MY I A Aperto al genio Eschilo, Persae, 12-13 Marziale, Epigrammata II,53 ΑΛΓΟΣ ΝΟΣΤΟΣ Persio Saturae V, 13 Seneca Naturales Quaestiones, VII, 25, 2 La ‘descrizione’ Orazio, Epodon liber, VIII 15-18 Il volo di Stenebea Cicerone, Ad Atticum VII, 2,1
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Sergio Germinario
MY I A Aperto al genio
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Eschilo, Persae, 12-13 © SG 2009
Ristagna nell’aporia la lettura del v.13 dei “Persiani” eschilei. Sempre sospetti ’ 1; non perspicui “… the sense of the verb , … the identification of the subject of and the interpretation of its object”2. Da l’impasse all’azzardo: reinterpreto al v.12. Resi nelle nervature d’avvio della parodo3, questi gli esiti. Ecco, i garanti di Persia, tutori del regno. Serse e l’armata ad invadere la Grecia, noi, nobili anziani, a reggere l’impero. Ma è per il destino della spedizione, con cattivo presentimento, che l’animo assai freme, dentro, giacché ogni forza in noi, sangue d’Asia, è andata, e abbaia all’uomo di una volta.
, .
Per giunta, non arriva messaggero, né corriere alla città dei Persiani …. …. …. La perduta è quella dei vecchi 4. Fedeli ‘cani da guardia’, gli di Dario fiutano la sciagura. Ma nella frustrazione di una virilità negata dall’età, soffocano dentro l’eccitazione abbaiando d’istinto alla giovinezza lontana.
“ … (the Greek here) … seems almost certainly corrupt …”, P. BURIAN – A. SHAPIRO (edd.), The Complete Aeschylus, Vol. II, Persians and Other Plays, Oxford 2009, p.88. 2 D. SCHENKER, Aeschylus, Persians 13, in “Rheinisches Museum” 140 (1997), p.9. 3 ESCHILO, Persae, vv.1-15. Leggo il testo stabilito da Denys Page ([ed.] Aeschyli Septem Quae Supersunt Tragoedias, Oxford 1972), tranne il v.13 (qui come tradito dal Mediceus) e, in parte, la punteggiatura. 4 Il significato di “esercito” per sarebbe assicurato dalla vocazione archicatalogica del v.12 rispetto all‟elenco dei vv.16-58. Vocazione inibita, però, dalla frattura del v.14: da del v.15, infatti, si dipana la teoria delle schiere d‟Oriente. Così la chiusura anulare ’ / (vv.59-60) può ben serrare un movimento ciclico chiamato non da , ma da d‟esordio. Quanto ad , piuttosto che banalizzarsi in un mero impiego geografico, il conio libera un respiro che rivela ascendenze aristocratiche per . Infine, con equilibrio strutturale, nel ringhiare del opposto all‟abbaiare della si definisce, dopo l‟identità ( ... , vv.1-7), lo stato d‟animo di partenza del Coro ( ... , vv.8-13). 1
Presagio e impotenza5: non è la prima volta che al teatro di Dioniso avviano un dramma sullo scenario della corte achemenide. È un ad aprire le “Fenicie” di Frinico.
Bari, luglio 2009
Sergio Germinario
“… il latrato poteva … rappresentare altre due situazioni, accomunate dalla condizione di impotenza del locutore: l‟urlo di disperazione di un disgraziato e la recriminazione insolente di una persona di rango subalterno. Il primo uso in realtà non è frequente, ma pare con sicurezza attestato almeno in un passo dei Persiani di Eschilo, dove il coro piange la disfatta dell‟esercito di Serse a Salamina con queste parole40: «… fa‟ andare la voce che lugubri ululati ( ) / innalza infelice». Pare abbastanza evidente che l‟immagine dell‟ululato canino venga qui assunta per connotare le grida del coro con l‟idea di uno sfogo impotente di fronte alla disgrazia ormai compiuta41.” C. FRANCO, Callimaco e la voce del cane, in A.M. ANDRISANO (a cura di), Animali, animali fantastici, ibridi e mostri, «Annali Online dell'Università di Ferrara Lettere» num. spec. I (2007) pp.52-53 (con qualche refuso nell‟impaginazione delle relative note, poste a p.50: “40 Aesch. Pers.571-5; 41 In questa direzione si potrebbe tentare di orientare il significato di anche al v.13 della tragedia, un passo molto oscuro che non è il caso di discutere nel dettaglio in questa sede ….”). 5
MARZIALE, Epigrammata II,53 © SG 2009
Impianto a conchiglia. Due valve, tenute da epanalessi, si aprono a dare precetti di liberazione. Sei, serrati in un ‘codice a barre’ a tenaglie concentriche. Vis fieri liber? mentiris, Maxime, non vis: sed fieri si vis, hac ratione potes. liber eris, cenare foris si, Maxime, nolis, Veientana tuam si domat uva sitim, si ridere potes miseri chrysendeta Cinnae, contentus nostra si potes esse toga, si plebeia Venus gemino tibi vincitur asse, si tua non rectus tecta subire potes. haec tibi si vis est, si mentis tanta potestas, liberior Partho vivere rege potes. L’esterna (3/8) e la mediana (5/6) sono antipolari: (cenare foris) no / sì (tua ... tecta subire); (chrysendeta Cinnae) no / sì (nostra … toga). L’intermedia (4/7) omopolare: (Veientana … uva) sì / sì (gemino … asse). Devono bastare per vincere sete e ‘fame venerea’. È l’ordito dell’epigramma. Inutile scavare vincitur (v.7)1: risvolta domat (v.4). E plebeia Venus – vulgato come scortum, meretrix – varrà piuttosto ‘bassi istinti’2. Bari, ottobre 2009
Sergio Germinario “Azzarderei … l‟ipotesi che vincitur … potrebbe riferirsi alla “contrattazione” con la prostituta circa il prezzo della prestazione, dato che il compenso che il saggio è disposto a pagare è piuttosto basso” (L. PIAZZI, Marziale. Scampoli di saggezza popolare, in F. PIAZZI (a cura di) Novos decerpere flores, vol.2, Bologna 2001, p.279). Il suo senso ironico difende ancora Craig Arthur Williams “… as one normally has no need of “conquering” or “winning over” a paid partner” (Martial, Epigrams, Book Two, Oxford 2004, pp.185-186. 2 “Se con due assi tu puoi satollo / Render tuo senso, …” traduce P. MAGENTA, Gli Epigrammi di Marco Valerio Marziale, Venezia 1842, p.205/206: in calco. 1
ΑΛΓΟΣ ΝΟΣΤΟΣ SG 2001
è ‘mal d’altrove’. Johannes Hofer permetterà che si rigeneri il suo conio.1 È dolore del , languore post reditum che fa del ‘viaggio’ una categoria dell’animo. Categoria inconosciuta nelle letterature antiche. La sfiora il pianto di Odisseo alla corte dei Feaci. Sfugge ad Alessandro mai al ritorno in Macedonia. Inespresso il termine, indicibile antipode del desiderium patriae. Assenza spia del vuoto della percezione. Nell’effetto solarizzante degli arcana mundi si annullava il sussurro delle suggestioni e l’indistinta vertigine del ‘dietro la luna’ non finiva in ‘nausea da ritorno’. L’ammasso dell’“ ” nulla poteva contro il sorso dolce passito del tornare agli affetti. Dal argonautico al labyrinthos del Satyricon, da Omero ad Apuleio ed oltre il ‘gravitare a meta’ dei protagonisti si appaga nell’ultimo rimbalzo. I clinamina intermedi intercettano memorandi che sul limen finale frangono l’emozione: totalizzante il traguardo. “ , ”! L’urlo catartico ferma nell’epopea l’“Anabasi”. Oltre, per tutti, vibreranno gli ,i . Aborto di nostalgia, dunque, nelle letterature di Grecia e Roma. Il ‘viaggio’ si nega come continuum extraliminare. Sale solo sul fastigio della metafora, del simbolo e prigioniero della sua autonomia rivela tare di assoluto in sussurri di pre-Utopia. , Isole felici. ‘Tranche’ estraibile di alterità, fissa pure la propria cifra intelletuale nell’esercizio del relativizzare, reciprocizzare l’estero. La stessa ‘parola del viaggio’ ruota in ‘viaggio della parola’. E l’anaclasi fonde: ‘parola del viaggio della parola’. Primo Esiodo. Paolo su tutti. Ma l’altrove è inerte. , stationes lo misurano fino a rarefare gli , ecumenizzare ultimos Britannos. Laicizzano il viaggio e il suo fascino, discriminato, smuore. L’iperesotismo del ‘romanzo’, già sotto sferza nell’affabulazione lucianea, non può che surrogarne le fragranze. Celeste eccezione, l’ondeggiare dei Magi alla volta di Betlemme. Itineraria e venano di sacro, di curiositas, terre e mari, senza che dal peragrare emani il magnetismo dell’irripetibile. e viatores, per spazi e mirabilia, non conoscono ‘transfert’. Nessun ‘soffrir d’Africa’. A lungo. Inevitabilmente: con le Sirene odissiache – era ‘nostalgia’, fu nostothanasia – non l’eroe, il poeta avrebbe dovuto osare. Lo farà con le Sirene dell’“Infinito”, cedendo nel “naufragar” al dolore del nostos. Bari, gennaio 2001
