Leggi le prime pagine dello spin off de "La discendente di Tiepole"

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Copyright Š Alessandra Paoloni. Tutti i diritti riservati. Immagine promo Elisabetta Baldan.


Quelle che seguono sono le prime pagine provvisorie dello spin-off de “La discendente di Tiepole” romanzo urban fantasy edito dalla Butterfly Edizioni. Ancora in scrittura vedrà la luce nei prossimi mesi in versione sia cartacea che digitale. Lo spin-off è ambientato vent'anni prima dell'arrivo di Emma Onofri a Tiepole, quando ancora i maledetti erano in fasce, nel momento in cui la piccola comunità scelse di mettere a morte Marta Vasselli, e ripercorre dunque la vita di Gilda e degli stregoni di Tiepole. Uno scorcio questo della realtà buia di Tiepole, un breve ritorno tra le sue vie maledette.

Alessandra Paoloni


Decise

di non partecipare a quell'insania barbarie, ma allo stesso tempo non vi si oppose. Sapeva cosa avrebbero fatto quella notte i suoi concittadini. Tutti in paese ne erano a conoscenza, nessuno escluso, anche coloro che a diritto si erano guadagnati la nomea di lavativi e fatalisti per il loro comportamento apatico e indifferente di fronte a quegli eventi. Eventi che avrebbero segnato la sorte di tutti, il misero destino di Tiepole. La strega doveva morire. Così era stato deciso all'unanime durante l'ultima Assemblea. Gilda vi aveva partecipato ma non si era espressa, avvalendosi della facoltà di non giudicare quella che un tempo era stata una delle sue migliori amiche. Una mente brillante, uno spirito curioso e indomito quello di Marta Vasselli, volto a cose oscure e innominabili che l'avrebbero portata alla morte. La terra di Tiepole si sarebbe macchiata ancora del sangue di uno dei suoi nativi: la storia in quel piccolo pezzo di mondo si ripeteva, con conseguenze ancor più nefaste. La nuvola ferrigna che ricopriva la volta celeste di Tiepole sembrava quella sera più densa e carica d'odio. Gilda si sentiva quasi osservata da quelle nubi minacciose, come se avessero occhi e la trapassassero da parte a parte costringendola a una fuga repentina. Si era tenuta lontana dalla casa sulla collina, non vi faceva più visita da tempo. La coscienza le aveva suggerito di risalire la strada e di fermare quel gesto sacrilego, ma le gambe non ubbidirono a quel comando. Temeva di rivedere Marta. Temeva in qualche modo di essere incolpata dai tiepolesi così come era accaduto a lei. I tempi in cui s'interessava all'antica magia del posto erano lontani dalla sua memoria. Ricordava quando assieme agli altri (alcuni già sotterrati sotto le lapidi eretiche, fuori dalle mura del cimitero) s'interessava in maniera quasi maniacale ai vecchi riti e culti tramandati da Tiepolo e dai suoi seguaci. Giorni in cui dormire era difficile e in cui


stare svegli lo era ancora di più, poiché gli incubi diventavano reali. Un tuono scosse l'aria come un colpo di pistola e per un istante Gilda pensò che l'avesse colpita in pieno petto. Un ronzio fastidioso le trafisse un orecchio, e lei accelerò il passo verso casa. Non sarebbe uscita quella notte, nemmeno se il demonio in persona l'avesse obbligata a mettere i piedi fuori dal letto. La pioggia si riversò violenta, rumorosa, e allagò presto le strade rendendole ancora più insidiose. Tiepole si desertificò in una manciata di minuti. Forse il maltempo avrebbe fatto rinviare la sentenza. Forse quella notte Marta Vasselli non sarebbe stata assassinata e Gilda avrebbe avuto un peso in meno da portare sulla coscienza. S'infilò nell'apertura del cancello automatico prima ancora che questo si spalancasse del tutto. Aveva urgenza di rifugiarsi sotto il suo tetto, e non solo per colpa del maltempo. Prima di varcare la soglia di casa si lanciò un'occhiata alle spalle, incurante del fatto che la pioggia l'avesse giù inzuppata. Il giardino era deserto così come anche la strada. Non erano occhi quelli che sentiva addosso; erano piuttosto presagi. Uno in particolare la fece rabbrividire nella giacca di lana. Infilò la chiave nella toppa con dita incerte ma prima ancora che potesse far scattare la serratura la porta si aprì. «Mamma, Marta Vasselli non può morire.» Non fu tanto la voce di sua figlia ad aggravare la tensione già profonda, quanto l'espressione del suo viso. Gilda osservò quei lineamenti perfetti, corrosi dall'ansia e dal terrore. Ritirò la chiave ed entrò in casa, trascinando dietro di sé acqua e vento. Le suole delle sue scarpe bagnate, a contatto con il pavimento lucido, provocavano uno sgradevole stridio mentre la donna avanzava verso il camino del salotto. Il fuoco pigro e sonnolento non sarebbe bastato ad asciugarle nemmeno l'orlo della gonna, ma Gilda non se ne curò. «Mamma, Marta non può morire. Tiepole allora sarebbe


