PoEticaNews 2/2013

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2/2013

Hugo Mujica Adriano Padua

Eeva-Mari Haikala

Biagio Cepollaro

Edo Notarloberti Maria Korporal

Mariacristina Ferrari

Riccardo Principe Viviana Scarinci

Luigi Metropoli

DaĂŹta Martinez Alessandro Ghignoli Hanna Suni Paolo Fichera Marcia Theophilo


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PoEtica News 02/mag-giu-lug Digikirja editrice

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2013

PoEticaNews è una pubblicazione gratuita e si basa sul principio della libera diffusione. La redazione di questo bollettino obbedisce a uno dei principali fini statutari dell’associazione: la divulgazione della poesia in ogni sua forma.

Hugo Mujica Biagio Cepollaro. Trent’anni di poesia Performance artist Eeva-Mari Haikala: La mia arte, fatta di soli tentativi La collaborazione artistica Corde Oblique, bottega di artigianato musicale Coralità Su Alfabeto provvisorio delle cose di Adriano Padua

Q ues to second o numero d i PoEticaNews è da qui il bo ll ded icato alla ettino d i PoEti coralità e ca en tr a nel vivo del d ivulgativa vo la sua intenzi lta alla plura o ne li tà . In a pe rtura Alessand intro duce e tr aduce con es tr ro Ghigno li ema sensibilità Mujica. Luig i M il poeta argen etropo li presen tino Hugo ta in occasione d d i Biag io Cepo ei T rent’anni d i po llaro un sagg io esia es tremamente alcuni ined iti e es a u st iv o ar ricchito da da tre opera pi ttoriche del po una prosa sul et a . Pa o lo Fichera propo tema d i ques to ne secondo numer Suni intervis ta o d i Po E ti caNews. Hanna la performance artist finlandes conducendo il e Eeva-Mari Haik lettore alla sco ala perta d i un pa troppo poco fr n o ra m a ar tistico ancora equentato, men tre Maria Korp d i visual artist o ra l d al la sua esperien spesso impegnat za a nel d ialogo delle co llabora co n la po es zioni artistiche ia, racconta con Mariacris ti e Marcia Theoph n a F er ra ri, Daìta Martin ilo. Edo N otarlo ez berti e Riccard “artig iani” del o P ri n ci pe d ialogano da la musica sul progetto “Cord Scarinci recensi e O bl iq u e”. Infine Vivia sce “Alfabeto pr na o vvisorio delle cose” d i Adrian o Padua.

Redazione viviana scarinci, paolo fichera e hanna suni Layout design HAMEDesign di hanna suni Info e collaborazioni associazionepoetica@gmail.com 3

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HUGO MUJICA di alessandro ghignoli

Hugo Mujica è un poeta argentino. La sua è una vita in movimento, da luogo a luogo, da parola a parola. Il cammino è quello di un poeta, di un percorso fatto di libri, di versi, di tentativi di definire il silenzio, il vuoto. Così le sue pubblicazioni, i suoi testi, cercano di limitare l’idea della possibilità di nominare. È nato a Buenos Aires nel 1942, è vissuto in vari paesi, negli anni sessanta al Greenwich Village di New York come artista plastico, poi il silenzio. Un silenzio lungo e largo sette anni rinchiuso, o meglio aperto alla vita monastica dell’Ordine Trappista. Da quel tacere, da quell’assenza di parola detta, nasce la parola da dire, quella che dentro, o meglio fuori dei suoi libri – di poesia, di racconti, di saggi – ci lascia, come si può lasciare una nudità di fronte a uno specchio;

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ecco, la poesia di Mujica è ciò che sostiene l’immagine riflessa, un’orma che sfugge alla sua definizione. Dietro la scrittura c’è l’idea, il suo suono, la voglia di una scelta o di un ascolto che sa richiamare la nostra attenzione; il fatto, il respiro di ogni principio, la materia con cui cantare il canto. Non si tratta di cancellare le orme del deserto, la fugacità delle ombre, è il segreto dello sguardo, della poesia che sprofonda nelle mancate conoscenze del mondo a far sì che la possibilità del reale si possa appropiare della realtà. Lì c’è l’incontro, il rivelarsi dell’istante attraverso la lingua, le lingue. Solo in questo modo un unico gesto simile a una trappola potrà fare dell’esilio una condanna, potrà prendere in ostaggio il passo verso la poesia. L’istante del suo respiro. http://www.hugomujica.com.ar/

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NOCHE DE ARENA noche de arena, todo es igual, y sobre tanta desnudez cada paso es huella. noche de arena, todo es igual y nunca me sentí tan extranjero. noche de arena, huellas de paso. NOTTE DI SABBIA notte di sabbia, tutto è uguale, e su tanta nudità ogni passo è orma. notte di sabbia, tutto è uguale e mai mi sono sentito così straniero. notte di sabbia, orme di passo. * El instante, cada instante, es su para siempre, su jamás y su cada ahora: todo nace de un instante pero no una vez: cada instante.

DESCALZO Noche sin luna, alguien, descalzo, cruza el desierto.

* L’istante, ogni istante, è il suo per sempre, il suo mai e il suo ogni ora:

Hay huellas que noche vela, hay desnudeces que la luz apaga.

tutto nasce da un istante ma non una volta: ogni istante.

SCALZO

trad. Alessandro Ghignoli

Notte senza luna, qualcuno, scalzo, attraversa il deserto. Ci sono orme che la notte veglia, ci sono nudità che la luce spegne.