Sergio Germinario “Dal fr.<ancese> nostalgie (1759), deriv.<ato> dal lat.<ino> scient.<ifico> nostalgia, comp.<osto> dal gr. „ritorno‟ e „dolore‟: voce coniata nel 1688 dall‟alsaziano Johannes Hofer, per indicare lo stato psicologico e patologico alquanto diffuso fra gli Svizzeri in servizio militare all‟estero (cfr. MIGLIORINI, 5-74)”, S. BATTAGLIA, Grande dizionario della lingua italiana, vol.IX, Torino 1981, p.560 s.v. Una patologia che forse si sarebbe meglio chiamata nostophilia. 1
PERSIO, Saturae V, 13 nec stompho tumidas intendis rumpere buccas SG 2010
§ Integrità etica e integrità poetica. Vanno rifiutate le degenerazioni del grande loqui e Persio (Saturae V, 10-13) ne è lontano: Tu neque anhelanti, coquitur dum massa camino, folle premis ventos, nec clauso murmure raucus nescio quid tecum grave cornicaris inepte, nec stloppo tumidas intendis rumpere buccas. Stloppo1, al verso 13, chiama all’intervento lo scoliasta del Commentum Cornuti: “Stloppo dixit metaphoricos, a ludentibus pueris, qui buccas inflatas subito aperiunt et totum simul flatum cum sonitu fundunt.”2 Genesi e natura onomatopeica per il termine: “‘scloppo’ enim est uox per onomatopoeiam ficta.”3 Grotteschi gli effetti. “The grotesque metaphor is plausibly explained by the scholiast, who refers to the children’s game that involves striking distended cheeks with the palms of the hands to produce a scloppus. scloppo, an obviously onomatopoeic word, is found only here.”4 È il modello esegetico fissatosi.5 La flatulenza descritta – la si tenti – genera, tuttavia, un ‘sonoro’ a stento rifatto nel neologismo.6 Non si sbuffa con uno ‘stloppo’.7 Si emette, invece, uno ‘schiocco’, ma di lingua: sappiamo da sempre far schioccare “n’tlop/n’clop” tra lingua e palato e ciò ha forse orientato l’esito grafico ed ermeneutico
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In estrema sintesi la sua oscillante vicenda: scelta da Otto Jahn (Leipzig 1843; ma scloppo, Leipzig 1868), la lezione ha in seguito ceduto il primato alla variante scloppo: Wendell V. Clausen (Oxford 1956); Domenico Bo (Torino 1969); Walter Kissel (Heidelberg 1990); Oleg Nikitinskj (München - Leipzig 2002), per poi tornare preferita: Walter Kissel (Berlin - New York 2007). 2 W. V. CLAUSEN - J. E. G. ZETZEL, Commentum Cornuti in Persium: Recognoverunt et Adnotatione Critica Instruxerunt, München - Leipzig 2004, p.112. Così lo scolio nell‟edizione di O. JAHN, Auli Persii Flacci Satirarum Liber, cum scholiis antiquis, Leipzig 1843 [= Hildescheim 1967], p.321, 13: “Sclopo dixit , a ludentibus pueris, qui buccas inflatas subito aperiunt, et totum simul flatum cum sonitu fundunt.” 3 D. BO, A. Persi Flacci Saturarum Liber. Praecedit Vita. Torino 1969, p.84, ad locum. 4 R. A. HARVEY, A Commentary on Persius, Leiden 1981, p.129, 13. 5 Generoso, ma mosso entro gli stessi ambiti, il commento di W. KISSEL, Aules Persius Flaccus: Satiren, herausgegeben, übersetzt und kommentiert, Heidelberg, 1990, pp.585-586. 6 Anche considerando le varianti (l‟apparato più ricco in JAHN, pp.43-44). 7 Sembra dirlo già Papias (Papias vocabulista. Elementarium doctrinae erudimentum, nell‟edizione di F. PINCIO, Venezia 1496, a p.335) che ha semplicemente: Stoplum gravis sonus (cfr. JAHN, p.321, n.2).
della lezione: ‘stloppus’/‘scloppus’,8 rumore orale, comunque9. Se poi a delle tumidae buccae non è dato prorompervi, pace earum. Tale approssimazione, da sempre metabolizzata nelle urgenze dei processi di trasmissione e interpretazione del testo, continua ad essere accettata. La presunta ‘onomatopea’, invece, è da rileggere e la sua irridente ‘sconvenienza’ deve accordarsi con gli equilibri che reggono l’intera sezione. Ad essere in gioco non è la sola perspicuità del verso. Una lettura lassa può incrinare analisi di valore che per i pronunciamenti di poetica – lo è il nostro – meritano speciale attenzione. Di recente, Marisa Squillante Saccone: “For the complete ironic effect, we should not neglect the metonymical procedure of 10-11 (tu neque anhelanti, coquitur dum massa camino, | folle premis ventos …), in which the confusion of levels and treating the symbol ‘of that which it is and not of that to which it refers’ (‘metonymy and synecdoche’, in Olbrechts-Tyteca, Il comico, 240[10]), provokes laughter, and the enjoyment of an onomatopoeic term such as scloppo. For Faranda (‘Caratteristiche’, 522 *11]) in this passage ‘two parodic elements intersect: the voluntarily emphatic tone and the brutal translation of the procedures and arguments of the epic/tragic style into concrete and vulgar metaphors’”.12 Disamina ineccepibile. Estesa al verso 13, però, lo costringe a mandare a vuoto la sua smorfia deformante,13 a meno di non fonderla con le precedenti in una sorta di amalgama ad sententiam e negarsi una compiuta autonomia. Uno schema minimo con l’utilizzo delle formule provenienti dalle stesse studiose permetterà di chiarire l’appunto. Il congegno satirico del passo è complesso: interagiscono due livelli. Il primo nasce da un atto di straniamento ironico che si realizza all’interno di ciascuna articolazione. Il secondo evoca per allusione il rinvio altrettanto ironico dell’intera articolazione al suo referente sotteso. Tetrastica la sezione, tre le articolazioni. La prima fa stridere ironicamente: (‘which it is’ – ‘concrete and vulgar’) (‘to which it refers’ – ‘emphatic’) Tu neque anhelanti folle premis ventos coquitur dum camino massa. „Stloppus‟ è proposto da Prisciano come esempio di quali siano le aggregazioni ammesse per tres … consonantes … in principio syllabae (H. Keil, M. Hertz, Grammatici Latini, vol.II, Prisciani Institutionum grammaticarum libri I-XII, Leipzig 1855, p.42-43). 9 Le numerose configurazioni assunte (cfr. JAHN, p.43, in apparato, ad locum) testimoniano probabilmente gli sforzi pagati nel cercare di stabilire una relazione tra segno e senso mai soddisfacente e spesso empiricamente risolta su base soggettiva: fermo il nucleo s o p o, varia è la gamma delle combinazioni integranti. 10 Scil. L. OLBRECHTS-TYTECA, Le comique du discours, Bruxelles 1974, trad. it. Il comico del discorso. Un contributo alla teoria generale del comico e del riso, Feltrinelli, Milano, 1977. 11 Scil. G. FARANDA, Caratteristiche dello stile e del linguaggio poetico di Persio, “RIL” LXXXVIII, 1955, pp. 512-538. 12 Techniques of Irony and Comedy in Persius’ Satire, M. PLAZA (ed.), Persius and Juvenal, Oxford 2009, p.153, n.48. 13 Inaccettabile l‟idea di una semplice attestazione di „non sfiatare‟ concessa al poeta: un „non sfiatare‟ costretto, per non rimanere tale, a riflettere opacamente la luce metaforica emessa dai versi precedenti. 8
Per Tu neque anhelanti, coquitur dum massa camino, / folle premis ventos (‘which it is’ – ‘concrete and vulgar’) l’effetto allusivo si consuma con riferimento al rigetto per le eccelse altezze della materia epica e la sua parodianda meteorizzazione (‘to which it refers’ – ‘emphatic’). Nella seconda stridono ironicamente: (‘which it is’ – ‘concrete and vulgar’) (‘to which it refers’ – ‘emphatic’) nec raucus clauso murmure cornicaris inepte nescio quid tecum grave. Per … nec clauso murmure raucus / nescio quid tecum grave cornicaris inepte (‘which it is’ – ‘concrete and vulgar’) l’effetto ancora si produce con riferimento al rifiuto per le profondità della verità tragica e il suo bofonchiante vaniloquio (‘to which it refers’ – ‘emphatic’). La terza mette a contatto: (‘which it is’ – ‘concrete and vulgar’) (‘which it is’ – ‘concrete and vulgar’) nec tumidas intendis rumpere buccas stloppo. Assente l’enfasi, nullo lo straniamento ironico. In nec stloppo tumidas intendis rumpere buccas (‘which it is’ – ‘concrete and vulgar’) manca l’effeto allusivo ad un referente recusato per satiram.
