Origine e diffusione della viticultura in Italia

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Nel

1996

una missione archeologica americana, ha

scoperto in un villaggio della parte settentrionale dell’Iran, una giara di terracotta contenente una sostanza secca proveniente da grappoli d’uva; i reperti rinvenuti risalgono a

7000 anni

fa.

( notizia tratta dal Corriere Scienza

2002)

Approfondendo il nostro studio sulla vite, abbiamo scoperto che la sua coltivazione, risale almeno alla fine dell’età

del

bronzo

ed

il vino

era sicuramente

conosciuto molti anni prima di Cristo. Probabilmente di origine

asiatica,

la

Vitis

Vinifera,

cresceva

spontaneamente nel Turkestan occidentale e nei paesi vicini; da questa regione la vite si è diffusa

fino alla

Grecia (forse per opera dei Fenici) e dalla Grecia all’Italia.

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In Italia la viticoltura probabilmente è giunta verso il

2000 a. C. .nella Sicilia coi colonizzatori

Micenei, e di

lì si è diffusa soprattutto sulle coste meridionali della nostra penisola; infatti Orazio e Plinio, i più illustri esperti di questa bevanda, affermavano che i vini più prestigiosi provenivano dalla Campania settentrionale, dal Lazio meridionale e dalla Sicilia Le popolazioni italiche, in ogni modo, coltivavano la vite e facevano il vino già prima del

2000

a.C., sia pure in modo

rudimentale. Per questo l’Italia era chiamata Enotria (paese dei pali da vite). Grazie ai Romani l’espansione di questa coltura ha raggiunto alcune province dell’impero, come la Gallia, la Spagna, le terre bagnate dal Reno e dalla Mosella e, infine, l’Inghilterra. Il vino che bevevano i Romani era allungato con l’acqua, preferibilmente

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tiepida, meglio se di mare. Ai Romani piaceva anche condire il vino con erbe aromatiche, sale e miele (mulsum). I nostri antenati non conservavano il vino in botti di legno, ma in anfore e recipienti di terracotta. I Romani bevevano in molte occasioni: di mattina, tra le

8:00 e le 9:00; poco prima di mezzogiorno e a cena.

Il vino veniva servito durante l’antipasto e durante la parte finale della cena, il dessert. In

Grecia

il

vino

veniva

degustato

con

accompagnamento musicale. In Grecia uomini ,donne e bambini assaggiavano questa bevanda; gli uomini chiacchieravano per ore bevendo vino e riuscivano a mantenere le loro menti chiare e lucide ,perchĂŠ il vino era annacquato( tre parti di

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acqua e una di vino). Raramente, e per motivi particolari, gli antichi Greci bevevano vino puro.

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Il vino nell’antichità era considerato d’origine divina, cioè un dono dato agli uomini dalle divinità’. Gli Egizi credevano che fosse Osiride a fare questo dono, i Greci Dioniso, i Latini Bacco, gli Italici Saturno e gli Ebrei Noè. Ogni popolo dell’antichità ha la propria leggenda divina sul vino; una delle più antiche racconta che il dio Bacco, mentre era in viaggio in Arabia, per riposare un momento, siede vicino a una giovane e rigogliosa vite; dopo decise di portare con se’ quella pianta particolare e mai vista. Allora la sradica e, per ripararla dal sole, la conserva in un osso di uccello; essendo poi cresciuta durante il viaggio, la ripone in un osso di leone e successivamente nel cranio di un asino. Finalmente giunse a destinazione e mise il tralcio nella terra; la piantina cominciò a crescere con

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produzione di grappoli d’uva meravigliosa dai quali ottenne un vino dolce ed inebriante che offrÏ agli uomini. Questi, dopo aver bevuto quel nettare, diventavano molto loquaci e si sentivano forti come leoni; ma bevendone in modo esagerato diventavano simili agli asini. Da questa leggenda abbiamo capito che gli adulti devono bere con moderazione questa bevanda, perchÊ i suoi effetti sono pericolosi.