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Biagio Cepollaro. Trent’anni di poesia

di luigi metropoli

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ell’arco temporale che va dalla metà degli anni ottanta alla chiusura del secolo, il percorso poetico di Biagio Cepollaro (Scribeide, Luna persciente, Fabrica, e prima ancora Le parole di Eliodora) ha vissuto il riflesso di una realtà in rapida trasformazione sotto vari aspetti, da quello politico a quello economico – con il lento venir meno del mondo bipolare e l’avanzamento di un capitalismo maturo – al vivere quotidiano – segnato dall’introduzione spesso caotica di nuovi strumenti e commodities nonché l’affermarsi di media, che mutavano drasticamente la percezione della realtà e la possibilità di esprimerla. A rendere epocale questo cambiamento, sopraggiungeva un nuovo indirizzo culturale, un mutato atteggiamento nei confronti della conoscenza e della storia della conoscenza, la babelica giustapposizione e coesistenza di pensieri, forme, culture, stili diversi che hanno reso difficile se non impossibile la comprensione della realtà stessa e della storia. L’atteggiamento post-moderno, il disimpegno, la rinuncia alla conoscenza e alla comprensione sono passate al vaglio critico della scrittura e della riflessione di Cepollaro, che non a caso si è fatto promotore di un nuovo approccio conoscitivo, da lui definito “postmodernismo critico”. La poesia di Cepollaro

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si fa testimone di una mutazione antropologica in atto, con versi allo stesso tempo scaturiti dal lume dell’intelletto e dall’inassoggettabile consistenza materica. I suoi versi, nel solco di una vocazione alla sperimentazione, hanno misurato la distanza tra l’inattualità di una lingua (fortemente espressionista, ma razionalmente organizzata, lontana parente dunque dello schizomorfismo dei novissimi) e l’alterità e il caos della realtà, sempre più estranea e inconoscibile. Attraverso la coalescenza di linguaggi e registri diversi, di fonti e forme di varia provenienza, la lingua di Cepollaro esorbitava dallo stretto ambito del poetico, per investire campi allotri, portando alla luce il latente conflitto tra le forme

letterarie (e ogni codice, norma, lingua, strumento di interpretazione) e l’urgenza della realtà. La lingua della poesia si pone sia come strumento di smascheramento di certa letteratura, che si arrocca in un territorio neutro, separato e dunque facilmente riconducibile al convenzionale (e al controllabile), sia come pungolo e ostacolo al dicibile, come continua provocazione e stimolo all’esercizio critico. Anziché mimare il vuoto pneumatico dei valori e della comunicazione, Cepollaro opta per una complicazione linguistica che interroghi il dato reale e cerchi una via d’uscita dall’impasse comunicativa, gettando le basi di una lirica futura. L’artefatta veste linguistica e lo sguardo sulla realtà seg-


nano una distanza tra l’io lirico e la materia poetata, marcata anche dalla figura dello “scriba”, che non a caso è una diminutio dell’autore e una funzione de-soggettivante e de-liricizzante. Già a partire dalla terza opera della trilogia, Fabrica, Cepollaro adotta l’italiano standard e imbastisce una serie di liriche (o meglio di epistole) che fungono anche da postille di poetica sulla

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sua opera in versi, quasi a chiudere un cerchio, a dichiarare conclusa un’epoca tramite la sua razionalizzazione lirica. Per gli stessi motivi si assiste a una maggiore dicibilità, a una fuoriuscita del linguaggio poetico da una “attrezza[ta] … lingua per pochi”, una sorta di dimissione o meglio dismissione delle “funzioni conoscitive della lingua e della poesia” (cito dalla postfazione di Giuliano Mesa), a sottolineare autoironicamente, se ce ne fosse ulteriore bisogno, “il

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grande imbroglio della forma/ che impera”. È un libro cerniera che prelude a una nuova fase poetica e a nuove riflessioni di ordine etico ed estetico, che prendono forma nei Versi nuovi (2001). L’avvenuta mutazione è espressa fin dal titolo e l’autore si affretta a dichiarare che “da ora in poi non scriver[à] più saggi”, abbandonando l’agone del dibattito letterario, avvertito in qualche modo come

nudo, senza belletti e adescamenti poetici. È un passaggio necessario, dovuto anche al percorso intrapreso da Biagio lungo i sentieri luminosi delle filosofie orientali, che prelude a un più intenso ripiegarsi sulla propria coscienza, in un ulteriore sforzo conoscitivo. Ancora una volta l’io lirico è sconfessato, se si fa garante di una forma che di lirico ha poco, e sconfessata è la ricerca di una cantabilità: non

un’illusione appartenente al passato, fino ad affermare che “ora la poesia/ vive solo di amicizia/e ascolto”. E disilluso e fortemente autocritico è tutto il libro, una trama di meditazioni in versi che, pur disaggregandosi nel loro procedere desultorio ed epigrammatico, trovano una disposizione poematica, sorretta dall’andamento ragionativo. Il poeta parla in prima persona, a mo’ di confessione a un amico caro o al se stesso di un tempo: una vocazione a mettersi a

a caso nella postfazione al volume Giuliano Mesa poneva l’accento sull’apparente contraddizione insita fin nell’impianto di questa nuova opera, domandandosi il perché l’autore avesse scelto di scriverlo proprio in versi questo “libro di meditazione e […] di devozione”. C’è tuttavia un aspetto che Cepollaro in 30 anni di attività poetica non ha mai smesso di indagare, pur attraversando stagioni che riflettevano scelte stilistiche e registri diversi: la relazione tra le parole e le cose, o se si


vuole, spostando il problema da un piano gnoseologico a uno più etico ed esperienziale, il rapporto tra la poesia e l’esperienza, tra i versi e la storia. La poesia ha nel rovescio della medaglia la praxis, da non intendere più come fiducia nel progresso e attesa della rivoluzione, bensì come fine delle illusioni e consapevolezza che “la massima/ambizione della vita è la vita stessa”. Una praxis che trova sponda in una sorta di

meditare ed essere, è ancor più evidente nel successivo Lavoro da fare (2006), che fin dal titolo mostra interesse per l’agire e l’operosità quotidiani, come atto di salvazione (“fallo anche solo per non crepare”) e come reintegrazione nella vita: come ebbe a scrivere lo stesso Cepollaro nelle Note per una critica futura, “Reintegrazione non è altro che ricostruzione di una prospettiva, aggiungere una chiave al mazzo delle es-

fuoco/della vita”. Nelle poesie di Cepollaro vi sono sempre dramatis personae che si sostituiscono al più convenzionale io lirico, personaggi che a partire dallo scriba di Scribeide subiscono varie trasmutazioni, “mettendo su” corpo, carne, vita, sostanza: è come se il suo percorso avesse preso le mosse da un’istanza iperletteraria per dirigersi via via verso una integrazione con la vita, dal corpo delle parole

perienze possibili, ricondurre il testo alla sua potenzialità morale, psicologica, politica …, appunto”. Scrivere diventa una forma di riappropriazione di ogni sfera dell’esistenza guardando al futuro. Come per i Versi nuovi, lo stile è meditativo, ma a parlare, indirizzandosi direttamente al corpo-scrivente (“calmati o il cuore ti scoppierà”), è una sorta di voce interiore che mette in scena il farsi della scrittura, tradendo un latente impianto drammatico: “ora scrivi come hai sempre fatto/e non scherzare più col

alle parole del corpo, dove la realtà non è mai sfondo e la materia dialoga costantemente con la scrittura. L’esito più compiuto di questo passaggio è il recente Le Qualità (2012), opera di straordinaria portata innovativa, costituita da componimenti brevi che sottendono però una struttura poematica. Laddove si assisteva a un’introflessione della coscienza e a una messa in scena di una voce interiore, sebbene con tutto il portato che l’esistenza, il “fuori” lasciano in eredità – come si è già scritto – ne Le Qualità

