Vivere Sostenibile Roma numero 3 marzo 2017

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Direttore Mauro Spagnolo Anno 1 - N° 3 - MARZO 2017

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NUOVI RISCHI PER IL PIANETA L’EDITORIALE di Mauro Spagnolo

Da pochi giorni si è insediato il 45° presidente degli Stati Uniti: Donald Trump. Sono tante le particolarità dell’uomo “politico”, particolarità che abbiamo imparato a conoscere lentamente nel corso della sua lunga e infuocata campagna elettorale. Posizioni irripetibili e spregiudicate che farebbero tentennare i politici più navigati: sull’assistenza sanitaria, sulla concezione delle donne e del sesso, su internet, sui mussulmani, sulle origini e sulla fede di Obama, sul muro con il Messico, sui disabili.

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ROMA via Trionfale, 13992 (zona Giustiniana)

Ma la posizione davvero più insostenibile è quella sulla negazione dei cambiamenti climatici. Poco importa cosa pensa il 97% della comunità scientifica internazionale, o le posizioni di centinaia di governi dislocati in tutti i continenti: per lui quella del climate change è, come letteralmente leggiamo in un suo tweet del 2014, “una stronzata che deve essere fermata, il Pianeta sta congelando, le temperature sono ai minimi storici”. E se qualcuno è interessato a conoscere cosa ci sia, sempre sulla base della teoria Trumpiana, all’origine di questa invenzione, potrà leggere, in un altro tweet del neo presidente, che il climate change è stato inventato dai cinesi per colpire la produzione industriale statunitense. La Clinton aveva sostenuto con forza la necessità di ridurre l’impatto delle attività umane sul clima attraverso un massiccio investimento nelle energie rinnovabili, confermando gli obiettivi già fissati da Obama: tagliare, rispetto al 2005, le emissioni di gas serra del 30% entro il 2030 e di più dell’80% entro il 2050. La risposta dello “scienziato” Trump? Un attacco frontale alle energie rinnovabili. Secondo lui l’energia pulita è “Un crimine contro l’umanità”. I parchi eolici, ad esempio, sarebbero “disgustosi” e pericolosi per la salute delle persone, “una piaga per le comunità e la fauna selvatica”. In alternativa propone d’incentivare l’uso delle energie fossili. Sempre nell’ambito della sua campagna elettorale, il neopresidente ha promesso di abolire il Clean Power Act, il Piano di Obama che impone di ridurre le emissioni alle centrali elettriche americane e ha liquidato l’Accordo di Parigi, già firmato dagli USA e da altri 159 Paesi, come “una delle cose più stupide che abbia mai sentito nella storia della politica”. Come principale propulsione allo sviluppo industriale statunitense, invece, il neo presidente ha indicato lo sviluppo dell’industria petrolifera e l’incremento di tutte le fonti energetiche fossili. Insomma nell’epoca in cui assistiamo a una frenetica corsa allo sviluppo tecnologico di forme alternative di produzione e conservazione di energia a basso impatto, una brusca inversione ad U della politica ambientale del più grande inquinatore del mondo appare un grande pericolo per il Pianeta.

Il centro di ricerca indipendente Lux Research ha ipotizzato che se Trump metterà in pratica le sue politiche energetiche, le emissioni degli USA invece di diminuire – come imporrebbe l’Accordo di Parigi già siglato - aumenteranno del 16% entro il 2024, cioè la stessa quantità di CO2 emessa, nello stesso periodo, da un’intera nazione come l’Ucraina. A riprova della profondità delle posizioni presidenziali sulle questioni ambientali è il cambio di direzione annunciato, a sorpresa, in una recente sua intervista rilasciata al New York Times. Forse, in quell’occasione, qualche suo collaboratore di staff ha improvvisato una rapida ricerca sulla Rete scoprendo che le teorie “fai da te” del suo capo erano un po’ troppo originali e quindi politicamente pericolose. Quindi, in quell’intervista, Trump ha ammorbidito le sue posizioni sul clima e sul riscaldamento globale. Intervistato, poi, sul legame tra l’attività umana e il riscaldamento globale, il presidente ha timidamente ammesso: “Penso che ci sia una qualche connessione” e sull’Accordo di Parigi, dopo aver promesso in campagna elettorale che avrebbe addirittura ritirato la firma di Washington, cambia posizione affermando “Lo sto studiando molto da vicino”. Nelle stesse ore, però, minacciava di tagliare i finanziamenti al dipartimento della Nasa che fa ricerca sui cambiamenti climatici, uno dei poli di eccellenza mondiale in quest’ambito. Dal 2017, quindi, la divisione Scienze Terrestri della Nasa potrebbe essere costretta a chiudere i battenti. Insomma dopo un lungo e faticoso percorso delle diplomazie internazionali, percorso che ha portato a una presa di coscienza condivisa sulle emergenze ambientali del Pianeta e alla conseguente necessità di una rapida transizione energetica, la miopia del nuovo timoniere della più grande potenza del mondo ci spaventa, e ci fa prevedere un ritorno indietro di decine di anni. La speranza e che la pressione della comunità internazionale da una parte, e la convenienza delle nuove tecnologie energetiche dall’altra, possa ammorbidire le politiche ambientali di Trump. E’ un augurio che facciamo a nome del nostro amatissimo Pianeta. Buon lavoro presidente.


ALIMENTAZIONE

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“A Modo Bio”, eccellenza dello street food “A modo Bio” è un ristorante take away a metà strada tra il Vaticano e il quartiere Prati, vicinissimo al Mercato Trionfale. Il locale sposa la filosofia dello street food, ma di alta qualità.

In una zona romana dove certo non manca l’offerta della ristorazione, è particolarmente attivo un locale che ha saputo esaltare, allo stesso tempo, il valore della freschezza, della genuinità delle pietanze e l’uso di prodotti biologici. A ModoBio riserva ai propri ospiti un’accoglienza familiare e informale, un’atmosfera vera, spontanea e non costruita, come nella tradizione della cucina biologica, fatta di sapori freschi e stagionali, senza coloranti e additivi. Un ambiente semplice e “trasparente” dove il cliente può avere la certezza della provenienza e della qualità dei prodotti che consuma.

A Modo Bio nasce nel 2014 dall’idea di Laura e Alessandra di conciliare lo street food all’alimentazione sana. Le due imprenditrici hanno deciso di affidarsi a produttori locali selezionati e alle aziende agricole del territorio romano e laziale, per garantire ogni giorno qualità, genuinità e artigianalità dei prodotti alimentari. E’ per questo che la varietà dei piatti, e la loro disponibilità, varia in base ai prodotti stagionali. Aperto dalle 9:30 alle 18:30 possiamo scegliere di fare qui anche la nostra colazione con pane e marmellata, dolci, yogurt e frutta biologica di stagione, senza dimenticare il caffè, il cappuccino, i succhi di frutta, le spremute, gli estratti e le altre bevande bio vegetali (c’è sempre un’alternativa vegana). A pranzo A Modo Bio offre una buona scelta tra le “chicche” che sono i piatti più succulenti e una buona varietà di insalate e panini. Abbiamo scelto il menù economico: panino, insalata e bevanda a soli 10 €. Delizioso è il Burgher di Ceci, il cui sapore è reso unico dalla noce moscata, dal curry e dall’erba cipollina, ce n’è anche una versione con carote e patate alla curcuma che sicuramente proveremo la prossima volta. Il menù varia continuamente e si rimarrà stupiti nel trovare piatti sempre nuovi, come le lasagne vegetali, o il couscous di verdure accompagnato dalla salsa allo yogurt. Birra artigianale e vino biologico vi aiuteranno poi ad apprezzare ancor di più i sapori genuini. Qui i dolci non mancano e, insieme ad una ricca offerta di infusi, A Modo Bio è sicuramente il luogo giusto anche per l’ora del tè. Insomma in questo locale potremmo passarci la giornata!

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A Modo Bio Via Tolemaide, 11 Telefono: 06 8660 4553

Spirulina, super-food a sostegno della fame del mondo di Enrico Palacino

Scelta da CookingLight come l’alimento che ha caratterizzato il 2016, la Spirulina rappresenta una valida alternativa ad alcuni cibi convenzionali. L’ONU sta sostenendo la sua diffusione come possibile soluzione alla fame nel mondo. E’ molto probabile che la Spirulina sia diventata nota al grande pubblico non perché nominata nel 1974 “Cibo del Futuro” dalla Conferenza Mondiale dell’Alimentazione dell’ONU, o perché nel 2008 è stata inserita dall’OMS tra gli alimenti più adatti a garantire la sicurezza alimentare, ma perchè è stata inclusa nell’alimentazione degli astronauti durante le missioni spaziali negli anni ‘90. Da quel momento ha iniziato, infatti, a diffondersi come integratore alimentare in tutto il mondo. La Spirulina è considerata non solo un super alimento ma addirittura il miglior alimento disponibile sul Pianeta. Possiede, infatti, tre volte le proteine della carne, trentaquattro volte il ferro degli spinaci, otto volte il calcio contenuto nel latte, venti volte il beta-carotene delle carote e una lunga serie di antiossidanti, vitamine, sali minerali, Omega 3 e Omega 6. La Spirulina non è in realtà un’alga ma dei cianobatteri (antichissimi organismi a metà tra batteri e alghe) che contengono clorofilla, quindi capaci di trasformare l’energia solare in nutrimento. Vivendo in colonie i cianobatteri assumono una forma a spirale e da questo il caratteristico nome. Già gli aztechi ne conoscevano le proprietà e ancora oggi alcune tribù africane ne tramandano il segreto. Le incredibili potenzialità di questo alimento lo rendono uno dei candidati più validi alla soluzione della fame nel mondo. Le Nazioni Unite hanno infatti supportato la creazione di un Organismo specifico, l’IMSAM, che supporta e coordina la cooperazione nel campo della ricerca scientifica e l’uso umanitario della micro-alga Spirulina come cibo. La finalità di quest’Istituzione è di raggiungere gli obiettivi ONU di sviluppo sostenibile e di contrasto alla malnutrizione (2015 – 2030). Come afferma Ashley L. Zeik, Delegato IMSAM: “Ho personalmente assistito alle cose meravigliose che il consumo di Spirulina può fare per malati gravi e malnutriti. Basta un grammo di Spirulina al giorno per portare un bambino gravemente malnutrito a stare bene, e questo può essere fatto in poche settimane. La cosa veramente significativa di quest’alga meravigliosa è il fatto che la sua crescita e la sua la coltivazione sia conveniente ed efficiente. Ci vorrebbero più di 100 acri di terreno per produrre la stessa quantità di proteine da carne, che può essere fornito da solo un acro di Spirulina. Immaginate il potenziale... La coltivazione è un processo semplice, e il costo di una vasca in grado di produrre 150 grammi di Spirulina al giorno si aggira sui 500 euro”.

Per questo la Spirulina è un cibo estremamente sostenibile e molto nutriente che potrebbe venire incontro alle esigenze future di un Pianeta con tante persone e poche risorse. Anche il confronto sul consumo idrico è completamente a suo favore: per ottenere la stessa quantità di proteine nella carne serve un utilizzo d’acqua cinquanta volte superiore e ogni chilogrammo di Spirulina prodotta ne cattura due di anidride carbonica dall’atmosfera. Inserita tra gli alimenti che hanno caratterizzato il 2016 da CookingLight (nota rivista di cucina), non è un caso che la fama della Spirulina continui a crescere non solo tra i vegetariani, ma anche tra gli sportivi e tra chi ha un regime dietetico (sia ipo che iper-proteinico). Nello specifico questo alimento contiene fino al 70% di proteine ad alto valore biologico: sono presenti tutti gli aminoacidi essenziali (valina, leucina, isoleucina, lisina, treonina, fenilalanina, metionina e triptofano). Tra i pigmenti benefici ci sono il beta-carotene, Xantofille, Zeaxantina e Ficocianina. I grassi contenuti nella Spirulina sono grassi buoni, cioè quelli che contrastano il colesterolo, gli acidi grassi che compongono questi lipidi sono mono e poli insaturi (Omega 6 e 3) e sono quelli essenziali poiché il corpo non li sintetizza e devono essere assunti con il cibo.

Le vitamine contenute sono tante: tra le più importanti ci sono la E, quelle del gruppo B [B1, B2, B3, B6, B9 (acido folico) e B12] e la vitamina C. Oltre ai carboidrati è contenuto anche ferro, magnesio, potassio, iodio, calcio e sodio. Inoltre, per la grande quantità di proteine e vitamine che contiene, la Spirulina ha una rilevante importanza come ricostituente ed è ottima nelle diete dimagranti grazie alla fenilalanina contribuisce alla sensazione di sazietà. La Spirulina ha inoltre una funzione disintossicante e antiossidante. In natura la Spirulina è presente in pochissime zone con condizioni uniche: temperature elevate e costanti, forte alcalinità dell’acqua e grandi concentrazioni di sali minerali. I pochi luoghi in cui possiamo trovarla sono solo i laghi vulcanici del Centro America e dell’Africa. Oggi viene coltivata soprattutto in Asia, ma molte aziende hanno capito il valore nutrizionale ed economico di questo alimento e hanno iniziato a produrlo anche in Italia. Tra i precursori c’è Sant’Egle, un’azienda agricola biologica che per prima ha coltivato la Spirulina. C’è MicrOlife che vanta una certificazione biologica nella produzione di Spirulina e la giovane ApuliaKundi che dal 2012 produce in provincia di Bari.


ALIMENTAZIONE

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Allergie e intolleranze alimentari: “Metodi fai da te pericolosi. Meglio rivolgersi agli specialisti”

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L’aumento di forme allergiche e intolleranze dovute alla moderna alimentazione spinge migliaia di persone ad adottare diete basate su informazioni poco attendibili con conseguenti rischi per la salute. Argomento dibattuto quotidianamente da milioni di italiani, su cui spesso aleggia uno strato di cattiva informazione e false leggende: per cercare di fare luce sul mondo delle allergie e delle intolleranze alimentari abbiamo contattato il professor Domenico Schiavino, Direttore del servizio di Allergologia del Policlinico Agostino Gemelli e docente presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Professore, qual è la reale incidenza delle allergie alimentari in Italia? Circa il 30% della popolazione ritiene che un alimento o più di un alimento sia responsabile di alcuni disturbi: c’è chi parla di dolori addominali, chi di aumento del volume dell’addome, sensazione di prurito, cefalee, malesseri vari, etc. Quando poi si fa l’esame allergologico si vede che soltanto lo 0,5-1% della popolazione adulta e il 6-7% di quella infantile ha un risultato positivo. Tutto ciò che non è dimostrabile con i test diagnostici ufficiali finisce nel calderone delle intolleranze alimentari. Se c’è un’allergia bisogna stare molto attenti perché si può finire in ospedale; non a caso le reazioni allergiche sono la causa del maggior numero di accessi nei pronto soccorso di tutto il mondo. Un mondo amplissimo, quello delle intolleranze, in cui è difficile orientarsi. Delle diverse forme d’intolleranze alimentari riconosciamo 3 gruppi: quello che affligge persone con un deficit enzimatico,

