Sperimentare l'accoglienza

Page 1

COLLANA “ESPERIENZE

E TERRITORIO”

La collana è nata per valorizzare ricerche, storie, progetti, servizi collegati al lavoro sociale di territorio. Ci si riferisce, in particolare, a tutte quelle operazioni di elaborazione e riflessione che, sia pure se circoscritte a contesti specifici, possono ritradursi in spunti teorici, metodi, prassi da riprodurre altrove. “Esperienze e territorio” è’ aperta al contributo di coloro che ritengono importante dare voce ai diritti di cittadinanza attraverso il lavoro sociale.



C O L L A N A “E S P E R I E N Z E

E TERRITORIO”

Sperimentare l’accoglienza Percorsi dei richiedenti asilo in italia

A cura di Giuliana Candia


No copyright – sviluppolocale edizioni promuove la libera circolazione delle idee e della produzione editoriale indipendente, per favorire la massima diffusione e condivisione possibile di culture, testi scientifici, saperi. La presente opera è rilasciata nei termini della licenza Creative Commons, Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia disponibile alla pagina internet http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/legalcode Tu sei libero di riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, esporre, rappresentare ed eseguire l’opera. A condizione di: attribuire la paternità dell’opera all’autore; non usare quest’opera a fini commerciali; non alterare o trasformare quest’opera per crearne un’altra.

sviluppolocale edizioni Casa editrice di Parsec Consortium Piazza Vittorio Emanuele II, 2 – 00185 Roma Tel. 06/446.34.21 Progetto grafico: Katja Reichert E-mail: sviluppolocaleedizioni@gmail.com


Indice

Introduzione di Giuliana Candia

11

1. Il sistema in azione: i racconti dei richiedenti asilo

19

1.1 La prima accoglienza 1.2 Un tetto sopra la testa 1.3 Il lavoro: danno e beffa 1.4 La lingua e l’informazione 1.5 Gli orari e i trasporti 1.6L’iter della procura 1.7 I centri di identificazione e la brochure informativa 1.8La protezione percepita

21 23 26 28 30 31 37 40

di Giuliana Candia e Cinzia Gubbini


Introduzione agli studi di caso di Giuliana Candia

47

2. Venezia. Il centro Boa del progetto Fontego di Giuliana Candia

49

2.1 Il centro territoriale

49

2.2 L’unità operativa per richiedenti asilo e rifugiati 2.3 L’esperienza della Coges e l’avvio della gestione congiunta del centro boa 2.4 Gli spazi del centro 2.5 Il personale e la gestione operativa 2.6 L’utenza del centro 2.7 Il percorso di accoglienza 2.8 valutazione dell’intervento e criticità

52 54 56 58 62 64 72

3. Roma. Il centro Baobab di Luca Bicocchi e Giuliana Candia

75

3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 3.7 3.8 3.9

75 78 79 82 84 86 88 90 96

Il contesto territoriale romano L’associazione Erythros La nascita del centro Baobab Gli spazi e i rapporti con il quartiere L’utenza del centro Il percorso verso la co-gestione Entrate, uscite e turn over Il funzionamento del centro Considerazioni conclusive


4. Crotone. Il centro Bekas e lo Sportello Sakan di Giuliana Candia a Lucia Iuzzolini

4.1 4.2 4.3 4.4

99

Il contesto della provincia di Crotone La Cooperativa Agorà Kroton Aspetti organizzativi Valutazione e criticità dell’intervento

5. Indicatori “soft” per valutare il

progetti all’integrazione

103 106 118

contributo dei

di Giuliana Candia

5.1 5.2 5.3 5.4 5.5 5.6 5.7

99

Lo studio in Italia Metodo di raccolta dati Le caratteristiche del gruppo intervistato Il senso di fiducia La creazione di nuovi contatti sociali La qualità delle relazioni sociali costruite Il collegamento con il nuovo contesto di vita

121

124 125 126 127 129 131 133

6. La percezione del fenomeno in 5 città di Giuliana Candia

137

6.1 6.2 6.3 6.4

137 140 142

Perché questa indagine La popolazione intervistata Cosa si sa dell’asilo? Rappresentazione dell’asilo politico e dei richiedenti asilo 6.5 Come dovrebbe comportarsi l’Italia? 6.6 I migranti, tutti richiedenti asilo? 6.7 In Italia il diritto d’asilo viene accordato troppo facilmente?

147 153 154 156


6.8 L’Italia è il paese piĂš generoso nel panorama europeo? 6.9 Assistenza a chi chiede asilo? 6.10 Se accadesse a noi? 6.11 Se i rifugiati sono vicino a casa? 6.12 Paure o speranze? 6.13 Le dimensioni emerse e i gruppo omogenei 6.14 Considerazioni conclusive

157 158 161 165 167 169 175


Un ringraziamento speciale va ai testimoni che con la loro disponibilità e collaborazione hanno reso possibile questo studio: i richiedenti asilo, rifugiati, umanitari e “ricorrenti”, ospiti e non dei centri di accoglienza; i responsabili e gli operatori delle organizzazioni di supporto locali e nazionali e quelli delle strutture di accoglienza, i referenti degli enti locali e degli altri servizi territoriali intervistati.

Le ricerche presentate sono state realizzate sotto la direzione del Consorzio Nova Onlus, attraverso la collaborazione delle strutture consorziate: Associazione Parsec (Roma), Cooperativa sociale Lotta contro l’emarginazione (Milano), Cooperativa sociale Agorà Kroton, Associazione On the Road (Martinsicuro, TE) nell’ambito del progetto Equal Inclusion refugees network.



Introduzione di Giuliana Candia

Le ricerche presentate in questo volume sono state realizzate tra la fine del 2005 il 2006 nell’ambito del progetto Equal Inclusion Refugees Network1, in parte per approfondire alcuni ambiti tuttora poco indagati dagli studi del settore, e in parte per offrire conoscenze e strumenti di autovalutazione alla rete dei partner che ne avrebbero implementato le attività. Il progetto, uno dei sei Equal italiani dedicati all'integrazione dei richiedenti asilo, è intervenuto in diversi ambiti: quello della ricerca sociale, della formazione (rivolta agli operatori dei servizi territoriali), della sensibilizzazione (rivolta alle scuole e in occasione di eventi dedicati), della comunicazione sociale, e dell'assistenza diretta al target dei richiedenti asilo, rifugiati e titolari di protezione umanitaria (di seguito: Raru). In particolare, in questa direzione hanno operato alcuni dei partner con: sportelli di orientamento sociale e legale, attività di formazione linguistica, di orientamento formativo e lavorativo e di inserimento lavorativo tramite stage in azienda.

1

Il progetto è stato realizzato da un partenariato composto da da: Fict (Federazione italiana comunità terapeutiche, capofila), Cooperativa sociale Coges (Venezia), Consorzio Nova Onlus, Comune di Parma, Centro L’Orizzonte (Parma), Centro L’Ancora (Sanremo), Centro Le Ali (Caserta), Associazione La Famiglia (Gravina in Puglia), Uil di Roma e Lazio, Associazione Artway of thinking.

11


È nel corso dei primi incontri di programmazione delle diverse fasi del progetto che si è sviluppato, tra i partner, un primo confronto sui principali bisogni conoscitivi collegati al tema dell'asilo e al tipo di azioni che si sarebbero realizzate verso diversi target. Tra questi, si sono evidenziati in particolare degli interessi su: − la valutazione dei diversi modelli di accoglienza sviluppati nei vari territori; − la ricostruzione dei percorsi sperimentati dai Raru, dall'arrivo al progressivo inserimento, e del ruolo delle diverse agenzie sociali; − la possibilità di valutare, a partire da risultati non solo materiali, i percorsi di integrazione che i beneficiari sperimentano; − gli atteggiamenti e le conoscenze della popolazione autoctona verso il tema dell'asilo e dell'accoglienza. Naturalmente tali interessi si sono sviluppati a partire dalla considerazione delle specificità della situazione dell'asilo in Italia; specificità che sono state poi messe a confronto con quelle di altri paesi europei (Germania, Regno Unito, Polonia) nel contesto di diversi workshop e visite studio all’interno del progetto transnazionale Concentus. Brevemente, possiamo qui richiamare i dati più peculiari del contesto italiano, che sono, in primis, la recentissima − a fronte delle esperienze degli altri paesi europei − storia dell’asilo nel paese2, e la singolare gestione del fenomeno. Questa gestione

2

Fino alla legge 39/90 che ne prevde l’attuazione al solo art. 1, il diritto d’asilo era iscritto in Italia unicamente nella Costituzione, e la sua applicazione era limitata dall’esistenza di una riserva geografica in favore dei soli profughi dei paesi dell’est Europa. Il fenomeno ha preso quindi piede con l’arrivo dei profughi della Ex Yugoslavia nei primi anni ’90 e gli arrivi si sono mantenuti costanti negli anni successivi con provenienze diversificate, legate in parte alla realtà geopolitica

12


conosce da un lato una grave assenza, quella di una legge ad hoc (presente invece in tutti gli stati dell'Unione); dall’altro una buona prassi, che consiste nella costruzione di un coordinamento, a livello nazionale, degli interventi di accoglienza degli enti locali per la categoria dei Raru, noto come Sistema di Protezione per i Richiedenti Asilo e Rifugiati (Sprar)3. La rete di accoglienza però, istituita e attiva da pochi anni, non è in grado di rispondere a tutte le richieste di chi è appena giunto in Italia, pertanto solo una parte minoritaria dei possibili beneficiari godono sia di una sistemazione alloggiativa che di un supporto per l’orientamento sociale, l’apprendimento della lingua, l’orientamento e inserimento lavorativo4. Per tutti gli altri, l'unica assistenza di cui possono beneficiare nei vari territori è, per quanto riguarda i bisogni primari, quella riservata ai senza fissa dimora, ovvero le mense pubbliche, i centri di accoglienza notturni, la distribuzione di vestiti ecc. É chiaro che, in assenza di un valido orientamento e di un costante supporto, è molto difficile per chi è appena arrivato riuscire a utilizzare i servizi e gli strumenti che pure sono presenti: si tratta di costruire con le proprie mani un percorso articolato, fatto di molti passaggi, i cui misteri vengono svelati spesso solo da alcuni connazionali che li hanno già sperimentati. Ciò è vero soprattutto per quanto riguarda la complessa procedura internazionale e in parte alla presenza di contatti tra le comunità già inserite in Italia e i richiedenti asilo. 3 Lo Sprar è stato istituito dall’art. 32 della Bossi Fini, legge 189/2002, con l’affidamento all’Anci del coordinamento. Questo rappresenta il punto di arrivo di una sperimentazione nata alla fine degli anni ’90 con il progetto Azione Comune, gestito dal Cir (Consiglio Italiano per i Rifugiati) con l’obiettivo di coordinare gli interventi presenti sul territorio nazionale, creare linee comuni, proporre un ruolo guida degli enti locali. Un’esperienza ripresa dal Programma Nazionale Asilo (Pna) attivato nel 2001 e gestito dal Ministero dell’Interno, l’Acnur e l’Anci, da cui ha tratto poi origine l’organizzazione del Servizio Centrale per richiedenti asilo e rifugiati. 4

I posti finanziati per il 2006 all’interno dei 102 progetti della rete Sprar erano in totale 2428, mentre le richieste di asilo presentate sono state circa 15.000 nel 2003 e nel 2004 – si tratta di domande che attendono ancora l’esame della Commissione stralcio – e circa 12.000 nel 2005.

13


che prevede la richiesta di asilo, dall'attraversamento della frontiera all'incontro con la Commissione Territoriale e alla valutazione della richiesta di riconoscimento dello status. Una parte delle attività di ricerca, presentata nel primo capitolo, si è focalizzata sulla ricostruzione dei bisogni e dei relativi passaggi da compiere per soddisfarli che i richiedenti asilo sperimentano in Italia. Si tratta di un tentativo di rintracciare la presenza effettiva di un “sistema” di protezione – non quello del coordinamento degli enti gestori dei centri di accoglienza, bensì quello non coordinato delle istituzioni preposte alla procedura, degli enti locali, delle associazioni che offrono assistenza ecc. – che parte dagli unici che possono averne una visione d’insieme, ovvero richiedenti asilo che, per necessità, sono forzati a cercare di tenerne uniti tutti i pezzi. Nel 2005 la procedura, e le opportunità di inserimento sociale, hanno conosciuto dei rilevanti cambiamenti rispetto agli anni precedenti con l’attuazione del Dpr 303 del 2004. Fino ad allora il richiedente asilo, sia che si trovasse in un centro di accoglienza o che fosse totalmente privo di assistenza, rischiava di attendere in media 18 mesi per la convocazione da parte della Commissione e il riconoscimento di uno status e di un permesso di soggiorno. A partire dalla data di attuazione del regolamento (il 21 aprile 2005), che ha istituito 7 Commissioni territoriali per la valutazione delle richieste di asilo, i nuovi arrivati vedono esaminata la propria richiesta nel giro di pochi mesi o a volte di poche settimane. Per chi non ha documenti inoltre, è previsto il trattenimento negli specifici Centri di Identificazione per il tempo di esame della pratica, fino al pronunciamento della Commissione territoriale in proposito. Un altro cambiamento determinante è l'eliminazione del divieto di lavorare per chi non ha ancora uno status ma ha presentato la domanda di asilo almeno da sei mesi. Questo elemento ha permesso così l’avvio delle attività di formazione e di inserimento lavorativo per i numerosi richiedenti

14


asilo giunti prima del 2005 e che hanno dovuto attendere ancora lunghi periodi prima che la loro richiesta fosse trattata dalla Commissione centrale. I vantaggi del nuovo sistema sono senza dubbio quelli della più rapida definizione dello status e del conseguente accesso al permesso di soggiorno e alla possibilità di lavorare. Gli svantaggi più evidenti riguardano invece il poco tempo a disposizione del richiedente per preparare l’audizione (per avere informazioni precise su come si svolgerà, o per procurarsi una documentazione relativa alla propria storia), soprattutto se rinchiuso in un Cdi. L’altro svantaggio notevole, è quello della riduzione dei tempi di accoglienza: con il vecchio sistema, questa durava almeno fino alla definizione dello status e all’ottenimento del permesso di soggiorno, quindi poteva protrarsi fino a due anni. Oggi la rete dello Sprar prevede un soggiorno di massimo 6 mesi. In pratica, chi è riconosciuto rifugiato − o ha una protezione umanitaria − deve, in soli 6 mesi – o meno, se ha incontrato la Commissione durante la permanenza in un centro − imparare la lingua italiana, trovare un lavoro, trovare un alloggio e rendersi autonomo. Si sono quindi accorciati i tempi in cui chi arrivava poteva orientarsi progressivamente nel nuovo contesto, nella nuova lingua, e anche rielaborare il trauma della fuga, della perdita di tutto ciò che aveva. Lo Sprar prevede, a livello territoriale, che gli enti locali siano promotori dei progetti di accoglienza, e che la gestione diretta possa poi essere delegata a strutture del privato sociale. La peculiarità dei modelli locali di gestione dell’accoglienza, al di là dell’esistenza di linee guida cui si conformano tutti i progetti territoriali, è al centro delle analisi realizzate sui casi di Venezia, Roma e Crotone5 e presentate nei capitoli 2, 3 e 4. La scelta di

5

Gli studi di caso realizzati nell’ambito del progetto comprendono anche i casi di Varese e Parma e dei relativi progetti di accoglienza, non

15


studiare tre contesti del nord, centro e sud ha trovato un buon riscontro nell’individuazione di tre realtà estremamente differenti per quanto riguarda la presenza migrante, la gestione dell’ente locale, gli interventi di sostegno proposti e l’approccio all’inserimento di chi ha la fortuna di poter accedere alla cosiddetta “seconda accoglienza”. Oltre ai progetti dello Sprar molti servizi trasversali (soprattutto nei grandi centri urbani) sono prestati dalle associazioni, locali o nazionali: orientamento e sostegno legale, assistenza sociale, insegnamento della lingua. Chi è inserito in un progetto di accoglienza avrà probabilmente pochi contatti con questo mondo, che rappresenta invece l’unica risorsa per chi al contrario fa parte di quella maggioranza di richiedenti asilo che non sono accolti nei centri dello Sprar. Le opportunità che si offrono a questi ultimi, oltre alle molte accoglienze per così dire “generiche”, sono spesso delle sistemazioni presso le quali l’appoggio delle comunità di riferimento sono fondamentali. Ci sono i casi delle occupazioni collettive di ingenti dimensioni come quelle romane, i casi di zone ormai “appropriate” dalle comunità, in cui le case vengono affittate senza problemi agli amici degli amici (come l’area della Provincia di Caserta), o i semplici casi di sostegno da parte di un connazionale per dividere una stanza in attesa di trovare un lavoro, quasi sempre al nero. Quali che siano le soluzioni, è evidente che le reti sociali, e in prevalenza quelle comunitarie, sono della massima importanza per un rapido inserimento, anche se precario. Anche se non è sempre evidente per un rifugiato, che è dovuto fuggire dal proprio paese, stringere rapporti con dei connazionali, perché potrebbero rappresentare per lui un eventuale pericolo. L’importanza del “capitale sociale” è il focus di una ricerca svolta in collaborazione con il gruppo transnazionale del progetto Concentus, con il quale si è voluto sperimentare l’utilizzo presentati qui per motivi di spazio ma inclusi nel rapporto di ricerca redatto nel novembre 2006.

16


di alcuni indicatori cosiddetti “soft” per valutare il contributo del progetto Equal sull’integrazione dei suoi beneficiari. La ricerca è stata sviluppata in collaborazione con il partner inglese (progetto Aspire, Birmingham), il cui obiettivo era quello di raccogliere una valutazione dei beneficiari sull’utilità delle azioni loro proposte, con riferimento alle possibilità avute di costruire nuovi rapporti sociali, di sperimentare relazioni significative, o di trarne un supporto concreto o di sentirsi a proprio agio nel nuovo contesto6. Quella che viene presentata in questa sede, al capitolo 5, è solo la sezione del rapporto complessivo che riguarda alcuni dati delle interviste svolte in Italia ai beneficiari delle attività della Cooperativa Coges di Venezia e del centro L’Orizzonte di Parma. L’ultima ricerca, presentata nel capitolo 6, riguarda infine il tema della percezione del fenomeno dell’asilo da parte della popolazione autoctona, ed è stata realizzata con il contributo dei partner in tutte le città in cui sono state poi realizzate attività di sensibilizzazione: Venezia, Parma, Sanremo, Caserta e Gravina in Puglia. L’interesse era naturalmente quello di esplorare le rappresentazioni sociali e le eventuali paure associate al fenomeno dell’asilo e alla presenza dei richiedenti asilo per meglio orientare la comunicazione su questi temi. Bisogna considerare che i richiedenti asilo rappresentano solo una minima parte del fenomeno migratorio: negli ultimi 5 anni infatti le richieste sono state di circa 10.000 l’anno, e i rifugiati riconosciuti attualmente in Italia ammontano a circa 20.000 unità. Si tratta quindi di una realtà praticamente “invisibile”, di cui i mass media parlano molto di rado, mentre vengono sempre indicati come “clandestini” i gruppi di persone che giungono attraverso gli sbarchi, tra le quali si trovano, com’è noto, proprio 6

Dal sito del progetto inglese Aspire si può scaricare il rapporto di valutazione basato sulla sperimentazione dei “soft indicators”: http://www.aspire-birmingham.org.uk/policy-evaluation/soft-indicatorsstudy.html.

17


molti potenziali destinatari dell’asilo politico o di una protezione umanitaria, perchĂŠ in fuga da paesi in guerra o a rischio. Ăˆ una naturale conseguenza che l’opinione pubblica non abbia quindi una specifica rappresentazione di chi chiede asilo, non disponendo degli strumenti per operare una distinzione rispetto agli altri migranti, e in particolare verso le rappresentazioni negative che ne offrono i mass media.

18


1. Il sistema in azione: i racconti dei richiedenti asilo7 di Giuliana Candia e Cinzia Gubboni

Le osservazioni presentate di seguito sono il risultato dell'analisi di 37 interviste approfondite svolte con altrettanti richiedenti asilo, rifugiati o titolari di protezione umanitaria residenti in tutta Italia. Obiettivo prioritario della ricerca era quello di conoscere il funzionamento del sistema di accoglienza italiano nel suo insieme a partire dalla esperienza diretta che ne hanno fatto i beneficiari. In particolare, si voleva osservare da vicino attraverso quale iter e quali eventuali difficoltĂ chi chiede asilo riesca a ricostruire i pezzi di questo “sistemaâ€?: dall'arrivo alla frontiera fino ai bisogni di integrazione sociale nel territorio. Sono state dunque individuate sia persone che sono entrate nella rete di accoglienza del Sistema di protezione (Sprar), sia persone che ne sono rimaste fuori, componendo altri percorsi di inserimento. Salvo poche eccezioni, si è scelto di intervistare solo coloro che hanno presentato domanda e attraversato il loro iter nei 3 anni precedenti alla ricerca (2003-2006), per evitare che i fatti narrati non 7

Le interviste, della durata di un'ora e mezza circa, sono state realizzate da: Luca Bicocchi (a Roma, Parma, Sanremo e Bari), Giuliana Candia (a Venezia, Roma, Caserta), Lucia Iuzzulino (a Crotone), e Roberta Montagnini (a Varese). Nelle citazioni sono riportati, tra parentesi, il paese di origine e l'anno dell'arrivo in Italia.

19


trovassero più alcuna corrispondenza con l'organizzazione attuale. Dal 2003 al momento delle interviste è tuttavia intervenuto il cambiamento disposto dal regolamento di attuazione del Dpr 303/2004, che ha determinato significative modifiche nell'accoglienza e nell'analisi delle domande d'asilo; si è fatta quindi attenzione a comprendere nel collettivo intervistato almeno un terzo di soggetti che hanno sperimentato la nuova procedura. Tra questi, troviamo le esperienze dei Centri di Identificazione (Cdi), delle audizioni con la Commissione in tempi molto brevi e della possibilità di lavorare a pochi mesi dall'arrivo in Italia. Per ottenere un quadro delle diverse situazioni le interviste sono state realizzate in diverse zone del paese, significative come luogo di approdo dei richiedenti asilo (come Crotone o Varese, per la presenza dell'aeroporto) o come luogo di residenza “privilegiato” sulla base di diversi fattori di attrazione (le opportunità di inserimento lavorativo per Venezia e Parma, l'avvicinamento alle comunità di connazionali a Caserta e a Roma). I contatti con gli intervistati sono stati stabiliti grazie all’aiuto di organizzazioni territoriali che godevano di un rapporto di fiducia con i richiedenti asilo: in alcuni casi si tratta dei centri di accoglienza, in altri di centri che prestano assistenza sociale o legale, o ancora di soggetti che hanno intrapreso con i richiedenti asilo anche azioni di carattere politico (come le occupazioni di immobili in disuso). Nella lettura delle interviste bisogna tener conto di questo dato: sebbene si volesse inizialmente raggiungere con la ricerca anche chi non era stato inserito nella rete Sprar di protezione, non è stato possibile contattare soggetti che siano rimasti realmente “isolati”. Così, tutte le persone contattate rappresentano soltanto un pianeta della galassia richiedenti asilo e rifugiati. Coloro, cioè, che in un modo o nell’altro hanno avuto la possibilità di accedere a un canale di protezione e accoglienza. Seguendo la disponibilità dei soggetti, non si è potuto neanche

20


avere un bilanciamento di presenze maschili e femminili, queste ultime ridotte a soli due casi nel nostro collettivo. Le interviste hanno seguito una traccia che si articola in cinque aree: i percorsi di arrivo in Italia, la procedura di richiesta di asilo, la permanenza e l’accoglienza, i percorsi di mobilità sul territorio e di inserimento sociale, i diritti attesi e le valutazioni sulla loro effettiva applicazione. Ma trattandosi di interviste faccia a faccia, spontaneamente si sono inseriti di volta in volta veri e propri racconti di vita. 1.1 La prima accoglienza Parlare di accoglienza con i richiedenti asilo significa provare a indagare i bisogni più essenziali di chi arriva in un paese straniero alla ricerca di protezione. In parte si tratta di esigenze elementari, comuni a tutti: avere un tetto sopra la testa, un pasto assicurato, la possibilità di muoversi. Dall’altro, però, la condizione di richiedente asilo fa emergere altre esigenze altrettanto urgenti, la prima delle quali risulta essere quella di ricevere informazioni. Non solo per conoscere le regole, come funziona il paese di arrivo, ma anche e soprattutto per poter rendere rapidamente effettivo il diritto di ricevere asilo. Avere un punto di riferimento, qualcuno a cui chiedere lumi, una persona, una associazione, un’istituzione di cui fidarsi, che dispensi elementi di conoscenza, sembra dunque essere un fattore di aiuto vitale. Quest’urgenza è particolarmente marcata anche per l’esistenza di alcuni passaggi che appaiono subito ai nostri intervistati come dei non sense: come faccio a guadagnare soldi se non posso lavorare? Perché la durata del contratto con il centro di accoglienza scade dopo il colloquio con la Commissione e non quando ricevo il titolo di soggiorno? Perché mi fanno la multa sul treno o sull’autobus perché non ho il biglietto, che io non posso pagare non avendo il permesso di lavorare? E come faccio se poi le

21


multe saranno uno degli elementi ostativi al rinnovo del titolo di soggiorno? Si tratta, come è evidente, di “buchi neri” effettivi nella gestione dell’accoglienza e della procedura per la richiesta di asilo, che alcune modifiche normative hanno solo in parte superato. Dal punto di vista degli intervistati, risultano essere semplicemente dei veri rompicapo. Ne traggono l’impressione di un paese dove le cose sono complicate, spesso incomprensibili, e dove tutto si aggiusta soltanto se fa l’incontro fortunato, quello con la persona (l’operatore, il giornalista, l’impiegato comunale, l’amico dell’amico) che conosce la chiave giusta per aprire la porta dell’accoglienza dovuta. E rivendicata. Quasi tutti gli intervistati avevano qualche conoscenza dell'esistenza del diritto d'asilo prima di giungere in Italia, pur non sapendo in che modo si sarebbe attuato in questo paese. Sanno che chi scappa dalla guerra per chiedere protezione deve essere aiutato, quindi rivendicano un sostegno per imparare la lingua, per trovare un lavoro e per avere un riparo finché non hanno acquisito l’autonomia per poter camminare sulle proprie gambe. Tale consapevolezza spesso è rafforzata dalle esperienze – o dai racconti dei conoscenti – sul sistema di accoglienza in vigore in altri paesi europei. I giudizi espressi poggiano in effetti su esperienze spesso assurde, in cui a una cronica mancanza di alcune risorse (ad esempio i posti letto) si mischiano a volte inefficienza e incapacità da parte dei singoli organi responsabili (dagli enti locali alle associazioni) di mettersi in rete per valorizzare quel che di buono c’è. Occorre ricordare che gli intervistati rappresentano già una selezione dei “fortunati” rispetto a chi è rimasto totalmente estraneo alle reti di assistenza. Tuttavia si tratta di persone che senza alcuna eccezione hanno sperimentato molte difficoltà per riuscire ad aggiustare il proprio nuovo universo. La vita del richiedente asilo è faticosa e precaria, e dalle interviste trapelano storie di affanno

22


quotidiano: preoccupazione costante per il posto letto, tabelle di marcia per raggiungere il luogo in cui si pranza, quello in cui si cena, quello in cui si potrebbero ricevere informazioni utili, gli uffici che si occupano dei documenti, i corsi di formazione o di lingua, e infine girare come una trottola per cercare un lavoro al nero e malpagato. 1.2 Un tetto sopra la testa La prima e più importante esigenza dei richiedenti è, ovviamente, avere un posto dove dormire. Eppure, è proprio una delle cose più difficili da trovare. Persino chi passa attraverso un iter “perfetto” − atterraggio all’aeroporto, immediata richiesta di asilo alla frontiera – si trova a spendere le prime notti all’addiaccio nei terminal in attesa che le associazioni e gli enti preposti riescano a trovare un posto libero in un centro di accoglienza. “Ho fatto tre giorni a Malpensa prima di uscire. Non ci sono i posti per dormire non… dormo in giro e mi davano un biglietto per mangiare la mattina, uno mezzogiorno e uno la sera. Domanda: E per altri tipi di bisogni? Un medico? Dei vestiti? Una doccia? No, no. Ho fatto tre giorni senza lavarmi e solo quando vado nel bagno... a fare qualcosa cosi'... insomma niente” (RD Congo, 2005)

La stessa sorte capita a chi, invece, secondo la nuova procedura viene trattenuto in un Cdi e quando ne esce si trova abbandonato a se stesso: tra il sistema dei Cdi e quello dello Sprar o di qualsiasi altro circuito di accoglienza sembra infatti non esistere alcuna relazione che possa garantire la continuità dell'alloggio. A seconda dei vari territori, le esperienze sono molto diversificate: a volte non c'è alcuna accoglienza, altre volte si viene sistemati in un centro di primissima accoglienza, altre ancora collocati in alberghi convenzionati. Il tratto comune sta nel fatto che non sono

23


chiare le regole di questa eventuale ospitalità, cosicché non emerge mai una consapevolezza sulla propria situazione. Ad esempio dopo un periodo di permanenza in un albergo convenzionato, uno degli intervistati dichiara di essere andato in Questura per completare la richiesta di asilo, e di essere stato mandato via la sera stessa dall'albergo. Pensando ad un abuso del gestore ha anche chiamato la Polizia, sentendosi poi dire che aveva esaurito il breve periodo di accoglienza previsto, e che doveva solo arrendersi al fatto di non avere più un posto dove dormire. “Ci hanno buttato fuori dall'albergo al signore della polizia gli dicevo... che cosa faccio adesso signore? Lui mi ha detto questa è la legge italiana (…)” (Colombia, 2004) “Sono andato a prendere il permesso e sono tornato in albergo, non mi hanno accettato, mi hanno detto ‘no, no, no, non dovete più venire qua basta albergo’” (Togo, 2003)

Non è prevista una procedura unica e vincolante per evitare che chi è appena arrivato non abbia un posto dove dormire, e la situazione dei primi giorni in Italia è totalmente affidata al caso e alla fortuna che si realizzi al più presto l'incontro con qualcuno che possa determinare una svolta nel proprio percorso. “E al centro Astalli ti hanno detto che potevi dormire subito da loro? No, sono andato al Comune perché loro mi hanno detto: non possiamo darti subito un posto... E nei 15 giorni che non avevi un posto dove sei andato? Ho dormito in giardino un po’… poi ho parlato con una ragazza del Centro Astalli e ho parlato con Madre Teresa e sono andato a San Saba” (Afghanistan, 2002)

Si può trattare di singoli cittadini, o di funzionari più attenti, o di membri di associazioni, di connazionali o altre persone in

24


situazioni simili. In questi ultimi casi, come dimostra il caso dell'“Hotel Africa” di Roma e delle successive numerose occupazioni che l'hanno seguito, l'accoglienza deriva da un'autoorganizzazione delle comunità, all'interno delle quali i passaggi successivi sono piuttosto agevolati perché comuni a tutti. Negli altri casi, si tratta appunto della fortuna di riuscire a intercettare l'attenzione di qualcuno: per simpatia, per insistenza o per forte determinazione. “Mi hanno rimandato in Italia dalla Svezia, a Fiumicino mi hanno registrato e poi mi hanno detto vai fuori, e io ho detto ma scusa io non conosco persone, io non esco, ora mi date un aiuto, dopo questo ho fatto un casino, mi hanno portato nell'ufficio e dentro c'era un ragazzo afgano che lavora là e hanno chiamato il centro di accoglienza, per fortuna” (Iraq, 2003)

Quando si incontra quindi la persona “giusta”, si trova il modo di appianare il problema: la Questura suggerisce un indirizzo, un operatore del centro decide di occuparsi volontariamente della questione, un’impiegata del servizio comunale rende noto che in quel determinato Comune esiste un contributo per l’affitto. Nonostante il sistema dell’accoglienza sia certamente carente per strutture e risorse, esiste anche un problema di mancanza di comunicazione tra le diverse istituzioni, di assenza di una rete che sia capace di valorizzare i servizi e i beni esistenti. “Ho dormito le prime due notti a Termini, ero incinta di 8 mesi, poi ho incontrato un africano, non del mio stesso paese ma che mi ha aiutato, mi ha detto guarda che non puoi stare così, e mi ha portato nel centro Astalli (...) Ma è sempre questa persona, che anche aveva una moglie che doveva partorire, quindi penso che era molto colpito dalla mia situazione, che mi diceva vai qui, vai là, come si dice: quando arriva la persona giusta al momento giusto, sennò è tutto sbagliato.” (Camerun, 2003)

25


Per quanto riguarda l’alloggio, sia temporaneo che di lunga permanenza, molti degli intervistati ne lamentano i vincoli orari: il fatto di dover uscire la mattina per fare rientro la sera, oppure di non poter uscire dopo un certo orario, rende la giornata piuttosto complicata e faticosa, contribuendo a inserire il richiedente in un clima un po’ alienante, in cui è difficile cercare di condurre una vita “normale”. Un altro elemento problematico della vita nei centri di accoglienza è quello della mancanza di privacy. Un disagio, questo, che tende ad aumentare quando i richiedenti vengono “espulsi” dal sistema di accoglienza istituzionale e si vanno poi a scontrare con le ulteriori convivenze forzate dovute ai costi degli affitti o con le occupazioni collettive di immobili. “Abbiamo cercato un posto per dormire e abbiamo trovato chiedendo a quei numeri che si trovano sui foglietti... Pagavamo 300 euro per un letto, eravamo in una stanza con altre persone, con mia moglie non c’era privacy non c’era niente.” (Colombia, 2004) 1.3 Il lavoro: danno e beffa Superato il problema di dove mangiare e dove dormire, per i richiedenti che sono ancora in attesa del colloquio con la Commissione si pone il problema del lavoro. Ovviamente, vorrebbero essere indipendenti, potersi mantenere. La proibizione al lavoro, prevista fino al 2005, rappresentava uno dei principali non sense della vita del richiedente asilo. La conseguenza, per chi ha dovuto aspettare anche per due anni una risposta da parte della Commissione, era naturalmente l’occupazione al nero. Ma sebbene oggi sia possibile lavorare, è tuttora molto difficile per un richiedente asilo riuscire a guadagnarsi il pane legalmente. Per colui che ha ricevuto il titolo di soggiorno, e a cui è stata quindi

26


riconosciuta una protezione da parte dello Stato italiano, non scatta automaticamente un percorso di inserimento nel mondo del lavoro. Va detto che esistono diversi corsi di formazione – soprattutto al nord – in cui può essere inserito sia chi è in accoglienza sia chi è in contatto con dei servizi di assistenza. Dalle testimonianze tuttavia sembra che non sempre questi corsi rappresentino un effettivo collegamento con il mondo del lavoro che permetta al rifugiato di conoscere un datore di lavoro, proporsi per uno stage o per un periodo di prova retribuito. E quando questo collegamento, invece, è previsto e funziona, paradossalmente manca il supporto legale che aiuti a superare gli ostacoli burocratici legati al permesso di soggiorno. “Nel corso che mi hanno proposto al centro mi pagavano 2 euro e qualcosa all’ora. Alla fine abbiamo fatto lo stage e io so già che mi dicono che con il mio permesso non potevi lavorare, ma almeno il lavoro lo sai, lo hai imparato. Allora loro mi dicono che possono assumermi, ma la Questura dice no, che non possiamo lavorare. Ma se non puoi lavorare, hai bisogno di soldi, non vuoi andare a rubare, non vuoi fare casini... meglio magari, era la nostra risposta, meglio che magari un giorno la polizia ti prende che stai lavorando che non hai diritto, che non se ti prendono che sei andato a rubare” (Togo, 2003)

Un altro elemento problematico è il fatto che i corsi spesso non assicurano un contributo economico, e quindi a questi viene preferito un lavoro anche se al nero e sottopagato. “Domanda: Hai mai pensato di fare un corso di formazione? Si, una volta ho iniziato a fare un corso di formazione, a Flaminio, ma poi non potevo proseguire… me ne avevano parlato degli amici... ma ho dovuto lasciare, ho dovuto smettere perché lavoro, al nero, faccio le bancarelle” (Eritrea, 2003)

D’altra parte si tratta di persone che nel proprio paese di origine già svolgevano un mestiere, a volte delle professioni di tipo

27


tecnico che, con il supporto di un adeguato corso di lingua italiana, potrebbe permettere loro di inserirsi nel mondo del lavoro. Un'altra nota dolente è il fatto, comune anche agli altri migranti, che le lungaggini per il rinnovo del permesso di soggiorno complicano le cose a tal punto da poter determinare la perdita del lavoro conquistato con tanta fatica. 1.4 La lingua e l’informazione Conoscere l’italiano è uno dei bisogni che i richiedenti asilo esprimono con maggiore vigore. Dicono che conoscere la lingua aiuta a “difendersi”, perché in questo modo si possono chiedere informazioni, si possono conoscere i propri diritti, si può rispondere in modo adeguato a una situazione complicata. “Sì veramente... i migranti non sanno come funzionano le cose qua. Anche i turisti quando vanno in un posto prendono una guida o ci sono informazioni per conoscere il posto... invece noi immigrati... noi abbiamo bisogno di sapere di più dei turisti… perché noi trattiamo con la Commissione con la Questura in modo piuttosto pesante” (Iraq, 2003)

Ma la lingua è importante anche per sperare di ottenere un lavoro. I corsi di lingua ci sono, quasi tutti ne hanno usufruito, soprattutto chi è arrivato in Italia negli anni più recenti: sono organizzati presso i Centri Territoriali Permanenti, o dai centri di accoglienza, ma spesso anche da associazioni sul territorio, per cui riescono a parteciparvi anche coloro che non hanno la possibilità di vivere in un centro di accoglienza. Eppure esistono alcuni problemi. Il primo è legato alla loro durata - a volte di poche settimane – e alla loro cadenza che non supera le due volte a settimana, quasi si trattasse di un’offerta formale, tanto per dire che il corso c’è e che viene assicurato al richiedente asilo. Il quale però, in quel breve lasso di tempo, non può certo imparare una lingua.