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Tanto tempo fa la vite era considerata solo una pianta ornamentale, infatti non produceva chicchi ; gli ortolani erano preoccupati perché i

rami man mano che

crescevano coprivano le altre piante perciò decisero di potarli. La pianta allora iniziò a piangere; durante la notte un usignolo si posò su uno dei suoi rami e si mise a cantare per consolarla; da questo canto la pianta ebbe nuova linfa e le sue lacrime si trasform arono in chicchi

ovali

e

pieni

di

liquido. Il vento soffiò

delicatamente su questi chicchi facendoli unire in grappoli e i grappoli ai rami. Il sole li fece maturare, dando a questo nuovo frutto uno splendido

colore

giallo oro e violaceo. fu così’ che nacque la vite e i suoi deliziosi e succulenti grappoli d’uva.

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Viveva sulla

Terra Icario, semplice contadino e

particolarmente devoto al culto di Dioniso; il dio, per ricompensarlo gli donò alcune piante di vite, e con esse le istruzioni necessarie per produrre il vino. Un giorno Icario si imbattè in alcuni pastori e offrì loro del vino; costoro si ubriacarono e caddero in un sonno profondo. Alcuni amici, pensando che fossero stati avvelenati, uccisero il vecchio contadino e lo seppellirono sotto un pino. Allora Maera, il fedele cane di Icario che aveva visto tutto, corse guaendo verso casa. Erigone, figlia di Icario, si fece condurre dal cane fino all'albero dove suo padre era stato seppellito e, affranta dal dolore, si impiccò sullo stesso albero; accucciò sotto l’albero Dinanzi a questa

pure il fedele Maera si

si lasciò morire di dolore.

tragedia gli dei dell’olimpo si Pag. 11


impietosirono e

per ricordarli sempre trasformarono

Icario nella costellazione di Bootes, Erigone in quella della Vergine e Maera nella stella Procione.

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Int’ ‘a reggia ‘e Tebe ce steva,’na vota na bella principessa ca se chiammava Semele. ‘Nu , bellu juorno, Zeus, ca s’ ‘a steva già fittianna a ‘ngopp ‘o ciel, ‘a zumpaie annanze e s’ ‘a pigljaie ‘p fidanzata. Quanno furono passat nov mes, nascette nu bellu ninnillo: Dioniso. Dioniso fuie ‘nu guaglione assaje sveglio e teneva p’ maestro a Sileno. A Dioniso ‘e piacev ‘a pazziare e a ‘ffà ‘a lotta senza ‘accidere a niscjuno. Ppe chistu Sileno nge dicette ‘c’a ce steva ‘na pianta ca faceva propiu ‘p ‘e isso; pecchè int’ ‘a frutto e chella pianta ce steva nu zugo ca pareva sangue.

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Dioniso facette fa ‘na bella spremmuta ‘ uva e, pè tramente

l’assagiaje

e

fu

accussì

ca

pruvaje

‘a

‘mbriacatura. Allora Dioniso, pe’ ffà nu piacere all’intera umanità, se chiammava ‘a Icario, nu giardiniere assaje fine

e lè

dicette ‘e piantà l’uva pè tutte ‘e terre. Fu accussì ca ogn’ ‘omme ‘po pruvà ‘a dulcezza ‘e stu frutt.

.

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C’era una volta una volpe, furba e presuntuosa..…. Un giorno spinta dalla fame, gironzolando qua e là, trovò

una

vigna

dagli

alti

tralicci.

Ecco,

disse:

“Finalmente qualcosa di prelibato”. Tentò allora di saltare spingendo sulle zampe con quanta forza aveva in corpo….ma nulla. Calma, si disse:” Io così furba non posso arrendermi, ma devo escogitare qualcosa per raggiungere quell’uva”. Dopo un breve riposo riprese a saltare ma, dopo alcuni balzi, non riuscì neppure toccarla; allora dovette rinunciare al suo pasto prelibato e, mentre mestamente si allontanava, disse: “ Pazienza, non è ancora matura, non mi va di spendere troppe energie per un frutto ancora acerbo”.