§§ Ermogene, : “ , , .”14 Nella resa di Carlo Maria Mazzucchi: “L’elocuzione () solenne – dice Ermogene – è fatta di suoni larghi, che costringono ad allargare la bocca pronunciandoli, così da riuscire magniloquente ( ) e da ottenere questo effetto in virtù della natura (fonica) delle parole stesse ….”15 Il relativo commento di Siriano16 “… consiste nella spiegazione del termine ( , ), del quale si mette in evidenza la durezza del suono, che appunto costringe a distendere la bocca nel pronunciarlo.”17 Giovanni di Sicilia e un anonimo esegeta del ,18 nel trattare lo stesso passo ermogeniano, inglobando Siriano, intervengono sulle matrici etimologiche e sulle origini
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L. SPENGEL, Rhetores Graeci, Vol. II, Leipzig 1854, p.291, 12-15. C. M. MAZZUCCHI, Longino in Giovanni di Sicilia, con un inedito di storia, epigrafia e toponomastica di Cosma Manasse dal cod. Laurenziano LVII. 5, “Aevum” LXIV, 1990, p.190. 16 , . (H. RABE, Syriani in Hermogenem commentaria, Vol. I, Leipzig, p.39, 11-15). 17 MAZZUCCHI, Longino in Giovanni di Sicilia, ibidem. 18 Su Giovanni di Sicilia, Carlo M. Mazzucchi (Longino in Giovanni di Sicilia, p.183, con n.1, e p.185): essenziale e lucido. I testi: CH. WALZ, Rhetores Graeci, vol. VI, Stuttgart 1834, p.225, 929, per il primo; per il secondo: CH.WALZ, Rhetores Graeci, vol. VII, pars II, Stuttgart 1834, p.963, 12-18; p.964, 1-9. 15
di : risulta .19 Nubes,20 infatti, al verso 1367 (già all’esame degli scoli aristofanei), definiscono Eschilo ,21 a qualificare certa sua dizione poetica.22 Di ciò “ ”, avvisano entrambi.23 Prima del rinvio, però, Giovanni di Sicilia non rinuncia a stigmatizzare ulteriormente Eschilo: “ (scil. ) .”24 L’Orithyia ci porta d’obbligo al : è qui che leggiamo l’unico frammento attribuito al dramma e in un contesto in cui compare la voce .25 , appunto. Un termine non abusato nella nomenclatura critica antica.26 “Russell observes that ‘ and ... and their derivatives belong to what may be called the earliest stratum of Greek critical vocabulary’.27 But unlike , did not enjoy continued currency in critical usage after Aristophanes. I know of no other example in criticism until Hermogenes, who uses in the passage (247.13) which prompts John of Sicily and the anonymous commentator to cite Longinus; even there it is not used directly to describe a style, but the shape of the mouth associated with sounds appropriate to a certain style. The fact that Syrianus, in his commentary on this passage (39.11-15 Rabe), felt the need to explain and suggests that they were not standard critical terms.”28 Dunque, da Aristofane all’autore del 29 e ad Ermogene fino agli esperti tardoantichi e bizantini, con si è intesa quella magniloquenza “fatta di suoni larghi, che costringono ad allargare la bocca pronunciandoli” con, in evidenza, “la durezza del suono, che appunto costringe a distendere la bocca” (Carlo Maria Mazzucchi) e “the
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WALZ, Rh. G., VI p.225, 15. (ibidem, 18) precisa il retore bizantino che confonde le Nuvole con le Rane. 20 WALZ, Rh. G., VII, II, p.964,1. 21 Per bocca di Strepsiade che riferisce scandalizzato il giudizio sul poeta espresso dal figlio ( : WALZ, Rh. G., VII, II, p.964, 8-9). 22 WALZ, Rh. G., VI p.225, 15-22; WALZ, Rh. G., VII, II, p.964, 4-7. 23 Rispettivamente WALZ, Rh. G., VII, II, p.963,17-18; e WALZ, Rh. G., VI p.225, 27-29 ( ). 24 WALZ, Rh. G., VI p.225, 23-26. 25 Pseudo-Longino, De sublimitate, III,1. Le relazioni tra il Longino nominato dai due commentatori di Ermogene e il affascinano da sempre gli studiosi. La questione non ha legami con l‟oggetto del presente scritto e non sarà toccata. Lo stesso valga per la paternità eschilea del frammento tragico (A. NAUCK, Tragicorum Graecorum fragmenta, Leipzig 18892, p.89, 281) non unanimemente accettata. 26 Lo si legge ancora nel (XXXII,7) per un Platone colpevole di lasciarsi andare . 27 Russell 1964, 68 (on 3.1) [scil. D. A. RUSSELL, ‘Longinus’ On the Sublime, Oxford 1964]. 28 M. HEATH, Longinus On Sublimity, “Proceedings of the Cambridge Philological Society”, XLV 1999, pp.43-74 = Online, URL http://eprints.whiterose.ac.uk/2655/, p.23. 29 Non si escludono passaggi intermedi: il giudizio “… sulla magniloquenza di Eschilo … molto probabilmente risale in ultima analisi a uno scritto peripatetico (Diogene Laerzio V 50 cita un di Teofrasto) o alessandrino. … In conclusione, è probabile che Longino abbia tratto il suo esempio di … non direttamente dalla tragedia di Eschilo, ma da una monografia dedicata allo stile del poeta (e alle sue intemperanze), le cui linee essenziali ci sono tramandate da Giovanni di Sicilia” (C. M. MAZZUCCHI, Dionisio Longino. Del Sublime, Milano 1992, pp.138139, passim.)
