TravelGlobe Novembre 2015

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Federico Klausner direttore responsabile Federica Giuliani direttore editoriale Devis Bellucci redattore Silvana Benedetti redattore Maddalena De Bernardi redattore Francesca Spanò redattore Paolo Renato Sacchi photo editor Isabella Conticello grafica Willy Nicolazzo grafico Paola Congia fotografa Antonio e Giuliana Corradetti fotografi Vittorio Giannella fotografo Fabiola Giuliani fotografa Monica Mietitore fotografa Graziano Perotti fotografo Emanuela Ricci fotografa Giovanni Tagini fotografo Bruno Zanzottera fotografo Progetto grafico Emanuela Ricci e Daniela Rosato Indirizzo: redazione@travelglobe.it Foto di copertina: Federico Klausner - Costa Rica Tutti i testi e foto di questa pubblicazione sono di proprietà di TravelGlobe.it® Riproduzione riservata TravelGlobe è una testata giornalistica Reg. Trib. Milano 284 del 9/9/2014 2


EDITORIALE

Il mondo sta impazzendo e il più delle volte a noi viaggiatori non resta che assistere impotenti. L’ultimo attentato avvenuto ad Ankara durante una manifestazione pacifista, ha infuocato gli animi sui Social, quando è stata posta la domanda: “È giusto visitare Paesi che non hanno rispetto per il proprio popolo?”. C’è chi dice sia ammissibile solo nel caso che a farlo sia un reporter per ragioni di documentazione. Altri invece affermano con decisione che quei Paesi vanno definitivamente boicottati. È giusto, invece chiedo io, penalizzare un popolo e la sua economia per colpa di un governo crudele, dittatoriale che lo isola? Personalmente non credo sia etico rifiutare a priori di approfondire la conoscenza di un Paese, basandosi esclusivamente sulle informazioni frammentarie e spesso contraddittorie che giungono dai canali di informazione. Ovviamente non si invita ad avventurarsi in luoghi dichiaratamente pericolosi, ma nemmeno a esprimere giudizi frettolosi, senza la giusta percezione delle cose. Perché altrimenti, per coerenza, bisognerebbe boicottare gli USA dove è in vigore la pena di morte, Israele per la politica verso i Palestinesi, la Cina dove i diritti civili sono quotidianamente calpestati, o il Messico dove i trafficanti di droga hanno una vita più semplice delle persone normali. Chi è senza peccato scagli la prima pietra. 3

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Paese che vai...


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S O M M A R I O EDITORIALE di Federica Giuliani CUBA Il fascino di Hemingway Foto e testi di Graziano Perotti

Copenaghen L’arte del gusto Foto e testi di di Giovanni Tagini Costa Rica

Tutti i colori del Mondo Foto e testi di Federico Klausner

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NEWS

TANZANIA A caccia con gli uomini della preistoria | Foto e testi di Bruno Zanzottera

ITALIA Fse: guardando il mondo da un obló Foto di Emanuela Ricci Testi di Florisa Sciannamea FOTOGRAFO DEL MESE

Emanuela Ricci LEGENDA

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M E N T E C U O R E N AT U R A G U S TO CORPO


LIBRI

BENESSERE

Un libro per donne, che amano viaggiare da sole. Donne sole per scelta, in cerca di bellezza lontano dalla routine quotidiana. In Viaggio con le Amiche consiglia itinerari in tutto il mondo per ammirare paesaggi che sollevano l’umore, percorrere campagne isolate che deliziano il cuore, scoprire borghi dimenticati per trovare serenità,vivere città d’arte in leggerezza e lambire spiagge di grande fascino. Consigli dati da una viaggiatrice a donne avventurose. In Viaggio con le Amiche di Isa Grassano | Newton Compton Editore | 5,90 euro

La proposta autunnale di Terme Merano è l’offerta “Day Spa Terme Merano”, un pacchetto completo di tutto il necessario: dalla borsa con accappatoio, asciugamano e ciabatte al drink di benvenuto, dalla sdraio riservata al buono gastronomico di 10 euro. Da novembre, inoltre, saune e piscine rimangono aperte fino a mezzanotte offrendo giochi di luce e menu a tema per rendere la pausa relax ancora più suggestiva. Terme Merano

YOGA E HOTEL

TASTING TOUR

Per gli amanti dello Yoga, Four Seasons Hotels & Resorts ha pensato di offrire i corsi più innovativi. A Los Angeles, i clienti del Four Seasons Hotel di Beverly Hills potranno provare l’Helipad Yoga sulla pista di atterraggio degli elicotteri. Nel deserto del serengeti la proposta comprende il saluto al sole, il laughter yoga e la moonlight meditation. A Bali il maestro Yogi residente al Four Seasons Resort Bali at Sayan, ospiterà gli allievi nella sua casa locale, per insegnare le mosse migliori che riescono ad apportare benefici fisici, mentali e spirituali. Info

Scorrazzare in sella a una Vespa o in Fiat 500 per scoprire le migliori specialità culinarie di Napoli. È il “Vespa Food Tasting Tour”, la nuova proposta per conoscere la città del ragù e della sfogliatella. Sette tappe in cui si alternano le migliori specialità dolci e salate della città: dalla pizza margherita della storica pizzeria Acunzo al gelato artigianale 100% naturale di Mennella; dal celebre caffè espresso del Gran Cafè Gambrinus al cuoppo di frittura dell’antica Friggitoria Vomero. In alternativa al giro motorizzato c’è anche il Neapolitan Food Walking Tour ideale per coloro che desiderano godersi una passeggiata tra le stradine del centro storico. Info

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IN VOLO

Le proposte di Kanaga Adventure Tours per i prossimi mesi. Tribù della valle dell’Omo, 11 giorni da 1690 euro con accompagnatore Italiano, partenza 27 dicembre 2015. Genna, il Natale copto a Lalibela, 9 giorni da 1390 euro con accompagnatore Italiano, partenza 2 gennaio 2016. Timkat, l’Epifania copta, 9 giorni da 1490 euro con accompagnatore Italiano, partenza 16 gennaio 2016. Info

Finnair offre ai propri passeggeri un’esperienza unica. Quando si imbarcano sull’aereo, infatti, sono accolti dalla vista di nuvole che ondeggiano attraverso la cabina in un cielo blu. ll sistema di illuminazione è in grado di ricreare 24 tipologie di ambientazione, inclusa l’aurora boreale. Il nuovo sistema di intrattenimento Nordic Sky offre un’ampia selezione di film e canali tematici, mentre Peace of Mind Channel induce i viaggiatori a rilassarsi. I passeggeri di Business Class dispongono inoltre di connessione internet gratuita a bordo. Finnair

VOLI

MOSTRE

Da maggio 2016 Eurowings volerà una volta a settimana dalla Germania a Mauritius. Un Airbus A330 a lungo raggio decollerà ogni giovedì alle 17:05 da Colonia/Bonn per l’aeroporto internazionale di Grand Port sull’isola principale, dove atterrerà alle 6:55 (ora locale) del giorno successivo. Il volo di ritorno lascerà l’isola ogni venerdì alle 8:35 (ora locale) per arrivare al Colonia/Bonn il venerdì stesso alle 18:25. I voli sono già prenotabili su Eurowings.

Torino, fino al 31 gennaio 2016, si tinge dei colori di Monet. Le opere, provenienti dal Musée d’Orsay, evocano lo splendore dei paesaggi impressionisti e dei leggiadri ritratti delle donne di fine Ottocento. Luce e colore sono i veri protagonisti di questa mostra imperdibile. Biglietti

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OFFERTE VIAGGI


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| IL FASCINO DI HEMINGWAY

Viaggio nei luoghi in cui il premio Nobel trovò grande ispirazione per le sue pagine, pervase di vita cubana.