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Questa favola ci fa capire che…… sminuire ciò che non si è in grado di fare, è un atteggiamento tipico delle persone presuntuose.

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Un giorno una volpe si trovò a passare pe parte e Taurasi provincia di Avellino addò se fa 'o vino buono. Naturalmente era in cerca 'e qualche gallina poiché s'è sempe ditte " 'a volpe sogna le galline e 'o lupo 'e pecore. Gira che ti rigira , si accorse che 'e parzunare le tenevano ben chiuse e protette da mastini napoletani uno dei quali di nome Masaniello che l'aveva già avvistata , si era già leccato i baffi pronto per sbranarla. La volpe, furba come una volpe ,pensò bene e sa squaglia' . Ma po' pensò :"Volpe che dorme, vive sempre magra" si fermò in uno dei vigneti e vide alcuni bellissimi

grappoli

d'uva

che

pendevano

da

un

pergolato, pensò …”meglio di niente, in fondo in fondo st'uva me pare sapurita e po' isse a mise 'a Masaniello a guardia d'e galline ma je 'o danno glie lo faccio 'o stesso Pag. 17


cu l'uva e accumminciaie a zumpà pe cerca' d'afferra'. Ma niente da fare, era troppo alta , zompa che ti rizompa , non ci fu niente da fare, tanto che dovette rinunciare e allontanandosi pensò' bene e se spara' 'na posa:" st'uva fa schifo è troppo acerba, è meglio che me ne vache!"

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Un ragno, dopo essere stato per molti giorni ad osservare il movimento degli insetti, si accorse che le mosche accorrevano specialmente verso un grappolo d’uva dagli acini grossi e dolcissimi .Ho capito disse fra sé. Si arrampicò dunque, in cima alla vite e di lassù con un filo sottile, si calò fino al grappolo installandosi in una celletta nascosta fra gli acini. Da quel nasco ndiglio incominciò ad assaltare, come un ladrone, le povere mosche che cercavano il cibo; e ne uccise molte, perché nessuna di loro sospettava la sua presenza. Ma intanto venne il tempo della vendemmia. Il contadino arrivò nel campo colse anche quel grappolo, e lo buttò nella bigoncia, dove fu subito pigiato insieme agli altri grappoli. L’uva, così, fu il fatale tranello per il ragno ingannatore, che morì insieme alle mosche ingannate. Pag. 19


Questa storia ci fa capire … Questa storia ci fa capire che c’ è sempre chi crede di essere più furbo degli altri proprio come il ragno, che cade nel suo stesso tranello. Perciò: chi la fa’ l’aspetti.

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Ulisse e i suoi amici erano appena scappati dall’isola di Litofagi, quando Zeus fece scatenare una tempesta, perciò’ furono costretti a fermarsi sulla prima isola che riuscirono ad intravedere. Ulisse con pochi amici andarono ad esplorare il nuovo posto, portando degli orci colmi di vino, come dono per gli abitanti dell’ isola. Attraversarono un sentiero ripido senza incontrare alcuna persona, poi

arrivarono in una caverna dove

c’erano delle pecore grasse e belle. Allora Ulisse comandò ai suoi uomini di catturarne qualcuna mentre aspettavano il pastore. All’improvviso si sentì un ruggito spaventoso

ed Ulisse e i suoi amici si accorsero che

era Polifemo, uno spaventoso gigante, così si nascosero però Polifemo, mentre accendeva il fuoco,

si accorse

degli intrusi; così cominciò ad urlare ed iniziò a Pag. 21


mangiarne due in un sol boccone.

Poi se ne andò a

dormire. Il mattino successivo Polifemo prese le pecore ed uscì dalla caverna richiudendola con una pietra gigante.

