Costruire la sicurezza locale

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C O L L A N A “ P R A S S I E M E TO DI ” È una collana che vuole valorizzare esperienze innovative e d’impatto nell’ambito dei servizi e delle politiche di welfare locale, con un approfondimento obbligato relativo alla modellistica e alle coordinate di natura metodologica collegate alle prassi messe in campo. Ciò aiuta ad esportare gli interventi, a confrontarli, ad estrapolarne principi di fondo e coordinate teorico-operative.



C O L L A N A “P R A S S I E M E T O D I ”

Costruire la sicurezza locale Spunti per progettare sui territori in maniera partecipata

A cura di Pier Paolo Inserra Progetto editoriale collegato al percorso formativo “Attività formative per Responsabile tecnico di politiche di sicurezza urbana”, POR Campania 2000-2006 Misura 3.23 Azione a Servizio di Sicurezza urbana, Vicepresidenza della Regione Campania – Sicurezza delle città.

Contributi di: Antonio d’Alessandro, Maurizio Fiasco, Pier Paolo Inserra, Nicoletta Teodosi, Massimiliano Trulli


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Questo libro è stampato in “Digitale Ecologico” da Croma Multimedia S.r.l., privo di residui tossici ed emissione di ozono nei processi di lavorazione. La stampa è realizzata su carta Fedrigoni “Freelife Vellum White”, certificata FSC ed Ecolabel.

sviluppolocale edizioni Casa editrice di Parsec Consortium Piazza Vittorio Emanuele II, 2 – 00185 Roma Tel. 06/446.34.21 In copertina La città ideale dell’Anonimo Fiorentino www.sviluppolocaleedizioni.org info@sviluppolocaleedizioni.org


Indice

Introduzione

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di Pier Paolo Inserra

1. Verso un’idea articolata di sicurezza locale partecipata di Maurizio Fiasco

1.1 Premessa 1.2 Il ruolo del Comune 1.3 La selezione delle priorità 1.4 Le premesse operative per la sicurezza urbana 1.5 La preparazione dell’apparato amministrativo 1.6 La formazione degli operatori

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2. Una finestra su sicurezza, diritti sociali e partecipazione di Pier Paolo Inserra

2.1 Premessa 2.2 Quale idea di sicurezza 2.2.1 Sottosistema agente, specialistiche e vettori strutturali 2.3 Il rapporto tra istituzioni, politiche sociali e servizi

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3. Coniugare partecipazione, piani e programmi per costruire sicurezza locale di Pier Paolo Inserra

3.1 Premessa 3.2 Politiche partecipate di promozione della sicurezza locale: a che punto siamo? 3.2.1 Attori, governance e partecipazione 3.3 Dalla pianificazione strategica alla progettazione partecipata

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4. Fondamenti di progettazione sociale partecipata per lavorare sulla sicurezza locale di Nicoletta Teodosi

4.1 Premessa 4.2 Gli strumenti della progettazione partecipata 4.3 Le fasi della progettazione sociale integrata e partecipata 4.3.1 AttivitĂ preparatoria: individuazione del problema o del bisogno 4.3.2 La formulazione degli obiettivi 4.3.3 Partenariato 4.3.4 Programma di lavoro 4.3.5 Preventivo di spesa 4.3.6 Verifica della documentazione prima della presentazione del progetto e lista di controllo 4.3.7 Gestione del progetto 4.3.8 Valutazione 4.3.9 Rendicontazione

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5. L’importanza di un lavoro di rete in un territorio di Massimiliano Trulli

5.1 Premessa 5.2 Le reti: definizioni e caratteristiche generali 5.3 Le reti territoriali per la sicurezza partecipata 5.4 Gli attori rilevanti delle reti locali per la sicurezza 5.5 Il valore aggiunto delle reti: una riflessione basata sull’approccio del PCM 5.6 Conclusioni e indicazioni operative

