Gyge Aperto al genio

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GYGE Aperto al genio

Aristofane, Nubes 179 Ipponatte, fr.1.2 Deg. L’eucharistia del patibulatus Luciano, Dialogi meretricii, 15 Platone, Respublica, 359 c-d Senofonte, Hellenica, II,2,10 Suetonio, Tiberius, 21 Virgilio, Aeneis, II 782 Tacito, Annales, XIV,26,1 Virgilio, Aeneis, IV 204

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Sergio Germinario

GYGE Aperto al genio

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ARISTOFANE, Nubes, 179  SG 1998

Lui sì. Strepsiade coglie e scioglie il ‘rebus’. Il verso è a doppio senso1: la semplice idea del furto non lo avrebbe mandato in visibilio. Geniaccio di un Socrate! Cerchiare e sottrarre con un compasso improvvisato il 2 “manto” dalla

scritto nella cenere sparsa sulla tavola. Ed ecco del “fior di farina” al plurale grazie ad una “palestra” che da ‘lottatorio’ si fa ‘farinario’: il polisignificante permette simili giochetti. E di più spinti ne consente pianta o animale che fosse.

commestibile

(l’avverbio questa volta),

* Il novello Talete appena smerdato durante la ‘trance’ lunatica da un galeote, non poteva prendersi migliore rivincita3: tracciare un’orbita che levasse la fame ai suoi. Assurdamente. Aristofanescamente?

Bari, 27/02/1998

Sergio Germinario

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3

Una possibilità trascurata. Le varianti proposte sembrano voler intaccare solo il testo: , G. Hermann (Leipzig 18302); , T. Bergk (Leipzig 18722). La situazione resta: discepoli intontiti dalle evoluzioni di un compasso / appropriazione furtiva da parte di Socrate. Così anche nei commenti e nelle traduzioni fino a G. GUIDORIZZI - D. DEL CORNO, Aristofane. Le Nuvole, Milano 1996. Il frammento di Eupoli (361 K.), citato già dallo scoliasta, deve aver favorito non poco il fissarsi di questo schema. La presenza dell‟articolo non è dovuta a necessità metriche. All‟imbarazzo che suscita forse sono sensibili le varianti di cui alla nota precedente. I vv.169-173 vengono generalmente trattati come narratologicamente autosufficienti. La funzione di „equilibrio turbato con danneggiamento‟ che prepara il terreno per „la riscossa dell‟eroe‟ li rende invece organici ai vv.177-179, facendo dei vv.169-179 un‟unica sezione.


IPPONATTE, fr. 1.2 Deg.1  SG 1998

, ,

,

, vale ‘impiccacani’? E allora alla fine del frammento si legga 2 3 < > ‘vienimi ad accalappiare la cagna’. * Metatesi ed integrazione rendono: al terzo coliambo il terzo barbarismo e ad Ermes un ministero della tutto ipponatteo. L’anapesto in quinta sede, in fondo, comporterebbe solo di non essere stato letto da Efestione4.

Bari, 29/04/1998

Sergio Germinario

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2 3

4

Irrinunciabile la consultazione degli apparati curati a corredo del testo da E. DEGANI, Hipponactis testimonia et fragmenta, Leipzig 19912, pp.23-25. , ERODOTO, Historiae, I 110. Per Ipponatte non sarà stato più arduo estrarre un verbo denominativo da che da . attesta ARISTOTELE, Historia animalium, 620b 31. In alternativa (cfr., in attico, ) avrebbe forse minore caratura giambica. Per il quale (M. CONSBRUCH, Hephaestionis Enchiridion cum commentariis veteribus, Leipzig 1906, p.17, 5-7), “Ipponatte non avrebbe mai usato piedi trisillabici in penultima sede” (M. C. MARTINELLI, Gli strumenti del poeta, Bologna 1995, p.135). Ma per un anapesto in quinta sede si veda IPPONATTE fr.35 Deg. = 25 W. e, per la questione che solleva in rapporto alla testimonianza del metricologo antico, M. L. WEST, Greek Metre, Oxford 1982, p.41 n.31.