CUBA

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Nelle pagine precedenti: La Bodeguita del medio: il locale storicamente frequentato dai grandi personaggi che lasciarono il segno del loro passaggio con le loro firme e dediche sulle pareti. Qui Ernest Hemingway veniva a gustare il mohito che considerava il migliore servito nei locali all’Avana. 12


In queste pagine: una via di Trinidad, considerata da molti studiosi il migliore esempio di cittadina in puro stile coloniale esistente al mondo. Ernest Hemingway rimase affascinato dalle sue architetture. 13


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L’entrata della “ Finca Vigia”, la casa all’Avana del grande scrittore trasformata nel Museo Hemingway. Lo studio del premio Nobel per la letteratura con la sua scrivania e un trofeo di caccia sullo sfondo.

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Nelle pagine precedenti: Valle de Vinales. L’enorme murales della preistoria è uno dei luoghi più visitati a Cuba. Il murales fu realizzato dall’artista cubano Leovigildo Gonzales. L’Habana cafè, ritrovo di artisti e della classe benestante dell’Avana.

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Una violinista all’hotel Ambos Mundos. Caratterizzato dall’architettura tipica del XX secolo, fu edificato nel 1924. È una meta turistica molto frequentata perché è stata sede del popolare scrittore Ernest Hemingway negli anni Trenta.

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Durante il carnevale all’Avana la danza e la musica sono regine della notte. A Cuba si festeggia tre volte all’anno: quello invernale tra febbraio e marzo, un altro a novembre e a luglio quello più popolare di Santiago. Come in tutto il Caribe, anche a Cuba il Carnevale è da sempre una festa popolare di enorme impatto, un rito di strada dalle origini antiche.

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Il carnevale de l’Avana è uno dei piĂš economici di tutto il mondo. I costumi, infatti, costano al governo cubano poche centinaia di peso e le donne si truccano e si pettinano da sole aiutandosi tra di loro. Nei primi anni Novanta, quando i fondi a disposizione erano davvero minimi, per fare i costumi per il carnevale si sono usati sacchetti di plastica colorati e teli militari.

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Nelle pagine precedenti: Baia Ancon alle porte di Trinidad, la più bella spiaggia del sud di Cuba. Il parco macchine storiche dell’isola caraibica è ormai considerato un patrimonio dell’isola. Ragazze che passeggiano a playa dell’Este.

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A Trinidad, cittadina coloniale Patrimonio UNESCO, il tempo sembra essersi fermato e il cavallo è ancora oggi un mezzo di trasporto molto utilizzato.

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In un hotel dell’Avana si legge “ Il vecchio e il mare”, celebre romanzo di Ernest Hemingway pubblicato per la prima volta sulla rivista Life nel 1952. Grazie a questo libro Hemingway vinse il premio Pulitzer nel 1953 e il premio Nobel nel 1954.

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Il barman del “ El Floridita “ a l’Avana con il cocktail daiquiri, un mix di Rum bianco, succo di lime e sciroppo di canna da zucchero. Il premio nobel qui veniva a sorseggiare il suo cocktail preferito. Celebre è la sua frase “My mohito at la Bodeguita my daiquiri at El Floridita”.

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Gregorio Fuentes, pescatore cubano ispiratore de “Il vecchio e il mare”, ci ha lasciato il 13-1-2002 all’età di 104 anni. Qui è ritratto a 102 anni nella sua casa di Cojimar. Alle sue spalle un dipinto dove posa con Ernest Hemingway. In una lettera ricevuta da Hemingway il grande scrittore lo ringrazia per il premio Pulitzer e il Nobel, perché senza di lui e la sua amicizia non avrebbe potuto scrivere il romanzo.

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All’hotel Ambos Mundos la stanza n.511 al quinto piano è diventata un piccolo museo. Lo scrittore amava questa stanza; diceva che i rumori che provenivano dall’esterno erano per lui grande fonte di ispirazione. Qui scrisse “ Per chi suona la campana”.

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Il grande fotografo Raul Corrales nel 2001 nella sua casa di Cojimar. Corrales è stato testimone della rivoluzione cubana, oltre che il preferito da Che Guevara.

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Il capitano Che Guevara dipinto su un muro di Trinidad.

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Una famiglia a un matrimonio con le spose che si fanno fotografare all’interno del “ El palacio de los matrimonios”, un’elegante dimora storica.

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Lo scritto lasciato alla Bodeguita da Ernest Hemingway.

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IN F O U TI L I Foto e testi di Graziano Perotti

QUANDO ANDARE La stagione migliore va da novembre ad aprile, quando il clima è più secco. Il clima di Cuba è tropicale adatto ad abiti leggeri, indispensabili se ci si reca al mare creme solari ad ampia protezione e occhiali da sole. VALUTA A Cuba esistono due tipi di monete: il Peso Cubano e il Peso Convertibile per i turisti, ma il dollaro americano è la moneta più richiesta. LINK Ente per il turismo di Cuba a Roma

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| A CACCIA CON GLI UOMINI DELLA PREISTORIA

Esistenza selvaggia e origini antiche, che raccontano un mondo lontano, ma pieno di vitalitĂ .

TANZANIA

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Si chiamano Hadza o Hadzabe e sono tra i pochi cacciatori-raccoglitori rimasti sul pianeta. Vivono nella savana attorno al lago Eyasi, nella Tanzania settentrionale, non lontano dalla gola di Olduvai. Qui i paleoantropologi e archeologi anglo/kenyani Louis e Mary Leakey trovarono i resti fossili degli ominidi, dimostrando cosĂŹ le origini africane dell’uomo. Il loro numero non supera le 1500 unitĂ e molti di loro si sono adattati a una vita sedentaria. Una piccola parte di essi però continua a condurre la propria esistenza in un modo molto simile a quello dei nostri antenati, prima della scoperta di pastorizia e agricoltura, oltre che di qualsiasi forma di organizzazione sociale o politica.

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Un incontro con questo minuscolo popolo equivale a un appuntamento con le nostre origini, a come eravamo prima di subire una miriade di condizionamenti culturali e tecnologici. Per la caccia utilizzano dei piccoli archi, molto simili a quelli usati in passato delle popolazioni San (Boscimani) del deserto del Kalahari. Anche il linguaggio con la presenza di schiocchi o ‘click’ nel loro alfabeto, richiama le lingue dei popoli originari dell’Africa Australe. Gli studi diretti dall’antropologo Alec Knight, dell’Università di Stanford in California, suggeriscono che le lingue, in cui diverse consonanti si pronunciano con schiocchi o “click”, furono le prime parlate dagli uomini preistorici.

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Le loro frecce, a volte, hanno delle punte di ferro realizzate dai fabbri di origine Bantu che vivono nei villaggi attorno al lago; altre volte sono dei semplici rami particolarmente appuntiti. In entrambi i casi, però, la parte posteriore della punta viene cosparsa di un veleno realizzato facendo bollire le radici e le cortecce della pianta di panjuwa che cresce nei dintorni del lago. Con queste armi rudimentali, ma molto efficaci, gli Hadza cacciano principalmente babbuini, uccelli, gazzelle e antilopi.