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6. Le principali risorse pubbliche utilizzabili di Antonio D’Alessandro 6.1 Premessa 6.2 Il PON Sicurezza 2007-2013 6.3 Le caratteristiche degli APQ 6.3.1 Dagli APQ ai Progetti Pilota 6.4 Dal PON ai Programmi Operativi Regionali 6.5 Sicurezza e finanziamenti regionali dell’UE 6.5.1 Le risorse da integrare 6.6 Le risorse specifiche da attivare ad hoc 6.7 Le altre risorse 6.7.1 I programmi dell’ Unione Europea 6.8 le buone pratiche italiane ed europee 6.8.1 Le reti italiane 6.8.2 Reti europee di città per la sperimentazione e l’adozione di buone prassi

Riferimenti bibliografici essenziali Gli autori

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Introduzione di Pier Paolo Inserra

Rendere sicuro un contesto locale o provare ad abbassare i livelli di insicurezza reale e percepita vuol dire attivare un’operazione complessa. Laddove tentassimo, infatti - con un approccio appena più raffinato di quello che attualmente orienta le riflessioni e le scelte amministrative in gran parte dei nostri territori - di rileggere tutta la partita sulla sicurezza urbana con un poco di rigore scientifico, ci accorgeremmo di alcune cose. Prima di tutto, parlare di sicurezza non vuol dire attivare una politica specifica basata su un paradigma concettuale e teorico indiscutibile. Vuole dire, invece, lavorare sull’integrazione di una serie di politiche inclusive, redistributive, normative, simboliche e di sviluppo atte a condizionare i livelli individuali e collettivi di qualità della vita. Di più: vuol dire preoccuparsi, oltre che dell’interazione tra tali politiche pubbliche, anche delle modalità seguite per costruirle, del come, dei processi. Non è indifferente, per rimanere ad un esempio concreto, sviluppare o meno dei processi partecipativi per favorire scambi negoziali tra attori istituzionali e cittadinanza di un territorio finalizzati all’individuazione di un panel di proposte riguardanti la raccolta differenziata. Ma, altrettanto, non può essere indifferente decidere se i processi partecipativi che si attivano siano reali o formali, se consentano davvero un confronto o siano basati su logiche procedurali e liturgiche.

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In seconda istanza, ci vuole senso della misura, laicismo. Promesse effimere e pre-scientifiche, o peggio ancora demagogiche, fondate sull’idea che la sicurezza possa essere estesa ed assoluta, e che quindi i livelli di insicurezza percepita e reale possano tendere allo zero, creano una mentalità riduzionista che fa il paio con l’approssimazione con cui ormai si trattano il tema e le soluzioni ad esso collegate. È per recuperare una concezione di sicurezza tendenzialmente articolata, laica e scientifica (potremmo sintetizzare le ultime tre parole con il termine “politica”) che abbiamo sviluppato le riflessioni che leggerete nelle prossime pagine. Esistono, certo, pensieri e studi più raffinati da un punto di vista speculativo, ma l’unico obiettivo che vogliamo raggiungere con il nostro testo è quello di contribuire a creare un vocabolario comune, basato su orientamenti concettuali e metodologici precisi. Purtroppo, sta nascendo un’antropologia della sicurezza attorno a due visioni: simmetrica e dualista. Nel primo caso, prevale l’idea che sfera regolativo-normativa e sfera dei diritti siano separate. La conseguenza diretta di tutto ciò, evidente in questi primi anni del terzo millennio è che, per esempio, sia solo attraverso interventi dissuasivo-repressivi che si possa garantire sicurezza ad un cittadino. Nel secondo caso, se parliamo di visione dualista, a prevalere è una lettura retorica: la sicurezza locale è frutto di una relazione meccanicistica tra processi di controllo e processi di inclusione sociale. Siamo sempre più convinti, però, che ci siano ancora spazi e margini sufficienti per investire culturalmente in una direzione diversa: di una valorizzazione ampia di politiche pubbliche differenziate, suffragata dall’attivazione di spazi partecipativi reali, oltre che dall’individuazione di strategie complesse, progettualità integrate, pragmatiche. Il libro, il primo con questo taglio in Italia, è frutto da una parte di un percorso di formazione rivolto a funzionari e impiegati della pubblica amministrazione locale e regionale della Regione Campania, dall’altra del

