cassa Rurale sino alla trasformazione in spa avvenuta nel 1926, poche settimane prima dell’entrata in vigore delle nuove leggi che regolavano il settore.

LE DIFFICOLTÀ DEI PRIMI ANNI ‘30 I principali azionisti, i cugini Gino e Giulio Gavazzi, sino a quel momento non s’erano mai occupati di attività bancarie. Il primo aveva accettato la presidenza nell’ambito d’una divisione funzionale delle attività concordata con i due fratelli maggiori, Giuseppe e Simone, amministratori, rispettivamente, del “Lanificio Rossi” e della “Tessitura E&P Gavazzi”; il secondo, in quanto Podestà di Desio, sperava che la piccola banca locale proseguisse la politica di collaborazione con l’amministrazione di cui s’erano avuti concreti esempi sia per la costruzione del Convitto-Collegio (1912) sia con alcuni prestiti straordinari concessi durante la Grande Guerra. Tuttavia le sue speranze erano andate presto deluse. Parallelamente al consolidamento del regime fascista, alcuni operatori economici locali prima subordinati alle tre famiglie più ragguardevoli di Desio (i Gavazzi per la seta, i Tittoni per l’agricoltura, Raimondo Targetti per il lanificio) avevano intrapreso iniziative economiche in proprio, specie nel settore mobiliero. Per le sue caratteristiche strutturali (forte connotazione locale e legami operativi ridotti con le grandi banche nazionali con sede a Milano e Monza) il Banco Desio aveva assecondato tale tendenza, concedendo notevoli fidi e scontando volentieri cambiali commerciali 14

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Storia non solo ad aziende desiane di recente fondazione, come la Frigerio &C, ma anche ad operatori di Lissone, Meda e Cantù. Gli effetti della grave crisi mondiale originata dal crollo della Borsa negli Stati Uniti alla fine del 1929 furono fortemente sentiti anche in Italia, anche perché il governo fascista aveva deciso di porre in atto una politica di rafforzamento della quotazione della lira che penalizzava i settori vocati all’esportazione. Tra il 1929 e il 1933, nel solo settore laniero, il valore delle esportazioni italiane di tessuti calò da 264 a 127 milioni di lire, ed i filati da 89 a 35 milioni. Nel 1928 s’era importata in Italia lana grezza per 132 milioni, nel 1934 solo per 48 milioni: segno del fatto che anche la domanda interna aveva subito un netto calo. Nel medesimo periodo gli occupati nel settore tessile calano da 79 mila a 68 mila; molti di loro costretti al part-time, aumentato dal 13 al 29% del totale. Preoccupato per la forte esposizione del Banco nei confronti d’un numero relativamente limitato di clienti, tra cui in particolare il canturino Amilcare Marsili (già membro del Consiglio d’amministrazione agli inizi degli anni‘20), nell’estate del 1930 il presidente aveva ordinato un’accurata ispezione contabile, che fu affidata all’anziano rag. Angelo Balbiani, ex direttore della filiale di Como del Credito Italiano. Gli esiti avevano confermato i timori peggiori, quindi - dopo aver rimosso e licenziato il Direttore ed il vicedirettore - la guida dell’istituto fu affidata allo stesso Balbiani, che però ben presto, per ragioni di salute, si

fece sostituire da un suo dinamico collaboratore comasco, Mario Danesin. Quest’ultimo si trovò a dover affrontare una situazione molto delicata: dato il persistere della crisi economica generale, il recupero dei crediti tramite l’avvio d’una serie di cause legali s’era rivelato un procedimento lungo e costoso; egli avrebbe voluto sfruttare i due atout fondamentali del Banco, cioè la buona conoscenza del territorio e le difficoltà che trovavano le altre banche a soddisfare la clientela “buona”, ma doveva scontrarsi col timore degli azionisti d’essersi sin troppo esposti. Mario Danesin riuscì - pur con qualche difficoltà iniziale - ad avviare e consolidare un rapporto di piena fiducia con il presidente, insieme al quale condivise preoccupazioni e strategie, avviando una collaborazione che - pur riconoscendo diversità di ambiti di ruolo e responsabilità - sapeva lavorare sul piano di una perfetta integrazione tra proprietà e direzione. Significativi gli interventi iniziali di Danesin nei confronti di Gino e dei componenti della famiglia volti a rassicurarli sul futuro dell’azienda e sulla necessità di continuare ad assisterla, proprio in momenti delicati come quelli che il Banco stava affrontando (non va dimenticato che i consistenti depositi degli eredi di Egidio Gavazzi avrebbero probabilmente trovato maggiore remunerazione presso altri istituti in quel periodo). Danesin riuscì a convincerli del fatto che - in vista di nuovi impieghi con clienti affidabili - era più conveniente lasciare quei soldi a Desio.

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Storia

DA GINO GAVAZZI AL FRATELLO SIMONE Alla fine di novembre del 1932, in una nota riservata il direttore Mario Danesin aveva esposto con grande franchezza al presidente Gino Gavazzi il difficile stato dei conti. I crediti in sofferenza ormai da lunga data superavano le 277 mila lire, di cui (forse) solo 30 mila recuperabili in tempi brevi. Nel bilancio, ancora in fase d’assestamento, erano state previste solo 35 mila lire per il loro ammortamento. Se anche si fosse fatto ricorso ai sia pur minimi utili indicati nel bilancio 1931 (3.500 lire) e al capitale di riserva (poco più di 92 mila lire) la perdita prevista da Danesin rimaneva ragguardevole: quasi 117 mila lire. Secondo le norme contabili, sarebbe stato necessario ricorrere al capitale sociale; esso in teoria ammontava a mezzo milione di lire (10 mila azioni da 50 lire), ma in effetti Danesin sapeva che il prezzo di scambio era di poco superiore alle 38 lire: due anni di crisi economica generale avevano indotto diversi piccoli azionisti desiani a vendere le loro quote. 16

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Si trovava in difficoltà anche la“Tessitura E&P Gavazzi”, che aveva ridotto il capitale versato da 20 a 16 milioni di lire. Gino Gavazzi decise di continuare a dar fiducia al direttore, confortato da qualche piccolo segnale di ripresa, e di non rendere pubblica tra gli altri azionisti l’effettiva consistenza delle perdite. Tale decisione fu favorita da almeno tre circostanze esterne: il fratello Giuseppe in quel periodo era impegnato a rintuzzare eventuali nuovi tentativi di scalata del “Lanificio Rossi” da parte di Gaetano Marzotto, e quindi meno interessato al Banco Desio rispetto agli anni precedenti; la salute del prevosto mons. Erminio Rovagnati, fondatore nel 1909 della Cassa Rurale, era in declino, così come la sua influenza sui piccoli azionisti locali, dopo gl’insuccessi delle iniziative imprenditoriali concordate con Giovanni Biancotti; il secondo maggior azionista del Banco, Giulio Gavazzi, era morto il 3 dicembre 1932, ed il suo principale erede, il fratello Carlo, non aveva mai mostrato particolare interesse per il Banco. Così nel corso dei due anni seguenti Danesin poté continuare a lavorare con una certa tranquillità allo sviluppo