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Oltre alla caccia gli uomini della tribù si dedicano alla ricerca del miele. In questo caso un giovane Hadza sale sopra un baobab utilizzando dei pioli che ha piantato nel tronco. Una volta individuato il ramo giusto lo taglia e ne toglie la corteccia sotto la quale minuscole api hanno depositato piccole quantità di miele. È piuttosto difficile per un neofita riuscire a capire dentro a quali rami si nascondano le api perché dall’esterno non v’è traccia di alveare. Ma per gli Hadza, abituati a cogliere ogni piccolo segnale proveniente dalla natura, questo non rappresenta un problema. Il veleno con cui vengono cosparse le frecce fa effetto dopo una ventina di minuti (il tempo può variare a seconda della mole dell’animale). Una volta colpito, l’animale (in questo caso un giovane maschio di kudu maggiore) viene pedinato dal cacciatore in attesa che il veleno faccia il suo corso. In mancanza di prede vive può succedere che gli Hadza osservino il volo degli avvoltoi per scoprire una carcassa. A questo punto cacciano via gli uccelli spazzini e rompono le ossa dell’animale morto per consumarne il midollo, come faceva l’Homo Erectus.

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Una volta uccisa la preda, il piccolo gruppo di cacciatori si riunisce per macellare l’animale. Gli organi più ambiti come il fegato e il cuore, vengono estratti e cotti su delle braci improvvisate. Tutto il resto viene smembrato e portato al campo. Qui sarà consegnato alle donne, che in genere intonano una cantilena di ringraziamento per il cibo. Nel caso i cacciatori uccidano una preda particolarmente importante come una giraffa o un bufalo, capita che l’intera comunità sposti il proprio accampamento nei pressi del cadavere dell’animale e vi rimanga fino ad averlo consumato completamente.

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Anche la testa del kudu ucciso viene riportata all’accampamento. Sarà uno dei primi pezzi dell’animale a essere cucinato. Occhi e cervello rappresentano alcuni degli organi più apprezzati nella dieta degli Hadza. Sul tema della caccia il governo tanzaniano impone limitazioni severe, nonostante la tribù la pratichi senza l’utilizzo di armi da fuoco e a fini esclusivamente alimentari. In passato le autorità hanno spesso confiscato i terreni per far spazio a pascoli e piantagioni. Nel 2011 però, grazie anche alla campagna condotta dall’ONG Survival International, gli Hadza hanno ottenuto il riconoscimento dei loro diritti di proprietà sui territori che occupano da millenni.

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Il miele rappresenta un alto contributo proteico di zuccheri per la dieta degli Hadza, che ne sono particolarmente ghiotti. La ricerca del miele è una delle attività svolte dagli uomini in alternativa alla caccia. A differenza della carne che viene riportata all’accampamento e condivisa, quando i giovani Hadza riescono a razziare un alveare sfidando l’ira delle api se ne cibano voracemente fino all’ultima goccia.

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Un gruppo di giovani Hadza cucina un bucero cacciato da poco. Mentre le grosse prede vengono macellate e condivise con tutta la comunitĂ , le piccole come gli uccelli, vengono cucinate e consumate direttamente sul posto dai cacciatori presenti alla battuta. Durante la caccia comunicano fra loro con gesti, fischi e schiocchi, per non allarmare le prede. I fischi imitano gli uccelli, gli schiocchi i suoni secchi dei rami spostati dal vento.


La capanne degli Hadza, realizzate con fibre vegetali, sono circolari come quelle dei pigmei che abitano le foreste pluviali del Congo e del Camerun. Le donne si dedicano a tutte le attività di raccolta. Dai tuberi alle zucche e a tutto quanto di commestibile cresca spontaneamente in natura. Per questo il loro ruolo all’interno della società è importante e rispettato dagli uomini. Uno degli hobby preferiti dagli Hadza, quando non sono impegnati nella ricerca di cibo, è quello di fumare marijuana con pipe di terracotta. Quest’usanza, mutuata dagli agricoltori Isanzu, fu osservata già dagli esploratori ottocenteschi. La marijuana, assieme alla farina di manioca, alle pentole, alle punte di frecce in metallo e ai tessuti stampati indossati dalle donne, sono tra le merci che gli Hadza devono acquistare dalle altre popolazioni. Per questo, nonostante la loro lingua non contempli il termine ‘moneta’, quando non riescono a procurarsi queste merci con il baratto sono obbligati a ricorrere all’utilizzo dei soldi che si procurano vendendo la selvaggina.

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Verso sera la comunità di Hadza si ritrova attorno al fuoco per cantare e chiacchierare. Ogni minimo avvenimento della giornata è oggetto di lunghe discussioni. Durante un’intervista ottenuta grazie alla traduzione di Momoya, un giovane appartenente all’etnia di pastori Datoga che condividono i territori degli Hadza, un cacciatore racconta come avviene un funerale tradizionale: “Il corpo del defunto viene lasciato nella 66


savana ricoperto di foglie. Al suo fianco viene deposto un animale ucciso con lo scopo di attirare le iene e fare in modo che vengano mangiati entrambi i corpiâ€?. La iena è il solo animale che non viene cacciato dagli Hadza: è il loro animale totemico, per cui cibarsene equivarrebbe a un atto di cannibalismo. 67


La sera attorno al fuoco è il momento delle lunghe discussioni. Gli Hadza abitano queste savane da tempo immemore. Gli studiosi sostengono che non sia azzardato affermare che siano i diretti discendenti degli ominidi e dei primi Homo Sapiens. L’analisi del DNA mitocondriale presentata dalla genetista Sarah Tishkoff, dell’Università del Maryland, indica che si sono separati dal resto dell’umanità 50mila anni fa. Più o meno in questo periodo secondo la teoria di Out of Africa II, avvenne la migrazione verso Asia ed Europa dei gruppi di Homo Sapiens arcaico.

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Sebbene gli Hadza costruiscano delle capanne di forma circolare per viverci, non è raro che i giovani della tribÚ passino la notte accanto al fuoco, dormendo sopra una pelle di animale cacciato da essi stessi. In genere il luogo viene scelto sotto una roccia che funge in qualche modo da tettoia e li ripari dalle intemperie. Rifugi di questo tipo presentano una sorprendente continuità archeologica dalla preistoria a oggi.

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Secondo gli Hadza il sole diede vita alla luna e successivamente creò tutte le cose sfiorando o toccando la terra piatta. La generò come una figlia per farle prendere il suo posto durante la notte e permettere agli uomini di vedere nelle tenebre. La Luna ha il compito di portare fortuna, di favorire i sogni, che suggeriscono i luoghi dove trovare gli animali durante la caccia. In una società di cacciatori, anche la parte onirica della loro vita è dominata dalla ricerca della selvaggina.

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L’utilizzo dei denti è fondamentale nella lavorazione di oggetti. Sia per per la realizzazione delle frecce che degli archi, nonché di molti altri manufatti, gli Hadza si aiutano molto con i denti, cosa invece praticamente scomparsa nelle società più evolute. Cacciano in gruppo e non hanno capi. Le decisioni che riguardano la vita comunitaria vengono prese in assemblee a cui partecipano anche le donne. Tra di loro non esistono guaritori o stregoni. Ogni adulto viene messo a conoscenza delle piante medicinali e dei miti ancestrali.

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Oggi anche i piccoli gruppi di Hadza che continuano a vivere come cacciatori raccoglitori integrano la propria dieta con farina di manioca o di mais. Nel preparare la polenta, che sta alla base dell’alimentazione di quasi tutte le popolazioni africane, le donne sciolgono i grumi facendo ruotare velocemente un bastoncino con i palmi delle mani. Ăˆ la stessa tecnica preistorica di sfregamento che ancora utilizzano per accendere il fuoco. Sebbene, quando ne sono in possesso, non disdegnino di usare i fiammiferi.