28


“Anche oggi sono andato al Comune per dire che voglio imparare l’italiano, ma due giorni a settimana sono troppo pochi, io vorrei andare dal lunedì mattina tutti i giorni perché sono qui da una settimana, non faccio niente, solo seggo, guardo la tv” (Nigeria, 2006) “Vedessi tutti i corsi che ho fatto qua!! Di italiano, ma anche di lavoro, di formazione. Nel centro di accoglienza fanno una cosa così, che non si chiama corso di italiano, ma con cui puoi imparare giusto a dire buongiorno e buonasera, non è neanche l’italiano elementare. Il problema di questi corsi è che l’elaborazione, la concezione, non è fatta correttamente (Camerun, 2003)

L'altro grande problema è legato al fatto che questo genere di corsi non prevedono nessun contributo economico, dunque spesso vengono abbandonati perché le persone devono impiegare il tempo a disposizione per guadagnarsi da vivere. Ne consegue che il richiedente asilo per un lungo periodo di tempo vive in una situazione già di per sé complicata, e oltretutto senza capire bene cosa dicono quelli che gli sono intorno. Considerando che il servizio di mediazione linguistica non è sempre assicurato, la scarsa conoscenza della lingua diventa uno dei fattori che impedisce di afferrare le prime informazioni che vengono dispensate e di fare domande. D’altro canto la mancanza di un’informazione semplice, chiara, lineare e completa è una delle carenze del sistema di accoglienza che viene maggiormente sottolineata dagli intervistati.

29


1.5 Gli orari e i trasporti Analizzando il sistema di accoglienza è interessante anche osservare i tempi di vita che caratterizzano l’esperienza di un richiedente asilo. La giornata tipo di chi è inserito in una rete di protezione, è scandita da ritmi completamente eterodiretti: i centri di accoglienza hanno in genere degli orari di apertura e di chiusura. Cosicché quella che dovrebbe essere la casa del richiedente asilo non è sempre a sua disposizione, non ha la porta sempre aperta. La mattina non si può decidere di dormire un po’ più a lungo, come la sera non è permesso uscire per spendere al di fuori un po’ del proprio tempo libero. A seconda del posto in cui vivono, a pranzo e a cena i richiedenti asilo possono doversi recare alle mense che offrono un pasto caldo. Per raggiungere questi luoghi bisogna spostarsi attraverso la città entro orari determinati. Il problema è che il richiedente asilo non ha a disposizione alcuna forma di contributo affinché gli siano garantiti gli spostamenti. “A Varese mi sono sempre spostato a piedi, quando andavo a scuola andavo a piedi. Magari quando andavo dal dottore potevano pagarmi il biglietto” (RD Congo, 2005)

Quindi: o si muove a piedi, aumentando così il tempo speso per legare insieme i diversi appuntamenti della giornata, oppure utilizza i mezzi di trasporto senza pagare il biglietto. In questi casi però il senso di sconforto per il rischio di incorrere nei controlli e di essere esposti alle multe è forte, e rappresenta un ulteriore fattore di turbamento. “Non mi piace andare senza biglietto, ma io non ho soldi, e non posso camminare quindi così… adesso tutti i giorni penso a queste multe, alla paura di dover pagare…” (Sudan, 2003)

30


“il Comune mi dice vai a scuola a fare il corso di italiano, ma come faccio ad andare se non ho il biglietto? Non me lo hanno dato né a me né agli altri qui, è per questo che stiamo qui e non usciamo perché quando usciamo ci mettono le multe.” (Costa d’Avorio, 2005)

Alcuni raccontano di come, soprattutto con i controllori delle ferrovie, a volte si instauri una specie di tacito accordo: quando li “beccano” li fanno scendere alla prima stazione. Il biglietto del treno non viene assicurato neanche per lo spostamento verso il luogo in cui opera la Commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato (tranne per i “privilegiati” accolti nello Sprar). Ci sono poi i tempi dettati dalle scadenze burocratiche, in primis quelle legate ai documenti: file in Questura, lunghe attese, spesso per sentirsi dire di ritornare la prossima volta. La mappa dei “vagabondaggi” dei richiedenti asilo attraverso la città è caratterizzata poi dalla ricerca di informazioni: giri per incontrare le diverse associazioni, gli operatori, gli sportelli del Comune a cui chiedere l’ubicazione e il funzionamento di altri servizi. Poi c’è il tempo dedicato ai corsi di italiano o di formazione, per chi li frequenta: a volte anche questi situati in altri comuni o in zone limitrofe a quella di residenza. È dunque necessario avere a disposizione molto tempo per poter tenere insieme i diversi “pezzi” del percorso di accoglienza, spesso mal collegati tra di loro. Quando si inizia a lavorare poi la maggior parte del tempo viene impiegata per svolgere la propria occupazione, tutto il resto passa in secondo piano, compresa la frequenza di corsi che invece potrebbero assicurare un futuro più solido di quello offerto da un’occupazione irregolare e malpagata. 1.6 L'iter della procedura La richiesta dell’asilo politico è, ovviamente, l’aspetto più delicato nella storia di un richiedente asilo. Si tratta di seguire una procedura tutt’altro che semplice, e di seguirla bene, pena la

31


perdita della possibilità di ottenere un permesso di soggiorno che consenta di vivere legalmente in Italia. È chiaro quindi che l’attesa verso la procedura è che si tratti quanto meno di un meccanismo lineare e ben collaudato. Al contrario, dalle testimonianze sembra che l’insieme delle regole da osservare per poter portare a compimento in modo corretto (e con successo) la richiesta di asilo sia caratterizzato da una certa noncuranza: esiste una specie di “catena di montaggio” in cui il richiedente che riesce a entrare in un meccanismo di accoglienza di qualche tipo viene instradato ottenendo alcune sommarie informazioni. Seguendo quella “traccia”, e grazie a una serie di automatismi di carattere burocratico, il richiedente asilo riesce prima o poi a comparire di fronte alla Commissione e a rilasciare la sua audizione. Dunque, da un punto di vista formale, la procedura si compie. Eppure, raramente ciò accade seguendo un percorso virtuoso. È raro che gli intervistati siano a conoscenza in modo sufficientemente approfondito delle norme legate alla richiesta di asilo in Italia: sanno che durante l’audizione devono raccontare la loro storia ma, ad esempio, pochi di loro erano a conoscenza, al momento dell’intervista, di dover portare prove concrete che dimostrassero la fondatezza della loro storia. Un indizio piuttosto chiaro della mancanza di una reale e approfondita informazione sulla procedura è la mancanza di termini specifici nei loro discorsi: non utilizzano mai espressioni come “persecuzione personale” o “Convenzione di Ginevra”. Si tratta di un dato molto significativo. E lo dimostra il fatto che, invece, essi hanno generalmente una buona dimestichezza circa altre regole che riguardano la vita di un rifugiato in Italia, soprattutto per quello che riguarda l’accoglienza iniziale, il contributo economico e la legge sul lavoro. Si tratta di informazioni che, come abbiamo già visto nei precedenti capitoli, spesso vengono raccolte attraverso il “tam tam” delle persone che

32


si sono già trovate nella stessa situazione, e dunque non vengono sempre dispensate da una fonte ufficiale. Tuttavia sono piuttosto circostanziate, sostanzialmente corrette, e a volte arricchite dalla conoscenza dei “retroscena” su come ottenere un posto letto, dove recuperare un pasto caldo, come comportarsi con i mezzi pubblici. Si tratta di un capitale di informazioni attinto dal sapere diffuso che circola tra le comunità dei migranti. Per quanto riguarda la procedura, invece, esiste un livello di attenzione e di ricerca di informazioni molto meno accurato: l’appuntamento con la Commissione, per gli intervistati che hanno sperimentato la vecchia procedura, è qualcosa che arriva dopo più di un anno di permanenza nel nostro paese, quando essi hanno già superato diversi ostacoli, spesso stanno lavorando in nero per guadagnarsi da vivere e hanno il problema ossessivo della casa. In nessun punto della loro storia di richiedenti asilo – fatta quando va bene di corsi di formazione e di lingua, quando va male di pellegrinaggio da un centro di accoglienza all’altro e di nottate all’aperto − è stato dedicato del tempo specifico alla preparazione dell’intervista, alla ricerca accurata di prove concrete che dimostrino la propria storia. Chi lo fa, spesso lo fa da solo, perché ha saputo che è bene farlo, ma non – ad esempio – che è obbligatorio. Indicativa la reazione di un ragazzo togolese, con una storia molto complicata alle spalle e che ha ricevuto un diniego alla sua domanda di asilo. Al tempo dell’intervista stava aspettando l’esito del ricorso che aveva presentato (informazione di cui era completamente all’oscuro, e che ha ricevuto da un funzionario della Questura il quale, conoscendolo, gli dispensato questa “dritta”). “Domanda: Qualcuno l’ha aiutata a prepararsi l’audizione? No… in che senso? Domanda: Qualcuno le ha detto che era opportuno mettere insieme delle prove sulla sua situazione?

33


No... la Questura mi aveva già detto che dovevo raccontare la mia storia” (Togo, 2003)

La stessa cosa, anzi con maggiore evidenza, avviene per coloro che sono trattenuti nei Cdi. Anche chi ha sperimentato la nuova procedura, e quindi non è dovuto passare per le lunghe attese senza alcuna accoglienza, non riceve particolari informazioni e non prepara alcun tipo di dossier per l’audizione: un richiedente asilo che si è spontaneamente presentato alla polizia di Crotone ed è stato immediatamente inviato nel campo di Sant’Anna racconta: “Stavamo lì sempre, poi mi hanno mandato a chiamare dalla Commissione. Domanda: E poi cosa è accaduto? E poi aspettiamo permesso di soggiorno e poi mi hanno detto di andare a firmare che devi lasciare l’Italia entro cinque giorni” (Costa D’Avorio, 2005)

Il richiedente ivoriano nel tempo trascorso nel centro non ha ricevuto alcun tipo di istruzione né alcun tipo di supporto per prepararsi all’audizione: sembra totalmente all’oscuro delle regole elementari per dialogare con la Commissione. C’è da chiedersi come mai ci sia questa scarsa attenzione nei confronti di un passaggio tanto importante come l’audizione per la richiesta d’asilo, che è deputata al riconoscimento delle persecuzioni subite e del diritto a ottenere una protezione per rimanere in Italia. La scarsa attenzione è riscontrabile sui due versanti. Da un lato sono le istituzioni o gli enti che si occupano di asilo a non offrire un servizio efficiente e continuativo: questa carenza, anche se con fatica, viene colmata dai richiedenti asilo attraverso informazioni raccolte altrove. Dal lato degli intervistati emerge comunque una preoccupazione limitata per come si svolgerà l’audizione. Probabilmente ciò deriva dal fatto che loro si sono mossi, dal momento del loro arrivo in Italia, attraverso una rete di “regole

34


deboli”, che vengono continuamente infrante, per poi essere ricomposte quando capita l’incontro fortunato, e ne traggono di conseguenza la conclusione che le cose non possano essere “governate” più di tanto. Un altro aspetto evidente del percorso è la scarsità di informazioni che vengono date al richiedente asilo riguardo l'iter procedurale, infatti nessuno sembra essere esattamente a conoscenza di quali siano le regole per presentarsi di fronte alla Commissione, e nessuno di loro racconta di aver avuto a disposizione una persona che lo abbia seguito passo passo. Anche in questo caso, è grazie alle conoscenze e agli incontri fortuiti che il richiedente asilo può beneficiare di un bene prezioso come l'informazione. “In Questura mi hanno fatto solo firmare fogli, poi mi hanno dato un foglio, che non capivo bene che c'era scritto, mi hanno detto di vedere che c'era un indirizzo dove dormire e di prendere il treno che poi mi avrebbero chiamato. Nel centro di accoglienza un altro ragazzo che era lì mi ha spiegato “allora, adesso la polizia ti ha lasciato qua, dopo ti chiamerà, ti chiederà la tua storia, cosa è successo, perché sei venuto in Italia, tutto così, e la polizia lo scrive... se sai scrivere lo scrivi. Ti faranno scrivere la tua storia e poi loro lo scriveranno di nuovo in italiano e dopo loro vanno ad analizzare la tua storia tutto così, e dopo se vogliono ti accettano, se non vogliono ti diranno di andare via che loro non ti vogliono, però se ti vogliono, ti accettano, e ti daranno un permesso per stare in Italia e con il permesso che ti daranno puoi fare la tua vita qua” (Togo, 2001)

Pochi di loro sono stati informati della necessità di trovare prove concrete: non soltanto della loro nazionalità – che sembra essere il problema principale – ma anche della concreta persecuzione sofferta in patria. Riguardo la comunicazione dell'appuntamento in Commissione, i nostri intervistati sono stati tutti avvertiti dalla Questura ma bisogna ricordare che tutti loro erano inseriti in un

35


modo o in un altro in un circuito di protezione, e ciò li ha preservati dalla non rintracciabilità in cui molti altri finiscono. In generale, nel corso dello sviluppo dell'iter, non vengono mai spiegati ai richiedenti asilo i passaggi che stanno compiendo: quando firmano fogli in Questura, o quando devono scrivere o raccontare la loro storia – passaggio che avviene in diverse occasioni – non viene mai illustrato loro a che punto si è giunti, a che cosa serve quel determinato atto, quali sono gli attori in gioco. Riguardo l'audizione, tutti gli intervistati che hanno già incontrato la Commissione esprimono la stessa impressione: il colloquio dura troppo poco tempo, e non mira a scoprire episodi particolari della vita precedente e delle persecuzioni subite dall’intervistato. “Io ho buone informazioni di come va la Commissione in tutta Europa uguale ed è sempre un’ora e mezza, due ore, non è come in Italia dieci minuti un quarto d’ora” (Eritrea, 2003)

È evidente l'impressione di una scarsa valorizzazione valorizzazione dell’incontro tra il richiedente asilo e lo Stato e di conseguenza una scarsa fiducia nella capacità della Commissione di giudicare in modo corretto la propria posizione. Eloquente il commento del ragazzo togolese citato in precedenza e a cui è stato negato il riconoscimento: “Se uno deve accettare che stai qua bisogna ascoltare la mia storia prima di decidere. E se la persona non ha neanche avuto il tempo di decidere, allora sarà un gioco da tiro, magari tira e sceglie se stai o non stai. Non è che è proprio la mia storia che deve analizzare prima di darmi la risposta. Allora da lì…già da lì…non so.. ho detto vabbe’, vediamo cosa farà” (Togo, 2001)

Nonostante alcune persone raccontino di aver avuto problemi di tortura nel proprio paese di origine, nessuno racconta di aver

36


certificato le sevizie fisiche subite attraverso un medico in Italia, così da avere documenti da mostrare alla Commissione. Se infatti è vero che ci sono alcuni volontari, medici soprattutto, che si adoperano a questo scopo, è difficile garantire per tutti un’assistenza personalizzata. 1.7 I centri di identificazione e la brochure informativa Chi viene trattenuto in uno dei centri di identificazione, malgrado si trovi lì specificamente per la propria richiesta di asilo, non sempre è più informato di chi vaga da solo per la città alla ricerca di coordinate in proposito. La stessa rapidità con cui si svolge il passaggio all'audizione fa intuire, come in effetti viene narrato, che la consapevolezza dei richiedenti su quanto sta accadendo sia scarsa, e che in quei giorni non si possano sviluppare gli elementi per affrontare l'incontro con tutti gli strumenti del caso. In questi centri è stata adottato, come anche presso Questure e associazioni, l’uso della brochure. Certamente utile, poiché permette al richiedente asilo di avere sempre con sé alcuni riferimenti che potrebbero essergli necessari, la brochure sembra però aver sostituito un effettivo lavoro informativo “faccia a faccia”, di relazione, in cui la persona potrebbe comprendere meglio una serie di passaggi. La distribuzione delle brochure in molti casi si accompagna con poche parole ed esaurisce la “seduta” dedicata al funzionamento dell’asilo politico in Italia. Gli intervistati si lamentano spesso di questa pratica. Anche perché la brochure, ovviamente, non è tradotta in tutte le lingue. Inoltre, nel suo stile di comunicazione sintetico, disegna un mondo in cui esistono delle regole e una procedura chiara: quanto di più lontano dalla realtà che i richiedenti si trovano a fronteggiare. “Nel centro di Bari mi hanno dato delle informazioni più specifiche… una brochure con i diritti e i doveri dell’asilo politico in Italia.

37


Domanda: Ti è stato utile, è spiegato bene? E’ spiegato bene sì, ma per una persona che comunque ha fatto le scuole e può capire senza problemi: se una persona non ha un’istruzione elevata bisognerebbe trovare un interprete che spiega bene…” (Togo, 2005) “Domanda: Ti hanno chiesto se volevi assistenza, se avevi bisogno di soldi? Non me lo hanno chiesto ma c’era scritto nel foglio che mi hanno dato in inglese, quindi quello che c’era scritto non era quello che hanno fatto nel campo. Domanda: Cioè hai notato che non c’era corrispondenza con quello che c'era scritto? Io ho studiato inglese per 15 anni, so leggere e scrivere, quindi quando mi hanno dato il foglio ho letto come si detengono gli immigrati illegali, e ho scoperto che quello che c’è scritto nel foglio è zero, non fanno una delle cose che c’è scritto dentro” (Nigeria, 2005)

La realtà sperimentata da alcuni degli intervistati presenta dei veri e propri paradossi: a volte comprensibili per chi conosce la burocrazia italiana, a volte effettivamente incomprensibili. E che comportano ulteriori problemi di tipo materiale (trovare un avvocato, e che sia competente in questa materia) e di tipo psicologico (lo stress di una condizione sospesa) che si sommano a quelli già propri della condizione dell'asilante. É il caso ad esempio della lunga testimonianza di un richiedente tunisino, vittima di torture, giunto nel 2001 e a cui è stato negato l'asilo. In seguito a questa risposta, ha protestato con forza presso l'Acnur per poi avviare, con l'aiuto di un avvocato volontario ma non esperto del tema, un ricorso al Presidente della Repubblica. “E non andava bene, siamo rimasti ad aspettare quasi 4 anni. La risposta è uscita dicembre scorso, era negativa, ma ho saputo solo ora che dal luglio 2002 mi hanno concesso l’asilo per motivi umanitari, ma non sono mai stato informato. E neanche avevo fatto richiesta per questo…

38


Riflettendoci, forse quella protesta all’Acnur è stata presa come una richiesta di ciò, forse hanno fatto loro un ricorso per me… ma non sono mai stato informato. Domanda: Ma da allora, non sapendolo, non l’avevi mai rinnovato? No, infatti. Ho saputo anche 15 giorni fa, che la commissione l’ha rinnovato un'altra volta il 13 Aprile 2005. E in che modo sei venuto a saperlo? Nella risposta al ricorso, mi hanno detto che nonostante il tuo ricorso avevi già un permesso umanitario. Così l’abbiamo saputo.” (Tunisia 2001)

Tra i paradossi di ordinaria amministrazione troviamo invece le lungaggini nella comunicazione della risposta della Commissione, nel caso della vecchia procedura, o il rilascio di permessi per richiesta di asilo di tre mesi da rinnovare di continuo, per attese che potevano durare fino a due anni. Il rinnovo ogni tre mesi risulta ancora più gravoso per quelli che hanno avviato la richiesta in una località e si sono poi trasferiti in un'altra senza spostare la pratica nella Questura locale. É il caso, ad esempio, di migliaia di persone che giungono a Crotone e si trasferiscono poi a Roma, che devono intraprendere ripetutamente lunghi viaggi da nord a sud. Tra gli “incidenti” che mostrano come il malfunzionamento della macchina burocratica finisca per arrecare danni al richiedente, c'è anche il caso di un uomo che si è visto ritirare sia la carta di identità sia la tessera di appartenenza al partito politico documenti dunque importanti per la sua richiesta di asilo - dalla Questura, che li avrebbe poi fatti recapitare alla Commissione. A distanza di più di due anni, al momento dell'audizione, ha scoperto che i documenti erano stati persi. La mancanza di quei documenti è stata cruciale nella decisione della Commissione di non concedere né l’asilo né la protezione umanitaria

39


“Domanda: Lei ha rivisto la sua tessera del partito quando è andato alla Commissione? No, non l’ho vista. Io mi preparavo ad aggiungere documenti prima di andare alla Commissione, allora sono andato alla Questura per chiedere le fotocopie, e uno è venuto e mi ha detto cosa devo usarlo a fare e ho detto per aggiungere da portare alla Commissione, e mi ha detto 'tanto non c’è bisogno, io le ho già mandate, ho fatto la fotocopia e le ho mandate via fax' e io allora avevo pensato ah va bene, allora siamo a posto (...). Invece, quando sono andato alla Commissione c’era l’interprete e questa signora che mi doveva fare le domande. 'Sei tu questo nome questo cognome?' ho detto si, 'Scusa se sei del Togo, cosa prova che sei del Togo' ho detto 'Ma io dalla Questura c’è la mia carta d’identità' ha guardato le carte, non so se è vero o non è vero, ha detto qua non c’è.”

1.8 La protezione percepita In conclusione, quali sono i giudizi e la valutazioni degli intervistati rispetto al sistema di accoglienza e di protezione? Ognuno di loro ha sperimentato almeno un anno di vita in Italia e ha conosciuto quindi quasi tutti i principali passaggi della trafila di chi chiede asilo. I primi giorni, l'incontro con la Questura, gli sforzi di far quadrare la gestione di una vita dignitosa con l'avanzamento della propria pratica di asilo, il reinserimento in Italia per chi viene è costretto dalla Convenzione di Dublino, l'esperienza di avere infine uno status giuridico riconosciuto e niente di più. L'immagine generale che emerge dalla maggior parte delle interviste è quella di una doppia valutazione sul “sistema Italia”: da un lato riconoscenza e apprezzamento per l’impegno dimostrato da alcuni singoli individui, che per prestare aiuto sono andati contro le abitudini più diffuse, impiegando magari anche tempo ed energie; dall’altro lato un giudizio negativo molto severo e spesso articolato, rivolto non tanto alle persone quanto alle regole – formali e informali – che i richiedenti asilo

40


considerano il più delle volte inutili, dannose e incomprensibili. Questo vale per l’accoglienza residenziale, offerta per un tempo non sufficiente a incontrare la Commissione, per il divieto di lavorare solo parzialmente corretto dalla legislazione, per i ritardi nel rinnovo dei permessi, fino al rientro forzato in Italia in applicazione della Convenzione di Dublino, a causa di cui si perdono molti vantaggi garantiti altrove. Non tutti, com'è noto, avevano intenzione di fermarsi in Italia, ma quasi tutti dichiarano di essere stati contenti di arrivarci, di essere in Europa. Ancor più per chi la considerava un punto di arrivo, il giudizio sull’accoglienza ricevuta e sul funzionamento delle procedure è spesso molto duro, sia in assoluto, per i problemi con cui ci si deve confrontare, e sia per la comparazione con altre situazioni. “Io pensavo Italia aiuta per medicine, casa, come per tutti rifugiati politici nel mondo, io lavorato governo e so queste cose... però in Italia non c'è, solo danno permesso di soggiorno e andare via in strada.. Per tre mesi io dimenticato mia famiglia, pensa solo dove mangiare dove dormire dove andare a curarmi per mia schiena, non ha trovato niente. In quel momento mio problema più importante di mia famiglia...” (Sudan, 2003) “In Eritrea molti parlano italiano e c’è un’immagine bella dell’Italia, per questo ho scelto di venire qua, ma se devo dare un giudizio sulle persone che si dovevano occupare del mio caso beh... No, non mi hanno mai aiutato, allora non posso dare un buon giudizio.”(Eritrea, 2003)

I primi giudizi si formano con l'impatto iniziale, cioè l’arrivo alla frontiera. Va detto che sono anche i giudizi più morbidi. Eventuali maltrattamenti vengono giustificati nei modi più disparati. Emblematico questo commento, di un richiedente asilo congolese, sbarcato all’aeroporto di Malpensa:

41


“Qualche volta qualcuno mi ha mancato di rispetto, sai, dipende dalla persona… se hai incontrato un poliziotto che ha problemi con sua moglie quello viene in aeroporto e fa quello che vuole” (Togo, 2005)

Alcuni intervistati hanno sottolineato come i primi momenti in Italia siano quelli in cui c’è in assoluto più bisogno di assistenza, e hanno denunciano l’assurdità della mancanza di un iniziale supporto continuativo, di doversela immediatamente cavare da soli. “Abbiamo fatto l’intervista e abbiamo raccontato il nostro problema, non hanno detto niente, solo ci hanno fatto aspettare, aspettare, aspettare. Dopo 24 ore, ci hanno dato questo biglietto e siamo andati al centro da soli, senza conoscere niente qua. Noi non conoscevamo nessuna strada qua in Italia e ci hanno dato un biglietto prendi questo treno e vai da questa parte solo con un foglietto e domanda... io parlavo spagnolo e nessuno mi capisce. Meno male che poi ci sono molte parole che si capiscono e quando chiedevamo qualcosa anche noi qualcosa capivamo in italiano perché ho fatto un po’ fatica ad arrivare là, altrimenti eravamo ancora persi” (Colombiano, 2004)

Riguardo la permanenza nei Cdi, per chi l'ha vissuta, i giudizi sono legati anche all'esito della richiesta d'asilo: chi viene rigettato protesta per il tipo di struttura, per il fatto di non avere ricevuto assistenza legale, tempo per capire cosa fare ecc. Chi invece vede accolta la sua richiesta d'asilo è invece più propenso a considerare quel passaggio il primo punto di approdo dopo un viaggio durissimo, e comunque solo una prima tappa che si conclude positivamente. A esprimere i giudizi più negativi sul capitolo accoglienza sono quelli che non hanno avuto la fortuna di fare l’incontro giusto nel momento giusto, che gli consentisse di inserirsi nello Sprar. Giudizi ancora più duri a causa del divieto di lavorare. Le condizioni riservate a chi arriva chiedendo asilo in questi casi

42


sono le stesse destinate ai senza fissa dimora, e questo non può essere facilmente accettato da chi è consapevole di avere dei diritti. “Lì al Comune hanno deciso che dovevo lasciare l’hotel di Mestre per andare in quello di Chioggia, meno buono. Lì ho capito che avrei dovuto mangiare in mensa. Lì vedevo gente che aveva aria turbolenta, banditi, persone non serie, gente che urlava, mi sono detto ma che cos’é l’Italia che mi fa mangiare in posti così. (RD Congo, 2005)

Il problema viene facilmente inquadrato da molti degli intervistati come un problema culturale. L’assenza di una legge ad hoc sull’asilo, e il permanere di un approccio “emergenziale” e di mero controllo alla politica sull’immigrazione si riflettono sul modo in cui gli stranieri vengono trattati. Ovvero, sul modo in cui vengono trattati dalle leggi e dalle procedure da cui dipende il loro soggiorno e le opportunità di inserimento, ma anche dai funzionari delle diverse agenzie incaricate di curarsene; e infine sugli atteggiamenti della popolazione in generale, presso la quale si riscontrano atteggiamenti svalorizzanti e venati di razzismo. “Sai, non posso spiegarti la vita degli immigrati qua, perché è troppo, sono problemi, problemi, problemi, ed è per questo che ci sono tanti che hanno i documenti in Italia ma sono andati, partiti per l’estero. Perché l’Italia non c’è… il governo non è cattivo verso l’immigrazione, perché ti lascia, ma non ti dà! Non ti caccia via, non ti fa problemi, ma ti lascia: arrangiatevi voi nel paese, è così!” (Costa D’Avorio, 2005) “Ho preso questo permesso che è un feuille sale, una porcheria, bisogna dirlo: in Svezia il permesso di soggiorno è un tesserino, invece con questo foglio enorme non si può andare in giro, queste cose bisogna segnalarle, l’Italia è molto indietro! Eppure è tra i 7 paesi più ricchi del mondo, come è possibile che ci siano cose così? Quel foglio li è indecente, lo scriva per favore” (RD Congo, 2005)

43


“Se mi hanno mancato di rispetto?… è diverso… perché gli italiani sanno che un africano è poor… povero… e non è andato a scuola e pensano che tu non sia nessuno… tu sei in autobus e ti prendono per un altro… piano piano devono capire che siamo anche degli esseri umani, no?” (Congo, 2005) “Dipende già dalla fortuna di ogni persona di trovare le persone giuste, diciamo che in Italia già questo è una realtà (...) All’inizio non riuscivo a capire quello che la gente pensava degli stranieri e l’idea che aveva la gente qua. Non era facile poi mi sono messa proprio dentro, è importante che inizino a capire perché l’Italia è proprio chiusa, anche la cultura nei confronti degli stranieri” (Camerun, 2003)

Il dato più significativo che emerge dalle interviste, oltre alle critiche puntuali riguardanti le singole carenze o falle di un sistema di accoglienza pur presente e potenzialmente efficiente, sembra essere un invito all’integrazione. Ribaltando per un attimo la logica che vuole che gli stranieri si integrino, è evidente che la richiesta che emerge da queste testimonianze è che il paese si integri con i rifugiati ovvero che si diano le condizioni per la loro permanenza nel rispetto della legalità e la possibilità di condurre una vita stabile. “Lo Stato italiano dovrebbe avere almeno una legge che li guida. Una legge e farla sapere a tutti! Non fare questo, non fare questo, non fare questo. Se fai questo ti prendono. Ma se tu non fai questo, non fai questo, ecc. per rinnovare i tuoi documenti non ci dovrebbero essere problemi, dovresti andare in Questura e darti i tuoi documenti subito! If you don’t have problems con il governo, con dio, con la legge, bè se devi rinnovare i documenti lo rinnovi!” (Somalia, 2003) “Speravo che vivo in una società tranquillamente, come persona in una società normale, ma prima devi trovarti in un ambiente che senti che sei umano, qua purtroppo non troviamo queste cose, io dico sempre la società italiana è come un deserto per noi… Io tante volte penso che

44


Italia per me un carcere grande… in senso psicologico... io in Iraq non posso tornare… ma qua mi minacciano sempre con questa cosa, che forse mi possono mandare via l’anno dopo… Con questo sentimento vivo in modo spaventoso... perché non c’è la sicurezza, non c’è futuro… sempre ho paura di domani” (Iraq, 2003) “Credimi mi sono chiesto 1001 cose in tutti questi giorni: perché venivo trasferito da un posto all’altro? Perché andavo a Chioggia, pensando che forse senza rendermi conto stavo passando per le maglie della polizia. Mi sono detto che quelli erano mezzi della polizia per controllarmi, per verificare come mi comporto, altrimenti perché portarmi per tappe successive in diversi posti? Come intellettuale mi faccio delle analisi della situazione, perché non portarmi direttamente qui? Per quali motivi? Mi hanno detto alla Commissione che avrei avuto la risposta dopo due settimane, ma sono passate due, tre, quattro settimane e io non ricevevo risposte, non riuscivo a dormire: avevo le palpitazioni (...) sono andato ogni settimana alla Questura e l'ultima volta mi hanno chiesto di dargli i miei documenti e hanno fatto le copie, mi hanno chiesto di sedermi e intanto scrivevano qualcosa, e mi hanno chiesto di firmare, io ho detto che non avrei firmato perché poteva essere la mia condanna a morte, loro mi hanno detto che era scritto anche in francese, e c’era scritto che ero stato riconosciuto come rifugiato. Ho sorriso, era una nuova fase della mia vita”. (RD Congo, 2005)

45


Schema riassuntivo delle interviste Luogo dell’intervista Varese Varese Varese Varese

Paese di origine Togo RD Congo Colombia Kurdistan Turco

Status al momento dell’intervista Diniego/ricorso Richiedente asilo Diniego/ricorso Rifugiato e famiglia

Varese Sanremo Sanremo Roma Roma Roma Roma Roma Roma Roma Roma Roma Roma Venezia Venezia Venezia Caserta Caserta Caserta Caserta Crotone Crotone Crotone Crotone Crotone Parma Parma Parma S.Remo S.Remo Bari Bari Bari

Togo Kurdistan Turco Kurdistan Turco Eritrea Afghanistan Sudan Palestina Tunisia Bangladesh Eritrea Eritrea Eritrea Camerun Nigeria Costa d’Avorio RD Congo Nigeria Liberia Liberia Liberia Somalia Kurdistan Turco Iraq Costa d’Avorio Pakistan Nigeria Costa d’Avorio Kurdistan Turco Kurdistan Iracheno Kurdistan iracheno Togo Palestina Eritrea

Rifugiato Richiedente asilo Rifugiato Asilo umanitario Asilo umanitario Rifugiato Richiedente asilo Asilo umanitario Richiedente asilo Richiedente asilo Asilo umanitario Asilo umanitario Rifugiato Richiedente asilo Asilo umanitario Rifugiato Diniego/No riesame Diniego/Ricorso Asilo umanitario Diniego/ricorso Asilo umanitario Asilo umanitario Asilo umanitario Diniego/ricorso Rifugiato Richiedente asilo Richiedente asilo Asilo umanitario Richiedente Asilo Rifugiato Asilo umanitario Asilo umanitario Richiedente Asilo

46

Data di arrivo in Italia 2003 Agosto 2005 Ottobre 2005 1998 – dublino – 2000 2001 Ottobre 2005 1998 2003 2002 Maggio 2003 Dicembre 2002 Settembre 2001 Febbraio 2004 Giugno 2003 2003 2003 Aprile 2003 2006 Dicembre 2005 2005 Luglio 2005 2002 Dicembre 2002 2003 Settembre 2003 2000 2003 Agosto 2005 Febbraio 2002 Giugno 2004 Novembre 2004 Maggio 2003 Ottobre 2005 1998 2005 Estate 2004 Giugno 2005


Premessa agli studi di caso di Giuliana Candia

Gli studi di caso che vengono presentati nei successivi capitoli sono il frutto di un’attività che rientra pienamente nel campo della ricerca-azione, in quanto la loro realizzazione ed elaborazione poggia su un forte coinvolgimento dei diversi attori dell’accoglienza nei contesti investigati. Si tratta, a seconda dei casi analizzati, sia dei responsabili dell’ente locale, che dell’intera equipe attiva sui progetti di accoglienza, e sia degli ospiti delle strutture. Con tutti loro si è discusso e riflettuto sul tema dell’accoglienza, sulle forme sperimentate nello specifico centro e sugli eventuali elementi problematici, da superare. L’obiettivo comune dell’analisi era quello di delineare delle esperienze di accoglienza a partire da due realtà molto concrete: da un lato quella del contesto territoriale di riferimento, e dall’altro quella della filosofia di intervento, ovvero dell’imprinting dato dalle organizzazioni che gestiscono i progetti. L’altro obiettivo, conseguente, era quello di presentare 3 modelli di intervento molto diversi tra loro, originali esperienze che nascono e si sviluppano come un tentativo quotidiano di affrontare la grande sfida dell’inserimento, tanto più nei tempi sempre più stretti di chi è appena arrivato e scampato a un trauma. Tre modelli che mostrano i diversi percorsi che si sviluppano a partire da un riferimento comune che è quello delle linee guida

47


per i progetti dello Sprar8, che ha definito una molteplicità di criteri volti a rendere omogenei gli standard dell’accoglienza in tutta Italia. Il caso di Venezia mostra un intervento che gode del pieno appoggio dell’ente locale per sostenere passo per passo gli ospiti verso l’autonomia, nel contesto fortemente creativo sviluppato dall’equipe della Cooperativa Coges, ma anche ricco di opportunità. A Roma, il contesto critico della presenza di migliaia di Raru costretti a vivere in condizioni di estrema precarietà, e spesso sospesi in progetti migratori in ri-definizione, ha portato alla nascita di un’esperienza unica in Italia, quella dell’autogestione di un centro collettivo di accoglienza per circa 160 Raru eritrei ed etiopi, sostenuto dall’Associazione Erytros e dal Comune di Roma. Il modello è qui rappresentato dalla responsabilizzazione degli ospiti sulla gestione di quella che è di fatto la loro casa, anche se solo di passaggio, ovvero un luogo all’interno del quale non si vive un’asimmetrica relazione di potere rispetto a chi offre l’aiuto, ma un riconoscimento dei ruoli assegnati di volta in volta dalla comunità a un comitato interno e agli ospiti-operatori di turno. Il contesto in cui opera il centro di accoglienza di Crotone infine, è quello marcato dalla presenza del Campo Sant’Anna, il più grande centro per migranti in Europa, che determina un flusso costante di migranti in arrivo, in uscita dal campo, in transito verso altre destinazioni italiane e non. Questa condizione, unita alla mancanza di opportunità lavorative dell’area, ha contribuito a disegnare le specificità dell’intervento della cooperativa Agorà Kroton, costretta tanto sul fronte interno del centro residenziale – dove chi ancora non può migrare vive un contesto di accudimento quasi familiare – quanto su quello esterno, dove l’imperativo è rendersi funzionali ai bisogni di chi è solo di passaggio. 8

Il caso di Roma, come più avanti riportato, non rientra tra i progetti dello Sprar sia per l'esclusione della Capitale dal sistema sia per la specificità del centro stesso.