Storia del Banco, ponendo le premesse per l’apertura d’una seconda filiale, apertura cui teneva moltissimo, ritenendo Nova una piazza allora poco interessante. Al contrario, la vicina Bovisio rappresentava un centro appetibile cui pesava la mancanza di sportelli bancari. S’ebbe un solo momento d’incomprensione, nell’ottobre del 1934, quando la “Tessitura Gavazzi” minacciò di non servirsi più del Banco perché s’erano riscontrate delle monete d’argento false tra quelle inviate all’azienda per le paghe degli operai. Danesin si giustificò osservando che c’erano molti falsi in circolazione e che avrebbe raddoppiato i controlli, ma probabilmente adottò - con discrezione - provvedimenti più drastici nei confronti del responsabile. L’ormai prossima apertura a Bovisio venne utilizzata nella primavera 1935 dal direttore e dal presidente per giustificare, agli occhi degli altri azionisti e della Banca d’Italia, il raddoppio del capitale nominale sino ad un milione, effettuato mediante l’emissione di altre 10 mila azioni che vennero in effetti versate solamente per il minimo consentito dalla legge, i 4/10. L’iniezione di capitali freschi avrebbe consentito d’alleggerire il peso delle residue vecchie sofferenze e - soprattutto - di aprire nuove linee di credito nei confronti di aziende d’una certa dimensione. Tutta l’operazione rischiò di crollare a causa dell’improvvisa scomparsa di Gino, il quale aveva sottoscritto in proprio ben 7.309 delle nuove azioni, ed aveva depositate sul proprio c/c vincolato quasi 369 mila lire. Il suo erede principale, il figlio Giovanni, era considerato privo d’esperienza finanziaria, ed i vecchi azionisti temevano che fosse tentato di svendere le proprie quote, non desiderando vincolarsi all’obbligo di versare, entro un anno, il saldo delle azioni sottoscritte. Furono i suoi zii, ed in particolare Giuseppe Gavazzi e Luigi Lado, ad organizzare il riassetto del Banco in modo da mantenere la continuità dell’azione intrapresa e - sopratutto - il controllo da parte degli eredi di Egidio Gavazzi. Onde evitare d’allarmare gli azionisti facenti capo al ramo di Pio Gavazzi, venne proposto quale presidente Simone Gavazzi: l’unico dei fratelli a non possedere vecchie azioni del Banco. Tra le prime azioni da lui perseguite, vi fu la riduzione da sette a cinque dei membri

del Consiglio d’Amministrazione; non a caso i due a cui venne chiesto di lasciare la carica furono il conte Giovanni Donà dalle Rose, già stretto collaboratore di Gino alla Casa di salute (la Clinica Zucchi) e Bernardo Albonico. Il primo non frappose difficoltà, anche perché ottenne una speciale gratifica, mentre il vecchio dirigente della “Tessitura”, il quale sperava nell’appoggio dei desiani azionisti di minoranza (disorientati dalla recente scomparsa di Rovagnati) si dimise solo alla vigilia dell’Assemblea dell’aprile 1936, dopo essersi reso conto del fatto che Danesin ed il nuovo presidente in quella sede sarebbero riusciti a presentarsi con poco più dei 2/3 del capitale, abbastanza per far ratificare tutte le scelte di governance adottate dalla famiglia.

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Storia

IL 30° DEL BANCO E LA FAMIGLIA GAVAZZI

In queste pagine, alcuni carteggi di archivio inviati o ricevuti da esponenti del Banco

Il 1939, trentesimo anniversario della fondazione del Banco, s’aprì (10 febbraio) con la notizia della morte del desiano Pio XI, dopo 17 anni di pontificato, e si concluse con l’incognita delle imminenti offensive naziste verso l’Europa Occidentale. I grandi eventi internazionali, col loro inevitabile corollario di riduzione degli interscambi commerciali, preoccupavano molto anche il direttore Mario Danesin, consapevole del fatto che il tessuto produttivo brianteo (con la sola eccezione del settore chimico) aveva tutto da perdere nel caso d’un coinvolgimento diretto dell’Italia nel conflitto.

Egli s’era ormai rassegnato al fatto che l’anno precedente il Banco s’era finalmente trasferito in una nuova e ben più degna sede, ma con un contratto d’affitto di nove anni: una spesa eccessiva tenendo conto del fatto che l’impresa costruttrice s’era fatta pagare per le modifiche e le specifiche installazioni di sicurezza. In quel periodo le maggiori concorrenti sulla piazza erano le filiali della Cassa di Risparmio, dell’Agricola Milanese di Desio e della Nazionale dell’Agricoltura. L’apertura della nuova sede aveva convinto gli azionisti a versare il valore dei 6/10 delle azioni sottoscritte nel 1935; questa iniezione di capitali aveva consentito a Danesin di proseguire nel suo programma di offerte di prestiti cambiari al maggior numero possibile di piccoli clienti affidabili, che a suo avviso rappresentavano una risorsa più affidabile rispetto ai grossi imprenditori abituati a rinnovare continuamente i loro prestiti, e che finivano quindi con l’immobilizzare a lungo il danaro delle banche. Il salto di qualità del Banco è testimoniato anche dalla sottoscrizione d’un accordo con il Banco di Napoli (ex Istituto d’emissione) per la rimessa diretta delle sue cambiali emesse in Brianza. A Desio la carica di podestà dopo la morte di Giulio era passata al fratello Antonio Gavazzi: quasi una replica di quanto avvenuto nel 1910 tra Egidio Gavazzi (anch’egli scompaso il 10 feb18