MENSILE Anno 1 - N° 3 MARZO 2017

ALIMENTAZIONE

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BENESSERE

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COSMESI

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MOBILITÀ SOSTENIBILE

6-7

ITALIA SOSTENIBILE

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RICICLO

12-13

START-UP

14-15

BIODIVERSITÀ

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PRIMAVERA e NATURA

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RUBRICA VEGAN OK

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IL SOMMARIO

7 min

un gruppo che chiamiamo del tipo farmacologico e uno che chiamiamo “indefinito”. Per fare un esempio, coloro a cui manca la lattasi soffrono di un deficit enzimatico. In tali individui, per cause congenite o dopo una gastroenterite, la mucosa intestinale non è più in grado di produrre lattasi, l’enzima che scinde il lattosio (uno degli zuccheri più comuni nella nostra alimentazione) in galattosio e glucosio, e la mancata scissione lascia intera la molecola del lattosio, molto voluminosa, che ha un effetto irritante sulla parete intestinale. Altri soggetti, invece, hanno particolare sensibilità ad alcune sostanze chimiche contenute in maniera naturale negli alimenti, come per esempio l’istamina o la tiramina: in questo caso si parla d’intolleranza farmacologica. Fragole, cioccolato, alcuni tipi di pesce dal sapore molto forte o quello conservato a lungo, i formaggi fermentati o piccanti, sono tutti ricchi di queste sostanze. La terza categoria d’intolleranze alimentari è quella che chiamiamo di tipo indefinito perché possono causare una serie di reazioni di difficile spiegazione. Tra i responsabili di tali reazioni ci possono essere gli additivi alimentari. Non ci sono, però, test diagnostici per verificare un’allergia dal sospetto di un’intolleranza agli additivi. L’unica cosa che si potrebbe fare sono i test di provocazione orale, ma nel mondo ci sono oltre 3 mila additivi autorizzati nell’industria alimentare, in Europa oltre 900, per cui è praticamente impossibile fare tali test. Quando non troviamo un’allergia, un deficit enzimatico, una ricchezza di sostanze farmacologicamente attive nell’alimentazione del paziente, possiamo immaginare un disturbo di questo tipo e consigliare una dieta con alimenti molto naturali, poveri di additivi alimentari. Come si “scoprono” le allergie? Abbiamo una diagnosi di certezza con i test cutanei, l’analisi del sangue per il dosaggio degli anticorpi specifici, i test di attivazione dei basofili e con il test di provocazione orale specifico. Questa diagnosi non è semplice e neanche è eseguibile da tutti i centri allergologici italiani. Questo perché quando si fa un test di provocazione si possono avere dei disturbi seri e quindi la struttura sanitaria deve avere una elevata competenza negli operatori allergologici e soprattutto la disponibilità del coinvolgimento delle Unità di Rianimazione nei casi di particolare severità. Prima dei test di provocazione è sempre buona norma eseguire una dieta di esclusione allontanando l’alimento sospettato: in questo periodo, se l’alimento è coinvolto, il paziente diventa asintomatico. E i test “fai da te” che si trovano in farmacia? Tutto ciò che si trova ormai addirittura nei supermercati, i vari test per la valutazione delle intolleranze sono destituiti da qualsiasi fondamento scientifico; in mani esperte questi test possono essere una chiave per indurre il paziente a eseguire una dieta di eliminazione. Molte volte, però, sono lasciati in mano ai pazienti, e questo può indurre errori di valutazione e autoprescrizioni dietetiche prive di ogni significatività. Non immagina quante persone fragili ci sono; quanti, usando simili strumenti, si creino un problema per tutta la vita. Obesità e allergie alimentari, un binomio che a volte sentiamo nominare... Questa è una storia vecchia! E’ da 15 anni che si dice: “Sei grasso, quindi bisogna capire che intolleranza hai”, ma è una cosa che non esiste. Chi soffre di obesità, o mangia troppo oppure ha una disfunzione ormonale, ma con le intolleranze alimentari non c’è assolutamente nessuna correlazione. Spesso si sente dire che il numero di persone affette da allergie alimentari sia in crescita... Questo è vero. Rispetto agli anni ‘70 sono in aumento, così come le allergie respiratorie: per il semplice fatto che con l’alimentazione di tipo industriale danneggiamo le nostre mucose. Oltre il 92% di quello che mangiamo contiene additivi; alcuni di essi danneggiano la superficie delle mucose gastriche e intestinali consentendo un maggiore passaggio delle molecole allergeniche alimentari dall’intestino nella sottomucosa, dove vengono immesse all’interno del flusso sanguigno. Alla stessa maniera aumentano le allergie respiratorie perché l’aria che respiriamo forma dei “buchi” nelle nostre mucose polmonari che sono coperte da un sottile film liquido protettivo di anticorpi, chiamati IgA secretorie; così gli allergeni passano nella sottomucosa e nel sangue inducendo la produzione di anticorpi nei soggetti predisposti.

Allergie alimentari e intolleranze sono frutto di predisposizione genetica? Non sono ereditarie; non ci sono studi che confermino simili teorie. C’è una certa tendenza familiare alla predisposizione all’allergia in generale, a produrre molti anticorpi IgE, che sono gli anticorpi dell’allergia. Parliamo di una familiarità delle allergopatie ma non di una trasmissione genetica. Glutine, lattosio, etc., meglio evitarli quando esiste un problema conclamato o sono da eliminare a prescindere, così da prevenire eventuali disturbi? No, per carità. Veniamo a scoprire disturbi legati all’assunzione di glutine più frequentemente perché oggi ci si pensa e 10 anni fa ci si pensava molto meno. Una raccomandazione da fare è di non mettersi mai spontaneamente a dieta senza glutine, qualunque sia il disturbo che vogliamo curare, perché così non sapremo mai se siamo celiaci o no. Se si ha un sospetto, bisogna fare esami del sangue e gastroscopia per vedere se si ha un danneggiamento dei villi intestinali del digiuno e del duodeno. Ma se ci si è già messi a dieta, gli esami indicheranno sempre valori normali. Anche per quel che riguarda il lattosio bisogna rivolgersi a persone esperte per capirne di più: bisogna sapere, ad esempio, che lo yogurt magro contiene miceti, muffe e batteri che producono essi stessi la lattasi, l’enzima che digerisce il lattosio, per cui assumendolo beviamo anche miceti e batteri, (che non sono dannosi per l’organismo) e non ci viene il mal di pancia; così come nei formaggi invecchiati, come il parmigiano, dopo 24 - 36 mesi, la molecola del lattosio si scinde da sé e non crea più nessun problema. Anche chi ha un’intolleranza al lattosio conclamata, non è detto che non possa permettersi di mangiare una mozzarella: a seconda della persona ci sarà chi sta male dopo aver mangiato 10 grammi di mozzarella e chi ne potrà mangiare benissimo 70, ma arrivato anche solo ad 80 comincia ad accusare disturbi. Bisogna conoscersi e non avere paura perché queste forme d’intolleranza non sono pericolose per la vita. Il segreto è informarsi correttamente e avere una conoscenza approfondita... Sì, ma non è una cosa semplice; il consiglio è sempre quello di rivolgersi a persone esperte e competenti nella materia e non prendere decisioni in maniera spontanea senza una guida.


BENESSERE

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Malanni di fine stagione? Rafforziamoci con la propoli Sostanza prodotta dalle api, viene da sempre usata in medicina e fitoterapia per le sue qualità antivirali, immunostimolanti e antibatteriche.

Il freddo sembra non finire. Per difenderci dai malanni anche in questi momenti di instabilità stagionale abbiamo preso spunto dal comportamento degli animali: tra questi, le api, per la loro naturale tendenza alla socialità, rappresentano da sempre un riferimento. Questi insetti utilizzano una sostanza autoprodotta per proteggere l’alveare, la loro “città”, rinforzare i punti d’ingresso, rendere solide le celle e intrappolare i predatori nel caso di aggressione: stiamo parlando della “propoli”, che da questa funzione protettiva prende il nome (dal greco: pro “davanti” e polis “città”).

Impossibile da usare nello stato in cui viene prodotta dalle api, che la ottengono impastando gemme e resina con polline ed enzimi ottenendo un composto estremamente duro, la propoli deve subire dei trattamenti prima di essere trasformata in compresse o in forma liquida. Conosciuta fin dagli antichi egizi, è da sempre utilizzata in medicina, fitoterapia ed erboristeria per le sue qualità antivirali, antibatteriche e immunostimolanti, ma trova impiego anche come antimicotico, antiossidante e analgesico. In pochi, però, sanno che la propoli, essendo una gommoresina, è sconsigliata per soggetti allergici o asmatici, oltre che per vegani (è pur sempre un derivato animale). “Come alternativa si possono usare prodotti a base di echinacea, rosa canina o salix alba, sostanze ideali per combattere i malanni tipici della stagione fredda”: ci spiegano i titolari del minimarket BioCity, una garanzia di qualità e competenza quando si cercano prodotti naturali per la cura e il benessere della persona, ma anche per tutto ciò che riguarda l’alimentazione sana o la cosmesi bio. “Per quanto riguarda la ‘propoli’ usiamo le sue sostanze funzionali (polifenoli e flavonoidi) negli spray per gola e naso, per estratti idroalcolici o a base di sola acqua e glicerina nel caso siano destinati ai bambini - continuano gli addetti di BioCity -, ma anche per impieghi esterni contro infiammazioni della pelle, acne o herpes, mentre per le infezioni gengivali e della bocca in generale si possono fare sciacqui con tintura

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madre diluita nell’acqua”. Importante sapere che un trattamento naturale a base di questa sostanza, perché possa agire sul sistema immunitario, deve durare almeno un mese, con assunzione quotidiana di estratti in gocce, sciroppi o pasticche. Biocity è in Via Eroi di Rodi 212, a Spinaceto

“Con l’Antiginnastica ho riscoperto il mio corpo”

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di Lucrezia Zazzera

Il racconto dell’ex ballerina e del suo approccio alla pratica di benessere fondata da Thérèse Bertherat: “Un metodo rivoluzionario, parallelo a quello sperimentato da Pina Bausch nella sua teatro-danza”.

Negli anni ’80, vivevo a Parigi ed ero una danzatrice. Non ricordo più come, mi sono ritrovata tra le mani “Guarire con l’Antiginnastica” di Thérèse Bertherat. Dopo aver letto il libro, l’ho contattata e ho cominciato a seguire delle sedute di Antiginnastica con una sua assistente. Attraverso la danza, pensavo di conoscermi a fondo, un po’ alla volta mi sono resa conto che così non era. Sono rimasta affascinata da questa

ricerca sul corpo, dall’approccio così personale e intimo. Nell’accezione comune, un’attività fisica presuppone un “fare”, un obiettivo da raggiungere. Qui, più che un fare, è un lasciar fare. L’attenzione puntuale alla struttura anatomica e fisiologica si rifà alle scoperte biomeccaniche di Francoise Mezieres con cui la Bertherat ha a lungo collaborato. Siamo chiamati a essere performanti ogni giorno, sul lavoro, nella vita famigliare, nel tempo libero. Nell’Antiginnastica non v’è alcuna richiesta di performance, non c’è un far bene o un far male. Ognuno fa quello che può con le proprie modalità e i propri tempi. E’ una pedagogia del corpo, si impara a conoscerlo dall’interno attraverso piccoli e precisi movimenti, mai ripetitivi e meccanici. Un po’ alla volta si ritrova l’ampiezza del proprio respiro naturale, si capisce come le varie parti del corpo siano collegate tra loro. Si lavora su tutto il fisico prendendo in esame i muscoli, dai più grandi ai più piccoli, dimenticati o addormentati. Andando a rimuovere le tensioni muscolari può succedere che anche quelle emotive si allentino portando benessere a tutto il corpo, così anche il tono vitale migliora, l’energia circola più liberamente e si è più disposti al sorriso.

Nel corso degli anni e, soprattutto, durante la formazione che mi ha portata a diventare una esperta certificata di Antiginnastica, ho avuto modo di scoprire molte analogie tra il lavoro di Thérèse Betherat e quello di Pina Bausch, ballerina e coreografa tedesca, mio punto di riferimento artistico e personale. Due pioniere che, lavorando nello stesso periodo storico, hanno sperimentato un approccio alla vita fatto di corpo, emozioni, ricordi e sentimenti che convivono in ognuno di noi in maniera unica. “L’Antiginnastica è una pratica rivolta a chiunque possegga un corpo”, diceva Thérèse Bertherat. Venendo dal mondo artistico posso dire che questo straordinario metodo può essere molto efficace anche per tutti coloro che, per motivi professionali, si esprimono attraverso il corpo, uno strumento fondamentale, tra gli altri, per danzatori, attori e musicisti. Lucrezia Zazzera - Tel 335 413606 Simona Lucarini - Tel 338 4880353 Marilina Lavecchia - Tel 329 0926524 - Castelli Romani www.antiginnastica.com

Tai Chi Chuan: benessere psico-fisico alla portata di tutti

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di Alessandro Caloprisco

Nata come arte marziale, il Tai Chi Chuan è uno straordinario strumento per ritrovare il benessere del corpo e della mente. Praticabile da tutti, e a qualsiasi età, può essere utile anche per risolvere particolari problemi di salute. Ho iniziato con il Tai Chi circa nove anni fa, incuriosito nel vedere in televisione masse di cinesi che praticavano questa disciplina nelle piazze, nei parchi, lungo i fiumi, con movimenti lenti, fluidi, armoniosi. Ho avuto la fortuna di assistere a una dimostrazione fatta dall’Associazione Tai Chi Taoista (www. taichitaoista.it) - che ha sedi in diversi Paesi nel mondo - che mi ha spinto a frequentare assiduamente. Il Tai Chi può essere praticato come arte marziale o essere indirizzato al benessere del corpo e dello spirito. E’ questo secondo aspetto che mi ha sempre interessato. Per le sue modalità, può essere praticato da chiunque a qualunque età e, grazie a sezioni specializzate, essere addirittura utile per il recupero di particolari problemi di salute (come ad es. in persone affette dal morbo di Parkinson). Non è necessario indossare abiti particolari – basta che siano comodi – con scarpe da ginnastica o di pezza. Si pratica in

piedi, consapevoli che sta per iniziare un percorso di benessere fisico e mentale, possibilmente all’aria aperta e vicino all’acqua. Il Tai Chi viene definito anche come meditazione in movimento in quanto la concentrazione sui movimenti da eseguire, e la loro sequenza, consente di liberarsi dallo stress. Si crea quindi un flusso energetico benefico che rilassa la mente e si diffonde nel corpo migliorando la postura, la circolazione, l’elasticità. L’apprendimento avviene copiando i movimenti che l’istruttore

mostra per tre volte e che poi vengono ripetuti insieme. Nelle lezioni successive si ripetono i movimenti appresi e se ne aggiungono altri, fino a eseguire la sequenza completa di 108 movimenti (la forma) che di norma si apprende in tre mesi. Ciascun movimento ha un nome suggestivo che aiuta a eseguirlo: portare la tigre alla montagna, accarezzare la criniera del cavallo selvaggio, la gru bianca distende le ali... Trascorsi i tre mesi si approfondiscono i singoli movimenti e i concetti di distensione e rilassamento della colonna vertebrale, di allungamento, equilibrio. Importanti sono la direzione dei piedi, del corpo, tenere le spalle rilassate, i gomiti bassi, il movimento delle mani che sono sempre vive e guidano, spingono, ruotano... attivando strutture ossee e canali che di solito vengono trascurati. Per questi motivi il Tai Chi è considerato anche un ottimo rimedio per l’osteoporosi. La pratica continua del Tai Chi fa sì che, senza averne coscienza, si utilizzino nella vita quotidiana le posture acquisite: mentre andiamo in autobus, quando siamo seduti al computer, quando saliamo le scale... Essere rilassati con le ginocchia un po’ flesse, allentare le tensioni muscolari, avere un buon equilibrio, allevia i dolori e ci fa vivere meglio e più a lungo.


COSMESI

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Cheratina vegetale: l’ultimo ritrovato per la cura dei capelli Frutto della ricerca cosmetica bio, la cheratina vegetale viene estratta dalla lavorazione del grano e della soia. Un prodotto innovativo, conosciuto solo da pochi esperti.

Cos’è la cheratina vegetale e perché è da preferire a quella di origine animale? Per saperne di più ci siamo rivolti a Paolo Antonetti, parrucchiere professionista e titolare del salone di bellezza Cypro’s dove, da oltre 10 anni, ha scelto di accantonare i prodotti di derivazione petrolchimica per affidarsi a sostanze naturali ottenute con lavorazioni biologiche. Paolo, perché ha scelto di usare la cheratina vegetale invece di quella animale? La cheratina di origine animale è ottenuta tramite l’utilizzo di crine, corni, zoccoli e unghie di animali mischiati con sostanze chimiche e sigillati con la piastra sul capello. Questa sostanza ha un risultato “filmico” sui capelli, li riveste, ma crea un effetto solo temporaneo: chi la usa vede il capello lucido lì per lì, ma non lo nutre; anzi, visto l’utilizzo di silicone, nel tempo, il capello perde tutta la sua capacità assorbente.

“Per molti disturbi non v’è medicina che agisca con altrettanta efficacia e facilità come l’argilla”, così scriveva l’abate Sebastian Kneipp, tra i principali fautori, nell’800, della riscoperta dell’idroterapia. L’uso di fanghi e argille per trattamenti di benessere o cosmetici ha una storia millenaria, ben testimoniata al giorno d’oggi dalla grande diffusione sul mercato di prodotti a base argillosa. Ma cos’è esattamente questo straordinario materiale? E quante sono le tipologie d’argilla in commercio e le loro qualità? Quando parliamo d’argilla parliamo di terre complesse, sistemi di minerali risultanti dai sedimenti depositati per effetto dell’erosione di rocce antiche. In tali composti, gli elementi che conferiscono all’argilla alcune delle sue qualità benefiche, soprattutto antinfiammatorie e cicatrizzanti, sono il silice e l’alluminia. A loro volta, silice e alluminia sono combinati con altri minerali, quali titanio, manganese, calcio, potassio, argento, ferro, mercurio, oro, piombo, rame e stagno (gli ultimi 7, i cosiddetti metalli pesanti, sono presenti in tutte le argille) in dosi tanto piccole da essere considerate omeopatiche e capaci di aumentare le capacità curativo benefiche dell’argilla. Due caratteristiche essenziali per classificare un composto nel novero delle argille sono la dimensione dei granelli (che deve essere finissima, non superiore ai due millesimi di millimetro per granello) e la capacità degli stessi di divenire una pasta facilmente modellabile aggiungendo piccole quantità d’acqua. Basse percentuali di calcare, sabbia e gesso da una parte e alte concentrazioni di silice (almeno intorno al 40%) e di alluminia

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questi tre amminoacidi, arginina HCI, serina e treonina, che “imitano” i rapporti funzionali delle sostanze presenti nella cheratina umana e riescono quindi concretamente a ricostituire la struttura cheratinica. Nello specifico: l’arginina rafforza e potenzia le fibre, la serina condiziona e idrata i capelli mentre la treonina riequilibra la proteina del capello. Quando fare un trattamento di ricostruzione? Ogni volta che si vuole fare un trattamento tecnico, diciamo “aggressivo”, come le meches, i colpi di sole, la permanente. Facciamo una diagnosi e, grazie alla ricostruzione con cheratina vegetale, riportiamo il capello alla sua forma naturale.