L'

del patibulatus (Archiloco, fr. 2 W.) 

 SG 2005

azzima e vino ismarico per <sim>posiare sul legno dell'agonia in un distico inchiodato ad un'anafora trina, cruciforme: , '

' .

Mensa, patibulum sacrificali: il di Archiloco può cristianizzarsi1. È questo che spinge Sinesio a usurpare l' ? " ' 2 ". No. Ma la suggestione si produce ed è lecito avvertirla3.

Bari, 10/08/2005

Sergio Germinario

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Per la quaestio interpretativa è nota: "nella lancia", sempre difesa (F. Ferrari), subisce la concorrenza di "sul legno della nave" (B. Gentili), "in armi" (D. Arnoud) e "in guerra" (V. Ehrenberg). 2 Così confessa a Simplicio nella lettera che resta importante fonte del frammento archilocheo (SINESIO, Epistulae, in A. GARZYA, Opere di Sinesio di Cirene. Epistole. Operette. Inni, Torino 1989, 130, pp.313-317; e in R. HERCHER, Epistolographi Graeci, Paris 1873, CXXX, pp.716717). 3 Essa già emana dall'allusività 'passionale' che prelude alla citazione: l'accerchiamento e la cattura ("… "), il travaglio tra le torri del potere (" "), in una veglia d'angoscia (" "). Né tale effetto svanisce al chiedersi che cristiano Sinesio sia. Lo è più di Archiloco.


LUCIANO, Dialogi meretricii, 15  SG 1998

Chi è il Megarese? 1 Coclide lo sa. Il bullo si è già guadagnato la sua fama. Partenide non deve presentarlo. Chiamato all’azione da Dinomaco ha compiuto un’altra delle sue imprese.2 * Ma se, sfidando la filologia, all’inizio del suo racconto (15,1) l’indolenzita Partenide interiettasse imprecando: “

-

<

>

-

<

>

…” “Quel soldato – ahi! vada alla malora – il Megarese che smania per Crocale mi ha conciata per le feste …”, la situazione si semplificherebbe. Di troppo Dinomaco.

, emendato il fastidioso

, e “il bullo di Megara” è

Bari, 14/01/1998

Sergio Germinario

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2

Lo status quaestionis è riassunto da V. LONGO, Dialoghi di Luciano, vol. III, Torino 1993, pp.534-535 n.70. Su questa pista LONGO e più recentemente G. CACCIA – U. MONTANARI, Luciano di Samosata. Dialoghi, Roma 1995, p.378 n.4.


PLATONE, Respublica, 359c-d.  SG 1998

Siamo alla fantastica storia dell’anello di Gige. ‟

,

. Ultimo a non accettare il tràdito G. Caccia1 “perché tutte le fonti sono concordi nell’attribuire l’anello a Gige, e non „a un suo antenato‟”. Espungere o preferire le soluzioni fissate da tempo2: “il Lidio” sarebbe per antonomasia Creso. * Si nega così a Platone di nominare un Gige lidio discendente dell’omonimo celebre antenato3 solo perché a noi altrimenti sconosciuto.

Bari, 18/03/1998

Sergio Germinario

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2

3

G. CACCIA, Repubblica in (a cura di) E. V. MALTESE, Platone. Tutte le opere, vol. IV, Roma 1997, p.90 n.1. Il miglior apparato critico in J. BURNET, Platonis Res Publica, Oxford 1902 che espungendo avverte “ habet iam Proclus” (ad locum). La glossa, deduciamo, oltre a precederlo, sfuggirebbe all‟esegeta neoplatonico. Non ha dubbi K. Fr. Hermann (Leipzig 18511853): “Tutissimum duxi cum Wiegando (Zeitschr. f. d. Alterth. 1834, p. 863) circumscribere…” (vol. IV, p.v); inaccettabile anche perché “nec ipsum glossematis suspicione caret et sequentium difficultatem auget…” (ibidem). Accetta , ma premesso a , E. Chambry (Paris 1947). Un Gige lidio padre di Mirso ricordano ERODOTO, Historiae, III 122 e V 121. Ma la prosopografia dei Gige è tutta da scrivere.