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ragion pratica. In quest’ottica il passaggio dal materialismo storico alle meditazioni orientali non è in contraddizione: l’agire dell’uomo resta il cardine dell’esperienza. Del resto i versi e le meditazioni di Cepollaro si impongono fin da subito come riflessione critica della realtà e mai come accettazione acritica di un’ideologia: si tratta pur sempre di un verso che tende al controcanto e a un agire interrogante, la cui necessaria controparte è la realtà. L’accento sull’esperienza, intesa come sintesi di fare,

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il raccordo tra res cogitans e res extensa si compie in una integrazione che esclude ogni dualità: il protagonista è il corpo, di cui si racconta il suo essere nel mondo. Non più soggetto, ma corpo a tutto tondo, desiderante e senziente, così come meditativo e ragionante. In tal senso il corpo è un’oggettivazione metonimica dell’uomo, che tuttavia non ha l’intenzione di una diminutio, bensì di un recupero di quanto la modernità (e forse anche certa poesia) gli ha sottratto. Cepollaro riesce a fare una poesia della specie investigando antropologicamente sulla biologia dell’uomo, da intendersi sull’etimo: “la speranza è che variando i costrutti/del linguaggio anche gli organi/della mente tenuti insieme dal ritmo/ del respiro possano dare vita ad una/nuova versione del nuovo insieme/e questo è lavoro buono da far da soli”. A partire da queste meditazioni Cepollaro riesce a ricavarsi un varco per inglobare nel discorso la complessità del reale e delle vicende che il corpo attraversa, dalle dinamiche di vita quotidiana, agli stati d’animo, dalle questioni pratiche alle speculazioni filosofiche, tracciando con sguardo autoironico – quello del corpo, appunto – una fenomenologia del contemporaneo. Con queste mosse l’autore prende le distanze da ogni ipotesi psicologizzante così come da ogni vagheggiamento mistico e pulsionale. La bassa intensità lirica evita qualsiasi convenzionale artifi-

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cio, costringendo inoltre il lettore a porsi da un punto di visto che è e non è, a un tempo, quello del soggetto: un’operazione che riformula il rapporto tra autore, io lirico e lettore, dando vita a scenari inediti e nuove modalità di porsi di fronte al testo. Ciò che sorprende è la lucidità e la nitidezza del dettato poetico, diventato chirurgicamente tagliente e preciso, capace di dosare le parole in “quantità discreta” e di farle reagire chimicamente con l’extralinguistico e il biologico (“anche gli aggettivi/hanno trasmigrato da uno all’altro e il modo/di dire di uno è passato all’altro come un erpes”). Cepollaro procede per piccoli slittamenti lessicali e dislocazioni semantiche, con calibrati accostamenti di registri linguistici diversi: la retorica del testo si fonda prevalentemente su

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meccanismi metonimici, che presuppongono un andamento logico del dettato e una maggiore attenzione alla struttura sintattica, a testimonianza di un procedere ragionativo. A ben vedere il libro stesso è l’emblema di uno “spostamento”, di un traslato, offrendoci fotografie in movimento, un cambiamento in atto che si mostra sotto i |nostri occhi: il corpo non sta mai, ma sta per, agisce, trasforma e si trasforma, come la poesia di cui è soggetto e oggetto, che si ricolloca due o tre passi più in là, a tracciare la rotta per il futuro. Gli inediti che qui proponiamo sono una sorta di estensione de Le Qualità e ne approfondiscono la poetica del corpo. Come l’autore ha scritto, si tratta di un work in progress, che prelude, chissà, a un canzoniere del corpo.


editi

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il corpo sa che il palazzo di fronte non si regge per la sua grammatica ma per la pietà del sisma che lo risparmia: è questione di proporzione ed è meglio abituare lo sguardo al grande per non credere che il piccolo basti e che sia tutto: la forza del fragile è stare dentro una certa verità delle cose 0 il corpo è dentro il silenzio della stanza ora che anche il frigo tace e solo la ventola del computer soffia una specie di vento è qui ed è ora in mezzo alle relazioni che accendono di volta in volta un senso un affetto o un sentimento tra un’esperienza e un’altra che la sua durata sperimenta e a fatica tiene insieme 0 il corpo ha conosciuto vari livelli e profondità della luce e di ognuno ha preso biologica nota anche dello spiraglio anche dell’abbacino ora vorrebbe stare in una luce distratta e calma che può continuare se stessa senza pena per puro irraggiamento di semplice attesa 0 il corpo resta quasi interdetto dalla quantità d’ansia che lo assale. a volte gli sembra di non poter dare ciò che vorrebbe perché troppo occupato a badare a sé come un groviglio che non va sciolto di un botto ma sfilato grumo dopo ombra fino al succedersi lineare dei fatti e degli affetti. 0 il corpo riassume sé in ciò che ha visto e toccato anche il pensiero rientra in questo tattile esercizio della prova. nulla è dato dall’inizio e il mito è nato anche per questo per colmare il vuoto del racconto: c’è qualcosa laffuori che diventa un dentro e questo fuori e dentro viene anche tramandato. noi siamo qui dice la pianta. siamo in parte il suo frutto.

