l'epoca apparente

Page 1

l’epoca apparente

viviana scarinci


diaria dell’interezza vivianascarinci.wordpress.com


Because I know that time is always time And place is always and only place And what is actual is actual only for one time And only for one place

Ash Wednesday T. S. Eliot


Speculum


I

(..) l’Uroboro è il “Grande Cerchio”, in cui sono fusi elementi positivi e negativi, maschili e femminili, appartenenti alla coscienza e ostili a essa, o inconsci. In tale senso l’Uroboro è anche il simbolo dell’inestricabilità del caos, dell’inconscio e della totalità della psiche, che viene vissuta dall’Io come esperienza limite. (…) Come nel cinema, dove sul piano di proiezione costituito dallo schermo appare un’immagine posta alle spalle delle spettatore, così i contenuti dell’inconscio vengono proiettati del tutto indirettamente, come contenuti del mondo esterno, e non vengono sperimentati direttamente come contenuti dell’inconscio. Così un demone non rappresenta una parte dell’uomo, ma un essere presente e attivo nel mondo esterno. Erich Neumann, filosofo (1)


II

(…) prendiamo i colori per esempio. Sono parte integrante della nostra esistenza, abbiamo dato loro nomi, ne abbiamo una percezione condivisa. Ma è solo la nostra percezione dei colori a esistere perché la scienza ci insegna che sono il risultato dell’interazione della luce con i recettori della retina, che inviano informazioni al cervello. Ciò che chiamiamo colori sono reazioni elettromagnetiche di una certa lunghezza d’onda ma non ne abbiamo bisogno per descrivere la fisica della luce. E lo stesso vale per il tempo, tutti ne abbiamo una stessa percezione, ma se vogliamo elaborare una descrizione della natura indipendente dalla nostra percezione io penso che dobbiamo ammettere che il tempo non esiste. Carlo Rovelli, fisico (2)


III

Ora la poesia per me è una questione molto seria, è una responsabilità che sento di fronte a me stessa è una specie di risposta che devo dare alla mia vita. Il mio rispetto verso la poesia è il rispetto di un credente verso la propria religione (…) Scrivere una vera poesia è difficile come è difficile una scoperta scientifica (…) (…) “desideri?” “Si perdono nella congiura spietata di mille porte” “chiuse?” “Sì, chiuse, sempre chiuse ti stancherai” Forugh Farrokhzâd, poetessa (3)


L'essenza del delirio Alla chiusura di quattro pagine intitolate Dello scrivere (4) Marìa Zambrano lancia il suo guanto di sfida “il vero scrittore è colui che grida solitario al cielo, colui che si arrischia perché gli è stato ordinato di dare espressione, nella forma più indelebile possibile, a ciò che grida al cielo. Questo è lo scrittore. Il filosofo non grida, non si arrischia nel pelago insondabile”(5). Marìa Zambrano da filosofo, sembra potersi permettere il credo a un imperativo che guida la scrittura verso una qualità indelebile che nessuna scaltrezza possa decidere a priori, né di contro altra onesta logica. Ma si tratta solo di una provocazione perché l’esordio di questo scritto è una appassionata difesa della filosofia, del pregiudizio che ne ritiene il pensiero, in quanto regolato e preciso, apoetico. E allo stesso modo è una difesa della bellezza, spesso declassata in quanto tale a un aspetto parafilosofico del pensiero, e perciò vittima del pregiudizio contrario. In realtà questo della Zambrano è uno scritto dedicato al confine tra le due, tra pensiero e bellezza, a quanto questo, se autenticamente danzato da una scrittura affidata più che alla coscienza dello scrittore, all’istinto della sua scaturigine, si riproduce da sé, oltre che come bisogno imperante, come imperativo


estenuato del fuori di sé, come se sposando l’urgenza del suo delirio, la lingua ricevesse in dono quella risposta agognata e coerente, dallo stesso cielo che ha recato ad essa il movimento necessario a sollevare dall’obbligo di una categoria la danza dei suo segni. Non si tratterebbe quindi di fare filosofia, poesia, né una forma che si possa chiamare prosa a comprendere entrambe in una stabilità, ma come in un vero e proprio delirio si tratta di affidarsi alla percezione che affastella i dettati delle sfumature, gli spostamenti dell’iride attraverso le coloriture tra conscio e inconscio che alla fine riscontrano l’assurdo di una appartenenza da sempre o da molto, a ciò di cui un istante prima si era all’oscuro. Questo porta con sé il sospetto che sia il tempo a tenerci in grembo o a tenere in grembo una nostra maturazione meticcia, una strana commistione tra la natura intrinseca di chi scrive e uno scorrere irrisorio, esteriore ma che contiene, che espande e addensando permane, assecondando un ritmo di reciprocità involontaria, come se il tempo fosse una placenta governata da una fisiologia occulta ma regolare. Una regolarità invincibile finanche il non senso, finanche l’improvviso difetto che in un attimo coagula l’impressione contraria cioè che la sua immobilità sia del tutto illusoria e noi il prodotto di un parto che ci ha gettati ancora una volta, e con tutti i rischi del caso, al limite del conosciuto. Certo, come scrive la Zambrano questa è una “condizione impossibile da raggiungere senza consumare l’essenza del delirio, in certi casi geniali, della danza, senza l’entusiasmo in cui la ragione, senza perdersi si accende (…) a tal punto lo scrittore è figlio della crisi (…) che non si sarebbe realizzata nella forma in cui si realizzò se egli non si fosse strappato via il velo della verità in filosofia; se perciò non avesse praticato il filosofare con tutto se stesso, non su sé, su qualcos’altro, ma con tutto il proprio essere”(6). Il prezzo da pagare è altissimo. Perché vale rigorosamente la filosofia dell’essere proprio qualunque esso sia, inconoscibile tanto nel quotidiano quanto nell’universale e irreversibilmente dato alla cosa del dirsi, senza possesso altro. Unicamente posseduti dalla natura che nella propria individualità ricalca attraverso l’anfratto inatteso di quanto scritto, l’universale, con i suoi agenti, con i suoi cicli imprescindibili. Ne fa immaginare una lontana ma pregnante dimensione un altro articolo della Zambrano, Il Dio oscuro: l'estate (7). È uno tra i suoi scritti più enigmatici. Si


