I racconti di Ombraverde. Il ranocchio senza nome

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Veronica Truttero I RACCONTI di OMBRAVERDE

IL RANOCCHIO

SENZA NOME

Ai margini della città si trova un prato. L’erba è sempre alta, non viene mai tagliata, e in primavera spuntano fiori selvatici di tutti i generi. Vicino al prato c’è uno stagno e vicino allo stagno un piccolo bosco di querce, salici e pini domestici.

Come in ogni prato che si rispetti, anche quello della nostra storia è abitato da numerosi animali.

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Nei tronchi degli alberi hanno fatto la tana i topolini, mentre nel cespuglio dorme la tartaruga.

Scavando in profondità si arriva ai cunicoli della talpa e alzando lo sguardo sulle cime degli alberi troviamo il nido dei merli.

Sotto gli aghi di pino abitano le formiche.

Mentre laggiù, oltre la quercia, si scende dolcemente verso lo stagno, dove sguazzano e gracidano le rane e i rospi.

Questa piccola valle, che comprende il prato, il boschetto e lo stagno, viene chiamata Ombraverde.

Qui ogni animale ha un nome e una casa.

Molti di loro andremo a conoscerli.

IL TEMPORALE

Tutto comincia con un vento fortissimo.

Giunco, la timida tartaruga, annusa l’aria con fare preoccupato.

“Si annuncia tempesta!” urla Pepenero, il papà merlo, che vola come un forsennato con un verme nel becco.

Gelsomina, la formica, e le sue compagne affrettano il passo verso il formicaio. Devono raggiungerlo prima che inizi il temporale.

Il vento soffia ancora più forte, il cielo è nero e le nuvole si inseguono come in una corsa a chi arriva prima all’orizzonte. Tutti gli animali si chiudono nelle loro tane. Finalmente comincia a piovere.

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Goccioloni grandi come noci si schiantano a terra, bagnano i tronchi degli alberi dove si nascondono i topolini e piegano l’erba su cui si aggrappano i bruchi e le lumache. Nell’aria turbinano rami, foglie, sacchetti e bottiglie di plastica portati dalla città. Una lattina si schianta con un sonoro clanc sul tronco del pino e rotola nel prato perdendosi tra l’erba.

Sarà la fine del mondo? si chiede Giunco, la tartaruga, guardando preoccupata il suo cespuglio che si agita a destra e a sinistra in un ballo scatenato.

Proprio in quel momento qualcosa di grosso e nero arriva rotolando da lontano. Procede a balzi, spinto dal vento, e produce dei sonori tonfi per terra. Nella sua corsa va a finire proprio nel cespuglio dove abita Giunco, che, terribilmente spaventata, si chiude nel suo guscio e rotola via. Il temporale infuria tutta la notte.

Al mattino, su Ombraverde, il cielo è sereno.

Giunco decide coraggiosamente di tornare a casa.

Magari quella cosa grossa e nera si è spostata, pensa.

E invece, appena si avvicina, la vede ancora lì che schiaccia il suo bel cespuglio.

“Ma che sarà? Forse una specie di tana?” si chiede

Giunco e ci guarda dentro. Nella cavità infatti c’è qualcuno.

La tartaruga sgrana gli occhi: non ha mai visto un animale come quello. È tutto giallo con dei punti neri sui fianchi e i piedi palmati. Sembra dormire.

“Si direbbe un ranocchio”, sussurra Giunco. “Ma un ranocchio giallo, qui, non si è mai visto.”

Un po’ preoccupata, per non dire sconvolta, Giunco si allontana a passi felpati. Vuole andare allo stagno a chiamare le rane.

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