condannato per sempre!» Gilda si sfregò le mani per scaldarle, senza voltarsi a guardare sua figlia che l'aveva seguita piazzandosi alle sue spalle. Non rispose. Non poteva guardarla negli occhi e dirle che forse la morte della strega sarebbe stata la soluzione a tutti i loro problemi, nonostante una parte di lei non lo credesse a fondo. Non bastava tagliare un ramo e gettarlo nel fuoco; il male andava estirpato alla sua radice. Questo forse i Tiepolesi non lo avrebbe mai capito. La storia insegnava che il paese ricadeva sempre negli stessi errori, e che almeno una volta ogni due o tre decenni c'era qualcuno che veniva utilizzato come capro espiatorio per l'ignoranza e la superstizione di tutti. Gilda spostò gli occhi dalle fiamme a una miniatura incorniciata messa in bella mostra sulla mensola del camino tra un'immagine sacra a destra, e una candela rossa dallo stoppino consumato a sinistra. Nella foto una bambina in fasce dormiva un sonno profondo tra le braccia protettive di sua madre. Gilda accarezzò con gli occhi quell'immagine e finalmente il suo viso si rilassò. «Empirèa sta dormendo?» domandò. «Si. Davide ha preferito non lasciarla sola ed è di sopra con lei. Siamo preoccupati, mamma. L'influenza della strega non finirà con la sua morte, e anche tu lo sai.» Gilda sospirò. Quelle parole smorzarono poco a poco il suo sorriso, e la donna tornò ad assumere un'aria greve. Si voltò e cercò gli occhi verdi di sua figlia. Mariam in quel momento sembrava avere il doppio dei suoi anni. A Tiepole, pensò, la vecchiaia giunge prima poiché attirata dalle tribolazioni. «Cosa vuoi che faccia? Parlare ai tiepolesi? Sai bene che non mi ascolterebbero. Molti di loro mi credono ancora in combutta con lei. E l'idea di andare ad avvertire Marta è fuori questione. Mi caccerebbe via o peggio: mi getterebbe addosso una sventura. Io non posso fare nulla, Mariam. Se questo è il


destino del nostro sciagurato paese, allora nessuno di noi ha il potere di fermarlo.» Pronunciare quelle parole fu facile; crederci invece le costò un'estrema fatica. Attese una risposta tagliente da parte di sua figlia che però non arrivò. Sebbene vi fosse cresciuta Mariam era ancora troppo giovane per capire le dinamiche di quel posto. Neppure lei comprendeva ancora quali fossero le forze che muovevano e soggiogavano il paese. E a dirla tutta nessun tiepolese, giunto alla fine dei suoi giorni, comprendeva di quale realtà aveva fatto parte in vita. Molti scappavano per non farvi più ritorno (anche se si vociferava che i fuggitivi venivano colpiti da disgrazie o da morte prematura). Altri restavano e vivevano un'esistenza fatta di dubbi e paure che sfociava spesso nell'indifferenza. L'imperativo a Tiepole era di non immischiarsi nelle tradizioni popolari, caratterizzate da storie di tradimenti e omicidi. Popolo di lavativi e fatalisti. Quella definizione, coniata da Marta Vasselli, doveva essere incisa sulla pietra delle lapidi di tutti. «Asciugati o prenderai un malanno.» Mariam s'arrese. Quando l'oggetto del discorso era Marta Vasselli era inutile continuare a dibattere. L'opinione in merito alla donna il più delle volte era discordante e spesso la discussione finiva in litigio. Gilda seguì il suggerimento di sua figlia e senza aggiungere altro salì la scalinata a chiocciola. Provò la sensazione schiacciante di aver fallito, come amica e come madre. Prima di chiudersi in bagno s'affacciò sull'uscio della stanza di Empirèa, ma non vi entrò. Scorse la bambina dormire un sonno profondo nella culla di vimini che era stata di Mariam prima di lei. Davide, suo padre, sonnecchiava sulla poltrona accanto con la testa declinata sullo schienale, le mani ricadute sul grembo, le gambe leggermente divaricate. Gilda si segnò e si ritrovò a pronunciare a voce bassa una sorta di litania che non recitava da tempo. Non era una classica preghiera piuttosto