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desiderio di condivisione e di confronto che la Regione stessa e l’Assessorato per la sicurezza delle città hanno fatto proprio, e che si esprime – appunto – attraverso l’operazione editoriale a diffusione nazionale i cui contenuti sono rappresentati nelle prossime pagine. Il testo si articola in sei capitoli. I primi due introducono, sia pure per forza di cose in maniera sintetica, alcune riflessioni avanzate sul tema della sicurezza urbana e della sicurezza locale partecipata. Basterebbe condividere l’ impostazione generale, il messaggio culturale che fa da sfondo e che abbiamo anticipato all’inizio dell’Introduzione, per alzare i livelli medi del dibattito attorno alla partita e per pensare a strumenti d’azione sostenibili ed efficaci. I capitoli centrali entrano nel merito di una serie di importanti argomenti concernenti metodologie e strumenti di sviluppo di politiche e progetti di sicurezza locale partecipata. I temi trattati riguardano la pianificazione e la realizzazione di interventi di sicurezza locale, oltre che le modalità per attivare e valorizzare processi partecipativi concreti sul territorio per favorire e raccogliere il contributo degli attori istituzionali come un Ente locale, i servizi pubblici o le stesse Forze dell’Ordine, e degli attori extraistituzionali come un associazione di volontariato, un comitato di quartiere, le imprese locali profit e non profit. L’ultimo capitolo, per quanto possa sembrare scontato, accenna a quali siano le principali risorse economiche di natura pubblica utilizzabili ai fini dell’attivazione di progetti e interventi. Certo, come spieghiamo nella parte iniziale del capitolo, si tratta di un primo e abbozzato ragionamento che per sua natura si fonda su gradienti di complessità molto più alti. Ma in virtù di quanto detto sull’ipotesi di costruire un vocabolario comune, può sempre risultare utile. Chiudiamo con i ringraziamenti, sentiti davvero, che servono più che altro a capire quali compagni di viaggio abbiamo incrociato in questi ultimi dieci anni di lavoro sulla sicurezza e quanto siano stati fondamentali per l’elaborazione della riflessione riportata nel volume.

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In prima istanza, ci sembra importante ringraziare la Regione Campania, l’Assessorato alla sicurezza delle città con il Servizio di Sicurezza urbana, oltre che gli enti attuatori del progetto formativo da cui è nato lo stimolo per pubblicare il volume: le associazioni La Tenda e Quartieri Spagnoli, la cooperativa Passaggi, Legautonomie Campania, il Consorzio NOVA e Parsec Consortium. Un altro ringraziamento affettuoso – condividere parecchie decine di ore insieme, riflettere come cittadini su temi che riguardano episodi di vita vissuta e l’esercizio pubblico della propria professione nella città in cui si è deciso di risiedere e lavorare, rapportarsi con esperienze intense e significative, non sono cose che lasciano indifferenti – va agli operatori, ai funzionari e ai dirigenti dei servizi pubblici e degli Enti locali delle pubbliche amministrazioni regionali che hanno partecipato al percorso formativo per Responsabile tecnico di politiche di sicurezza urbana. Va da sé che gli stessi docenti che hanno permesso di lavorare sui contenuti del corso e tutti coloro che anche in altre occasioni abbiamo incontrato in qualità di referenti politici sensibili, o come esperti e operatori territoriali, sono tra i compagni di viaggio da ringraziare.

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Capitolo 1

1. Verso un’idea articolata di sicurezza locale partecipata di Maurizio Fiasco

1.1 Premessa Anche nel campo della sicurezza delle città e dei territori economici sta maturando in Italia una tipica politica locale, condotta con la mobilitazione di una pluralità di attori, sia sociali che istituzionali. Essa, pur riguardando ormai gran parte delle realtà locali del Paese, presenta caratteri e tematiche specifiche nel Mezzogiorno d’Italia, vale a dire in regioni dove, insieme a forme generiche e “ordinarie” di devianza e di criminalità, a condizionare lo sviluppo socio-economico intervengono fenomeni associativi delinquenziali, da quelli di tipo mafioso ad altri similari. Rimuovere questi fattori e liberare potenziali di sviluppo significa suscitare un’ampia partecipazione in tutti i territori coinvolti nel programma operativo nazionale dedicato (PON Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia). Più in generale, uno dei contenitori di tale partecipazione è, per l’appunto, la “politica locale”. Con tale dizione si indica un’azione dei poteri pubblici ancorata alle priorità che la domanda del sistema delle autonomie territoriali seleziona e condivide con lo Stato centrale. Costituisce una significativa variante metodologica 13