Con la cheratina vegetale invece... Il risultato è completamente diverso: la cheratina vegetale è composta da 3 amminoacidi identici a quelli contenuti nei capelli umani. Questa analogia permette al trattamento di penetrare all’interno del capello, di nutrirlo, combinando l’effetto cosmetico con quello curativo.

Affidarsi al “fai da te”, ai prodotti reperibili sugli scaffali dei supermercati? I prodotti acquistabili nella grande distribuzione permettono una ristrutturazione solo apparente del capello, ma a lungo andare danno l’effetto opposto. Quando si parla di cura e benessere del proprio corpo è sempre meglio affidarsi a mani esperte: da Cypro’s sappiamo come usare la cheratina vegetale in tutti quei trattamenti di ricostruzione inseriti nei nostri rituali di bellezza.

Di quali amminoacidi stiamo parlando? La cheratina vegetale nasce dalle ricerche cosmetiche che hanno rintracciato nel fagiolo della soia e nel germe di grano

Cypro’s Hair Beauty - Bio Parrucchiere Estetica Via Cipro 64, Roma Tel. 06 3972 2790

Le straordinarie qualità depurative della Bentonite Si tratta di una particolare varietà di argilla, ideale per disintossicare l’organismo, che assorbire tossine e funge da stimolante per il sistema immunitario.

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(circa il 10%) sono garanzie di un prodotto di qualità in termini cosmetici e curativi. A seconda della composizione troviamo diverse tipologie di argille: l’argilla bianca o caolino (48% di silice e 28% di alluminia), particolarmente indicata come antisettico, rimineralizzante e per uso interno (combatte fermentazioni, intossicazioni e infezioni intestinali); l’argilla verde o montmorillonite, (50% di silice e 10% di alluminia), la più comune e facilmente reperibile in commercio, dotata di grande capacità assorbente, ma di scarse proprietà antibatteriche (viene usata soprattutto per i disturbi della pelle); l’argilla tedesca o Luvos, di colore grigiastro, indicata per uso interno e per combattere acidità e infiammazioni intestinali. Tra queste sta prendendo sempre più piede la Bentonite, una particolare argilla presente solo in alcune parti del mondo, che combina le qualità dell’argilla bianca con quelle dell’argilla verde. Si tratta del prodotto ideale per chi intende depurarsi o disintossicarsi. La Bentonite, infatti, possiede straordinarie qualità assorbenti. Grazie ai suoi minerali a carica negativa, la Bentonite attrae le tossine a carica positiva e le cattura al suo interno. In questa maniera depura l’organismo di tossine, metalli pesanti, radioattività in eccesso, ma anche virus patogeni, aflatossine, pesticidi ed erbicidi, come evidenziato da un recente studio pubblicato sul Canadian Journal of Microbiology. Non solo, la particolare struttura della Bentonite, se usata come cosmetico sulla pelle, favorisce la penetrazione dei principi attivi, cosmetici o medicamentosi, mentre ingerita, oltre ad assorbire tossine ed elementi dannosi, rilascia parte dell’ossigeno contenuto nelle sue molecole e funge da stimolante per il sistema immunitario. E ancora, la Bentonite risulta utilissima per curare o alleviare

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i sintomi d’intossicazioni alimentari, coliti, infezioni virali, parassiti, artrite, cataratta, neuropatia diabetica, ferite, diarrea, stipsi, ulcere, eruzioni cutanee, danni muscolari, tunnel carpali, lividi e tagli, eczemi, psoriasi e infezioni batteriche. Grossa parte dei prodotti a base di argilla Bentonite presenti sul nostro mercato impiegano polveri provenienti dal Nord America e in particolare dal Canada. Tra i produttori europei più prossimi al nostro Paese troviamo Ekolife Natura che utilizza solo ed esclusivamente le pregiate argille slovene, tra cui appunto la Bentonite. Sul sito ekolifenatura.it è possibile trovare confezioni di argilla raffinata utile per impacchi, trattamenti rilassanti e depurativi o per tutti quei trattamenti, compresi quelli per uso interno, in cui questo straordinario prodotto ha dimostrato d’essere un vero toccasana.

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MOBILITÀ SOSTENIBILE

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Il ruolo strategico della logistica sostenibile

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di Paolo Serra

Il trasporto e la consegna delle merci in ambito urbano hanno contribuito in maniera notevole all’aumento dei problemi sociali e ambientali legati al traffico veicolare e all’inquinamento atmosferico. Ogni cittadino provoca uno spostamento annuale dalle 30 alle 50 tonnellate di merci. La Direzione Generale per le imprese e l’industria della Commissione Europea ha valutato che un terzo dell’energia prodotta sul pianeta Terra è utilizzata per la mobilità di merci e persone: si può perciò assumere che almeno un terzo delle emissioni climalteranti sia attribuibile ai trasporti viaggiatori e alla logistica delle merci. L’avverbio almeno è giustificato dal fatto che i mezzi mobili producono, a parità di energia consumata, un inquinamento maggiore rispetto agli impianti fissi. La ricerca di migliori condizioni di vita (lavoro, relazioni, formazione, imprenditoria, cultura, trasporti, sanità) ha provocato un progressivo trasferimento della popolazione e delle risorse dalle aree rurali a quelle urbane. Tuttavia la crescita degli agglomerati urbani genera altri problemi che stanno mettendo in crisi tale aspettativa, soprattutto nelle grandi metropoli (congestione del traffico, qualità dell’aria, salute, sicurezza, etc.). Circa il 50% (3,5 milioni) della popolazione mondiale vive in aree urbane, in Europa tale percentuale sale al 75% e nel 2020 si prevede che raggiungerà quota 80%. Il 75% dell’energia mondiale viene consumata in ambito urbano. La logistica è una delle grandi problematiche che le città di oggi devono affrontare. Secondo diversi studi condotti in questo millennio in alcuni centri urbani europei, una città

subisce: in numeri da 300 a 400 viaggi di veicoli merci ogni 1000 abitanti al giorno; in quantità da 30 a 50 tonnellate di merci per persona all’anno. Il trasporto e la consegna delle merci in ambito urbano hanno contribuito in maniera notevole all’aumento dei problemi sociali e ambientali legati al traffico veicolare e all’inquinamento atmosferico. Promuovere una logistica sostenibile nelle città rappresenta pertanto un obiettivo primario per la società contemporanea. Il traffico delle merci nelle grandi metropoli provoca un terzo dell’inquinamento; tale percentuale è destinata ad aumentare con la parcellizzazione delle consegne in ambito cittadino legata all’e-commerce, di cui è facile prevedere un sensibile aumento, tenendo conto che la sua diffusione attuale colloca l’Italia su valori intorno al 50% della media dei Paesi sviluppati. Il flusso delle merci negli agglomerati urbani ha una peculiarità: entrano prodotti ed escono rifiuti. Il progressivo diffondersi dell’Economia Circolare avrà come conseguenza che la raccolta e l’avvio al trattamento dei rifiuti speciali in genere, e in particolare di quelli tecnologici che sono parcellizzati per natura, provocherà un traffico che si aggiungerà a quello della normale catena di fornitura nei centri urbani, degradandone ulteriormente la vivibilità. In altre parole al tratto finale del flusso della logistica distributiva, detto in gergo “Ultimo miglio”, si sovrapporrà quello del “Primo miglio”, inteso come tratto iniziale del processo di recupero e riciclo. Per limitare gli effetti climalteranti del traffico veicolare il metodo classico è l’adozione di mezzi di trasporto a ridotto o nullo impatto ambientale. Esso tuttavia risolve il problema delle emissioni, ma non consente di diminuire il numero dei mezzi circolanti, lasciando inalterato il disturbo del traffico

Eco Helmet: il casco da bici in carta riciclata che si ripiega come un libro Ideato da un gruppo di designers statunitensi, grazie alla particolare struttura a nido d’ape garantisce una resistenza agli urti pari a quella dei tradizionali elmetti di polistirolo. Un casco di carta riciclata, leggerissimo e resistente, che all’occorrenza si ripiega come un libro, per essere riposto in borsa o nello zaino senza occupare spazio: l’idea geniale viene da un gruppo di designers americani fondatori del progetto Eco Helmet. L’intuizione nasce dalla constatazione che molti degli utenti che utilizzano il bike sharing per i propri spostamenti urbani non portino con sé il casco e si sentano quindi poco sicuri in strada: di qui, l’idea di creare un elmetto poco ingombrante, ecologico e riutilizzabile da prelevare in apposite colonnine erogatrici posizionate negli sharing points. La particolare struttura radiale a nido d’ape conferisce al caschetto una resistenza agli urti pari a quella dei tradizionali in polistirolo: “La composizione di Eco Helemet - spiegano i progettisti - consente la dispersione degli urti provenienti da qualsiasi direzione e assicura l’incolumità dei ciclisti”.

veicolare e degli inevitabili ingorghi ad esso legati. Ma esiste un altro metodo, anche se più impegnativo, che moltiplica gli effetti del primo: l’ottimizzazione del coefficiente di riempimento dei mezzi di trasporto. Esso è capace di creare, oltre alla riduzione delle emissioni, anche quello snellimento di traffico di cui le città hanno disperatamente bisogno per essere vivibili. Statistiche attendibili (Fondazione ITL Bologna) denunciano che in Italia il 32% dei piccoli e il 43% dei grandi autocarri viaggiano vuoti. In una battuta, cara a Giovanni Leonida, la merce più trasportata è l’aria. Circa il trasporto persone non occorre neppure sviluppare statistiche, basta contare la media degli occupanti delle auto che incrociamo giornalmente. Da ciò si può facilmente intuire quanto potrebbe valere per la sostenibilità ambientale l’aumento, anche se solo di dieci punti percentuali, del coefficiente di riempimento dei mezzi di trasporto e dei magazzini (a proposito: pochi sanno che climatizzare un magazzino pieno è meno costoso di quando è vuoto): si abbatterebbero le emissioni climalteranti, si ridurrebbero i mezzi circolanti e le congestioni viarie. E ciò senza dover sopportare alcun costo ambientale, producendo anzi effetti collaterali virtuosi, come ad esempio la minor usura dei mezzi di trasporto. Il motivo per cui a Parigi, in occasione del COP21 dello scorso novembre, non si sia trattato di questo argomento, dovendo escludere l’ottusità dei partecipanti, non può che risiedere nella convinzione generale che la dissaturazione dei mezzi e dei magazzini sia fisiologica e quindi ineludibile. Posso affermare che questo non è vero. Se qualcuno vuol sapere come si può raggiungere quest’obiettivo, può seguire i miei prossimi articoli su “Vivere Sostenibile Roma”.

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L’utilizzo di carta riciclata, che gli ideatori assicurano sia anche resistente all’acqua, garantisce l’ecosostenibilità del prodotto: mentre i tradizionali caschetti di polistirolo impiegano oltre 500 anni per biodegradarsi (e alcune delle loro componenti non si decompongono mai completamente) gli Eco Helmet possono essere recuperati al termine dell’utilizzo e fornire materia prima per creare nuovi elmetti. Particolare da non sottovalutare, l’elasticità della struttura permette l’adattamento in diverse dimensioni, garantendo il giusto comfort e aderenza per qualsiasi testa. Un elmetto smart che non trascura l’aspetto della sicurezza: passato per gli stress test cui devono sottoporsi tutti i caschi da bici messi in commercio ha ottenuto il via libera alla commercializzazione dalla Consumer Product Safety Commission del Governo degli Stati Uniti. Il lancio sul mercato internazionale, sia tramite colonnine presso gli sharing point che nei negozi o tramite e-commerce, è previsto entro la primavera del 2017. I costi dovrebbero essere molto contenuti: si parla, al momento, di meno di 5 euro per elmetto, prezzo che permetterebbe di tenere a portata di mano più Eco Helmets, in caso di necessità.


MOBILITÀ SOSTENIBILE Ancora incertezze sul futuro del GRAB

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di Davide Iannotta

Il progetto del Grande Raccordo Anulare delle Bici, inserito nella Legge di stabilità, è ormai prossimo a partire: ma dal Campidoglio sembrano arrivare segnali di un ridimensionamento della qualità dell’opera.

“La relazione tecnica ci spiega che il Comune vuole fare una pista ciclabile di 45 km. Non che vuole fare la ciclovia più bella del mondo, come molti l’hanno ribattezzata, né un intervento a favore di tutta la popolazione, anche quella che in bici non ci va mai”, così Alberto Fiorillo, Responsabile Aree Urbane di Legambiente e coordinatore del progetto Grande Raccordo Anulare delle Bici, commenta il recente invio da parte del Campidoglio della documentazione preliminare del Grab al Ministero dei Trasporti. Sulla carta, si tratta di un anello ciclopedonale all’interno della città, completamente pianeggiante, per 2/3 sviluppato lungo vie pedonali e ciclabili, ville storiche e argini fluviali, solo per 15 km su strade attualmente destinate alla viabilità ordinaria, tra cui alcune a traffico intenso: un progetto ambizioso presentato alcuni anni fa che sul finire del 2016 ha visto l’accelerazione decisiva con l’inserimento all’interno della Legge di stabilità e la firma del protocollo d’intesa tra Roma Capitale e MIT. “Ci sono aspetti di questa relazione tecnica che sembrano andare nella direzione della progettualità che abbiamo individuato - spiega Fiorillo - Quello che manca è tutto il tema dell’accessibilità e la pedonalizzazione del percorso archeologico che dal Colosseo dovrebbe raggiungere l’Appia Antica: punto che è anche il maggior motivo del successo internazionale che ha avuto il Grab all’estero”. Questione da non trascurare visto che uno studio Confindustria-Ancma ha stimato in 14 mln di euro annui l’introito garantito dalla maggiore permanenza in città di turisti dovuta all’attrattiva di una pedalata lungo il Grab. Ma nel documento non vi è cenno neanche di altri elementi

inizialmente previsti: “Avevamo proposto la realizzazione di 77 attraversamenti sicuri: piattaforme rialzate sia sul tratto stradale che sulla ciclabile, una per ogni punto in cui il Grab incrocia strade aperte al traffico, di cui non c’è traccia nel documento continua Fiorillo - mentre, d’altra parte sono raddoppiati i costi. Dovremo capire come sia possibile che con molte meno cose da realizzare la stima dei costi sia passata da 8 a 15 milioni di euro”. C’è poi la questione dei tagli ai posti auto: “In molti hanno pensato che il Grab sottraesse soprattutto spazio al parcheggio delle auto. Così come noi lo abbiamo pensato, toglie mille posti auto in una città dove ci sono circa 1 milione e 600 mila automobili. Il nostro è un tentativo di far capire alla città che se si vogliono fare interventi per ridurre il traffico privato e migliorare quello pubblico, bisogna distribuire gli spazi in maniera diversa. Ma anche di questo taglio non v’è menzione nel documento del Campidoglio”. Lacune che rischiano di compromettere il lavoro portato avanti da anni: “Nel definire il tracciato avevamo fatto uno sforzo per andare a incrociare altre progettualità che potessero garantire la qualità del percorso ma anche quella delle zone attraversate, sfruttando processi già avviati”, spiega Alberto Fiorillo che, nel contempo, ribadisce la soddisfazione per i passi avanti per i finanziamenti del Grab e l’imminente apertura dei lavori: “Il 2018 per la chiusura dei cantieri rimane una data realistica conferma - La sola pista è realizzabile entro pochi mesi. Se però pensiamo alla riqualificazione di tutto il percorso archeologico parliamo di una serie di interventi che richiedono tempistiche più complesse. Tutto il progetto potrà essere realizzato entro i prossimi 3 anni”. Ma come verrà utilizzata questa affascinante infrastruttura dai cittadini romani, notoriamente poco inclini a lasciare l’auto in garage? “Mi aspetto che, se il Grab verrà realizzato bene, molti romani saranno invogliati a prendere la bicicletta - risponde Fiorillo - All’inizio solo per svago, per curiosità, per portarci i bambini, ma che poi una parte di questi capirà che lo spostamento è accessibile anche in bicicletta e continuerà a usare questo mezzo”. Per realizzare un simile cambiamento, però, non basta una semplice pista ciclabile: “Servono altri interventi legati al Grab, necessari per una nuova mobilità. Di qui nascono esigenze richieste direttamente dai cittadini, come la sicurezza degli spostamenti pedonali, la manutenzione degli spazi verdi, il potenziamento dei mezzi pubblici - continua il responsabile del progetto - Attualmente a Roma, solo lo 0,5% della popolazione usa sistematicamente la bici. Possiamo pensare di portare in bici il restante 99,5% solo costruendo infrastrutture di qualità e

ridefinendo gli spazi urbani”. Un cambio di prospettiva che dovrà vedere i romani in prima linea. Non a caso, il comitato promotore ha avviato un processo di progettazione partecipata con le realtà di quartiere: “Abbiamo pensato una sorta di meccanismo di adozione collettiva tratto per tratto che potrebbe essere realizzato sia con i circoli di Legambiente, sia con i gruppi di cicloamatori o con i comitati di quartiere - spiega Fiorillo - A patto però che l’Amministrazione garantisca una collaborazione propositiva: ovvero fornisca gli strumenti necessari alla cura della pista e definisca chiaramente i ruoli, in modo che non sia solo il cittadino a doversi prendere cura del proprio territorio”. “Non bisognerebbe pensare al Grab come una semplice pista ciclabile ma come una possibilità di riqualificazione urbana, il volano per un cambiamento di prospettiva - chiude Fiorillo - ed è così che un’Amministrazione dovrebbe impostare ogni progetto: cercando di affrontare nello stesso momento il maggior numero di tematiche possibili”.