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Nella struttura familiare degli Hadza esistono coppie che rimangono unite per tutta la vita. Tuttavia, è più frequente la monogamia seriale: si resta insieme fin quando i bambini raggiungono i cinque o i sei anni e possono essere accuditi collettivamente. Sono ammesse due mogli, ma devono vivere in campi separati. È molto più comune che le coppie divorzino per iniziare un nuovo rapporto con un altro partner. “Avere due donne crea troppi problemi”, fa notare un cacciatore, separato già una volta. “È comunque preferibile, dopo un po’, risposarsi con una più giovane”.

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Gli Hadza dividono ogni bene all’interno della comunità perché dicono: “Il Sole ha creato il maschio e la femmina. Ha insegnato al maschio a cacciare con l’arco, i segreti della pianta del veleno, e a proteggere la donna. A lei ha conferito il compito di scavare radici, cercare l’acqua, allevare figli. Noi discendiamo da questa prima famiglia che deriva da Uno, il Sole, e restiamo una sola cosa. Per questo chi non vuole condividere deve abbandonare la comunità”. Il sole creò anche gli uomini. Modellò il maschio e la femmina con il fango e da loro nacque il popolo Hadza. Questa visione dell’origine molto simile a quella biblica con Adamo creato dal fango, contiene però una differenza sostanziale: la donna è creata contemporaneamente all’uomo. Nella società degli Hadza le donne ricoprono un ruolo particolarmente importante. Con la raccolta di vegetali contribuiscono in maniera fondamentale all’alimentazione di tutta la comunità. Per questo motivo godono di un rispetto e una libertà sconosciute tra le popolazioni sedentarie di agricoltori.

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Non è facile integrare nella società moderna un popolo di cacciatori-raccoglitori tenacemente attaccato alle proprie tradizioni. Il governo della Tanzania obbliga ogni cittadino all’istruzione primaria. Anche gli Hadza sono tenuti a frequentare le lezioni, ma questo contrasta con il tipo di vita nomade. In tutto gli alunni della comunità sono 140. “Sono bravi e rapidi nell’apprendere”, assicura il preside della scuola di Mangola. Ma i ragazzi hadza incontrati nella savana sono di un altro avviso: “La vera scuola si fa imparando a tirare con l’arco e a conoscere le piante commestibili e quelle curative. Nella scuola del villaggio si prendono un sacco di malattie”.

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A Kondo, nel nord della Tanzania, non lontano dal territorio abitato dagli Hadza, si trovano straordinarie pitture rupestri. La loro origine rimane alquanto misteriosa nonostante siano state studiate da archeo-antropologi quali Mary Leakey. Alcuni studiosi dichiarano che si tratta di pitture realizzate circa 6000 anni fa dai Sandawe, una popolazione di cacciatori raccoglitori vicini ai San (Boscimani). Altri studiosi sostengono si tratti di pitture molto pi첫 recenti realizzate dai popoli di lingua Bantu che colonizzarono la regione in epoche successive. La pittura nella foto rappresenta tre figure umane stilizzate, con capigliature selvagge. Ma potrebbe trattarsi anche di una maschera rituale, con le persone impegnate in una cerimonia propiziatoria per la caccia, come potrebbe indicare anche la presenza della coda nel dipinto.


IN F O U TI L I Foto e testi di Bruno Zanzottera COME ANDARE A dicembre (escluso il periodo delle feste natalizie) Turkish Airlines ha voli su Kilimanjaro Airport (l’aeroporto più vicino al territorio degli Hadza) con scalo a Istanbul. Prezzi a partire da 550 Euro. KLM con scalo ad Amsterdam. Prezzi a partire da 570 Euro. IN VALIGIA A parte durante la stagione delle piogge primaverile (aprile/maggio) il clima è caldo e piuttosto secco per cui portatevi indumenti pratici e leggeri. Scarpe da trekking, in particolare se volete seguire i cacciatori hadza durante le loro battute. NORME SANITARIE Arrivando dall’Europa non è richiesta nessuna vaccinazione mentre è obbligatoria la

vaccinazione contro la febbre gialla, attestata sul libretto sanitario, arrivando via terra da un altro paese africano. Consigliata la profilassi antimalarica. COMPORTAMENTI/FOTOGRAFIA Un viaggio tra gli Hadza prevede un’organizzazione con una guida che ne conosca la lingua, oltre all’inglese, e abbia dimestichezza nel trattare con loro. Una volta entrati in contatto, le persone sono molto gentili e disponibili alle fotografie, però fate attenzione a non forzare i loro ritmi. Rispettate i loro tempi che possono essere molto diversi rispetto a quelli di un occidentale. Spesso un turista ha poco tempo a disposizione e vorrebbe vedere tutto velocemente. Non è il modo migliore di rapportarsi con loro.


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| L’arte del gusto

Una cittĂ da scoprire a tavola, per le stelle Michelin ma soprattutto per il rinomato e mai noioso street food.

COPENAGHEN

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Copenaghen è l’indiscussa capitale gastronomica dei Paesi scandinavi. I suoi piatti dal marcato “gusto nordico”, sono stati rilanciati e fatti conoscere in tutto il mondo da Noma, che per ben quattro anni è stato insignito come il miglior ristorante del mondo. La capitale danese non offre solo l’altissima cucina degli chef stellati (nel 2015 ben 18 stelle Michelin per 15 ristoranti. Una tra le città con la più alta concentrazione di stelle) ma si propone a un più ampio pubblico, grazie a iniziative uniche come i mercati coperti interamente dedicati al cibo, ristoranti economici che propongono solo piatti della tradizione, chioschi sparsi in tutta la città che servono esclusivamente Smørrebrød e, dal 2014, con un’intera area dedicata allo street food. 89


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Foto a sinistra Pur essendo una meta gastronomica troppo turistica e sconsigliata per assaporare i veri sapori nordici, il Nyhavn, l’antico porto di Copenaghen, rimane uno dei luoghi più gettonati e pittoreschi della città. Vuoi per l’infilata di edifici settecenteschi dall’architettura danese e dai colori vivaci, vuoi per il canale con ormeggiate imbarcazioni storiche o per i numerosi antichi caffè e bistrò dalle belle insegne, quest’angolo di città è assolutamente da visitare.

Foto a destra L’aspetto è decisamente inquietante - una testa di merluzzo mozzata di netto con parata di denti acuminati che intrappolano due fette di pane nero - ma superato lo shock iniziale assaporerete una vera prelibatezza. Questo è il piatto che ha reso famoso lo chef Jakob del BROR. Un piatto delicato, morbido e gustosissimo: perfetto l’abbinamento con la salsa all’aneto e il sale affumicato alle erbe. Assolutamente da provare!

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Nel 2008 Copenaghen è stata nominata dalla rivista inglese Monocle “La migliore città del mondo per il design”. Non c’è da meravigliarsi, i danesi amano il design e l’architettura e alcuni “mostri sacri” del settore provengono proprio da qui (Jacobsen, Wegner, Klint per citarne alcuni). Qui sono talmente innamorati dalle “forme” che ingaggiano archistar da tutto il mondo per migliorare e abbellire la città. Nella foto di sinistra, un particolare dell’architettura del “diamante nero”, sede della biblioteca Reale.

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A Copenaghen, sempre attenta al sociale, in questi ultimi anni si stanno riqualificando zone degradate e industriali, ponendo come obiettivo la creazione di spazi pubblici accessibili e utili agli abitanti. Ne è un bell’esempio il Kalvebod Waves, percorso pedonale che si sviluppa, con passerella fisse, direttamente nel canale, in una zona industriale. Nel periodo estivo è il punto d’incontro per chi ama prendere il sole, fare sport acquatici o semplicemente passeggiare.