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Storia braio) ed il fratello Pio. Ma i tempi erano molto cambiati, ed ormai da anni per le principali scelte amministrative i desiani guardavano al dinamico notaio Antonio Colleoni, il quale anche dopo aver lasciato il Consiglio d’amministrazione aveva mantenuto un certo peso nella banca desiana, che - almeno sino al 1937 - s’era valsa spesso delle sue prestazioni professionali. Colleoni era di formazione liberale, ma sapeva come farsi valere sia presso le autorità fasciste sia presso il prevosto don Giovanni Bandera, anch’egli dotato d’una forte personalità e non particolarmente disposto a compiacere industriali e proprietari terrieri di Desio. La scomparsa di Pio XI segnò uno dei pochi momenti d’effettiva collaborazione tra i Gavazzi (che avevano donato alla Chiesa la casa natale del Papa), don Bandera (che in quanto parroco gestiva l’Orfanotrofio ivi ospitato) e Colleoni (grande sostenitore del C.A.I. e di varie società sportive): venne fondata la Pro Loco di Desio, al fine d’organizzare eventi atti a richiamare “forestieri” nei luoghi in cui il pontefice aveva trascorso l’infanzia. Il Banco Desio non fu coinvolto in questa iniziativa, dato che da anni non correva buon sangue tra i due rami della famiglia, ed in particolare proprio tra il podestà, Antonio, e il presidente della banca, Gino, entrambi dirigenti della “Tessitura”. Quanto fossero delicati i rapporti lo si può dedurre da questo biglietto inviato da Simone Gavazzi al direttore nel luglio del 1937: “Caro Danesin, io credo che per aver modo di acquistare azioni del Banco, visto il buon andamento, Ella potrebbe tentare la seguente via: scrivere al sig. dott. Carlo Gavazzi (fratello di Antonio) C.so Magenta, 48 (storica sede legale della Gavazzi) una lettera del genere di questa: ‘Un cliente del Banco desidera fare acquisto di 500/700 azioni ed è disposto a pagare lire 48 per azione. Le trasmetto questa richiesta e le sarò grato di una cortese sollecita risposta onde riferire al nostro cliente’ (...) Bene inteso non deve trapelare che il compratore sono io o Lei o altri del gruppo”. Nell’ottobre 1939 così commentava nel suo diario Franco Gavazzi, nipote di Simone, la nomina del proprio padre, Giuseppe, a senatore: “La

notizia è stata comunicata per radio (...) e s’è diffusa in un baleno in paese (...) Tra i primi ha telegrafato il Duce; e fra le più belle missive cito quelle del Ministro (Treccani degli) Alfieri, di (Franco) Marinotti, di Guidone Visconti (...). Viene notato e sfavorevolmente commentato l’assenteismo della Podesteria: né quel bestione di Antonio né il suo degno segretario si son fatti vivi (...) c’era da aspettarselo, ma non per questo è men palese (...) la mancanza protocollare e di senso di opportunità. Con Papà è stato eletto anche Raimondo Targetti, di modo che Desio (...) si trova ad aver due Senatori in una volta sola, e stasera al Lanificio c’è stato sparo di mortaretti e lancio di fuochi artificiali”. La Banco nota

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Storia

I risultati delle elezioni del 2 giugno 1946

A QUAR ANT’ANNI DALLA FONDAZIONE Il 1949 fu anche per la Brianza un anno di transizione verso una nuova società accolta dai contemporanei con un misto di timori e speranze. Superati l’euforia postbellica, il vivace dibattito istituzionale dei mesi d’attività della Costituente e la resa dei conti delle elezioni del 1948, l’Italia era andata acquisendo la consapevolezza del fatto che i nuovi equilibri geopolitici - sinteticamente riassunti dall’espressione “Accordi di Yalta” - l’avevano collocata nell’Occidente, e che questioni quali il rimpatrio degli ultimi prigionieri di guerra o

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lo status di Trieste avrebbero trovato sempre minor spazio alla radio e sui giornali. Lotte e contrapposizioni politico/ideologiche traevano spesso spunto dalle difficili condizioni generali dell’economia, e dalle difficoltà di ripresa del settore edile, per il quale era ancora prioritario, a Milano, rimuovere le macerie dei bombardamenti alleati, che avevano distrutto circa un terzo delle abitazioni e numerose fabbriche. Desio ed i vicini centri in cui operava il Banco erano pieni di sfollati da Milano, molti dei quali non poterono farvi ritorno subito dopo la cessazione delle ostilità. Quanto al tessuto industriale, per le aziende rimaste in piedi si faceva sentire la penuria di carbone e, in alcuni settori, di ordinativi (solo la chimica aveva tratto un certo giovamento dallo smantellamento della storica rete produttiva e distributiva tedesca), e alla scomparsa nel 1946 di Edoardo Bianchi, fondatore di un’industria importante come la “Bianchi, il figlio Giovanni si trovò ad ereditare una situazione finanziaria piuttosto pesante, che rese più problematica la ripresa della produzione di biciclette e motocicli. A tutto ciò si deve aggiungere, sul piano sociale, che il DL 81 del 14 febbraio 1946, che prevedeva l’assunzione obbligatoria nelle aziende private di reduci ed ex combattenti, ebbe come conseguenza il licenziamento di manodopera femminile. Per le piccole imprese, tipiche della realtà briantea, era molto difficile accedere al credito bancario: fin dal 1946 il presidente di Confindustria Angelo Costa lamentava l’assoluta prevalenza, in Italia, delle banche“statalizzate”; d’altra parte istituti quali le casse rurali, che presentavano molte analogie con il modus operandi del Banco Desio, erano in quel periodo assoggettate alla Banca Nazionale del Lavoro, da cui sarebbero riuscite a svincolarsi solo alcuni anni più tardi. Mario Danesin, che da alcuni anni era entrato a far parte del Consiglio d’amministrazione del Banco, continuò a seguire con grande interesse l’evolversi della situazione economica locale. Egli era riuscito a convincere gli azionisti a porre mano al portafoglio per accrescere il capitale, tuttavia l’aumento deliberato subito dopo la fine del conflitto era stato di fatto reso vano dalla forte inflazione.


Storia L’impostazione rimaneva quella, già ricordata, del finanziamento alle piccole e medie imprese locali; Danesin non poteva, né voleva, finanziare aziende quali la Bianchi, e neppure interventi fondiari rilevanti come quello riguardante le ultime proprietà della famiglia Tittoni a Desio. Nel 1947, Danesin era riuscito ad ottenere aumenti di stipendio per i dipendenti, grazie all’entrata in vigore del nuovo contratto collettivo, ma anche buoni risultati gestionali; il presidente, Luigi Lado Manca, riuscì a far accettare agli altri azionisti l’idea che fosse opportuno allargare a sei il numero dei membri del CdA, e che il nuovo membro fosse suo figlio Ignazio. Nel 1949 il controllo di questo ramo della famiglia sul Banco si accrebbe a seguito della scomparsa di Ernestina Gavazzi e del fratello Giuseppe, entrambi detentori d’un consistente pacchetto azionario. Il figlio primogenito del senatore, Franco, avrebbe potuto rafforzare la propria posizione all’interno della banca, tuttavia anche per ragioni personali preferì lasciare maggior spazio al cugino Pietro, a sua volta sposo d’una Lado; entrambi collaboravano

anche nella difficile gestione della Tessitura di famiglia, fortemente colpita dalla stretta creditizia voluta dal ministro del Bilancio, Luigi Einaudi, per contrastare l’inflazione. II Banco che festeggia i suoi primi quarant’anni di vita è una realtà con una massa amministrata di un miliardo e duecento milioni ed impieghi per quasi 462 milioni. Alle filiali di Nova, Bovisio e Lissone si è aggiunta Cesano Maderno, altra piazza interessante sia per numero di abitanti (15.000) sia per vivacità del tessuto produttivo e servita da un solo sportello bancario (la Popolare di Novara). L’organico sì è decisamente ampliato negli ultimi anni (siamo quasi a quaranta unità) ed ai fidati Felice Solaro e Luigi Como Danesin ha ritenuto opportuno aggiungere nel frattempo un terzo funzionario, il trentaquattrenne cassiere Giuseppe Morganti. Un altro avvenimento segna un capitolo importante nella storia del Banco: un anno prima è stato firmato il compromesso per l’acquisto di una proprietà in piazza Conciliazione a Desio. Il Banco avvia così il progetto di costruzione di una nuova sede sociale, non più in affitto, destinata a rimanere tale per i prossimi 35 anni.