48


2. Venezia. Il centro Boa del progetto Fontego9 di Giuliana Candia

2.1 Il contesto territoriale Le caratteristiche della presenza di Raru nella città di Venezia sono quelle di una città di frontiera, meta naturale di flussi di migranti, che ha permesso e favorito l’insediamento progressivo di singoli, famiglia e piccole comunità nel corso degli anni. Gli arrivi sin dagli anni ’90 sono stati consistenti inizialmente dalla frontiera slovena, in conseguenza del conflitto dell’ex Yugoslavia, per intensificarsi successivamente con quelli dal porto e dall’aeroporto. Dalla frontiera aeroportuale sono poi in aumento gli arrivi dei “casi Dublino”. Per questi casi la presa in carico è immediata da parte dei servizi della Prefettura, grazie alla presenza di un apposito sportello nell’area aeroportuale; tuttavia quando la destinazione per lo svolgimento della procedura non è nell'area veneziana, questi non vengono presi in carico dai servizi Sociali. Dalla frontiera marittima giungono invece persone su 9

Il presente studio di caso è stato redatto a partire da diversi materiali: le interviste rivolte alla responsabile del progetto Fontego, al presidente della cooperativa Coges, ai tre operatori della cooperativa che gestiscono il centro Boa; le interviste realizzate in maniera informale con alcuni ospiti del centro; l’osservazione non partecipante.

49


navi traghetto, container e anche navi crociera, in arrivo dalla Grecia e che provengono da tutti i paesi del medio oriente e dell’Asia. Anche presso l’area portuale è presente uno sportello preposto gestito dal Cir, rispetto al quale si riscontrano comunque molte difficoltà non solo per l’individuazione dei casi di persone a bordo che vogliono sbarcare per chiedere asilo, ma finanche per la loro presa in carico a fronte dell’intervento frequente della polizia che oppone loro il respingimento. Dai dati della Prefettura di Venezia, nell’anno trascorso dall’entrata in vigore della nuova procedura per la richiesta d’asilo (21 aprile 2005), sul territorio sono state presentate 66 richieste, principalmente da parte di cittadini turchi e iraniani, seguiti da afgani, camerunesi e altre nazionalità dell’Africa, del Medio Oriente e dell’est Europa. Di questi 66, sono risultati di competenza della più vicina Commissione territoriale (quella di Gorizia) solo poco più di un terzo, mentre per gli altri sono stati disposti dalla Questura di Venezia i trattenimenti facoltativi e obbligatori presso altre commissioni. C’è da dire che l’area veneziana, sia per le effettive opportunità di inserimento lavorativo presenti e sia per la presenza di una rete di servizi di supporto, rappresenta per la maggior parte dei soggetti qui giunti un’area di stabilizzazione, dando così luogo raramente a migrazioni interne al territorio nazionale successive all’acquisizione di uno status. Proprio in funzione delle opportunità presenti nel territorio si è assistito, nel tempo, alla costituzione di piccole catene migratorie e allo sviluppo di alcune comunità nazionali Di fatto, accanto agli arrivi sul territorio derivanti da vere e proprie “chiamate” da parte di membri delle famiglie allargate (è il caso ad esempio, dei kurdi irakeni e turchi) sono presenti micro-flussi di connazionali che rappresentano il frutto di un passaparola tutto interno al territorio italiano. Questo è il caso di diversi ragazzi afgani che dopo essere giunti in Italia sono rimasti a lungo a Roma presso le stazioni

50


ferroviarie, incontrando dei connazionali che hanno riferito loro delle migliori condizioni di altri rifugiati stabilitisi a Venezia. Parte del funzionamento della catena migratoria, così come è stata definita dalla letteratura sulle migrazioni, risiede d’altro canto anche nel sostegno fornito dai connazionali per far fronte ai primi bisogni al momento dell’arrivo. Tuttavia a Venezia gli operatori riferiscono che i nuovi arrivati pur avendo già alcuni contatti di conoscenti o familiari sul territorio, si rivolgono ai servizi per fruire dei percorsi di accoglienza e inserimento dedicati, consigliati e accompagnati dai connazionali che li hanno già sperimentati. Alcune di queste piccole comunità di rifugiati si sono costituite in associazioni su base nazionale, e hanno costruito con l’ente locale un rapporto a due vie, di collaborazione e sostegno reciproco per questioni burocratiche in favore delle associazioni, e per attività di interpretariato per i nuovi arrivati per il Comune. Di fatto l’esperienza di accoglienza dell’area veneziana è imperniata sul ruolo centrale svolto dal Comune e la gestione, in collaborazione con enti storici del privato sociale locale, del progetto di accoglienza e inserimento Fontego, attivo fin dalla nascita del Programma nazionale Asilo. L’attenzione mostrata dall’Ente locale alla problematica dei rifugiati ha consentito sia la costruzione di un efficace lavoro di coordinamento con la Prefettura per gli arrivi, sia lo sviluppo di un sistema complesso di servizi di accoglienza e di accompagnamento verso l’autonomia. L’associazionismo locale non si è quindi sviluppato in funzione sostitutiva ma piuttosto complementare all’intervento pubblico, assicurando la gestione dei centri di accoglienza, l’accoglienza e l'orientamento al servizio di frontiera, la gestione e l’affitto di spazi di prima accoglienza (Caritas Veneziana), oltre a attività di promozione culturale e di sensibilizzazione.

51


2.2 L’unità operativa per richiedenti asilo e rifugiati Attualmente il Comune di Venezia conta un ufficio a Mestre e uno a Venezia, che compongono l’Unità operativa complessa di interventi per richiedenti asilo e rifugiati, che fa capo al Servizio Immigrazione e promozione dei diritti di cittadinanza. Il gruppo di lavoro originario è composto da 3 dipendenti comunali, che insieme a un collaboratore rifugiato di origine irachena gestiscono il cuore degli interventi strutturali: la progettazione, i rapporti con tutti i servizi territoriali, la Questura e le Ambasciate, l’assistenza legale e i rapporti con lo Sprar, per ingressi e dimissioni dall’accoglienza. Altri collaboratori si sono aggiunti, dal 2001, con funzioni di tutor degli ospiti dei centri di accoglienza, per l’insegnamento dell’italiano, per le attività di animazione e sensibilizzazione, per la ricostruzione delle memorie e la documentazione sui paesi di origine. Le attività dello sportello interessano sia gli ospiti del progetto Fontego10 (90 posti complessivi, inclusi 15 posti per soggetti svantaggiati) che tutti gli altri casi presenti sul territorio: sia i nuovi arrivi collocati in sistemazioni temporanee e sia chi ha terminato l’accoglienza e necessita di ulteriore sostegno. Il servizio dispone infatti di uno stanziamento di 150.000 euro l’anno per la sistemazione temporanea delle persone appena arrivate in attesa di inserimento, per i casi ancora non autonomi alla fine dei 6 mesi di accoglienza, e per i possibili contributi all’affitto per chi è uscito. In totale la stima del servizio è di circa 700 accessi nel 2005, tra i quali si riscontra costantemente la presenza di situazioni che 10

La gestione del Progetto Fontego, 2 strutture di accoglienza e due appartamenti di avvio all’autonomia, è in collaborazione con la cooperativa sociale Coges (per gli uomini), l’Opera Buon Pastore (per donne e famiglie) e l’associazione La Famiglia (per i 2 appartamenti in semi autonomia).

52


dovrebbero far capo ai diversi servizi territoriali, ma che vengono erroneamente rinviati all’Ufficio Asilo: come se rifugiati e titolari di protezione umanitaria facessero eternamente parte di una categoria a sé, non integrabili nei comuni percorsi di cittadinanza. Anche per questo motivo, l’equipe del progetto si prodiga anche in un costante lavoro di tessitura dei rapporti con i servizi territoriali e in primo luogo con la Questura con la quale si cerca di trovare continue soluzioni, sia per evitare innumerevoli “transiti” di chi deve rinnovare i permessi di soggiorno, sia per agevolare i cambiamenti dei permessi da quello per protezione umanitaria a permesso di lavoro, una soluzione richiesta nella maggior parte dei casi dalle persone interessate. A tutti i servizi territoriali si indirizzano poi le attività di formazione, anche se dedicate agli operatori dell’accoglienza; attività che riguardano gli aspetti psicosociali dell’accoglienza, l’aggiornamento della normativa e, recentemente, le informazioni sui paesi di origine dei rifugiati. Gli altri interventi qualificanti l’attività dell’ufficio Asilo sono quelli di animazione - rivolti agli ospiti del progetto – e di sensibilizzazione, rivolta alla cittadinanza. In entrambe le attività si rileva la ricerca di varie modalità espressive per permettere la comunicazione tra esperienze e culture diverse, per elaborare traumi o le difficoltà dell’attesa di conoscere il proprio destino, per facilitare l’incontro con i nuovi concittadini. La situazione però è diversa rispetto a quando i tempi dell’accoglienza duravano fino a due anni: oggi il lavoro con gli ospiti dei centri si è molto trasformato lasciando poco spazio all’animazione e puntando al più rapido inserimento lavorativo entro i 6 mesi. Sul piano della sensibilizzazione c’è la stessa attenzione di quando si è inaugurata la creazione, ormai a cadenza annuale, in occasione della giornata mondiale del rifugiato, di manifesti dal titolo “Venezia città dell’asilo – città accogliente”. Sono inoltre stati

53


prodotti 2 testi con fotografie che raccontano le esperienze dell’accoglienza11. 2.3 L’esperienza della Coges e l’avvio della gestione congiunta del centro Boa Il centro Boa è una struttura di accoglienza per soli uomini, con una capienza di 45 posti di cui 5 riservati a categorie vulnerabili, ed è parte del progetto Fontego del Comune di Venezia. La gestione diretta del centro è condivisa dall’Ufficio Asilo del Comune e dalla cooperativa sociale Coges. La sua storia è anche quella dell’articolazione dei rapporti e degli equilibri all’interno di questa gestione mista. La cooperativa si sviluppa come costola dal centro Don Milani, storica realtà del terzo settore veneziano, in seguito all’affidamento da parte del Comune di Venezia della gestione dei due campi allestiti per i profughi della ex Yugoslavia nel 1994. Si è costituita quindi una cooperativa di tipo B con 9 soci, prevalentemente con esperienze di reinserimento socio-lavorativo con ex tossicodipendenti ed ex detenuti. Dal compito inizialmente affidato di guardianìa il gruppo di operatori cerca di implementare diverse attività conformi alla propria mission e a quella del Centro Don Milani, realizzando inserimenti di soggetti svantaggiati presenti nel campo, seguendo la scolarizzazione dei bambini o sensibilizzando le insegnanti per il loro inserimento nelle classi. L’esperienza, andata avanti per circa 7 anni ha permesso la sedimentazione nel gruppo di specifiche competenze, riconosciute in occasione dello smantellamento dei campi dai comuni di destinazione delle famiglie, che hanno richiesto un sostegno di accompagnamento e di mediazione per l’inserimento nei nuovi contesti. Carlot, I., Bombieri, G. Indirizzi sconosciuti, 2005; Carlot, I. Longo, F. Attraverso il centro, 2006 11

54


Dopo la chiusura dei campi nel 2000 la Coges si è proposta al Comune per valorizzare la propria esperienza, e dall’Ufficio Asilo è nata la proposta di affidamento dell’accoglienza per uomini richiedenti asilo, a fronte della disponibilità di uno spazio idoneo da parte del centro Don Milani. Tale spazio era situato all’interno del Forte Rossarol, area affidata dal Comune e interamente ristrutturata e in manutenzione al centro Don Milani. Anche in questa occasione, si è trattato per la cooperativa di lavorare con una nuova tipologia di utenza e di ricevere un mandato piuttosto limitato di guardianìa da parte del Comune. Entrambi questi elementi sono stati di fatto al centro di un lungo processo di riflessione e di rielaborazione, interna alla cooperativa per il primo aspetto e di confronto con il Comune per l’altro. Alcuni episodi che potremmo definire caratteristici dello “choc culturale” nell’incontro tra persone di diverse provenienze, così come anche l’inserimento del centro per rifugiati in un’area con altre strutture, altre utenze, altre equipe professionali12, hanno portato a un interrogarsi dell’equipe sul percorso intrapreso: “vari episodi hanno aperto tra i membri della cooperativa una discussione forte… forse qualcuno si è scoperto un po’ più xenofobo di come immaginava di essere, ci ha fatto domandare ancora se queste persone rientravano propriamente nella nostra mission…qualcuno non ha condiviso, c’è chi ne è anche uscito, ma questo non è un dialogo finito, ci si interroga periodicamente”(Presidente della cooperativa)

Dal confronto interno sono state ribadite non solo l’appartenenza de facto dei rifugiati alle persone in condizioni di difficoltà, pur temporanea, al cui inserimento ha sempre mirato l’attività del 12

L’area del Forte Rossarol è sede di una comunità terapeutica, una di prima accoglienza e una di reinserimento per tossicodipendenti, di una comunità per alcolisti e, più di recente, anche di un centro di accoglienza per minori stranieri non accompagnati.

55


gruppo, ma anche la volontà di non limitarsi a un mandato di semplice controllo delle presenze, di turni di pulizia degli spazi: “io voglio una cooperativa che faccia delle esperienze, che abbia un pensiero e che lanci delle proposte sul tema… Per quello ho cercato operatori che ci mettessero un po’ più di testa, di cuore nelle cose che facevano” (Responsabile del Boa) Questa consapevolezza ha portato a una ri-negoziazione con l’Ufficio Asilo del ruolo della cooperativa, e si è aperta la strada per un rinnovamento del personale, con l’assunzione di operatori con competenze e ruoli ben definiti, e l’investimento di diversi progetti sull’attività del centro. Il cammino congiunto intrapreso dal 2001 ha portato quindi, progressivamente, a una cessione di una parte di “paternità” che oggi si concretizza sia nell’autonomia nella gestione del bilancio, sia con l’imminente passaggio di testimone dagli operatori del Comune ancora attivi nel centro, a un’equipe gestita interamente dalla cooperativa. 2.4 Gli spazi del centro Il centro Boa si compone di 3 caseggiati posti all’interno di una porzione del Forte Rossarol, un’area vastissima immersa nel verde a circa due km dalla strada di collegamento con i paesi vicini, dove passano gli autobus che portano a Mestre. La porzione dell’area occupata dal centro è molto vasta e separata visivamente dalle altre strutture da un terrapieno. Gli spazi frequentati dagli ospiti sono quindi l’area dei caseggiati (stanze ed uffici), la strada di collegamento e la grande mensa la cui sala è utilizzata solo per gli ospiti del Boa. I caseggiati sono in muratura e legno con un porticato davanti l’ingresso delle stanze, che affacciano quindi tutte sull’esterno. Il primo caseggiato che si incontra giungendo dalla strada sterrata contiene l’ufficio attrezzato per gli operatori, altre due stanze-uffici per colloqui o altro, una stanza adibita a scuola con alcuni testi disponibili, una

56


stanza-magazzino e una sala con lavatrici e asciugatoio e un biliardino. Questa collocazione permette di incrociare quotidianamente tutti gli ospiti che escono o rientrano, che vanno alla mensa o a fare il bucato, permettendo di scambiare qualche parola di saluto, e consentendo agli ospiti di avere un luogo di riferimento per parlare con gli operatori. Gli altri due caseggiati sono interamente adibiti a camere per gli ospiti, stanze da due posti letto arredate in modo uniforme e ognuna con un bagno interno. L’immagine è simile a quella di un campeggio nel verde, dove gli spazi più utilizzati per stare insieme sono i portici antistanti le camere, la sala lavanderia dove si gioca a biliardino, alcune panchine sotto gli alberi. La particolarità è quindi quella di disporre di ampi spazi e quindi di una certa possibilità sia di star soli che in compagnia. Come viene sottolineato da più parti, i conflitti possono emergere sempre tra le persone, ma la disponibilità di spazio consente di non esser forzati a incontrare gli altri a farlo quando si vuole. L’unico elemento di cui si sente la mancanza è un ambiente ampio e al chiuso, che possa svolgere una funzione di “raccolta”: un luogo dove poter guardare la televisione (che non tutti hanno), dove ritrovarsi per svolgere riunioni, e dove realizzare iniziative portate anche da soggetti esterni. Il tentativo di chi gestisce il centro è di farne un luogo il più possibile aperto alla cittadinanza, con un’inversione di rotta rispetto all’utilizzo di quegli spazi riservati sinora alle comunità terapeutiche, invece piuttosto chiuse ai contatti con il mondo esterno. Gli ospiti possono quindi invitare durante il giorno i propri amici, e sono state organizzate iniziative e feste per favorire lo stare insieme e la frequentazione del centro da parte di persone esterne. Malgrado ciò, diversi ospiti lamentano la distanza del centro dalla città imputando a tale distanza parte delle loro difficoltà di fare amicizie e conoscenze con italiani, di inserirsi più facilmente nel tessuto sociale, nonché la mancanza di

57


“integrazione”. I tentativi di animazione menzionati non sono presenti nei racconti di chi cita queste difficoltà. 2.5 Il personale e la gestione operativa Al momento della rilevazione – luglio 2006 - l’equipe del centro stava vivendo una nuova fase di transizione che come si è detto porterà progressivamente al ritiro degli operatori dell’ufficio Asilo del Comune per una gestione interamente affidata al personale della cooperativa. In attesa di questo passaggio, il personale ha ancora una composizione mista: 3 operatori dell’ente titolare del progetto e 3 dell’ente gestore. I ruoli Dei 3 operatori dell’Ufficio asilo del Comune, 2 svolgono una funzione di tutoraggio individuale degli ospiti e uno è responsabile della formazione di base alla lingua italiana e dell’orientamento ai corsi di lingua sul territorio. I ruoli ricoperti dagli operatori della cooperativa sono quelli di tutor e coordinatore del centro, referente per tutta l’area dell’assistenza sanitaria e referente per la formazione e l’inserimento lavorativo. Oltre a queste figure deputate alla gestione ordinaria del centro e delle attività dei suoi ospiti, la Coges è presente con un responsabile che cura i rapporti politico-istituzionali con l’Ufficio Asilo e fornisce un supporto per il coordinamento in occasioni specifiche, ad esempio qualora si presentino situazioni problematiche o vi sia il bisogno di rinegoziare delle regole di funzionamento all’interno dell’equipe o con gli ospiti. Altre figure che appartengono alla quotidianità degli ospiti del Boa sono quelle del personale della mensa di cui ha fatto parte anche un ex ospite del Boa. Il percorso degli ospiti prevede un accompagnamento individuale e continuativo da parte di una figura di riferimento rappresentata

58


dal tutor, ruolo svolto da tre uomini, e un accompagnamento puntuale rispetto alle aree della salute, dell’apprendimento della lingua e dell’accesso al lavoro o alla formazione dicompetenza delle tre operatrici. Non sono presenti volontari, mentre è frequente la presenza di tirocinanti il cui ruolo specifico varia in funzione sia delle esigenze del centro e sia delle loro competenze e predisposizioni. Grazie a questa presenza sono state realizzate attività complementari, quali l’organizzazione di un torneo di calcetto, la visione di film il cui commento aiuta un miglior utilizzo del linguaggio ecc. Le competenze Gli operatori del Comune, in quanto appartenenti sin dall'inizio all’equipe dell’Ufficio asilo, sono quelli con la più lunga esperienza di lavoro con richiedenti asilo e rifugiati e svolgono in questo ambito anche altri incarichi. Il loro inserimento nell’equipe mista ha avuto la funzione, a detta della responsabile del progetto, anche di formazione/accompagnamento della nuova equipe della cooperativa che si confrontava per la prima volta con la gestione di un centro dedicato ai Raru. Gli operatori della cooperativa presentano invece delle competenze molto specifiche rispetto alle singole aree di intervento, competenze che sono state espressamente ricercate con l’obiettivo di qualificare maggiormente l’attività di accompagnamento all’autonomia degli ospiti e al loro inserimento. Il loro background di esperienze e conoscenze pregresse è l’elemento centrale intorno al quale si struttura un forte impegno professionale e umano che trova supporto nella costante formazione e aggiornamento sulla materia specifica. La competenza linguistica è un ulteriore elemento qualificante dell’equipe nel suo complesso, in quanto – grazie soprattutto ai tutor del Comune – vengono coperte internamente le lingue inglese, francese, spagnolo, arabo, kurdo, farsi, azero,

59


turcomanno e turco. Tutti gli operatori sono in grado di comunicare in inglese che risulta la lingua veicolare più comune. La formazione Tutti gli operatori hanno partecipato a numerose attività formative, sia proposte dall’Ufficio Asilo che da altri enti, sul territorio e in altre città. Data la complessità della materia tanto gli enti quanto gli operatori esplicitano un costante bisogno di aggiornamento per far fronte ai cambiamenti della normativa, delle procedure, e anche del fenomeno in sé. L’attivazione del progetto per categorie vulnerabili (5 posti al Boa) ha inoltre portato alla costituzione di una specifica equipe multidisciplinare che comprende il coordinatore, due psicologi operanti nel centro di accoglienza per famiglie e due membri dell’Ufficio asilo. L’obiettivo che tale equipe si pone è quello di discutere i casi, individuare nuovi contatti ad hoc con i servizi territoriali e proporre formazione in ambito psicosociale, nonché una supervisione. Oltre alla formazione esterna, per due anni il centro si è avvalso della supervisione specifica di uno psichiatra sui casi. Benchè tale attività sia terminata un'operatrice intervistata ha dichiarato di avvertire il bisogno di una supervisione psicologica, perché nonostante il confronto tra colleghi “rischiamo di scaricarci le tensioni addosso, poi essendo pochi a volte siamo come schegge impazzite su diversi progetti, per cui togliamo tempo sia al Boa sia soprattutto alle persone”. Lo scambio di informazioni sui singoli casi è piuttosto agile viste le dimensioni ridotte dell’equipe, e avviene quotidianamente nel passaggio di consegne o nel comunicare gli appuntamenti presi per un ospite. Con cadenza non regolare, ma all’incirca mensile si svolgono invece riunioni per “ricapitolare” ovvero fare il punto della situazione rispetto al regolamento del centro, o a situazioni contingenti che man mano che vengono affrontate consentono la

60


costituzione di prassi operative che si considerano ad oggi piuttosto consolidate. Tutti gli operatori sono impiegati su diversi progetti, che in alcuni casi entrano in relazione con il centro e i suoi ospiti nella prospettiva di cogliere l’occasione rappresentata da questa presenza nel tessuto sociale locale. Un esempio in tal senso è rappresentato dal progetto LIS, un laboratorio di animazione interculturale presso la vicina biblioteca comunale, dove gli ospiti del Boa utilizzano servizi tra cui internet e sono coinvolti in varie attività. Gestione del centro e tempi di presenza degli operatori Oltre alle specifiche attività con gli ospiti gli operatori della cooperativa si occupano inoltre della gestione di tutti gli spazi del centro – ad eccezione della mensa – nonché della loro pulizia. Nelle parole del tutor: “io perdo un sacco di tempo per la parte di manovalanza, che è quella più pesante e noiosa, ma quasi sempre quando sei lì a fare delle cose c’è qualcuno che ti vuole aiutare, come per tagliare l’erba, e fare delle attività insieme ad un ospite ha sempre degli elementi relazionali interessanti”. Gli operatori sono presenti dal lunedì al venerdì e solo in orario diurno. In caso di necessità, si possono contattare tramite i cellulari dei tutor. Per le esigenze degli ospiti che hanno diversi orari di presenza, perché impegnati al lavoro, di norma si usa il passaggio di comunicazioni con altri ospiti o anche il contatto diretto telefonico. La centralità degli uffici nell’area di passaggio permette una continua visibilità degli operatori, che si cerca di gestire in parte stabilendo dei tempi specifici per i colloqui, e in parte lasciando spazio anche alla possibilità di scambiare qualche parola ogni giorno con gli ospiti. Come dichiara l’operatrice che si occupa dell’orientamento al lavoro: “per imparare la lingua loro hanno bisogno di fare conversazione, per cui cerchiamo di favorire

61


molto questo aspetto. Parlare è importantissimo per esercitarsi. Noi ci parliamo il più possibile, anche se quando hai poco tempo e vedi che la persona non ti sta capendo usi le lingue veicolari.”

2.6. L’utenza del centro I dati sulle presenze nel centro vengono raccolti da un’operatrice attraverso una scheda dettagliata; quella originaria era predisposta dal Comune, mentre quella utilizzata attualmente corrisponde alle richieste della banca dati online del Servizio Centrale. I dati vengono quindi inviati al Comune come responsabile del progetto e trasmessi, ma non vengono invece elaborati e fruiti dal Centro. In questo modo la conoscenza relativa alle presenze ed ai passaggi dei diversi ospiti è riconducibile solo all’esperienza degli operatori dell’equipe. Come è stato dichiarato anche dalla responsabile del progetto, si privilegia l’inserimento di persone che sono già sul territorio, ma non mancano i casi sia provenienti da altri centri che da altri territori (inclusi i casi Dublino) su segnalazione del Servizio Centrale. Le nazionalità prevalenti negli ultimi anni sono quelle africane e quelle del Medio Oriente. Fino al 2005 le presenze erano tutte di lunga durata a causa delle attese prolungate per la convocazione in Commissione centrale. Oggi i tempi di permanenza dei nuovi ospiti sono molto limitati perché il regolamento del centro non consente deroghe alla scadenza dei 6 mesi di permanenza. Il risultato è la compresenza di diverse situazioni tra gli ospiti: tra chi attende da più di un mese anche solo il risultato dell’audizione in Commissione centrale e chi è arrivato da 2 mesi in Italia ma vede già avvicinarsi il momento in cui dovrà lasciare il centro e rendersi autonomo. Le richieste principali rivolte agli operatori sono sempre quelle di poter reperire un lavoro e una casa, e solo nel corso della

62


relazione prendono forma altri tipi di richieste, che riguardano in generale la possibilità di comprendere i percorsi possibili da realizzare all’interno del centro e dopo, ma anche un orientamento per un tema legale, o per un supporto psicologico. A fianco a queste richieste, emergono altri bisogni: secondo il tutorcoordinatore hanno molto peso quelli di comprensione della propria nuova condizione e di ritrovamento di se stessi nel nuovo contesto: “in generale le esigenze sono quelle di poter utilizzare questo periodo di accoglienza per ritrovare quello che è stato lasciato e per capire quello che potrebbe essere”. I bisogni vengono rilevati attraverso la relazione diretta con il tutor e più in generale con le referenti delle altre aree ma, come tutti hanno sottolineato, il tempo – anche quello dell’ascolto - è una risorsa limitata perché i ritmi di intervento sono molto accelerati. Questo problema è avvertito anche dagli ospiti: la consapevolezza è relativa da un lato al fatto che ognuno si deve dedicare a un gran numero di persone, e dall’altro al fatto che l’offerta del centro è limitata. Parlando con alcuni di loro emergono con più insistenza preoccupazioni legate alla procedura, all’orientamento nella società italiana, alle opportunità di socializzazione, rispetto alle quali dichiarano che gli operatori “sono bravi, non si può dire niente, loro fanno quello che possono”. Nel corso del periodo di permanenza un obiettivo esplicito dell’equipe è quello di far emergere consapevolezza rispetto a quello che il centro può e non può offrire, per affrontare il momento dell’uscita che, come riconosce il tutor, è “una fase brutale”. Per i casi più problematici comunque c’è la possibilità di un supporto temporaneo dal Comune o di un sostegno per l’affitto.

63


2.7 Il percorso di accoglienza L’inserimento L’inserimento nel Progetto Fontego avviene presso l’Ufficio Asilo del Comune, dove i Raru si rivolgono nella maggior parte dei casi autonomamente – perché già presenti sul territorio - e in parte su segnalazione della Prefettura e dello Sprar. Qui oltre all’attribuzione di un posto in accoglienza si svolge l’accompagnamento per l’ottenimento del codice fiscale e dell’attestazione Isee. Questi rappresentano i documenti di base che serviranno per l’inserimento scolastico e lavorativo, per l’esenzione per molti farmaci, e per avere il contributo dell’affitto da chiedere al Comune in cui si chiederà la residenza all’uscita dal centro. L’accoglienza al centro avviene con l’accompagnamento di un operatore, realizzando un primo colloquio con il tutor di riferimento in cui si stabilisce il “contratto” previsto dalle linee guida dello Sprar. Tanto per l’accoglienza quanto per i successivi incontri con le referenti delle singole aree (sanitarie e formative) si utilizza il supporto di interpretariato da parte di uno dei tutor laddove necessario. Il tutor di riferimento realizza la presa in carico complessiva della persona, e ha un ruolo di accompagnamento nel suo percorso di inserimento nonché di fuoriuscita dal centro, e di valutazione delle specifiche esigenze espresse. Rispetto a queste, sono possibili delle deroghe alle norme generali che regolano la gestione di un centro per 50 persone per andare incontro alle singole necessità. Oltre ad un attento orientamento, che riguarda le specifiche aree sanitarie e formative, gli ospiti sono messi in condizione di muoversi sul territorio sia attraverso la dotazione di biciclette, e sia tramite la disponibilità di abbonamenti ai mezzi pubblici. Per tutti quelli che non lavorano e quindi privi di reddito, ovvero la maggioranza di

64


quelli appena arrivati, viene erogato un contributo economico di 77,50 euro mensili. L’assistenza sanitaria Tra i primi contatti al momento dell’inserimento nel centro c’è quello con la responsabile dell’area sanitaria, che è presente a tempo pieno salvo durante gli accompagnamenti degli ospiti ai servizi. Nel centro non è prevista alcuna forma di intervento medico, mentre si fa riferimento al vicino Ufficio di Igiene del Comune di Tessera, con il quale è attivo un protocollo formale di intervento. All’arrivo, nel giro di pochi giorni l’operatrice ha un colloquio con l’ospite con un supporto di interpretariato nel corso del quale si raccoglie l’anamnesi, si richiede un’eventuale documentazione prodotta ad altri servizi, e vengono spiegate in dettaglio le cose che si faranno insieme. La prassi prevede per ognuno una visita dermatologica per escludere eventuali malattie parassitarie, un prelievo del sangue per verificare HIV, epatite B, anticorpi e sifilide, il test per la positività alla tubercolosi, e l’iscrizione al Ssn. In occasione della prima visita dermatologica quindi l’operatrice porta l’anamnesi completa accompagnando l’ospite, e al ritorno, se è necessario l’interpretariato, spiega ciò che si è fatto, le modalità dell’eventuale cura prescritta e ciò che si deve fare nei giorni successivi affinché l’ospite si muova autonomamente. Le medicine sono fornite dal centro stesso. L’ospite viene responsabilizzato sulle cure e sulla profilassi, illustrandole all’inizio e monitorandone lo svolgimento. L’altro accompagnamento è quello alla Usl di Avaro, dove si fa la tessera sanitaria per il medico di base, e presso lo studio medico stesso perché possano visualizzare il posto e il percorso, avendo poi a disposizione sul tesserino i giorni e gli orari di ricevimento, l’indirizzo e il telefono. Si tratta quindi di un percorso di autonomia che prevede un buon supporto sia agli ospiti che ai

65


servizi, sulla base dell’esperienza dei possibili ostacoli che emergono in questa relazione. I casi di invalidità erano già presenti anche prima di attivare lo specifico progetto per categorie vulnerabili. Per questi, è prevista una proroga dei tempi di permanenza di ulteriori 3 mesi rinnovabili fino a un massimo di un anno. La professionalizzazione nel trattare questi casi ha previsto la costruzione di ulteriori contatti specifici: in primis, con psicologi della Usl di Avaro e di Venezia, e dell’Opera Buon Pastore. La certificazione di invalidità invece, viene fatta direttamente dall’Ufficio di Igiene, e c’è un rapporto ormai avviato con l’ufficio della Asl che invia la certificazione al Centro per l’Impiego. A partire dalla disponibilità di tutte le carte necessarie si presenta l’istanza, che richiede in tutto un tempo massimo di circa 2 mesi. Per gli interventi speciali quali le protesi si richiede al Servizio Centrale l’autorizzazione ad effettuare delle spese, mentre il budget del progetto copre costi quali gli occhiali, o le creme e pomate non esentabili. Tutte le altre spese quali visite, bustini o cure dentali sono in convenzione con il Ssn. Quando le spese sanitarie sono particolarmente costose e non sono urgenti, si rimandano a quando l’ospite lavorerà e sarà in grado di finanziarle. La formazione linguistica L’inserimento nel progetto Fontego è subordinato all’accettazione da parte dell’ospite della frequenza di un corso base di italiano curato all’interno dello stesso progetto da un’operatrice del Comune. Il passaggio per questa prima formazione linguistica è preliminare sia all’inserimento presso le scuole territoriali che all’avvio di altre attività formative. Il corso di base si svolge presso le strutture di accoglienza, quindi nel Boa in una piccola stanza adibita a scuola, ha una durata di 40 ore articolata in 2 volte a settimana nell’arco di circa 2 mesi.