I-Mobility e AutoSvolta: le App che cambiano l’approccio alla mobilità condivisa Sviluppate dal Comune di Matera e da quello di Milano, queste due app offrono informazioni ed incentivi a chi sceglie di passare a mezzi di spostamento condivisi e sostenibili. Perché passare alla sharing mobility? Per molti la motivazione ecologico - ambientale, l’idea di abbattere l’inquinamento e rendere più vivibili le nostre città, da sola, non basta. Da questa considerazione muovono due delle App dedicate alla mobilità sostenibile più interessanti nell’attuale panorama nazionale: AutoSvolta e I-Mobility. La prima, inserita nel progetto Empower finanziato dal programma Horizon 2020 dell’Ue, è stata sviluppata dal Comune di Milano in collaborazione con Amat, Agenzia mobilità, ambiente e territorio: una piattaforma online in cui ogni utente può valutare, in pochi minuti, se e quanto conviene abbandonare la propria auto termica a favore della mobilità elettrica condivisa o di quella a basso impatto. Grazie a una serie di indicatori diventa facilissimo calcolare a quanto corrisponda il valore economico residuo del proprio veicolo, capire quale sia l’impatto ambientale di una auto di vecchia generazione e confrontare i costi del passaggio a una vettura a basso impatto o quelli di una virata completa verso i mezzi condivisi o quelli green. Corollario di queste valutazioni, una serie diinformazioni sugli eco incentivi messi a disposizione dal Comune: come la demolizione a costo agevolato della vecchia auto, il ritiro gratuito a domicilio, una car sharing card

da 500 euro per la rottamazione e gli sconti per chi decida di passare al car sharing elettrico o al bike sharing. La seconda App, I-Mobility, nasce dalla sinergia tra Comune di Matera, Comune di Palermo, l’Università Sapienza di Roma, il Ministero dell’Ambiente e l’associazione Euromobility: inserendo i dati del percorso effettuato con mezzi pubblici o condivisi, l’App fornisce dati rispetto ai km percorsi, la spesa sostenuta per il carburante, la quantità di CO2 risparmiata e il relativo risparmio in euro spesi. I-Mobility, attualmente è in fase di sperimentazione e coinvolgerà 500 studenti di Matera impegnati nella tratta casa-scuola-casa. Nella seconda fase l’utenza verrà allargata ai lavoratori nel percorso casa-lavoro-casa così da ottenere una mappa dettagliata delle reali esigenze della cittadinanza in termini di spostamenti condivisi. Due App che invitano a un cambiamento di approccio invece di offrire un servizio “fisico” di sharing mobility. Entrambe nate dall’iniziativa delle amministrazioni comunali, una a Nord Italia l’altra nel Sud del Paese, con un comune denominatore: accrescere la consapevolezza, anche economica, del passaggio alla mobilità condivisa. Due App che invitano a un cambiamento di approccio invece di offrire un servizio “fisico” di sharing mobility. Entrambe nate dall’iniziativa delle amministrazioni comunali, una a Nord Italia l’altra nel Sud del Paese, con un comune denominatore: accrescere la consapevolezza, anche economica, del passaggio alla mobilità condivisa.

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Buone pratiche, belle idee e buona amministrazione

MARZO 2017

1 network di editori indipendenti 9 edizioni carta e on line 19 province 1 milione di lettori

8IX

Intervista al prof. Vincenzo Balzani A cura di Giovanni Santandrea, Transition Italia

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E’ un’intervista molto particolare questa che mi appresto a realizzare. Ho l’onore di incontrare il prof. Vincenzo Balzani. La sua gentilezza e affabilità sono tali che è facile per me scordare che questa è un’intervista ad un “quasi” premio Nobel per la Chimica. Non è una cosa che capita tutti i giorni. Balzani è un ricercatore italiano che ha svolto attività didattica e di ricerca ai massimi livelli italiani e mondiali. Dopo essersi laureato in Chimica all’Università di Bologna, vi ha poi svolto l’attività di docente fino al 2010. La fotochimica e le nano tecnologie rappresentano alcuni dei campi di ricerca che ha sviluppato con più successo. La lista dei riconoscimenti accademici internazionali è così vasta che nello spazio di questo articolo non li possiamo riportare. Ma è anche persona con un forte interesse per le questioni sociali. Nel 2008, sempre presso l’Università di Bologna, ha fondato il corso interdisciplinare Scienza e Società. Buongiorno prof. Balzani, perdoni la prevedibilità della mia prima domanda. Vorrei iniziare questa intervista proprio parlando del mancato riconoscimento del Premio Nobel per la Chimica che nello scorso Ottobre lei avrebbe potuto ricevere insieme ai suoi colleghi ricercatori Sauvage, Fraser Stoddart e Feringa per gli studi sulle macchine molecolari. A distanza di qualche mese le chiedo di raccontarci cosa ha provato nel momento in cui ha appreso la notizia. E cosa prova ora, a distanza di qualche mese? A novembre quando il suo amico, e neo premio Nobel, James Fraser Stoddart è venuto a sorpresa a Bologna per festeggiare il suo ottantesimo compleanno, cosa vi siete detti? Il premio Nobel per la Chimica da qualche anno veniva dato a studi riguardanti aspetti biologici. Eravamo tutti ben consapevoli che le macchine molecolari sono un argomento di punta della ricerca chimica, ma nessuno si aspettava che il premio Nobel fosse assegnato a queste ricerche. Quando la mattina del 5 ottobre la telefonata di un giovane collega mi annunciava che il premio Nobel era andato alle macchine molecolari sono stato piacevolmente sorpreso, poi amareggiato perché non ero fra i tre scienziati scelti. Subito sono incominciati ad arrivare messaggi di solidarietà da tutto il mondo che giudicavano la scelta ingiusta perché il nostro gruppo è stato il primo a far muovere le macchine molecolari. Voglio sottolineare, però, che i tre premiati sono bravissimi colleghi e anche miei amici. Qualcuno ha subito avanzato l’ipotesi che, siccome eravamo in quattro, ma solo tre potevano essere premiati, fattori non scientifici avessero giocato un qualche ruolo. Due giorni dopo è anche apparsa su tutti i giornali una lettera dei vertici della Chimica italiana nella quale si sottolineava che l’Italia non è capace di fare squadra e di appoggiare i suoi scienziati. Sia come sia, mi sono subito tranquillizzato. Ho capito che le manifestazioni di stima e di affetto che stavo ricevendo valevano molto più del premio. Quando pochi giorni dopo, alla festa del mio compleanno organizzata dai miei giovani colleghi, è comparso Fraser Stoddart, uno dei tre premiati, e abbracciandomi mi ha detto “Lo meritavi anche tu”, ho sperimentato la vera amicizia. Le macchine molecolari possono essere descritte come particolari aggregati di molecole che, esposte a particolari fasci di luce, eseguono movimenti non casuali e prevedibili. E’ una definizione accettabile? In modo semplice, ci può raccontare quali scenari si possono aprire con questa scoperta? In quali campi applicativi possono trovare un utilizzo? Quanto tempo sarà necessario perché queste tecnologie possano trovare spazio in prodotti industriali? Le macchine molecolari sono aggregati molto ben progettati di componenti molecolari aventi proprietà specifiche e i loro movimenti possono essere “alimentati” da stimoli luminosi, elettrici o chimici. Sono sistemi nanometrici (il nanometro è la miliardesima parte del metro) che rispon-

dono alla logica binaria (si/no; destra/sinistra; ecc) e quindi possono essere utili per miniaturizzazioni estreme di sistemi informatici, oppure come sensori anche in medicina. Difficile prevedere tempi per applicazioni industriali, come sempre accade per le ricerche di frontiera. Nell’introduzione ho citato la sua passione civile che l’ha portata a fondare il corso interdisciplinare Scienza e società. Certamente lei non incarna il modello del ricercatore chiuso nel suo laboratorio, avulso dai problemi del mondo. E’ noto inoltre il suo impegno pubblico in varie campagne referendarie che riguardavano questioni energetiche. Intendo il referendum del 2011 per l’abrogazione delle norme che consentivano nuovamente la produzione nel territorio nazionale di energia elettrica nucleare, e il referendum dell’Aprile di quest’anno per l’abrogazione della norma che estendeva la durata delle concessioni per estrarre idrocarburi in zone di mare, impropriamente denominato “referendum contro le trivelle”. Mi piacerebbe capire quali sono le origini di questa forte passione civile che la contraddistingue? E’ un dono che ho ricevuto e poi coltivato anche per alcune vicende familiari. Mi piace stare dalla parte dei più deboli e della natura. Non posso sopportare quelli che pensano di sapere tutto e di poter risolvere da soli tutti i problemi.

Credo che anche la scienza, da sola, non potrà mai portarci là dove dovremmo andare: verso una società più giusta, verso la pace. Come ricercatore e come divulgatore ha scritto molti libri che hanno come filo conduttore il tema energetico. Dalla produzione di energia attraverso processi fotochimici alla spiegazione di come le energie rinnovabili rappresentino l’unica seria scelta su cui orientarsi. Quale è il suo parere sulle politiche energetiche che si fanno in Italia? Quali sono gli aspetti positivi? e quali le criticità maggiori? In Italia chi ci governa, anche a livello regionale, non ha capito o non vuole capire che la transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili è inevitabile ed irreversibile e che bisogna accelerare, non ostacolare questa transizione. La transizione energetica è il fondamento per passare dall’economia lineare dell’usa e getta all’economia circolare dell’efficienza, del risparmio, del riuso e del riciclo, l’unica via per costruire un futuro sostenibile, l’unico futuro possibile. Cercare di estrarre le ultime gocce di petrolio dall’Adriatico, col rischio di fare danni ecologici, oppure promuovere la costruzione dei nuovi SUV Lamborghini, emblema del consumismo e delle disuguaglianze, sono azioni che vanno in direzione opposta a quella di un futuro sostenibile e di una società più equa. Penso sia molto importante far sentire ai politici la voce degli scienziati e proprio per questo coordino il gruppo energiaperlitalia.it. Purtroppo non ci ascoltano. Il 2015 ha visto Papa Francesco scrivere l’enciclica “Laudato sì” rivolta a tutti gli esseri umani, per richiamare la loro attenzione alla gravità dei problemi ambientali che minacciano l’umanità, specie i più poveri del pianeta. Ma non solo. Sul fronte laico, COP21 di Parigi ha prodotto un accordo internazionale sottoscritto da tutti i paesi presenti al summit. Pur con evidenti limiti, tale successo


MARZO 2017

9 Buone pratiche, belle idee e buona amministrazione

X diplomatico era impensabile solo qualche anno prima. Rispetto allo scenario globale del pianeta, con un’umanità che deve dare rapide risposte ai problemi energetici e alle minacce, più che incombenti, dei cambiamenti climatici, quale è il suo stato d’animo? Cosa prevede? In altre parole, dentro di lei prevale un motivato pessimismo per il futuro, o ritiene che c’è ancora spazio per un cambiamento radicale dei nostri comportamenti sociali ed economici? Secondo me i due eventi da lei citati, l’enciclica di papa Francesco e la COP21 di Parigi, hanno fatto girare il vento, hanno causato una svolta. Economia e politica sono rimaste spiazzate da due prese di posizione così autorevoli. L’economia ha presto capito che la transizione energetica è inevitabile e che quindi, come ha detto un grande manager, è inutile andare contro corrente. Meglio assecondare la transizione e cercare di coglierne i vantaggi. Questo mi fa essere ottimista sul fatto che potremo evitare la degradazione del pianeta, l’unico luogo in cui possiamo vivere. Sono meno ottimista sul fatto che la gente, specialmente i politici, capiscano che, poiché siamo tutti sulla stessa “barca” (o astronave, come diciamo noi), potremo vivere in pace solo se riduciamo le disuguaglianze che sono le cause di guerre, rivoluzioni e migrazioni. E’ anche vero che non possiamo aspettare che sia la politica a fare tutto. Ciascuno di noi, nel campo in cui opera, con le competenze di cui dispone, nella situazione in cui si trova, deve sentirsi coinvolto in questa sfida mettendo in gioco le preziose energie spirituali che caratterizzano l’uomo: responsabilità, sobrietà, collaborazione, solidarietà, amicizia, creatività. Negli Stati Uniti tra pochi giorni si insedia il nuovo Presidente Donald Trump. Nelle sue dichiarazioni in campagna elettorale ha più volte negato la minaccia climatica e ha preannunciato il rilancio delle attività estrattive legate al carbone e agli idrocarburi. Lei che opinione ha? Ritiene che siano effettivamente posizioni politiche che andranno ad incidere in modo determinante sui processi di decarbonizzazione che ti-

midamente si cerca di progettare? Ho letto recentemente un articolo di Obama su Science. Dice, molto giustamente, che non saranno le eventuali scelte politiche sbagliate a breve termine e in un solo paese ad impedire l’inevitabile transizione energetica. Potranno solo ritardarla. Più probabile che presto Trump ed i suoi consiglieri si rendano conto che non si può tornare indietro, pena bloccare l’economia americana, che ha ormai preso un’altra strada. La sua attività di docente universitario le ha dato l’occasione di avere uno stretto contatto con il mondo degli studenti. Che rapporto ha con il mondo giovanile? Alla luce delle oggettive difficoltà che pesano sul futuro delle giovani generazioni, ha qualche suggerimento o indicazione che vorrebbe rivolgere loro? Sono tempi duri per un insieme di ragioni e per molti sbagli che ha fatto la mia generazione. Il suggerimento è di vivere con passione, scegliere il campo di studi nel quale si sentono più portati e di non temere di sviluppare e proporre idee nuove. Vorrei chiudere questa nostra piacevole chiacchierata con una domanda particolare. Nelle sue conferenze pubbliche ogni tanto le capita di

citare frasi tratte dalle Sacre Scritture. Mi piacerebbe che ci parlasse di come vive la dimensione spirituale della vita. Come riesce a coniugare dentro di lei il rigore del metodo scientifico e la dimensione soprannaturale della fede? Per la sua personale visione della vita, l’umanità avrà un futuro grazie alle tecnologie, oppure perché sarà capace di fare un salto evolutivo verso una maggiore maturità? Non trovo contraddizione fra scienza e fede. Sono su due piani diversi, ma non scollegati. Per quanto posso dire io, scienza e fede non solo non si escludono, ma si rafforzano a vicenda. La scienza risponde alle domande “come avviene che …”. Ci sono domande alle quali la scienza, invece, non potrà mai rispondere e che mi interessano ancor di più: che senso ha la mia vita? cos’è l’amore? perché c’é il male? cosa c’era prima del Big Bang? che significato ha l’evoluzione, dall’energia primordiale alla materia cosmica, alla vita, all’uomo, essere che ama, che pensa, che prevede, che ha sete di conoscere e che non è mai soddisfatto? In generale, la scienza non può rispondere a tutte quelle domande che iniziano con “perché?”. Pensando alle meraviglie dell’universo immenso o a quelle delle nostre nanometriche macchine molecolari, non posso che concludere che c’è “qualcosa” molto più grande di noi e di tutta la nostra scienza. Questo “qualcosa” penso sia “qualcuno”: Dio. Sapere che è tanto più grande di noi e che è sceso fino a noi in Gesù per accoglierci con misericordia ed insegnarci ad amare mi consola molto e mi dà fiducia. Io credo nella Divina Provvidenza che mi ha fatto incontrare al liceo una ragazza di nome Carla, ora mia moglie, e una scienza di nome Chimica che mi ha dato tante soddisfazioni, compreso il premio Nobel mancato; e che, quando non ero più giovanissimo, mi ha fatto incontrare una persona, un sacerdote, che ha aperto molte finestre nella torre d’avorio nella quale andavo rinchiudendomi. Grazie di cuore prof. Balzani del tempo che hai voluto dedicare ai lettori di Vivere Sostenibile!

Fermati, vivi... macrobiotica che passione!