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dell’intervento pubblico procedere mantenendo costante il legame tra formazione delle scelte e partecipazione dei cittadini. Definito tale ambito, si può elaborare uno sviluppo appropriato dei temi della legalità e della sicurezza urbana, per un Comune e per i suoi partner che costituiscono il local governement 1. Ogni singola procedura è strettamente connessa a una verifica di consenso, che può avvenire in una fase successiva, oltre che preventiva, all’assunzione della decisione. La peculiarità della politica locale, infatti, è il legame esplicito, particolarmente stretto e mantenuto costante tra amministratori ed elettori, da cui discendono canali di partecipazione democratica. Aver ricondotto la sicurezza – tanto nell’accezione di “sicurezza per lo sviluppo” quanto come “sicurezza urbana” – anche a materia specifica della politica locale ha così rappresentato una vera rivoluzione copernicana: si è provocato l’ingresso della domanda dei cittadini nella logica di esistenza degli apparati pubblici di controllo e dell’insieme delle istituzioni che si ritiene abbiano un ruolo; si è assunto il territorio quale sede fondamentale per risolvere delle priorità concrete in una dimensione territoriale ben chiara e netta. In sintesi, la politica locale della sicurezza riconosce nella città e nel sistema delle autonomie territoriali la sede di condivisione di una vasta gamma di programmi, con il coinvolgimento dei sindaci, l’attivazione di canali di partecipazione civica, l’adozione di strumenti di coordinamento legati al territorio. Atti d’indirizzo e concreti strumenti di procedura hanno contraddistinto la scelta operata dal Ministero dell’Interno in questo 1

Per Local Governement s’intende comunemente l’insieme di “istituzioni e procedure attraverso le quali sono governati distretti di piccole dimensioni” [Chandler e Klark, 1995].

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Capitolo 1

quindicennio, con il ricorso a una nuova visione della sicurezza pubblica. “Il nuovo concetto di sicurezza è più ampio e articolato e rende perciò indispensabile il concorso di tutti i soggetti coinvolti nella sua salvaguardia. Alcune iniziative per la “sicurezza partecipata” sono già state avviate, altre lo saranno a breve e altre ancora sono in fase di approfondimento. Il partenariato Stato-Regioni rappresenta già una positiva realtà, non solo nel Mezzogiorno dove può contare sullo strumento dei fondi strutturali comunitari, ma anche nelle altre Regioni dove sono operanti, o si stanno perfezionando appositi protocolli d’intesa. Anche la collaborazione fra Stato e Comuni si è già realizzata in numerosi casi attraverso la sottoscrizione di Protocolli di Sicurezza. In questa ottica il Sindaco del capoluogo di provincia è diventato membro di diritto del Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica. Sono invece ancora da definire forme di partenariato con le Amministrazioni provinciali, con tutti gli enti in grado di contribuire al prodotto sicurezza e con le forze del volontariato”

Dedicata alle specifiche condizioni dei territori regionali dell’Obiettivo 1, la Politica locale di sicurezza per lo sviluppo ha trovato nei Protocolli d’intesa, siglati dal Ministro dell’Interno e dai Presidenti delle Regioni, un’organica definizione anche come “sicurezza urbana”. Conviene chiarire, a questo punto, la differenza e i punti di contatto tra le due nozioni di sicurezza. Per sicurezza pubblica si intende un bene pubblico di monopolio, cui si accede solo per il tramite dello Stato, mediante regole e procedure concernenti “non negoziabili”. Reciprocamente, per sicurezza urbana, si precisa un approccio sistemico – non tipizzato nell’ordinamento giuridico – alla regolazione del controllo sociale nel concreto territorio della città e nella dimensione quotidiana della 15