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Anniversari

100 anni fa...

Abbiamo scelto Fausto Coppi, anche se non ha partecipato al 1° Giro d’Italia, in rappresentanza di tutti i campioni che hanno onorato la grande corsa a tappe

di Enrico Casale

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IL 13 MAGGIO... Alle ore 14,53 partiva da Milano il primo Giro d’Italia ciclistico. L’idea di organizzare una corsa ciclistica a tappe venne alla redazione de “La Gazzetta dello Sport” che riuscì ad anticipare di poche settimane il “Corriere della Sera”, che da qualche mese stava anch’esso progettando una manifestazione simile. Il primo giro partì da Milano e si concluse sempre a Milano. I corridori percorsero 2.448 chilometri suddivisi in otto tappe. Allora si correva prevalentemente su strade bianche, cioè non asfaltate. Le forature erano all’ordine del giorno e la fatica era titanica. La prima maglia rosa (il colore rispecchiava quello delle pagine della “Gazzetta”) andò a Luigi Ganna. Da allora il Giro si è sempre disputato, salvo che per le interruzioni dovute alla prima e alla seconda guerra mondiale. Mentre il luogo di partenza è, in genere, variabile, l’arrivo, salvo

eccezioni, è a Milano, città nella quale ha sede “La Gazzetta dello Sport” che tuttora continua a organizzare l’evento. Attualmente il Giro è classificato dall’Unione Ciclistica Internazionale tra le tre corse più importanti del mondo. Tanto è vero che è stata inserita nel circuito professionistico insieme con le altre due grandi corse internazionali, il Tour de France e la Vuelta spagnola. Il leader della classifica generale indossa ogni giorno la maglia rosa; il miglior scalatore indossa una maglia verde, mentre il primo nella classifica a punti indossa una maglia ciclamino. Oltre a queste casacche, nel corso degli anni sono state messe in palio una casacca che, di volta in volta, ha contraddistinto l’ultimo in classifica (maglia nera), una per il miglior giovane (maglia bianca), oppure, come è accaduto negli ultimi anni, la maglia azzurra, la cosiddetta maglia dell’intergiro, traguardo volante posto


Anniversari di solito a metà tappa. Dal 2007 è tornata la maglia per il miglior giovane, considerata da ciclisti e addetti ai lavori molto significativa. Il record di vittorie è condiviso da tre ciclisti, ognuno con 5 vittorie: Alfredo Binda, vincitore tra il 1925 e il 1933; Fausto Coppi, vincitore tra il 1940 e il 1953; il belga Eddy Merckx, che vinse tra il 1968 e il 1974. Per quel che riguarda le vittorie di tappa, il record appartiene al velocista toscano Mario Cipollini, che nell’edizione del 2003 riuscì a superare il record di 41 vittorie che dagli anni Trenta apparteneva ad Alfredo Binda. A quest’ultimo rimangono i record di vittorie di tappa in una stessa edizione, 12 tappe su 15 nel 1927, e di vittorie di tappa consecutive, ben 8 nel 1929.

tutta la sua vita, salvo alcune brevi interruzioni nel periodo della seconda guerra mondiale. Nel 1938, in quanto ebrea, fu costretta dalle leggi razziali del regime fascista ad emigrare in Belgio, dove continuò le sue ricerche in un laboratorio casalingo. Sino all’invasione tedesca quando tornò a Torino e allestì un laboratorio di fortuna a casa in una collina vicino ad Asti. I suoi primi studi furono dedicati ai meccanismi di formazione del sistema nervoso dei vertebrati. Nel 1951-1952 scoprì il fattore di crescita nervoso. Per circa trent’anni proseguì

Al centro, Rita Levi Montalcini. Sotto, una tela di Lorenzo D’Andrea raffigurante Indro Montanelli

IL 22 APRILE... Nello stesso giorno, a Fucecchio nasceva Indro Montanelli, uno dei più grandi giornalisti italiani, e a Torino Rita Levi Montalcini, scienziata e premio Nobel. Montanelli inizialmente aderì al fascismo per poi prenderne le distanze dopo la guerra civile spagnola. Diventato oppositore fu esiliato in Estonia. Rientrato in Italia, entrò al“Corriere della Sera”nel 1938. Da quel momento ne divenne uno degli inviati di punta e una delle principali firme. Fino al 1974 quando, in contrasto con la proprietà (che voleva un quotidiano più vicino alla sinistra) se ne andò polemicamente per fondare il “Giornale”. Non fu la sua unica uscita polemica. Nel 1994 di fronte alla discesa in campo di Silvio Berlusconi e alla sua necessità di fare de il Giornale un organo politico a lui vicino, Montanelli se ne andò di nuovo e fondò La Voce. Il quotidiano ebbe vita breve. Montanelli tornò a lavorare per il “Corriere della Sera” dove rimase fino alla morte il 22 luglio 2001. Rita Levi Montalcini, dopo aver studiato medicina all’Università di Torino, iniziò gli studi sul sistema nervoso che avrebbe proseguito per La Banco nota

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Anniversari le ricerche su questa molecola proteica e sul suo meccanismo d’azione, per le quali nel 1986 è stata insignita del Premio Nobel per la medicina. Nel 2009, giungendo all’età di cento anni, è il primo vincitore del premio Nobel a varcare il secolo di vita.. Dal 1 agosto 2001 è senatrice a vita.

