Lo speziale. Paolo Fichera

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Paolo Fichera

Lo speziale


Lo speziale

* Da lì è nato e doveva morire il dovere del figlio al figlio del padre, le ossa predisposte al massacro le sue al dovere di una variazione e scarto nel seme tra natiche – ghiaccio alla foce di un piacere – la testa di toro nello studio, laggiù che ripercuote il frammento tra note e pittura, il labirinto opaco alla parete come una giostra privata il giardino delle vergini accovacciate e al mio sguardo scoperte * perché il nome lascia posto alla danza, la luce che screpola la sostanza dell’essere due in una forma di statue, nell’essere debole di giustizia il passo, rame su trave, una pioggia sconfitta tra sbarre, in se stesso, le ossa del pianto * raccolte in grani di corolla e gioia la riva di carta ripetuta, le ossa, al seme che porti tra mani, ricongiungi a te il saluto, la stretta, la fulminea dolcezza di assoluto, deriva delle mie mani aperte a fare di carta cenere e spezia l’abbraccio fertile dei morti nelle mie vene, il seme di realtà stretto per lingue assorte di suoni * l’unica spezia che riposa è il luogo delle tracce, la trasparenza e l’utensile del chiaro che si fa abbraccio, il peccato che brucia nelle mani, senza distanza, l’odore della tua luce a farci saliva sputo a fare dello scisma impasto


* e riconsegna la struttura, la spezia, alla forma del vaso il privilegio della costanza alla ceramica flessa la mappatura sul marmo all’armonia del sangue ai gesti che preparano l’ossatura del riverbero, della sete, i segni scuri sulle mani * le mani implodono lo schermo – pellicola di elementi – la paziente geometria del canto parlato alla bocca dello speziale ad annunciare la morte seconda la cecità – del gesto – macerata nei resti di spezie, raffinata oltre il canto, la purezza resa arida e dolce l’impasto che non crea ma chiama * è l’arido che copre il soffio il dislevare della lingua la fatica della forma che manca nel cedere alla vita e al soffio il rito della mancanza minorità che precede ogni atto e lo ricopre, il riporre di vasi nei luoghi, il sangue speziato dagli odori * il passo tra i tavoli è il luogo del mondo; “cedesse alla vita l’ombra della carne alla carne la vuota imperfezione di ogni distanza” * la sete è la calma del sogno: è qui nel rito che si dà e plasma le vene dell’uomo, l’occhio che muore nell’occhio, invocando essenze, le preghiere a memoria dei bambini


* la lingua dei merli che chiara s’adagia al confine è lo scontro, il celebrare con ali di rovine l’incanto del volo e le tracce dell’uomo * il soffio del frammento ricompone l’orto e le tue semplici ossa, il saperlo certo e alla gioia dato l’abitudine incisa in morte e croce: “cos’altro?” * fumo. le essenze bruciate al rimedio che svanisce per essere freddo e corpo teso; altro il dolore del ferro, il sangue raccolto, l’incedere e “manca nel fumo il primo raccolto, il sapere della donna, il feto che eroso guarisce l’uomo. Bruciato è il dio, raccolto e plasmato in forma di vaso, lì nel nome mi adagio: tempo, esilio, peccato” * sono avvinte alla fragilità le pene inarcate come una soglia di mani di amanti “era questo rivestire con la tua pelle il mio cuore il balsamo dorato. Il sapere del tempo solo la luce che inarca la tua schiena, l’ebbrezza che avvolge il riso dell’orfano ora il sacrilegio del mondo è la corona di fiori sul tuo volto” * la spezia e il nulla che ripete l’abbandono e la massa oscena avanti al colore di ciglia l’occhio che si spegne e il coraggio: “ancora sii forte, il corvo ha già raspato cenere, cibato terra” * è la corteccia – non linfa – del ramo la stanza del fuoco, il contorno avvolto – prezioso e avvenuto – alla radice del mio male, il primo:


“la castità sfogata nel corpo, il mio; ricordi?” è la notte che illumina il fuoco: non l’altro; la notte che ricopre e alimenta di scuro il chiaro e la fiamma. la corteccia che brucia nel fuoco è la stanza del fuoco. nel fumo che ritorna al fuoco; il tradimento e la colpa hanno le stesse mani: il sangue chi li accoglie, subìto. e il fuoco si tradisce nell’utero chiaro, nel gesto di nascita e cenere isterica e vuoto. “il pozzo irradia la sazietà del covo ricordi?” la morte illumina il fuoco

(Sezione tratta dalla raccolta Lo speziale, edizioni LietoColle 2005)


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