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convivenza civile. Non solamente il sistema penale e la polizia di sicurezza provvedono a tutelare le persone dai danni dell’illegalità (delittuosa o incivile), ma anche la qualità dell’amministrazione del sistema dei bisogni,così come è affidata alle istituzioni locali e condivisa dagli enti esponenziali. Realizzare la sicurezza urbana significa, da un lato controllare i reati, prevenirli e sanzionare in modo effettivo la violazione delle regole scritte, da un altro lato conseguire un miglioramento di qualità della vita, promovendo un equilibrio generale nel tessuto della città. La sicurezza urbana si sostanzia così in una qualità da intendersi come il perseguimento di un ordine negoziato, che risulti dal modo competente con cui si esercitano varie funzioni normative-regolative e da un’interazione efficace tra le politiche di welfare, i servizi di sicurezza pubblica e l’insieme degli attori della cultura della legalità2. Nel Piano Operativo Nazionale “Sicurezza per lo Sviluppo” sono stati individuati – in riferimento alle due accezioni di sicurezza – i contenuti nella diffusione della legalità, nell’azione integrata sul versante sociale e nella vigilanza efficace sugli investimenti pubblici e sui mercati economici del sud, ivi compreso il mercato del lavoro.

1.2 Il ruolo del Comune Nel campo della sicurezza “senza aggettivi” o tout-court e del suo nesso con lo sviluppo, il Comune ha grande rilievo per la governance partecipativa della comunità, consistente nell’indurre nei suoi componenti individuali le capacità di promuovere legalità e realizzare controllo sociale:

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La messa a punto delle definizioni di “sicurezza pubblica” e di “sicurezza urbana” si trova in M. Fiasco, La sicurezza urbana, Edizioni Il Sole 24 Ore, Milano 2001.

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• Il Comune, con il complesso dei suoi strumenti amministrativo-gestionali e soprattutto con la sua funzione di ente dello stato-comunità regolatore, può contribuire in misura decisiva alla “qualità relazionale”, funzionale allo sviluppo economico, e che è definita come “coesione” o “coesione sociale”; • Per attivare lo sviluppo è necessario individuare “variabili di rottura” con il sistema di economia illegale e metterle in movimento: esse si trovano all’interno del “capitale sociale”, cioè nel bene collettivo consistente in valori condivisi, coesione, fiducia, legalità, solidarietà; • Per promuovere la legalità, il Comune può mobilitare l’elemento sociale, che agisce come “variabile di rottura” di assetti di insicurezza urbana cronicizzati, e che esalta e valorizza la “qualità relazionale” riscontrabile nel contesto locale. L’amministrazione si orienta, quindi, a scelte operative che incentivano la “coesione sociale”; • Mobilitare il capitale sociale significa spendere una risorsa per lo sviluppo socio-economico, integrando politiche pubbliche, attori economici, istituzioni locali. Da questi pur sintetici elementi, emerge come la partecipazione dei poteri locali alle politiche di sicurezza per lo sviluppo possa favorire il liberarsi di forze e protagonisti delle economie dei sistemi territoriali e stimolare la competitività dei distretti produttivi, in gran parte affidata alle regole di reciprocità e di senso civico che facilitano la diffusione delle innovazioni. Partecipazione, reciprocità e coesione rappresentano leve efficaci per la sicurezza e per lo sviluppo, poiché “il capitale sociale facilita lo sviluppo delle conoscenze tacite come risorsa competitiva in quanto favorisce la circolazione delle informazioni e i rapporti fiduciari all’interno delle imprese e tra le imprese” (Trigilia, 2001). Il contributo dell’ente locale s’inserisce – per questa declinazione – in uno degli obiettivi generali del PON: tutelare i distretti industriali

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e insieme stimolare la replica di tale modello di promozione dello sviluppo per le Piccole e Medie Imprese (PMI).