Sopra, il capo indiano Geronimo. Sotto, l’antropologo Cesare Lombroso

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IL 17 FEBBRAIO... In Oklahoma moriva il più famoso capo indiano, Geronimo, che, per oltre 25 anni, combatté contro l’esercito degli Stati Uniti e contro l’espansione a occidente dei coloni bianchi. Geronimo, che in realtà si chiamava Goyathlay o Goyahkla cioè «colui che sbadiglia», nacque in quello che oggi è lo Stato Usa del Nuovo Messico, allora parte integrante del Messico. Geronimo era un apache chiricahua e crebbe divenendo un rispettato sciamano e un esperto guerriero. Da giovane iniziò a combattere contro i messicani e furono proprio i messicani ad affibbiargli il soprannome di «Geronimo», la versione in lingua spagnola del nome «Girolamo». I suoi più acerrimi nemici furono però le giubbe blu statunitensi. Furono proprio i soldati statunitensi a dargli una caccia serrata e a mancarne la cattura più volte. Le forze di Geronimo divennero l’ultimo grande gruppo di combattimento di pellerossa che si rifiutarono di riconoscere il governo degli Stati Uniti nel West. Questa lotta giunse a termine il 4 settembre 1886, quando Geronimo si arrese al Generale Nelson Miles, a Skeleton Canyon, Arizona. Geronimo venne mandato in prigione a Fort Pickens (Florida). Nel 1894 venne trasferito a Fort Sill (Oklahoma). In età avanzata Geronimo divenne una specie di celebrità, comparendo alle fiere e vendendo sue fotografie, ma non gli fu permesso di fare ritorno alla sua terra natia. Cavalcò durante la parata inaugurale del Presidente Theodore Roosevelt, nel 1905. Geronimo morì di polmonite a Fort Sill il 17

febbraio 1909. Il suo teschio venne trafugato dalla tomba e si dice si trovi oggi all’Università di Yale dove viene utilizzato dagli adepti della setta Skull and Bones per i riti di iniziazione. Rito al quale hanno partecipato, tra gli altri, i due presidenti Bush. Da anni gli apache rivendicano il diritto alla restituzione. IL 19 OTTOBRE... moriva Cesare Lombroso, antropologo, criminologo e giurista italiano. Nato a Verona nel 1835 è stato uno dei pionieri degli studi sulla criminalità. Il suo lavoro fu fortemente influenzato dalla fisiognomica, disciplina di antichissime origini, e da idee provenienti dalla teoria del darwinismo sociale, piuttosto diffusa a quei tempi. Compiuti gli studi universitari a Pavia, Padova e Vienna, partecipò come medico militare alla campagna contro il brigantaggio successiva all’unificazione italiana. Professore incaricato di clinica psichiatrica e di antropologia a Pavia, svolse ricerche sul cretinismo e sulla pellagra. Fu poi direttore del manicomio di Pesaro e ordinario di medicina legale a Torino. Nel 1898 inaugurò a Torino un museo di psichiatria e criminologia. Dal 1876 divulgò la propria teoria antropologica della delinquenza nelle cinque successive edizioni de «L’uomo delinquente».


Anniversari Tra i massimi studiosi di fisiognomica, Lombroso misurò la forma e la dimensione del cranio di molti criminali, concludendone che i tratti atavici presenti riportavano indietro all’uomo primitivo. Egli dedusse che i criminali portavano tratti anti-sociali dalla nascita, per via ereditaria, cosa che oggi si considera del tutto infondata. Da notare che Lombroso aveva sviluppato la teoria dell’atavismo un anno prima della pubblicazione de «L’origine delle specie» di Darwin (1871). Di fatto il suo lavoro nella prima metà del XX secolo venne chiamato in causa nel contesto dell’eugenetica e da certe forme di «razzismo scientifico», che ebbero numerose conseguenze. IL 6 APRILE... L’esploratore statunitense Robert Edwin Peary (1856-1920) sosteneva di aver raggiunto per primo il Polo Nord in questo giorno del 1909. Peary, come ingegnere dalla marina militare statunitense, venne inizialmente incaricato dei rilevamenti necessari per costruire il Canale di Nicaragua. Il suo destino però lo portò presto in Groenlandia, che iniziò a esplorare. Nel 1891-1892, benché ferito a una gamba, con un lungo tragitto in slitta giunse all’estremo lembo settentrionale dell’isola. Seguirono altre numerose spedizioni in Groenlandia, da una delle quali riportò una meteorite di ferro quasi puro del peso di 700 quintali. Dopo due tentativi nel 1902 e nel 1905, falliti per la stanchezza e le difficoltà, sostenne di essere riuscito a toccare per primo il Polo Nord il 6 aprile 1909. Vi giunse con 4 eschimesi e 40 cani da slitta. L’impresa di Peary è da anni oggetto di discussioni e sembrano diverse le prove che smentirebbero l’effettiva riuscita dell’impresa da parte dell’esploratore americano. Tra le persone che accompagnarono Peary nell’ultima fase del viaggio non ce n’era nessuna con conoscenze di navigazione e che potesse quindi confermare i calcoli di Peary.

Suscita perplessità anche la velocità che Peary sostenne di aver tenuto per tornare dal Polo che sarebbe tre volte superiore alla velocità mantenuta per arrivare fino a quel punto. Alcuni storici polari ritengono che Peary fosse onesto nella sua convinzione di aver raggiunto il polo, mentre altri sostengono che fu colpevole di fal-

so o di aver deliberatamente esagerato i particolari della sua spedizione finale. Altri ancora affermano che l’accusa di non aver raggiunto veramente il polo sia solamente una montatura per discreditare Peary. Nel 1989 la National Geographic Society arrivò alla conclusione che, in base alle ombre nelle fotografie e alle misurazioni oceaniche annotate, Peary era arrivato a non più di 5 miglia di distanza dal polo.

Robert E. Peary sostenne di aver raggiunto il Polo Nord, in compagnia di quattro eschimesi, il 6 aprile 1909

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Finanza e Investimenti

Strategie d’investimento in un mondo che cambia

Nell’attuale fase di crisi economica l’incertezza resta alta: per questo occorre mantenere un approccio realistico e flessibile agli investimenti, anche perché gli impieghi “sicuri”, quali la liquidità e i titoli di Stato, offrono rendimenti estremamente ridotti

N a cura dell’Ufficio Gestione Patrimoni Mobiliari del Banco Desio analisi al 18/05/2009

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el 2008 è finito un ciclo economico iniziato negli anni ‘80 caratterizzato dall’imperativo del libero mercato, basato sull’idea che il perseguimento d’interessi privati generasse gli stimoli necessari per ottenere crescita e benessere per tutti e che anche forti disuguaglianze fossero tollerabili perché generatrici di incentivi migliori. Tuttavia se poche persone/istituzioni controllano la maggior parte delle risorse e se mancano le regole per controbilanciare gli interessi reciproci e gli adeguati controlli, allora diventa facile “farsi prendere la mano” e creare sistemi mostruosamente instabili, ingiusti e insostenibili.