… Un nesso tucidideo in SENOFONTE, Hellenica, II, 2,10?  SG 2000

(scil.

) [ ] … Così J. HATZFELD, Xénophon. Helléniques. Tome I, Paris 1973, p.79. In apparato critico, ad locum: del. Dindorf : Paris. E edd. alii alia. Le congetture con cui i vari editori hanno inteso sanare il guasto, non possono essere qui oggetto di indagine. Sorprendente sarebbe, però, non trovarvi la più semplice: . Non arduo paleograficamente spiegare la corruttela, specie se, fidando nella paternità tucididea del testo, si partisse da : per ‘senofontizzazione’, magari con iota sovra / intrascritto (già autografo senofonteo l’intervento?), quindi, da incerta lettura/dettatura/copiatura, . Il nesso col significato di “via di scampo verso …” occorre prorio in Tucidide: (Historiae VII, 70,7).

Bari, 8/01/2000

Sergio Germinario


SUETONIO, Tiberius, 211  SG 1998

La più sobria lettura del Memmianus è quella di K. L. Roth2. Ne vario solo la punteggiatura: “Vale, iucundissime Tiberi, et feliciter rem gere, iucundissime et - ita sim felix - vir fortissime et dux . Vale”. È il primo degli apprezzamenti antologizzati da Suetonio fra quelli rivolti per lettera da Augusto a Tiberio. Ma, quale l’interpretazione di K. L. Roth? * La mia: “Salve, carissimo Tiberio, porta al successo l’impresa, tu che per me e per quelle che amo, amate anche da te, sei il più caro dei generali, tu – per completare la mia felicità – uomo valorosissimo, comandante fedelissimo. Salve”. L’incrocio di affetti fra Augusto e Tiberio aveva i nomi di Livia e Giulia.

Bari, 11/02/1998

Sergio Germinario

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2

Apparato critico esauriente in H. AILLOUD, Suétone. Vies des douze Césars, vol.II, Paris 1932 Leipzig 1858.


VIRGILIO, Aeneis, II 782  SG 1999

L’imago Creusae ad Enea: Longa tibi exilia et vastum maris aequor arandum: et terram Hesperiam venies, ubi Lydius arva inter opima virum leni fluit agmine Thybris. Virum appare di troppo1. Arva virum2 è, in realtà, iunctura essenziale. Suggella il binomio prototipico della romanità: terra/guerra. “Raggiungerai la terra esperia dove tra fertili distese appartenenti a uomini veri scorre con placido corso il lidio Tevere.” Senza che vi sia anacronismo o vizio ideologico se qui la prisca virtus rivela i suoi geni già nelle stirpi preromulee. * Ma, ad altra lettura si può pensare: et terram Hesperiam venies, ubi Lydius arva inter opima, vir, en ! leni fluit agmine Thybris. Creusa sovrumana, in tensione profetica, può vedere e vede: “e giungerari nella terra esperia, dove in mezzo a terreni feraci, o eroe, ecco vedo! con flusso calmo scende il lidio Tevere.” En, nel conato della tele-visione, segna una pausa autofatica che si risolve in autodeissi3. E chi è ancora dulcis coniunx (v.777) tra le fiamme di Troia si fa vir entro gli orizzonti del destino.