La casa editrice Macro festeggia quest’anno i suoi 30 anni di editoria. Da sempre sostenitrice del benessere olistico della persona, Macro diffonde una cultura naturale e sana, rispettosa dei tempi biologici propri dell’essere umano e dell’ambiente. In onore dei festeggiamenti per i suoi 30 anni Macro lancia un’iniziativa originale e controcorrente, finalizzata al risveglio delle coscienze moderne, sempre di corsa, di fretta, in ritardo. Abbiamo invitato alcuni nostri autori a sedersi sulla panchina gialla, simbolo e monito della campagna, per sentirli parlare del momento in cui si sono fermati a prendere consapevolezza dei loro veri bisogni. Questa volta è il turno di Dealma Franceschetti, autrice per Macro del libro L’apprendista macrobiotico. Cuoca e Foodblogger macrobiotica,

Dealma ha fatto della sua scelta alimentare una vera passione, che è poi diventata un lavoro. C’è mai stato un momento nella vita in cui hai deciso di fermarti? Il momento in cui mi sono un po’ fermata a riflettere è stato quando nel 2005 ho incontrato la macrobiotica che mi ha sicuramente aperto tutto un mondo, un universo nuovo da studiare e da scoprire e una prospettiva di guarigione dai miei problemi di salute. Ma anche la possibilità di iniziare ad aiutare le persone a stare meglio. Però quello che davvero mi ha fatto pensare è stato rendermi conto che la macrobiotica poteva essere uno strumento per portare le persone ad abbandonare il cibo di origine animale pensando alla propria salute.

Perché hai condiviso con la casa editrice Macro il tuo progetto editoriale? Macro per me è un nome interessante perché si abbina alla Macrobiotica e come casa editrice credo che sia un po’ un modello da seguire perché raccoglie tante persone diverse e tante idee diverse e credo che possa quindi aiutare le persone ad aumentare la propria consapevolezza circa le innumerevoli strade che possiamo seguire per migliorare la nostra salute.

nostro presente? Il termine “macrobiotica” deriva dal greco makros (grande, lungo, esteso) e biotikós (vitale, della vita). Possiamo quindi considerarla come “l’arte della lunga vita”, ma non solo. Il termine makros può essere inteso anche come felicità, pienezza e realizzazione di sé. Personalmente mi piace intendere questo termine come un invito a sentirsi parte di un insieme più grande che unisce ogni creatura vivente. Da millenni l’essere umano è consapevole che tutto è Uno, ma in Occidente l’abbiamo dimenticato. La macrobiotica può servire a rammentarcelo e ad aiutarci a ritrovare l’armonia perduta, con noi stessi e con il mondo che ci circonda.

Quale contributo può apportare la macrobiotcia al

Segui la campagna su fermativivi.it

per arrivare comunque allo stesso obbiettivo: aiutare le persone a stare bene e perseguire nella mia piccola personale di far smettere alle persone di mangiare gli animali.

Questo perché io fin da ragazzina, 14/15 anni tenevo molto a questo aspetto della scelta vegana/vegetariana per smettere di allevare gli animali soprattutto in modo intensivo, non mi piacevano questo mondo e questo modo di trattare gli animali. Come e perché la macrobiotica è diventata anche il tuo lavoro, oltre che la tua pas-

sione? Un po’ per tutta la mia vita ho sempre cercato di portare le persone verso questa scelta; però facevo leva sulla motivazione etica e mi sono resa conto che non tutti sviluppavano già questa sensibilità e prendevo un sacco di porte in faccia. Con la Macrobiotica mi sono resa conto che posso passare dalla porta di servizio, usare la leva della salute

Al Sana di Bologna abbiamo presentato i nuovi prodotti della linea EcoNano Green. Sei una farmacia, erborista o negozio bio? Richiedici la campionatura gratuita di tutti i prodotti nel fantastico formato show product!


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Stagionando h e c i n e i n m natura o D

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LABORATORIO di COSMESI NATURALE come realizzare puri nutrimenti di bellezza

9 APRILE

PASSEGGIATA di RICONOSCIMENTO e UTILIZZO DELLE ERBE SPONTANEE scopriamo le virtù vegetali intorno a noi

14 MAGGIO

GEMMODERIVATI FLORIPOTENZIATI: RACCOLTA, PREPARAZIONE e PECULIARITÀ esperienza sulla energia potenziale delle piante

11 Giugno Festa di Remedia 9 LUGLIO

LE MERAVIGLIE della DISTILLAZIONE come ottenere fragranze che fanno bene cevoli SORPRESE a i p o Il p zioni a i r a v rogr e amma potrà subir

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MARZO 2017

11 Buone pratiche, belle idee e buona amministrazione

XII Libri&C. VALUTAZIONE DI VIVERE SOSTENIBILE:

OTTIMO

Cambio pelle in 7 passi

I regali della natura

Autore: Lucia Cuffaro Editore: Arianna editrice Pagine: 296 – prezzo di Copertina: 12,90 €

Autore: Helena Arendt Editore: Terre di mezzo Editore Pagine: 192 – prezzo di Copertina: 18,90 €

Ma quanto è grande il mondo della biocosmesi soprattutto se legato all’auto produzione! Lucia Cuffaro non sbaglia una mossa e ci motiva a scegliere i passi essenziali da fare per rispettare la nostra pelle, con semplicità e leggerezza come sempre. Il tutto in questi 7 semplici passi: • la consapevolezza: pelle libera dal petrolio • la conoscenza: gli ingredienti naturali amici della pelle • la detersione: i gesti quotidiani per la pulizia del corpo • il nutrimento: idratare e illuminare la pelle • la cura: alleviare i disturbi, rafforzare e proteggere il corpo • il piacere: profumarsi, sedurre e rilassarsi • il cambiamento: abbracciare uno stile di vita improntato al benessere e alla decre-scita. Semplici gesti di benessere per rivoluzionare la routine quotidiana. Un libro immancabile nella casa di ognuno di noi ricco di consigli di stimoli di notte e di spunti presi anche dalla tradizione per una scelta davvero sostenibile della nostra bellezza.

Il libro che mancava! Non mi è capitato spesso di avere questo pensiero ma appena ho visto que-sto nuovo bel volume questo pensiero mi è uscito dal cuore. Creare attraverso la natura tornando un po’ bambini e connessi è una delle cose che più possono dare gioia alle persone. Erbe e frutti sono ingredienti speciali per oli, succhi e inchiostri colorati; ciottoli, bacche e cortecce danno vita a sculture e disegni unici e irripetibili; fiori e petali decorano e profumano una saponetta, ma di-ventano anche un portalume o una ghirlanda... I fagioli possono diventare collane, le arachidi scul-ture, i semi decori su scatole da regalare, rami piccole cornici. Il tutto presentato con foto di am-pio respiro e dividendo i vari elementi della natura a seconda delle stagioni e degli elementi. Gra-zie a questo libero avrete tante possibilità di contatto, di gioia e di creatività con la natura, facen-do sbocciare bellissimi sorrisi tra grandi e bambini. Torniamo così a dedicarci tempo di qualità e a dare libero sfogo alla fantasia, nella condivisione.

NO TAV - Cronaca di una battaglia ambientale lunga oltre 25 anni Autore: Mario Cavargna Editore: Intra Moenia Pagine: 320 – prezzo di Copertina: offerta minima consigliata 11,50 €

La storia del Movimento NO TAV dalla nascita nel 1990 per giungere, in questo primo volume, a raccontare le principali vicende sino al 2008: una ricostruzione basata su 13.000 articoli di giornali, ma soprattutto sulla testimonianza diretta di fatti vissuti sempre in prima persona. “Questo lavoro (ed uso proprio la parola lavoro) - ha dichiarato l’autore - non è nato dal desiderio di scrivere un libro, ma dal timore che ci rubassero la nostra storia con una ricostruzione falsa di quanto è accaduto, perché noi abbiamo contro tutti i documenti ufficiali e gli articoli della grande stampa”. Ed ecco quindi il racconto puntuale di un confronto tecnico e umano che dura da 26 anni, ora pieno di speranza, ora sconfortato ma incrollabile, che svela le decisioni camuffate, i dati falsi, gli inganni mediatici che sono necessari per far costruire una grande opera inutile a scapito degli investimenti veramente utili per i cittadini. Ora l’attesa va alla pubblicazione del secondo volume, con le cronache dal 2009 al 2016.

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SCARSO

Nascere Sano, Sicuro e Naturale in Emilia Romagna Autori Vari Editore: Macro Edizioni Pagine: 176 – prezzo di Copertina: 14,50 € Una ricerca completa e approfondita sulle possibilità di scelta della madre su come e dove partorire in modo sano, sicuro e soprattutto naturale, in particolare in Emilia Romagna. Rivolto alle future mamme, ai futuri papà, alla sanità locale e a tutti gli operatori del settore, questa guida propone molti consigli pratici: dal movimento all’uso di farmaci in gravidanza; dalle alternative alla nascita in ospedale, fino alla ripresa dopo il parto. Si parla della nuova legge regionale e la modalità di accesso al parto naturale, dando informazioni sulle modalità di accesso a tutti i servizi per la mamma in dolce attesa prima e per il suo bebè poi, con tanto di indirizzi di associazioni di ostetriche, consultori, case Maternità e associazioni di mamme e papà suddivisi per provincia. Non manca l’elenco di tutte le aziende ospedaliere con reparto di ostetricia, completo di tutti i servizi offerti da ogni punto nascita. Nascere in maniera naturale, riducendo al minimo indispensabile le visite, gli esami invasivi e gli interventi sanitari, è la scelta scientificamente più sicura e umanamente più appagante.

Viaggio camminato in Portogallo Avete mai pensato di farvi coinvolgere in un sogno? Ecco, di questo stiamo parlando. Di farsi avvolgere da un sogno, di farsi travolgere dalla natura incontaminata e ancora selvaggia del Portogallo, di farsi catturare dalla voglia di contattare Sé stessi e vivere con intensità passo dopo passo, di farsi prendere dal desiderio di sperimentarsi in un’esperienza ecologica e sensoriale. Perché il tuo corpo, la tua mente, i tuoi sensi verranno chiamati dagli scenari, dagli odori e dai sapori di questa terra, verranno amplificati dal corpo che sente e trasforma durante il cammino. “SEGUENDO I PROPRI PASSI. CAMMINO E SURF” è un’esperienza alternativa, in consapevolezza, dove movimento e stanzialità s’intrecciano in un’onda sinuosa. Dove natura, cammino, yoga, meditazione, surf e internazionalità infondono una carica di energia per l’anima e per il corpo. Un modo diverso di viaggiare che ti prende per mano e ti porta più vicino a te. Fatti avvolgere da un sogno, lungo le prime 4 tappe del cammino portoghese, da Lisbona fino ad Arneiro das Milharicas. Un viaggio alternativo al solito cammino, con destinazione la Surfness Lodge Peniche. GODIAMO DELLA TERRA... GODIAMO DELL’OCEANO... Walkinglife vuole diffondere un modo di vivere conscio e sostenibile attraverso progetti di benessere in movimento. Surfness Lodge Peniche è una struttura recettiva, scuola di surf, yoga, sport e terapia sull’oceano. Insieme, Walkinglife e Surfness Lodge, ti invitano ad un’esperienza differente dal solito viaggio. 5 giorni sul Camino Portogues da Lisbona ad Arneiro das Milharicas e 3 giorni di relax a Baleal di surf, yoga e meditazione sull’Oceano. Date viaggio: 27 maggio -5 giugno 2017 Per saperne di più: Annalisa Nicolucci (walkinglife) 347.9751094, nicolucci73@hotmail.com


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RICICLO

Da scarto alimentare a materiale di design: la riscoperta delle bucce di frutta Utili per cucinare, ma anche per profumare gli ambienti e pulire superfici difficili: la “pelle” della frutta torna alla ribalta. E c’è persino chi la usa per creare borse e arredi.

(le bucce d’arancia, se inserite in un contenitore di zucchero di canna ne prevengono l’indurimento) o ricoperte di cioccolato fondente, per cucinare dolcetti invernali. Rimanendo in cucina, le scorze di limone sono utilissime per lucidare i fornelli, le posate e le stoviglie, per riportare a nuovo il fondo della caffettiera (lasciandovi riposare per qualche ora un mix di trito di bucce di limone, acqua e sale grosso), per eliminare il calcare sul fondo del bollitore elettrico (facendo bollire acqua, scorza di limone e aggiungendo in seguito mezzo bicchiere d’aceto, per poi lasciare riposare un’oretta), per lucidare gli oggetti di rame o per ammorbidire tappi e griglie di lavabi e lavandini dalle formazioni di calcare. Le bucce delle mele, invece, una volta bollite, creano un perfetto detergente che ridona brillantezza alle stoviglie. Ma le bucce della frutta hanno potenzialità che le portano ben lontane dalla cucina: quelle delle banane, ad esempio, possono essere utili per lucidare le scarpe, sostituendo gli abituali lucidi di derivazione petrolchimica; ancora le scorze degli agrumi, essiccate e chiuse in un sacchetto di stoffa, allontanano le tarme da armadi e vestiti, oppure possono comporre, unite a chiodi di garofano o lavanda, profumatissimi (e naturali) potpourri o ancora fungere da esche per accendere il fuoco nel camino che, in questo caso, emanerà una dolce fragranza di agrume. Nei casi più estremi, poi, le bucce della frutta possono persino trasformarsi in capi di vestiario, borse, complementi d’arredo o rivestire poltrone e mobili. Sì, perché la buccia della frutta, se debitamente trattata, può diventare un materiale dalle qualità sorprendenti: lo sanno bene Hugo de Boon e Koen Meerferk, due giovanissimi designers olandesi fondatori del progetto Fruit Leather. I due, appena diplomati alla Willem de Kooning Academie, hanno messo a punto una tecnica di lavorazione che consente di

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ottenere un materiale molto simile alla pelle di origine animale, utilizzando esclusivamente gli scarti di frutta provenienti dal mercato ortofrutticolo di piazza Binnenrotte, nella natia Rotterdam, dove calcolano 3.500 kg di avanzi giornalieri. Il procedimento è relativamente semplice: una volta recuperati gli scarti, Hugo e Koen provvedono a rimuovere semi e resti organici; passano poi alla bollitura per eliminare i batteri che altrimenti provocherebbero la decomposizione e all’asciugatura su una specifica superficie. Un processo già conosciuto nel settore alimentare, ma che i due ventenni hanno ulteriormente sviluppato (e di cui conservano il segreto) incrementando resistenza e portata del prodotto finale. Ad oggi il progetto Fruit Leather ha prodotto un prototipo di borsa ed è stato implementato su una classica sedia Wassily, ma i due intraprendenti designers non escludono future implicazioni nel campo del vestiario, dell’oggettistica e dell’arredamento d’interni. L’ennesima dimostrazione di come gli scarti, con tanta creatività, una buona dose di conoscenze e soprattutto un decisivo cambio di prospettiva, possono (ri)diventare parte integrante della nostra quotidianità, bucce della frutta comprese.

Dare nuova vita agli scarti, riutilizzare i residui di una lavorazione: approcci che stanno entrando sempre più nella nostra quotidianità. In cucina, poi, la “filosofia” del recupero sta diventando una vera nuova tendenza in linea con la riscoperta di tradizioni antiche e spesso dimenticate. Ma qual è la differenza tra un avanzo e uno scarto? Se è facile immaginare di riusare gli avanzi delle nostre preparazioni (come ad es. i resti di verdure per un minestrone o per creare in casa il proprio dado vegetale oppure il pane raffermo per una zuppa o per il pangrattato), più difficilmente ci accorgiamo delle possibilità di riuso di quelli che sono più propriamente gli scarti della moderna alimentazione, un esempio su tutti: la buccia della frutta. Al di là delle notevoli proprietà nutritive contenute nella buccia - dove si concentrano buona parte delle sostanze antiossidanti della frutta, ma anche fibre e cere vegetali, lipidi e zuccheri -, la “pelle della frutta” riserva caratteristiche ideali per un riuso in cucina, ma anche in altri ambienti della casa. Scopriamo così che le bucce d’arancia possono essere riutilizzate per fare delle ottime tisane oppure, essiccate e conservate intere o tritate in un vasetto ermetico, per aromatizzare dolci e biscotti, cocktails o zucchero profumato

Gli scarti di pomodori per produrre energia elettrica pulita Grazie a una cella elettrochimica microbica, i residui dell’ortaggio vengono convertiti in energia sostenibile: l’innovativo sistema presentato al 251° Meeting Nazionale dell’American Chemical Society.