Ulisse

cominciò

a

pensare

come

poter

scappare; poi vide un bastone e chiamò i suoi uomini per farsi aiutare ad appuntirlo. In quel momento venne Polifemo che subito mangiò altri due uomini e si mise a dormire; a questo punto Ulisse gli chiese se voleva del buon vino e il gigante accettò. buono e Polifemo

Il vino era davvero

si ubriacò, poi si riaddormentò.

Ulisse, senza perdere tempo, chiamò i suoi uomini e tutti insieme accecarono Polifemo con il bastone. Nella caverna si sentì una puzza di bruciato e il ciclope iniziò ad urlare dal dolore . Poi si accasciò a terra e cominciò a toccare

il pavimento e le pareti della

caverna nell’intento di catturare gli uomini;

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allora


Ulisse ordinò ai suoi uomini di coprirsi con le pellicce delle pecore e camminare carponi, così Polifemo non li avrebbe trovati; infatti Polifemo qualsiasi cosa toccasse toccava sempre e solo pellicce. Fu così che Ulisse ed i suoi uomini riuscirono a fuggire dal terribile ciclope ed

a raggiungere le

navi

quell’avventura.

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senza dimenticarsi

di


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Giove, re di tutti gli dei, viveva sull’Olimpo. Un giorno, decise di andare sulla Terra a vivere come un essere umano, perché era stanco della vita che conduceva. Durante uno dei suoi viaggi, incontrò una fanciulla di nome Semele e se ne innamorò. Ella era sempre sorridente, esattamente l’opposto della moglie Giunone, la quale era gelosa e possessiva nei confronti del marito. Dall’amore di Giove e Semele nacque un figlio di nome Bacco. Quando il piccolo raggiunse l’età dell’istruzione, Giove lo portò con sé sull’Olimpo. Bacco fu allevato dal maestro Sileno, che si prese cura di lui. Man mano che cresceva, Bacco diventò un grande guerriero, però non voleva diventare un guerriero che uccideva, ma essere qualcuno che in battaglia vinceva le sue guerre con bastoni e tamburi, facendo un enorme Pag. 25


fracasso; così formò il suo esercito, composto soprattutto di donne, perché pensava che queste ultime facessero più confusione degli uomini. La strana compagnia cominciò a conquistare facilmente le terre che attraversava. Le popolazioni pensavano che Bacco fosse un re perché aveva una corona di foglie sulla testa e lo lodavano perché non causava morti né feriti e non c’era spargimento di sangue. Un giorno però, Bacco cominciò a pensare che la guerra così senza morti fosse noiosa, e chiese aiuto al suo maestro Sileno il quale gli spiegò che esisteva una pianta che dava frutti buffi, i quali una volta spremuti, producevano un liquido rosso come il sangue che infondeva la stessa energia del sangue, era come se donasse una nuova vita. A questa pianta Sileno diede il nome di “ Vite”. Finalmente Bacco nelle sue guerre vide il sangue e

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cominciò a conquistare molte terre, tra le quali le Indie e l’Egitto; in ogni territorio che conquistava, piantò delle viti obbligando i sudditi a cibarsene. Grazie a Bacco e al suo fragoroso esercito, la vite si diffuse in tutto il mondo.

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Quando il giovane dio Bacco approdò in Puglia, con il suo corteo di fauni e baccanti, navigando dalle coste della Magna Grecia, vi trovò dei campi sassosi dove cresceva una vegetazione scarsa e stentata. “Che terra!” esclamò seccatissimo. E con il calzare dorato fece saltare lontano i sassi aridi e la terra arsa e bruciata dal sole. «Ma guarda un po'» esclamò poi meravigliato «Qui c' è un ramoscello ancora verde! Deve essere resistente se non è seccato in questa terra inospitale». Lo raccolse e decise di salvarlo; poi, scavata una buchetta nel terreno, ve lo piantò. Dopo andò a cercare un po' d'acqua per innaffiarlo e per ammorbidire il terreno intorno alla pianta. Ma quando tornò, il vento impetuoso in questa zona Pag. 28