Bari, 02/08/1999

Sergio Germinario

“Non è ben chiaro come virum si inserisca nel contesto, se cioè vada riferito ad arva oppure ad opima. „Si tralascia nella traduzione‟ affermava duramente Sabbadini. Ma virum, comunque lo si voglia rapportare agli altri dati del testo, ha la precisa funzione di evocare una regione fertile e popolata, uno scenario georgico” (F. CAVIGLIA, La poesia di Virgilio, in Gli scrittori latini, Torino 1994, p.513). 2 Curiosa fra l‟altro la risonanza paronomastica dell‟incipitario arma virumque cano. 3 Stessa funzione in Aeneis, I 461: En Priamus! 1


TACITO, Annales, XIV 26,1  SG 1996

Il destino non è stato clemente con Annales, XIV 26. Incidenti di percorso ne hanno segnato qua e là il testo. Cospicuo l'episodio Pharasmani Polemonique - pars nipulique sembra leggersi nel Mediceus. Risolto da J. Fr. Gronovius (Amsterdam 1672), accettazione unanime.4 Pulviscolare la serie degli altri interventi. Per essi bastino gli apparati critici. Le ultime invece. Un'alternativa a perosi datum 5 suggerirebbe il Leidensis: quam obsidem datum 6. Motis ad regem animis scrive K. Wellesley (Leipzig 1986) rinunciando a nobis alienos animis 7 e a nobis aversos animis 8, variante ed emendamento meglio accolti per una scheggiata lezione del Mediceus che forse va riesaminata. * Pendant ad Annales, XIII 37, 1: At Tiridates .... bello infensare Armeniam, quosque fidos nobis rebatur depopulari, speculare il contenuto del luogo: rappresaglia di Domizio Corbulone contro gli Armeni infidi. Così infatti il Mediceus: ipse (scil. Corbulo) .... (Tiridaten) abire procul ac spem belli omittere subegit, quosque nob abrege ani|nis cognoverat caedibus et incendiis perpopulatus possessionem Armeniae usurpabat .... Nobis abbreviato è indubitabile – per K. Wellesley un incidente dizio/aurale in dettatura, evidentemente –; ab re-ge lo si consideri residuo, con metatesi sillabica, di ambigere; aninis aggregato mutilo di an minis. Insomma: quosque nobis ambigere an minis cognoverat ... perpopulatus possessionem Armeniae usurpabat (doppio dativo in interrogativa indiretta ellittica, completiva di ambigere): "e dopo aver infierito con stragi ed incendi contro quanti, aveva saputo, consideravano se non essere di minaccia per noi, esercitava la piena potestà sull'Armenia....". Armenii / ambiguitas, un nesso non nuovo in Tacito. Bari, 15/12/1996

Sergio Germinario

4

5 6 7 8

Ne ridiscute A.A. BARRETT, Annals 14.26 and the Armenian Settlement of A.D. 60 in "Classical Quarterly" XXIX 1979, pp. 465 - 469, ma vedi S. GERMINARIO, Tigrane umbra regis, Bari 1996 pp. 8 – 9. Perobsi nel Mediceus (ma già perosi nel Vaticanus Latinus 1958). GERMINARIO, pp. 5 - 7. La lezione del Leidensis. La soluzione di I.Bekker (Leipzig 1825).


VIRGILIO, Aeneis, IV 204 

 SG 1998

Isque amens animi et rumore accensus amaro Dicitur ante aras media inter numina divom Multa Iovem manibus supplex orasse supinis. È Iarba che, sentito di Enea e Didone, sta per invocare Giove in preghiera. Celebre il libro, di più la vicenda. * Non convince numina. Omina1 nell’accezione di “rituale sacro” non è estraneo all’uso virgiliano. Ma pensare a lumina2 è più semplice: Centum aras posuit vigilemque sacraverat ignem Excubias divom aeternas ha appena detto il poeta (vv.200-201).

Bari, 19/01/1998

Sergio Germinario

1

2

Munera e nomina (negli apparati critici più attrezzati), per vie diverse, forse mettono sulle sue tracce. La pista, però, va percorsa in altra sede. Uno scambio non nuovo in Virgilio: M. L. DELVIGO, Clarissima mundi lumina: il proemio delle Georgiche e una presunta variante d’autore, in “Studi Italiani di Filologia Classica” VIII 1990, pp.215-228.


Horatiana EST MODUS IN REBUS = H2O CARPE DIEM : E = mc2 SG Š 2009

GYGE

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I testi si leggono anche in GYGE http://www.gyge.blogspot.com in docstoc.com e scribd.com

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Sergio Germinario


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