Ideali per sughi, passate, insalate oppure per illuminare l’intero parco divertimenti Disney World: signore e signori, ecco a voi i pomodori. Se per i primi tre utilizzi non c’è bisogno di spiegazioni, per il quarto occorre citare la recente scoperta di un team di ricercatori statunitensi che ha messo a punto un sistema per trasformare gli scarti della produzione industriale di pomodori in energia rinnovabile. Il gruppo di studiosi, diretto dal professor Venkataramana Gadhamshetty della South Dakota School of Mines & Technology, è partito dal presupposto che molti ortaggi e frutti contengono succhi ricchi di ioni, facilmente sfruttabili come conduttori elettrici. Tra questi, i pomodori sono risultati particolarmente adatti per l’alta concentrazione di licopene, il pigmento che conferisce loro il caratteristico colore rosso e che rappresenta anche un ottimo catalizzatore per la generazione di cariche elettriche. Su queste basi, i ricercatori americani hanno sviluppato un dispositivo capace di convertire energia chimica in energia elettrica (la cosiddetta cella elettrochimica) alimentata dagli scarti dei pomodori “arricchiti” con specifici batteri: quest’ultimi abbattono e ossidano gli ortaggi che rilasciano così elettroni i

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quali vengono catturati e convertiti in energia elettrica dalla cella elettrochimica. Il processo di produzione dura circa due settimane e l’energia elettrica può essere impiegata solo per un periodo compreso tra i 10 e i 14 giorni. Inoltre, la potenza prodotta, al momento, è ancora scarsa: 10 milligrammi di rifiuti di pomodoro generano 0,3 watt di elettricità, ma i ricercatori spiegano che, una volta usciti dalla fase sperimentale, l’energia prodotta dovrebbe aumentare esponenzialmente, fino a poter alimentare i 69 km quadrati del parco divertimenti Disney World con i soli scarti di pomodori prodotti annualmente (circa 400 mila tonnellate) dalla Florida. Una soluzione che rappresenterebbe anche l’alternativa ideale allo smaltimento degli scarti di questo prezioso ortaggio che, se buttati in discarica, producono emissioni di gas metano (uno dei maggiori responsabili dell’effetto serra). Proprio l’Italia potrebbe essere tra i maggiori interessati allo sviluppo di una simile tecnologia: il nostro Paese, infatti, è il secondo produttore al mondo di pomodori (dietro Stati Uniti e subito prima della Cina). Un primato che dovrebbe essere sfruttato anche per implementare nuovi metodi di produzione energetica sostenibile.


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Fairphone, lo smartphone sostenibile arriva anche in Italia

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di Enrico Palacino

Struttura modulare, riparabilità per contrastare l’obsolescenza programmata, grande attenzione alla sostenibilità, sia nei processi produttivi che nella scelta dei materiali, e garanzia di condizioni etiche per i lavoratori: la carta d’identità di uno smartphone davvero innovativo.

Grazie alla partnership tra le due B Corp, Fairphone e Gogreen da Marzo sarà commercializzato anche in Italia il dispositivo etico che cambierà le regole delle periferiche mobili ad alta tecnologia. Già dal suo lancio, nel dicembre del 2015, il “Fairphone 2” ha mostrato di essere chiaramente diverso dagli altri smartphone: oltre a sostenere i miglioramenti delle condizioni di lavoro di tutta la filiera, era il primo telefono modulare del mondo. Fairphone utilizza una tecnologia di assemblaggio a moduli per creare telefoni durevoli e per contrastare in modo concreto il rapido ciclo di obsolescenza degli smartphone (in media 2 anni) a cui i consumatori sono sottomessi. La riparabilità dei telefoni Fairphone è dunque la caratteristica principale su cui l’azienda investe: il telefono è facile da aprire, e il componente che si danneggia più comunemente (lo schermo) può essere sostituito in meno di un minuto s​enza l’utilizzo di nessun utensile​ . Gli altri moduli possono essere riparati anche con un semplice cacciavite. Il design del Fairphone 2 include una cover posteriore che permette di sfruttare un altro importante vantaggio della modularità: la personalizzazione. Le cover sono sottili e disponibili in quattro colori e sono più facili da montare e da smontare. Conferiscono al Fairphone 2 un aspetto nuovo e prestigioso, rispondendo al desiderio dei consumatori di avere un dispositivo periodicamente “svecchiabile” senza necessità di investire su un telefono totalmente nuovo. La modularità può contribuire alla longevità del dispositivo anche grazie all’aggiornamento dei componenti, questo infatti è il passo successivo di Fairphone: la fotocamera per esempio, è il primo modulo che l’azienda prevede di aggiornare. Oltre alla sostenibilità dell’uso del telefono, Fairphone si è impegnato a perseguire un approvvigionamento sostenibile dei materiali e a garantire condizioni di lavoro eque.

Minerali e metalli contenuti negli attuali smartphone sul mercato vengono dalle estrazioni minerarie, un settore molto impegnativo in termini di sostenibilità per l’inquinamento che generano e per le pericolose condizioni di lavoro, anche minorile. Fairphone si impegna per questo ad impiegare minerali che provengono da luoghi senza conflitti e, per quanto possibile, all’uso di materiali riciclati. L’azienda vuole essere responsabile di un cambiamento positivo, anche nelle zone d’estrazione, contrastando le cattive pratiche minerarie, con alternative che tutelino i lavoratori e migliorino le condizioni della popolazione locale, anche usando materiali che non danneggiano l’ambiente. In questo modo, Fairphone spera anche di aumentare la consapevolezza dei consumatori e dell’industria per le questioni che riguardano le materie prime. Inoltre il loro programma di restituzione dei telefoni usati aiuta a garantire che il vostro vecchio smartphone sia riutilizzato o riciclato correttamente. “Stiamo anche lavorando con i nostri partner per migliorare gli sforzi della raccolta locale (nei Paesi meno sviluppati) di telefoni, per poi trasportarli in Europa e riciclarli in maniera più sicura”. Anche per le condizioni di lavoro Fairphone è a stretto contatto con i fornitori selezionati, per valutare attentamente le politiche d’impiego, scoprire i problemi nascosti e adottare un approccio collaborativo al miglioramento. La maggior parte degli smartphone di tutto il mondo è prodotta in Cina, dove la convenienza deriva dal basso costo della manodopera. L’azienda vuole migliorare le condizioni di lavoro proprio nel cuore del settore elettronico tutelando la salute e la sicurezza

Yale: a rischio i metalli per i cellulari, la soluzione è un nuovo approccio al design

Molti dei metalli rari utilizzati per smartphone e computer sono in esaurimento; l’unico modo per affrontare il problema è l’approccio circolare che privilegia il riciclo grazie a una specifica e nuova concezione del prodotto. Da uno studio della Yale School Forestry & Environmental Studies emerge come alcuni metalli utilizzati per la fabbricazione dei nostri cellulari siano in esaurimento. Come

afferma Thomas Graedel, professore di ecologia industriale e autore principale dello studio: “I metalli che abbiamo usato per un lungo periodo, probabilmente non rappresenteranno una sfida. (...) Ma alcuni metalli che sono stati impiegati per la tecnologia solo negli ultimi 10 o 20 anni sono disponibili quasi interamente come sottoprodotti. (…) e sono spesso presenti in piccole quantità e utilizzati per scopi speciali. E non hanno sostituti validi”. Lo studio del gruppo di Yale ha analizzato la criticità delle

dei lavoratori, promuovendo i sindacati e assicurando orari lavorativi che non siano da sfruttamento. Per dare un impatto duraturo a questa politica Fairphone va oltre il modello di conformità tradizionale... “Lavorando insieme con tanti partner, tra cui un gruppo di esperti di politiche del lavoro, ONG e ricercatori, stiamo sviluppando programmi innovativi per migliorare la soddisfazione e la rappresentanza dei lavoratori, e per approntare una reale comunicazione tra i lavoratori e la gestione”. L’impegno di Fairphone è stato riconosciuto con tanti prestigiosi premi, fra cui il Lovie Awards per i migliori progetti dal Web Europeo e il Premio Ambientale Tedesco per il fondatore Bas van Abel, ma il riconoscimento più importante è sicuramente l’aver ottenuto la certificazione Fair-Trade Gold per la filiera produttiva che testimonia il vero impegno dell’azienda nella ricerca di una sostenibilità sociale e ambientale. La valutazione del ciclo di vita (life cycle assessment, LCA) del Fairphone 2, effettuata di recente dal ​Fraunhofer Institute, mostra che l’azienda si sta muovendo nella direzione giusta. I proprietari di Fairphone hanno già effettuato con successo centinaia di riparazioni fai da te per mantenere i loro telefoni in buone condizioni. La valutazione LCA conferma che, in uno scenario basato sull’utilizzo della periferica allungato a 5 anni, ridurrebbe il potenziale di riscaldamento globale (GWP o emissioni di CO2) anche del 30%. Inoltre, lo studio ha mostrato che la costruzione modulare non aumenta significativamente l’impatto ambientale del telefono quanto piuttosto il suo ciclo di vita.

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risorse di metallo del pianeta di fronte alla crescente domanda globale e alla crescente complessità dei prodotti moderni. Tra i fattori che contribuiscono alla criticità ci sono l’alta concentrazione geopolitica della produzione primaria (per esempio, dal 90 al 95% della fornitura globale di metalli delle ‘terre rare’ viene dalla Cina); la mancanza di sostituti disponibili (non vi è alcun sostituto adeguato per l’indio, che viene utilizzato in computer e telefoni cellulare display) e l’instabilità politica (una frazione significativa di tantalio - 80% - ampiamente utilizzato in elettronica, viene dalla Repubblica Democratica del Congo, devastata dalla guerra finanziata proprio dall’estrazione di questo raro metallo). I ricercatori hanno anche analizzato come i “tassi di riciclaggio” si siano evoluti nel corso degli anni e il grado in cui diversi settori industriali siano in grado di utilizzare fonti “non vergini” di materiali. Ma i materiali rari, che sono diventati critici nell’elettronica moderna sono molto più difficili da riciclare, perché sono usati in quantità minuscole ed è molto difficile districarsi nelle nuove tecnologie, sempre più complesse e compatte. Graedel conclude: “Credo che questi risultati inviano un messaggio ai progettisti: dovrebbero passare più tempo a pensare a ciò che accade dopo che i loro prodotti non sono più in uso”. Quello che il professore ci suggerisce è che in un pianeta in cui le risorse scarseggiano, i nostri dispositivi tecnologici dovrebbero essere creati da designers e aziende coscienti, il cui obiettivo sia prolungare il più possibile il ciclo di vita dei prodotti, rendendoli facili da riparare, riusare e riciclare.


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Pipenet, la tecnologia per trasportare la merce sottovuoto a 1500 km/h

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di Franco Cotana

Si tratta di una rete per il trasporto merci ad altissima velocità. Il progetto, sviluppato dal CIRIAF dell’Università di Perugia, prevede la realizzazione di una physical internet, ovvero una rete fisica in cui le merci vengono spedite, trasportate e recapitate in tempo reale. Pipenet è un progetto innovativo che propone una visione moderna per la mobilità del futuro. Ideato 15 anni fa, è stato oggetto di numerose attività di sviluppo e ottimizzazione da parte dei ricercatori del CIRIAF, il Centro di Ricerca Interuniversitario sull’Inquinamento e sull’Ambiente “M. Felli” dell’Università degli Studi di Perugia. Pipenet rappresenta una soluzione innovativa, efficace e sostenibile per gli attuali problemi del trasporto delle merci, sia su scala locale che su grandi distanze. Il sistema costituisce la quinta “modalità di trasporto”, alternativa alla “gomma”, al “ferro”, alla nave e all’aereo, grazie all’integrazione delle migliori tecnologie disponibili che consentono la minimizzazione dei consumi energetici e dell’impatto ambientale oltre a vantaggi in termini di sicurezza e logistica. Il progetto prevede la realizzazione di una rete di condotti ad aria evacuata; all’interno di tali condotti le merci sono allocate in capsule con volumi standardizzati e modulari. Motori elettrici lineari sincroni alimentati da energia rinnovabile (tipicamente fotovoltaico disposto lungo il tracciato), consentono la propulsione delle capsule ospitate in slots magnetici (uno slot ogni circa 6 metri di tubo). Il ridotto attrito, conseguito grazie all’assenza di aria e a sistemi di sospensione magnetica frictionless, permette alle capsule di raggiungere velocità di 1500 km/h garantendo capacità di trasporto fino ad 1 tonnellata per secondo. Appositi sistemi a deviazione magnetica permettono alle capsule di essere instradate tra le maglie della rete. Questo approccio innovativo permette la realizzazione di una physical internet ovvero una rete fisica in cui le merci vengono spedite, trasportate e recapitate in tempo reale. I trasporti del futuro, come chiaramente evidenziato dall’Accordo di Parigi siglato all’Organizzazione delle Nazioni Unite nel 2015 e rimarcato dalla più recente conferenze sul clima tenutasi a Marrakech nel novembre 2016 (COP22), dovranno garantire un notevole risparmio energetico rispetto ai livelli attuali, ed essere in grado di ridurre drasticamente le emissioni di gas climalteranti, causa del riscaldamento globale. Questo ambizioso obiettivo è perseguibile solo grazie ad interventi di ammodernamento e innovazione tecnologica che producano un reale salto prestazionale rispetto ai sistemi di trasporto attuali. L’intensa attività di progettazione e sperimentazione prodotta dal CIRIAF sulle singole componenti di Pipenet e su prototipi con diverse caratteristiche, nonché la realizzazione di dettagliati studi di fattibilità, hanno dimostrato come questo

sistema innovativo possa rispondere in modo completo a tali richieste. Circa il 70% delle merci attualmente trasportate su gomma in ambito urbano potrebbe essere dirottato all’interno della rete di Pipenet, garantendo benefici non solo sulle lunghe percorrenze, ma anche in fase di distribuzione finale (last-miledelivery) dove le merci sono prelevate in modo automatizzato e consegnate alla destinazione finale tramite droni (aerei o terrestri) o veicoli elettrici a basso impatto ambientale. L’utilizzo di motori elettrici lineari per la propulsione delle capsule, garantisce il duplice beneficio di azzerare le emissioni di gas a effetto serra e agenti inquinanti lungo il percorso e di poter ricorrere ad energia pulita, come quella fotovoltaica, garantendo un’emissione di GHG inferiore ai 10 gCO2e/tkm (rispetto a i quasi 2 kgCO2e/tkm dei mezzi urbani). Tale risultato è possibile anche grazie all’elevatissima efficienza energetica di Pipenet, in quanto fino al 70% dell’energia spesa per l’accelerazione delle capsule può essere recuperata in fase di frenata. La realizzazione di Pipenet non prevede, per altro, la realizzazione di imponenti infrastrutture, in quanto la rete di condotti depressurizzati, connessi tramite stazioni di ingresso

e inoltro ad alta velocità, può essere facilmente realizzata sia in corrispondenza di percorsi già esistenti (ad esempio al di sotto del manto stradale o in affiancamento alle linee ferroviarie) che in superficie o addirittura sott’acqua, garantendo il collegamento tramite nuovi percorsi e rotte attualmente non sfruttabili. I costi stimati per la realizzazione di tratte commerciali sono inferiori a 2 milioni di euro per chilometro, di molto al di sotto rispetto al costo delle moderne autostrade. Presso il Polo Scientifico di Terni è in costruzione un prototipo lineare di 100 metri che rappresenta il primo modello a dimensioni reali di Pipenet. Si prevede inoltre la progettazione e la realizzazione di un prototipo di lunghezza superiore per i test su vuoto spinto, alte velocità e sistemi di indirizzamento magnetici. Un tracciato dimostrativo ad anello o un’installazione funzionale business-to-business di 10 km potrebbero essere realizzati con un investimento di 25 milioni di euro. Nella foto Prototipo di PIPENET 100 metri, installato a Terni sede della facoltà di Ingegneria industriale e il particolare dell’infrastruttura sezionata in cui è visibile il tubo esterno, la capsula interna e il motore elettrico lineare in basso.

GreenApes: non siamo soli nella giungla! Lanciato un anno fa a Firenze, cresce sempre di più il social network per chi si impegna nella sostenibilità e vuole condividere le proprie esperienze con la community degli eco-nauti, guadagnando nel frattempo punti e buoni sconto. GreenApes è un eco social network. Il concept è semplice: quella che ci circonda è una giungla in cui cerchiamo di agire in maniera sostenibile, ma non siamo soli. Esistono tante altre “scimmie verdi” che come noi si impegnano quotidianamente a fare le scelte giuste. Questo social network vuole essere il luogo dello scambio di idee, di esperienze, di consigli su come rendere il proprio stile di vita più sostenibile e delle soluzioni agli eco problemi di ogni giorno. Di cosa si parla nella Giungla? Riciclo creativo, ricette anti spreco, attività e negozi eco sostenibili fino ad articoli su temi ambientali o eventi interessanti nelle proprie città. La piattaforma, fruibile da app e da desktop, ha però anche un’altro vantaggio: infatti GreenApes trasforma le esperienze di tutti in punti che diventano buoni sconto, da spendere negli esercizi eco-friendly convenzionati. Così, con i loro post gli

utenti guadagnano BankoNuts​, la moneta della giungla, con cui possono ottenere i ​premi​offerti dai partner della rete, sia locali che nazionali, tutti accomunati dall’attenzione all’ambiente e all’adesione alla missione del progetto. A Roma​, ad esempio, gli utenti GreenApes possono ritirare i loro premi in vari locali come il bistrò É​cru​, il Rainbow Cafè​o il Terra Mia Bio​. A livello nazionale i bankonuts possono essere spesi in portali come GoGreen Store (da cui presto anche acquistare significherà ottenere altri BankoNuts). GreenApes è una start-up fiorentina, nata nel 2012, che ha da poco ottenuto la certificazione B Corp. Fondata da un team di esperti e da una società di servizi informatici toscana, ha ottenuto numerosi riconoscimenti tra cui il Premio Sviluppo Sostenibile 2014, con medaglia del Presidente della Repubblica.​ Le prime comunità locali sono nate a Firenze​nel 2015 ed Essen (Germania) nel 2016, come piattaforma ufficiale di Essen Capitale Europea della Sostenibilità 2017. Il progetto è co-finanziato dall’Unione Europea ​ed è avallato, tra gli altri, dal Comune di Firenze (Assessorato all’Ambiente e Sport),​università e centri di ricerca internazionali. A Firenze, anche portare i rifiuti all’isola ecologica, prendere i

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mezzi pubblici o usare il car-sharig significa essere ricompensati con BankoNuts, questo grazie alla sinergia che si è creata tra GreenApes, Istituzioni pubbliche e aziende private: tutti hanno riconosciuto in questo social network un modello che funziona come incentivo per le buone pratiche della sostenibilità. Maira Bartoloni Cell: 392.53.28.725 Mail: maira@greenapes.com www.greenapes.com


START-UP

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GREENRAIL: la start up italiana rivoluziona il mondo delle ferrovie di Davide Iannotta

La giovane società, fondata dal palermitano Giovanni De Lisi, ha messo a punto delle eco traverse rivestite da una miscela di pneumatici dismessi e plastica riciclata.