senz'alberi aveva già sradicato il ramoscello e lo stava trascinando via. «Per Giove» gridò sdegnato «qui bisogna correre ai ripari!» Cercò un sostegno; ma non vi erano che sassi; non un bastoncino, non una canna ... Qua e là tra le pietre, biancheggiavano solo ossa di animali divorati dai lupi. Ne scelse tre e ne fece sostegno alla piantina. Erano un osso di leone, uno di scimmia e uno di maiale. Poi Bacco riprese il viaggio per il mondo. Il ramoscello crebbe e diede bellissimi grappoli. Ma la pianta aveva assorbito le caratteristiche dei tre ossi che l'avevano sostenuta. Gli uomini se ne accorsero quando spremettero l' uva e assaggiarono l' ottimo vino che ottennero. La prima coppa li rendeva coraggiosi come il leone, la

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seconda gai e divertenti come le scimmie, ma la terza, ahimè, li faceva terribilmente somigliare al maiale.

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Il vino, il divino succo dell'uva, fu versato un giorno in una

magnifica

coppa

d'oro

sulla

tavola

di

Maometto.” Oh che onore!” pensò il vino. “Che gloria per me trovarmi sulla tavola di Maometto!” Ma subito fu assalito da un pensiero contrario e disse a se stesso:” Ma che onore e che gloria! Di che cosa mi rallegro! Sto per morire.” “Ecco, sto per lasciare questa magnifica coppa d'oro per entrare, dalla bocca, nello stomaco di quest’uomo. E quando sarò laggiù, il mio succo soave e profumato si trasformerà in brutta e fetida orina! Oh cielo,” gridò allora disperato,” Chiedo giustizia! Non è giusto che continui questo spregio alla mia natura!”

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“Giove,

padre

Giove!”

supplicò,” Se

questa

terra

produce le uve più belle e più buone del mondo, fa’ che non siano più trasformate in vino!” Giove lo udì e decise di esaudire la sua preghiera. Infatti, quando Maometto ebbe bevuto dalla coppa d'oro, Giove gli fece andare alla testa tutti i vapori del vino, ubriacandolo. In preda all'ebbrezza

Maometto

commettendo

un

si

errore

comportò dopo

l'altro;

da

pazzo,

e

quando

finalmente ritornò in sé fece una legge che vietava a tutti i suoi sudditi di bere il vino. Da allora la vite coi suoi dolci frutti visse felice e tranquilla.

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Viveva nelle parti di Benevento, un prete di campagna che non aveva grandi risorse per vivere, per questo si accontentava della carità dei suoi parrocchiani. La sua necessità era di avere ogni giorno il vino per dire messa, così si affidava al buon cuore dei suoi compaesani, che un bel giorno, stanchi di fornire gratuitamente il prezioso nettare, lasciarono il povero prete senza vino. Il parroco pensò tutta la notte ,poi il mattino successivo si svegliò di buon’ora tutto contento perché aveva trovato la soluzione al suo problema. Egli infatti sapeva che i contadini avevano l’usanza di vendemmiare l'uva e versarla nei tini, per poi trasportarli, su grandi carri, alla fattoria e lasciati lì per la fermentazione del mosto. Così una sera, il parroco si mise sotto un carro e con un piccolo Pag. 33


ferro riuscÏ a perforare un tino facendo un piccolo foro e a riempire un piccolo recipiente con il liquido che ne usciva. Quel vino, rimasto troppo poco a contatto delle bucce d'uva che non aveva iniziato la fermentazione, prese solo un leggero colore rosato. Fu cosÏ che si inventò la vinificazione in bianco con la quale si fanno i chiaretti e i rosati.