shape of the mouth associated with sounds appropriate to a certain style”(Malcolm Heath). Quanto basta al verso 13 della quinta satira di Persio: ad essere corroso dalla irriverente eruptio di quelle tumidae buccae è lo stomphus, cavernoso concentrato di vuoto che emana da chi solo millanta poesia (‘to which it refers’ – ‘emphatic’). Bisongnerà accarezzare l’idea che al poeta di Volterra, magari per il tramite di Anneo Cornuto e la sua cerchia30, fosse noto il .31 La datazione e la ‘destinazione romana’ dello scritto sono favorevoli all’ipotesi. 32 Lo è altrettanto la temperie culturale e letteraria del momento, tanto che “Per certi versi questo anonimo retore [scil. Pseudo-Longino], coltissimo e velleitario, che mira, nel nome dell’, a una impossibile sintesi tra e , ricorda un poeta dei tempi suoi, Persio …”.33 Né sono assenti suggestioni interne. Saturae V,10-13 e De sublimitate, III,1 le creano sin dalla ritenuta citazione dell’Orithyia:34 . ‟ , . ‟ . / camino;35 (e / massa assonano); / premis ventos; / coquitur; / cornicaris. Ancora, nella minutaglia ripresa della parte perduta del passo pseudo-longiniano: / intendis rumpere / tumidas … buccas. Senza che – allargato lo spazio contestuale – gli di Callistene, e Clitarco … “ , ’ ”36 smettano di aleggiare su In elenco:
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Vita A. Persi Flacci de commentario Probi Valeri sublata in D. BO, A. Persi Flacci Saturarum Liber. Praecedit Vita. Torino 1969, pp.2-4. 31 Naturalmente a conoscenza del poeta poteva esservi altra letteratura sulla materia (cfr. supra, n.25). Sulle notevoli dotazioni della sua biblioteca: BO, Vita, p.6. 32 Per una datazione già d‟età augustea è MAZZUCCHI Dionisio Longino. Del Sublime, pp.XXXIXXXIV. 33 F. DONADI, Pseudo-Longino. Del Sublime, Milano 1991, p.19, il quale sempre a questo riguardo a p.47 fa suo, traducendolo in n.66, il giudizio di J. BOMPAIRE, Les Pathos dans le Traité du Sublime, “Revue des études grecques”, LXXXVI 1973, pp.323-343, p.342 sg.: “Il trattato è il testimone della trasformazione che si produce nel I secolo, e che è qualcosa di più di una semplice evoluzione della sensibilità estetica degli antichi. Si volgerà volentieri lo sguardo alle tendenze del “nuovo stile” che si affermano verso la metà del secolo, in particolare all‟epoca di Nerone, e che sono illustrate dall‟opera di un Lucano. La visione del poeta latino è, per molti aspetti, quella del Trattato del sublime.” Sul sodalizio stretto tra Lucano e Persio siamo ben informati dalla Vita (BO, pp.3-4). 34 NAUCK, p.89, 281. 35 Camini nei manoscritti. È la citazione di Porfirione (ad Hor. serm. I,4,19 sgg.) a fornirci camino. 36 PSEUDO-LONGINO, De sublimitate, III,2; il trimetro giambico è di Sofocle.
quell’anhelanti… / folle premis ventos.37 O che l’opposizione …, , su cui si insiste,38 non richiami – in diversa relazione – quella tra il tenore ‘imberbe’39 del rumpere buccas e il peso della ‘evacuazione’ che esso censura. Percezioni volatili. E, qui, restino tali.40 È nelle conclusioni che l’autore del diventa davvero l’interlocutore di Persio:41 “ , … ’ , , , ’ .”42 Alla veritas dei verba togae estraneo è lo stomphus.
§§§ Stompho, traslitterato, si espone al misconoscimento. Tanto più in un testo privo dell’imprimatur d’autore e soggetto ad alta ‘tiratura’ a partire dalla prima edizione.43 Da ‘quella’ di Flavio Giulio Trifoniano Sabino sine antigrapho44 fino alle nostre, poi, “… codex archetypus non omnia plene exscripta praebuit, sed quaedam notis indicavit … Inde quoque errores nati sunt. Ita lineola indicatur litteras n m esse Pur, naturalmente, con Orazio: a cominciare da Porfirione (“Hinc autem Persius illud transtulit: Tu neque anhelanti …”) il debito con Sermones I,4,19 sgg. è contratto. 38 PSEUDO-LONGINO, De sublimitate, III,4; e ancora: “ .” (III,2). 39 KISSEL, Aules Persius Flaccus: Satiren, p.586, occupandosene ampiamente, resta riferimento esemplare di quello che è il silenzio generale sulla questione qui aperta. E dire che, in avvio di commento (p.585), così esordisce: “Die in ihrem Ursprung vielleicht aus der Medizin stammende (vgl. … Ps.Longin.subl.3,3 f.) Metapher, wonach ein besonders praetentioeser Stil als “geschwollen” oder “aufgebläht” bezeichnet warden konnte …”. Ma, null‟altro. 40 Un‟indagine vera sui „contatti‟ tra i due testi deve partire dal riesame della lettura e interpretazione del frammento drammatico cui si associ la ricerca, nei versi satirici, di tracce della conoscenza integrale di Persio del lacunoso – è noto – passo del . Quanto l‟entità di questo scritto non concede. 41 È opinione canonica che in Satira V,5-18 a rivolgersi al poeta sia Cornuto. La consolida, rigettando le obiezioni di Charles Witke (Latin Satire. The Structure of Persuasion, Leiden, 1970, pp.89-90) D. M. HOOLEY, The Knotted Thong. Structures of Mimesis in Persius, Ann Arbor 1997, p.71, n.20. 42 Pseudo-Longino, De sublimitate, III,1. 43 “… hunc ipsum librum imperfectum reliquit … editum librum continuo mirari homines et diripere coeperunt.”(BO, Vita, p.5-6, passim). “So obscure an author as Persius apparently needed explaining from the day of publication.” (W. V. CLAUSEN, A. Persi Flacci, Saturarum Liber. Accedit Vita, Oxford 1956, p.xxiii). 44 Così recitano le subscriptiones pervenuteci col Montepessulanus 212 e col Vaticanus H 36, sulle quali essenzialmente: CLAUSEN, A. Persi Flacci, Saturarum Liber, pp.viii-ix, e in ultimo W. KISSEL, A. Persius Flaccus. Saturarum liber, Berlin - New York 2007, pp.viii-ix, con richiamo alla cautela nell‟annoverare Sabino tra gli antichi „editori‟ di Persio: “Nihil enim aliud ea subscriptione cognoscimus nisi iuvenem nobilem ex eis, qui circa principem militabant, saeculo quinto ineunte aliquantum temporis consumpsisse, ut suum Persi carminum volumen ad proprium usum mendis sane apertis purgaret. Qua re reputata eius studio recensionis nomen non nisi aegre tribuas.” Sulle questioni sollevate dalla loro collocazione manoscritta, interessante presa di posizione in O. PECERE, Antichità tarda e trasmissione dei testi. Qualche riflessione, in O. PECERE ( a cura di), Itinerari dei testi antichi, Roma 1991, pp.55-83, pp.69-70. 37
supplendas, vel eandem litteram geminandam, quo factum, ut aut adderentur aut omitterentur eae litterae prave” ; per giunta i manoscritti “… multum variare in aspiratione vel ponenda vel omittenda”;45 “Scatent quidem omnes multis mendis ”; “… sollemnes errores, … exhibent … quales litterarum confusiones : c pro t.”46 Per giungere a stloppo e al nugulo delle sue varianti,47 stōp ho è passaggio paleograficamente plausibile. Un calco di rarefatta intelligibilità.48 C’è da chiedersi se il coraggio linguistico di Persio si sia aperto anche all’indicibile. Certo questa volta avrebbe rischiato poco: pur vuoto di senso, almeno della onomatopea di stloppo, stompho è capace.