“Quelli che stiamo realizzando oggi sono gli obiettivi che ci eravamo posti dall’inizio. Chiaramente un po’ di soddisfazione c’è, ma la carica e l’entusiasmo sono sempre stati gli stessi, fin dagl’esordi”, continua a tenere i piedi ben saldi a terra Giovanni Maria De Lisi, fondatore di Greenrail, la start up italiana che, fresca beneficiaria della seconda tranche di finanziamenti europei SME (uno degli strumenti di sostegno finanziario alle PMI inserito nel programma Horizon 2020), si appresta a rivoluzionare il mercato delle ferrovie mondiali. L’idea è al contempo semplice e geniale: sostituire le odierne traverse in calcestruzzo, soggette a rapido deterioramento, con delle innovative traversine ricoperte di una speciale miscela ottenuta combinando pneumatici dismessi e plastica riciclata. Un sistema che garantisce sostenibilità grazie al riuso di materiali altrimenti difficilmente smaltibili (per ogni km lineare di ferrovia, si stima un riuso di 35 ton. di pneumatici usati e altrettante di plastica riciclata); che abbatte i costi di manutenzione e sostituzione (le traverse Greenrail garantiscono un ciclo vitale di 50 anni, quelle tradizionali tra i 20 e i 30), oltre a ridurre l’impatto acustico del passaggio dei treni, ammortizzato dalla copertura in materiale plastico e prevenire la polverizzazione del ballast (il pietrisco utilizzato per la massicciata). Benefici che riguardano un mercato enorme: ogni anno, infatti, vengono sostituite circa 80 mln di traverse in tutto il mondo (non a caso il brevetto è stato depositato in 148 Paesi). “Siamo l’unica start up italiana in ambito mobilità inserita nel programma SME” spiegano orgogliosamente i ragazzi di Greenrail. Un passo decisivo che segna il salto definitivo dal mondo liquido delle start up a quello ben più solido delle industrie: “Quando nel 2012 ho avuto quest’intuizione non avevo in mente l’idea di fare una start up, ma quella di fare un’azienda - spiega Giovanni De Lisi - In seguito abbiamo capito di essere una start up, anche se un po’ atipica nel contesto italiano perché generalmente qui le start up sono digital, mentre quelle industriali sono abbastanza poche”. In questo campo, infatti, a

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farla da padrone sono le grandi aziende che hanno la forza di fare ricerca e sviluppo. Ma avere una buona idea non è garanzia di successo: “Bisogna avere l’umiltà per riconoscere se c’è l’idea giusta - continua De Lisi - e prima di mettere in moto Greenrail ho studiato da solo tutti i competitor, tutto il mercato, per mesi; quando ho capito che il prodotto era vincente, perché non c’erano punti deboli, ho messo in moto la macchina organizzativa”. Altrettanto fondamentale è la ricerca di partnership e fondi adeguati, una necessità che nel mondo delle start up si concretizza in numerosi premi e competition a patto, però, di “individuare quelle giuste”, come precisa Giovanni De Lisi: “Le competition per start up sono un ottimo veicolo per crearsi una rete di conoscenze e farsi conoscere. Danno anche credibilità, perché quando diverse giurie di diversi premi credono in un progetto diventa un plus rafforzativo per la start up”. Di qui, l’intuizione vincente di presentare il progetto, fin dall’inizio, al Politecnico di Milano, una grande realtà consolidata e capace di concorrere nello sviluppo di tutti gli aspetti del prodotto fino alla sua industrializzazione. Un mix di idee, competenze e predisposizione alla sostenibilità che ha portato al successo, alimentato anche dalla confluenza in quel particolare tipo di economia che, da qualche anno a questa parte, tutti conosciamo con l’attributo “circolare”: “L’idea iniziale era quella di creare un prodotto che portasse,

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oltre a vantaggi tecnici ed economici, anche dei vantaggi in termini ambientali - spiega Giovanni De Lisi - e non nascondo che quando ho avuto l’idea iniziale, pur concependola in quest’ottica, non avevo mirato direttamente all’aspetto dell’economia circolare. Ci siamo ‘ritrovati’ poi in questo processo ed è stato un vantaggio ulteriore”. La messa in produzione delle prime eco traverse Greenrail è prevista entro l’anno, ma Giovanni De Lisi e il suo team guarda già al futuro con i progetti Piezo e Solar: il primo prevede l’integrazione di sistemi piezoelettrici cablati all’interno della traversa per alimentare sensori per la lettura di determinati parametri sia della linea che dei convogli in transito; il secondo, complementare al progetto Piezo, prevede l’installazione di impianti fotovoltaici per produrre energia da impiegare nella diagnostica della linea e per la trasmissione dati. “Sono progetti in piena fase di ricerca e sviluppo - conferma De Lisi - I sistemi integrati richiedono un percorso più lungo e contiamo di portarli sul mercato entro il 2018 - 2019. Ma la miscela di pneumatici e gomma riciclata che abbiamo creato, testando più di 70 miscele, è un materiale utilizzabile nella produzione di altri prodotti anche in contesti diversi, non solo in ambito ferroviario”. Insomma, c’è aria di cambiamento nel settore del trasporto su ferro: una nuova aria green, giovane e, per una volta, 100% italiana.

Edo, l’App che ti informa su cosa stai mangiando (e se ti fa bene) tempo di lettura:

Combinando informazioni su migliaia di prodotti con le specifiche esigenze di ogni utente, l’applicazione made in Italy fornisce in tempo reale indicazioni su cosa sia meglio acquistare e cosa evitare.

Codici a barre, valori nutrizionali, dosi giornaliere raccomandate, improbabili loghi ed etichette: riuscire a estrapolare le informazioni necessarie per comprare prodotti alimentari salutari continua ad essere una vera piccola impresa quotidiana. Partendo da questa difficoltà, che coinvolge migliaia di persone ogni giorno, quattro giovanissimi neolaureati dell’Università di Bologna hanno sviluppato Edo, la prima App italiana che

legge i codici a barre dei prodotti alimentari in commercio e indica all’utente se un dato alimento è in linea o no con le sue personalissime esigenze alimentari. Il funzionamento di Edo è semplicissimo: basta scaricare gratuitamente la App sullo smartphone e scattare una foto al codice a barre del prodotto; immediatamente Edo fornirà un indicatore di compatibilità, un voto da 0 a 10, frutto del rapporto tra valori nutrizionali, componenti del prodotto ed esigenze personali (legate soprattutto a sesso ed età, ma anche allo stile di vita). Non solo: oltre alla compatibilità di un alimento, Edo mostra quali siano i pro e i contro dello stesso, suggerisce eventuali alternative più salutari o in linea con le nostre necessità, indica la presenza di eventuali allergeni o intolleranze (ad es. glutine o lattosio). Il tutto con un’interfaccia grafica estremamente semplice e intuitiva, adatta all’uso di tutti, esperti e non. Il cuore della App è un algoritmo sviluppato da Diego Lanzoni, Luciano Venezia e Marco Giampaoli, i tre informatici fondatori di Edo, capace di combinare le informazioni del prodotto a quelle fornite nel proprio profilo dall’utente. A sviluppare i contenuti nutrizionali sono invece le nutrizioniste Maria Vincenza Gargiulo, anche lei fondatrice della start up, e la professoressa Alessandra Bordoni dell’Università di Bologna. In Italia sono già 360 mila gli utenti che usano ogni giorno Edo App: un successo certificato anche dalla selezione tra le 16 start up in ambito agroalimentare finaliste del premio Future Food. Insomma con Edo non ci sono più scuse: un’alimentazione sana e consapevole è davvero a portata di mano.

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BIODIVERSITÀ

Biodiversità e crisi ambientale: verso una visione ecosistemica di Fulvio Mamone Capria, Presidente LIPU - Birdlife Italia

La biodiversità è il nostro capitale naturale. L’omonima Strategia Nazionale indica che la biodiversità va “conservata e ripristinata per il suo valore intrinseco e perché possa continuare a sostenere la prosperità economica e il benessere umano, nonostante i profondi cambiamenti in atto”. La crisi ambientale, che ormai ha i connotati di un fenomeno globale che non risparmia alcuna parte del Pianeta, si sta rapidamente aggravando. Il benessere, e in ampie aree geografiche anche la sopravvivenza di un numero crescente di persone, sono messi a rischio dal degrado ambientale, come ben definito nei Millennium goals delle Nazioni Unite (MA, 2005). In estrema sintesi, la crisi si articola in: • scarsità delle materie prime, • crescente fabbisogno energetico, • inquinamento dell’atmosfera, dell’idrosfera e del suolo, • surriscaldamento globale, • crollo della biodiversità e degradazione del funzionamento degli ecosistemi. Tutti i Paesi, seppur con intensità e modalità differenti, ne sono influenzati. Il bacino Mediterraneo, e l’Italia in particolare, risultano particolarmente a rischio di degrado ambientale. Tuttavia, nel nostro Paese ancora si stenta a riconoscere che la risoluzione, o quanto meno la mitigazione degli effetti di queste molteplici crisi, non può che partire da una visione ecosistemica che le contempli tutte e prenda in considerazione le loro interrelazioni. In assenza di una simile visione, interventi di carattere pianificatorio o normativo, motivati, come spesso accade, dalla presunta vetustà delle norme attualmente vigenti non possono che operare dei mutamenti sporadici, isolati e, nella migliore delle ipotesi, affrontare alcuni aspetti specifici, senza risolvere la questione ambientale nella sua complessità ovvero favorire una tendenza in tal senso.

Dagli Uccelli alla visone ecosistemica per la biodiversità A titolo di esempio, immaginiamo di utilizzare l’avifauna gli Uccelli - quale nucleo di partenza, per poi allargare la visione, in prima istanza, alle altre componenti principali della biodiversità tutelate oltre che dalla Direttiva Uccelli 147/2009/ CEE, dalla Direttiva Habitat 43/92/CEE, ben consapevoli che tali Direttive non includono tutte le specie e gli habitat meritori di conservazione in Italia. Il livello delle conoscenze sugli Uccelli in Italia, ben lungi dall’essere esaustivo, consentirebbe, in linea di massima, di definire una strategia per la conservazione della nostra avifauna. Ad esempio la LIPU-BirdLife Italia, in collaborazione con ISPRA e con il CISO (Centro Italiano Studi Ornitologici) per conto del Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare, Direzione Protezione Natura, ha completato il quadro di definizione dello stato di conservazione delle 256 specie di uccelli nidificanti in Italia (Gustin et al 2009, 2010; Brambilla et al 2010). Per numerose specie è stato anche formulato un Valore di Riferimento Favorevole, volto a determinare obiettivi di conservazione esplicitamente quantitativi per ciascuna specie (dimensione della popolazione necessaria o densità riproduttiva minima sufficiente a garantire la persistenza delle specie). Per le specie a distribuzione diffusa è ora disponibile, grazie al programma MITO (Fornasari et al. 2002; LIPU e Rete Rurale Nazionale 2011), la tendenza demografica dal 2000 al 2011, che ha evidenziato ad esempio il crollo delle specie negli ambienti agricoli. Inoltre, l’Atlante della migrazione

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pubblicato da ISPRA (Spina e Volponi 2008) fornisce preziose informazioni circa la provenienza e la destinazione geografica dei migratori che transitano, svernano o nidificano nel nostro Paese. Per alcune specie è anche possibile definire, con buon grado di approssimazione, il loro “paesaggio ideale” (o mosaico di habitat), determinare le variabili vegetazionali e inerenti la struttura spaziale del paesaggio che determinano la qualità ambientale, e persino prevedere come i paesaggi da loro occupati evolveranno nei prossimi anni (e.g., Casale e Brambilla 2009). Per la maggior parte delle specie, abbiamo un buon livello di conoscenza circa le loro esigenze ecologiche e le azioni da intraprendere per la loro conservazione. Possiamo anche, in modo ragionevole, formulare linee strategiche atte a conservare l’avifauna nella sua complessità e gestire eventuali esigenze ecologiche conflittuali tra le diverse specie. Invero, lo stesso decreto del Ministero dell’Ambiente “Rete Natura 2000” (n. 184/2007) sui Criteri minimi uniformi per conservazione dei siti della rete, fornisce al riguardo, per le 13 tipologie ambientali di Zone di Protezione Speciale (ZPS) individuate, un quadro piuttosto esauriente. Infine, la Strategia Nazionale Biodiversità nella sua “visione” recita: “La biodiversità e i servizi ecosistemici, nostro capitale naturale, sono conservati, valutati e, per quanto possibile, ripristinati, per il loro valore intrinseco e perché possano continuare a sostenere in modo durevole la prosperità economica e il benessere umano nonostante i profondi cambiamenti in atto a livello globale”. Le tre tematiche cardine della strategia sono: • Biodiversità e servizi ecosistemici, • Biodiversità e cambiamenti climatici, • Biodiversità e politiche economiche.

Dalla teoria alla pratica. Un piano operativo per la biodiversità Ci si può dunque chiedere, assumendo che la visione della Strategia Nazionale Biodiversità possa costituire un efficace riferimento per uscire dalla crisi ambientale, se il quadro teorico a nostra disposizione per passare alla pratica sia soddisfacente. Ciò che certamente manca è una traduzione della strategia in un piano operativo. Tale piano, dovrebbe essere: • basato sui principi della landscape ecology e contenere una componente spaziale (geografica) esplicita, • interfacciabile con la pianificazione territoriale, • con una forte componente ecosistemica, • adattativo ai cambiamenti climatici e mitigatorio degli effetti degli stessi. In concreto, tale piano dovrebbe operare un’integrazione dell’attuale rete delle aree protette (inclusi ovviamente i siti Rete Natura 2000), in chiave ecosistemica e adattativa. Tramite modelli predittivi si rende possibile l’individuazione di aree protette stabili (marginalmente influenzate dai cambiamenti climatici), delle specie e comunità che diverranno sotto-rappresentate, dei futuri hotspots di biodiversità. E’ necessario, inoltre, che tutto il territorio produca dei benefici per la biodiversità, e continui a fornire servizi ecosistemici, in un’ottica di multifunzionalità (si pensi in particolare agli ambienti agricoli). Occorrerà quindi aumentare la permeabilità dei paesaggi alla fauna selvatica, mantenendo o migliorando le funzioni ecosistemiche e la resilienza dei paesaggi ai cambiamenti climatici.

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Le misure incluse nei Piani di Sviluppo Rurale hanno la potenzialità per raggiungere questi obiettivi. Ma occorre che l’applicazione di tali misure sia guidata da un piano (o da più piani, per le diverse tipologie di agro ecosistemi o di sistemi forestali). L’individuazione di aree agricole a elevato valore di naturalità potrà quindi indirizzare la gestione di contesti rurali di particolare pregio, sia in termini di conservazione della biodiversità, sia di risorse primarie quali l’acqua e il suolo. Serve, inoltre, una mappa nazionale delle opportunità e priorità di ricreazione di habitat, finalizzata ad indirizzare i piani agroambientali, di gestione forestale e la gestione territoriale. La priorità dovrebbe essere l’estensione di fasce esistenti di habitat seminaturali, specialmente in aree strategiche per l’adattamento ai cambiamenti climatici. Analogamente, i sistemi fluviali e le zone umide necessitano di un piano di adattamento per ridurre rischi quali gli effetti delle siccità, prevedibilmente sempre maggiori nel bacino mediterraneo e i rischi di esondazione. La gestione delle nostre foreste può contribuire in modo molto significativo a raggiungere gli obiettivi di Kyoto, ma occorre che tale funzione non vada a scapito della biodiversità legata agli ambienti appenninici o alpini non forestali, molti dei quali sono in via di scomparsa. Né la massimizzazione della funzione “sink di carbonio” dei nostri boschi può costituire un obiettivo isolato. Potrebbe quindi essere opportuno finalizzare un disegno geografico di ampia scala che preveda zone di non intervento, zone di gestione attiva, ed anche zone finalizzate a massimizzare la funzione “sink”. È infine necessario che le azioni di adattamento vengano coordinate in modo intersettoriale e sottoposte a un periodico monitoraggio per valutarne gli impatti e correggere eventuali disfunzioni. La difficile sfida ambientale del presente e del prossimo futuro, a venticinque anni dalla Convenzione di Rio del 1992, dagli impegni, dagli obiettivi importanti che lì sono nati, consisterà nel gestire i potenziali conflitti tra i piani di adattamento dei diversi settori e, contemporaneamente, riconoscere e saper cogliere le sinergie tra loro, in particolare attraverso l’uso realmente sostenibile del territorio che potrà portare benefici agli habitat, alle specie,agli esseri umani, al Pianeta intero.