66


L’avvio delle lezioni avviene ciclicamente circa ogni 2 mesi, per inserire progressivamente i nuovi arrivati che però hanno tempi di ingresso diversi tra loro e non sempre riescono a fruirne dall’inizio alla fine in maniera completa. Un’ulteriore difficoltà per la frequenza consiste nel fatto che, svolgendosi nei primi giorni della permanenza degli ospiti, può sovrapporsi ad altri appuntamenti in cui questi sono impegnati per la procedura della richiesta di asilo o per le visite sanitarie. L’offerta di corsi gratuiti è piuttosto diffusa sul territorio tramite i Ctp nelle scuole, con i quali esistono protocolli di accordo, e gli ospiti vengono indirizzati dall’insegnante che ne indica la collocazione, i giorni e gli orari di svolgimento. Inoltre vengono forniti, dalla piccola biblioteca del centro, alcuni testi per studiare autonomamente e si sta provvedendo ad acquistare alcuni corsi di italiano su cd rom per l’autoapprendimento. Di fatto, al momento della nostra visita presso il centro abbiamo potuto constatare che diversi ospiti tengono i libri di italiano in stanza o ripassano la sera gli appunti delle lezioni e lamentano il fatto di non conoscere abbastanza persone con cui parlare per imparare rapidamente la lingua. Dietro questa esigenza c’è evidentemente un bisogno di socialità, che è limitata all’interno del centro in cui si utilizzano per lo più, tra i diversi ospiti, le lingue veicolari più comuni. L’esigenza di imparare l’italiano è avvertita dalla maggior parte degli ospiti ma si accompagna all’urgenza di trovare un lavoro, soprattutto in vista della dismissione dal centro. Come testimonia la referente per l’inserimento lavorativo, c’è molta discontinuità nella frequenza dei corsi di italiano perché si rimanda la possibilità di impararlo al momento dell’inserimento nel mondo del lavoro, che però spesso è frenato proprio da questa carenza di conoscenza della lingua. Per supportare l’apprendimento della lingua all’interno del centro sono state organizzate, occasionalmente, anche altre attività laboratoriali funzionali

67


all’apprendimento, utilizzando la lettura, il teatro e la visione di film. La formazione e l’inserimento lavorativo La possibilità per gli ospiti di un rapido inserimento lavorativo dipende da molteplici fattori che riguardano le diverse condizioni in cui si trovano al momento dell’arrivo. In primo luogo il loro status giuridico, poi la padronanza dell’italiano, la presenza di specifiche competenze professionali o di qualifiche riconosciute, o adattabili alle esigenze locali, e in ultimo l’eventuale invalidità, frequente tra le categorie vulnerabili. A fronte di tutto ciò, ci si confronta poi con le domande del mercato del lavoro e della formazione professionale locale. L’avvio del percorso di orientamento lavorativo avviene in un secondo momento rispetto all’arrivo al centro, per il disbrigo delle altre attività di cui si è detto e soprattutto per attendere la definizione di uno status legittimo per lavorare. La referente dell’area fa un primo colloquio con l’ospite per illustrare i percorsi che attiveranno insieme, e conoscerne le eventuali esperienze o interessi, compilando insieme un curriculum vitae. Nel corso dell’orientamento poi si sperimentano le simulazioni dei colloqui con le agenzie e i datori di lavoro, per far acquisire l’abitudine a presentarsi. Il primo passaggio esterno al centro è quello dell’accompagnamento al Centro per l’Impiego per spiegare come funziona il servizio e fare l’iscrizione alle liste di disoccupazione che servirà per potersi iscrivere ai corsi di formazione sul territorio. Presso il Cpi è presente uno sportello immigrati dove l’ospite effettua un colloquio di valutazione delle competenze linguistiche e delle esperienze lavorative e riceve delle informazioni sui rapporti di lavoro esistenti. Si tratta di un primo passaggio formale utile per l’inserimento anche successivamente

68


all’uscita dal centro, attraverso il quale però raramente vengono segnalate opportunità di lavoro. In seguito l’ospite viene accompagnato alle agenzie di lavoro, molto numerose nella zona veneziana, che rappresentano lo strumento principale, insieme a quello della presentazione diretta presso le aziende, per trovare lavoro. Di norma l’operatrice riesce ad accompagnare ogni ospite a 2/3 agenzie per mostrargli la procedura di presentazione e la compilazione delle schede a cui viene sempre allegata la fotocopia del permesso di soggiorno e il curriculum, in seguito si muovono autonomamente. I rapporti con le agenzie del territorio sono ambivalenti: in alcuni casi l’azione di sensibilizzazione ha portato a una buona collaborazione e ad un rapporto di fiducia sull’attività di tutoraggio della cooperativa, mentre in altri casi vengono opposti ostacoli quali la richiesta di documenti, tra cui la carta d’identità e il passaporto, che gli ospiti non hanno. Per quanto riguarda la ricerca diretta presso le aziende, a cui tutti vengono indirizzati come migliore strumento per trovare lavoro, non è previsto l’accompagnamento. La ricerca di lavoro è quindi autonoma, e le occasioni di svolgere dei tirocini lavorativi è piuttosto limitata alla presenza di specifici progetti proposti sul territorio. I tirocini si rivelano lo strumento migliore per superare gli ostacoli del primo inserimento, permettendo agli ospiti sia di farsi conoscere dagli imprenditori e sia di avere un tempo per adattare le proprie precedenti esperienze e competenze a nuovi contesti lavorativi. Gli ospiti vengono anche informati sulle opportunità formative presenti sul territorio dalla referente dell’area, ma gli ospiti si rivolgono anche all’analogo servizio attivo presso lo sportello Asilo. L’operatrice valuta positivamente il fatto che si dirigano verso più servizi per reperire formazione o lavoro, nella misura in cui questo può accrescere le loro possibilità e permette loro di acquisire più dimestichezza nella relazione con i servizi, tuttavia

69


riconosce un limite nella mancanza di coordinamento stabile tra i servizi stessi su questa materia. Un coordinamento che consentirebbe di canalizzare meglio le risorse e di far circolare e integrare le diverse informazioni. I principali enti che fanno formazione professionale sul territorio si trovano a Padova, mentre a Mestre l’offerta di formazione è molto più limitata a quella delle agenzie interinali. Solo gli enti di formazione però offrono formazioni professionali di lunga durata, finanziate dal Fondo Sociale Europeo e quindi supportate anche da una borsa di studio. I corsi proposti dalle agenzie interinali sono meno professionalizzanti, e la risorsa più valida è l’offerta di brevi corsi pratici di italiano per presentarsi nel mondo del lavoro, che comprendono anche un pò di terminologia in dialetto veneto. Oltre a rappresentare comunque un’occasione di apprendimento, la frequenza di questi corsi permette anche un “aggancio” delle agenzie per i ragazzi, quindi si cerca di utilizzare al massimo questa opportunità. L’animazione Come si è detto la filosofia che orienta la gestione del centro è quella di renderlo uno spazio “aperto alla cittadinanza”. L’intento è quello di consentire la massima comunicazione tra le esperienze e le storie di chi vive presso il centro, o vi ha vissuto, e gli abitanti del territorio affinché si sviluppino socialità, conoscenza e sensibilità come premesse di una reale integrazione. Anche l’allestimento del campo di calcetto e l’organizzazione di un torneo che coinvolgeva ospiti, ex ospiti ed altre persone ha portato una maggior frequentazione del Boa anche da parte di esterni, inoltre gli ospiti del centro possono liberamente invitare durante il giorno altre persone negli spazi comuni del centro e nelle proprie camere, anche se la distanza dalla città non favorisce certo questa frequentazione. Lo spazio deve essere un luogo “vissuto”, ma si tende naturalmente a stimolare la frequenza di

70


altri spazi, tra cui quello della pratica sportiva, seguendo soprattutto gli interessi degli ospiti. Si sono così presi accordi con enti sportivi, che hanno avuto ulteriori ricadute anche in termini di rapporti di amicizia e di occasioni di collaborazione lavorativa per gli ospiti. L’animazione è quindi intesa sempre come ulteriore occasione di integrazione sociale e culturale e, ad eccezione di specifiche iniziative collettive, è in gran parte orientata dai bisogni espressi dagli ospiti nella relazione con il proprio tutor che cerca di attivare delle risorse ad hoc. La partecipazione degli ospiti Pur trattandosi di uno spazio collettivo, l’organizzazione permette una certa autonomia degli ospiti nella gestione dei propri ambienti e dei propri ritmi, con la significativa eccezione della fornitura dei pasti che è vincolata dai tempi dell’apertura della mensa. L’approccio utilizzato cerca di trovare delle mediazioni tra le esigenze di gestione di un numero così elevato di ospiti e il bisogno di autonomia nella loro quotidianità, perché l’obiettivo che si persegue è un’appropriazione degli spazi vissuti da parte degli utenti. La partecipazione quindi è un obiettivo, più ricercato che raggiunto effettivamente, perché di fatto gli ospiti vivono il centro come un luogo che non sono chiamati a gestire autonomamente e che rappresenta per loro solo una fase di passaggio. Parlando con gli ospiti, emerge che il momento presente è segnato dalla costruzione della propria vita nel contesto italiano, dalla ricerca di una stabilità lavorativa e di una maggiore socializzazione, tutti aspetti rispetto ai quali il centro è solo un incubatore. Anche l’assenza di una grande sala dove riunirsi non favorisce momenti di confronto collettivo, né tra tutti gli ospiti né con gli operatori. Nonostante ciò sono state organizzate delle riunioni di questo genere, sia in occasione di comunicazioni sul cambio

71


recente della normativa, che per spiegare l’allontanamento di un paio di ospiti che avevano “occupato” la struttura, sia per attivare un momento di scambio oltre che di informazione su specifici temi, come quello della casa e dell’abitare. 2.8 Valutazione dell’intervento e criticità Il progetto non prevede un’attività specifica di valutazione, e come si è detto la raccolta di dati sugli ospiti non è oggetto di elaborazione interna né al progetto né alle singole strutture di accoglienza. La valutazione dell’andamento dei singoli casi viene effettuata principalmente all’interno della relazione tra il tutor e l’ospite e nelle riunioni di equipe che però, come si è detto, si volgono spesso in maniera separata tra il sottogruppo del Comune e quello della Cooperativa. La presenza di una supervisione negli anni scorsi ha rappresentato una forma sia di sostegno psicologico per gli operatori che di valutazione partecipata del lavoro svolto con gli ospiti, ma la sua interruzione non ha lasciato posto ad altre forme analoghe di elaborazione o di confronto sul proprio operato, ad eccezione di incontri non regolari che si realizzano perlopiù nel sottogruppo di operatori della cooperativa. Queste occasioni sono organizzate intorno a un bisogno, quello di emergere dall’agire quotidiano scandito da tante domande – da quelle di chi è appena arrivato a quelle di chi ha esigenze legate alla lunga attesa – a cui è necessario reagire con tempi molto rapidi, rispetto alle quali “ci si ferma per fare il punto della situazione e riflettere su come vanno le cose”. Senza dubbio, sarebbe utile poter supportare le riflessioni di questi momenti di incontro con l’ausilio di un quadro d’insieme dei percorsi realizzati dagli ospiti, quadro disponibile solo a partire da un’analisi tuttora assente dei dati raccolti nel corso dell’intervento.

72


Nel corso della visita effettuata per la ricerca e nei dialoghi con gli ospiti non sono emerse aree di criticità legate alla gestione degli spazi o dei tempi, piuttosto una forte consapevolezza dei problemi da affrontare nel nuovo contesto: difficoltà a trovare lavoro, incertezza sugli esiti dell’audizione in commissione, assenza di cure specialistiche in convenzione quali quelle per i denti. Malgrado queste difficoltà, c’è una generale soddisfazione per il tipo di assistenza che viene fornita, della quale sono noti i limiti e le opportunità. Se non si può parlare certo di un “senso di casa” vissuto nella permanenza al centro, i commenti sono comunque positivi circa l’autonomia che offre la sistemazione in stanze in un centro aperto e la possibilità di derogare alle singole regole sulla base di richieste e di accordi puntuali con i tutor. E’ interessante rilevare che gli ospiti riconoscono la funzionalità dei servizi che vengono offerti al centro per raggiungere i propri obiettivi, facendo propria la prospettiva più volte sottolineata dagli operatori del doversi costruire autonomamente il “dopo”, quindi il proprio inserimento. Alcuni punti di criticità emergono dal racconto dei problemi che gli ospiti citano. In primo luogo riguardo la ricerca di lavoro, rispetto alla quale non si rilevano adeguate opportunità offerte né dal centro per l’impiego né dalle agenzie interinali del territorio. Il percorso di accompagnamento che viene praticato dagli operatori del centro è un valido strumento per l’autonomia, ma a fronte dei problemi che caratterizzano la condizione di nuovi arrivati sarebbe opportuno potenziare la collaborazione tra le diverse agenzie di ricerca lavoro in particolare in tre direzioni: - comunicazioni sulle opportunità formative e occupazioni rilevate sul territorio; - individuazione di risorse per la realizzazione di tirocini lavorativi; - sensibilizzazione e fidelizzazione di agenzie interinali e datori di lavoro.

73


L’altro problema espresso più frequentemente è quello della lingua e della possibilità di acquisirne la pratica attraverso la conversazione. La distanza del Boa dai centri abitati e l’urgenza di trovare un lavoro in vista della dismissione limitano molto la scelta di andare a frequentare i corsi di italiano presso i CTP, il cui carattere tra l’altro è valutato come non sufficientemente intensivo. Per quanto riguarda il corso interno di italiano, l’attuale impostazione presenta altri aspetti disfunzionali: - non consente a ogni nuovo ospite una frequenza completa (cioè dal principio), - si sovrappone in orario diurno a molti appuntamenti inderogabili quali quelli legati alla procedura di richiesta di asilo o medici; - non è sufficientemente intensivo rispetto ai tempi di permanenza e all’obiettivo di fornire dei primi strumenti per avviare i successivi percorsi sia di apprendimento della lingua che di ricerca di lavoro. Anche le attività di supporto linguistico interne al centro si rivelano troppo episodiche per consentire un apprendimento continuo di cui gli ospiti avvertono fortemente il bisogno, ma che rimandano continuamente a un futuro in cui questo si possa integrare in una quotidianità più “normale”. Interrogati sulle attività di animazione svolte dal centro, nessuno degli ospiti ha evocato le iniziative che sono state realizzate, a significare un debole coinvolgimento o la poca rispondenza alle loro aspettative in questo senso. Sarebbe opportuno quindi valorizzare maggiormente la partecipazione in questo ambito, soprattutto per la connotazione che gli viene attribuita dalla cooperativa di potenzialità insieme di comunicazione e di integrazione con la società circostante.

74


3. Roma. Il centro Baobab13 di Luca Bicocchi e Giuliana Candia

Il Baobab è luogo di accoglienza nato su iniziativa dell’associazione Erythros nel 2005 come soluzione abitativa per dei richiedenti asilo eritrei ed etiopi fino ad allora coinvolti in un’occupazione abusiva, poi sgomberata dal Comune di Roma. Il Comune ha offerto un sostegno economico e politico a questa esperienza, che si caratterizza per la parziale autogestione da parte dei residenti e per l’apertura del locale e dei suoi servizi alla cittadinanza. Attualmente il centro Baobab dispone di circa 160 posti letto senza un limite di permanenza prefissato, e l’impostazione del regolamento interno è basata sulla responsabilizzazione della comunità che vi risiede. 3.1 Il contesto territoriale romano La città di Roma rappresenta da sempre il principale luogo in Italia di presenza di Raru. Tra i fattori che hanno da sempre condotto gran parte di questi a stabilirvisi, anche temporaneamente c’è la presenza della Commissione Centrale, 13

Lo studio è stato realizzato a partire da un’osservazione partecipante della durata di circa due settimane con gli ospiti del centro e dalla realizzazione di alcune interviste semi strutturate con gli operatori e di molti dialoghi informali con gli ospiti.

75


l’unico organo - fino alla riforma dell’aprile 2005 - preposto all’analisi delle domande d’asilo. I lunghissimi tempi d’attesa (secondo gli operatori del settore in media 18 mesi), e l’assoluta mancanza di controllo sui tempi per la convocazione hanno fatto sì che le persone restassero di fatto vincolate a stabilirvisi anche in assenza di uno specifico progetto migratorio centrato sulla capitale. Un altro fattore attrattivo determinante è rappresentato dalla presenza diffusa – e ormai “storica” in alcuni casi – di comunità e reti informali di migranti di ogni nazionalità e nello specifico di quelle che negli ultimi anni hanno fatto registrare alti numeri di richieste d’asilo. E’ in primo luogo la presenza di queste reti comunitarie che rappresenta per i nuovi arrivati un’opportunità di inserimento (ancorché precario) in attività lavorative informali, le sole accessibili in attesa della definizione di uno status. I richiedenti asilo che giungono in città sono molto numerosi quindi, ma solo una parte di loro si stabilizza in maniera definitiva, come testimoniano le interviste effettuate, mentre per molti altri resta solo un luogo di transito e da cui si sviluppano nuovi flussi migratori in direzione di altre città sia italiane che estere. La risposta del Comune di Roma in termini di accoglienza è consistente ma mai sufficiente a coprire il fabbisogno che si determina. Attualmente l’Ufficio Immigrazione gestisce 16 centri di accoglienza per Raru per un totale di 720 posti, dislocati in parte nella città e in parte in estrema periferia, per diverse tipologie, cioè donne, nuclei famigliari, uomini. I posti sono così suddivisi: 318 posti per uomini, di cui 52 in un centro aperto anche a famiglie, 98 per donne, di cui 50 in un centro aperto anche a famiglie e 304 per famiglie.14 Recentemente (a partire dal 2006) tali centri sono stati aperti anche a persone in possesso di permesso di soggiorno per motivi di lavoro, che si trovano in 14

I dati, forniti dall’Ufficio Immigrazione, si riferiscono al 2005.

76


particolari difficoltà. Accanto a questi vi sono poi i centri per senza fissa dimora non direttamente rivolti a persone immigrate e tanto meno richiedenti asilo, ma che di fatto ospitano anche queste categorie, e i posti in accoglienza salgono così a circa 2.000/2.500. Come è testimoniato da tutti gli attori del sistema locale di accoglienza i posti sono assolutamente insufficienti e il Comune gestisce di fatto una situazione di emergenza praticamente continua. Una fotografia di questa situazione appare da una rilevazione effettuata nel 2003 dal Centro Astalli sui richiedenti asilo presenti in città15, dalla quale emerge come quasi il 18% di loro risultava privo di alloggio, di cui una parte non era mai entrata in un circuito di accoglienza, o aveva già usufruito dell’accoglienza istituzionale per il periodo massimo consentito. Tale problematica è stata analizzata anche, più recentemente in un ricerca comparata tra Roma, Londra e Berlino. Il dato che ne emerge riguardo l’alloggio è una stima annua di circa 6.000 richiedenti asilo senza fissa dimora l’anno, molti dei quali non si trattengono in Italia per più di un mese16. Come appare evidente anche dalle ricerche menzionate, questa situazione di continua emergenza alloggiativa, fa sì che molte persone trovino dei ripari precari in stabili abbandonati o in accampamenti di fortuna all’aperto. A partire da questa situazione quindi, un peso sempre più importante è stato acquisito dalle occupazioni di stabili dismessi. Tale pratica è cresciuta molto negli ultimi anni e oltre l’aspetto di denuncia politica essa rappresenta sempre di più un’alternativa concreta al bisogno di una sistemazione alloggiativa per queste categorie. 15

Quaderni del Centro Astalli, Storie di diritti negati. I risultati di un’attività di monitoraggio a Roma, Quaderni/3, Roma, Settembre 2003. 16 A.A.V.V, Europa terra d’asilo. Accoglienza e integrazione di richiedenti asilo in tre capitali europee, Fondo Europeo per Rifugiati, Roma, 2004.

77


A guidare le occupazioni in cui sono coinvolti Raru e altri migranti sono stati anche storicamente gruppi dell’associazionismo italiano, e negli ultimi anni si è distinta in particolare Action come realtà che pone il diritto alla casa al centro delle proprie iniziative. Queste realtà mettono a disposizione sia la conoscenza del territorio e della situazione immobiliare dei locali che si va ad occupare, e sia il sostegno organizzativo nonché politico per portare avanti l’insediamento di centinaia di persone e la successiva rivendicazione presso le istituzioni. 3.2 L’associazione Erythros L'associazione Erythros nasce informalmente nel febbraio del 1993 con il nome di "Gruppo Giovani Eritrei" all’interno dell’associazione di volontariato laico Casa dei diritti sociali. Da questa base originale il gruppo incorpora altri membri, assumendo una connotazione multietnica, ed altre aree di interesse non solo connesse alle problematiche dell’Eritrea. A partire dal 1998 nasce formalmente Erythros come “associazione di volontariato laico di promozione e difesa dei diritti umani e sociali a favore dei settori più deboli della popolazione sia in Italia che nel Sud del mondo”. Le attività d’intervento che Erythros ha sviluppato sono molteplici e hanno riguardato differenti situazioni di marginalità sociale, e in particolare si sono rivolti a senza fissa dimora, vittime di tratta e richiedenti asilo. Attualmente, l'Associazione assiste circa 8.000 utenti ogni anno e conta circa 200 associati e 45 soci volontari attivi, divisi in gruppi di lavoro. La filosofia d’intervento che caratterizza tutti i progetti dell’associazione è quella di promuovere e potenziare le capacità individuali e sociali della persona, cercando di favorire in questo modo una riacquisizione della consapevolezza dei suoi diritti e favorendo così un progressivo re-inserimento nella società. Un altro aspetto

78


distintivo è l’integrazione, sia come volontari che come personale professionale, degli ex utenti nelle sue attività. Nei riguardi dei migranti, in particolare, l’approccio è quello di riconoscere la dignità dei loro progetti migratori e di fornire la consapevolezza dei propri diritti per condurli all’autonoma gestione dei propri percorsi. La visione che sottolinea le risorse e la possibilità di emancipazione dei migranti dall’aiuto assistenziale è indissociabile dall’esperienza soggettiva di migrazione prima e di intervento con e per i migranti svolta dal nucleo originario dell’associazione, che fa di questa un caso unico nel panorama romano. In un certo senso il percorso che ipotizza il presidente di Erythros parlando del centro Baobab è simile a quello della sua associazione, cioè di un modello che passando attraverso una cogestione prima ed un’autogestione poi, debba necessariamente concludersi nello sviluppo di una realtà organizzativa autonoma. “Il loro destino è votato per diventare un qualcosa simile al nostro, perché comunque per gestire una comunità ci vogliono delle professionalità, e queste vengono dal momento in cui ti trasformi da autogestione in cooperativa, altrimenti il percorso non avrebbe senso”. 3.3 La nascita del centro Baobab L’esperienza del Centro di accoglienza Baobab inizia nel luglio del 2005 su iniziativa dell’associazione Erythros, in concorso con l’Unità operativa del Comune di Roma, come centro di prima accoglienza per dare una sistemazione a parte delle centinaia di persone sgomberate dallo stabile occupato presso la Stazione Tiburtina. Come è stato accennato, in risposta all’estrema difficoltà di trovare una sistemazione alloggiativa una delle pratiche che in questi ultimi anni si è diffusa particolarmente

79


anche tra gli immigrati e i richiedenti asilo, è quella di occupare stabili, per la maggior parte dei casi pubblici, dismessi. Tra queste una delle più significative è stata quella presso la Stazione di Roma Tiburtina, dove a partire dal 2001 circa erano stati occupati due capannoni dismessi di proprietà delle Ferrovie dello Stato, ribattezzata “Hotel Africa” per la presenza di circa 5/600 tra richiedenti asilo e rifugiati principalmente di origine africana. Durante il lungo periodo dell’occupazione si era rafforzato il legame tra le differenti comunità nazionali presenti, e il gruppo degli eritrei ed etiopi in particolare aveva un ruolo ed un peso importante. Gli occupanti avevano avviato una forma di auto organizzazione interna attraverso l’istituzione di un comitato con funzione di gestione interna e di rappresentanza verso l’esterno. Attorno a questa realtà si è sviluppato inoltre un tavolo di coordinamento che vedeva la presenza, oltre al comitato, di diverse associazioni di promozione dei diritti dei migranti e del Comune di Roma. Al momento della decisione del Comune di effettuare lo sgombero è stato definito un censimento degli occupanti e, parallelamente, è stato attivato uno sportello informativo in loco per coordinare e gestire il trasferimento verso altre soluzioni di accoglienza. Una delle richieste emerse con forza dal comitato è stata quella di poter fruire di una nuova sistemazione che continuasse a garantire un ampio margine di autonomia e di autogestione. In questa situazione l’associazione Erythros, in parte per le possibilità di comunicazione e mediazione diretta con il gruppo eritreo-etiope, e in parte per il progetto proposto di una diversa forma di accoglienza e autogestione, ha rappresentato un interlocutore privilegiato con questa comunità. Come previsto quindi da accordi tra l’associazione, il Comune di Roma e una parte degli occupanti, si è realizzato il trasferimento di 150 persone presso un ampio stabile vicino la Stazione Tiburtina di proprietà del Comune e affidato a Erythros.

80


Tale sistemazione ha rappresentato per il Comune un tentativo sperimentale per dare risposta a quell’istanza comunitaria che non ha trovato spazio invece per il resto degli occupanti, collocati nelle strutture di accoglienza comunali. L’insoddisfazione per le soluzioni alternative individuate, oltre all’insufficienza dei posti offerti17 ha fatto sì che questa popolazione organizzasse, con l’apporto di Action, una nuova occupazione in uno stabile di 7 piani alla periferia est della città, sulla via Collatina. Con il tempo e la decorrenza dei tempi massimi di permanenza nei centri comunali si sono aggiunti altri occupanti, e attualmente gli abitanti dello stabile di via Collatina hanno raggiunto le stesse dimensioni di quelli dell’ex Hotel Africa. In questa sede anche la struttura organizzativa è rimasta parzialmente simile, caratterizzata da una gestione interna di un comitato, la ripartizione degli spazi per singoli, coppie e nuclei con figli, la presenza di alcuni commerci gestiti dai residenti sulla base di aste. Anche qui ritroviamo una forte maggioranza di eritrei ed etiopi con i quali, a detta di un rappresentante del Comitato, esistono varie forme di collegamento con il centro Baobab. Pur vivendo in contesti differenti e che implicano spesso percorsi e/o progetti migratori diversi infatti, gli abitanti di Baobab e Collatina si riconoscono come parte di un’unica comunità, all’interno della quale scorre una fitta rete di relazioni sociali. Inoltre, rappresentando i due luoghi dei contesti abitativi rispondenti a tipi di esigenze piuttosto diverse, si è assistito sin dalla loro istituzione a un movimento di persone dall’uno all’altro a seconda della definizione di scelte e percorsi individuali18. 17

Molte persone che abitavano a Tiburtina erano, al momento dello sgombero, impegnati fuori città per lavori stagionali. Rientrati a Roma, sono rimasti senza alloggio nell’occupazione e senza un posto riservato in accoglienza. 18 Diversi ospiti del Baobab provengono da Collatina e viceversa. Come sottolinea il rappresentante del comitato chi abita a Collatina ne

81


3.4 Gli spazi e i rapporti con il quartiere La struttura del centro Baobab è un ex-magazzino industriale completamente ristrutturato ed è composta da un ampio ingresso arredato con divani, un bancone di portineria e una piccola biblioteca, 41 stanze da 4 posti letto e grandi bagni comuni. In occasione dei primi lavori la struttura era stata costruita con 10 grandi camerate con l’obiettivo di passare poi progressivamente alla loro ulteriore suddivisione in stanze, come poi è avvenuto. Sono inoltre presenti altre sale per fornire servizi utili per la comunità: uno spazio con telefoni, Pc e internet, un bar, una lavanderia, un servizio di barbiere, un piccolo spaccio di prodotti artigianali eritrei ed etiopi, un ambulatorio medico per le emergenze, una sala mensa e una cucina. All’esterno della struttura l’ingresso affaccia su un cortile asfaltato, utilizzato in parte come parcheggio e per il carico e scarico di rifornimenti (per la cucina, la lavanderia ecc) e in parte allestita come area ricreativa con tavoli, sedie e un biliardino. Anche durante i mesi in cui è stata svolta l’osservazione del funzionamento del centro (gennaio-luglio 2006) sono stati effettuati lavori di ristrutturazione ulteriori, interamente svolti dagli abitanti stessi del centro. L’estetica è molto curata, e gli ultimi lavori sono andati sempre più nella direzione dell’abbellimento di tutti gli spazi comuni, della rispondenza alle abitudini di chi vi abita e ai modi di fruizione dell’abitazione e, in alcuni aspetti, alle specificità della cultura di appartenenza19.

rivendica il differente grado di autonomia e di libertà dato anche dalla possibilità di abitare con un partner o con il proprio nucleo familiare. 19 Nei successivi lavori di ristrutturazione della sala bar, è stata costruita una piccola area chiusa per permettere a chi, non avendo potuto mangiare nella mensa per problemi di orario, o venendo dall’esterno, vuole pranzare o cenare li. Secondo le abitudini dei paesi di origine infatti è

82


Di fatto il centro è passato attraverso varie ristrutturazioni dal momento dell’apertura ad oggi, e queste sono sempre state fatte coinvolgendo l’utenza. In questo modo il tentativo è stato quello di dare la possibilità agli ospiti di appropriarsi degli spazi, favorendo così un maggior senso di appartenenza delle persone al centro stesso. Dopo le varie ristrutturazioni oggi il centro appare molto confortevole sia negli spazi comuni che nelle camere. Queste ultime, a riprova di un accresciuto senso di appartenenza delle persone rispetto agli spazi abitati, sono state “personalizzate” dagli ospiti con poster, fotografie e oggetti personali. La zona in cui è situata la struttura è molto centrale e ben collegata dai mezzi pubblici. Pur trattandosi di una zona residenziale, bisogna dire che nelle immediate vicinanze del centro sono presenti principalmente altri capannoni industriali adibiti ad uso commerciale e altre strutture industriali; nelle vie circostanti invece ci sono abitazioni, l’Università e altri uffici. Per quanto riguarda il rapporto con il contesto circostante, parlando con i residenti del centro non è stato riferito nessun episodio particolare di tensione con il vicinato ma piuttosto una certa sorpresa e incredulità da parte di quei vicini che si sono avvicinanti al centro e hanno scoperto che era un centro di accoglienza di dimensione così significativa. Durante l’ultimo anno inoltre, i lavori in cui sono stati coinvolti i residenti del Baobab hanno riguardato oltre che i locali del centro stesso, anche un altro grande stabile industriale sempre di proprietà del comune e affidato a Erythros che è stato ristrutturato ed adibito a locale per feste, conferenze, spettacoli culturali e in generale come ristorante. Tale progetto ha significato per il centro un’importante apertura all’esterno, acquisendo una maggiore visibilità nella zona ed inopportuno mangiare in presenza di chi non mangia, e questa sistemazione permette un maggiore confort per chi deve consumare il proprio pasto.

83


anche a livello politico istituzionale. La costruzione del locale trova la sua principale motivazione quindi nella volontà dell’associazione di favorire l’apertura del centro all’esterno, incoraggiando così un dialogo con i soggetti istituzionali e non presenti sul territorio. Un risultato importante in questo senso è il fatto che, tra l’altro, il comitato di quartiere abbia deciso di tenere le sue riunioni all’interno del centro di accoglienza Baobab. Il centro Baobab fin dalla sua costituzione non è entrato a far parte della rete di progetti dello Sprar in quanto gestito autonomamente dall’associazione Erythros sebbene con il sostegno, come si è detto, del Comune di Roma. Tale sostegno non si traduce in una convenzione in conformità con l’esigenza espressa dall’associazione in tutti i suoi interventi di agire in maniera autonoma e sperimentare forme di intervento più flessibili di quelle consentite da un rapporto stretto con l’istituzione. Il rapporto con il Comune traduce quindi l’interesse dell’amministrazione di portare avanti una sperimentazione altamente innovativa con un apporto finanziario relativamente modesto e comunque non sufficiente a coprire i costi di mantenimento della struttura. 3.5 L’utenza del centro L’utenza del centro è, come detto, principalmente eritrea ed etiope anche se dal momento dell’apertura c’è stato un progressivo allargamento ad altre nazionalità. Attualmente le proporzioni delle diverse nazionalità è di circa il 5-10% di sudanesi, il 35-40% di etiopi e il 50-60% di eritrei. Si tratta di un centro per soli uomini, per la grande maggioranza giovani tra i 18 e i 25 anni, anche se sono presenti alcuni casi di persone più anziane. La principale modalità di accesso, come vedremo meglio in seguito, continua ad essere quella comunitaria; la conoscenza del centro all’interno della vasta comunità etiope ed eritrea

84


presente a Roma. Conferma di ciò è data dalla presenza, durante il giorno, di persone provenienti dall’esterno delle stesse nazionalità (e principalmente persone che vivono nelle altre occupazioni della città, soprattutto Collatina). Queste persone possono entrare ed usufruire di tutti i servizi presenti senza limitazioni, dai servizi primari quali quelli igienici, le docce o la fornitura di pasti ai servizi più commerciali, quali il bar e la proiezione di film o partite di calcio. Il centro è rivolto a richiedenti asilo e rifugiati, e di fatto la grande maggioranza delle persone ospitate, circa l’80%, ha un permesso di soggiorno di tipo umanitario. I posti letto disponibili sono 150 ma, come illustra il responsabile di Erythros, i posti variano in base alle esigenze ed alla stagione. D’inverno, durante i giorni “dell’emergenza freddo” Baobab si apre ai senza fissa dimora e vengono ospitate fino a 180 persone, con posti letto aggiuntivi e sistemazioni provvisorie notturne anche lungo uno dei grandi corridoi. In queste contingenze gli ospiti si sono dimostrati molto tolleranti e comprensivi, perché nonostante i disagi che inevitabilmente tale situazione comportava, nessuno ha espresso a riguardo lamentele né si sono verificate tensioni dovute al sovraffollamento. La gestione dei posti è molto flessibile ed è per questo motivo che i numeri reali dell’accoglienza, anche notturna, sono in realtà superiori a quelli dei posti letto. Secondo il regolamento interno infatti una persona può assentarsi anche per periodi lunghi, fino a tre mesi, per cercare lavoro in altre città, sbrigare le pratiche per i documenti se registrati altrove, o per altri motivi, senza perdere il proprio posto in accoglienza. Tale possibilità fa si che spesso vi siano dei posti vacanti, che non restano però vuoti in quanto in quel periodo vengono assegnati a chi in quel momento ha necessità e chiede accoglienza. Tale ingresso viene gestito direttamente dalla comunità, nel senso che sono gli ospiti che svolgono funzione di operatori, ricevendo comunicazione da parte

85


di chi si allontana sulla durata della sua assenza, regolano la disponibilità dei posti e coordinano il turn-over. L’accoglienza può essere temporanea, e in tal caso la persona ospitata ne è consapevole, o durare anche più a lungo, fino al caso in cui vi sia una fuoriuscita definitiva dal centro, e in questo caso la persona che occupava il letto temporaneamente lo sostituisce. “Se noi accogliamo 150 persone in teoria in un mese, di fatto noi ne accogliamo 300, perché c’è un turn-over velocissimo, per quello che noi chiamiamo ingresso d’emergenza, ma anche per la persona che magari vive a Padova ma deve ritirare il permesso di soggiorno qui a Roma e viene e dorme al centro per qualche giorno.” 3.6 Il percorso verso la co-gestione Il modello particolare di gestione del centro Baobab rispecchia le caratteristiche specifiche della popolazione che vi risiede attualmente, oltre che la filosofia che caratterizza l’intervento di Erythros. Si vuole infatti sottolineare qui come gli abitanti compongano una comunità piuttosto omogenea per area di provenienza, lingua e cultura oltre che per l’esperienza vissuta non solo di migrazione, ma anche di passaggio attraverso le maglie della mancata o inadeguata accoglienza in Italia. Inoltre l’esperienza forte che l’ha caratterizzata è stata senz’altro quella dell’autogestione in autonomia di spazi propri e collettivi all’interno dell’ex Hotel Africa, che ha permesso la maturazione di una maggiore consapevolezza nella definizione di sé come soggetto anche politico. La proposta dell’associazione Erythros ha tentato di coniugare le richieste espresse dalle persone, con la necessità da un lato di sottostare alle regole base che sono proprie dei centri di accoglienza tradizionali e dall’altro di rendere possibile il passaggio verso l’auto gestione con un percorso di progressivo

86


accompagnamento. Un percorso che rappresenta un passaggio necessario a garantire sia mediazione che apprendimento del contesto sociale, politico e istituzionale all’interno del quale questa realtà si sviluppa. Secondo il Presidente di Erythros “le persone appena arrivate non sono in grado di autogestirsi, perché non conoscono la legislazione, il modus operandi, la gente ecc..” In un primo momento quindi la gestione del centro è stata affidata ad operatori dell’associazione insieme a mediatori culturali (cittadini italiani di origine eritrea). Da parte dell’associazione era stato poi redatto un regolamento su cui strutturare le regole di funzionamento del centro. Accanto agli operatori esterni era stato comunque costituito un comitato interno composto di tre rappresentanti eletti tra gli ospiti del Baobab. Questo comitato agiva da portavoce della comunità e poi con un passaggio graduale, via via le figure esterne sono diminuite per essere sostituite da operatori interni, verso una sempre maggiore autogestione. Tale passaggio è stato tutt’altro che semplice, e si è articolato nel corso del tempo per far sì che si creasse una comunità in grado di autogestirsi. Attualmente sono rimaste circa una ventina di persone che sono entrate all’inizio dell’esperienza di Baobab, e che hanno quindi sperimentato tutti i passaggi che hanno portato all’autogestione, mentre gli altri sono arrivati dopo, in momenti diversi. Questi ultimi ereditano in qualche modo ciò che è stato fatto in quasi due anni di lavoro. Il regolamento esiste ancora ma ormai molte delle regole sono superate e di fatto la trasmissione delle leggi che regolano il centro avviene oralmente all’interno del gruppo, da coloro che sono da più tempo in accoglienza verso i nuovi arrivati. Così molte delle regole previste all’inizio sono decadute: inizialmente ad esempio era previsto che il centro venisse chiuso a mezzanotte. Di fatto oggi gli ospiti possono entrare anche la sera per venire incontro alle esigenze di chi lavora la notte. In linea generale, quello che si è cercato di portare avanti è un

87


cambiamento che rendesse le regole più funzionali rispetto alle esigenze delle persone. In questo senso si inquadra il fatto che adesso spesso sono applicate ad personam, secondo le differenti esigenze del singolo. La responsabilità di applicare le regole secondo le differenti esigenze dei singoli, e la sensibilità di applicarle caso per caso senza creare dei conflitti interni ricade sulle spalle di un comitato unificato di cui fanno parte rappresentanti della comunità che vive nel centro e rappresentanti di chi ci lavora. Tale comitato è composto quindi di quattro persone operanti come rappresentanti di chi risiede nel centro e di altri quattro residenti che svolgono le funzioni di operatori stipendiati. 3.7 Entrate, uscite e turn over Le modalità di arrivo al centro sono prevalentemente quelle legate al passaparola non solo all’interno della comunità etiope-eritrea, ma anche – e sempre più – della più vasta popolazione migrante senza fissa dimora. In questo senso è praticamente residuale l’invio da parte di servizi pubblici o del privato sociale, se non altro per la maggiore rapidità e immediatezza con cui i migranti acquisiscono informazioni attraverso le reti informali e “dalla strada”. I percorsi e le storie delle persone ospitate nel centro si differenziano poi a seconda del loro arrivo in Italia. Tra le persone ospitate attualmente è ormai ridotto il gruppo di coloro che sono entrati passando dall’esperienza di Tiburtina e che vi risiedono da più di un anno. Tra quelli che sono entrati successivamente alcuni sono giunti poco dopo l’arrivo in Italia, mentre altri sono entrati dopo un periodo di attesa. Il modello della catena migratoria fa sì che la conoscenza del centro non si fermi alle persone già presenti nella realtà romana, ma ripercorra la filiera migratoria fino al paese d’origine, così che accade che le

88


persone si muovano dal paese di origine con già in mano l’indirizzo del Baobab. Al momento dell’ingresso viene compilata una scheda di registrazione raccolta nella struttura e archiviata dall’associazione, in cui vengono inseriti i dati della persona. A differenza degli altri centri di accoglienza, non è previsto un tempo massimo di permanenza e la modalità di dismissione è volontaria. Si può essere espulsi nel caso venga segnalato per tre volte un comportamento non conforme alle regole, ma nell’esperienza di tutti i residenti che hanno svolto funzioni di responsabilità sin dal suo avvio non si sono mai presentati casi di questo tipo. La maggioranza delle persone che ne sono uscite ha proseguito il proprio percorso migratorio verso altri paesi, e secondo le registrazioni dell’associazione Erythros rientra in questa tipologia quasi il 90% delle persone che hanno lasciato il Baobab. Questo dato conferma una delle caratteristiche dei flussi di richiedenti asilo – ma più in particolare di quelli originari dal Corno d’Africa – verso il nostro paese, che è quello di rappresentare, all’interno dei loro percorsi migratori, più un paese di transito verso altre destinazioni, in particolare del nord Europa, che di radicamento. Questo aspetto deriva, com’è noto nell’esperienza di chi opera nel settore, in parte dalle scarse opportunità di accoglienza e inserimento esistenti in Italia e in parte dalla solidità delle reti sociali di numerose comunità etnico nazionali presenti in Germania, ad esempio, per i kurdi turchi o in Gran Bretagna per i somali. Entrambi questi fattori, validi sia per chi ha già ottenuto uno status come per chi attende ancora l’esito della propria domanda, operano in maniera così determinante da spingere molti richiedenti asilo ad affrontare l’espatrio malgrado la consapevolezza del rientro forzato cui possono essere sottoposti per la Convenzione di Dublino.