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0 il corpo si riconosce metropolitano come creatura che può sciogliersi nel sonno immaginando almeno un milione di teste che cercano sollievo sui cuscini nel fondo più cupo del buio altrimenti un vuoto non umano premerebbe ai suoi confini anche se montagne e fiumi o semplici pali elettrici un poco smossi anche se suono del vento che mette a dura prova gli infissi 0 il corpo non si pone problemi di metrica a lui pertiene il respiro che dice ed è questo il ritmo che non solo esprime ma anche lo fa felice: il sapere talvolta ha questo potere di dare al corpo vita quando gli dà coscienza ed è qui la misura e il piacere della sua danza 0 il corpo scrive il suo poema e lo fa a giornate questa è la sua scansione accordata al pianeta e alle stelle che gli coprono il sonno ogni mattina prova a riprendere dove di sera aveva lasciato talvolta aspetta che asciughi talvolta mescola e sovrappone 0 il corpo non chiede al verso di mentire e di rendere importante quello che è solo un gioco di parole chiede solo modo di spandersi nel suono e nell’immagine così come si spande in altro corpo mescolando sempre all’ascolto il piacere di dimenticare sé in altro nome Biagio Cepollaro (Napoli, 1959) poeta e artista visivo, vive a Milano. È stato co-fondatore della rivista Baldus (1990-1996) e promotore del Gruppo 93. Poesia: Le parole di Eliodora, pref. di Carlo Villa, Forum/Quinta generazione, 1984. Scribeide, pref. di Romano Luperini, Manni, 1993; Luna persciente, pref. di Guido Guglielmi, Mancosu, 1993; Fabrica, pref. di Giuliano Mesa, Zona, 2002; Versi nuovi, pref. di Giuliano Mesa, Oedipus, 2004; Lavoro da fare, postfazione di Florinda Fusco, e-book, 2006; Le Qualità, La Camera Verde, Roma 2012. Arte visiva: Da strato a strato, introduzione di Giovanni Anceschi, La Camera verde, 2009 mostra all’Oratorium Passionis-Basilica di S.Ambrogio a Milano 2010. La materia delle parole, catalogo a cura di Elisabetta Longari, Galleria Ostrakon, Milano, 2011. da verso. transizioni arte-poesia, Accademia di Belle Arti di Brera, ex chiesa S. Carpoforo.

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Performance artist Eeva-Mari Haikala: La mia arte, fatta di soli tentativi di hanna suni

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ltezzosa. Supersocievole. Esibizionista. Così immagino una performance artist che si mette in gioco davanti a un pubblico dal vivo, spesso ridendo di se stessa. Tuttavia questa mia teoria fallisce miseramente. Nel residence artistico di Aberystwyth (Galles) dove sono andata a scovarla, alloggia una donna semplice e modesta che mi guarda con gli occhi timidi, ma nello stesso momento diretti, quasi pungenti.

La strada per arrivare alla donna che è oggi è stata piena di coincidenze più che un percorso pianificato. A scuola Eeva-Mari Haikala odiava il disegno, in realtà non amava una materia in modo particolare. Dopo il liceo, a diciotto anni, si sentì persa e un po’ per caso finì alla scuola tecnica di fotografia a Muurla (Finlandia). L’idea di andare all’estero la entusiasmava e dopo un anno di studio in tecnica della fotografia partì per l’Estonia per studiare la storia dell’arte. Alla Estonian Academy of Arts scoprì tante realtà artistiche, ed ebbe la possibilità di studiare diverse materie, dalla storia dell’arte fino alla pittura e alla fotografia. Il primo riconoscimento importante le venne da un suo collage di foto che riuscì a entrare alla Triennale di Grafica di Tallinn. Ma i riconoscimenti non hanno inciso sulla sua modestia. “Ci sono giorni in cui mi faccio mille scrupoli, penso di avere poco talento. Poi arriva un giorno in cui ho più forza d’animo, oppure ricevo un riconoscimento da fuori, e mi tiro su di morale”. Dopo gli studi in Estonia Eeva-Mari ottenne

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anche due lauree a Helsinki: una in arte visuale e una in storia dell’arte. Ora è ricercatrice, come dottoranda, nel campo della performance art. “Sono un’artista fuori categoria. Io stessa mi definisco un’artista visuale, ma ciò è restrittivo poiché nei miei progetti innesto molteplici elementi: fotografia, video, teatro, musica, esibizione”. Le sue performance dal vivo sono brevi: alcune durano solo 30 secondi, altre anche 12 minuti. La lunghezza è spesso dovuta alla tecnologia: un film classico Super 8 può contenere 3 minuti di materiale, l’HD invece 12. Eeva-Mari preferisce pianificare bene la performance e poi lavorarci il meno possibile dopo. “La tecnologia moderna digitale ti permetterebbe anche di fare qualche ulteriore ripresa, ma preferisco sempre la prima. Quella più naturale, spontanea”.

Eeva-Mari ha un carattere solitario e preferisce lavorare da sola. È convinta che condividendo il lavoro si farebbe influenzare e convincere troppo facilmente dagli altri, lavorando da sola il risultato finale è sicuramente tutto suo. Forse anche per questo l’oggetto – e anche il soggetto – della sua arte è quasi sempre lei stessa. “Non sono brava a dirigere gli altri, chiedergli di fare cose davanti alla macchina da ripresa. Lavorando da sola so esattamente quello che voglio, e lo ottengo senza troppi giri di parole”. All’inizio della sua carriera lavorava completamente sola, di recente si fa aiutare da qualche assistente.


“All’inizio quando la macchina da ripresa partiva, volevo essere sola, erano momenti talmente delicati”. Come fa a stare davanti a un pubblico, a volte anche nuda? “Mi affascina l’insicurezza, l’imprevedibilità del momento. La cosa più importante per me è la presenza dell’artista. Anche se le fotografie o un dipinto possono regalarmi emozioni forti, mi sono sempre piaciuti molto il teatro, la performance delle persone vive, vere”. Ha mai ricevuto critiche che l’hanno ferita? “Dopo la performance chi mi viene a parlare è senza eccezione uno a cui sono piaciuta. Vorrei ricevere più feedback, anche su come migliorare. Ma succede raramente”. La fase più ardua del processo creativo per Eeva-Mari non è ideare un progetto nuovo; anzi, spesso le idee le affollano la testa. L’ostacolo alla creatività è molto più banale; trovare i soldi e le risorse per realizzare le idee. Ci vuole tempo e tanta pazienza per completare una domanda per una borsa di studio/lavoro, ma per fortuna EevaMari sa scrivere e anche bene. Oltre ad avere talento artistico ha un lato pratico sconosciuto a molti artisti. “A volte la gente si meraviglia quando rispondo subito alle mail”. Oltre alla borsa di studio per realizzare un progetto spesso ci vuole un atelier/studio dove registrare e anche altre risorse, difficili da ottenere e trovare. “Sarebbe bello realizzare uno spettacolo dove volo sui tetti di una città ma come farei a realizzarlo?”, ride con ironia. La sua vita quotidiana non è certamente agiata e la fine di un progetto spesso vuol dire anche la fine delle entrate, per un bel po’. “Un’artista deve riuscire a sopportare l’insicurezza sia economica che emotiva e amare alla follia la libertà che l’arte regala”. Nel suo modo modesto Eeva-Mari dichiara di aver avuto “abbastanza successo” come artista, anche dopo che alcune sue opere sono state acquistate dal Museo d’arte della città di Helsinki, dallo Stato finlandese e dal Kiasma (il museo più importante di arte contemporanea di Helsinki) e dopo decine e decine di mostre sia personali che di gruppo e performance fatte in Finlandia, Francia, Inghilterra, Germania, Estonia e Spagna. “È difficile determinare quando un’artista è di successo. Sicuramente ho avuto fortuna, oltre a molta perseveranza nella ricerca di diverse borse di studio”. Attualmente lavora su un progetto sulla vita dell’artista gallese Gwen