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PRIMAVERA E NATURA Hortus Hurbis, l’esperienza educativa dell’orto. Intervista a Luca D’Eusebio

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Alcuni bambini hanno scalato il loro primo albero per mettervi dei nidi per uccelli. Altri hanno scoperto il mondo degli insetti realizzando per loro delle casette o perdendosi dietro ai lombrichi. Altri ancora hanno scoperto come tirando alcune foglie verdi esce dal terreno uno strano oggetto arancione che si scopre essere una carota o si sono stupiti dai colori e forme dei semi, dei fiori e delle radici. Taluni hanno prodotto da soli il loro pranzo impastando la pasta o cucinando la pizza per la merenda. Chi si è portato a casa un orto tascabile, chi ha realizzato un foglio di carta decorato con foglie e semi , chi ha costruito un quaderno per le sue storie o dei pop up, delle maschere per qualche tempo si ricorderà dell’orto.

Hortus Urbis è un progetto sperimentale sullo spazio pubblico e la biodiversità di Zappata Romana e dell’Ente Parco Regionale Appia Antica: Un orto condiviso, un orto didattico e un orto con piante antico romane. L’Hortus Urbis si trova nel parco dell’Appia Antica a Roma in un’area verde presso l’ex Cartiera che ospita oggi la sede del Parco, all’inizio della antica regina viarum. Circondato da un bosco e dal sacro fiume Almone, Hortus Urbis è il primo giardino realizzato solo con piante utilizzate nell’antica Roma. Oltre 100 varietà sono state selezionate tra quelle citate da Columella, Plinio il vecchio, Catone, Virgilio e dalla recenti scoperte degli scavi di Pompei. Quando nasce Hortus Urbis? Il progetto è iniziato nella primavera 2012 con una insolita iniziativa da parte di una istituzione pubblica che ha coinvolto i cittadini, attraverso l’associazione Zappata Romana, nella gestione di una porzione per quanto piccola di un’area di forte pregio storico ambientale all’interno di un parco. Dal suo avvio ha ospitato tutte le domeniche, laboratori per bambini

e famiglie, gite scolastiche nei giorni feriali e vi si sono svolte attività speciali, incontri e corsi per adulti. Come si finanzia? Il giardino è mantenuto con il contributo di volontari, associazioni e altri giardini condivisi urbani. Con l’aiuto di giardinieri volontari, oltre alle aiuole, sono stati realizzati: la compostiera, il forno in terra cruda, il semenzaio, la pergola e un impianto di irrigazione. Ed anche corsi di giardinaggio, potatura, cesteria, irrigazione, cucina, riconoscimento delle piante spontanee culinarie. Cosa rappresenta per i bambini l’Hortus Urbis? Un luogo dove imparare a prendersi cura di altri essere viventi, le piante. Un luogo dove si apprendono e si seguono i ritmi e i tempi della natura. Un luogo dove si osserva, si scopre, si agisce e si può sperimentare con tutti i sensi, tatto, olfatto, vista, udito e gusto, imparando a leggere l’ambiente che ci circonda e le sue relazioni. Soprattutto rappresenta un luogo dove divertirsi e giocare all’aria aperta. Da soli o con altri bambini collaborando in attività semplici come annaffiare o complesse come fare gli acquerelli di una pianta.

Come si pone Hortus Urbis rispetto ad altre esperienze simili? L’Hortus Urbis è un orto condiviso inteso come bene comune della collettività a vocazione didattica con piante utilizzate ai tempi dell’antica Roma selezionate fra quelle citate dai classici. Il recupero dell’area abbandonata è avvenuto attivando un processo partecipativo convinti che l’orto urbano condiviso sia il luogo per eccellenza dove praticare il “rimboccarsi le maniche” per recuperare aree abbandonate per farne spazi pubblici, luoghi di socializzazione e di attività culturali, sentirsi utili alla collettività, recuperare un rapporto fisico con la natura, eliminare barriere culturali e sociali nonché generazionali, sentirsi al sicuro, rilassarsi, apprezzare il valore del tempo, condividere saperi e imparare dagli altri. Si tratta di un esempio concreto di un progetto di “rigenerazione urbana” basato sul recupero del territorio e sul rafforzamento dell’identità culturale della comunità di cittadini. Pochi luoghi urbani hanno in sé tali e tante potenzialità per la soddisfazione di semplici bisogni soprattutto in contesti urbani con un elevato numero di abitanti. In tal senso l’Hortus Urbis produce innovazione sociale perché trasforma l’esperienza di fruizione di un parco in un’attività costante e coinvolgente, legando il territorio e la comunità a un progetto concreto, dove le persone sono direttamente coinvolte in un percorso di cura e manutenzione dell’ambiente naturale. Quali sono i prossimi appuntamenti? L’appuntamento è il primo sabato di ogni mese. A marzo parte la stagione per i bambini. Durante la settimana le attività per le scuole e ogni domenica da metà mese vi saranno laboratori per bambini e famiglie. Per fare la carta. Per fare l’orto. Per fare le bombe di semi. Per conoscere il mondo delle api. Per piantare. Per ascoltare o scrivere delle storie. Per dipingere e disegnare. Per fare la pasta e i biscotti. Per intrecciare. Per seminare e poi raccogliere. Per partecipare basta seguire il sito www.hortusurbis.it o iscriversi alla newsletter.

Casa Capriata: l’ecorifugio che appartiene alla storia

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di Annalisa Norante

Grazie a un progetto di ricerca sviluppato dal Dipartimento di Progettazione architettonica e di Disegno Industriale del Politecnico di Torino è stata ultimata, dopo 50 anni, l’opera incompiuta di Carlo Mollino. Edificio energeticamente impeccabile con un consumo minore di 10 Kwh/ mq. Due anni fa apriva i battenti il primo rifugio italiano completamente passivo ed ecosostenibile, ispirato alla “Casa Capriata”, il prototipo che l’architetto Carlo Mollino, personalità complessa e sfaccettata del panorama architettonico del secolo scorso, presentava alla X Triennale di Milano nel 1954. Un’equipe di ingegneri e architetti del Politecnico di Torino, guidata dal Prof. Guido Callegari trasforma la visione di un architetto in un edificio vero: “Casa Capriata”, il disegno avveniristico di una baita ideale, basata sulle tradizionali case in legno dell’architettura Walser e concepita come il manifesto di un utilizzo innovativo di materiali e tecnologie, rinasce a Gressoney St. Jean (AO) nel 2014. Il risultato è a dir poco sorprendente. Un prototipo degli anni ‘50, già intriso di quelli che diventeranno i princìpi della bioarchitettura, diventa un edificio energeticamente impeccabile con un consumo minore di 10 Kwh/mq.

Un’architettura sognante e aerea, sollevata dal suolo e protesa verso il cielo nella tipica conformazione a triangolo, fa capolino tra le vette appuntite, strizzando l’occhio alle casette Walser di cui ricalca le forme. In una piccola baita destinata a sciatori e alpinisti la consapevolezza del passato e la tensione verso il futuro si fondono in unico segno dove i pesanti ancoraggi alle rocce sottostanti, le capriate e le strutture lignee, retaggio dell’architettura tradizionale montana, convivono con la leggerezza della copertura metallica, i pannelli fotovoltaici e i materiali di ultima generazione che rendono l’edificio un piccolo gioiello ecosostenibile a zero emissioni. Tutti i componenti, architettonici e tecnologici, contribuiscono al funzionamento di una macchina perfetta, completamente autosufficiente e realizzata in materiali riciclabili: strutture e involucro in legno termo-trattato, infissi a taglio termico e copertura metallica con pannelli fotovoltaici integrati, in grado di assicurare la produzione di energia anche in condizioni climatiche avverse. Sistemi scaldanti a basso consumo, coadiuvati da un impianto di ventilazione meccanica e da pannelli radianti inseriti negli elementi di arredo, assicurano il benessere termico. Infine l’acqua, risorsa preziosissima e difficilmente trasportabile in alta quota, una volta auto-prodotta riutilizzando l’acqua piovana e trattando biologicamente le acque reflue, viene scaldata con pannelli solari installati sul tetto.

Il nuovo Rifugio Mollino, presentato come un prototipo alla X triennale di Milano, continua a vivere ancora oggi come un modello, facendtosi manifesto alpino della possibilità (e volontà) di costruire in modo energeticamente autosufficiente.


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Per associazioni e cooperative sociali, che svolgano attività, corsi, iniziative, o che producano o commercializzino prodotti o che realizzino servizi nell’ambito della sostenibilità aziendale, sociale e del benessere della persona e degli animali. Perché aderire al Club della Coccinella (o di Vivere Sostenibile)? Aderendo al club avrai questi benefici: • Rivolgerti ad una platea di oltre 100.000 lettori di Vivere Sostenibile Roma, sensibili e attenti ad una migliore qualità della vita! • Sarai più facilmente individuato e trovato dal tuo potenziale cliente o socio rispetto alle realtà che non aderiscono al club • Rafforzare la tua credibilità e immagine unendoti ad altri operatori che credono, come te, nella sostenibilità e nel benessere. • Aumentare la tua riconoscibilità presso il tuo pubblico potenziale.

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NUMERO 3

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Cos’è Vivere Sostenibile Roma? È un progetto divulgativo sui temi della sostenibilità economica, ambientale, sociale e culturale che si sviluppa come una rivista mensile, un sito web, una news­letter e un circuito di social network.

A cosa serve Vivere Sostenibile Roma? A creare uno spazio d’incontro tra domanda e offerta di servizi e prodotti eco­ sostenibili. A informare un target attento e sensibile a questi temi su: novità, nuovi prodotti e servizi, eventi e iniziative di aziende, Enti e associazioni. A fare aumentare la consapevolezza dei cittadini sull’urgenza di un cambiamento del paradigma di sviluppo ed a orientare acquisti e comportamenti quotidiani, verso un modello basato su efficienza, economia circolare, equità sociale ed economia collaborativa.

Come viene distribuito Vivere Sostenibile Roma? Il magazine mensile stampato: nei negozi e ristoranti BIO, nelle sedi di associazioni, cooperative onlus, nei mercatini a km0 e di agricoltori BIO, nelle feste/festival, fiere di salute, benessere, ecologia, BIO ecc, nelle biblioteche comunali di Roma e provincia, negli URP comunali, in molte attività (idraulici, pannelli solari, edilizia BIO, infissi ecc.) eco­sostenibili. COPIE MENSILI DISTRIBUITE 15.000 Il magazine on­ line: inviato in formato PDF direttamente agli iscritti alla news­ letter e agli iscritti delle associazioni aderenti all’iniziativa. Consultabile online direttamente dal sito o dai social-network COPIE MENSILI CONSULTATE 100.000

Perché investire su Vivere Sostenibile Roma? Per raggiungere ed informare un target di persone sensibili e attenti ai temi della sostenibilità, che orientano sempre più i loro stili di vita in modo coerente, attento e responsabile!

Redazione: Via Edoardo D’onofrio 304 - ­00155 ROMA (RM) Tel: 338 7366578 www.roma.viveresostenibile.net E mail: vsroma@viveresostenibile.net Direttore Responsabile Mauro Spagnolo direttore.roma@viveresostenibile.net Direttore Editoriale Daiana Asta commerciale@viveresostenibile.net Coordinamento Redazionale Enrico Palacino vsroma@viveresostenibile.net Redazione Davide Iannotta redazione.roma@viveresostenibile.net

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Grafica e Impaginazione Matteo Svolacchia Stampa Centro Stampa delle Venezie - Padova Hanno collaborato a questo numero: Mauro Spagnolo, Davide Iannotta, Enrico Palacino, Lucrezia Zazzera, Alessandro Caloprisco, Paolo Serra, Franco Cotana, Fulvio Mamone Capria, Renata Balducci Informativa ai sensi dell’Art.13 del D.lgs. 196/2003 sul trattamento dei dati personali. Gogreen Edizioni S.r.l.s. ­Titolare del trattamento – ha estratto i Suoi dati da banche dati proprie e acquistate da terzi. I dati di cui non è prevista la diffusione, sono trattati con procedure automatizzate e manuali solo dai dipendenti incaricati del trattamento, per fini promozionali e commerciali. Tali dati possono essere comunicati, in Italia e all’estero, ad aziende e professionisti che li richiedono a Gogreen Edizioni S.r.l.s per le stesse finalità. Potrà rivolgersi a Gogreen Edizioni S.r.l.s. Via Stalingrado, 12 ­40126 Bologna (BO) per avere piena informazione di quanto dichiarato, per esercitare i diritti dell’Art. 7 del D.lgs 196/2003, e perciò consultare, modificare e cancellare i dati od opporsi al loro utilizzo nonché per conoscere l’elenco dei responsa-

bili del trattamento. Tutti i marchi sono registrati dai rispettivi proprietari Vivere Sostenibile Roma offre esclusivamente un servizio, non riceve tangenti, non effettua commerci, non è responsabile della qualità, veridicità, provenienza delle inserzioni. La redazione si riserva, a suo insindacabile giudizio, di rifiutare un’inserzione. L’editore non risponde di perdite causate dalla non pubblicazione dell’inserzione. Gli inserzionisti sono responsabili di quanto da essi dichiarato nelle inserzioni. Vivere Sostenibile Roma si riserva il diritto di rimandare all’uscita successiva gli annunci per mancanza di spazi e declina ogni responsabilità sulla provenienza e veridicità degli annunci stessi. Ogni riproduzione è riservata, essendo tutti i testi ed i materiali pubblicati su Vivere Sostenibile Roma di proprietà di Gogreen Edizioni S.r.l.s.

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ESSERE VEGANI

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19 gennaio 2017

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La rubrica di Renata

Bilancio dell’anno appena passato di Renata Balducci, Presidente di Associazione Vegani Italiani Onlus Quante notizie ha portato con sé questo anno appena concluso. Dalla più importante, per quanto riguarda il nostro essere abitanti di questo pianeta: il 2016 è stato l’anno con le temperature medie più alte mai registrate dall’essere umano, rispetto all’era pre-industriale. Esse sono salite infatti di 1,2°C soprattutto a causa dell’incremento delle emissioni dei famosi gas serra, tra anidride carbonica e metano. Durante il Cop22, la conferenza ONU sul clima tenutasi a novembre a Marrakech, dopo lo storico accordo di Parigi del 2015, i paesi firmatari hanno confermato il loro impegno nella creazione di leggi e al rafforzamento delle collaborazioni tra gli stati al fine di ridurre i livelli dei gas serra emessi per evitare che le temperature medie superino i 2°C nel 2100. Il regolamento, da approvare entro il 2018, dovrà stabilire in che modo i paesi monitoreranno i loro impegni presi a Parigi, visto che durante la conferenza non sono stati presi provvedimenti concreti. Abbiamo già parlato di quanto sia importante per vivere sostenibilmente, scegliere un’alimentazione e uno stile di vita “sopportabile” dal punto di vista ambientale. Continuare a sovrasfruttare le risorse e le creature della Terra nella più totale indifferenza delle conseguenze che tutto ciò porta con sé, non è, sicuramente, un comportamento sostenibile. A causa del surriscaldamento globale e alle attività umane sono state diverse le specie animali dichiarate a rischio d’estinzione. Più di 80.000 sono state le renne morte di fame nella Siberia nordoccidentale negli ultimi dieci anni, non riuscendo a raggiungere lo strato di licheni e piante sotto gli spessi strati di neve; i gorilla di montagna e gli oranghi di Sumatra si sono ridotti a poche migliaia di unità per la veloce deforestazione; gli orsi polari, divenuti il simbolo degli effetti del surriscaldamento, stanno via via perendo non trovando

piattaforme di ghiaccio abbastanza grandi per garantir loro la sopravvivenza; i corpi senza vita di migliaia di pulcinelle di mare continuano ad arrivare sulle coste delle isole del mare di Bering, le cui temperature sono state dichiarate del tutto fuori scala. Queste solo alcune delle notizie che vorremmo non leggere più. Il 2016 è stato anche l’anno in cui, dopo gli ennesimi tragici episodi, si è parlato tanto di maltrattamenti animali, spesso ripresi col telefonino dagli autori stessi per poi venir condivisi sul web alla ricerca di un like. Ciò che ci salva sono le centinaia di migliaia di persone pronte al cambiamento e alla non accettazione della sopraffazione dell’uomo nei confronti delle altre creature. A tutti voi un felice anno nuovo.



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