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A sinistra un’attrazione del parco dei divertimenti Tivoli. Sin dal 1943, anno d’apertura, questo parco a tema è il più visitato al mondo; un insieme di varie attrattive che lo rendono adatto sia ai bambini sia agli adulti. Lo stesso Walt Disney aprì Disneyland ispirandosi proprio al Tivoli. Una delle novità gastronomiche del Tivoli è il Fru Nimb, nuovo e delizioso ristorante dove gustare gli Smørrebrød tra i più buoni della città. Inaugurato da poco più di un anno, il Copenaghen Street Food sorge sull’isola Papirøen in una ex zona industriale dedicata allo stoccaggio della carta, un ampio spazio capace di ospitare 40 furgoncini, che propongono cucine nazionali e internazionali. Si va dalla cucina tradizionale cubana al classico Fish & Chips. Non mancano polli allo spiedo, pizza cucinata nel forno a legna, le famose zuppe nordiche, salsicce artigianali e gli immancabili hot dog, nonché la carne brasiliana cucinata sulla griglia, i piccanti tacos e molto altro.

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Se il meteo e la temperatura lo consentono, al Copenaghen Street Food si può pranzare all’esterno. Un ampio spazio è adibito e attrezzato con grandi tavoli e comode sdraio per prendere il sole. Sostenibilità e agricoltura biodinamica sono il motto di questa associazione e i profitti sono utilizzati per la conservazione dell’allevamento biodinamico Thorshøjgaard di Niels Stokholm e degli originali bovini rossi autoctoni. Un’esperienza unica, divertente ed economica!

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Chi non ha mai sentito parlare del Noma? Uno dei ristoranti più famosi che per quattro volte è stato definito il migliore del mondo. Lo chef René Redzepi dopo una lunga gavetta da El Buli e altri grandi chef internazionali, ha aperto il suo ristorante in un ex magazzino portuale. La sua cucina è pura gastronomia nordica. Tra i suoi must ci sono le alghe islandesi affumicate, il bue muschiato della Groenlandia e acetosella delle foreste danesi. È inutile ricordare che occorre la prenotazione e i tempi d’attesa sono veramente lunghi, ma sarà un’esperienza straordinaria.

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Il Royal Danish Playhouse è l’edificio che ospita il Teatro Reale Danese, progettato dallo studio danese Lundgaard & Tranberg. Nel 2008 ha ricevuto un ambito premio per la sua architettura ed è uno degli edifici più amati dai cittadini. 105


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Considerato uno dei luoghi più cool della città, il Meatpack District nasce nell’area dell’ex mattatoio. Giovane, divertente e alternativo, ospita club, ristoranti e gallerie d’arte e il sabato, dalle 10 alle 18, il mercato alimentare di prodotti biologici. Il ristorante Fiskebaren offre piatti quasi esclusivamente a base di pesce, al suo interno si possono ancora vedere le mattonelle del vecchio mattatoio. L’ambiente risulta spartano, ma impreziosito dall’inserimento di oggetti di design e un grande acquario. Al Kodbyens Deli vengono serviti solo hamburger, probabilmente i più buoni della città, mentre se ricercate una cucina più tradizionale dall’ottimo rapporto qualità prezzo, il posto giusto è il BioMio, locale spazioso e luminoso che serve solo prodotti biologici a km 0.

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Doverosa una passeggiata nelle vie pedonali del centro storico dove troverete antichi pub, ristorantini alla moda e negozi di tendenza. In piazza Storkespringvandet c’è lo store della Royal Copenaghen dove acquistare le prestigiose ceramiche danesi; al suo interno il Royal Smushi Cafè, uno dei bar più eleganti della città. A due passi dalla piazza c’è la Torre Rotonda, costruita nel 1642, che permette di osservare la città dall’alto, la vista a 360° è spettacolare, ma per raggiungere la piattaforma non ci sono ascensori, dovrete salire una spirale non troppo impegnativa.

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Un dettaglio dei famosi Smørrebrød danesi. Il termine significa “burro e pane”, infatti la base è sempre costituita da una fetta di pane di segale scuro imburrato, sopra ci si può trovare di tutto secondo la fantasia dello chef. I più tradizionali prevedono anguilla affumicata, roast beef, arrosto di maiale, salmone affumicato o gamberetti. Il tutto è accompagnato da uova sode o strapazzate, funghi, cipolla, rafano, verdure o frutti di stagione, insaporiti con l’aggiunta di varie salse. La tentazione è di provarli tutti.

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Tra i piatti più popolari e tradizionali ci sono le zuppe: la Alesuppe di anguilla, la Gronkalsupper di cavolo verde e la particolarissima Kørvelsuppe di cerfoglio accompagnata da un uovo in camicia. Come secondi piatti: il bøf med løg (manzo macinato con cipolle fritte e salsa), il Sildesalat aeg (aringa sotto sale con barbabietole cipolla e mele), la Stegt and (anatra arrosto ripiena di prugne e mele. Come dessert c’è il classico Rødggrøn (budino con panna e frutti di bosco) e l’AEbleskiver (ciambelle fritte con zucchero a velo).

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Ogni città ha i suoi simboli, per Copenaghen c’è la statua della Sirenetta, ubicata all’ingresso del porto, che raffigura la protagonista dell’omonima fiaba di Andersen. Nel corso degli anni la statua è stata più volte danneggiata, imbrattata e amputata. Molti la vorrebbero togliere, ma è comunque una meta obbligatoria per i turisti.

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IN F O U TI L I Foto e testi di Giovanni Tagini

LINK Visit Denmark DOVE DORMIRE Absalon Hotel: Helgolandsgade 15 København | t +45 3331 4344 Copenhagen Admiral Hotel: Toldbodgade 24 – 28 | t +45 33741414 Skt. Petri: Krystalgade 22, 1172 | t +45 33 45 91 00 Andersen Hotel: Helgolandsgade 12 København V | t +45 3311 8585 DOVE MANGIARE Restaurant Bror: Skt. Peders Stræde 24A | t +45 32175999 Fru Nimb c/o Tivoli | t +45 88700000 AOC: Dronningens Tværgade 2 | t +45 33 11 11 45 Noma: Strandgade 93 | t +45 32 96 32 97

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| FSE: GUARDANDO IL MONDO DA UN OBLĂ“

Un viaggio sulle mitiche Ferrovie del Sud Est attraverso un obbiettivo antico, che inquadra ricordi, degrado e abbandono, che pare non avere avuto mai inizio e non finire mai.

ITALIA

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SONO IO L’INFINITO Aspetto. Sono solo un’idea astratta per il momento, un’utopia, forse una speranza: ecco perché non sono visibile. Prima di me altre idee hanno aspettato, ne percepisco i passati sospiri.

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Ed ecco il contatto, l’unione da cui nascerà e si innescherà la Scintilla della Vita. Un’azione antica, primordiale, che nella sua ripetitività a volte violenta può anche generare la Morte. Impatto forte ed impetuoso fra due forze contrapposte.

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Il mio viaggio è cominciato. Non so dove andrò. Per il momento sembrano rassicuranti queste rette parallele che s’incontreranno in un punto all’infinito. È là che devo arrivare. È là che voglio arrivare. 122


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Il destino ha però un aspetto che m’inquieta. Ha l’apparenza di un enorme coleottero dalla corazza coriacea e lucente, ma non vedo le ali.

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Mi pone subito davanti ad alcune decisioni da prendere, mete da raggiungere. So che da queste dipenderanno molti aspetti della mia vita. Potrò essere felice o no se sarò in grado fare le scelte giuste. Ma questo lo saprò solo alla fine del viaggio.

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A bordo della mia vita guardo al di là di essa. Un’altra dimensione mi appare e mi trafigge con lame di luce. Vorrei scendere e immergermi in uno spazio rarefatto, fasciarmi di quella luce.