Bari, luglio 2010
Sergio Germinario
45
JAHN, rispettivamente p.CLXXXVII e p. CLXXXII. BO, rispettivamente p.X e p.XVIII. 47 L‟unica, oltre scloppo, degna di segnalazione nell‟apparato critico di KISSEL, A. Persius Flaccus. Saturarum liber (p.23, ad locum) è stoplo: la sua vicinanza a sto(m)pho è di conforto a quanto si sostiene in questo scritto. 48 Secondo la nostra prospettiva, evidentemente, e considerando la maggiore „facilità‟ degli altri prestiti greci utilizzati dal poeta. Ma non si può escludere che in età neroniana fosse termine „ammissibile‟, se non altro, entro il circuito di prima, e forse esclusiva, diffusione del Liber. 46
SENECA, Naturales Quaestiones, VII, 25, 2 ‘adeo animo non potest liquere de ceteris rebus ut adhuc ipse se quaerat’ SG 2003
Il contesto. 24,3. Credis autem in hoc maximo et pulcherrimo corpore, inter innumerabiles stellas quae noctem decore vario distinguunt, quae minime vacuam et inertem esse patiuntur, quinque solas esse quibus exercere se liceat, ceteras stare fixum et immobilem populum? 25,1. Si quis me hoc loco interrogaverit: “Quare ergo non, quemadmodum quinque stellarum, ita harum observatus est cursus?” huic ego respondebo: multa sunt quae esse concedimus, qualia sint ignoramus. 2. Habere nos animum, cuius imperio et impellimur et revocamur, omnes fatebuntur; quid tamen sit animus ille rector dominusque nostri non magis tibi quisquam expediet quam ubi sit: alius illum dicet spiritum esse, alius concentum quendam, alius vim divinam et dei partem, alius tenuissimum animae, alius incorporalem potentiam; non deerit qui sanguinem dicat, qui calorem: adeo animo non potest liquere de ceteris rebus ut adhuc ipse se quaerat. 3. Quid ergo miramur cometas, tam rarum mundi spectaculum, nondum teneri legibus certis, nec initia illorum finesque notescere, quorum ex ingentibus intervallis recursus est? Nondum sunt anni mille quingenti ex quo Graecia “stellis numeros et nomina fecit”; multae hodieque sunt gentes quae tantum facie noverint caelum, quae nondum sciant cur luna deficiat, quare <sol> obumbretur: haec apud nos quoque nuper ad certum ratio perduxit. 4. Veniet tempus … (SENECA, Naturales Quaestiones, VII, 24,3 – 25,4)1 I concetti. Implausibile un universo in cui tutto è fisso tranne i pianeti. Anzi, il loro orbitare induce, per derivazione analogica, a postulare moti di stelle e comete [VII, 24,3]. Primaria risorsa, la derivazione analogica resta comunque inconclusiva: l’effettiva conoscenza di fenomeni dalle evidenze così rare e lontane va conquistata, con epistemologica specificità, nel tempo [VII, 25,1]. L’animo, ad esempio, altra entità dalle manifestazioni profonde e insondabili. Da sempre l’uomo si interroga sulla sua essenza. Vari i modelli analogici proposti. Mai risolutivi: “n o n d a d e r i v a z i o n i a l t r e p u ò g i u n g e r e a l l ’ a n i m o l a v e r i t à , t a n t o c h e e s s o è , i n q u a n t o t a l e , s e m p r e a l l a r i c e r c a d i s é .” *VII, 25,2] . È il testo edito da P. PARRONI, Seneca. Ricerche sulla natura, Milano 2002. Di rilievo – contro Paul Oltramare (Paris 1929) e nella scia di Alfred Gercke (Leipzig 1907), poi di Harry M. Hine (Leipzig 1996) – l‟accoglimento dell‟integrazione sol obumbretur (L.A.J. Burgersdijk; F. Skutsch in A. GERCKE). Più invasiva paleograficamente di un congetturabile emendamento sol umbretur, essa appaga ritmicamente la clausola. Niente, invece, su dies ed il suo corteggio frastico … in lucem dies extrahat et longioris aevi diligentia (contiguo alla parte qui considerata): certo suo ambiguo respiro enniano, vista la „temperatura poetica‟ del frangente senecano, sarebbe forse da indagare muovendo, magari, dall‟Ennio di “postremae longinqua dies confecerit aetas” (A. GELLIO, Noctes Atticae, IX, 14,5; v. 413 Vahlen2; cfr. A. TRAGLIA, Poeti latini arcaici, vol.I, Torino 1986, p.474: [261] postremo longiqua dies quod fregerit aetas), combinato con A. GELLIO, Noctes Atticae, XII, 2. Ma di ciò altrove. 1
Ciò che, dunque, non è ancora possibile per l’animo come pretenderlo per il corso delle comete? La loro fenomenologia è di assai più ampia intermittenza rispetto a quella del primo e la scienza astronomica, a differenza di quella fisio-filosofica, muove solo i primi passi *VII, 25,3+. Verrà il giorno … *VII, 25,4+. L’interpretazione. Lo spaziato, supra, traduce adeo animo non potest liquere de ceteris rebus ut adhuc ipse se quaerat, col riverbero della precedente interrogativa indiretta, quid … sit animus, in funzione soggettiva rispetto a non potest liquere (ma già il valore assoluto di liquere soddisfa); e la carica predicativa di ipse a ribadire il duro (adhuc) travaglio verso l’emancipazione dalle ‘tentazioni’ analogiche – quanto deve avvenire per il rivelando corso delle comete nei confronti di quello dei pianeti –: l’animo, non de ceteris rebus, ma in sé e per sé arrivi a svelare la propria identità. Chiare le nervature logico-argomentative del passo. Ma, in tante interpretazioni di peso, salta la chiave di volta e ‘adeo animo non potest liquere de ceteris rebus ut adhuc ipse se quaerat’ diventa in traduzione: “Tant s’en faut que l’âme puisse acquérir une certitude sur ce qui n’est pas elle, qu’elle en est encore à se chercher elle même.” Paul OLTRAMARE, Sénèque. 1 Questions naturelles, Paris 1961 (1929 ), p.326. “It is so impossible for the mind to be clear concerning other subjects that it is still searching for itself.” Thomas H. CORCORAN, Seneca. Naturales Quaestiones, vol.II, London 1972, pp.277 e 279. “Die Seele muß nämlich vorerst noch sich selbst erforschen und kann dann erst über andere Dinge Bescheid wissen.” Otto e Eva SCHÖNBERGER, Lucius Annaeus Seneca. Naturwissenschaftliche Untersuchungen in acht Büchern, Würzburg 1990, p.193. “…; a tal punto l’anima non è in grado di veder chiaro a proposito delle altre realtà che va ancora alla ricerca di se stessa.” Dionigi VOTTERO, Lucio Anneo Seneca. Questioni Naturali, Torino 1995 [=1989], p.711. “…: è tanto vero che l’anima non può far luce sul resto che ancora indaga su sé stessa.” Piergiorgio PARRONI, Seneca. Ricerche sulla natura, Milano 2002, p.459. Non solo straniato dal contesto, ma privo di senso, l’enunciato: con lacerante scarto logico, l’animo da indagato principe, trasmuta di colpo in indagante, e di altre cose; indagante frustrato, per giunta, e tanto da continuare a cercarsi. Che significherà?
Bari, luglio 2003
Sergio Germinario
La ‘descrizione’ © SG 2006
La ‘descrizione’ come tale non è un prodotto antico. L’alba in Omero è atto cronologico, la tempesta è agonista e l’ o le similitudini incavi narrativi, controcanto. Da Esiodo a Dione di Prusa (Euboico) ed oltre è impensabile un incipit come quello de I promessi sposi di Manzoni. Scenari utopici e fantastici (Evemero, Iambulo, Luciano, il “Romanzo” antico), le nevi dell’Anabasi e le distese immense degli itinerari di Alessandro avvolgono personaggi ed eroi senza chiedere nulla al loro destino letterario: la loro partecipazione poetica, anche nella descrizione più fine, è nulla. La natura da Teocrito a Virgilio muta solo nei timbri, nella drammatica palpitazione, ma resta inavvertita, esterna, ‘indescritta’. Gli antichi sentono la ‘descrizione’ come atto dovuto, oggettivo, non la riscattano creativamente a dimensione animata, animante. L’uomo è signore poetico su ambienti e oggetti e questi, se straordinari, possono meritare di essere temuti, ammirati ma come altro dall’agente, concomitante l’agire. Si tratta, in fondo, di un riconoscimento di dignità al “fuori da sé”, una distinta dignità. Essa è viva nell’azzeramento gerarchico tra i piani partecipativi ed emotivi della narrazione e l’extra se, sancito in un rapporto di paratassi vigente tra azione e descrizione. È col Romanticismo che si afferma la presunzione di una partecipazione dell’esterno al fare e al sentire dell’uomo. E descrivere diviene proiettarsi o introiettare. Per Eschilo non c’è niente di tragico nella traversata dell’Ellesponto da parte dei Persiani, la tragedia è tutta nella di Serse. Erodoto non inorridisce per la necrofagia dei Callati, il brivido è tutto nella del . Il transfert contaminante ‘persona/extrapersona’ non si ha. Plinio il Vecchio muore sotto il Vesuvio in un resoconto del nipote che è certo drammatico per noi, ma è documentario per Tacito. In Aristotele la tirannide lessicale di è significativa. Le notazioni deittiche, scenografiche o ambientali nel teatro antico sono solo reliquie incidentali. Non si confonda la descrizione con l'elencazione e la documentazione: le tavolette in cuneiforme o in lineare B, così come i Commentarii cesariani non descrivono, registrano. Pagine come quelle di Kafka, Svevo sono inconcepibili nell’antichità. Il ‘realismo’ narrativo, tanto familiare a noi dall’Ottocento ad oggi, è una categoria ignota agli antichi: ‘descrive’ in regime di subordinazione al narrato, con inversione rispetto al regime ‘romantico’ che era stato di sovraordinazione. Entrambe le relazioni sono organiche. In Petronio e nello stesso Apuleio delle Metamorfosi la ‘descrizione’ è inerte. Il mutato rapporto della scrittura con la ‘descrizione’ non è frutto di una evoluzione. Non si tratta di stadi diversi e progressivi di storia della narrazione. La ‘descrizione’ così come oggi concepita e realizzata – diverse e moltiplicate sono le sue funzioni, iconiche e di servizio quelle non letterarie – è piuttosto un adeguamento espressivo al ‘distorto’ legame con l’esterno. L’aumentato potere di partecipazione e di interferenza col “fuori da noi” falsa il nostro rapporto con esso. Ciò che prima era “naturalmente” percepito, oggi è iperpercepito. Velocità, luce, volume sonoro risultano alteranti.