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Leggero e frizzantello er Cannellino, accompagna li sogni ar vespertino. Coll’amichi ce vole er Fraschetano che t’aiuta a tirà l’orecchie a Marco, mano a mano. Pe’ chiacchierà un po’ de Olevano romano, ricorda er colore der rubino annisconne le grane der destino. Ogni cantone de sta terra n’cantata, che da Latina, a Viterbo, a Frosinone, sorvolanno le terre der Guardino, passano a Rieti e sino ar mare, e aritornanno verso er Cupolone, dove non ce so’ fratte pe’ l’amore

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ce sta un fracco de vigneti, cantine e tavernone. Boccale de sto nettare divino, metteno tutti d’accordo ar tavolino, un pezzo de porchetta, na scorza de pecorino, na fetta de Genoano e na fojetta se po vive mejo co’ pazienza, godendo mejo tutto… e senza fretta.

Ce vo’ er bicchiere suo per il bon vino er calice dev’esse un po’ abbombato er gambo lungo lungo e affusolato si voi gustà Barolo o Montarcino. Lo devi addondolà giusto ‘n pochino Pag. 36


perché er suo gusto venga spriggionato e er naso senta prima der palato quer maggico sapore sopraffino. E doppo carni rosse e de maiale, sugo de lepre p’accondì li gnocchi e li salumi: da sentisse male. Brindo alla Luna, che ce sta a guardà, la stessa che riflette drento l’occhi de chi nun tiene er pane da magna. (Nolvio) “Quanto è bella l’allegria! Con il vino se la dia! Chi, vuol essere, lieto sia che dell’oggi è la dolcezza”

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Con un secchio ed un cestello, con le forbici o il coltello, donne ed uomini, da ieri, tutti allegri e faccendieri colgon l’uva zuccherina e la portano in cantina. La vendemmia è un gran lavoro! Nella vigna era un tesoro di bei grappoli dorati. Or li han colti e li han pigiati; ed il mosto, in un gran tino, giĂ fermenta e si fa vino.

(F. Socciarelli)

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Diceva un pesco altero all’uva: “Oh, sciagurata, tu finirai calcata!” Gli fu risposto: “E’ vero; ma, all’uom che mi calpesta, fò poi girar la testa.

L

(Luigi Carrer)

audato si’, mi’ Signore, per frate Vino, che alimenta, disseta et conforta; animo lieto dona et core forte, apporta.

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Chi zappa se veve l’acqua chi fila se veve ‘o vino

С'o vino pure 'o saputo addiventa animale. Col vino anche una persona colta diventa un animale.

a 'mperettà’ 'o vino Mettere nei fiaschi

O barbiere te fa bello,’ o vino te fa guappo, ‘a femmena te fa fesso Il barbiere ti rende bello, il vino coraggioso e la donna ti rende stupido

Vino a una recchia: Gli effetti un un buon vino fanno inclinare la testa da un lato, mostrando solo un orecchio.

'O vino sta bbuono dint' 'a mezavotta Il vino sta bene nei tini Pag. 40


Quann' uno s' addà 'mbriancà, è mmeglio ca 'o ffà c' 'o vino bbuono Se qualcuno deve ubriacarsi è meglio che lo faccia col vino buono

Vino e maccarune songo 'a cura p' 'e purmone. Curare le malattie bevendo e mangiando

Vo' tenè 'a votte chiena e 'a mugliera 'mbriaca Vuole avere la botte piena e la moglie ubriaca

Fa chiu’ miracule ‘na votte’ e vin ‘ca na chiesa ‘e santi

‘O vino fa sanco e ssalute Il vino ristora gli uomini e ravviva le forze

Ll’acqua fa male e ‘o vino fa cantà. L’acqua porta danni, mentre il vino mette allegria

Vino viecchio e cantenera ggiovane

Vino vecchio ed ostessa giovane.

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forse non dovrei assaggiarle tutte

non l’ho bevuto tutto‌.ma Bonaparte

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Scusi, mi aiuta a reggere il lampione che continua a girare!

Sono piuttosto ricercato nel periodo della vendemmia

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