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John. Per la prima volta sta completando anche una performance di suoni per un luogo pubblico, ordinato da una galleria. “È un’esperienza nuova per me, dover pensare a quello che vuole chi mi paga per l’opera”. Nel titolo di molte performance di Eeva-Mari appare la parola Attempt-tentativo. Un ulteriore segno della sua modestia? Forse, ma c’è anche un altro motivo. “Mi affascina il fatto che l’arte non si possa definire in modo univoco, ma che si possa errare, che il risultato finale possa essere diverso dall’obiettivo di partenza. Per questo, alcune delle mie opere sono solo tentativi o sug-

gestioni per arrivare a un certo risultato o effetto”. “Non so perché, ma la Finlandia ha una forte tradizione di performance art, pur rimanendo essa sempre un’arte marginale”. Ultimamente alcune scuole d’arte e università hanno predisposto lauree nella performance art e nella multimedialità. Tuttavia la Finlandia è un paese piccolo dove la competizione è probabilmente meno ardua confrontata con l’estero. Eeva-Mari sogna di fare una performance in un paese o città in particolare? “Amo molto Parigi, ma per ora farò arte là dove mi chiedono di farlo”. http://www.eeva-mari.net http://www.av-arkki.fi/taiteilijat/eeva-mari-haikala/ Performance Art (Wikipedia)

La Performance art è una forma artistica dove l’azione di un individuo o di un gruppo, in un luogo particolare e in un momento particolare costituiscono l’opera. Può avvenire in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento, o per una durata di tempo qualsiasi. Un altro modo per comprendere il concetto è quello di dire che la performance art può essere qualsiasi situazione che coinvolge quattro elementi base: tempo, spazio, il corpo dell’artista e la relazione tra artista e pubblico; in contrapposizione a pittura e scultura, tanto per citare due esempi, dove un oggetto costituisce l’opera. Foto 1. Elle se sentait profondément honteuse (Tomate) 2013, stillfoto di una videoperformance Foto 2. An Attempt for Making Of 2012 Foto documentare su una performance, /teatteri.nyt (Kiasma-teatro) Komposti-evento, foto di Mikko Kuorinki Foto 3. Stillfoto di una videoperformance Vie Coye (Citron), 2010


La collaborazione artistica

R ecentemente intervistata

di maria korporal

una cosa meravigliosa creare e sviluppare un progetto insieme ad altre persone. [...] Ho collaborato più spesso con donne che con uomini. L’idea sono

stata

Rosa

Matilde

da

Jiménez Cortés nell’ambito del suo progetto “Entre Tú y Yo” (http://amor77roma.blogspot. mx/2013/03/entrevistartistamaria-felix-korporal_20.html),

e

una delle domande era: “Qual è la sfida più grande che hai affrontato?” Non ho esitato un momento con la mia risposta, di cui cito qui una parte: “La sfida più grande è stata quando ho iniziato a collaborare con altre persone – e ogni nuova collaborazione è sempre una sfida grande. Sono molto individualista e tendo a fare tutto da sola. Però nel corso degli anni sono anche stata attratta dall’idea di lavorare

della innata rivalità e invidia tra le donne è un luogo comune purtroppo

accettato

da

molti

uomini e donne. Naturalmente l’invidia e la rivalità esistono,

che abbiamo definito il nostro

ma la mia esperienza personale è

ponte: un ponte che ci permette

diversa; finora ho lavorato sempre

di incontrarci, di dialogare, di

in modo splendido e armonioso con

condividere emozioni, pensieri e

altre donne, c’è molta solidarietà

sensazioni. Un ponte generante

e comprensione. Le donne sono

una costellazione le cui stelle

eccellenti compagne di viaggio.”

nascono e rinascono, si muovono

Delle mie “eccellenti compagne di viaggio”, ne vorrei menzionare

scrivono poesie; tre donne di fama molto diversa, ma con una cosa fondamentale in comune: la generosità con cui condividono attraverso

i

social

network,

artistica con una mia amica, la

indipendentemente

scultrice Marina Buening, sotto il

pubblicazioni ufficiali. Su Facebook

nome di Zweiart. [...] Dopodiché

ho potuto prendere conoscenza dei

sono seguite diverse altre opere

loro scritti, che mi hanno colpito e

realizzate

ispirato profondamente.

in

collaborazione,

dalle

loro

soprattutto con poeti e musicisti,

Mariacristina Ferrari è una donna

come si può vedere sfogliando i

di grande delicatezza e sensibilità.

video nella pagina sul mio sito.

Non ha ancora pubblicato, ma

Sono una lupa solitaria e ogni

divenendo

Theophilo. Sono tre donne che

le loro parole con il mondo

collaborazione

trasformano

Ferrari, Daìta Martinez e Marcia

la

prima

si

tre in particolare: Mariacristina

insieme, e nel 2006 ho intrapreso mia

e

attraverso

Facebook

condivide

viaggio, libero da partenza o destinazione… è lo spazio in cui abbiamo creato insieme il nostro lavoro: WOR-L-DS WITHOUT END, dialoghi interstellari. Il video, con una descrizione dettagliata, è visibile online: https://vimeo. com/30178258 Le poesie straordinarie che Daìta

volta quando inizio un viaggio

i suoi versi e i suoi aforismi che,

in

da

insieme alle fotografie ricercate (di

Martinez,

poco,

lei e di altri), formano un percorso

scrive su Facebook, mi hanno

presto le paure e i dubbi fanno

squisitamente poetico. Tra lei e me

lasciato senza fiato fin dal primo

posto all’entusiasmo. È davvero

è nato un rapporto molto intenso,

momento in cui ho avuto la fortuna

compagnia

insicurezza...