È successo da sempre nella storia, sia che si trattasse di sistemi politici (ad esempio i nazionalismi di destra e di sinistra), sia che si trattasse di sistemi economici. L’ultimo decennio ha visto una fase che potremmo definire di “instabilità”, mentre l’ultimo anno la fase di crollo, che potrebbe non essere ancora terminato. Seguirà una fase di transizione, difficile e incerta, che costituisce la premessa per l’inizio di un nuovo ciclo che potrebbe essere caratterizzato da una maggiore integrazione e attenzione agli interessi comuni. Ovviamente nessuno crede che il mondo occidentale e americano in particolare stia andando verso una visione “socialista” della


Finanza e Investimenti società, ma ci sono le premesse perché, oltre al valore del rispetto della libertà, venga promosso il valore del migliore utilizzo delle risorse, delle capacità e delle energie individuali, dando una maggiore importanza alle conseguenze concrete derivanti dall’agire dei singoli, tramite maggiori controlli, in modo da perseguire anche in campo economico i risultati che in teoria si sarebbero dovuti ottenere secondo le scuole di pensiero liberiste. Si avrebbe così una convergenza non solo economica, ma anche filosofica tra Occidente e Oriente. In molti Paesi orientali ad esempio, la società è abituata da secoli a concetti come il“sei ryoku zen yo”, il miglior impiego dell’energia fisica e mentale, e del “ji ta kyo ei”, vivere e agire insieme per crescere e progredire con mutuo vantaggio e benessere, tanto che sono stati trasmessi nell’ambito familiare, sociale e politico, ma sono anche principi etici affini ad una parte della società cristiana e socialdemocratica europea. Tornando all’economia, il Fondo Monetario Internazionale si attende una forte contrazione del PIL mondiale quest’anno, accompagnato da una disoccupazione in aumento fino a buona parte del 2010, quando la ripresa dell’attività

globale sarà comunque assai modesta. Simili attese si intuiscono anche dai budget di spesa pubblica di Paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, che prevedono deficit enormi fino al 2011 per finanziare le politiche di sostegno. Non avranno ragione i Maya, che avevano calcolato l’inizio del quinto mega-ciclo (ognuno dura circa 5125 anni!) proprio nel 2012? Lasciando da parte cicli e mega-cicli e guardando ai prossimi trimestri, è probabile che l’interscambio commerciale e la produzione recuperino parzialmente già da giugno, dopo il vero e proprio tracollo avvenuto tra ottobre e marzo, mesi durante i quali moltissime aziende hanno ridotto le scorte e tagliato la produzione di un terzo, mentre il PIL globale è sceso del 3%. Negli stessi sei mesi, solo nei Paesi del G7 hanno perso il lavoro circa cinque milioni di persone. Ciò nonostante i consumi delle famiglie sono scesi relativamente poco, mentre governi e banche centrali sono riusciti a scongiurare la fine del sistema finanziario globale, stampando carta-moneta, portando i tassi ufficiali a zero ed indebitandosi a dismisura. I mercati azionari, dopo essersi più che dimezzati, hanno reagito molto positivamente, con un rialzo di oltre il

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Finanza e Investimenti

30% tra il 9 marzo e l’8 maggio, all’idea che la fase peggiore della crisi finanziaria fosse stata superata ed ai primi segnali di rallentamento della contrazione economica. In altre parole la percezione del futuro oggi è meno brutta di sei mesi fa! Solo in Cina si è assistito nelle ultime settimane ad una ripresa reale, seppure timida, della produzione e delle attese, anche grazie alle grandi opere decise da Pechino in autunno e che sono già partite. A questo punto i rischi maggiori non sono più “finanziari”, ma di tenuta dei consumi. Fino ad oggi le aziende hanno tagliato aggressivamente il magazzino e nel frattempo hanno smesso di produrre ed ordinare macchinari, ma in futuro o ci sarà una domanda sufficiente di beni e servizi, o continueranno a ridurre la produzione e a tagliare personale, alimentando un circolo vizioso. In sostegno alle famiglie ci sono però, in alcuni Paesi, nuove forme di sostegno pubblico e di sgravi fiscali, un costo della vita più basso dell’anno scorso (benzina, casa, mutui), oltre ad importanti piani di spesa pubblica in infrastrutture, capaci di contenere parzialmente l’emorragia di posti di lavoro. Altro elemento fondamentale sarà l’assestamento del mercato immobiliare statunitense, in quanto su di esso ruotano posti di lavoro, ricchezza 28

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delle famiglie, solvenza dei mutuatari, bilanci delle banche e disponibilità a prestare denaro da parte delle banche stesse. In questo ambiente le scelte d’investimento restano difficili per chi ha un’ottica di breve periodo. Ci sono tutte le condizioni perché i mercati rimangano molto volatili, con periodi di pessimismo“cosmico”seguiti da altri in cui gli investitori si concentreranno sui miglioramenti veri o attesi. Sarà opportuno mantenere una visione d’insieme e dell’evoluzione della congiuntura economica, delle valutazioni assolute e relative delle varie classi d’investimento. Le condizioni anomale che stiamo vivendo creano rischi ed opportunità eccezionali, talvolta nei mercati che meno ci si attenderebbe. A questo proposito possiamo prendere a prestito dalle arti marziali orientali alcuni metodi e strategie: avere sempre una visione d’insieme, studiando bene tutti gli aspetti economici e di mercato, ma senza fossilizzarsi su un’idea a priori; mantenere sempre alta l’attenzione, stando pronti a cambiare comportamento se le condizioni lo richiederanno; ricordarsi che i rischi conclamati, e quindi prezzati dal mercato, possono trasformarsi in opportunità a certe condizioni; quando il mercato e le notizie sembrano andare tutte in una sola direzione,


Finanza e Investimenti

contrastare il mercato può essere pericoloso, meglio assecondarlo (metodo “yawara”), pur mantenendo la visione d’insieme e la necessaria diffidenza per vendere/comprare se il movimento di mercato è stato particolarmente forte in assenza di concrete giustificazioni fondamentali; evitare di investire (metodo “chowa”), anche se psicologicamente può essere molto difficile, soprattutto se non si è disposti a sopportare certi rischi o non è proprio possibile stimarli. Prendere l’iniziativa a priori o cercare di contrastare il mercato non sono principi applicabili ai mercati finanziari per il singolo investitore. In senso più ampio possiamo osservare che gli investimenti “sicuri”, intesi come la liquidità e i titoli di Stato, offrono rendimenti estremamente ridotti, che si giustificano solo in ottica di parcheggio temporaneo o nel caso di una situazione economica generale compromessa ancora per molto tempo. I rendimenti offerti dalle obbligazioni societarie mediamente giustificano i rischi correlati e offrono opportunità più interessanti, a patto che l’investimento sia ben diversificato. Il rischio d’impennate inflazionistiche per ora non si presenta, mentre si pone nel medio periodo a causa dei “tassi zero” e della crescente spesa pubblica.

A tal fine si può pensare ad un investimento in titoli legati all’inflazione, ma con un’ottica di medio/lungo termine, oppure ad altre attività che normalmente riescono a recuperare l’inflazione. Tra queste si possono annoverare anche le azioni. Presupposto fondamentale resta ovviamente il prezzo d’acquisto. Guardando gli utili aziendali, crollati nell’ultimo anno e probabilmente sotto pressione per alcuni trimestri ancora, non si può dire che le azioni siano regalate; tuttavia se guardiamo lo stato patrimoniale, il cosiddetto valore di libro, vediamo che i prezzi sono bassi o quanto meno corretti. È tuttavia ancora presto per basare una scelta d’investimento solo sui “prezzi”: a settembre sembravano già molto a buon mercato! La situazione resta troppo difficile, rischiosa ed in rapido cambiamento. Discorso diverso per chi volesse fare un piano d’investimento graduale con l’obbiettivo di creare un capitale nel medio/lungo periodo. In attesa del nuovo ciclo in cui il mondo sarà forse più regolamentato e un po’ più lento, a causa del pesante fardello di cui si stanno facendo carico i governi, ma forse anche più equo e solidale, consigliamo di tenere gli occhi aperti e una buona elasticità mentale.