89


Un’altra parte minoritaria, ma comunque significativa, delle persone uscite si è mossa verso le occupazioni abusive di stabili dismessi di cui si è parlato (ve ne sono diverse di dimensioni più ridotte nella città), e questo gruppo rappresenta circa il 10% circa delle fuoriuscite. La motivazione principale che si individua in tale scelta è quella di poter trovare nelle diverse occupazioni, pur nella precarietà della situazione, la possibilità di vivere una condizione abitativa più normale, nella quale condividere lo spazio dell’alloggio con il partner o con la famiglia. Infine un ultimo gruppo, assolutamente minoritario, è rappresentato da coloro che sono usciti dal centro in seguito al reperimento di un’occupazione e di una casa. Il numero di questi casi che corrispondono a un ideale percorso virtuoso di inserimento è di 38 persone, e rappresenta soltanto il 2% degli ingressi totali. Se considerato alla luce dell’obiettivo di inserimento nel tessuto sociale della città, questo aspetto evidenzia senza dubbio una debolezza del Baobab, tuttavia la qualità dell’accoglienza di cui possono fruire i residenti nel corso della permanenza rappresenta un indicatore di efficienza rispetto ad un altro obiettivo: quello di rispondere alle esigenze dei loro diversi progetti migratori. 3.8 Il funzionamento del centro Gli orari La gestione quotidiana degli spazi ha degli orari di massima rispetto ai quali vige una flessibilità che tiene conto delle diverse situazioni vissute da chi vi abita. La mattina è il momento dedicato alle pulizia del centro, che si svuota e resta chiuso fino alle 13. Per il resto della giornata è aperto e dalle 19.30 circa fino alle 22 viene servita la cena. Interna alla struttura c’è la cucina, dove il personale addetto prepara i pasti sia per i residenti che per tutti i centri in gestione all’associazione. Per la distribuzione dei pasti viene dato ai residenti un tesserino mensile che viene

90


timbrato giornalmente al consumo. Per il servizio di distribuzione dei pasti nella sala mensa vi sono due persone incaricate e retribuite dall’associazione, supportate da altri due residenti, secondo un sistema di turnazione tra le camere. Generalmente vengono preparati per la cena 10-15 pasti in più rispetto al numero degli utenti. I pasti avanzati quindi vengono distribuiti tra le persone esterne che spesso sono presenti. In questo caso vengono date delle tessere monouso distribuite all’ingresso. Il centro infatti è aperto a persone esterne durante il giorno e, previa autorizzazione degli operatori all’ingresso, le persone possono restare anche la sera. Dopo la cena le persone che non risiedono stabilmente devono uscire e si chiude formalmente a mezzanotte, mantenendo un servizio di portineria per chi deve rientrare in orari notturni. Il personale impiegato Il personale impiegato nella gestione del Baobab è ormai quasi completamente composto da persone che vi abitano. Per la gestione dell’ingresso e come referenti generali di Erythros all’interno, sono stati scelti 4 operatori sociali tra gli ospiti. A loro è affidato il compito di gestione generale, di informazione e orientamento dei residenti e delle entrate e uscite giornaliere. Gli operatori sono stati scelti dall’associazione tra coloro che facevano parte del gruppo iniziale di Baobab e in base alle loro competenza e capacità. Accanto a queste figure di gestione diretta del centro e del suo funzionamento ordinario, vi sono le altre figure che gestiscono i diversi servizi e che sono anch’esse retribuite dall’associazione: i già citati operatori del servizio mensa e altri due addetti pulizie. Oltre questi vi sono coloro che svolgono un’attività lavorativa ma non alle dipendenze di Erythros bensì autonoma di gestione diretta di un servizio, e sono due addetti al phone center, due al bar, uno alla lavanderia, un barbiere e uno al piccolo negozio di artigianato. Le persone che

91


lavorano alle cucine non fanno strettamente parte di questo personale perché non lavorano solo per il Baobab in quanto effettuano un esteso servizio di catering. Tutte queste persone, sebbene siano stipendiate dall’Associazione Erythros sono scelte per estrazione casuale tra i residenti e ricoprono l’incarico per un periodo di 6 mesi al termine del quale lo lasciano ad altri. Questa modalità di attribuzione di incarichi interni corrisponde a diversi obiettivi, in quanto al tempo stesso rappresenta un modo per fornire opportunità lavorative e formative, per responsabilizzare verso la struttura nonché garantire un suo ordinato funzionamento. Il lavoro all’interno della situazione di accoglienza è di fatto a tempo determinato, quindi le persone sono consapevoli di doversi attivare per la ricerca lavoro successiva alla scadenza del loro mandato, e acquisiscono capacità di gestione di servizi e attività molto diffuse nel mercato del lavoro romano (quali appunto phone center, lavanderie ecc). Le altre figure di supporto alla gestione del centro sono un coordinatore e un responsabile e supervisore dell’associazione Erythros, e l’interlocutore del Comune di Roma. Esternamente al centro operano anche, sempre per conto dell’associazione altre figure professionali presso lo sportello di informazione, orientamento e consulenza legale aperto da 10 anni nei pressi della Stazione Termini. Qui lavorano un operatore e mediatore culturale, 3 operatori volontari, presenti 3 volte a settimana, e 2 avvocati, presenti 2 volte a settimana.

I servizi I servizi offerti possono essere suddivisi tra quelli che si trovano all’interno del centro stesso e quelli che fanno riferimento allo sportello appena citato. In generale la politica che l’associazione porta avanti è quella di mettere le persone in condizione di

92


esercitare i propri diritti raggiungendo più rapidamente possibile l’autosufficienza nel nuovo contesto. Secondo il fondatore di Erythros il riconoscimento dell’autonomia e della dignità del progetto migratorio è un aspetto fondamentale nella relazione di aiuto con persone che hanno lasciato il proprio paese tra mille difficoltà e a rischio della propria vita per migliorare le proprie condizioni. Questo approccio porta al riconoscimento e alla legittimazione della vita comunitaria come modalità funzionale di inserimento nel nuovo contesto, senza per questo voler esaurire all’interno della struttura di accoglienza l’insieme dei bisogni di chi vi abita. Al contrario, la spinta è verso un’autonomia nella fruizione dei servizi presenti sul territorio. I servizi interni al centro I servizi interni sono quelli riferibili in parte ai bisogni di socialità, e in parte a quelle che potrebbero essere definite attività tipiche di quartiere: oltre alla mensa infatti c’è il bar, al cui interno si trova un tavolo da biliardo e uno schermo gigante per proiezioni di film e partite di calcio, il phone e internet center, la lavanderia, il barbiere, l’ambulatorio medico. La presenza dell’ampio locale adibito a bar ha una grande rilevanza, perché insieme alla mensa rappresenta il luogo dove le persone possono parlare ed incontrarsi anche con coloro che vengono da fuori e con il cinema rappresenta un ambiente importante di relax e socializzazione. La gestione diretta dei servizi di animazione, oltre alla condivisione delle decisioni sulle ristrutturazioni e alla partecipazione attiva ai lavori che portano progressivamente alla modifica degli spazi, sono tra gli elementi che favoriscono il senso di appartenenza alla struttura e di responsabilità verso il suo mantenimento. Uno degli operatori del centro, presente fin dall’inizio dell’esperienza di Baobab, a questo proposito racconta come questo modello di gestione faccia sì che le persone non

93


percepiscano l’accoglienza come “carità”, ma come un alloggio temporaneo gestito dalla comunità stessa, e per questo meno umiliante. Assistenza sanitaria Per quanto riguarda l’assistenza sanitaria, questa è svolta in parte all’interno del centro e in parte esternamente. Nell’ambulatorio interno è presente 2 volte alla settimana un medico volontario, a disposizione sia per i residenti che per tutta la popolazione esterna che ne fruisce durante il giorno. Per tutti i residenti che sono stati registrati all’entrata nella struttura, l’associazione ha stipulato un protocollo operativo con la Asl per il quale viene effettuata la registrazione al Servizio sanitario nazionale, si effettua uno screening sanitario e viene attribuito un medico di base scelti tra una rosa di 5 ambulatori medici tutti situati in prossimità del centro. Orientamento ed inserimento lavorativo Anche se ufficialmente l’attività di orientamento lavorativo e ai servizi si effettua presso lo sportello dell’associazione situato vicino la Stazione Termini, di fatto un’attività di orientamento più informale viene svolta anche all’interno del centro. Così come il regolamento interno viene trasmesso dalle persone ospitate da più tempo ai nuovi arrivati, così succede anche per la conoscenza del territorio e dei servizi. Non è prevista un’attività specifica di sportello per questo ma tale funzione è assolta dagli operatori interni, oltre che evidentemente dalla trasmissione “alla pari” tra tutti gli ospiti. Le risorse messe in campo dall’associazione per l’inserimento lavorativo o in percorsi professionalizzanti riguardano sia gli incarichi lavorativi di gestione del centro, sia rapporti di lavoro avviati presso altre cooperative che sono nate per iniziativa imprenditoriale dell’’Erythros, e sia rapporti diretti con agenzie

94


interinali. L’impegno che l’associazione mostra in questo ambito rispecchia l’importanza data al tema del lavoro per il reinserimento sociale di soggetti in condizione di difficoltà 20. Questi percorsi, resi possibili quindi attraverso i canali associativi, non sono standard né inquadrati per tappe temporali specifiche, ma si costruiscono anche in base all’iniziativa dei diretti interessati. Un canale supplementare di ricerca lavoro è come spesso accade, e ancor più in una situazione di comunità come quella descritta, quello della presentazione da parte di altri residenti del centro ai datori di lavoro presso cui sono impiegati. In molti casi queste situazioni corrispondono ad attività di lavoro sommerso e al nero, spesso in commerci ambulanti, mercati e altre occupazioni occasionali. L’attività dello sportello Presso lo sportello dell’associazione si realizza la maggior parte del lavoro strutturato di orientamento, informazione e assistenza legale, per ricerca lavoro e alloggio. L’attività di sportello è gestita e coordinata da un operatore che riferisce di come circa il 70% di tutta l’utenza che vi afferisce provenga dalla vasta comunità eritrea ed etiope residente al Baobab o all’occupazione della Collatina. L’assistenza legale è seguita da due avvocati volontari che ricevono due volte a settimana e trattano tutte le richieste, tra cui le più frequenti sono le pratiche per la presentazione del ricorso in

20

L’associazione Erythros a partire dal 1995 ha contribuito alla costituzione di cooperative sociali per l’inserimento lavorativo, curandone anche l’avviamento ed in particolare : 1995, costituzione della coop. Sociale Chebesa (coop. di produzione lavoro); 2001 costituzione della coop. Erythros Servizi (coop. di produzione lavoro); 2002 costituzione della coop. Social House (servizio di ristorazione e catering); costituzione della coop. IRISS 2002 (coop. di infermieri e personale addetto all’assistenza domiciliare); 2002 costituzione della coop. Dioniso (coop. di produzione lavoro).

95


caso di diniego, ma anche pratiche più ordinarie, come il trasferimento della residenza. Delle altre attività sono incaricati il coordinatore e gli operatori. La ricerca di alloggi riguarda prevalentemente le persone senza dimora che chiedono una sistemazione in accoglienza, nella maggioranza dei casi donne con bambini. Per questi casi lo sportello contatta l’Ufficio Immigrazione per la disponibilità di posti presso i centri comunali, e in assenza di questi si contatta una rete di centri gestiti da enti religiosi che hanno rapporti consolidati con l’Associazione. Per quanto riguarda la ricerca di lavoro, lo sportello è la sede presso la quale si svolge l’orientamento, la rilevazione della formazione e delle competenze pregresse e la preparazione del curriculum. In base alle esigenze o interessi espressi dagli utenti inoltre si individuano le opportunità di formazione linguistica, indirizzandoli sia ai centri territoriali permanenti presso le scuole e sia ai numerosi corsi di base organizzati dalle associazioni. 3.9 Considerazioni conclusive Il Baobab rappresenta ad oggi un’esperienza unica nel circuito di accoglienza romano e in generale nazionale. La premessa da cui muove questa realtà, della possibile autogestione di un centro da parte della comunità che lo abita, rappresenta una sfida tanto per le istituzioni quanto per l’associazionismo che opera in favore dei migranti, sfida che dovrebbe portare al superamento di un approccio assistenziale spesso incapace di favorire l’integrazione. Considerando la stessa come un processo a due vie infatti, è difficile realizzare l’obiettivo prefisso senza valorizzare l’apporto e il contributo dei nuovi arrivati, in primo luogo per quello che riguarda la gestione del proprio personale inserimento, dei propri spazi e tempi.

96


La presenza di una comunità di residenti abbastanza omogenea dal punto di vista culturale agevola la condivisione di norme e modalità di gestione del centro, ma l’obiettivo verso cui l’associazione tende è quello di rendere il centro un luogo più aperto anche ad altri gruppi e individui di diverse nazionalità, affinché il progetto Baobab non riproduca a sua volta esclusione. Si tratta di fatto di un cantiere in continua elaborazione, le cui prospettive più immediate riguardano oltre all’inserimento sociale e lavorativo – che procede al ritmo sia delle capacità dell’associazione che di quello delle reti informali – l’allargamento della rete di relazioni anche culturali. Il tasso di ricambio delle presenze registrate ad oggi è stato dell’80% circa, corrispondente quindi alla maggioranza delle persone che hanno abitato per un periodo presso il centro e che lo hanno poi lasciato. Contrariamente all’idea che l’assenza di scadenze per l’accoglienza stimoli un atteggiamento passivo, il fondatore di Erythros ritiene che i progetti migratori non prevedono mai una sistemazione permanente in un centro di accoglienza, ed è per questo che l’uscita dal centro è spontanea nel momento in cui la persona si sente pronta per farlo. Si tratta di un investimento sulle persone, i cui costi appaiono inferiori a quelli delle forme di accoglienza più tradizionali, oltre ad ovviare a problematiche comuni rilevate dalla letteratura sui rifugiati quali l’asimmetrica relazione di potere con chi eroga l’assistenza e l’emergere di un malessere legato alla condizione passiva di beneficiario.

97


98


4. Crotone. Il centro Bekas e lo Sportello Sakan21 di Giuliana Candia e Lucia Iuzzolini

4.1 Il contesto della provincia di Crotone Il contesto territoriale della provincia di Crotone è caratterizzato, come larga parte del sud Italia negli ultimi decenni, dalla compresenza di fenomeni sia di emigrazione interna - ovvero di spostamenti per motivi di lavoro dei crotonesi verso le aree del nord Italia - che di immigrazione da paesi extraeuropei. Infatti, benché si riscontrino forti tassi di disoccupazione tra la popolazione locale che spingono all’emigrazione, il mercato del lavoro locale riesce comunque ad assorbire quote di lavoratori stranieri. Questa presenza non riguarda unicamente i settori maggiormente interessati dall’offerta di manodopera straniera, come quello del lavoro domestico: negli ultimi anni si riscontra anche un continuo aumento del numero di imprenditori extracomunitari. Secondo quanto evidenziato dagli studi dell’osservatorio economico della provincia di Crotone, l’incidenza delle imprese extracomunitarie sul totale delle imprese registrate è del 2,4%, con una particolare concentrazione 21

Lo studio è stato redatto partire dalle interviste realizzate da Lucia Iuzzolino con il responsabile e tutti gli operatori della cooperativa.

99


nel settore del commercio al dettaglio (dove operano 258 ditte, cioè il 62,2% delle imprese create da immigrati). Con 7.210 stranieri residenti (Dossier Caritas, 2006) Crotone si colloca al quarto posto per numero di stranieri tra le province calabre. Di queste, la città segue il trend di crescita che ha visto triplicarsi queste presenze negli ultimi cinque anni, un fenomeno legato non solo agli effetti della sanatoria del 2002, ma anche agli ingressi per motivi familiari. I principali paesi di origine dei residenti stranieri nella provincia oggi sono l’Ucraina, il Marocco, l’Eritrea, il Bangladesh e il Sudan. La presenza di immigrati nel territorio non nasce quindi con gli sbarchi, né questi rappresentano l’unico canale di arrivo, tuttavia questo fenomeno è tra i fattori principali di ingresso nella provincia. Gli sbarchi di migranti hanno interessato in particolare la Calabria a partire dal 1993 per intensificarsi dal 1997/98, periodo in cui sono stati allestiti i primi centri provvisori di accoglienza presso strutture come aule scolastiche e palestre. A partire dal giugno 1999 è diventato operativo il centro di accoglienza di S. Anna ad Isola Capo Rizzuto, attualmente il più grande d’Europa, un centro che è diventato punto di riferimento per le Prefetture e Questure non solo calabresi ma anche di altre regioni, dalle quali vengono inviati migranti e profughi giunti via mare. La presenza del centro, cui si è aggiunta dal 21 aprile 2005 una delle 7 commissioni territoriali per la valutazione delle domande di asilo politico, ha fatto sì che i flussi di arrivo nell’area siano quindi diretti quanto indiretti, e che nel 2006 (fino al mese di novembre) siano stati registrati 12.000 utenti transitati per la Questura di Crotone. Vi è stata pertanto da parte degli attori sociali e politici locali una presa di coscienza del fatto che il fenomeno migratorio che interessava il territorio non fosse ridimensionabile al solo aspetto emergenziale ma andasse considerato in un’ottica di più ampio respiro. Si doveva prevedere la garanzia di assistenza continua

100


alle migliaia di persone in arrivo e presenti per periodi molto brevi, ma anche un’accoglienza di medio e lungo periodo, perché, come accade sempre nei luoghi di primo approdo o di transito – esemplare a questo proposito è il caso della città di Roma –, ci sono sempre alcune quote di migranti che permangono sul territorio per periodi più o meno lunghi, o vi si stabiliscono in modo definitivo. In mancanza di uno specifico orientamento o di una destinazione predefinita, è naturale che un certo numero di loro tenti di inserirsi nel luogo di arrivo, e che esplori quindi le opportunità di trovare un lavoro, un alloggio, l’eventuale sostegno che può derivare da connazionali, servizi pubblici o del volontariato, o di altri soggetti. E’ certo, comunque, che tra le soluzioni più urgenti del fenomeno sul territorio vi è da anni quella della gestione dell’immensa mole di pratiche amministrative che si vengono ad accumulare per la Prefettura e la Questura, i due organi più interessati dal flusso costante di arrivi. Pratiche che riguardano non solo i nuovi arrivi o gli utenti sul territorio, ma anche tutti quelli trasferitisi in altre città, e tutti i rapporti con le diverse amministrazioni delle nuove città di domicilio, soprattutto per le richieste di asilo politico. I migranti subiscono di conseguenza le lungaggini delle procedure, dovendo tornare ripetutamente a proprie spese a Crotone per ogni rinnovo del permesso di soggiorno o per avere notizie della convocazione. Proprio per andare incontro a questa situazione problematica tanto per i richiedenti asilo che per organi istituzionali, dal 2005 è stato attivato da parte della cooperativa Agorà Kroton un servizio internet di informazione sulle singole pratiche. Il servizio rappresenta una buona pratica di semplificazione delle procedure amministrative, di collaborazione tra istituzioni e privato sociale e di empowerment tanto nei confronti dell’utenza straniera che dei servizi istituzionali. Di fatto questo permette a migliaia di migranti di consultare lo stato

101


del proprio permesso di soggiorno, o la risposta della commissione, via internet, evitando di doversi recare fisicamente a Crotone anche solo per chiedere aggiornamenti. Sul fronte dell’accoglienza attualmente (e dal 2001) è attivo un progetto aderente alla rete dello Sprar e prima ancora al programma Azione Comune. Il progetto vede come capofila la Provincia di Crotone e come enti attuatori la Cooperativa sociale Agorà Kroton, la Prociv Arci, la Caritas diocesana di Crotone S. Severina e il Cir, Consiglio italiano per i rifugiati. I servizi attivi sono quelli di accoglienza, integrazione, tutela e attività presso il centro di identificazione S. Anna; questi ultimi due – che riguardano soprattutto l’orientamento, la consulenza legale e sociale e i corsi di lingua italiana sia sul territorio che nel Cdi – sono affidati al Cir e alla Caritas. Le strutture per la seconda accoglienza sono invece gestite da Agorà Kroton per 15 posti letto, Prociv Arci per altri 10 posti e dalla Caritas, con disponibilità e gestione autonoma di ciascuna struttura. Il progetto dispone quindi, per l’accoglienza residenziale con percorsi di inserimento sociale, di un centro collettivo per soli uomini e minori non accompagnati, un centro collettivo per uomini, donne con figli o famiglie per ospitalità temporanea e di una struttura di 5 appartamenti autonomi destinati a donne con figli o famiglie. La presenza del centro per ospitalità temporanea è particolarmente necessario in questo territorio proprio per quell’intenso transito di migranti che rimangono una o due notti per recarsi alla Questura a chiedere rinnovi o risposte dalla Commissione. Questa struttura è gestita dalla Caritas diocesana con una disponibilità di 25 posti letto, un servizio di consulenza legale e sociale e a un servizio di mensa diurna aperto al territorio, che diventa di fatto un luogo di richiamo per i molti migranti non inseriti in maniera stabile. Nel 2005 è stato attivo per un anno anche il servizio denominato Hotel Africa, rivolto

102


specificamente al target di chi scendeva a Crotone per periodi brevissimi per rivolgersi alla Questura, finanziato dalla Provincia di Crotone. Per quanto riguarda le persone ospitate in seconda accoglienza per il semestre o l’annualità consentita dal Sistema di Protezione, le opportunità di integrazione secondo la definizione del sistema stesso, ovvero del reperimento di un lavoro regolare e di un alloggio, sono assai scarse. Se infatti il locale mercato del lavoro sommerso non fa mancare occasioni per gli ospiti di svolgere attività in nero, è invece estremamente difficile per tutti loro riuscire ad ottenere un impiego regolare. Per questo motivo a volte gli ospiti, dopo periodi anche più limitati rispetto ai tempi previsti per l’accoglienza, e anche in assenza di un precedente progetto o di specifici contatti altrove, lasciano il territorio per migrare verso altre località del nord Italia. Si possono citare tuttavia, in quanto riportati dagli operatori dell’accoglienza, alcuni casi di migranti che, dopo aver maturato un’esperienza di vita e di lavoro in altre parti d’Italia, tornano a Crotone per cercare di stabilirvisi. Le motivazioni di questa migrazione di ritorno sembrano risiedere nel minor costo della vita, nella miglior qualità delle relazioni sociali e nella minore ostilità da parte della popolazione locale. 4.2 La Cooperativa Agorà Kroton La cooperativa sociale Agorà Kroton nasce nel 1988 per cercare di far fronte alle esigenze sociali emergenti in un quartiere popolare di Crotone. L’esperienza prende origine dalla volontà di un gruppo di giovani che in quel quartiere è nato e vive, di non restare spettatori passivi del crescente degrado sociale, e di costruire insieme una realtà che potesse contrastarlo. I primi interventi della cooperativa riguardano i tossicodipendenti, per i quali viene attivato un centro diurno e delle attività di

103


prevenzione al consumo di droghe rivolto ai giovani. Con il passare degli anni la sede dell’organizzazione diventa una sorta di “presidio sociale”, non solo per il quartiere ma per tutta la città di Crotone. Successivamente, grazie alla concessione in comodato d’uso di un’ampia struttura in località Sovereto di Isola Capo Rizzuto (concessione dell’Arcidiocesi di Crotone), la cooperativa ha trasferito una parte delle proprie attività in quella sede, in particolare quelle di accoglienza residenziale. I campi di intervento sono andati diversificandosi in base alle diverse istanze sociali che via via si sono palesate sul territorio, consolidandosi fino ad oggi sulle problematiche della tossicodipendenza, del disagio giovanile, dell’accoglienza di migranti e in particolare di richiedenti asilo. La filosofia della cooperativa non è cambiata rispetto alle specifiche problematiche che vengono trattate, ispirandosi a un approccio che mette la persona al centro dell’intervento, fornendo un aiuto che corrisponda alle sue esigenze, riconoscendogli dignità e rispetto. Nella struttura in località Rovereto fu insediata una comunità per tossicodipendenti tuttora attiva e, nel tempo, sono state ospitate altre tipologie di utenza attraverso l’attivazione di progetti specifici, quali la casa alloggio per malati di Aids o quella per le donne in difficoltà, o la casa famiglia per minori di 12 anni,anch’essa tuttora attiva. Alcune di queste esperienze si sono esaurite per la mancanza del necessario sostegno da parte delle istituzioni locali. L’avvio delle attività di accoglienza per i rifugiati è avvenuto nel 1999, sull’onda dell’emergenza venutasi a creare con l’arrivo di un gruppo di una trentina di albanesi e kossovari, per il quale la Questura di Crotone richiese alla cooperativa un alloggio immediato. I profughi furono allora sistemati in un’ala della struttura e la loro presenza diventò da emergenziale a permanente, nel senso che da allora si è attivato, per passaggi organizzativi e amministrativi progressivi, il centro di accoglienza per i richiedenti asilo. Inizialmente un parziale

104


sostegno per l’accoglienza giunse dal Comune di Isola Capo Rizzuto, che provvedeva al vitto pagando la spesa presso negozi convenzionati. Per circa un anno e mezzo la cooperativa ha portato avanti l’esperienza con il solo supporto volontario di tutto il personale, sufficiente a garantire i turni e l’assistenza necessaria anche di notte. Il centro, chiamato poi “Becas” era già in funzione all’avvio del PNA, e nel 2001 vennero attivate le procedure per aderirvi, all’interno di un progetto che vedeva capofila il comune di Isola Capo Rizzuto e partner gli altri enti del privato sociale che successivamente hanno costituito l’attuale progetto Sprar. Solo dal 2007 la Provincia di Crotone è subentrata al comune di Isola come capofila del progetto ma - a detta degli operatori della cooperativa – un problema che permane è quello della cronica mancanza di personale dei servizi sociali in entrambi gli enti. Un problema aperto ovviamente anche per gli altri enti del privato sociale. In questo contesto gli operatori devono muoversi in autonomia rispetto agli ospiti, agendo in condizioni di appalto/sostituzione dell’ente pubblico. Le collaborazioni virtuose possono svilupparsi esclusivamente in quegli abiti nei quali il privato sociale riesce, per flessibilità e capacità di innovazione, a supportare l’agire istituzionale anziché sostituirsi a questo. Tale circolo virtuoso si è decisamente attivato, ad esempio, con la proposta di attivazione dello sportello informatico per la consultazione delle pratiche, costruito sulla base della pluriennale collaborazione con la Questura. Un esempio concreto della difficile condizione di lavoro sul territorio è la gestione della presenza di minori stranieri non accompagnati: nell’impossibilità del loro affido ai servizi sociali, la Questura si muove di norma con un affidamento d’urgenza alla cooperativa, che prende in carico i minori (in seguito alla conferma da parte del giudice tutelare) malgrado la non specificità del progetto rispetto a questa categoria. Il

105


funzionamento del progetto di accoglienza Becas ha ottenuto la certificazione di qualità Iso 9001/2000 nel 2005, che ne attesta la prassi consolidata. Lo sportello Sakan è stato attivato dal 2005 grazie a una convenzione con la Regione Calabria ed è operativo in orario diurno dal lunedì al venerdì. I servizi per gli utenti sono principalmente quelli di consulenza e orientamento legale e sociale, corsi di lingua italiana, utilizzo delle postazioni internet. Nel 2006 l’utenza è stata di 768 persone di nazionalità prevalentemente eritrea, somala, etiope, sudanese, irakena, liberiana e di altre provenienze perlopiù africane. Le richieste hanno riguardato la partecipazione ai corsi di italiano, la domiciliazione presso lo sportello, tutte le pratiche attinenti alla richiesta d’asilo (informazioni sulla convocazione in commissione, sulla risposta, l’attivazione di ricorso in caso di diniego) e alla situazione amministrativa (rinnovo del permesso di soggiorno, partecipazione al decreto flussi). 4.3 Aspetti organizzativi Il centro Becas La struttura di accoglienza si trova in località Sovereto di Isola Capo Rizzuto, a circa tre chilometri dal centro abitato, in uno spazio distinto da quello della sede della cooperativa ma in comune con le altre strutture di accoglienza residenziale già citate. Lo spazio a disposizione per gli ospiti è composto dalle stanze da letto di due posti ognuna, una sala mensa con tv satellitare per fruire dei programmi del paese d’origine, una cucina e una sala palestra. L’unità abitativa ha una conformazione a un ferro di cavallo con al centro un giardino e un campo di calcetto. Di fronte all’area dove sono disposte le stanze degli ospiti e la mensa c’è un'altra unità, adibita a ufficio per gli operatori. Quest’altra struttura dispone di una sala per i colloqui,

106


di una dispensa e una stanza supplementare che viene adibita ad alloggio di emergenza – utilizzato in più occasioni per nuovi ospiti – e di un bagno. La mensa è il locale più ampio di tutta la struttura, e la sua destinazione funzionale non è solo quella di consumare i pasti ma anche di consentire momenti di condivisione, che la coabitazione non rende scontati. Lo spazio è suddiviso idealmente in due aree: quella per i pasti con le panche e i tavoli per il pranzo, quella con l’attrezzatura per lo svago e le informazioni con televisione, dvd, una play-station, uno stereo. L’altro spazio di incontro è il campetto da calcio, utilizzato sia quotidianamente che in occasione delle partite settimanali con gli altri ospiti della comunità. Il raggruppamento di persone di varie etnie e nazionalità, spesso in conflitto nel proprio paese di origine, non ha mai determinato specifiche tensioni. D’altro canto vista anche l’ampiezza degli spazi, sia all’interno che all’esterno della struttura, c’è la possibilità per gli ospiti di scegliere di condividere o no momenti comuni, e anche la possibilità di favorire eventuali attività collettive come vedere un film, usufruire dei laboratori o partecipare alle riunioni. L’equipe Il servizio presso la struttura viene assicurato 24 ore su 24 da un’equipe composta da due assistenti sociali (di cui uno con funzioni di coordinatore), che gestisce e organizza le attività all’interno del centro; un animatore socio culturale, un operatore sociale addetto anche alla cucina e alla preparazione dei pasti, un consulente legale e un addetto all’amministrazione, che cura la contabilità e la gestione finanziaria, una sociologa e una psicologa “a chiamata”. La supervisione generale è assicurata invece dal responsabile del settore immigrazione della cooperativa, che gestisce anche lo sportello di informazione e orientamento per migranti a Crotone. La presenza quotidiana è quella del

107


responsabile, che assicura sia le funzioni legate alla sua qualifica di assistente sociale che di gestione del centro, l’acquisto dei prodotti necessari e i contatti con l’esterno. L’altra figura di riferimento è quella dell’operatore sociale, presente ogni giorno in quanto addetto anche alla preparazione dei pasti. Oltre al naturale rispetto dei regimi alimentari di ognuno, chi prepara i pasti cerca anche di assecondare le preferenze degli ospiti e saltuariamente c’è uno scambio di ruoli, per cui la cucina viene lasciata su richiesta a chi vuole cucinare pietanze del proprio paese. Coordinatore e cuoco sono quindi le figure di riferimento che mantengono un rapporto di continuità con i percorsi degli ospiti, figure che si alternano con le altre che svolgono attività più specifiche come i laboratori di animazione o le consulenze, l’assistenza sanitaria (la seconda assistente sociale), la registrazione dei dati e le comunicazioni al servizio centrale. L’intero gruppo di lavoro è lo stesso che ha iniziato nel 1999 a lavorare con i primi profughi per i quali era stato allestito il centro, e che ha quindi imparato sul campo la gestione del servizio: sia dalle precedenti esperienze di lavoro sociale nella cooperativa, sia frequentando le iniziative di formazione e di aggiornamento proposte sul territorio – non particolarmente numerose –organizzate dal Servizio Centrale. I membri del personale utilizzano l’inglese come lingua veicolare con la maggior parte degli ospiti, anche se la presenza di alcuni ex ospiti come collaboratori per attività di manutenzione e pulizie rappresenta spesso un ulteriore supporto linguistico, in mancanza delle risorse economiche per garantire una mediazione di tipo professionale. In alcune occasioni, in occasione dell’arrivo di nuovi ospiti si è fatto ricorso anche all’aiuto di un mediatore locale impiegato presso la Questura, che interviene a titolo volontario per risolvere problemi contingenti. Più in generale l’aiuto principale lo danno gli ospiti stessi facendo da interpreti per i nuovi arrivati.