riferisce all’estate, all’accensione e alla consunzione cui l’arsura riduce, all’oscura divinità che pare regoli questo corso, come fosse il corso naturale allo stremo degli elementi, della luce che il delirio della scrittura annerisce nel pieno del suo fulgore. Non c’è dubbio che tutto ciò induca tanto la fuga, quanto la resistenza. Che la natura propria e altrui, di per sé sia un avvertimento di pericolo: “che cos’è la natura? Sono gli dèi immediati”(8) e quello cui i suoi elementi costringono è una sorta di catechesi politeista che va riducendo gli imperativi particolari in favore di una natura che è in ognuno è oscuramente se stessa. Gottfried Benn ne avverte un conoscente per lettera “La natura è vuota, deserta; soltanto i borghesucci ci vedono qualcosa, poveri grulli che devono andarsene continuamente a spasso (…) Fugga dalla natura, rovina i pensieri e guasta notoriamente lo stile! Natura - un femminile, ovvio! Sempre tesa a spillar semi e a usare l’uomo per concubito, a estenuarlo. Ma la natura è poi naturale?” (9). Viene da chiedersi quanto di naturale ci sia nell’indagarla al confine tra essa e noi, come se il tempo non esistesse, perennemente avvinti a una pratica che invero conduce, come una danza con l’invisibile, a una festa “La festa si frammischia e si da solo in alcuni luoghi privilegiati in alcune persone privilegiate che apparentemente non sono esistite. No, non solo, perché ci sono persone che sono esistite, e sono esistite precisamente così, combinando alchemicamente, con estrema precisione, L’Essere e la Vita, il cuore e il pensiero, la festa e il dolore” (10).


L'epoca apparente danza l’oscurità l’osso spartito lui sottraeva le vene al mio dorso e rifaceva le ore a ritroso col respiro buttato fino l’ultimo intendere dannata a questo


sole risalgo, è la terza - non sparire, aspetta ma la spartizione è già nella vampa l’ora oltre non questa. Qui non c’è più niente non un’attesa, il tempo non è più quello la sabbia freme i suoi rivoli sospesi l’altro capo del sole affila la preziosità di certi cristalli arrossa la saliva di troppa verità la radice spartita nel rimedio, niente più di questo pasto può dirsi dolore ora tace nella forra la sete fitta del cane indistinto lo svanire senza pace degli accaduti, la bestia ardita che dilania con un morso ogni soglia la controluce degli astanti


trema la contrada immensa di questa diaspora non stanti luoghi percossi dal miglio sonoro battono ogni parola mi fermo, mi sono fermata, non ti fermo ti sei fermato, la prece ossida la coniugazione del tempo senza che ne sappia alcuno sopravvivere come i viventi il loro termine fintanto che vivono nessuna pena ci ha indistinti solo piÚ niente conservando tutto assola l’unico modo sfalda le cortecce dei pini fino al cerchio che contiene il bambino nel folle trattenimento del tronco padre di sÊ piccolo e tu non lo credevi, ma lÏ


ti ho visto inanellato rimasto dove quella pena infila l’ultimo pino e in mare si getta al di là l’oscurità resiste la fitta di barche che risolve l’orizzonte sciamando una spia d’indirizzi distratto il sale a non destare cristalli resto l'imprecisa diluizione di queste acque imbevibili


ombre vocali

cenere

l'epoca apparente

la danza


La prima bruci, la seconda trovi. La terza resiste, studia il buio: non ha paraggi, cresce nella teca un’appendice riposta. Una porta si è chiusa un'altra si apre. Il giardiniere cura solo radici malate è il suo tempio per il resto, il deserto impera quest’epoca apparente


Note 1) Erich Neumann, La Grande Madre, Astrolabio, Roma, 1981, p 29-30 2) La Repubblica, 3 agosto 2010 3) Forugh Farrokhzâd, È solo la voce che resta, Aliberti, Roma,

2009 p 45 p 86

Le parole del ritorno, Città Aperta Edizioni, p 137-141

4) María Zambrano,

Troina, 2003 5) Ivi p 137-141 6) Ivi p 137-141 7) Ivi p 91-94 8) Ivi p 91-94

9) Roberto Calasso, La folie Baudelaire, Adelphi, Milano, 2008, p 33 10) María Zambrano, Le parole del ritorno, Città Aperta Edizioni, Troina, 2003, p 91-94


Somma

Speculum L'essenza del delirio L'epoca apparente Ombre vocali Note


e-book primo diaria dell’interezza manifatture digitali agosto 2010 elsinora@inwind.it


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.