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E mi accorgo che è Amore! Lo voglio anch’io, lo desidero, e sono quasi decisa a scendere.

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Ma mi fermo all’improvviso. Che squallore, quanta tristezza e solitudine in questa fermata. No, non è la mia, vado ancora avanti. Molti si illudono solo perché travestono i propri destini disegnando stelle… credono così di poterli addomesticare, rendere mansueti e benevoli.

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Ma a volte, una distrazione, un binario sbagliato preso perchĂŠ accecati da troppa sicurezza

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conduce a mete le cui indicazioni non sono pi첫 valide, percorsi da non intraprendere.

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Attraverso, con la mia vita, quella degli altri. Due fiere e severe sentinelle hanno il compito di fermarmi o di lasciarmi passare. Sono la Ragione e il Sentimento. Guidano il mio viaggio e segnano la mia vita. Lasciano tracce leggere o solchi profondi come squarci. 133


Spesso mi tengono prigioniera dei miei pensieri e della mie passioni.

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Poi riprendo il mio percorso. A volte ferita, a volte appagata, verso quel punto all’infinito che mi aspetta e che desidero conoscere.

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Un’altra fermata. Forse qui potrei scendere e chiedere aiuto a qualcuno, potrei comunicare quel malessere che da un po’ di tempo divide il mio cuore a metà e che non mi fa vivere.

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O forse sarebbe meglio che anche io travestissi il mio destino disegnando immagini festose.

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Nuvole, stelle, icone infantili di lontana memoria.

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Non c’è più tempo. Sono arrivata e mi rimetto seduta ad aspettare. Aspetto di vedere il mio punto all’infinito. Non sono sola. Ho portato con me ricordi di sorrisi, di feste con gli amici, di alberi di natale illuminati, di braccia del mio uomo, di gatti da accarezzare, di caffè bollente, di rossi gerani, di guglie altissime, di mari azzurri, di nuvole bianche come latte. Mi accorgo che il mio punto all’infinito è stato sempre con me. Sono io l’infinito.

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Guardo la scritta che qualcuno prima di me ha lasciato. No, non è vero: il viaggio non è mai gratis, non deve essere gratis. Non lo si gusterebbe. Ci si accorge della luce solo quando si è conosciuto bene il buio e si divora la gioia dopo essersi ubriacati di dolore. Questo è il prezzo da pagare e io sono pronta a farlo. E allora ricomincio il mio viaggio. SONO IO L’INFINITO.

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IN F O U TI L I Foto di Emanuela Ricci testi di Florisa Sciannamea

La FSE è stata costituita nel 1931 e gestisce 474 km di linee ferroviarie nelle quattro province meridionali della Puglia, collegando fra loro le città di Bari, Taranto e Lecce. Dopo quella statale è la più estesa rete ferroviaria omogenea italiana. Grazie anche al vettore automobilistico, su relazioni integrative o sostitutive del vettore ferroviario, i comuni serviti dalla società arrivano a centotrenta. Le FSE raggiungono i comuni interni delle province di Brindisi, di Taranto e quelli più a sud della provincia di Lecce. Le ferrovie si estendono dalla stazione di Bari Centrale sino a Gagliano del Capo, nei pressi di Santa Maria di Leuca, nell’estremo sud del Salento. Nel Salento la ferrovia è spesso definita

col nome di Littorina, che è poi il soprannome delle antiche automotrici diesel. Libri Pino Cacucci – Ferrovie secondarie “Le linee ferrate hanno a malapena un secolo, al massimo uno e mezzo. Eppure, nessun altro veicolo ci ha finora infuso la sicurezza e la tranquillità del treno – specie per noi che non consideriamo tempo perso quello del viaggio, impiegato per leggere, scrivere, pensare o soltanto guardare o dialogare.” E questo fa, Pino Cacucci: guarda, dialoga e scrive. Narrandoci con la vividezza che gli è propria quelle tratte ferroviarie poco conosciute, mitologicamente lente, con vagoni malconci e tratte impervie. Ma così straordinarie che non è raro vedere un treno fermarsi a causa di un orso placidamente addormentato sulle rotaie. Con fotografie di Paolo Righi. Feltrinelli, 2014, Collana ZOOM Flash, Pagine 115,€ 0,99 in ebook

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| TUTTI I COLORI DEL MONDO

Abbondanti piogge, un sole caldissimo e una temperatura media stabile fanno del piccolo Paese caraibico una immensa serra. Dove la natura esplode in verdissime foreste illuminate dai colori degli uccelli.

COSTA RICA

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In apertura: un colibrì colto al volo nel Parco Nazionale Monteverde, dove i piccoli uccelli si nutrono da apposite campane. Si può sostare in piedi circondati da una vera nuvola di instancabili colibrì, dal piumaggio quasi fluorescente e dal peso di una piuma: tra 2,5 e 6,5 g. Nella pagina precedente la grande spiaggia di Matapalo, piccola cittadina fuori dalle consuete rotte turistiche, appena nascosta dalle palme a pochi passi dal mare. Si trova nella parte meridionale della Costa Rica quasi confinante con il Panama, affacciata sull’oceano Pacifico. L’atmosfera rilassata e la Bandera azul ecológica conquistata per la conservazione dell’ambiente ne fanno un luogo di vacanza ideale per chi alle folle preferisce gli infuocati tramonti.

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Sotto e qui a fianco la spiaggia della cittadina di Jacó, anch’essa affacciata sulla sponda dell’Oceano Pacifico, una splendida spiaggia di sabbia scura orlata di palme e condivisa tra turisti, pescatori e surfisti. Jacó, un piccolo villaggio di pescatori, si è trasformato in uno dei principali poli turistici del Paese, dove passa oltre il 70% dei visitatori della Costa Rica, grazie alla vasta gamma di ospitalità alberghiera e alle vacanze attive per ogni gusto.

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Nella pagina precedente: un doppio arcobaleno abbraccia il paesaggio intorno a Laguna Arenal, il più grande lago del Paese (artificiale) ai piedi dell’omonimo vulcano nella provincia di Guanacaste, con una superficie di 85 kmq e una profondità massima di 60 m. il profilo ondulato della campagna circostante, che alterna radure a foreste, ne fa un luogo magico. A sinistra: un verdissimo basilisco piumato (Basiliscus plumifrons) ritratto nel Danaus Eco Sanctuary nell Parque Nacional Vólcan Arenal. A destra la raganella dagli occhi rossi (Agalychnis callidryas). In Costa Rica esistono numerose specie di rane e raganelle dai colori sgargianti, alcune delle quali velenosissime al solo contatto con la pelle. Come la minuscola rana dal dardo velenoso (genere Dendrobates). Misura solo 2,5 cm, ma ha un veleno, così potente da uccidere 10 persone adulte, che veniva usato per avvelenare i dardi dei cacciatori indigeni.

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A sinistra: il rosso sgargiante del fiore del ginger, pianta selvatica che ha bisogno di molta acqua e di una posizione parzialmente ombreggiata. Proprio le condizioni delle foreste della Costa Rica. Ha dimensioni modeste (max 1-1,2 m in altezza) e possiede un rizoma tuberoso dal gradevole gusto piccante e speziato. L’olio essenziale si usa in aromaterapia. A destra: due esemplari della ricca fauna avicola del Paese. In alto un ittero alirosse (Agelaius phoeniceus) e sotto una sgarza dal ciuffo nel Danaus Eco Sanctuary nel Parque Nacional Vólcan Arenal.