108


Lo scambio di informazioni sui singoli casi avviene quotidianamente, attraverso un diario di bordo dove si comunicano, ad esempio, gli appuntamenti presi per un ospite. Le riunioni dell’intera equipe avvengono invece con cadenza settimanale, per fare il punto della situazione, verificare lo stato di attuazione del programma individuale elaborato, scambiare osservazioni sul comportamento degli ospiti rispetto al regolamento del centro, di discutere eventuali situazioni contingenti. Delle riunioni settimanali viene redatto un verbale che ha lo scopo di mantenere una traccia delle attività, ma viene soprattutto utilizzato come strumento per monitorare il servizio, secondo una prassi consolidata e anche certificata. I beneficiari La raccolta delle informazioni relative agli ospiti, i dati anagrafici e familiari, le eventuali precedenti esperienze di accoglienza e i documenti di cui dispongono, è affidata a un’operatrice che cura le schede personali e comunica i dati al Servizio Centrale inserendoli nella banca dati. Nel primo semestre del 2006, su una disponibilità di 13 posti letto, sono stati ospitati 19 migranti di nazionalità eritrea, etiope, sudanese e afgana. Anche negli anni passati queste sono state le nazionalità dominanti, principalmente quelle delle aree di partenza dei flussi che arrivano via mare nei territori del sud Italia. Data la presenza del Centro di Identificazione è evidente che gli ospiti di Becas provengano da quei percorsi di arrivo, si tratta infatti di persone con una brevissima esperienza in Italia e si rivolgono direttamente allo sportello Sakan della cooperativa. Malgrado la maggioranza di coloro che entrano nel centro Becas provengano dal S. Anna, non vi è alcun collegamento o scambio di comunicazioni tra le due realtà, se non in pochi casi in cui – come hanno segnalato gli operatori di Becas – date evidenti problematiche sanitarie, sono state inviate delle richieste al Cdi

109


per avere le cartelle cliniche e gli eventuali esami già fatti. La pressione per l’ingresso al centro di accoglienza, almeno per i primi giorni all’uscita dal S. Anna, è abbastanza elevata. Le richieste di accoglienza vengono registrate presso lo sportello Sakan, dove viene redatta una lista con una copia del permesso di soggiorno e il numero di telefono. Successivamente le persone vengono chiamate in funzione della disponibilità. I dati di chi presenta domanda di accoglienza vengono inoltre inviati al Servizio Centrale per permettere, anche a livello nazionale, la ricerca di altre disponibilità. Visti le pochi posti sul territorio però, come si è già detto, la maggior parte delle persone si sposta rapidamente in altri contesti nazionali, la mortalità delle richieste è dunque piuttosto alta. Le opzioni alternative rilevate dagli operatori di Becas per chi non trova accoglienza sono la stazione di Crotone e casolari abbandonati nelle campagne circostanti, dove alcuni trovano riparo. Un discorso a parte merita il caso dei minori: “… a Crotone ne arrivano in continuazione, e non possono restare per regolamento all’interno dei Cpta e Cdi, devono essere immediatamente affidati. Ad ogni grosso sbarco, mediamente, almeno il 5-6% è costituito da minori non accompagnati” (avvocato che lavora per la cooperativa e per il Cir presso il centro S. Anna). Il problema già accennato è che il regolamento prevede l’affidamento ai servizi sociali ma il sistema locale non riesce a dare risposte, per cui questi ragazzi – normalmente tra i 16 e i 17 anni – vengono affidati alla cooperativa dalla Questura in condizioni “di emergenza”, che diventano poi permanenti dopo la conferma del giudice tutelare e un accordo informale con il Sevizio Centrale. La gestione dei casi dei minori è piuttosto complicata dal punto di vista legale, ma si è consolidata una prassi che porta alla nomina del tutore (il responsabile area immigrazione della cooperativa) e alla sospensione della richiesta di asilo fino al raggiungimento dei

110


18 anni, sfruttando tutto il periodo precedente in cui i ragazzi possono beneficiare del permesso per minore età. La permanenza dei beneficiari nel centro, che fino a poco tempo fa poteva prolungarsi finanche a tre anni, si è ridotta, dopo l’attuazione del regolamento entrato in vigore il 21/4/2005. Dopo una prima conoscenza del territorio e il confronto con il mercato del lavoro locale, alcuni ospiti annunciano apertamente l’intenzione di lasciare il centro prima del tempo, per andare a cercare un lavoro al nord. Per la maggior parte degli altri ospiti invece, la difficoltà di inserimento si traduce nell’impossibilità di lasciare il centro dopo soli sei mesi, pertanto è prevalente la pratica di chiedere un prolungamento fino a un anno. Prolungare la permanenza non corrisponde al semplice allungamento della disponibilità di un alloggio, ma alla continuazione di un percorso di apprendimento della lingua, di socializzazione, di conoscenza delle norme e dei diritti di cui gli ospiti sono titolari, di costruzione di opportunità di inserimento nel territorio, o altrove. Spesso anche durante questo periodo gli ospiti si muovono sul territorio sia regionale che nazionale per svolgere brevi lavori o per cercare opportunità di lavoro, per periodi non superiori ai 10 giorni e comunque previa comunicazione al responsabile della struttura. Nell’esperienza di questi anni di accoglienza, quelli che sono rimasti sul territorio sono comunque molto pochi. Si sono inoltre registrati due allontanamenti, in un caso per comportamento violento nel centro, e in un altro per superamento dei tempi massimi di assenza. Inserimento L’ingresso di un nuovo ospite avviene dunque su richiesta dell’interessato, ben più raramente su segnalazione del Servizio Centrale, il passaggio formale che prepara all’accesso è quello del colloquio con il Responsabile. Nel corso del colloquio si realizza

111


lo scambio di conoscenze e informazioni tra il nuovo ospite e il responsabile della struttura, si acquisiscono i dati che comporranno la cartella personale dell’ospite e questi apprende le caratteristiche del regolamento – presentate per iscritto in inglese e in italiano – così come esplicitate nel contratto che dovrà firmare per accettazione. All’ingresso viene quindi assegnata una camera e vengono forniti, secondo necessità, biancheria, vestiti e generi per l’igiene personale. Il cosiddetto pocket money fornito mensilmente è di 30 euro, e ogni ospite viene dotato anche di abbonamento ai trasporti pubblici. Dato che il centro si trova fuori dall’abitato, la cooperativa fornisce un servizio di navetta due volte al giorno, per andare e tornare da Crotone. Per agevolare la mobilità si è ottenuta anche la disponibilità da parte della ditta di trasporto Romano che gestisce il trasporto pubblico locale. Dietro presentazione di foto e nominativi, la ditta eroga infatti abbonamenti semestrali o annuali per gli ospiti, nonché per gli eventuali volontari, ed effettua una fermata proprio davanti alla struttura. La gestione quotidiana prevede orari fissi per i pasti e per le pulizie generali, che si svolgono la mattina. Le pulzie non comportano alcun allontanamento degli ospiti dal centro e riguardano solo gli spazi comuni, mentre le camere vengono pulite autonomamente da coloro che vi abitano. Orientamento e assistenza legale Contestualmente al colloquio si annotano le necessità più immediate in termini soprattutto di cure sanitarie e di documentazione da procurare. Gli ospiti vengono presi in carico direttamente dall’assistente sociale che imposta con loro un programma di inserimento individualizzato, e entro i primi giorni di permanenza incontrano il consulente legale della cooperativa. L’assistenza legale avviene quindi sia presso il centro al momento del primo ingresso, o secondo specifiche necessità, sia presso lo sportello Sakan, ovvero il fulcro delle attività della cooperativa

112


dedicate agli immigrati sul territorio di Crotone. Oltre all’assistenza per ciò che attiene allo status, ai ricorsi giurisdizionali, alle pratiche ordinarie di rinnovo del permesso di soggiorno o di ricongiungimento familiare, si pone particolare attenzione all’informazione sulla normativa (cos’è l’asilo, i motivi della protezione e il significato di timore soggettivo), ribadita sia nei colloqui individuali, all’interno dei corsi di italiano organizzati presso lo sportello. Assistenza sanitaria e psicologica Un’assistente sociale è incaricata di seguire tutti gli aspetti relativi alle cure sanitarie, prendendo in carico sotto questo aspetto ognuno degli ospiti sin dai primi giorni di arrivo. La prassi prevede per ogni ospite uno screening sanitario comprendente una visita dermatologica per escludere eventuali malattie parassitarie, un prelievo del sangue per verificare HIV, epatite B, anticorpi e sifilide, il test per la positività alla tubercolosi, l’iscrizione al Ssn con assegnazione del medico di base. Il tutto si svolge presso gli ambulatori Asl del territorio, con l’accompagnamento iniziale da parte degli operatori del centro e la successiva fruizione autonoma da parte degli ospiti. In alcuni casi di necessità gli accompagnamenti si protraggono per periodi più o meno lunghi per via delle specificità degli ospiti, perché minori o perché, essendo appena giunti, non hanno ancora padronanza della lingua.. Non si rilevano difficoltà specifiche di relazione con gli operatori sanitari, abituati a un’ingente presenza di utenti stranieri. Presso il centro è stata poi attivata un’assistenza psicologica, per situazioni di particolare fragilità. La necessità di questa prestazione è nata da un caso specifico, relativo a un ragazzo schizofrenico con comportamenti anche violenti, per il quale si è scelto di ricorrere alla consulenza privata di una psicologa. Successivamente si sono presentati altri casi di disagio

113


psicologico che sono stati di volta in volta segnalati dal responsabile del centro e che hanno incontrato la specialista alla presenza di un interprete. La presenza della psicologa e la possibilità di effettuare i colloqui ha fatto emergere la necessità degli ospiti di potersi raccontare, di fare il punto della propria situazione, di capirsi. Dal racconto degli operatori si evince che molti degli ospiti all’inizio più diffidenti hanno iniziato ad apprezzare la possibilità di potersi raccontare e di attirare più attenzione sulla propria situazione: non sempre si configurava come un problema da risolvere, ma più spesso come la volontà di ricostruirsi un’identità, completamente modificata dal viaggio e dall’inizio della nuova vita. Questo disagio può derivare, ad esempio, dal fatto che spesso non si ha neanche più il nome,visto che il vecchio è stato cambiato da una fonìa europea, questo non gli permette alcuna identificazione con chi fossero prima. Formazione linguistica e scolastica La cooperativa per due volte a settimana (in totale 6 ore), svolge in un corso di lingua italiana e insieme di educazione civica, sia come supporto nei confronti degli ospiti del centro che come offerta per gli altri utenti afferenti allo sportello Sakan. L’esigenza di questo supporto si è palesata subito, per la prevalenza di persone appena arrivate in Italia, e soprattutto perché non vi era un’offerta pubblica di corsi di lingua sul territorio. Solo tre anni fa le province calabre hanno attivato i corsi di lingua presso le scuole medie territoriali, grazie ad una destinazione ad hoc di parte dei fondi regionali per le politiche sull’immigrazione. Attualmente molti degli ospiti seguono il corso di italiano presso una scuola di Crotone, dove vengono accompagnati con i mezzi della cooperativa. La durata di questi corsi è comunque legata al calendario scolastico, che comprende non più di 7 mesi di attività, escludendo tutto il periodo estivo durante il quale sono più numerosi gli arrivi.

114


I due corsi (quello della scuola e quello della cooperativa) sono in un certo senso complementari, visto che la cooperativa punta sempre, oltre che all’apprendimento delle basi linguistiche, anche ai temi specifici di educazione civica, per permettere agli ospiti di capire il contesto sociale e normativo che li accoglie. Si punta molto su diritti e doveri, soprattutto per tutelare le persone che quotidianamente, cercando lavoro sul territorio, incontrano molteplici rischi di sfruttamento. Laddove possibile i beneficiari del centro frequentano entrambi i corsi, avvertendo come necessità primaria quella di imparare la lingua. Ciò è tanto più vero per i minori, per i quali si effettua l’inserimento a scuola fin dal loro arrivo. La minore età vincola gli istituti scolastici all’inserimento anche in assenza di documenti, mentre per i maggiorenni, come testimonia il responsabile del centro Becas, l’eventuale inserimento è molto più difficile. In generale i livelli di istruzione che si rilevano tra gli ospiti sono molto bassi, anche se in alcuni casi di persone più qualificate, si sono avviate le procedure per il riconoscimento dei titoli di studio, direttamente presso la Regione per le professioni sanitarie, o presso il Provveditorato e il Ministero dell’Istruzione per tutte le altre. Formazione e inserimento lavorativo Il tema dell’inserimento lavorativo è senza dubbio quello più complesso: le opportunità offerte dal mercato del lavoro locale si limitano di fatto ad attività lavorative informali e sottopagate, soprattutto per i migranti che, per ragioni di documenti disponibili e di scarsa competenza linguistica, sono la categoria più sfruttata. Il percorso attivato dalla cooperativa è quello dell’informazione sulle modalità di accesso al lavoro in Italia. Si spiega quale sia la documentazione necessaria, i contratti esistenti e le forme di sfruttamento più comuni dalle quali tutelarsi. Tutti gli ospiti vengono poi accompagnati per l’iscrizione al Centro per

115


l’Impiego di Crotone, presso il quale è attivo anche un mediatore culturale.Non ci sono reali aspettative circa la possibilità di essere chiamati per un lavoro, dato che – come dicono gli operatori di Becas – ciò non accade mai neanche per gli italiani. Un operatore del centro si occupa della costruzione del curriculum e della ricerca di qualche opportunità di lavoro sui giornali locali, passaggi certo necessari ma privi di risultati concreti. Sul territorio non esistono agenzie di lavoro, quindi l’orientamento ai luoghi dove si può cercare lavoro, che avviene tra ospiti del centro e altri migranti, riguarda in prevalenza locali, cantieri edili e campagne. Si tratta sempre di lavoro informale, disponibile a giornata e in maniera quasi esclusiva nei settori dell’edilizia e dell’agricoltura. Gli ospiti del centro evitano le modalità di reclutamento del caporalato, sconsigliati dagli operatori della cooperativa, ma riescono comunque a procurarsi spesso giornate di lavoro. Alcuni produttori della zona, conoscendo il centro Becas, si rivolgono anche direttamente a loro per proporre alcune giornate di lavoro agli ospiti. Nulla di stabile, che possa consentire una prospettiva di inserimento successivo alle dimissioni dal centro di accoglienza. Questo è il motivo per cui la maggior parte degli ex ospiti si sono diretti verso nord o anche verso altri paesi, in luoghi dove potevano contare su appoggi di familiari o su contatti sviluppati nei mesi di permanenza al centro o con i migranti incontrati a Crotone in alcuni luoghi di aggregazione. Le opportunità offerte direttamente dalla cooperativa sono principalmente relative all’attivazione di borse lavoro, possibili solo in occasione di progetti come quello realizzato nel 2005 con diversi altri partner locali e finanziato dalla Regione Calabria. Queste occasioni (in quel caso si è trattato di 8 borse lavoro assegnate alla cooperativa) rappresentano anche una valida occasione per stringere rapporti con ditte che poi si continuano a rivolgere alla cooperativa per proporre alcuni piccoli lavori,

116


mentre solo raramente danno luogo a delle assunzioni definitive. Anche sotto questo aspetto il territorio è svantaggiato rispetto ad altri contesti. A giudizio del responsabile del centro c’è una marcata propensione a mantenere i borsisti solo per il periodo in cui la loro presenza è finanziata, per sfruttarne la forza lavoro. Nei primi due anni di attivazione del progetto di accoglienza sono stati organizzati anche corsi di formazione professionale per pizzaioli, giardinieri e falegnami che hanno prodotto anche alcuni inserimenti lavorativi, ma le riduzioni dei finanziamenti per il progetto complessivo non hanno permesso di continuarli, né sono stati individuati altri corsi pratici e fruibili dagli ospiti. Socializzazione e rapporti con il territorio Per quanto riguarda le attività di animazione e di socializzazione vengono impiegati un operatore addetto, e le persone che svolgono il servizio civile. Viene così curata l’organizzazione di tornei di calcetto e di bigliardino che coinvolgono anche gli ospiti della vicina comunità di recupero, la visione di film e visite guidate nei paesi della Provincia. In generale gli operatori riscontrano una relativa separazione dei contesti di aggregazione tra i giovani di Crotone e i migranti. Questi ultimi sono confinati negli spazi circoscritti della “piazzetta” e del centro Caritas, dove tutti i migranti transitano, si ritrovano, si passano le informazioni. Come spesso accade gli italiani con cui gli ospiti del centro hanno più rapporti sono, oltre agli operatori, alcuni giovani impegnati nell’associazionismo locale, con i quali la cooperativa stessa ha sviluppato rapporti. In questo caso si tratta del circolo Arci che, come spiega il responsabile del centro è “la struttura a noi più vicina culturalmente, con cui abbiamo organizzato anche seminari sull’immigrazione, ai quali gli ospiti del centro hanno partecipato portando delle testimonianze”. Alcuni dei giovani ospiti frequentano la sede del circolo come spazio di socialità, più per stare con i coetanei che per attività specifiche. Per far fronte

117


agli altri interessi che catalizzano l’attenzione dei ragazzi del centro la cooperativa tenta di utilizzare le risorse locali e i sensibilizzare alcuni contesti, come ad esempio quello sportivo. Così la locale biblioteca è diventata il punto di riferimento per fruire gratuitamente delle postazioni internet, un collegamento ormai indispensabile con i network transnazionali di migranti e rifugiati. Peccato che la poca frequentazione della biblioteca da parte della cittadinanza non consenta di farne un altro polo di socializzazione. La presenza dei rifugiati non è poi stata colta come occasione per aprire la biblioteca a specifiche iniziative culturali a tema (ad esempio sulle migrazioni, sull’asilo, sulla letteratura migrante ecc). 4.4 Valutazione e criticità dell’intervento La valutazione del progetto è codificata attraverso i parametri definiti nella certificazione Iso formulata nel 2005, che scandisce in maniera puntuale tutti i passaggi dell’intervento svolti con gli ospiti dal primo ingresso alle dimissioni, passando per l’erogazione dei diversi servizi e la registrazione quotidiana delle presenze. Si tratta di una procedura che permette quindi di monitorare l’attività attraverso la raccolta di schede di rilevazione che comprendono una quantità di informazioni anche superiore a quelle richieste dal Servizio Centrale, così come indicato nel manuale della certificazione. Una verifica informale dell’andamento del centro e dei progetti individuali si realizza invece attraverso la presenza del responsabile e la condivisione degli spazi. Quotidianamente infatti questi pranza con gli ospiti, mentre lo scambio di informazioni tra gli operatori è facilitato dal fatto che essi operano insieme anche presso lo sportello Sakan. Anche gli stessi ospiti, come si è detto, condividono entrambi gli spazi, pertanto il flusso di comunicazione è costante.

118


Nella sala mensa è stata allestita una cassettina nella quale questi ultimi sono invitati a scrivere critiche, reclami, commenti o suggerimenti in forma anonima e sulla base dei quali si prendono gli eventuali provvedimenti migliorativi. Solo in occasione di specifiche situazioni problematiche (abuso di alcol, casi di violenza o aggressività) sono state convocate delle assemblee con lo scopo, più che di riconfermare il formale contratto di accoglienza, di rinsaldare il patto di convivenza non scritto tra tutti gli ospiti e gli operatori. Si può dire che la gestione del centro, benché non presenti dei meccanismi specifici di valutazione partecipata, abbia le caratteristiche di una comunità di tipo familiare nella quale è forte l’elemento della condivisione del tempo, dei pasti, degli spazi, dell’ascolto e del prendersi cura. Questo tipo di monitoraggio garantisce un buon andamento generale e la possibilità di seguire i percorsi di ogni ospite, ma sarebbe senz’altro auspicabile l’organizzazione di momenti ad hoc di incontro e confronto dedicati alla valutazione in itinere del progetto complessivo. Come illustrato da altre esperienze di accoglienza infatti, la quotidianità della gestione rischia di assorbire completamente anche le capacità di osservazione e di valutazione degli operatori e di chi gestisce una struttura, impedendo la possibilità di ripensare l’intervento o di intraprendere nuovi percorsi sia nell’organizzazione interna che verso i soggetti esterni. Soprattutto, è da sottolineare il fatto che dei momenti di discussione e di confronto dovrebbero essere previsti anche per gli ospiti del centro, focalizzando eventualmente l’attenzione su tematiche specifiche, così da di assicurare la loro partecipazione alla valutazione del progetto. Come si è detto il tentativo è quello di impostare una gestione quasi familiare anche delle relazioni ospiti-operatori. La forte motivazione di questi ultimi appare come l’elemento centrale che consente di portare avanti questo tipo di lavoro, un intervento caratterizzato da un approccio di promozione sociale in un

119


contesto che offre pochissime opportunità di inserimento stabile. La consapevolezza di ciò è forte sia tra gli operatori che tra gli ospiti, e questa è la molla che spinge a condividere un percorso che appare come propedeutico all’inserimento in altri contesti. In questo percorso la cura maggiore è dedicata quindi all’apprendimento linguistico, alla conoscenza di base del paese di accoglienza, delle norme culturali, delle leggi, dei propri diritti, delle istituzioni; in sintesi, gli strumenti per far valere i propri diritti di cittadinanza. Questi sono gli stessi principi che hanno guidato i membri della cooperativa nell’impostare lo sportello telematico, la costruzione di un rapporto di fiducia e collaborazione con la Questura, l’accompagnamento di tutti i migranti che si sono rivolti a loro alla consultazione via internet della loro situazione. In un contesto come quello Crotonese è da notare il ruolo ancora preponderante del privato sociale nell’attivare servizi di sostegno e inserimento, a fronte della grave mancanza di risorse umane degli enti pubblici. La delega dell’ente pubblico nella gestione dei progetti di inserimento è pressoché completa vista l’impossibilità di garantire un sostegno per i progetti individuali degli ospiti né in fase di accoglienza né tanto meno per una progettazione successiva. Quest’assenza dell’ente pubblico rappresenta un’occasione mancata per quel circolo virtuoso di sviluppo –di collaborazione e di competenze – che il programma nazionale di protezione ha inteso attivare tra enti locali e privato sociale. Inoltre questo appare, purtroppo, come un ulteriore elemento che porta a caratterizzare il territorio come semplice area di passaggio, a scapito degli investimenti che si concentrano su chi vi resta per 6 o anche 12 mesi. Dopo tale periodo il migrante si trova, salvo alcuni recenti episodi di “rientro”, a dover necessariamente lasciare un contesto ormai conosciuto per una nuova emigrazione in cerca di un inserimento lavorativo.

120


5. Indicatori “soft” per valutare il contributo dei progetti all’integrazione di Giuliana Candia

Nel capitolo viene presentata una breve sezione (solo quella relativa all’Italia) di uno studio comparato condotto all’interno delle attività transnazionali di Equal22. Lo studio ha avuto come obiettivo la sperimentazione di indicatori che permettessero di “misurare” alcuni risultati, altrimenti non osservabili, del progetto. Si tratta di un'iniziativa che ha preso origine nell'ambito della transnazionalità di Equal, dalla collaborazione con il progetto inglese Aspire, tra i cui obiettivi c'era quello di sperimentare approcci innovativi per sostenere l'integrazione dei richiedenti asilo, rifugiati e umanitari (Raru) attraverso lo sviluppo delle loro reti sociali. Quel progetto prevedeva attività orientate prevalentemente al sostegno psicologico e relazionale, 22

Lo studio è stato realizzato con il contributo di Katarzyna Szyniszewska, Marta Smagowicz, Jens Inti Habermann, Sonja Ottman, Floriana Tortato e Silvia Bezzi. Il rapporto di comparazione transnazionale è stato redatto da Hans Schlappa e Giuliana Candia.

121


all’espressività, alla comunicazione; la valutazione rappresentava in quel caso una vera sfida, il cui obiettivo era quello di riuscire a cogliere i risultati “immateriali” raggiunti in vista dell'obiettivo finale dell'integrazione. I tentativi di valutazione d'impatto dei progetti europei sull'integrazione poggiano di solito sulla misurazione di aspetti molto concreti (studi svolti, occupazione, alloggio, ecc). Eppure in un progetto di sostegno, anche quando i risultati attesi sono di tipo molto concreto (apprendimento della lingua, lavoro ecc.) c'è sempre molto di più. L'utilizzo di altri indicatori, che sono stati definiti soft all'interno dalla letteratura anglosassone e del presente studio, va quindi considerato uno strumento che può fornire delle informazioni rilevanti sull'impatto del lavoro di sostegno. Naturalmente, l'utilizzo di questo tipo di indicatori presenta alcune problematicità, in primis quella relativa alla natura soggettiva della percezione – di chi elabora lo strumento di rilevazione, chi lo somministra e chi risponde – ma anche per la necessità che gli indicatori siano costruiti appositamente per le specifiche azioni da valutare. In questo caso, gli indicatori sono stati messi a punto da un gruppo di ricercatori che avrebbe svolto lo studio su 4 diversi progetti in Italia, Regno Unito, Germania e Polonia, e la corrispondenza ai contesti di riferimento o alle azioni svolte risente in alcune parti di questo sforzo di omogeneizzare lo strumento di ricerca. L'impostazione di questo lavoro poggia sulla teoria di Putnam (Putnam, RD, Bowling alone, Simon and Schuster, New York, 2000) che sostiene che i rapporti sociali di una persona rappresentano un “capitale sociale” e che la quantità di capitale sociale posseduto determina le sue opportunità di accesso alle risorse del sistema sociale, come ad esempio l'occupazione, le informazioni, l’alloggio, le cure sanitarie e così via. La considerazione di questo aspetto è di estrema importanza se pensiamo alla situazione dei richiedenti asilo, che giungono nel paese di accoglienza spesso in stato di

122


totale isolamento, e si trovano nel nuovo contesto privi di una rete sociale di sostegno. E' evidente infatti che una delle principali necessità per i Raru è quella di stabilire dei nuovi rapporti con una molteplicità di soggetti, rapporti che gli permettano progressivamente di comprendere il nuovo sistema sociale e avere quindi accesso agli ambiti fondamentali del lavoro, della casa, della salute. Tra gli studi più pertinenti in materia è stato poi considerato quello di Anger e Strang (Anger, A. Strang, A., The indicators of integration: Final report. Home Office, London, 2004) nel cui approccio viene operata una distinzione tra tre ambiti di costruzione del capitale sociale: - il primo è quello che potremmo definire dei rapporti tra “pari”, di norma i più immediati e agevoli (in questo caso potremmo definire sia i rapporti tra le comunità nazionali che tra i Raru che vivono una simile condizione); - il secondo è quello dei rapporti tra gruppi sociali diversi tra loro, dove l'assenza di un comune background rende meno ovvio lo sviluppo di relazioni, che può essere agevolato da alcuni contesti; - l'ultimo è quello del rapporto tra l'individuo e le istituzioni, un rapporto che permette di fruire di altre risorse rispetto a quelle disponibili nelle proprie reti di riferimento; in sostanza, si tratta della capacità di avere accesso ai servizi e ai diritti. E' abbastanza evidente il fatto che il sostegno della comunità nazionale di appartenenza rappresenta il bene più accessibile alla maggioranza dei migranti in genere e anche dei Raru, ad eccezione dei casi in cui il rifugiato sia nella posizione di dover evitare i rapporti con i propri connazionali. Anche in questi casi comunque, ci sono più probabilità che questi abbia accesso a un supporto da parte di individui o gruppi che condividano una

123


comune condizione (ad es. altri migranti), piuttosto che dalla relazione con gruppi sociali diversi (ad es. la popolazione autoctona) o dalle istituzioni. I risultati di un'indagine di follow up delle persone che sono state ospitate presso il centro Boa di Venezia hanno infatti mostrato che, al momento delle dimissioni dal centro, la maggioranza delle persone avevano un alloggio o un lavoro, anche se precari, e che questi erano stati reperiti in prevalenza tramite amici e connazionali. Eppure, è proprio dallo sviluppo e dall’ampliamento della propria rete sociale che i nuovi arrivati possono trarre le maggiori opportunità, includendo contatti e relazioni con soggetti, gruppi e realtà “utili” ai fini dell’inserimento sociale. Che impatto ha avuto dunque il

progetto sulla costruzione di nuovi rapporti, e quindi sulla progressiva ricostruzione di una rete sociale da parte dei richiedenti asilo che vi hanno partecipato? Per rispondere a questa domanda è stato costruito un questionario con 59 items contenenti alcuni indicatori per definire il profilo del collettivo, e altri indicatori che puntano a valutare in che misura il progetto ha permesso di sviluppare le condizioni per la costruzione di nuovi rapporti, sia in termini di atteggiamento che di opportunità di incontro con altri soggetti.

5.1 Lo studio in Italia

Le organizzazioni che hanno realizzato un lavoro di sostegno diretto ai Raru nell'ambito del progetto Equal sono state la Cooperativa Coges a Mestre e l'Associazione L’Orizzonte a Parma. Entrambe le strutture gestiscono un centro di accoglienza per richiedenti asilo, fornendo quindi orientamento e assistenza

124


per la durata dei 6 mesi previsti a livello nazionale. Nel quadro dell’Equal, hanno organizzato dei percorsi articolati di supporto all'orientamento e all'inserimento lavorativo per richiedenti asilo. Tra i beneficiari di questi percorsi alcuni erano già ospiti dei centri di accoglienza, ma ne hanno fruito anche altri Raru presenti nel territorio, perché l’attività è stata pubblicizzata in città anche dai servizi sociali e tra le diverse reti sociali delle due organizzazioni. L’intervento consisteva in alcuni preliminari colloqui approfonditi volti a definire la condizione della persona, il bilancio delle competenze e delle esperienze precedenti. Da qui prendeva avvio l’orientamento e inserimento in percorsi di apprendimento linguistico o formativo, e l’inserimento in stage presso aziende. L’obiettivo primario era dunque quello dell’integrazione tramite l’inserimento lavorativo. L’approccio di lavoro degli operatori nel corso del rapporto è attento però anche alla mediazione culturale e alla socializzazione al nuovo contesto, tentando di indirizzare e agevolare la costruzione di nuove risorse anche relazionali per i Raru.

5.2 Metodo di raccolta dati

Il questionario, elaborato all'interno del gruppo di lavoro transnazionale, è stato somministrato, quindi, agli utenti delle attività di Equal a Parma e a Mestre. In entrambi i casi le interviste sono state realizzate dagli operatori del progetto stesso. Ciò ha permesso agli intervistati di collegare direttamente il tema oggetto del questionario con le azioni svolte con quegli operatori. Sarebbe stato difficile ottenere questo risultato in altro modo, poiché la distinzione tra le azioni di Equal e quelle dell’accoglienza non è sempre evidente agli ospiti del centro, che

125


sono beneficiari di diverse azioni di sostegno. Gli intervistatori sono stati comunque formati da chi ha condiviso il percorso di costruzione del questionario con il gruppo transnazionale. Le interviste si sono svolte tra luglio 2007 e settembre 2007, con persone che avevano già terminato il percorso nei mesi precedenti. Ogni intervista è durata circa un’ora, ed è stata svolta sia nella sede delle strutture che gli intervistati già conoscevano, sia in luoghi esterni più agevoli per loro. Le attività specifiche cui ricollegare la valutazione dell’intervistato erano i corsi di italiano, quelli di formazione professionale e gli stages. In quasi tutti i casi, il livello della lingua è stato un fattore problematico per la comprensione delle domande. In effetti, secondo gli operatori che hanno somministrato il questionario, i concetti che vengono usati sono in parte troppo astratti, e in parte troppo difficili per il livello di comunicazione possibile nelle lingue veicolari. Gli operatori hanno inoltre rilevato la carenza e in molti casi l'assenza di esempi da parte dei Raru per sostanziare il sostegno ricevuto. Questi esempi erano richiesti nel questionario proprio per poter valutare la natura della risposta fornita. In gran parte dei casi il contributo del progetto era identificato unicamente nell’aver trovato uno stage o un lavoro, obiettivo primario delle attività. Le risposte aperte hanno però fornito diversi spunti sul tipo di sostegno che le persone hanno riconosciuto come utile per la loro situazione.

5.3 Le caratteristiche del gruppo intervistato

Il gruppo intervistato è composto da 49 soggetti, di cui 33 beneficiari del progetto di Mestre e 16 di quello di Parma. Si tratta in maggioranza di maschi (44 su 49) e la maggior parte di

126


loro ha un’età compresa tra i 25 e i 35 anni. Tutti hanno già ottenuto prima o nel corso del progetto uno status riconosciuto, sia quello di rifugiato (30%) che di asilo umanitario (35%) che un permesso convertito in lavoro, ottenuto per 2 persone su 3 negli ultimi due anni. Ma la permanenza nel paese è ben più lunga, fino a 3-4 anni per il 41% di loro. Poco meno della metà di loro aveva conseguito un diploma prima di lasciare il proprio paese, era occupato stabilmente e non era sposato. Solo il 40% aveva scelto di venire proprio in Italia, mentre per gli altri si è solo trattato di un posto raggiungibile dove fuggire, per altri ancora (solo 7 persone) era un luogo di passaggio per andare in Germania o nel Regno Unito. La maggior parte degli intervistati è sola qui in Italia: solo 3 persone sono giunte con i propri familiari, e due persone prevedono, in futuro, di farsi raggiungere da membri della propria famiglia. Tra i 49 intervistati, 38 (il 77,6%) hanno frequentato nell’ambito del progetto Equal dei corsi di lingua, 23 di loro (il 46%) hanno frequentato una formazione professionale e 27 (il 55%) uno stage formativo. Inoltre, 14 hanno dichiarato di aver preso parte a un’iniziativa culturale o a una festa organizzata dal progetto.

5.4 Il senso di fiducia

A differenza degli altri progetti del gruppo di lavoro transnazionale, che proponevano molte attività specificamente indirizzate al sostegno psicologico e relazionale, le azioni del progetto italiano prevedevano obiettivi molto concreti, e diretti alla rapida conquista dell’autonomia. I risultati immediati auspicabili erano quindi quelli dell’acquisizione di competenze linguistiche e di un lavoro. L’utilizzo dei soft indicators aveva in questo caso per obiettivo quello di cogliere nella valutazione delle

127


persone interessate altri risultati, anche indiretti, di quelle azioni. Di fatto, l’accompagnamento all’autonomia prevede un’azione di empowerment i cui effetti dovrebbero sempre prevedere queste dimensioni. La maggior parte degli intervistati ha dichiarato infatti che il progetto ha contribuito a dare loro più fiducia nel futuro, più fiducia in se stessi e un maggiore senso di soddisfazione.

Tabella 1 - In che misura il progetto ti ha aiutato a migliorare… (valori % e assoluti) Abbasta nza

Molto

Per nient e

Poc o

La fiducia nel futuro

46,9 (23)

32,7 (16)

16,3 (8)

4,1 (2)

La fiducia in te stesso

44,9 (22)

32,7 (16)

16,3 (8)

6,1 (3)

Il senso di soddisfazion e

42,9 (21)

36,7 (18)

16,3 (8)

4,1 (2)

Gli esempi riportati di seguito fanno intuire il collegamento tra le azioni realizzate e questi risultati percepiti dagli intervistati: è evidente infatti il valore dato alle dimensioni dell’autostima e della maggiore fiducia. Si tratta di dimensioni acquisite attraverso il confronto con il nuovo contesto e la possibilità di potersi sperimentare in esso: “ho rinforzato le mie competenze e posso presentarmi nel mercato del lavoro con più fiducia mi sono sentito accolto e ho avuto la possibilità di esprimermi un buon lavoro permette di affrontare la vita, fare programmi, migliorare le proprie capacità

128


nel confronto con gli altri ho avuto la conferma che ero capace di fare da solo quello che mi veniva richiesto e che non avevo mai fatto ora ho fiducia nelle mie capacità perché ho visto che riesco a stare bene in nuovi posto di lavoro il certificato di competenze mi rende fiera di me perché ho avuto modo di sperimentarmi in cose che non conoscevo Prima pensavo che l’Italia fosse un paese ricco dove tutto sarebbe stato facile, poi ho capito che dovevo essere flessibile e cambiare tanto”

5.5 La creazione di nuovi contatti sociali

Gli intervistati hanno dichiarato di aver avuto l’opportunità di incontrare diverse persone oltre agli operatori, e a volte di conoscere altre realtà, come diretta conseguenza della loro partecipazione alle attività progettuali. Come illustra la tabella 2, la maggior parte di loro ha detto di aver fatto nuove conoscenze: si è trattato in gran parte di altre persone nella loro stessa situazione, ma anche di altri connazionali e di autoctoni, cioè italiani. I contatti con realtà collettive e organizzate sono invece stati molto residuali e più significativi solo nel caso di quelle legate alla fede, che probabilmente gli individui hanno cercato spontaneamente supportati dagli operatori. I nuovi contatti sono il frutto dell’inserimento in gruppi – come nei corsi di lingua – dell’avvio di attività lavorative, o anche solo dell’attivazione della possibilità di conoscere nuovi contesti e attivare le risorse degli utenti. “Molte delle persone conosciute durante il progetto sono attualmente i miei amici che frequento sempre

Il progetto mi ha dato i mezzi per muovermi e prendere contatti con altre persone

129


Ho fatto il corso di formazione e poi attraverso il lavoro ho conosciuto tante persone italiane Durante il corso di italiano ho conosciuto un gruppo di nigeriani, e poi altri gruppi li ho conosciuti attraverso la conoscenza di quelli che ho incontrato durante il progetto”

Tabella 2 - Il progetto ti ha permesso di incontrare… (valori % e assoluti) Si

No

Altri richiedenti asilo e rifugiati

77,6 (38)

18,4 (9)

Altre persone del tuo paese

65,3 (32)

28,6 (14)

Italiani

69,4 (34)

28,6 (14)

Gruppi o associazioni migranti

12,2 (6)

87,8 (43)

Altri gruppi o associazioni

2,0 (1)

98,0 (48)

Organizzazioni religiose o chiese

16,3 (8)

79,6 (39)

La possibilità di avere contatti con altre persone rappresenta una risorsa soprattutto per chi arriva in prevalenza solo e quindi privo di una rete sociale, caso che riguarda, come abbiamo già visto, quasi tutti gli intervistati. Il gruppo di lavoro ha ritenuto inoltre interessante considerare quale fosse la rilevanza di questo tipo di contatti riguardo alcune specifiche funzioni delle reti sociali. Sono state prese quindi in considerazione alcuni aspetti, da quelli più legati a dimensioni emotive a quelli più pratici. Gli indicatori scelti sono stati in questo caso: la possibilità – attraverso i contatti nati durante il progetto - di parlare della propria esperienza personale, di avere nuove amicizie e relazioni sociali, di risolvere problemi e difficoltà della vita di rifugiato (alloggio, casa ecc.). Abbiamo quindi incrociato le risposte di chi ha dichiarato di avere sviluppato contatti con diverse tipologie di persone, con le risposte sul contributo che questi avevano avuto riguardo queste

130


dimensioni. Non abbiamo però effettuato lo stesso confronto per i contatti con le associazioni, perché riguardavano un numero insufficiente di casi. Le differenze sono modeste tra i diversi casi: tutti i contatti sono stati significativi per potersi esprimere e ricostruire una rete di amicizie e rapporti sociali. Più marcata è però “l’utilità” di connazionali e italiani piuttosto che di persone nella che vivono la loro stessa condizione, nel risolvere problemi materiali. Questo dato conferma da un lato la solidità del collante “comunitario”, dall’altro la risorsa preziosa rappresentata da una rete sociale che includa chi già appartiene al contesto sociale in cui ci si deve inserire.