L’affermarsi in età moderna di tali modificazioni ha influito sui parametri di soglia dell’attenzione percettiva. E questo vale anche per quella che chiamiamo dimensione interiore. Saffo non comprenderebbe le ragioni ‘moderne’ del successo della sua “sindrome della gelosia”. E se oggi ci affascina tanto il “notturno” di Alcmane, si può essere certi che, a saperlo, il poeta se ne stupirebbe. Bari, aprile 2006
Sergio Germinario
ORAZIO, Epodon liber, VIII 15-18 SG 1998
Quid quod libelli Stoici inter sericos iacere pulvillos amant Inlitterati num minus nervi rigent minusve languet fascinum?
Se nervi sta per penis e rigent per arriguntur “there is either an obvius contradiction between lines 17 and 18 or, with magis for minus in 17 (Heinsius, Sh. Bailey), H. unaccauntably says the same thing twice”1. Non considerata nel commento di David Mankin la possibilità che il secondo minus sia aggettivo2. Soluzione che elimina la contraddizione logica interna al distico: “Forse meno gl’indotti il nerbo rizzano / o minor l’hanno e fiacco?”3. Si incrina, però, la continuità di senso con gli ultimi due versi4, anche quando la si coniughi con “l’originale interpretazione del Kiessling, il quale pone il secondo interrogativo dopo tibi”5 del verso 20. * Con nervi uguale vires e rigent uguale frigent si ha, invece,: “‘are (my) sinews less frozen’ i.e. is his body less paralysed with horror at her ugliness”6. Minus avverbio, al verso 18, regge il contesto. La catena significante tiene fino all’ultimo dimetro: ‘È col credo del rigore che pensi di ottenere erezioni più ferme e durature? No, devi rassegnarti ad una paziente fellatio’. Ma deve ammettersi il sottinteso di una inefficace emanazione afrodisiaca dei libelli, quasi erotici amuleti, sull’astinente amante: ‘Che cos’è questa passione per i libretti stoici sparsi fra cuscini di seta? Credi che (la loro presenza aiuti a far sì che) gli attributi di uno sprovveduto siano meno riluttanti …’7. Altrimenti, inlitterati rischia di apparire straniante: ‘Non serve ad una vecchia laida spacciare filosofia / un incolto non è meno frigido (di un letterato)’8! 1
D. MANKIN, Horace. Epodes, Cambridge 1995, p.158. Così già almeno V. USSANI, Le liriche di Orazio, Torino 1900, p.23 n.18. 3 G. VITALI, Orazio Flacco. Le Odi. Il Carme Secolare. Gli Epodi, Bologna 1980 [1939], pp.415417. Ciò presuppone che il distico precedente valga: „A che serve tentare di farsela con un intelettuale?‟, se non si vuole addirittura ammettere che “H. may implay that the woman uses the book scrolls for obscene purposes” (MANKIN, p.156, con rinvio ad Amy Richlin [The Garden of Priapus: Sexuality and Aggression in Roman Humor, New York-Oxford 1992, p.111]). 4 L‟interrogativa retorica attende una risposta negativa a cui non si aggancia soddisfacentemente la battuta finale “quod ut superbo provoces ab inguine / ore adlaborandum est tibi”(vv.19-20). 5 M. CAMPODONICO, Q. Horati Flacci Carmina. Odi ed Epodi, con il commento di Luciano Müller ridotto ad uso delle scuole italiane, Firenze 1893, p.336. Scarso o nullo, comunque, il favore per la diversa interpunzione. 6 MANKIN, p.158. 7 Un‟ellissi percepita, sembra, infine da MANKIN, p.158: “Hausman‟s pigrent („are sluggish‟) for rigent would eliminate any ambiguity”. 8 La variante non, col valore di nonne, in sostituzione di num, pretendendo risposta positiva, riproporrebbe l‟inconveniente di cui supra alla n.4. 2
* Posto che la vis iambica di Orazio voglia graffiare il ‘flirt’ con uno stoicismo da triclinio impotente a fortificare contro il disgusto sessuale, per cui è vano per la turpe protagonista aspirare ad eccitare un partner anche temprato a tutto dall’acquisizione di più alte virtù, inlitterati non diviene congruo assumendo un valore ingressivo? ‘E questi manualetti stoici affezionati a starsene fra serici cuscini? Iniziato alla Stoa un maschio prova meno ribrezzo o meno smuore un fallo indottrinato?’ Thesauri e lexica concedono, sì, all’aggettivo solo il significato negativo-privativo, ma Orazio non ha dovuto consultarli. Bari, aprile 1998
Sergio Germinario
Il volo di Stenebea SG 2002
Omero non ne narra la fine. Vendicatasi di Bellerofonte, Antea esce di scena senza tornarvi più.1 È la pittura vascolare a dipingerci il suo volo fatale: “Un cratere a calice dell’Ermitage di Leningrado ci conserva … in aspetti violenti e spettacolari la punizione dell’eroina: il corpo di S.*tenebea+ che precipita a capofitto nell’etere mentre Bellerofonte sul cavallo alato fa un gesto di orrore”2. A spingervela, sulla scena del teatro di Dioniso, Euripide.3 Tragedia perduta .4 Non la sua : (scil. ) .5 OMERO, Z 160-165. Antea il nome nell‟Iliade per Stenebea: , , , precisa lo scoliasta al v.1050 delle “Rane” di Aristofane, come APOLLODORO, Bibliotheca II, 2,1, narrando di Preto che sposa la figlia di Iobate “ , ”. Essenziali e attente considerazioni sul mito in G.S. KIRK, The Nature of Greek Myths, Harmondsworth 1974, trad. it. Mario Carpitella, La natura dei miti greci, Roma-Bari 1987, pp.29-31 e pp.154-156. 2 E. PARIBENI, Stenebea, in Enciclopedia dell’arte antica VII, Roma 1966, p.493. “Unica forse è la figurazione della caduta di Antea o Stenebea da Pegaso, su di un vaso greco che mostra anche B.[ellerofonte] mentre si copre il volto con la mano.” (F. JESI, Bellerofonte, in Grande dizionario enciclopedico UTET II, Torino 1967, p.856. Furio Jesi non poteva sapere del vaso di Gravina [infra, n.6] venuto alla luce solo nel 1974). Il vaso dell‟Ermitage “has been thought to be modern” avvertono A.D. TRENDALL – A. CAMBITOGLOU, The Red-figured Vases of Apulia I, Oxford 1978, p.32 (cfr. F. BROMMER, Vasenlisten zur griechischen Heldensage 3, Marburg 1973, p.298). 3 “Le rare apparizioni di questa regina passionale e violenta … si hanno su alcuni vasi italioti e su due dipinti pompeiani, evidentemente dipendenti dalla tragedia di Euripide.” (PARIBENI, p.493). Bibliografia sulle testimonianze iconografiche in C. COLLARD – M. J. CROPP – K. H. LEE, Euripides. Selected Fragmentary Plays, Warminster 1995, p.79. Un montaggio sequenziale che le incastoni nella trama è tentato ibidem, pp.81-82. La mitografia e l‟erudizione antiche conoscono anche un diverso destino per il personaggio: svelatasi finalmente l‟innocenza di Bellerofonte “ ”, annota lo scoliasta al v.1050 delle “Rane” di Aristofane, (vv.1049-1051: . ‟, ‟ , / . / ); concorda IGINO, Fabulae, LVII. “Quae quum in ‘Stheneboea’ locum habere non potuerint, - nam ibi Stheneboea a Bellerophonte in mare praecipitata est, - in ‘Bellerophonte’ exstiterint necesse est, et, ni fallor, in prologo narrata fuerunt.” F. G. WAGNER, Euripidis perditarum fabularum fragmenta, Paris 1878, p.682. di Euripide, sarebbe andato in scena prima degli “Acarnesi” di Aristofane – 425 a. C. – (cfr. A. NAUCK, Euripidis Tragoediae III. Perditarum Tragoediarum Fragmenta, Leipzig 1912, p.69; COLLARD – CROPP – LEE, p.101). 4 I frammenti in NAUCK, p.178-181, nn.662-673; cfr. COLLARD – CROPP – LEE, pp.79-97. 5 Così si legge in uno scolio di Giovanni Logoteta (poi mutilo in Gregorio di Corinto) al di Ermogene di Tarso, contenente l‟argumentum della “Stenebea” di Euripide, riprodotto da COLLARD – CROPP – LEE, p.84. 1