un'invocazione di protezione recitata anni prima, quando ancora il gruppo degli stregoni di Tiepole (definizione che non le era mai andata a genio perché più che mai errata) si riuniva per comprendere l'antica magia del posto tanto osannata e venerata da Tiepolo Costantini. Si allontanò dalla stanza prima che Davide aprisse gli occhi e li puntasse su di lei. L'uomo non aveva una buona considerazione della donna perché sapeva che in passato Gilda era stata il braccio destro di Marta Vasselli, la sua amica più fidata, la sua complice. E per quanto i fatti dimostrassero che Gilda si fosse redenta e avesse chiuso per sempre con la megera, temeva che qualcosa unisse ancora le due ex compagne di vita. Davide si alzò, stiracchiandosi le braccia. Empirèa non si era spostata di un millimetro dalla posizione in cui l'aveva vista solo un quarto d'ora prima. La piccola mano stretta a pugno sfiorava il bellissimo viso della bambina. Davide represse ancora una volta l'istinto di afferrare la neonata e scappare via da Tiepole. Non voleva per lei la stessa infanzia che aveva trascorso lui, tra coprifuochi imposti e luoghi dove era proibito andare. Tiepole non era una terra libera, le colpe dei fondatori sarebbero sempre ricadute su chi avrebbe avuto la sventura di nascere lì. Fu Mariam a sostare questa volta sulla porta. Davide voltò lo sguardo per incontrare quello di sua moglie, e vi lesse irrequietudine. «Lo faranno. Come nel mio sogno.» parlò la donna a voce così bassa che Davide fece uno sforzo per capire. Lanciò un'ultima occhiata alla bambina, poi raggiunse sua moglie. L'afferrò per un braccio e la trascinò in corridoio dove avrebbero potuto parlare senza rischiare di svegliare Empirèa. «Uccideranno Marta?» chiese Davide senza tuttavia dimostrarsi sorpreso. Anche lui si era rifiutato di partecipare all'Assemblea cittadina. L'uomo reputava più importante badare alla sua famiglia che


stare a sentire dei vecchi pazzi che blateravano di antiche maledizioni e castighi divini. Mariam fece un cenno d'assenso con la testa. Erano mesi che la donna sognava un evento simile, come una oscura premonizione che veniva a bussarle in sogno, un monito a vigilare. Davide si ammutolì. La fine della strega si avvicinava. A Tiepole si era guadagnata troppi nemici, e dopo aver creato il vuoto attorno a sé era andata ad abitare da sola in quella casa in collina. Nemmeno la sua famiglia ne volle più sapere di lei: Achille Pagliari, suo marito, si diceva l'avesse ripudiata e Laura, sua figlia, era scappata da un bel pezzo con un uomo conosciuto in città. Da quel che ne sapeva Davide, Laura aveva avuto una figlia e si era fatta una vita altrove. Una fortuna per lei non assistere alla sentenza di morte di sua madre. La luce si abbassò di colpo, si riaccese e poi morì. Il temporale doveva aver causato ancora disturbi alle linee elettriche. La lampada d'emergenza scattò e la sua luce bluastra e opaca si diffuse in salotto raggiungendo i primi scalini della scala a chiocciola. Il corridoio invece restò al buio così come la maggior parte delle stanze del piano superiore. L'unica fiammella che guidò i passi di Mariam e Davide nella stanza di Empirèa apparteneva a un timida candela, la cui luce era sempre accesa. Davide strinse la mano di sua moglie e s'affacciò sulla culla, col timore infondato di non trovarvi più la bambina. Invece Empirèa proseguiva il suo sonno, ignara delle atrocità che le accadevano attorno. «Andrò anch'io stanotte.» rivelò l'uomo in un sussurro che nel silenzio della stanza, interrotto solo dallo scroscio della pioggia, tuonò come la più terribile delle sentenze. Mariam provò a opporsi, ma Davide non volle sentire ragioni. Non sarebbe stata la sua mano a uccidere Marta Vasselli, no. Ma la fine della strega significava la fine di un periodo buio, un medioevo cupo, e lui voleva esserne testimone. Un lampo attraversò i vetri della finestra irrompendo nella


stanza e illuminò il piccolo volto perfetto di Empirèa che, infastidita, sgambettò nella culla. Alla luce di quanto accadde in seguito, quello fu interpretato come un avvertimento. Tiepole si apprestava a piombare in una nuova tenebra.


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