5.6 La qualità delle relazioni sociali costruite

La maggior parte degli intervistati ha riconosciuto un ruolo importante del progetto nella ricostruzione della propria vita sociale e di relazione. Il questionario ha provato a definire diversi livelli di questa ricostruzione: includono la possibilità di esprimersi, di entrare il relazione con gli altri in modo attivo, ricollegarsi al più vasto contesto sociale. Secondo i dati raccolti le attività del progetto non hanno avuto un’influenza analoga su tutti questi aspetti. In particolare, circa metà degli intervistati non si è sentito particolarmente supportato dal progetto per agire in maniera “attiva”: sia nei confronti di altre persone (motivandole o incoraggiandole) sia nei confronti di un sopruso proveniente dal nuovo contesto (che pure, molti degli intervistati hanno dichiarato di aver subito). Gli effetti più positivi si sono registrati invece nell’ambito più generale (ma determinante per definire il senso di un percorso di integrazione) del “sentirsi a proprio agio nel nuovo contesto” e nel “motivarti a costruire una nuova vita in Italia”. Questi aspetti prevedono, infatti, una condizione difficile

131


da raggiungere per chi ha dovuto abbandonare in fretta un paese, uno stile di vita, una vita di relazioni impostata in maniera completamente diversa. Gli esempi a riguardo non sono numerosi e riguardano perlopiù le relazioni più concrete, proprio quelle di aiuto verso altre persone. Quindi, anche se si tratta di pochi casi, si riferiscono a situazioni molto chiare per gli intervistati. Al contrario, non si citano situazioni per esprimere concretamente un maggiore senso di confidenza o di collegamento con il nuovo paese o la comunità locale. Pochi esempi per comunicare un cambiamento da un “prima” drammatico a un presente che si apre a delle opportunità. Questo cambiamento è però riconosciuto in maniera marcata dall’alta percentuale registrata tra i rispondenti.

Tabella 3 - In che misura il progetto ti ha aiutato a… (valori % e assoluti) Molto/abb astanza

Poco/per niente

Parlare della tua esperienza di richiedente asilo

68,1 (32)

30,6 (15)

Parlare della tua esperienza di vita qui in Italia

68,8 (33)

31,2 (15)

Motivare o incoraggiare altre persone

52,1 (25)

47,9 (23)

Affrontare atteggiamenti di chiusura o discriminazione

44,7 (21)

55,3 (26)

Motivarti a costruire una nuova vita in Italia

70,8 (34)

29,1 (14)

Sentirti a tuo agio nel nuovo contesto

76,1 (35)

23,9 (11)

132


“Quando sono al lavoro faccio molte attività con gli altri e questo è positivo per me Io parlo spesso della mia esperienza, perché è stata positiva e penso sia utile per dare coraggio agli altri e avere fiducia nel futuro Attraverso il corso di italiano ho potuto trasmettere la mia esperienza di vita agli altri; il corso ci ha aiutato a parlare e a confrontarci Durante il corso ho aiutato chi non capiva dei concetti e ho incoraggiato a parlare e correggere dei comportamenti Il corso mi ha aiutato a capire cosa serve per vivere bene in Italia e capire cosa questo paese mi può offrire Ora non piango più, prima avevo tanti pensieri di lavoro e di vita, pensavo “come faccio a mantenere mio figlio?” ora mi sento bene e sono tranquilla Ho avuto dei buoni risultati grazie all’appoggio degli operatori, e oggi posso dire di poter ricostruire una nuova vita in Italia”

5.7 Il collegamento con il nuovo contesto di vita

Va ricordato che le attività specifiche del progetto miravano a una conquista rapida dell’autonomia, in termini soprattutto di acquisizione di abilità linguistiche e di inserimento lavorativo. Il collegamento sul quale si è puntato in maniera più diretta, è stato quindi senza dubbio, quello dei richiedenti asilo al nuovo contesto sociale e di diritto. L’influenza del progetto è stata valutata come molto importante dalla maggior parte degli intervistati in questo senso. Di seguito, il questionario ha rilevato la fruizione, attraverso il progetto, di una serie di servizi e di diritti come l’apertura di un conto in banca, o l’acquisizione della patente di guida. Si tratta certo di beni fruibili universalmente per accedere i quali è tuttavia necessario un buon orientamento, soprattutto se si

133


considera che i richiedenti hanno pochi mesi di tempo per raggiungere l’autonomia e svincolarsi dai progetti di accoglienza. La tabella 4 mostra invece un valore molto basso attribuito all’influenza del progetto sulla conoscenza delle attività delle associazioni sul territorio. Ciò dipende dal fatto che la maggior parte degli intervistati non accede ai servizi dell’associazionismo locale di tipo assistenziale perché fruisce di tutti i servizi di accoglienza. Per quanto riguarda la possibilità di conoscere o ricevere sostegno da parte delle associazioni di migranti invece, è un dato di fatto che si tratta di realtà praticamente assenti in Italia e nei due specifici contesti considerati, a parte alcune eccezioni. Tabella 4 - In che misura pensi che il progetto ti abbia aiutato a… (valori % e assoluti) M olt o

Abbas tanza

Po co

Pe r ni en te

Conoscere i miei diritti e responsabilità

55, 1 (2 7)

24,5 (12)

16 ,3 (8)

4, 1 (2 )

Conoscere le attività di supporto delle associazioni sul territorio

6,1 (3)

24,5 (12)

24 ,5 (1 2)

44 ,9 (2 2)

Ricominciare le attività che facevano parte della tua vita normale nel tuo paese

24, 5 (1 2)

40,8 (20)

24 ,5 (1 2)

10 ,2 (5 )

Nel complesso, e in maniera abbastanza sorprendente, la maggior parte degli intervistati ha dichiarato di esser riuscito attraverso il progetto a ricominciare le attività che facevano parte della loro

134


vita normale nel paese di origine. E’ un giudizio attenuato dal fatto che la maggior parte di questi ha dichiarato che ciò è “abbastanza” vero, a voler dire che un risultato del genere non è affatto scontato. Nella gran parte dei casi ciò si riferisce al recupero di un assetto abbastanza “normale” della propria esistenza, che di base poggia sull’autonomia, sulla ricostruzione di alcuni rapporti sociali e sulla padronanza del nuovo contesto. Il fatto che il progetto Equal abbia permesso di accelerare la realizzazione di questi passaggi e di queste acquisizioni ha rappresentato quindi, secondo i dati raccolti, un notevole contributo per chi vi ha preso parte, come testimoniano anche le frasi raccolte durante le interviste: “Ha fatto in modo che tutto quello che dovevo fare fosse più veloce, in pochi mesi ho già cominciato a sistemarmi e avevo trovato lavoro Mi ha dato il coraggio di parlare, di chiedere sapendo quando potevo farlo e quando no Mi hanno aiutato orientandomi e fornendomi tutte le informazioni anche le più semplici Mi hanno aiutato nella ricerca di un lavoro e di condurre una vita normale come tutti gli altri Grazie alle attività ricreative del centro di accoglienza ho giocato a calcio con gli amici, una cosa che mi piace e che facevo anche in Eritrea Le persone che erano con me hanno condiviso con me i problemi comuni della nostra condizione”

135


136


6. La percezione del fenomeno in 5 città di Giuliana Candia

6.1 Perché questa indagine Nel presente capitolo sono analizzati i risultati di un’indagine esplorativa rivolta alle popolazioni delle cinque città in cui si è svolto il progetto Inclusion refugee network: Venezia, Parma, Sanremo, Caserta e Gravina in Puglia. L’obiettivo generale dell’indagine è stato quello di rilevare quale fosse la percezione dei cittadini rispetto al fenomeno dell’asilo e della presenza dei richiedenti asilo, rifugiati e titolari di protezione umanitaria (Raru), ovvero rispetto a un fenomeno sul quale l’informazione, soprattutto per i non addetti ai lavori è piuttosto carente e imprecisa. L’interesse di indagare gli orientamenti, oltre al grado di conoscenza e sensibilità dei membri della società d’accoglienza, trae spunto da diverse considerazioni. In primo luogo, dalla constatazione dell’assenza di indagini analoghe nel nostro paese. Se infatti da esperienze come quelle dell’Information Center about asylum and refugees23 si possono apprendere gli orientamenti e i cambiamenti dell’opinione pubblica inglese rispetto ai temi dell’asilo, in Italia questo non è 23

http://www.icar.org.uk/?lid=5023 http://www.ippr.org.uk/publicationsandreports/publication.asp?id=29 4

137


ancora divenuto oggetto di attenzione, né come fenomeno in sé, né come parte del più generale fenomeno migratorio. Quest’assenza si può considerare una diretta conseguenza del ritardo con cui il fenomeno è diventato oggetto di politiche specifiche, un ritardo che non ha, a tutt’oggi, portato alla definizione di una legge ad hoc. Inoltre, per alcuni dei contesti cittadini del progetto in cui erano attivi servizi dedicati, si è valutata l’importanza di conoscere quale fosse, a distanza di alcuni anni dalla loro attivazione, l’impatto sulla popolazione locale della presenza dei Raru e delle politiche di integrazione finora attivate. Ad esempio se questa abbia portato una maggiore consapevolezza sull’esperienza della migrazione forzata, oppure quali siano gli scenari – positivi o negativi – associati a questa presenza nella propria città. Infine si è considerata l’utilità di un tale strumento per meglio definire e orientare le iniziative di sensibilizzazione e comunicazione su questi argomenti. I risultati dell’indagine possono infatti rappresentare un utile spunto per la discussione sulla consapevolezza, oltre che sulle immagini, che il tema asilo evoca tra la popolazione. Sono infatti sempre più numerose le azioni di sensibilizzazione rivolte alla cittadinanza, sviluppate da istituzioni e dal privato sociale impegnato nell’accoglienza e nella tutela dei Raru. Queste iniziative tendono ad offrire informazioni mirate a far comprendere la realtà di chi ha dovuto abbandonare in modo traumatico il proprio paese, a conoscere le culture di origine e a stimolare l’apertura, per favorire la possibile integrazione tra società d’accoglienza e rifugiati. La base di partenza è la consapevolezza della carenza di informazione sull’asilo. L’importante, a nostro avviso, è sapere quanto le persone conoscano questo fenomeno, cercando di capire quali opinioni e atteggiamenti esso evochi. Il fine è contrastare pregiudizi e stereotipi, ma anche valutare l’effettivo riconoscimento del valore dei diritti umani e delle politiche che li tutelano.

138


L’indagine è stata condotta attraverso il coinvolgimento attivo dei membri delle 5 strutture partner del progetto Equal. Si è trattato per lo più degli operatori sociali e di coloro che sarebbero stati poi impegnati nelle azioni di sensibilizzazione, quindi era evidente l’interesse – condiviso dal gruppo di ricerca – di far sì che fossero loro stessi a potersi confrontare con le opinioni comuni delle persone sull’asilo. Queste opinioni sono state rilevate attraverso la somministrazione, sotto forma di intervista, di un breve questionario strutturato di 40 items a risposta chiusa. Il collettivo intervistato è stato composto di persone coinvolte dagli intervistatori in vari luoghi di aggregazione – luoghi di passaggio, uscita dei supermercati, piazze, circuiti ricreativi – dei 5 centri urbani. Il numero di questionari previsto dal progetto non era tale da consentire la costruzione statistica di un campione rappresentativo, quindi si è provveduto a garantire una proporzione tra la popolazione residente e il gruppo intervistato riguardo le sole variabili dell’età e del sesso. Il questionario è stato concepito volutamente come breve e immediato, per consentire un’intervista di pochi minuti, e vincere le resistenze delle persone e non intercettare solo le più favorevoli o interessate al tema. Oltre alle variabili socio-demografiche sono state prese in considerazione altre variabili che si è ipotizzato potessero determinare l’atteggiamento verso la categoria dei richiedenti asilo, in modo da poter ottenere più informazioni riguardo agli elementi che influenzano le rappresentazioni o gli atteggiamenti riguardo al fenomeno e alle persone coinvolte. Gli intervistati hanno rivolto inizialmente delle domande tese ad esplorare le immagini associate all’asilo, al termine “richiedente asilo”, e alla situazione dell’asilo in Italia, senza fornire definizioni, proprio per cogliere la semplice percezione del fenomeno. Più avanti nel questionario, le domande poste hanno proposto una definizione diretta del richiedente asilo. In questo caso l’obiettivo diventa

139


quello di sondare la disponibilità all’erogazione di servizi e diritti, nonché capire le rappresentazioni del cambiamento che comporta la loro presenza nella città di residenza.

6.2 La popolazione intervistata

Il gruppo intervistato è costituito da 645 persone, diversamente distribuite tra le cinque città: siamo infatti vicino alle 100 unità a Caserta, Sanremo e Gravina in Puglia (rispettivamente con 108, 110 e 98 unità), mentre a Parma sono state intervistate 130 persone e a Venezia 198. Le cinque città hanno quindi, all’interno del gruppo complessivo, un peso diverso sia per il numero di soggetti intervistati che per le altre variabili personali (sesso, età, titolo di studio e occupazione); per questo motivo non è possibile confrontare tra loro i dati di diversa provenienza geografica, ma si considererà solo l’intero gruppo e i dati percentuali ottenuti. Il gruppo complessivo è un collettivo di persone maggiorenni, suddiviso in 4 fasce di età che comprendono i giovani dai 18 ai 34 anni, gli adulti tra i 35 e i 49 anni, i più maturi tra i 50 e i 64 anni e gli anziani oltre i 65 anni. Ogni fascia di età rappresenta circa un quarto del totale, ad eccezione della fascia dai 50 ai 64 anni che conta solo per il 22%. Gli uomini sono 326 e le donne 319 unità. Rispetto al livello di istruzione, i diplomati sono il gruppo più grande (il 38% del totale), seguiti da quelli che hanno terminato la scuola dell’obbligo (sono il 23%), e a parità di numeri, dai laureati e dalle persone senza titolo di studio o con la sola licenza elementare. La consistenza di quest’ultimo gruppo è dovuto all’incidenza, nell’intero collettivo, degli ultra 65enni, che per il 60% risultano nella fascia di minor istruzione. D’altro canto, la struttura demografica delle cinque città mostra una forte sproporzione tra anziani e giovani a favore dei primi, in

140


particolare a Venezia e a Parma; solo a Gravina in Puglia si registra una struttura demografica caratteristica delle piramidi delle età (ovvero con una prevalenza di bambini e giovani). Tra le occupazioni prevalenti degli intervistati troviamo di conseguenza un numero importante di pensionati (sono il 23%), oltre a un 10% di casalinghe. I restanti tre quarti del collettivo sono impiegati in attività tecnico-artigianali (il 23,2%), intellettuali/sociali (il 20% del totale, che comprende sia chi opera nel sociale che gli studenti universitari), e impiegatizie (per il 13%). Per meglio definire le caratteristiche personali del nostro collettivo sono state indagate altre aree che potessero determinare la percezione e l’atteggiamento riguardo il fenomeno che ci interessa. Tra queste abbiamo inserito l’importanza attribuita alla tutela dei diritti umani, che ha permesso di distinguere inizialmente i tre quarti del collettivo che la ritengono molto importante dal 24% che gli attribuisce un valore minore o nullo. L’interesse per i temi del sociale e della solidarietà è un’altra area che distingue il collettivo in 3 gruppi, uno di persone impegnate personalmente (il 19% del totale); uno, maggioritario (il 63% sul totale) che si dichiara non impegnato ma interessato a questi temi e un terzo gruppo (di un altro 19%) che non sono né impegnate né interessate a questi temi. Queste distinzioni ci sono sembrate più pratiche rispetto a una generica collocazione politica degli intervistati, soprattutto per le convergenze riscontrabili nel discorso politico sull’immigrazione dei due schieramenti. Un’ulteriore variabile considerata è quella della conoscenza di persone che hanno avuto esperienze di emigrazione, un dato interessante sia rispetto alla recente storia italiana di emigrazione, sia per verificare se la prossimità con questo tipo di esperienza può contribuire a orientare gli atteggiamenti. Nel nostro collettivo più di una persona su 3 (il 36%) non conosce persone emigrate all’estero, mentre il restante 64% degli intervistati ha avuto

141


almeno un parente (il 20%) o un amico (il 25%) o un conoscente (il 33%) emigrato all’estero. 6.3 Cosa si sa dell’asilo? Come anticipato nella premessa, nel nostro paese il fenomeno dell’asilo è poco conosciuto ed è oggetto di poche attenzioni, in primo luogo da parte della componente politica. Solo con la prima legge organica sull’immigrazione (L. 39/90) si è data applicazione al diritto d’asilo citato nella Costituzione, che comunque non ha trovato applicazione praticamente fino all’arrivo dei profughi che fuggivano dal conflitto nell’ex Jugoslavia. Alla fine degli anni ’90 questo scenario si è totalmente modificato, e negli ultimi dieci anni il numero di persone che ha fatto richiesta di asilo ha sempre superato le diecimila unità. Ciò ha confermato un dato già noto agli operatori del settore: la precedente assenza o scarsità di domande era dovuta non all’assenza di potenziali rifugiati, bensì alla scelta di ripiego della maggioranza di presentarsi come migranti economici, o di migrare altrove in mancanza di altre possibilità. A distanza di quasi venti anni dalla legge 39/90, la cultura dell’accoglienza nei confronti dei richiedenti asilo è in costruzione per gli addetti ai lavori e forse ancor più per chi studia i fenomeni migratori. Le conseguenze del ritardo nella presa di coscienza di questa realtà sono evidenti anche nella comunicazione che la riguarda, riflettendosi su una scarsa consapevolezza da parte dell’opinione pubblica. Nel nostro collettivo sono quasi il 17% quelli che dichiarano di non aver mai sentito parlare dell’asilo, mentre la maggioranza (il 53%) ne ha sentito parlare, ma solo raramente. Come si può vedere nella tabella 1 questo dato è ben poco influenzato dalla variabile sesso, mentre varia notevolmente a seconda del livello di istruzione, mostrando evidentemente una

142


maggiore attenzione selettiva all’informazione da parte dei laureati e diplomati a fronte di una scarsa attenzione da parte di quelli con un basso o nullo titolo di studio. Il confronto con le fasce di età e l’occupazione ci conferma inoltre che tra i “meno attenti” ci sono gli anziani (il 31% di loro non ne ha mai sentito parlare), e come categoria di occupazione i pensionati e le persone che svolgono una professione non qualificata, mentre un terzo di quelli impegnati in attività intellettuali/sociali dichiarano di aver sentito parlare spesso del fenomeno. Tra chi si dichiara impegnato direttamente nel sociale (a prescindere dall’ambito) troviamo solo un 5% di persone che non ne ha mai sentito parlare, mentre questa quota è quasi la metà delle persone disinteressate alle problematiche sociali. Sono il 31% di quelli per i quali la tutela dei diritti umani non è molto importante. Tab.1 - Le è già capitato di sentir parlare dell'asilo politico e umanitario nel nostro paese? (Dati % per sesso e titolo di studio) Sesso M

Si, spesso Raramente No, mai Totale (N. schede)

F

28.22 53.37 18.40

30.72 53.61 15.36

326

319

Nessuno/ element. 18.85 58.20 22.13 122

Titolo di studio Licenza Diploma media 19.46 35.77 55.03 49.59 25.50 14.63 149

246

Tot. Laurea 39.84 54.47 5.69

29.46

123

645

53.49 16.90

Com’è intuibile, l’opinione pubblica ha come luogo di informazione privilegiato l’ambito dei mass media. In particolare l’85% dei rispondenti ha citato la televisione come una delle fonti da cui ha sentito parlare di asilo, il 61% delle persone ha citato la stampa. In effetti, osservando il dato generale dei diversi ambiti in cui si è sentito parlare del tema, possiamo notare che la maggior parte di chi ha risposto ha indicato più di un contesto, fonte o situazione. Queste sono riferibili per il 22,6% del gruppo a una

143


partecipazione diretta a un evento specifico e per il 18% all’ambito delle relazioni di prossimità (familiari o amicali ex aequo). Se si osservano però i dati relativi alla sola prima risposta scelta, constatiamo che in realtà tutti gli ambiti esterni al mondo della comunicazione di massa hanno un ruolo ben più marginale nella costruzione di una conoscenza o di un immaginario sull’asilo. L’analisi della prima risposta scelta, illustrata nella tab. 2, ci conferma la nota differenza di fruizione dei due principali media a seconda del livello di istruzione: piu’ diffusa la lettura della stampa tra i laureati, piu’ elevato il pubblico di non istruiti tra gli spettatori televisivi. In generale, come confermano anche i dati relativi agli altri ambiti, si osserva come solo tra le persone più istruite l’informazione provenga da fonti che implicano una specifica ricerca (stampa e internet), selezione o partecipazione (in occasione di eventi), a fronte di una conoscenza che si può classificare come di ricezione più passiva (televisione, famiglia, parrocchia) da parte dei meno istruiti. Tab. 2 - In quali ambiti ha sentito parlare di asilo? Totale risposte e % delle prime risposte scelte, per titolo di studio Totale Titolo di studio prima scelta Nessuno/ Licenza Totale Prima Diploma Laurea media scelta elementare Televisione/radio 84,49 56.45 65.77 57.14 37.07 68.09 Stampa 61,12 28.41 14.89 22.52 31.43 39.66 Eventi 22,62 3.93 1.80 3.81 9.48 Da amici 18,69 3.36 2.13 4.50 2.86 3.45 In famiglia 18,32 2.06 6.38 1.80 1.43 Sul lavoro 13,08 3.18 2.13 2.70 2.38 6.03 In parrocchia 12,15 1.50 5.32 0.90 1.72 Internet 11,21 0.93 0.95 2.59 Totale* 242,24 100 100 100 100 100 Totale schede 535 535 94 111 210 116 * Il totale delle risposte è superiore a 100 perché era possibile dare fino a 3 risposte, in ordine di importanza.

144


Una delle ipotesi che l’indagine intende esplorare è quella relativa all’esistenza di un legame tra la conoscenza dell’asilo e della realtà dei Raru e gli atteggiamenti espressi nei loro confronti. A tale scopo sono state sottoposte al campione altre domande per capire quanto questa conoscenza fosse diretta. Il grafico 1, relativo alla risposta circa la conoscenza personale di un richiedente asilo, ci mostra che tre quarti del gruppo non ne ha mai conosciuto uno. Grafico 1 Conosce personalmente o ha mai conosciuto un richiedente asilo? Non so 3,1

Si 21,55

No 75,19

Il dato in sé non è sorprendente se si considera il loro modesto numero nel nostro paese. Nella tabella 3 sono contenute ulteriori informazioni a riguardo: se è vero che il 21,5% degli intervistati dichiara di conoscere personalmente un rifugiato, in realtà sono pochi i casi in cui il rapporto si configura come amicizia dato che prevale la semplice conoscenza, rapporti di lavoro o altro. Sempre nella tabella si può vedere come il fattore “interesse” per i temi sociali giochi in senso favorevole o sfavorevole sulle possibilità di conoscere un richiedente asilo. Chi è meno interessato a questi temi ha anche meno probabilità di avere una conoscenza diretta di un richiedente asilo (90,3%) rispetto a chi è invece impegnato (55,2%). E’ infine interessante

145


notare la quota di quel 3,1% che risponde “non so”. Persone che probabilmente conoscendo degli stranieri si rendono conto di non conoscerne la specifica storia di migrazione. Tab. 3 - Conosce personalmente o ha mai conosciuto un richiedente asilo? Come definisce il suo interesse per i temi del sociale? Non Impegnati Interessati interessati Si, come semplice 16.09 2.63 24.39 conoscente Si, siamo amici 1.98 1.75 11.38 Si, per altri motivi 2.23 0.88 8.94 No 55.28 76.73 90.35 Non so 3.25 2.97 3.51 Totale (schede) 123 404 114

Totale 15.19 3.72 3.26 75.19 3.10 645

Ancora più alta, come mostra il grafico 2, è poi la porzione di quelli che non hanno idea dell’eventuale presenza, nella loro città, di servizi specifici dedicati ai richiedenti asilo o che immaginano solo che ci siano (in totale, il 90%). La grossa quota di chi ha risposto “penso di si” è illustrativa delle rappresentazioni sociali: malgrado in 2 delle cinque città non siano attivi servizi dedicati, la metà del collettivo, composto dagli abitanti di tutti e 5 i territori, “immagina” che ci siano. La confusione può derivare qui tanto da parte di chi considera tali servizi opportuni a prescindere dalla loro esistenza reale, quanto da chi li confonde con generici servizi di cui beneficiano i migranti (ad esempio le mense sociali). Solo l’8% sa con certezza che sono presenti dei servizi, come risultato della conoscenza diretta o per un eventuale azione di comunicazione messa in atto dai servizi stessi. Come illustrato dalla tabella 4, tale conoscenza è più frequente tra chi è impegno nel sociale (21,9%) e chi conosce personalmente i beneficiari di tali servizi (24,4%).

146


Grafico 2 Nella sua città sa se sono presenti servizi specifici in favore di richiedenti asilo e rifugiati? Non ne ho idea 40,93

Penso di si ma non li conosco direttamente 49,92

Si 8,53

Tab. 4 - Conoscenza di servizi specifici per Raru nella propria città, per interesse nel sociale e conoscenza diretta di richiedenti asilo.

Si Penso di sì Non ne ho idea Totale (schede)

Sono impegnato nel sociale

Conosco un richiedente asilo

Totale

21.95 56.91 20.33 123

24.46 57.55 17.27 139

8.53 49.92 40.93 645

6.4 Rappresentazioni dell’asilo politico e dei richiedenti asilo Come abbiamo visto, la maggioranza del collettivo ha raramente sentito parlare del tema dell’asilo e non ha nessuna conoscenza diretta delle persone coinvolte. Intervistati sugli elementi più legati a questo fenomeno le persone hanno fornito le 3 possibili risposte in ordine di importanza, che nel grafico 3 vengono riportate accorpate. Dei primi due dati, quelli effettivamente

147


pertinenti con il tema, al di là della loro consistenza, colpisce il fatto che lascino fuori una quota consistente dei rispondenti. Rispettivamente un quarto che non cita affatto la protezione delle vittime di persecuzioni e un quinto che trascura la tutela dei diritti umani. Le altre opzioni indicate sono state proposte per sondare la percezione e le rappresentazioni di questo fenomeno così poco noto. Come si può vedere tra queste è “aiuti umanitari al terzo mondo” la risposta che raccoglie il maggiore favore (il 36%), espressione di una sensibilizzazione che passa per un immaginario popolato di immagini miserabiliste di chi arriva per chiedere protezione. Ma anche dalla stigmatizzazione dell’arrivo per vie illegali: per un quarto del collettivo l’asilo politico è legato al controllo dell’immigrazione clandestina, quindi alla gestione di un fenomeno ampiamente criminalizzato dalla politica e, a seguire, dai media. Per un quinto degli intervistati poi, è opinione plausibile che l’asilo sia associato alla lotta al terrorismo internazionale e infine per uno su sei è associato alla difesa dell’ordine pubblico. Dall’incrocio con i dati delle risposte cumulate si apprende l’influenza delle fonti di informazione: in generale chi le ha acquisite tramite la stampa, internet e la partecipazione a eventi specifici ha un’immagine del fenomeno più vicina alla realtà, mentre troviamo le immagini più “distorte” tra chi non ne ha mai sentito parlare e tra quelli che hanno indicato contesti per così dire più “passivi” come fonte di informazione: come televisione, famiglia e parrocchia Incrociando i dati ottenuti con le variabili di base con cui abbiamo definito il nostro collettivo, si nota che i fattori più determinanti nell’avvicinarsi in modo consapevole al tema dell’asilo sono da un lato il titolo di studio, dall’altro l’impegno personale o l’interesse per il sociale. Entrambe queste variabili incidono in misura sensibile sul modo di conoscere il fenomeno,

148


evidentemente per la diversa disponibilità sia di recepire informazioni sull’argomento e sia degli strumenti interpretativi Grafico 3: Aspetti che si ritengono legati al tema dell’asilo politico (Totale risposte: 250% su 645 schede)

73,49

80,16

36,43 24,81 15,04

20,47

Lotta al terrorismo internazionale

Controllo dell'immigrazione clandestina

Difesa dell'ordine pubblico

Aiuti umanitari al terzo mondo

Tutela dei diritti umani

Protezione delle vittime di persecuzioni

per leggerle. Sono infatti quelli che si dichiarano non interessati ai temi della solidarietà e i meno istruiti a proporre immagini dell’asilo più lontane dalla realtà 0 connotate negativamente. Allo stesso modo la conoscenza diretta di un richiedente asilo è determinante per riprodurre immagini pertinenti. Chi non ha mai sentito parlare dell’asilo riproduce le stesse proporzioni dell’intero collettivo riguardo l’idea che esso sia legato agli aiuti umanitari al terzo mondo e alla lotta al terrorismo internazionale. Possiamo affermare che, al di là delle variabili già citate che determinano un diverso orientamento alla conoscenza, alcuni temi si impongono all’immaginario collettivo per il solo fatto di essere frequentemente dibattuti nei media, dunque spontaneamente associati alla tematica migratoria nelle due versioni con cui questa

149


viene affrontata: quella pietistica da un lato e quella della sicurezza dall’altro. Tab. 5 - Alcuni aspetti legati all’asilo politico per livello d’istruzione, interesse nel sociale, fonte di informazione e conoscenza diretta di un richiedente asilo Fattori influenti Laurea

Impegnati nel sociale

Protezione vittime 84,55 81,30 di persecuzioni Controllo 15.45 23.58 clandestini Aiuti umanitari al 28.46 33.33 terzo mondo Lotta al terrorismo 12.20 11.38 internazionale Il totale delle risposte è superiore a 100 perché risposte, in ordine di importanza.

Eventi

Conosce un Totale * richiedente

87.60

83.45

73.49

13.22

18.71

24.81

44.63

41.73

36.43

13.22

10.79

20.47

era possibile dare fino a 3

Confrontando l’ordine delle risposte si ricavano ulteriori informazioni: circa la metà del gruppo (il 48,3%) ha indicato la protezione delle vittime di persecuzioni come prima scelta, e in totale l’82% dei rispondenti ha indicato per prima una risposta corretta. Dinanzi a questo dato, possiamo vedere come l’andamento decrescente delle risposte corrette e quello in crescita relativo alle rappresentazioni più inesatte, ci consenta di capire meglio la posizione di queste ultime nell’immaginario collettivo. La possibilità di indicare fino a tre scelte non era infatti vincolante ma i soggetti intervistati, malgrado abbiano scelto inizialmente gli aspetti più pertinenti, hanno ritenuto opportuno indicare anche le altre opzioni, associate a temi molto dibattuti nei media benché non pertinenti.

150


Tab. 6 - Aspetti cui si ritiene più strettamente legato il tema dell’asilo politico: totale delle risposte e risposte per ordine di importanza Totale 1a scelta 2a scelta 3a scelta Protezione delle vittime 73,49 18,45 6,67 48,37 di persecuzioni Tutela diritti umani 80,16 40,47 5,43 34,26 Aiuti al terzo mondo 36,43 3,57 10,85 22,02 Difesa ordine pubblico 15,04 4,34 5,43 5,43 Controllo immigrazione 24,81 4,81 10,23 9,77 Lotta al terrorismo 20,47 3,41 5,27 11,78 Altro / Non so 2,64 1,24 1,4 Non risponde 9,30 37,52 Totale* 250 100 100 100 Totale (schede) 645 645 645 645 * Il totale delle risposte è superiore a 100 perché era possibile dare fino a 3 risposte, in ordine di importanza.

Passando dal piano delle rappresentazioni del fenomeno dell’asilo a quello del richiedente asilo, osserviamo che si definisce ancor meglio il profilo di quest’ultimo. Per l’80% dei rispondenti è una persona spinta alla fuga da persecuzioni e torture, mentre per il 46,8% può essere un dissidente politico religioso. Spostare il focus dell’attenzione dal tema generale alle persone porta anche a una maggiore propensione alla classificazione dei richiedenti asilo come bisognosi, ovvero come persone che partono per estrema povertà o per fame, opzione indicata dal 76,9% dei rispondenti. Inoltre, come per la domanda precedente, anche qui si può rivelare la presenza di una percezione negativa verso i richiedenti asilo sia come “scrocconi” (per il 35,8% dei rispondenti sono persone che intendono “approfittare dei possibili vantaggi economici”) che come “criminali” (per il 21,5% del totale). Analogamente possiamo vedere dal confronto tra l’ordine di scelta delle risposte che queste rappresentazioni negative si palesano e si fanno più consistenti perlopiù come seconda o terza

151


scelta, subito dopo la risposta socialmente più accettabile da parte dell’intervistato. Tab. 7 - Motivi che spingono una persona a lasciare il proprio paese per chiedere asilo altrove. Totale risposte in % e ordine di risposta. Totale 1a scelta 2a scelta 3a scelta Per fuggire da persecuzioni 80.16 55.19 19.22 5.89 Per estrema povertà/fame 76.90 22.79 40.78 13.33 Perché è un dissidente 46.82 8.22 14.57 24.03 Per vantaggi economici 35.81 10.39 11.94 13.49 Perché ha commesso reati 21.55 2.33 7.60 11.63 Altro/Non so 2.33 0.94 0.47 2.65 Non risponde 0.16 0.16 5.43 28.99 Totale % 265,44 100 100 100 Totale (schede) 645 645 645

Tab. 8 - Motivi che spingono una persona a fuggire e chiedere asilo per livello d’istruzione, interesse per il sociale, attenzione frequente e conoscenza diretta con un richiedente asilo* Impegnati Conosce un Laurea Interessati Totale nel sociale richiedente Per fuggire da 88.62 91.06 86.32 89.93 80.16 persecuzioni Per estrema 75.61 74.80 77.89 85.61 76.90 povertà/fame Perché è un 67.48 56.91 50.53 45.32 46.82 dissidente Per vantaggi 22.76 26.83 33.16 40.29 35.81 economici Perché ha 14.63 16.26 15.26 11.51 21.55 commesso reati Totale (schede) 123 123 190 139 645 * Il totale delle risposte è superiore a 100 perché era possibile dare fino a 3 risposte, in ordine di importanza.

Al riguardo, le variabili di base presentano risultati analoghi a quelli del confronto con la domanda precedente (vedi Tab. 8): le

152


immagini più corrispondenti dei richiedenti asilo vengono dalle persone più istruite, impegnate e già consapevoli del tema. 6.5 Come dovrebbe comportarsi l’Italia? Malgrado la presenza di alcune rappresentazioni negative, troviamo quindi che almeno 4 persone su 5 sono consapevoli delle condizioni che rendono doverosa la garanzia del diritto d’asilo. Possiamo quindi supporre che chi ha un’idea corretta dell’asilo politico e dei drammatici motivi che sono alla base della sua richiesta, sia anche favorevole alla sua applicazione in generale e in particolare nel nostro paese. Ciò è in effetti quanto confermano i dati: sono infatti concordi con il principio dell’asilo e dell’accoglienza l’83% dei rispondenti, quindi una percentuale prossima a quella di chi ha un’immagine corretta del problema. Nel resto del collettivo, fatto del 17% che risponde che lo è poco o affatto, incontriamo quindi tutti quelli che condividono un’immagine negativa dei richiedenti asilo e dei rifugiati, fatta di immigrazione illegale, di sfruttamento del welfare, di criminalità o di legami con il terrorismo internazionale. Grafico 3 - L'Italia deve accogliere le persone che chiedono asilo perché vittime di persecuzione nei loro paesi. Grado di accordo poco 13,18

per niente 3,88

abbastanza 48,37

153

molto 34,57


Questo tipo di consenso è quindi funzione della consapevolezza sulla realtà dell’asilo e dell’immagine che si ha dei richiedenti,un’immagine che come abbiamo visto è condizionata tanto dall’esistenza di informazioni sull’argomento, quanto da un’attenzione selettiva che porta chi è più impegnato e più istruito a decodificarla rispetto agli stereotipi più negativi che vengono veicolati dai media. Tra i laureati la quota di chi si dichiara molto o abbastanza d’accordo arriva infatti al 91,8%, tra chi è impegnato nel sociale sale al 94,3%. Quelli che definiscono con modalità appropriate l’asilo rispondono favorevolmente per l’88%, ma lo fa anche chi pensa che l’asilo sia legato agli aiuti umanitari, evidenziando una posizione “caritatevole” più che legata al riconoscimento di un diritto. Sono favorevoli anche coloro che definiscono “correttamente” il richiedente sia come persona in fuga da persecuzioni che come dissidente politico o religioso (entrambi poco più dell’89%). 6.6 I migranti, tutti richiedenti asilo? E’ evidente quindi che la tenuta del principio dell’asilo è garantita dalla possibilità che i cittadini siano informati e abbiano consapevolezza delle poste in gioco; ma cosa accade per quanto riguarda altre valutazioni riguardo la presenza dei richiedenti asilo nel più generale fenomeno migratorio nel nostro paese? Per quanto il fenomeno sia noto e comprensibile nelle sue linee generali, bisogna comunque sottolineare che l’Italia si è distinta, negli ultimi anni, per la scarsità di informazioni e dati forniti sull’effettiva consistenza del fenomeno e del numero di persone coinvolte. A fronte delle continue immagini televisive che mostrano migliaia di clandestini o di disperati arrivare sulle nostre coste, raramente si comunica quali siano le proporzioni tra i cosiddetti migranti economici e chi fa richiesta di asilo politico.