La scena del vaso di Botromagno,6 testimone straordinario del dramma.7 L’eroe del Pittore di Gravina “fa un gesto di orrore” “mentre si copre il volto con la mano”?8 Avremmo nuova luce sulla vicenda del teatro euripideo. Di un Bellerofonte non s’era ancora detto. Né del suo ‘pendant’: Ippolito dinanzi a Fedra ‘sospesa’ a morte.9 Gravina in Puglia, aprile 2002
Sergio Germinario 6
TRENDALL – CAMBITOGLOU, pp.32-33; C. LOCHIN, Stheneboia in Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae VII 1, Zürich – München 1994, p.811. 7 Non rompe tutti gli indugi Angela Ciancio: la vicenda è “raccontata in una tragedia di Euripide intitolata col nome della protagonista” (SILBÍON. Una città tra Greci e Romani, Bari 1997, p.90). Ma vi è diretta filiazione teatrale della composizione figurativa? Reticente G. AGRESTI, Patrimonio archeologico di Gravina: bilancio degli scavi in Vedi Gravina. Itinerario I, Bari 1984, p.48, chiosata, peraltro, da F. MASTROGIACOMO, Il cratere [sic!] di Bellerofonte, ibidem, p.47, che in Domenico Bassi (Mitologia greca e romana, Firenze 1924, pp.271-273) scopre il vate del ferale precipizio. Se non altro la datazione del vaso: “… fine del sec. V …” (per citare ancora Giuseppina Agresti, ibidem, ribadita da Annalisa Di Zanni in CIANCIO, p.184), è compatibile con la presumibile data di rappresentazione della “Stenebea” il cui termine ante quem – 422 a.C. – “inde colligi potest, quod in Aristophanis Vespis (111, 1069) irrisa fuit” (WAGNER, p.778). Stringe il cerchio Albin Lesky: “Il motivo di Potifar ritornava in una tragedia scritta press‟a poco nello stesso periodo [scil. dell‟ “Ippolito”, 428 a.C.], la Stenebea …” (Geschichte der griechischen Literatur, Bern 1957-58, trad. it. di Fausto Codino, Storia della letteratura greca II, Milano 1986, p.489). Ci si può, forse, spingere a prima del 429 a.C. (cfr. COLLARD – CROPP – LEE, p.83). 8 Un drammatico, il „manifesto‟ della tragedia, non maniera dinamico-funzionale, se si esclude di vedervi un „fermo-immagine‟ della spinta inferta a Stenebea o uno schermarsi gli occhi dal sole nel seguirne il volo. Tacciono Arthur Dale Trendall e Alexander Cambitoglou, tranne che: “Bellerophon … looks down without pity [sic!] at Stheneboia plunging headlong into the sea” (p.32). “Bellérophon (chlamyde) sur Pégase se retourne” è il cenno di Catherine Lochin (p.811). 9 Del primo “Ippolito” di Euripide “titulum praebent Pollux 9,50 et Schol. Theocr. 2,10” (NAUCK, p.113; seguono i frammenti; cfr. M. R. HALLERAN, Euripides. Hippolytus, Warminster 1995, pp.28-37). Un cognomen, „ ‟, la cui “ratio nunc vix explorari poterit”, sentenziava WAGNER, p.721. Inascoltato: “In questa tragedia Fedra rivelava senza ritegno il suo amore al figliastro, il quale inorridito si copriva il capo. Il dramma fu perciò intitolato Hippolytos Kalyptomenos” (LESKY, p.487); ancora di recente: “The distinguishing epithet sometimes given to the title of the first play (Kata)kaluptomenos, very plausibly stems from a scene in which the shocked Hippolytus covered himself with his cloak in response to Phaedra‟s overtures.” (HALLERAN, p.26); contra “ il Paratore, il quale nega che nel vi fosse la diretta confessione di Fedra a Ippolito” (L. CARANCI ALFANO, Euripide. Ippolito, Napoli 2000, p.16; cfr. E. PARATORE, Lo di Euripide e la Phaedra di Seneca, in Studi classici in onore di Quintino Cataudella, Catania 1972). Eppure se, centrati sulle turbe degeneri delle eroine (“ ‟ ‟ ”, urla Eschilo ad Euripide al v.1043 delle “Rane” di Aristofane), sovrapponibili sono i „cartoni‟ drammaturgici di e , non viene di pensare ad “un gesto di orrore” “mentre si copre il volto con la mano” anche per Ippolito dinanzi all‟aereo morire di Fedra (magari suicida sulla scena: l‟“ ” della seconda dell‟ )?
Cicerone, Ad Atticum VII, 2,1 ‘hunc si cui voles pro tuo vendito’ SG 2010
Intarsi di greco speziano il codice della complicità nelle Epistulae ad Atticum. Artificio e allusione: il primo è sempre visibile, la seconda no. Brundisium venimus VII Kal. Dec. usi tua felicitate navigandi; ita belle nobis ‘flavit ab Epiro lenissimus Onchesmites’ (hunc si cui voles pro tuo vendito).1 Perché ‘ ’? Quando Albert Severyns chiarì che “… avait dans le système d’Aristarque une valeur technique invariable …”, che “… le mot technique sert à désigner des poètes postérieurs à Homère” e “ les sont donc des poètes, appartenant à tous les genres et à toutes les époques, depuis Hésiode jusqu’à Euphorion – en d’autres termes, tous les poètes postérieurs à Homère et antérieurs à Aristarque”,2 non accennò a Cicerone. Lo ha fatto Alan Cameron : “They *the terms neoteri and neoterici] appear constantly in the Homer scholia, in notices deriving from the commentaries of the great Alexandrian critics, notably Aristarchus and his successors. Aristarchus made a close study of Homeric usage, and when discussing textual points would often distinguish between what was Homeric and what not found till later writers. … It is in this sense, of course, that Cicero used the term of certain contemporary writers; not heralding them as prophets of a “new poetry,” but precisely because (in his opinion) they were epigoni.”3 Epigoni di chi? “For Latin grammarians the classical canon closed with Vergil.”4 Per Cicerone no. Dunque, Ennio?5 Un fine graffio in linguaggio aristarcheo,6 evocato dal conio scolastico ,7 ai recentiores di Roma? Sarebbe – senza precedenti nel panorama latino – l’unica occorrenza ‘tecnica’ di esterna ad un testo specialistico. 1
CICERONE, Epistulae ad Atticum, VII,2,1, nel testo edito da D. R. SHACKLETON BAILEY, M. Tullius Cicero. Epistulae ad Atticum, vol. I, Libri I-VII, Stuttgart 1987, p.243. 2 Le Cycle épique dans l’école d’Aristarque, Paris 1928 [=1967], pp.38-42. Più recentemente F. MONTANARI, Callimaco e la filologia, in F. MONTANARI – L. LEHNUS (préparés et résidés par) “Entretiens sur L‟Antiquité classique” XLVIII, Callimaque, Vandoeuvres – Genève, 2002, p.72: “La qualifica di è utilizzata per gran parte dei (forse praticamente per tutti i) maggiori poeti posteriori a Omero, a cominciare da Esiodo, per proseguire con Archiloco, Pindaro, Sofocle e altri, fino agli ellenistici, tutti spesso utilizzati per confronto con passi omerici.” 3 A. CAMERON, Poetae Novelli, in “Harvard Studies in Classical Philology”, LXXXIV 1980, pp.127-175, pp.135-136. 4 A. CAMERON, Poetae Novelli, p.137. 5 Sarà, con accenti critici, per i cantores Euphorionis di Tusculanae disputationes, III,45. 6 “… given his [Cicero‟s] and Atticus‟ familiarity with Aristarchus” (R. O. A. M. Lyne, The Neoteric Poets, in “The Classical Quarterly” XXVIII 1978, pp 167-187, ora IDEM, Collected Papers on Latin Poetry, S. J. HARRISON (ed.), Oxford 2007, 60-85, p.61 che richiama T. P. WISEMAN, Cinna the poet, and other Roman essays, Leicester, 1974, p.51). 7 Nell‟accezione di “essere spondaico” quello di Cicerone resta un „hapax legomenon‟ (F. MONTANARI, Vocabolario della lingua greca, Torino 19951, p.1849, s.v. ).