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Nella pagina precedente il tramonto a Portalon, dove le acque tranquille del Rio Baru si tuffano in mare, rispecchiando le nuvole dorate del cielo. Nella foto sopra: un gruppo di bovini cerca riparo dai raggi del sole assiepandosi sotto un solitario albero in mezzo a un campo, circondati dagli aironi guardabuoi (Bubulcus Ibis), che si nutrono degli insetti e animaletti scoperti dal brucare dei quadrupedi.

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Un bradipo nel Parque nacional del Tortuguero. Animale lentissimo, vive la maggior parte del tempo sugli alberi, sui quali si arrampica con i suoi fortissimi artigli fino in cima, dove i predatori non lo possono raggiungere. Si nutre di foglie e frutta, non beve mai e dorme 19 ore al giorno. L’umidità delle zone in cui vive provoca la formazione di piccole alghe nello spesso pelo che lo ricopre, che lo rendono maleodorante. Mentre le femmine con i piccoli si spostano da un albero all’altro, i maschi possono passare anche tutta la vita, 5 anni, su un unico albero, da cui scendono a terra solo per defecare, per poi risalire.

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Immagini del Parque Nacional Manuel Antonio. Il riposo di una scimmia cappuccina a cavallo di un ramo. La Costa Rica è uno dei Paesi più attenti alla conservazione dell’ambiente: i 26 parchi e le 161 aree protette coprono oltre 13.000 kmq, pari al 25% del suo territorio.

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Il piccolo di un procione sbuca dalla sua tana sulla Playa del Parque Nacional Manuel Antonio, per avventurarsi tra i picnic dei bagnanti, alla ricerca perenne di cibo. Sono animali coraggiosi che non fuggono la presenza dell’uomo, concentrati come sono sulla loro fame che pare irreferenabile.

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Pagina precedente: due pescatori di fronte alla impressionante muraglia verde del Parque Nacional Tortuguero, famoso per le sue spiagge dove le tartarughe marine depongono le uova e per i fiumi che lo attraversano, squarci attraverso cui osservare la sua ricchissima fauna. Si trova sulla sponda caraibica settentrionale della Costa Rica, in una delle zone più umide del Paese, che riceve fino a 6.000 mm di pioggia all’anno. Parque Nacional Manuel Antonio: a sinistra un sottile serpente pappagallo o lora (Leptophis, ahaetulla) si mimetizza nella vegetazione. È dotato di un veleno che nell’uomo causa generalmente un edema localizzato. È un serpente irritabile e che morde con estrema facilità. Si nutre di rane e lucertole. A destra: una varietà di basilisco alla ricerca di una preda.

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Una farfalla Pteronymia Notilla posata su una foglia nel Mariposario la Casa de la Morpho Azul di Frander Arroyo a Las Vueltas de la GuĂ cima (Alajuela).

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Cahuita. Sloth (bradipi) Sancuary, dove vengono accolti i bradipi mutilati da incidenti o i piccoli rimasti orfani prima di essere reinseriti nella natura. Nella foto: esplorazione in canoa di uno dei canali della riserva coperti da una grande pianta di bamb첫.

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Pellicani bruni (Pelecanus occidentalis) si affollano lungo una spiaggia del Parque Manuel Antonio, dove un pescatore ha lanciato loro gli scarti impigliati nelle reti. Uccello di grossa taglia, fino a 5,5 kg di peso e 2,5 di apertura alare, dalle zampe corte, robuste e palmate, il pellicano è caratterizzato dalla sacca golare elastica che possiede sotto il becco e che usa per catturare i 166


pesci. Si vede spesso planare in formazione a pelo d’acqua, battendo le ali solo raramente, per tuffarsi quando individua una incauta preda sotto la superficie. A volte si tuffa anche da altezze maggiori, a velocità di quasi 60 km/h, con le ali aderenti al corpo: con l’onda d’urto provocata, stordisce i pesci nelle vicinanze, per poi catturarli col becco. 167


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A sinistra: gli abitanti della Costa Rica, come quelli di tutti i Caraibi, amano i colori e quelli di Cahuita sulla costa caraibica meridionale 43 km a sud di Puerto Limòn, quasi al confine con Panama, non fanno eccezione. Che si tratti di una casa o di un semplice ristorante casalingo i colori fanno parte dell’arredamento. PiĂš sotto una grande iguana occhieggia dalla vegetazione. A destra, souvenir per turisti a Puerto Viejo: anche gli asciugamani sono stampati con le specie animali simbolo della Costa Rica.

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Barva, pochi km a nord di San José e a est di Alajuela, è capoluogo dell’omonimo cantone, nella provincia di Heredia. È un piccolo paese nell’interno, dalle case basse e colorate che affiancano la strada principale. Le insegne dei negozi sono poche, dato che i muri sono dipinti con le immagini dei prodotti venduti all’interno. Sulla piazza principale sorge la Iglesia de San Bartolomè de Barva un edificio bianco costruito tra il 1568 e 1575 e ristrutturato nei secoli fino all’aspetto odierno (1893). Il 24 agosto in occasione del santo patrono vi si tengono sfilate in maschera.

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Barva è un antico paese che deve il suo nome al cacique (capo di comunità tribale) Huetar Barva che si stabilì nella zona e giunse a dominare tutta la valle dell’Abra, da Barva ai monti dell’Aguacate. Per la sua posizione centrale e la sua importanza strategica fu uno dei primi luoghi in cui si installarono gli europei alla fine del XVI secolo. Oggi è un centro di attrazione turistica per i suoi paesaggi, per la cordialità dei suoi abitanti, per la sua lunga storia, che risale all’età precolombiana, per le sue tradizioni e per le sue feste tipiche.

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Nella pagina precedente: un’Ara dagli splendidi colori nel Parque Nacional Monteverde. Sono pappagalli molto grandi, dotati di lunghe code, che in alcune specie arrivano a quasi un metro di lunghezza e ai 2 kg di peso. Si nutrono di frutti e semi che riescono a frantumare con il loro potentissimo becco. A sinistra: Cahuita. Sloth (bradipi) Sanctuary i corsi d’acqua sono spesso le uniche vie per addentrarsi nella fitta foresta. E sono anche i migliori punti di osservazione per la fauna timida ed elusiva. Qui un raro raggio di sole colpisce un ventaglio di foglie che si specchia nel canale immobile. A destra: Portalon. Lapalapa Ecolodge Resort. Nello splendido giardino non servono neppure i fiori: i rami e le foglie colorate sopperiscono egregiamente.

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Presso i bagni termali del Río Chollín (Arenal), una piccola lucertola si arrampica sul paraurti posteriore di una automobile. Mentre intorno resort come Tabacón offrono SPA di lusso il Río Chollín (chiamato anche rio Tabacón o Río Arenal) offre una sorgente calda gratuita dove i ticos (come si chiamano gli abitanti della Costa Rica) e i turisti budget si recano a nuotare, oziare e preparare i loro barbecue.

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Mercatino di souvenir a Puerto Viejo. Pura Vida è una frase caratteristica dei ticos densa di significati, che alla traduzione letterale di “pura vita” ne affianca altre come: “pieno di vita”, “questa è vita!”, “alla grande” e “vera vita”. Si usa come saluto quando ci si incontra o ci si lascia, ma anche per dire “tutto bene” o come ringraziamento. Pare che l’origine della frase sia messicana e precisamente provenga dall’omonimo film ¡Pura Vida! del 1956, in cui il protagonista usò frequentemente la frase anche fuori luogo. I ticos la hanno adottata e da metà degli anni ’90 è stata inclusa nei dizionari.