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sono ma

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presa

dura

poeta

palermitana,


di poterle leggere. Oltre a essere

amazzonica con i suoi popoli,

e perfino applicato in altri video,

presente in diverse antologie, nel

alberi, animali, fiumi e miti. È

ero convinta che fosse di pubblico

2011 ha pubblicato la sua prima

molto generosa nel diffondere le

dominio; per lo più, nel mio lavoro

presso

sue parole, come può testimoniare

ne citavo solo una parte.

Lietocolle. Leggendo la raccolta

chiunque la segue su Facebook. Tra

Quando il video era pronto,

sono

particolarmente

di noi c’è un rapporto di forte stima

intitolato Rebuild the Earth, ho

colpita dalla poesia (amarezza),

reciproca. Dopo la conoscenza

inviato il preview a Jane Yolen,

scritta

in rete, ci siamo incontrate a

ma la sua reazione è stata dura;

palermitana, e l’ho elaborata in un

Roma

del

si è contrariata per l’uso del suo

video. È nata una forte intesa tra

suo libro Amazzonia sempre, e

Daìta e me, e le due opere seguenti

testo e ha messo la sua agenzia di

in quell’occasione Marcia mi ha

che abbiamo fatto insieme, { nuda

proposto di fare un video con

diritti in contatto con me. Dopo

} e . non ha fine ., sono state create

una sua poesia. Un’idea che mi

silloge,

(dietro rimasta

l’una),

anche

in

versione

alla

presentazione

ha subito entusiasmata e, dopo una lunga maturazione, a gennaio 2012 è venuto alla luce un video intitolato La notte dell’armonia, visibile su Vimeo: https://vimeo. com/34653288 Nel momento in cui Rosa Matilde Jiménez Cortés mi ha intervistata, non potevo ancora sapere come sarebbe andato il mio ultimo in perfetta sintonia, con poesie

progetto

inedite scritte apposta per i video;

mio video più recente Tra le

le parole seguono lo sviluppo delle

foglie. Questo lavoro, che si può

immagini e viceversa. I nostri

vedere

video sono raccolti in un album

com/64701729,

su

versione di un altro video che ho

Vimeo:

https://vimeo.com/

album/1645800

di

collaborazione:

online:

il

https://vimeo. è

la

seconda

dovuto togliere dalla rete. Perché? Avevo fatto la prima versione a marzo, in seguito a un invito per un evento di arte e riciclaggio da tenere a Londra nel mese di maggio. Il concetto del video, ossia le palle di carta buttate per terra che vengono raccolte e

qualche

scambio

l’agenzia

mi

ha

di

messaggi,

concesso

il

permesso di pubblicare il video sul mio sito web, ma a condizioni molto restrittive e con la richiesta di un contributo in denaro, che non ero disposta ad accettare. Allora ho preso la decisione di fare una nuova edizione del video, seguendo lo stesso concetto ma con immagini diverse e un testo diverso:

una

bellissima

poesia

di Marcia Theophilo, tratta dal suo libro Amazzonia sempre. Il risultato è il video Tra le foglie, con una versione inglese Among the Leaves. Siamo entrambe molto contente del risultato, che è piaciuto anche all’organizzazione dell’evento

artistico

londinese;

il video sarà esposto nel mese di maggio presso la Watermans Art Center a Londra nell’ambito dell’evento “Shape the Future”. L’esperienza

di

Rebuild

the

si ricostruiscono in un libro, era

Earth mi ha lasciato un po’

stato elaborato su una poesia che

amareggiata – allo stesso tempo

Marcia Theophilo è poeta e

avevo trovato in rete: I am the

è stata una buona lezione. Nelle

antropologa di fama internazionale;

Earth dell’autrice americana Jane

collaborazioni artistiche, bisogna

candidata al Premio Nobel per

Yolen. Ho richiesto la sua amicizia

agire con molta prudenza. La

la

pubblicato

su Facebook e non mi ha risposto,

stima davvero reciproca è rara, e

racconti, saggi e numerosi volumi

ma sono comunque andata avanti

la disponibilità di poeti e artisti

di poesia. Il soggetto principale

in piena fiducia. Visto che il testo

di condividere i loro lavori non è

della sua poesia è la foresta

era pubblicato in vari siti Internet

scontata.

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letteratura,

ha

News


Corde Oblique,

bottega di artigianato musicale

Un dialogo tra Edo Notarloberti e Riccardo Principe Un quadro che diventa musica, che diventa un’aspettativa del pubblico compie il percorso

parola raccontato con sapiente maestria dalla inverso partendo da un’esigenza interiore, da scrittura di un cesellatore della materia musi- un bisogno inderogabile di espressione tradotcale.

to in una forma musicale che possa arrivare

Corde Oblique è il progetto musicale ideato all’ascoltatore.

da Riccardo Principe, chitarrista-compositore “Nel momento in cui pubblichiamo un disco, napoletano, con all’attivo quattro album: A un libro, un dipinto è ovvio che speriamo di

hail of bitter almonds (2011), The stones of diffonderlo. Chi dice che scrive solo per se stesso

Naples (2009), Volontà d’arte (2007), Respiri (2005). è a mio avviso mendace. Da parte mia so che non Il processo creativo delle composizioni di essendo una pop star non ho grandi problemi Riccardo, mente del gruppo, si divide in diverse nel proporre novità azzardate e sostanzialmente fasi.

provo a unire la qualità con la gradevolezza

“Il primo istinto è scrivere un testo legato alla usando un briciolo di buon gusto che spero mi memoria. Se ho bisogno di raccontare un luogo sia rimasto”.

è perché quel luogo mi ha dato stimoli, mi ha La formazione di Riccardo Principe è sostanzial-

in qualche modo detto qualcosa di sé, e quindi mente classica, non a caso è diplomato al Conprovo a ri-raccontarlo a chi mi ascolta”.

servatorio di Napoli in chitarra. Nei Corde oblique

E così accade per luoghi, quadri, cattedrali e suona sia la chitarra classica che l’acustica; ensensazioni. In una coralità in cui l’arte racconta trambe generatrici di tutte le idee musicali inil’arte.

ziali.