L’attrazione esercitata da tale peculiarità non può vedere avviliti, però, i toni ameni che ospitano quest’unicum. Anzi, è proprio nella loro chiave che il suo senso può diradarsi. * Tua felicitate: qua tu es usus vel uti soles? an quia ventus ille secundus flavit ab Epiro, et quasi ab Attico? Si chiedeva Johann August Ernesti.8 La risposta di Christian Gottfried Schütz: “Recte Ernestius: qua tu es usus,9 vel uti soles. Nam alterum, quod ei in mentem venit: quia ventum ille secundus flaverit ab Epiro et quasi ab Attico; frigidissimum esset”,10 eliminava il dubbio. Di qui lo standard interpretativo per un Attico fresco di felice traversata11 o/e costantemente baciato dalla buona sorte in mare12. Escluso invece che il favore meteomarino, anemologico frutto di quell’Epiro quasi ager Pomponianus, possa intendersi – frigidissime – ‘suo’.13 Una freddura resta pro tuo vendito. Né il vendita di Johann Friedrich Gronovius,14 né la resa ‘attenuante’15 della lezione tradita la sgelano. A meno di non dare voce all’intuizione bocciata di Ernesti:16 “Siamo arrivati a Brindisi sette giorni prima delle Calende di dicembre con un mare splendido dovuto a te: con quanta dolcezza ci ha sospinto dall’Epiro leggerissimo l’Onchesmite! Ah, uno spondaico! È tuo. Puoi sempre vendertelo, magari ad uno di questi neoteroi.” È l’Iperbole sorridente di un Attico nume della felicitas navigandi chiusa da uno 17 scherzosamente offerto ex voto. Sapore anche apotropaico, visto il trionfo sui travagli del difficile viaggio.18
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J. A. ERNESTI, M. Tullii Ciceronis Opera omnia. Voluminis tertii pars secunda. Epistolae ad Atticum, Q. fratrem et Brutum, Halle 1775, p.718 n.27. 9 Così già Sebastiano Corrado sulla scorta di Epistulae ad Atticum, VI,8,1 (cfr. infra, n.85), come annota J. G. GRAEVIUS, M. Tullii Ciceronis Epistolarum libri XVI ad T. Pomponium Atticum, T. I, Amsterdam 1684, p.649. 10 Ch. G. SCHÜTZ, M. T. Ciceronis Epistolae ad Atticum, ad Quintum fratrem et quae vulgo ad familiares dicuntur temporis ordine dispositae, Halle 1810, p.340. 11 “… laetatus sum felicitate navigationis tuae” si complimentava Cicerone da Efeso, circa due mesi prima, con l‟amico rientrato a Roma (CICERONE, Epistulae ad Atticum, VI,8,1; cfr. D. R. SHACKLETON BAILEY, M. Tullius Cicero. Epistulae ad Atticum, vol. I, Libri I-VII, Stuttgart 1987, p.235). 12 Una schematica cronologia dei movimenti di Attico tra Roma ed Epiro è in A. HILL BYRNE, Titus Pomponius Atticus, Chapters of a Biography, Byrn Mawr, 1920, pp.4-5, n.31. 13 Ita belle nobis flavit … Onchesmites sarebbe, allora, epesegesi di felicitate, non di tua (“dico usi felicitate in quanto ho avuto un vento assai propizio”; non “dico usi tua in quanto il vento di Onchesmo è „tuo‟”.) 14 “Lege vendita. En versum spondaicum rotundissimum, qui mihi dum scribo nec opinanti nascitur. Eum tu, si voles, cui lubebit adolescentium studiosorum, qui eruditionis caussa te assectantur et colunt, jacta te fecisse ”, apud J. G. GRAEVIUS, M. Tullii Ciceronis Epistolarum libri XVI ad T. Pomponium Atticum, T. I, Amsterdam 1684, p.650. 15 “„Softly, softly, from Epirus blew the Onchesmitic breeze‟. There! You can commend that as your own to one or other of the avant-garde.” (D. R. SHACKLETON BAILEY, Cicero’s Letters to Atticus, vol. III (Books V-VII.9), Cambridge 2004 [=1968], p.149). 16 Il quale, comunque, accettava l‟emendamento vendita senza dubitare “sic edere de certissimo J. F. Gronovii judicio” (J. A. ERNESTI, M. Tullii Ciceronis Opera omnia. Voluminis tertii pars secunda. Epistolae ad Atticum, Q. fratrem et Brutum, Halle 1775, p.719 n.28).
Ma l’ ha nel riso liberatorio il suo culmine e nell’alludere la sua cifra. Apre un orizzonte di intese in cui sono avvertibili movenze ironico-allusive del tipo: Hunc ! [Cui dono? Attice, tibi: namque] si cui voles pro tuo vendito. [Quare habe tibi]. Movenze sapide per un Attico ‘responsabile’ – auctore Cornelio Nepote – della editio del “libellus” catulliano19, destinatari i ‘’: semplicemente juniores20 proseliti della ‘nuova poesia’. L’accezione non è filologica, alla maniera di Aristarco. È polemica, alla maniera di Aristofane: “… ’ , ’ .”21 “ … avanti, allora, fammi sentire un po’ di questi giovani d’oggi, qual è quest’arte straordinaria”. Che qui i ‘’ non siano – lo vuole invece la vulgata – “i moderni” poeti secondo un anacronistico uso scoliastico-aristarcheo retroattivamente sentito nel comico ateniese,22 lo suggerisce il Coro:23 . ’ , ’ ’. Cicerone è in sintonia con queste “Nuvole”. Vendendo, però, cara la pelle: ‘la sua scorza di vecchio’ val bene ‘un cece’ se ancora ne esce uno che mandi in visibilio i Fidippidi di Roma. Bari, ottobre 2010
Sergio Germinario
Eccessivo caricare il termine delle sue ascendenze etimologiche: “libante” (non è chiaro se ciò suggerisse il “metaph.[orice]” di Henry George Liddell e Robert Scott ancora nell‟ottava edizione dell‟A Greek-English Lexicon, New York 1897, p.1417 s.v. ). 18 Cfr., tra l‟altro, Epistulae ad familiares, XVI,9,1-2 (D. R. SHACKLETON BAILEY, Cicero. Epistulae ad familiares, vol. I, Cambridge2004 [= 1977], p.227). 19 Indizi – è noto – si ottengono combinando il carmen 1 del Liber Catulli, Atticus, 12,4 del De viris illustribus, le relazioni tra Cornelio Nepote e Attico e il „patronato‟ librario di quest‟ultimo. 20 “Juniorum” leggeva già Sebastiano Corrado (cfr. J. G. GRAEVIUS, M. Tullii Ciceronis Epistolarum libri XVI ad T. Pomponium Atticum, T. I, Amsterdam 1684, p.650). 21 Nubes, vv.1369-1370. 22 Sia pur, con valore relativo, nell‟opposizione Eschilo / Euripide. Sulla possibilità che la filologia alessandrina se ne sia servita prima di Aristarco (Zenodoto, Aristofane di Bisanzio), A. SEVERYNS, Le Cycle épique dans l’école d’Aristarque, Paris 1928 [=1967], pp.42-45. 23 Nubes, vv.1391-1396. 17
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Sergio Germinario