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Nuove Filiali

Le origini di Chiaravalle

Le vicende storiche che portarono alla costruzione dell’abbazia in una zona collocata nel sud-est del Milanese ad opera di San Bernardo e dei suoi monaci

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di Alessandra Monguzzi

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ei primi secoli dopo Cristo, a seguito del disfacimento dell’Impero romano d’occidente sotto la spinta delle tensioni interne e delle pressioni esterne delle popolazioni barbariche, le uniche oasi dove sopravvivevano i ricordi e le testimonianze degli splendori passati erano i monasteri, luoghi in cui, diciamo dal III secolo, avevano cominciato a rinchiudersi tutti coloro che, forse non trovando altre forti motivazioni cui dedicarsi, si rivolgevano alla ricerca di Dio e al recupero di una dimensione interiore più intensa. Senza aver la pretesa di condensare in poche righe una storia di secoli, basti ricordare che i monaci, salvo rari casi, non si dedicavano solo alla preghiera o al compito di tramandare la cultura: coltivavano i campi, effettuavano lavori manuali, raccoglievano offerte e con il ricavato assicuravano la vita del monastero ed aiutavano i più poveri (ora et labora), secondo

consuetudini semplici e chiare come quelle raccolte nella Regola di San Benedetto. Con il passare dei secoli, però, quell’isolamento che il monaco cercava per trovare Dio divenne un punto di riferimento sociale, capace di attrarre le popolazioni limitrofe - assicurando protezione e dispensando giustizia - e di confrontarsi, quando non opporsi, con le altre forme di potere: semplificando, si potrebbe dire che fra l’abate di un monastero e il duca del territorio circostante le differenze non erano poi moltissime. Ciò non poteva essere accettato da chi considerava la vita monacale un ritiro, un abbandono del mondo, un luogo dello spirito e del corpo dove potersi dedicare a traguardi più alti, e nemmeno da chi alla speculazione intellettuale preferiva contrapporre la preghiera e il lavoro. Importante esponente di quest’ultima categoria fu un monaco, quello che sarebbe poi diventato San Bernardo, capace di concretizzare il suo


Nuove Filiali desiderio di una vita monastica perfetta con la fondazione prima di un convento a Clairvaux, in Francia (1115), e poi dando vita con i suoi monaci ad altre fondazioni in tutta Europa. Proprio Bernardo, nel novembre del 1134, per rispondere alla chiamata di Papa Innocenzo II che lo vuole al Concilio di Pisa, transita per Milano accompagnato da un gruppo di monaci cistercensi. Arcivescovo della città lombarda, all’epoca, è Anselmo della Pusterla, che i milanesi vorrebbero sostituire appunto con Bernardo affascinati dalla sua predicazione. Bernardo non accetta, scegliendo invece di fondare nel circondario, in località Roveniano, una nuova abbazia, che prenderà il nome di Chiaravalle da quella di Clairvaux. Le terre vengono donate dai milanesi e i lavori per la costruzione dell’abbazia partono presto: la data ufficiale, riportata da una lapide è il 22 gennaio 1135, e nel giro di pochi mesi sorge un primo edificio. Queste date non sono sicurissime: secondo Wikipedia,“non esistendo la carta di fondazione dell’abbazia, si è assunta tale lapide come il più valido documento di fondazione del monastero, che del resto risulta già esistente in alcuni atti di compravendita stipulati nell’ottobre dello stesso anno. Alcuni autori ritengono in realtà che già nel 1134 fosse iniziata la costruzione del monastero e nel gennaio 1135 i monaci vi si fossero insediati stabilmente, a costruzione ultimata, alla presenza dello stesso San Bernardo durante una sua seconda visita. Altri invece pensano che una tale ipotesi sia da escludersi

A Milano, in zona Corvetto e precisamente in via Carlo Boncompagni 60, il Banco Desio ha aperto una filiale provvisoria presso le Assicurazioni Helvetia

perché in un così breve lasso di tempo (circa sei mesi) sarebbe stato impossibile costruire un monastero di tali dimensioni: quindi la data in discussione è da riferirsi alla posa della prima pietra...”. Sia come sia, col tempo la località dove sorge l’abbazia cessa di chiamarsi Roveniano per diventare, appunto Chiaravalle. Per i milanesi, si tratta delle zone che ancora oggi chiamiamo Bagnolo, Nosedo, Maconago, Poasco, San Donato, e che un tempo facevano parte del comune di Chiaravalle, comune cancellato nel 1923 insieme ad altri della periferia milanese, come Greco, Affori, Turro, e inglobati nel territorio cittadino. A quell’epoca, le popolazioni della zona ne sfruttavano la ricchezza d’acque con una serie di mulini che, in origine utilizzati per la fabbricazione di panni di lana, vennero destinati alla macina del grano quando passarono nella disponibilità del monastero. Col tempo, infatti, l’abbazia aveva esteso la sua influenza, e le sue proprietà verso Pavia e Lodi, e cioè dal fiume Ticino fino al Lambro. L’effettiva costruzione dell’abbazia richiede poche decine d’anni: posata la prima pietra fra il 1134 e il 1135, come detto, bastano una ventina d’anni perché i monaci inizino a costruire la chiesa, a tre navate con pianta interna a croce latina. I primi altari vengono consacrati nel 1196 e venticinque anni dopo, il 2 maggio 1221, la chiesa finalmente ultimata viene consacrata dall’arcivescovo Enrico Settala. La Banco nota

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Nuove Filiali

Conegliano, fra religione e devozione

Alla confraternita dei Battuti, i cui membri volevano rivivere, flagellandosi, l’esperienza dei dolori del Cristo per l’espiazione dei peccati, appartiene nella città veneta la chiesa di Santa Maria, che accoglie il più grande affresco murale della regione

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di Francesco Ronchi

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onegliano, punto di passaggio verso il Friuli sulla riva sinistra del Piave, è bagnata dal fiume Monticano, che dà il nome alla porta orientale della cinta muraria medievale. Sul lato opposto, Porta Ruio, al di là della quale nel ‘600 venne collocato il ghetto ebraico. Le mura andavano a congiungersi sulla collina sovrastante il borgo nel grande castello voluto dal comune di Treviso a ribadire l’autonomia della Marca dai domini del Patriarcato di Aquileia. Qui sorse anche il Duomo, dedicato all’eremita franco Leonardo di Noblac (un’importante tappa francese, questa località, sul cammino per Santiago di Compostella) il cui culto venne diffuso dai Normanni all’epoca della crociate. Al 1316 risale il convento degli Umiliati di San