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In Costa Rica i serpenti sono molto diffusi: ci sono 118 specie non velenose e solo 18 velenose. Quello a sinistra di una attraente colore giallo è un serpente Toboba Velenoso. Frequentissimo è uno dei maggiori responsabili di morsi alle persone. Il suo veleno provoca la distruzione dei tessuti e molti problemi con la coagulazione del sangue. La combinazione di questi due effetti può produrre inizialmente dei danni fisici locali fino ad arrivare a colpire gli organi vitali. A destra una vipera verde degli alberi.

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Nella pagina precedente la luna fa capolino tra le foglie illuminate di un albero di plastica rossa di una luminaria nella capitale San José. Qui sotto: tramonto sulla spiaggia di Matapalo, una delle spiagge più incontaminate del Paese affacciata sull’’Oceano Pacifico e orlata da una foresta pluviale tropicale nella penisola di Osa. Grazie alla attenta conservazione dell’ambiente, metà delle 500.000 specie di piante e animali dell’intera Costa Rica si concentra qui, intorno alla sua sabbia grigia e al suo mare trasparente, popolato da surfisti e tartarughe marine.

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IN F O U TI L I Foto e testi di Federico Klausner CLIMA Inutile girarci intorno: in Costa Rica piove, più o meno regolarmente in ogni periodo dell’anno nonostante alcuni si ostinino a volere distinguere una stagione umida da una stagione secca. D’altra parte se non fosse così non avrebbe la vegetazione esplosiva che è la sua caratteristica peculiare. Sulla sponda pacifica piove meno che sulla caraibica. La temperatura è calda e costante tutto l’anno.

Cosa visitare La Costa Rica ha 26 parchi nazionali ciascuno con le sue caratteristiche. Tra i più belli consiglio di visitare: Manuel Antonio, piccolo ma famoso per la ricchezza della sua biodiversità favorita dall’ambiente costiero e marino. Il Tortuguero, in provincia di Limón, tra i più estesi che ha nella nidificazione delle tartarughe marine la sua principale attrattiva. Il parco del vulcano Arenal che si stende sulle sue pendici nella provincia di Ajuela e quello del Volcan Poas al cui interno c’è una caldera con un laghetto azzurrissimo. Nonostante quello che asseriscono quasi tutte le guide, le più sincere vi diranno che non si vede praticamente mai, la cima essendo avvolta sempre nelle nuvole. Ma la passeggiata per raggiungere il punto di osservazione è comunque splendida e ovviamente umidissima.

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UN FOTOGRAFO AL MESE

In questo numero vi presentiamo il nostro fotografo Emanu 2) Quale corredo usi?

1) Quando e come è iniziata la tua passione per la fotografia? Non so individuare la fase della mia vita in cui è nata la passione per la fotografia. Credo di avere sempre avuto un’attitudine alla comunicazione visiva e all’estetica dell’immagine. Mia nonna era una fotografa, una ritrattista. A Milano, prima della guerra, ritraeva gruppi familiari, uomini e donne in posa. Bambini

negli abiti della comunione. Ritratti in bianco e nero che spesso colorava. Stampava anche su vetro e poi colorava. Custodisco tutte le immagini che ho trovato, molte ritraggono mio padre. Non me ne separerò mai. Un altro ricordo. Ero piccina e mio padre, per evitare che mettessi le mani sulle sue macchine fotografiche, mi regalò una Kodak. Usa questa e mettici la testa.

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Dipende dalle circostanze. Fotografo tutti i giorni. Mi viene naturale. In borsa ho sempre l’iPhone 4S e la Lumix GF3, una mirrorless leggera su cui ho montato il luminoso pancake 14 mm. Impagabile è la velocità e l’efficacia del punta e scatta (mediato dalla sensibilità, ovviamente). Perfetto quando non si esce con l’intento precipuo di fotografare. Da pochissimo ho acquistato una robusta Olympus, la TG-4, una compatta molto evoluta che ha il vantaggio di poter scattare anche in acqua e in formato raw. Amo fotografare in mari caldi e luminosi per conservare la sensazione di stupore e pace e incanto del nuotare poco sotto la superficie. Ma la macchina con cui sono totalmente in sintonia è la reflex. Quando esco per scattare o sono in viaggio ho con me la reflex con il corredo di obiettivi che uso di piu: 10-20mm, 35mm e uno zoom 18-140mm. Dalla Nikon D60 sono passata alla nuova D7200: guardare attraverso il mirino mi isola ancora di più, non ho le limitazioni di luce dei display, ho sotto controllo la composizione e l’esposizione. Insomma, è uno strumento che amo.


uela Ricci.

La realtà è a colori, guardo a colori e sogno a colori. Di base la mia fotografia è a colori. Nella comunicazione visiva, come in altre discipline, esistono stilemi. La foto commerciale o la foto che documenta è in genere a colori, la foto interpretativa in bianco e nero. Gli occhi guardano, la mente se ne impadronisce e l’immaginazione trasforma. Scattando, veicolo la suggestione che desidero trasmettere. Dunque, a volte capita che sappia già che non scatterò a colori. Ci sono storie a voce alta che vogliono il colore, storie pop, storie silenziose quasi prive di colore e infine storie introspettive, intime, che chiedono di essere raccontate in bianco e nero. Sono interpretazioni che, se ben riuscite, rappresentano un valore aggiunto rispetto alla registrazione a colori di quello che mi colpisce. 4) Per te la fotografia è arte o un modo di comunicare? La fotografia è un linguaggio. Può essere un linguaggio familiare, rincuorante o rivoluzionario o illuminante. Addirittura repulsivo. Non ho mai pensato di fare arte.

Uso l’immagine per parlare, per trovare quelle parole che penso di aver perso e non esiste, per me, nulla di più elementare della comunicazione visiva. L’immagine è sempre decodificata e non è un linguaggio ostico perché, come in tutte le forme di comunicazione, esistono vari piani di lettura. Se ne può parlare a lungo o ci si può soffermare sulla composizione e sul colore o su un dettaglio. O si può passare oltre.

nanze. Anche nelle forme, anche tra ombra e luce. Che poi sono le mie ombre e luci. Fotografo luoghi, momenti, dettagli che conservano l’eco della presenza umana. O la relazione tra uomo e ambiente. Quando fotografo nulla esiste più e non m’importa del risultato: in quel momento sono rapita. Tutto si pacifica perché sono concentrata a realizzare quello che ho in mente. Esagerando, direi che è un’ottima terapia. È gioia.

5) Se potessi fotografare un luogo per te perfetto, quale sarebbe?

Svela un trucco della magia delle tue foto

Qualunque luogo può essere un luogo perfetto. Una stanza con una luce che sfuma nell’ombra, Milano - la mia città - con il sole e la pioggia; o quando è senza cielo con quel grigio che fa così understatement e appiattisce i contorni. Ovunque ci sia il mare. Laddove esiste equilibrio tra mente e occhi, laddove si ha la consapevolezza di poter dire qualcosa e aggiungere un proprio pezzettino a quel luogo, allora è il luogo perfetto. 6) Cosa cerchi in una fotografia? L’equilibrio, anche nelle disso-

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Non ho un segreto da rivelare. E se l’ avessi non lo svelerei perché dovrei inventare un nuovo segreto. Quello che faccio è seguire la luce e guardare come gli elementi di un’inquadratura si relazionano tra loro. Con il tempo e l’educazione visiva e culturale all’immagine fotografica ho imparato a disimparare, ad allentare certe rigidità derivanti dalle regole. Quelle le abbiamo dentro di noi. Credo sia consapevolezza dei propri mezzi visivi.

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3) Preferisci le foto in bianco e nero o colore?


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cuore italia Venezia di Inverno

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NEL PROSSIMO NUMERO

corpo gusto SVIZZERA Gran San Bernardo

Italia I tartufi di Isernia

Bosco incantato

Giamaica Assoluto naturale

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