154


Nel nostro collettivo quasi una persona su due è dell’idea (molto o abbastanza d’accordo) che la maggioranza degli immigrati giunti in Italia abbia fatto richiesta di asilo, e un altro 40% si dichiara “poco” d’accordo mentre solo il 12% dei rispondenti si dichiara convinto che ciò non sia vero. Grafico 4 - “La maggior parte degli immigrati giunti in Italia negli ultimi anni ha fatto richiesta di asilo politico”. Grado di accordo (%) per niente 12,1

molto 10,5

poco 40,2 abbastanza 36,6

L’effetto della comunicazione televisiva è quindi assicurato: gli sbarchi colpiscono l’immaginario collettivo come modalità dominante attraverso la quale i migranti giungono nel nostro paese. Una modalità che ne mette in evidenza la condizione di miseria e di vulnerabilità che corrisponde all’immagine che almeno un terzo dei rispondenti ha di chi chiede asilo politico. Se consideriamo le percentuali dei rispondenti, troviamo che a fronte del 47% del collettivo che condivide questa opinione, sono il 56,6% di quelli che pensano che l’asilo sia legato agli aiuti al terzo mondo, mentre tra quelli che pensano che i richiedenti vengono perché vogliono approfittare dei vantaggi economici sono il 58,4% e che vengono per estrema povertà il 50,4%. Queste percentuali salgono ancora al 68% per le persone meno

155


istruite, ovvero le più vulnerabili rispetto alla comunicazione mediatica che assicura il parallelo tra immigrazione e assalto al welfare. 6.7 In Italia il diritto d’asilo viene accordato troppo facilmente? Secondo i dati della Commissione nazionale per il diritto d’asilo, nel 2005 sono state esaminate le richieste di 14.651 persone, giunte in Italia in parte nello stesso anno (più di 9.000) e in parte negli anni precedenti. Rispetto a questo dato, risulta che il 62,6% non ha ottenuto alcuno status, perché le domande non sono state riconosciute (il 38%) e perché non è stato possibile reperire le persone. I rifugiati riconosciuti sono stati solo il 6,2%. Si può quindi parlare ben difficilmente di un’eccessiva elasticità nella concessione dello status di rifugiato, soprattutto se si considera il fatto che la carenza delle politiche di accoglienza ha comportato di reperire migliaia di richiedenti al momento dell’appuntamento con la Commissione Centrale, la partenza di molti richiedenti di competenza dello stato italiano verso altri paesi europei. Grafico 5 - “In Italia si accorda troppo facilmente l’asilo politico e umanitario”. Grado di accordo (%) poco 29,46 per niente 14,11

abbastanza 40

molto 15,5

156


Rispetto alla nostra indagine, la maggioranza degli intervistati (il 55%) ha comunque dichiarato di credere che in Italia si accordi troppo facilmente il diritto d’asilo. Dietro questa credenza troviamo l’immagine di uno stato eccessivamente “generoso” e troppo aperto ad accogliere clandestini, criminali e terroristi. Confrontando i dati percentuali, vediamo infatti che i più propensi ad abbracciare questo paradigma sono: chi pensa che l’asilo riguardi la lotta all’immigrazione clandestina (72%) e al terrorismo internazionale (71%), chi ritiene i richiedenti asilo persone che intendono approfittare di vantaggi economici (71,8%) o che hanno commesso reati (70%), le persone con i titoli di studio più bassi ( il 69% tra chi non ha titoli e chi ha la licenza media). Anche qui, purtroppo, si riflette sia un contesto politico che strumentalizza sin dalle sue origini il fenomeno migratorio come arma elettorale, sia un approccio mediatico teso a rincorrere i temi più ansiogeni per trattare i temi relativi all’immigrazione in generale. 6.8 L’Italia è il paese più generoso nel panorama europeo? La risposta alla domanda successiva è ancora più illuminante rispetto alla penetrazione, tra l’opinione pubblica, di un altro paradigma generale caro ai paladini della lotta all’immigrazione: quello che vede l’Italia come paese più accogliente e più permissivo rispetto agli altri stati europei. Intervistati su questo confronto, sono il 58,7% quelli che si dichiarano molto o abbastanza d’accordo con questa affermazione. La percentuale aumenta a ben il 74% tra chi ritiene i richiedenti asilo “approfittatori”, tra chi ritiene che siano persone che hanno commesso reati, tra chi pensa che l’asilo sia legato al controllo

157


dell’immigrazione clandestina, e ancor più (il 76,5%) chi crede sia legato alla lotta al terrorismo internazionale. La minore incidenza, a questo proposito, delle variabili relative al livello di istruzione e di impegno sociale testimoniano a nostro avviso la totale mancanza di informazioni su questo argomento. Secondo il rapporto dell’Unhcr per il Dossier Caritas 2006, “la media di domande d’asilo presentate nei paesi dell’Unione Europea è oltre 3 volte superiore a quella italiana” e i rifugiati in Italia erano nel 2005 circa 20.000 a fronte di 700.000 presenze registrate in Germania, 293.000 nel Regno Unito, 100.000 in Olanda e 150.000 in Francia. Grafico 6 – “L’Italia è più generosa degli altri paesi europei nel concedere l’asilo politico e umanitario”. Grado di accordo (%).

per niente 14,1

molto 20,6

poco 26

abbastanza 38,1

6.9 Assistenza a chi chiede asilo? Passando adesso al piano dell’assistenza, possiamo confrontare come si esprimono gli intervistati riguardo la possibilità e le modalità dell’assistenza per chi chiede asilo.

158


Per gli addetti ai lavori, che conoscono la realtà dei richiedenti asilo e di chi riceve un permesso di soggiorno per protezione, è comune considerare che l’assistenza dovrebbe essere garantita fino al momento dell’effettiva autonomia delle persone, ovvero in seguito all’acquisizione di diversi strumenti che consentano un inserimento sociale, oltre che culturale, nel nuovo contesto. Sul versante opposto, c’è chi vede nelle politiche di accoglienza un peso per la spesa pubblica: una visione che ha portato a privilegiare la spesa per i Cpt e i Cdi a tutto scapito di quella per i centri del Sistema di Protezione. Queste due visioni dividono quasi a metà il collettivo intervistato, che si schiera per il 43,4% per un’assistenza fino all’autonomia e per il 42,3% per un’assistenza limitata alla verifica della fondatezza della domanda di asilo.

Tab. 9 - Opinioni sul periodo di assistenza opportuno per chi chiede asilo, accordo su alcune affermazioni sull’asilo in Italia Impegnato Non impegnato ma Non interessato nel sociale interessato 13,82 2,48 2,63 Per sempre Fino a che non si accerta il loro 30,08 48,51 33,33 diritto per l’asilo Fino a quando 52,03 44,80 28,95 autonomi Non devono essere 1,63 1,73 28,95 assistite 1,63 2,48 6,14 Altro Totale % 100 100 100

per Totale 4.65 42.33 43.41 6.51 2.95 100

E’ interessante notare come queste diverse posizioni non siano condizionate in maniera consistente dalle opinioni sul fenomeno o sui soggetti, mentre lo sono dalla sensibilità espressa a priori verso l’ambito sociale (cfr. tab. 9). In pratica, la maggioranza di

159


chi è impegnato nel sociale (il 52%) è favorevole all’assistenza fino all’autonomia, e il 13,8% la garantirebbe anche per sempre. Chi è genericamente interessato si rivela più propenso di ogni altro a erogare assistenza solo fino alla verifica dei requisiti per l’asilo, mentre chi si dichiara non interessato a questi temi è tra i più propensi a negare totalmente l’assistenza (28,9% di casi a fronte del generale 6,5%). In totale abbiamo visto quindi che il 90% degli intervistati si dichiara favorevole a garantire assistenza. Rispetto al tipo di assistenza però le risposte sono piuttosto differenti. Nel questionario sono state proposte una serie di categorie di servizi che interessano lo specifico target dei richiedenti asilo, come l’assistenza legale ad hoc, o dei migranti in generale – come i corsi di italiano – assieme ad altri servizi che attengono ai diritti di cittadinanza, la cui estensione ai migranti è oggetto discussione in diversi contesti locali. Ciò che i dati del collettivo mostrano, è proprio la diminuzione dei consensi al passaggio dalle categorie di servizi che interessano più tipicamente la condizione di migranti e richiedenti asilo a quelle più universali che includono tutti i cittadini. La tab. 10 evidenzia questo crollo dei consensi: dall’80% per garantire l’assistenza legale per la procedura dell’asilo, al 36,6% per l’accesso all’edilizia pubblica. Tab. 10 - Tipo di assistenza che lo Stato dovrebbe garantire a chi chiede asilo Secondo la sua opinione lo Si No Non so Totale stato dovrebbe garantire: Assistenza legale per l’asilo 80,00 10,39 9,46 100 Accoglienza residenziale 78,14 11,47 10,08 100 Corsi di lingua italiana 67,13 19,69 13,02 100 Assistenza psicologica 62,17 21,71 15,81 100 Sostegno economico 54,73 30,54 14,57 100 Accesso all'edilizia pubblica 36,59 35,66 27,29 100 Totale schede 645 645 645 645

160


L’immagine fornita dal collettivo è quella di un’opinione pubblica presso la quale è ormai accettata l’idea che la spesa pubblica finanzi alcuni tipi di servizi, quelli ritenuti utili a gestire il fenomeno nel senso del controllo e della verifica dei presupposti del diritto, ma che non accetta invece che a questa prima assistenza corrisponda una effettiva integrazione. Integrazione che corrisponde alla possibilità di ottenere dei benefici la cui fruizione, è considerata largamente insufficiente in generale tra la popolazione autoctona. Più che manifestare gli orientamenti della popolazione, i dati sembrano piuttosto confermare come, a fronte di un’informazione scarsa e imprecisa, venga recepita la comunicazione fornita dal mondo politico e dai media, che riflette l’immigrazione come un peso da arginare per la spesa pubblica. Certo sono meno ricorrenti sui media i rimandi alle spese effettivamente sostenute per le politiche di controllo e repressione, di molte volte superiori a quelle per l’integrazione. Sebbene la quota di chi rifiuta di dare accesso ai servizi più “condivisibili” con il resto della popolazione cresca fino a raggiungere il 30% per i sostegni economici e il 35% per l’accesso all’edilizia pubblica, si può notare come crescano in proposito anche le quote di chi non sa pronunciarsi (ben il 27% riguardo l’accesso all’edilizia pubblica). E’ lecito supporre che una migliore informazione sui costi sociali della non integrazione – dei migranti come di qualsiasi altro membro della società – potrebbe modificare in senso favorevole l’orientamento dei rispondenti. 6.10 Se accadesse a noi? In questo paragrafo sono riportati i risultati delle risposte a una domanda proiettiva, relativa all’ipotesi in cui fosse l’intervistato stesso a dover essere costretto a fuggire in un altro paese e chiedere asilo politico. L’obiettivo della provocazione consisteva

161


nel testare l’importanza attribuita dai rispondenti ad alcune delle principali difficoltà vissute dai Raru nel paese di asilo, elementi che rappresentano alcune delle questioni più controverse e dibattute, rispetto all’accoglienza e all’inserimento sociale dei richiedenti, come ad esempio il principio della detenzione per immigrazione irregolare o il divieto di lavorare. In generale, possiamo constatare dai dati ottenuti che l’espediente proiettivo ha funzionato solo in parte, infatti la maggioranza degli intervistati ha valutato “molto” importanti ognuno degli aspetti proposti, pur se con notevoli differenze tra l’uno e l’altro. Il limite dell’espediente utilizzato è visibile nelle risposte negative, e nel fatto che queste siano influenzate dalla variabile relativa all’immagine che essi hanno del fenomeno e dei richiedenti asilo.

Tab. 11 – Grado di importanza conferito ad alcune condizioni in cui potrebbe trovarsi l’intervistato se dovesse fuggire per chiedere asilo Molto Abbastanza Poco Per niente Totale Poter lavorare per 87.13 12.25 0.31 645 mantenermi Non essere rimandato 77.98 18.45 2.02 1.09 645 nel mio paese Farmi raggiungere dalla 74.88 18.76 4.03 1.86 645 mia famiglia Essere accettato dalla 64.50 28.37 5.43 1.24 645 popolazione Non essere detenuto per 70.23 20.47 6.20 2.64 645 immigrazione irregolare Beneficiare di un 50.23 31.32 11.63 6.36 645 sostegno

La possibilità di lavorare per mantenersi, proibita in tutta Europa fino all’emanazione della direttiva europea 2003/9/CE, è il

162


principio che ha raggiunto il massimo dei consensi da parte dei rispondenti, in totale dal 99,6%, che hanno risposto che sarebbe “molto” (87,1%) o “abbastanza” (12,2%) importante per loro. Tale quota di consenso tende ad aumentare leggermente in funzione del livello di istruzione, dell’impegno nel sociale e della consapevolezza delle motivazioni alla base della fuga, ma in linea generale il punteggio “molto” rimane superiore all’80% per tutte le categorie. Considerando poi il rischio di essere rimpatriati per diniego della richiesta, o peggio ancora per l’impossibilità di presentarla (una casistica ripetutamente denunciata dalle organizzazioni di tutela dei migranti), questo viene riconosciuto dal 96% dei rispondenti (che indicano “molto” o “abbastanza”). Di nuovo quindi una copertura quasi totale di consenso rispetto all’importanza del principio internazionale del non refoulement. Rispetto alle altre variabili troviamo che la considerazione più alta per questo principio (il 77,9% dei casi, che ha risposto “molto”) si verifica principalmente tra chi conosce le effettive motivazioni di chi deve fuggire dal proprio paese, ma anche tra quelli che conoscono direttamente delle persone che sono emigrate all’estero (l’83,3 di questi) come illustra la tabella 12. Il principio del diritto al ricongiungimento familiare e quello dell’integrazione nella nuova società di accoglienza raccoglie un consenso poco inferiore, corrispondente a un totale (“molto” più “abbastanza”) del 93% degli intervistati, sebbene per il secondo la quota di chi lo considera una dimensione “molto” importante è molto più ridotta. I fattori che incidono maggiormente su questi due aspetti sono in primo luogo una rappresentazione molto negativa di chi chiede asilo (come autore di reati nel proprio paese) e il disinteresse verso il sociale e la solidarietà, sinonimo qui di una scarsa sensibilità verso le necessità di integrazione anche culturale dei migranti.

163


In coda per il numero di consensi troviamo il principio della detenzione per l’immigrazione irregolare, considerato poco o per nulla importante dall’8,8% degli intervistati, e quello dell’assistenza per l’inserimento sociale, per cui la quota di chi non lo considera importante è la più alta, il 18% del totale. In particolare rispetto a quest’ultimo principio, si può notare che la quota di chi considera la possibilità di beneficiare un sostegno come “molto” importante è la più bassa rispetto agli altri (il 50,2%) e che le risposte ad esso relative rispecchiano quasi fedelmente quelle del consenso all’erogazione di un sostegno economico ai richiedenti asilo analizzata nel paragrafo precedente.

164


Tab. 12 - Condizioni cui è assegnata molta importanza, per immagine dell’asilo e dei richiedenti asilo e conoscenza di persone emigrate all’estero Aspetti legati all’asilo Controllo clandestini

Fuga persecuzione

Non essere rimandato nel mio paese Non essere detenuto per immigrazione Beneficiare di un sostegno

Motivi di chi lo chiede Vantaggi Reati economici

Totale

82,98

70,63

71,86

69,06

77,98

75,24

66,25

62,77

61,15

70,23

55,51

42,50

48,05

36,69

50,23

6.11 Se i rifugiati sono vicino casa Per passare dal piano delle rappresentazioni generali a quello del proprio contesto di prossimità è stato poi chiesto agli intervistati quale sarebbe il loro atteggiamento qualora si aprisse un centro di accoglienza vicino la loro casa. A giudicare dai dati ottenuti, sembra che la prossimità spaziale non determini degli atteggiamenti più negativi rispetto alle valutazioni già espresse in merito ai diritti e all’accoglienza in generale. Nel gruppo di intervistati infatti sono solo l’11,4% quelli che si dichiarano apertamente ostili a questa eventualità, un atteggiamento verso il quale pendono maggiormente le persone che hanno un’immagine molto negativa dei richiedenti asilo e che ritengono che l’Italia sia troppo generosa e accogliente verso di loro. All’opposto di questo gruppo c’è quasi la metà degli intervistati (il 48,3%) che afferma di essere favorevole all’apertura di un centro vicino la propria abitazione, e il 32,7% che si dichiara indifferente. Da ulteriori incroci è possibile notare che, mentre l’atteggiamento favorevole è espresso perlopiù da persone

165


consapevoli e favorevoli all’accoglienza, quello “indifferente” è diffuso tra chi non ha conoscenze dirette sul fenomeno. Un dato piuttosto dissonante è quello dei numerosi soggetti che pur avendo un’immagine negativa dei richiedenti asilo, non si dichiarano ostili alla presenza di un centro di accoglienza. Le interpretazioni di questi casi possono riguardare sia la presenza di una “maschera” utilizzata da chi teme di essere considerato razzista, sia la differenza esistente tra l’insicurezza percepita (mediata da una comunicazione allarmante su questi temi) e quella effettivamente sperimentata nel proprio contesto di vita. Rispetto ai tre schieramenti citati c’è poi un piccolo gruppo di circa 50 persone che ha indicato diverse altre risposte, che abbiamo riassunto in parte nella nuova modalità che descrive un atteggiamento “preoccupato” (che raccoglie il 5,7% delle risposte). Si tratta di persone che dichiarano di temere per la propria incolumità, di nutrire molti dubbi sul fatto che questa situazione possa essere gestita e controllata, che ritiene di dover assumere in un tal caso una posizione di allerta o comunque di prudenza. Non si tratta di un gruppo con fisionomie specifiche, se non quella di essere più raramente composto di persone ben informate riguardo l’asilo. Tab. 13 - Atteggiamento di fronte alla possibilità che si apra un centro di accoglienza per richiedenti asilo vicino la propria casa Atteggiamenti % Favorevole 48,37 Indifferente 32,71 Ostile 11,47 Preoccupato 5,74 Altro 1,09 Non Risponde 0,47 Totale 100

166


6.12 Paure o speranze? Che si tratti quindi di opinioni reali, o di “maschere” socialmente accettabili, il gruppo di intervistati ha espresso una maggioranza di atteggiamenti positivi alla presenza di richiedenti asilo nella propria città e solo 1 persona su 6 ha espresso delle riserve o un atteggiamento decisamente contrario. Mantenendo il focus dell’attenzione su questa dimensione di prossimità abbiamo quindi cercato di esplorare quali fossero gli elementi che sostanziano questi atteggiamenti, ipotizzando una serie di opportunità e di rischi, percepiti o reali, che questa presenza comporterebbe. Sono state quindi prospettate sia derive problematiche che prospettive positive, per le quali la presenza dei richiedenti asilo e rifugiati può rappresentare una forme di arricchimento per la società di accoglienza e in particolare per la comunità locale. La considerazione di questo tipo di prospettive è importante per valutare l’effettivo valore dato al diritto d’asilo, come riconoscimento delle risorse di cui sono portatori i rifugiati, un riconoscimento che prelude a un’apertura verso l’integrazione. Tab. 14 - Accordo e disaccordo su possibili esiti della presenza di richiedenti asilo e rifugiati nella propria città La presenza di richiedenti asilo e rifugiati in città Molto + Poco + può comportare: abbastanza per niente d’accordo d’accordo Occasione di esprimere solidarietà 77,36 22,17 Opportunità di riaffermare i valori democratici 65,74 33,80 Opportunità di conoscere le loro storie 65,74 33,80 Sovraccarico della spesa pubblica 65,43 34,26 Arricchimento culturale 63,10 36,59 Problemi di convivenza legati alla religione 54,26 45,27 Aumento della criminalità 45,27 54,26 Competizione per il lavoro 42,64 56,74 Indebolimento della nostra identità culturale 22,33 77,21

167


Analogamente importante è individuare in quali tipi di timori si concretizzi un atteggiamento pregiudizievole nei confronti dei richiedenti asilo, per evidenziare gli elementi sui quali è più opportuno sviluppare una corretta informazione. Il massimo dei consensi registrati (il 77% del totale) riguarda l’affermazione che vede nella presenza di richiedenti asilo un’occasione di esprimere solidarietà, con un punteggio analogo a quello che mostra una scarsa preoccupazione per un potenziale indebolimento dell’identità culturale per la società italiana. Se i timori che riguardano la sfera culturale vengono quindi disconfermati da questo dato, come anche da quello di chi è d’accordo con l’idea che i richiedenti asilo portino un arricchimento culturale (il 63,1%), si affacciano comunque delle paure quando si evoca la sfera della diversità religiosa. L’esasperazione cui è portata dai media la teoria dello scontro di civiltà si rivela infatti nei consensi dati all’idea che la presenza di richiedenti asilo comporterà problemi di convivenza dovuti alle diverse religioni. Si tratta della maggioranza del collettivo (il 54,2%), che comprende una buona quota di persone che ha espresso pareri favorevoli all’accoglienza e ai richiedenti asilo. Ancor più alta è la quota di quelli che ritengono che la presenza di richiedenti asilo comporti un sovraccarico per la spesa pubblica, una considerazione che anche in questo caso è condivisa non solo da chi è ostile all’accoglienza. Riguardano infine poco meno della metà dell’intero collettivo altri timori legati al tema della sicurezza e del lavoro: il 45,2% pensa che i richiedenti asilo possano portare un aumento della criminalità, e il 42,6% che possano portare competizione per il lavoro. I dati mostrano quindi che circa due terzi degli intervistati concordano con visioni positive sulla presenza dei richiedenti asilo come occasione per “riaffermare i valori democratici”, “conoscere le loro storie”, “esprimere solidarietà” o per un arricchimento culturale. Un’apertura che rischia però di essere

168


solo retorica dal momento che, come si è visto, non gli corrisponde un analogo consenso per le politiche di sostegno all’inserimento sociale (come l’assistenza economica e l’accesso all’edilizia pubblica). Se consideriamo invece le ansie che questa presenza genera, dobbiamo constatare che non vengono operate distinzioni tra il fenomeno dell’asilo e quello dell’immigrazione in generale, rispetto al quale gli intervistati associano le rappresentazioni più comunemente veicolate dai media in termini di peso per il nostro welfare, nonché di fonte di insicurezza a causa di un comportamento criminoso o legato al fondamentalismo religioso. 6.13 Le dimensioni emerse e i gruppi omogenei Grafico 7 – I 4 gruppi omogenei (cluster) emersi dal collettivo (645 casi) Introlleranti e xenofobi 9%

Favorevoli all'integrazione 24%

Disinteressati e ostili 29%

Attenti ma con riserve 38%

L’analisi fattoriale eseguita sull’insieme delle molteplici variabili fin qui esaminate ha portato all’individuazione di 3 assi fattoriali, ovvero delle nuove categorie che permettono di leggere in maniera più sintetica e immediata le informazioni finora osservate, posizionandole verso l’uno o l’altro dei 2 poli degli assi. ‐ La prima dimensione, che spiega la maggior parte delle distinzioni interne al collettivo, è quella che comprende i due

169


elementi della rappresentazione dei richiedenti asilo e della disponibilità all’accoglienza. Si trovano quindi disposti lungo l’asse da un lato quelli che hanno un’immagine negativa dei richiedenti asilo e rifiutano le diverse forme di assistenza – e in particolare quella economica – e dall’altro quelli che hanno un’immagine corretta e esprimono disponibilità all’accoglienza. La seconda dimensione è quella che caratterizza l’apertura democratica verso chi chiede asilo politico: distingue infatti da un lato le persone impegnate, consapevoli delle restrizioni presenti nella politica italiana dell’asilo e che riconoscono aspetti positivi nella presenza dei richiedenti asilo, e dall’altro le persone disinteressate al sociale, critiche verso la gestione politica del fenomeno e negative verso l’idea che la presenza di richiedenti asilo rappresenti una risorsa. La terza dimensione è quella che vede su un estremo l’appiattimento del fenomeno asilo su quello dell’immigrazione tout court, abbinato alle paure relative alla sicurezza, e sull’estremo opposto la netta distinzione tra i due fenomeni. Si tratta di una dimensione minore, che qualifica perlopiù la mancanza di consapevolezza sul fenomeno.

L’elaborazione statistica che colloca le risposte del collettivo lungo le nuove dimensioni appena citate, ha permesso poi – attraverso un procedimento di cluster analysis – di associare gli intervistati a seconda della loro similarità a queste dimensioni. Il nostro collettivo è risultato quindi suddiviso in 4 gruppi omogenei al loro interno e ben distinti l’uno rispetto all’altro, il cui peso percentuale è evidenziato nel grafico 7. Come potremo vedere, le differenze tra i gruppi sono determinate dalle specifiche caratteristiche che mettono in evidenza i fattori. Il primo profilo raggruppa gli intervistati più favorevoli all’integrazione: si tratta di coloro che associano un netto

170


Tab. 15 - Favorevoli all’integrazione: variabili che li definiscono per % di presenza in questo gruppo e % di presenza nel collettivo generale % nel gruppo dei favorevoli % nel totale Variabili all’integrazione degli intervistati Presenza di 61.04 17.52 Raru=più cultura Presenza di Raru=opportunità di riaffermare valori 55.19 21.55 democratici Favorevoli al diritto d’asilo 75.97 34.57 Favorevoli ai centri vicino 85.06 48.22 casa L’Italia non è più generosa di 40.26 14.11 altri paesi L’Italia non concede l’asilo 42.86 14.11 facilmente Favorevoli all’accesso 66.23 36.59 all’edilizia pubblica Favorevoli al sostegno 80.52 54.73 economico I richiedenti asilo fuggono 96.75 80.16 dalle persecuzioni Impegnati personalmente nel 47.40 19.07 sociale

accordo al diritto d’asilo, che hanno una visione positiva della presenza dei richiedenti asilo e ritengono che la politica italiana non sia sufficientemente aperta nei loro confronti. Si esprimono inoltre in favore dell’apertura di centri di accoglienza nel loro quartiere e a tutte le misure opportune per garantire l’integrazione sociale e culturale. I casi riconducibili a questo profilo sono in tutto 154, cioé poco meno di un quarto dell’intero collettivo (23,88).

171


Tab. 16 – Attenti con riserve: variabili che li definiscono per % di presenza in questo gruppo e % di presenza nel collettivo generale % nel gruppo % nel totale Gli immigrati giunti han chiesto tutti 52.24 36.59 asilo (abbastanza) troppo generosa (abbastanza) 53.06 38.14 opportunità democrazia (abbastanza) 59.59 44.19 sostegno economico (abbastanza) 70.20 54.73 I Richiedenti asilo fuggono da 91.84 80.16 persecuzione Favorevoli al diritto d’asilo 61.22 48.37 (abbastanza) Assistenza fino a che non si accerta lo 53.88 42.33 status L’asilo è legato al tema della protezione delle vittime di 84.08 73.49 persecuzioni Ne ho sentito parare raramente 66.94 53.49 Ne ho sentito parlare in tv 82.04 71.01 Interesse per il sociale 82,04 62,64

Il secondo profilo è quello che concentra il maggior numero di intervistati, ovvero il 37,98% del collettivo esaminato per un totale di 245 persone. Il dato è positivo in quanto quelli che abbiamo definito attenti con riserve sono coloro che hanno una visione perlopiù consapevole del fenomeno e positiva riguardo le sue conseguenze nel nostro paese. Questo gruppo esprime però delle riserve legate all’idea che si faccia un uso strumentale del diritto di asilo, come è evidenziato dal fatto che chi ne fa parte risulta prevalente tra quelli che credono che la maggioranza dei migranti ne ha fatto richiesta, e tra chi è disponibile a erogare assistenza solo fino all’accertamento dell’esistenza delle condizioni per ottenere lo status. Il terzo gruppo, che abbiamo definito disinteressati e ostili è poco meno numeroso ed è composto da 190 individui ovvero il

172


Tab. 17 – Disinteressati e ostili: variabili che li definiscono per % di presenza in questo gruppo e % di presenza nel collettivo generale % nel gruppo % nel totale Contrari al sostegno 56.84 30.54 economico Contrari all’accesso 58.95 35.66 all’edilizia pubblica Contrari ai corsi di lingua 38.42 19.69 gratis Presenza di Raru=criminalità 47.89 29.61 Presenza di 31.05 14.42 Raru=indebolimento culturale Presenza di Raru=sovraccarico spesa 47.37 27.75 pubblica Richiedenti asilo non fuggono 37.37 19.84 da persecuzioni Richiedenti asilo fuggono 38.95 21.55 perché han commesso reati Presenza di Raru=problemi 53.16 36.43 legati alle religioni Disinteressati al sociale 33.68 17.67 Indifferenti ai centri vicino 51.58 32.56 casa Se dovessi fuggire, sarebbe importante non essere 32.63 18.45 rimandato nel mio paese

29,46% del gruppo intervistato. In questo gruppo troviamo persone disinteressate ai temi del sociale, che ignorano le effettive motivazioni di chi fugge per chiedere asilo e ritengono che si debba trattare di persone che hanno commesso reati nel proprio paese; come conseguenza di questi elementi esprimono una chiusura totale verso le forme di assistenza che possono favorire

173


Tab. 18 – Intolleranti e xenofobi: variabili che li definiscono per % di presenza in questo gruppo e % di presenza nel collettivo generale % nel gruppo % nel totale Presenza di Raru=criminalità 85.71 15.66 Presenza di Raru=indebolimento 51.79 7.91 culturale Presenza di Raru=sovraccarico spesa 83.93 27.75 pubblica Presenza di Raru=problemi legati alle 71.43 17.83 religioni Contrari ai centri vicino casa 55.36 10.08 Nessuna assistenza ai Raru 41.07 6.51 L’Italia è più generosa rispetto agli 67.86 20.62 altri paesi Disinteressati al sociale 62.50 17.67 In Italia si concede troppo facilmente 58.93 15.50 l’asilo Contrari al diritto d’asilo 50.00 13.18

l’inserimento, e delle preoccupazioni circa la presenza di richiedenti asilo nel proprio territorio. Il quarto gruppo è in assoluto il più ridotto, infatti riunisce solo 56 casi, corrispondenti all’8,68% dei rispondenti totali. Lo abbiamo definito quello degli intolleranti e xenofobi, ovvero di coloro che esprimono con maggiore nettezza la propria visione tutta al negativo della possibile presenza di richiedenti asilo nella propria città, apertamente ostili sia alla vicinanza con un centro di accoglienza, che a qualsiasi tipo di assistenza verso di loro. Si tratte evidentemente di coloro che non temono l’etichetta di razzisti e che esprimono la convinzione che l’Italia sia invasa da migranti che fanno un uso strumentale di un diritto, quello d’asilo, che non li trova affatto d’accordo.

174


6.14 Considerazioni conclusive I dati dell’indagine confermano, attraverso l’analisi statistica, alcuni aspetti purtroppo noti tra gli operatori del settore, ad esempio che in Italia si sente parlare di asilo politico poco, e male. Possiamo considerare infatti eccessiva quella quota – pur minoritaria – di persone che non hanno mai sentito parlare dell’asilo nel nostro paese: non già per l’ampiezza di questo fenomeno ma, per citare solo un motivo, per il fatto che il diritto d’asilo è iscritto nella Costituzione e che fa quindi parte della nostra storia, sebbene sia stato reso effettivo solo negli anni più recenti. Abbiamo visto inoltre che l’ago della bilancia che determina l’esistenza o meno di un’informazione a riguardo non è tanto la sua fruibilità sui media, quanto piuttosto l’attenzione selettiva per un certo tipo di tematiche. A parità di copertura da parte dei media, ci sono molte più probabilità che le persone più istruite e più sensibili all’argomento ne colgano le informazioni, che siano più in grado di differenziarle rispetto a quelle che riguardano il più generale fenomeno migratorio, ma che ne sappiano dare una lettura critica, più vigile rispetto alle generalizzazioni e agli stereotipi che troppo spesso vengono veicolati su questi temi. Il gruppo dei più consapevoli appare dunque come quello dei soliti noti: i più sensibili, interessati ad approfondire, pronti a partecipare alle iniziative di sensibilizzazione con cui si vuol tenere alta l’attenzione di tutti sul valore dei diritti umani. Gli altri, quelli meno interessati, dovrebbero in teoria rappresentare il target ideale di questo tipo di iniziative, che tuttavia non li coinvolgono proprio perché implicano un certo grado di partecipazione. Le informazioni sono quindi assorbite prevalentemente da stampa e tv, dove i più si espongono alle distorsioni messe in atto dalla comunicazione mediatica, fatta di emergenze sbarchi, di invasioni

175


di clandestini, di arrivi incontrollati e ingestibili. Una comunicazione tesa com’è noto a destare l’attenzione del pubblico colpendone il lato emotivo: il senso di insicurezza, di identità, di umanità, che produce delle rappresentazioni collettive se non nettamente negative comunque venate di pietismo. Una comunicazione che porta quindi a pensare al fenomeno “con la pancia” più che con la testa, proprio perchè non sono gli elementi di conoscenza quelli che vengono messi in campo, sia che si tratti di numeri, che di politiche, di spesa o di diritti da garantire. Come si è visto, quello che potremmo definire come un vero e proprio danno d’immagine, è prodotto in questo senso dalle rappresentazioni di come il fenomeno viene gestito nel paese: molti pensano che la maggior parte dei migranti chieda di essere accolta utilizzando lo strumento dell’asilo, i più immaginano che quest’accoglienza sia elargita ingenuamente, con una generosità non comune e da arginare. La conseguenza diretta di questi vissuti, è l’atteggiamento di chiusura rispetto all’assistenza, o la riduzione della stessa ai soli interventi emergenziali per limitare una concreta spartizione di welfare a supposti approfittatori. Nei fatti le cose stanno ben diversamente. Come è noto purtroppo solo tra gli addetti, i richiedenti asilo sono poche migliaia (la quota di quelli che vengono riconosciuti rifugiati è inferiore al 10%) e i nostri numeri sono molto più modesti di quelli degli altri paesi europei di immigrazione. Oggi che queste informazioni vengono elaborate e sono disponibili in maniera molto più fluida rispetto agli anni recenti, è evidente che sarebbe opportuno darne comunicazione anche al grande pubblico dei media, per sfatare tali falsi miti. Se come abbiamo visto l’idea dell’invasione fa emergere posizioni di chiusura, è anche vero che i diritti di cui si sta parlando sono diritti umani, e in quanto tale universali e facilmente riconoscibili da tutti. Malgrado i pregiudizi espressi, la dimostrazione di questo riconoscimento è giunta effettivamente

176


laddove si è chiesto agli intervistati cosa sarebbe più importante per loro se si trovassero nella condizione di dover chiedere asilo. Si riducono in questo caso le quote degli oppositori all’asilo; si riducono anzi, si annullano quasi, le quote di chi negherebbe il diritto al lavoro in vista dell’atteso riconoscimento dello status (come accadeva fino a due anni fa), si riducono anche le quote di quelli che vedono i richiedenti asilo come soggetti pericolosi da trattenere se arrivano come clandestini. L’immedesimazione è un potente fattore che permette di mettere momentaneamente da parte lo stereotipo del migrante così come è costruito dai media, e anche il buonismo che conduce a elargire una pura assistenza di contenimento: è infatti la presa di contatto con la consapevolezza della propria realtà, dei propri diritti acquisiti e consolidati, che finisce per riconoscere come importanti, fondamentali per ogni persona, determinati diritti. Quelli, appunto, di cittadinanza: che non prevedono solo l’assistenza, ma l’accesso alla partecipazione nella più larga accezione alla nuova comunità che è tenuta a garantire protezione. Purtroppo il riconoscimento della pari dignità di cittadinanza è sempre più spesso negato alle popolazioni migranti, vissute dall’immaginario collettivo spesso come invasori, quasi mai come nuovi appartenenti alla comunità nazionale. Anche oggi che l’immigrazione non è più un’emergenza, ma un fenomeno strutturale, anche mentre le seconde generazioni crescono in percorsi uguali a quelli dei loro coetanei, non sembra assottigliarsi questa dissonanza cognitiva che fa essere non razzisti ma pieni di pregiudizi, non chiusi ma dispensatori di diritti limitati e con la data di scadenza. Un dato utile emergente dall’indagine è quello della maggiore apertura di chi ha esperienze di emigrazione in famiglia: è un elemento non da poco, che ci parla di un'altra rimozione della coscienza collettiva, della storia d’Italia, di chi ha lasciato tutto per poter costruire

177


altrove. Una memoria evocata ben di rado, e spesso solo con intenti celebrativi dei successi conseguiti dai connazionali emigrati “per fare fortuna”. Al contrario tale memoria dovrebbe essere il più possibile veicolata e condivisa proprio per agevolare i processi di identificazione tra vecchie e nuove migrazioni, vecchi e nuovi scambi, esperienze, cittadinanze, per finirla con la proiezione sull’altro delle preoccupazioni (criminalità, spesa pubblica ecc) che interessano tutti.

178



Stampato da Croma Multimedia srl – Roma Prima edizione anno 2008


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.