Polo: un segno del legame politico tra la fragile signoria trevisana dei Carraresi con i domini viscontei. Dal 1337 la Marca passò sotto il dominio della Serenissima, che a Conegliano in un primo tempo proseguì la costruzione d’opere difensive (una Bastida con fossati e terrapieni attorno al Borgo Vecchio) ma dal ‘400 stimolò l’agricoltura e i commerci. Lungo la Contrada Grande (via XX Settembre) sorsero numerosi palazzi affrescati con porticati sotto i quali si svolgevano i commerci. Tra i primi, la Scuola e la Chiesa della confraternita di S. Maria dei Battuti. La facciata gotica, al di sopra degli otto archi porticati, presenta il più grande affresco murale del Veneto, opera del pittore fiammingo Ludovico Pozzoferrato; dietro quella parete si trova la Sala dei Battuti, anch’essa splendidamente affrescata tra ‘400 e ‘500. Alla fine di quel secolo la Riforma Cattolica avrebbe modificato notevolmente le funzioni attribuite alle confraternite, associazioni laicali promosse da alcuni ordini religiosi, che vennero legate più strettamente alle singole comunità parrocchiali. Tuttavia già nel ‘400 gli statuti dei Battuti di Asolo prevedevano la presenza di un frate a tutte le riunioni, a garanzia del fatto che le pratiche devozionali si mantenessero nei canoni dell’ortodossia. Il movimento nacque a seguito della predicazione di Riniero Barcobini, un nobile perugino che nel 1260, su consiglio del Podestà Orlandino Marescotti, bolognese,


Nuove Filiali raccolse un gruppo di pellegrini che, dichiarandosi devoti della Vergine, andavano di città in città indossando un saio bianco, il sacco, il cui cappuccio a cono lasciava liberi solo gli occhi. Essi volevano rivivere, flagellandosi, l’esperienza dei dolori del Cristo, quale segno di preghiera e per l’espiazione dei peccati. Nella tappa di Bologna, quando i seguaci erano alcune migliaia, Riniero ed alcuni collaboratori fondarono la confraternita detta dei Battuti Bianchi, legata al terz’ordine francescano; essi acquisirono un’antica cappella (S. Vito), l’intitolarono a S. Maria“della Vita”e grazie alle offerte raccolte vi costruirono a fianco un ospedale e una casa d’accoglienza, destinata ad un notevole sviluppo nei secoli successivi. Le pratiche devozionali dei Battuti si diffusero nell’Italia Centro-Settentrionale grazie alla riproduzione dei “Libri da compagnie”, contenenti l’ordine della disciplina, cioè le regole per la flagellazione e alcune preghiere e inni. A Conegliano l’attività dei Battuti è testimoniata dal 1272; il movimento conobbe una nuova fioritura all’indomani della tragica epidemia di peste del 1348: non a caso il complesso di via XX Settembre, dal 1757 nuova sede del Duomo di Conegliano, fu iniziato nel 1350. Nel medesimo periodo a Schio era attivo l’ospedale di S. Giacomo. Le confraternite dei Battuti si diffusero allora in centri quali Spilimbergo, S. Vito al Tagliamento, Domegge (BL) e Moimacco (UD).

Un anno fondamentale fu il 1399: un folto gruppo di Battuti Bianchi dal Monferrato si diressero a Genova, dove furono accolti con grande onore dal cardinale, un Fieschi; da lì, mentre il grosso proseguiva alla volta dell’Umbria, un gruppo proseguì per il Veneto, sotto la guida del domenicano Giovanni Dominici, di padre fiorentino ma di madre veneziana, una Zorzi. La diffusione dei Battuti nel Veneto Orientale fu soprattutto opera dei francescani, e legata in modo particolare a quella dei Monti di Pietà. Lo testimoniano fra l’altro le committenze dei Rettori di quello di Treviso (anch’esso sorto presso un S. Vito) al Pozzoferrato e ad un altro pittore attivo a Conegliano, Ludovico Fiumicelli. Dai documenti d’altre confraternite sappiamo inoltre che i Battuti s’impegnavano specificamente per la conversione dei protestanti e degli Ebrei; i cui banchi di prestito erano stati autorizzati a Conegliano sin dal 1388.

Il nuovo sportello del Banco Desio Veneto a Conegliano è in via XI Febbraio, 70 / 72 / 72°

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Fuoritema

Parlo italiano? Un divertente excursus sull’uso e sull’abuso della preposizione A, e un ripasso sulle giuste maniere di salutare il prossimo

Particelle queste sconosciute No, non vogliamo occuparci di atomi e fisica dei quanti; stiamo parlando piuttosto di linguistica e più precisamente di quelle preposizioni che - piccole e brevi - subiscono ogni tanto le nostre prepotenze o che non sappiamo difendere dagli attacchi ricorrenti delle lingue straniere. Prendiamo la preposizione A. Dovremmo avere maggior riguardo nei suoi confronti, in fondo è la prima lettera dell’alfabeto e invece ne facciamo un uso sconsiderato, la utilizziamo quando non dovremmo e viceversa. Al ristorante o in trattoria un piatto di spaghetti col burro o col ragù diventa al burro e al ragù, ma anche una bistecca sulla griglia diventa più buona se alla griglia (o ai ferri). Arrivati al dessert, che facciamo ? ordiniamo un gelato alla crema o di crema, al pistacchio o con il pistacchio? Per non parlare di quando ci rechiamo a messa o a teatro invece che alla messa e al teatro. Anche all’ippodromo qualche problema lo incontriamo se il nostro cavallo corre al galoppo, al trotto, al passo (invece che di galoppo, di trotto, ecc.). 34

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Il buon giorno al tramonto “Il buon giorno si vede dal mattino” recitava un proverbio antico. Ormai caduto in disuso perché oggi per salutare qualcuno che incontro è tutto un fiorire di amichevoli “ciao” o di più formali “salve”. Nulla contro le due forme citate – certo meglio di grugniti a mezza bocca privi di qualche forma e intelligibilità – ma se provassimo a riportare in auge i classici buon giorno, buon pomeriggio, buona sera e buona notte? Faremmo un piccolo piacere alla nostra lingua che perde ogni giorno la ricchezza che le è propria a vantaggio di forme certo più “svelte” ma anche più “povere”. Proviamo allora a rivalutare l’uso del buon giorno e dei suoi “cugini”, osservando le semplici regole di seguito: dall’alba a mezzogiorno sarà buon giorno, a seguire buon pomeriggio o buona sera. E quando la buona notte? Dipende, se chi incontro avrò modo di rincontrarlo ancora sarà buona sera sennò buona notte sancirà il congedo definitivo dal nostro interlocutore (o interlocutrice ….) Datini




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