“Le musiche nascono prepotenti e spontanee, in “L’esperienza di ascoltatore mi ha sempre fatto

molti casi i suggerimenti mi arrivano dagli stessi pensare che l’alternanza timbrica è fondamenluoghi da cui sono nati i testi e poi la mia sensi- tale per certi strumenti. Sentendo tutto un conbilità di artigiano prova ad abbinarli”.

certo per piano, o per chitarra, dopo 35 minuti

Corde Oblique è davvero una bottega d’artigiano mi accorgo che la mia attenzione cala. Per ques-

in cui l’arte intesa come materia prima viene to motivo prediligo l’uso sia delle corde di nylon levigata e lavorata, trasformata e rielaborata. che di acciaio, anche se sostanzialmente sono un Una di quelle botteghe in vicoli nascosti dove chitarrista classico”.

avviene l’arte. La musica di Corde Oblique fa La scelta delle voci femminili per Riccardo è

parte di quei preziosi progetti indipendenti che di fondamentale importanza. In ogni disco trovano luce grazie alla sola passione di chi ne l’alternanza di vecchie conoscenze e nuove voci

fa parte. Quella musica che invece di partire da evidenza la continua ricerca timbrica e interpre-

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passato abbia pensato solo a piacere, ma mi po-

nevo molto di più il problema di come il pubblico avrebbe considerato il disco, mentre con questo

ultimo lavoro non l’ho fatto. Ho inoltre svolto un lavoro durissimo sui testi, su ogni parola e su

ogni concetto, e penso che quest’aspetto sia una

delle principali differenze rispetto al passato. I musicisti e le voci hanno dato un surplus sia in

quanto ad arrangiamenti creativi che a esecuzione di parti scritte da me: senza di loro sarei una mente inutile”. tativa dell’autore, affidando alla voce un ruolo prioritario.

“Ho iniziato a scrivere per voce soprano quando

avevo 20 anni, ora ne ho 34 e prediligo per lo più le voci non impostate. Ogni voce ha un carattere e mi ispira determinate atmosfere e molto

spesso le canzoni che scrivo sono espressamente pensate per quella determinata voce. Parlare di

tutte le voci con cui ho lavorato sarebbe troppo lungo. A ogni modo sono infinitamente grato a

Corde Oblique è anche il mio gruppo. E a Riccardo,

che è anche uno storico dell’arte, ho chiesto se la propria arte sia sincera.

“Partiamo dal principio: la mia arte non è sincera

così come non lo è l’arte in generale. La parola

Artefatto contiene dentro di sé la parola Arte proprio perché essa è anche finzione, e in quanto

tale non è sincera. Chiunque dipinge un quadro, scatta una fotografia, scrive una poesia, non lo fa

per sincerità, ma aggiunge sempre il suo punto di

tutte per aver dato il massimo per interpretare vista non oggettivo. In proposito mi piacerebbe e indossare i vestiti che ho provato a cucire per citare una frase di un grande storico dell’arte Roberto Longhi: “L’arte non è imitazione della

loro”.

L’idea del bello e la propensione a essa è evidente realtà, ma una riproposizione individuale di essa”. La sincerità sta fra le nostra mura nella forma di scrittura di Riccardo Principe. “Sono un cultore del bello, ma apprezzo il bello domestiche, sul modo in cui ci comportiamo intriso di storia, il bello sapiente e, se mi è lecito con gli altri. L’arte può essere spontanea più che

definirlo così, il bello che abbia un doppio fon- sincera, ma è comunque artificio. La sincerità non ha a che fare con i palcoscenici, con lo do”. La fervente produzione di Riccardo porta spettacolo, con le pubblicazioni. Personalmente all’uscita quasi di anno in anno di nuovi lavori provo a essere spontaneo con la mia arte, ma evolvendo in forma, stile e ispirazione.

nel momento in cui entriamo in sala prove

“L’evoluzione musicale (così come la storia) non facciamo di tutto per intonare i nostri strumenti, è fatta di spartiacque ed è difficile riassumere i camuffare i nostri errori, scartare una cattiva

punti di novità. Sicuramente oggi ho un approc- esecuzione per prediligerne una buona, come

cio molto più libero alla composizione e al testo, fanno tutti gli artisti del mondo. Purtroppo per forse mi preoccupo meno di piacere e penso a far arrivare agli altri il nostro meglio, non si può scrivere cose che reputo di qualità. Non che in essere sinceri in senso letterale”.

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Coralità di paolo fichera

. entrata. libreria. chi cerca l’entrata, dentro. la rivista con una recensione, forse in questo numero, o nell’altro, fra un mese o due. è trimestrale. voci. se pd e pdl si mettono d’accordo giuro che emigro in qualche paese. sì ma non lo possono fare. come mai la bolla non si riesce a stamparla? se vuole può spostare i libri, non c’è problema. la figura è sempre nell’ombra, così vuole la pelle. gli scaffali alti hanno i soliti nomi, più grandi, Neruda, Whitman, Baudelaire. sotto io ci tengo a dare casa anche alle case editrici piccole, ad autori che altrimenti non troverebbero spazio. lo spazio di ricerca. il lirismo dell’antilirismo. c’è del buono nei modelli proposti, gli epigoni scivolano. sono intelligenti _ è sempre lo scavo per un singolo verso. al buio. costringersi nelle forme, a livello organico, con una musica in sottofondo. al buio, costretti alle forme. la maschera è sempre lo scheletro, lo sanno bene le ossa. la tela di ragno _ quando tutta la carne del corpo si sarà fatta aria allora sarà carne, in qualche sguardo. rispondere a una mail, in attesa di scriverla. la copertina forse è meglio con lo sfondo grigio. l’albero non è male come idea, ma già vista. provare con una macchia, buttata lì come per caso, poi i nomi in corpo più piccolo. font va bene _ un abbraccio tra le forme. scrivere il pezzo che scrive della coralità. è simile agli altari, in Turchia sull’altopiano. o accovacciarsi accanto a una statua Maya, enorme, da mettere su fb. ipotesi di un viaggio. fatto o non fatto.

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ricordato, comunque _ intorno agli scaffali il buio era enorme, le schiene strette tra le fessure. dove passare, al buio, in quel corridoio era il problema. lo sguardo era il problema dei libri. la paralisi era all’inizio lo sguardo. la mole, mastodontica, quali muscoli avere oltre la propria forza per sollevare, portare e sopportare il peso era uno dei problemi, all’inizio. violenta e ossessionata era la vista nel luogo intatto, senza violenza né ossessione. essere chiaro nel bene oltre la grata non afferrato né voluto rendeva lo stupore esatto, preciso come preghiera nata da stupore, di un cielo con le sue stelle basse, camminando, diceva, nel suo paesaggio _ la coralità era assistere alla morte per trarne versi, un coro di animali attorno, tutti simboli ancora intatti, dopo gli anni a carpirne i simboli. il simbolo vissuto, ricamato sulla tela e sulla pelle detto, i tatuaggi negli occhi, il neo nell’iride, la libreria per il falò nel bosco di notte tra bambini e donne travestite da gnome. alla fine un regalo, una foto al fuoco, il ponte illuminato da piccole candele _ tra i libri, il lago era il confine. la donna amata, baciata tra gli scogli, tra dita e nodi esatti. uno scambio di libri. imparare era esporre le ferite. con il corpo intatto. tutto nella pelle. una pelle bianca. un altro morso nell’immobilità. camaleontici nella fissità. faremo molti incontri, lasci la mail. ha la mail, verrà avvisato. se ha voglia potrà partecipare. ha scelto questi libri. lei non parla. ha paura. è spalancato.


Su Alfabeto provvisorio delle cose di Adriano Padua il vero non ha fonte da cui sorge Arcipelago edizioni, Milano, 2009 di viviana scarinci

M

arianne Moore il mondo se lo figurava come ciò che non è affatto nostro se non per atti di “possesso immaginari”. Personalmente l’ho sempre inteso così il mondo visto dall’ottica di chi scrive poesia, e il poeta, un essere necessariamente provvisorio nell’ambito di un alfabeto condiviso. Tuttavia a volte, in alcuni poeti, si vede il patire un’intenzione. Un’intenzione di scrivere poesia che può essere originale, congegnata più o meno abilmente o magari ricalcata poiché ammirata altrove, nel discorso poetico altrui, ma non si avverte, in questi poeti, quasi mai, il patimento di un proprio ritmo, cioè di un tempo isolato che non potrebbe essere altrimenti, senza particolari intenzioni estetizzanti. È in questo senso che le poesie di Alfabeto provvisorio delle cose fanno la differenza in un modo così accurato da rammentare la necessità di perdere il filo della propria individualità per poter assentire, sapendo già che nulla insorgerà per discutere del contrario. Paradossalmente, sembra che per Padua il poeta sia sufficiente a se stesso e la poesia un’intenzione superflua e a volte anche da rifuggire in quanto forviante, in quanto iperdotata di un “peso” sillabico insostenibile: non serve poesia perché/i testi non hanno incidenza sul tardi/nella loro esistenza soltanto/in cui l’effettiva/autonomia di un pensiero/ produce materia verbale. È chiaro quindi fin dall’inizio che qui non siamo al cospetto/del nostro tormento. Il filo che lega in una consequenzialità quello che di materiale c’è negli elementi, diventa in questo piccolo libro una rete di sottecchi, un’enucleazione problematica, una costellazione di errata corrige del visibile, come se scrivere poesia provocasse una personalissima sequela di errori necessariamente indirizzati a carico della mutezza del reale. Le cose non nominate o appena dette, quelle che popolano di giorno e di notte lo spazio che ci circonda fino a lambire le appendici del nostro

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la favola ci dice meraviglia quest’epoca di troppo è fuori dalla storia andiamo vieni via ti porto dove non

corpo, fino a essere il nostro stesso corpo, qui in convegno, ci scrutano appena e assumono il loro peso specifico di capelli, occhi, architetture e tecniche solo per sostenere una sorta di involuzione in un pensiero che le partecipi in modo soggettivamente originario e perciò indiscutibile. E anche nella voce poetica dello stesso Padua, oltre che nel suo “metodo”, si avverte la necessità di perdere il filo, di allentare la sorveglianza sul concatenarsi apparente dei fatti per poter dire: dunque la città non esiste, in quanto luogo del cibarsi, del crescere e decrescere, del rovesciamento della sorte, dell’impennata dei fatti illusori che compongono la realtà nelle sue limitazioni ripartite nell’epica infinitesima di un istante che ci creda tutti presenti. A tratti, ma è anche questa un’illusione, sembra che per Padua tutto si riduca a un’intesa circa la propria matrice, quale che sia; e posti i sensi in quel luogo, aspettare un palpito che quando arriva non potrebbe essere altrimenti che il tempo e il luogo di una nascita: il tempo metrico, il luogo lirico in cui appaia che questa provvisorietà del tutto alienata non è nient’altro che un luogo geometrico. Come in effetti ogni poesia è sempre frutto di una logistica, per quanto amena, in quanto tracciato prodotto dall’intersezione in un punto, di ascisse e ordinate del tutto sfasate. Nel caso di Padua la curva che viene da questo incrociare lirica e metrica su un piano non-cartesiano dovrà essere per forza di alfabeti una parabola non probante: le barriere e il disordine scritto/collegati/sulla pelle e alle forme/costruendo un difetto di spazio. Da lettrice appassionata di poesia mi capita di cercare quello che non so, quello che mi manca di sapere per fare maldestramente fronte a qualcosa che frontalmente è invisibile ma collateralmente no. Questo alfabeto provvisorio sembra esercitarsi proprio su quel fronte collaterale, cioè un fronte i cui effetti sono imperscrutabili dal punto di vista allopatico, anche se qui enunciati con esattezza sintomatica e una perizia davvero singolari.


Ăˆ prevista per settembre 2013 l’uscita de La Favola di Lilith, Libro e CD prodotto da Ark Records. Si tratta di un poema suddiviso in due atti con musiche di Edo Notarloberti e testo di Viviana Scarinci. Informazioni e prenotazioni info@arkrecords.net

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I classificato opera d’arte in legno offerta da DARGOCreation del valore di € 100

DARGOcreation

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II classificato 3 libri di poesia offerti da PoEtica del valore di € 60

Premio Speciale poeti under 16

III classificato iscrizione all’associazione PoEtica del valore di € 30


DARGOcreation

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