1.3 La selezione delle priorità Sono in corso molte esperienze nelle Regioni italiane, sia in quelle dell’Obiettivo 1 e sia in altre, dove la programmazione degli interventi locali di “Sicurezza per lo sviluppo” e di “Sicurezza urbana” (che nel Sud costituisce un’ampia articolazione della prima) collega un complesso di iniziative e di attività che si dipanano in almeno nove campi3: 1. Cultura e pratica di legalità attraverso la costruzione di network di enti, istituzioni, singole personalità che si pongano come domanda attiva e continuativa di rispetto delle regole, di trasparenza e che, per converso, si qualifichino come denuncia-reclamo puntuale di ogni forma significativa di inciviltà, di abuso e di criminalità; 2. Riduzione e mediazione di quei conflitti interpersonali, tra gruppi, categorie, parti della popolazione che fanno da schermo al sorgere di una adeguata coscienza del “sistema” di devianza e illegalità, e che per tale ragione non è percepito come danno sociale grave; 3. Contenimento delle devianze sociali e promozione di chance di inclusione per le aree sociali presenti nel territorio comunale contrassegnate da fattori strutturali di svantaggio e di emarginazione;

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I nove campi descritti riproducono un tentativo di categorizzazione che ci aiuta sul piano interpretativo, semiologico e progettuale ad individuare delle linee di intervento prioritarie. Essi rappresentano però una tassonomica in continua evoluzione e già da sé rimandano a quanto dicevamo nell’Introduzione, parlando dell’integrazione tra politiche pubbliche differenziate. Le iniziative e le attività ad essi collegate, infatti, riguardano politiche del lavoro e della formazione, politiche ambientali, politiche per la salute, politiche economiche e di sviluppo, politiche sull’immigrazione, etc.

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Capitolo 1

4. Gestione competente ed efficace del fenomeno migratorio, del suo impatto nell’economia legale e illegale e nel tessuto della città ; 5. Controllo ottimale dell’ambiente e tutela del patrimonio comune dell’habitat come apporto dell’ente locale alla sicurezza dei beni primari (aria, acqua, alimentazione umana) e dei beni culturali; 6. Disincentivo al costume e alla pratica della corruzione, e quindi ostacolo alle forme parcellizzate d’incontro tra offerta e domanda di violazione delle norme amministrative 7. Contributo alla regolazione trasparente e efficiente dei rapporti nella comunità degli affari; 8. Apporto alla creazione di ostacoli alla presenza della criminalità organizzata nei quattro mercati fondamentali: - del prodotto: appalti, forniture e concessioni per l’industria delle costruzioni che possono esser rivelati con procedure di trasparenza; - dei capitali: alterazioni della struttura dei pacchetti azionari o delle società di capitali in genere che l’uso dei poteri ispettivi di polizia amministrativa può contribuire ad evidenziare; - della proprietà: rilevazione di patrimoni immobiliari e di beni produttivi; - della forza lavoro: illecita intermediazione, impiego nell’economia sommersa di cui i servizi dell’amministrazione possono avere indicatori indiretti; 9. Politica di prevenzione dell’usura e in generale del mercato illegale del denaro, attraverso l’azione dei servizi dedicati alle attività commerciali.

1.4 Premesse operative per la sicurezza urbana Misurandosi con il complesso di materie sopraindicate, le risorse dell’ente locale possono incidere contro l’insicurezza urbana che si collega alle più tipiche matrici del condizionamento criminale del territorio economico del Mezzogiorno d’Italia (oggi parliamo sempre più di un problema diffuso di criminalità e illegalità che di un Mezzogiorno geografico i cui confini siano ben visibili e delimitati): 19


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aggressione all’ambiente; manipolazione della spesa pubblica attraverso il condizionamento del processo decisionale e gestionale dei flussi finanziari; pressione intimidatoria sulle imprese locali (estorsioni) e sulle attività finanziarie rivolte alle aziende delle aree di crisi. Si può interpretare la suscettibilità al rischio criminale di un determinato territorio come derivante da un insieme di fattori: • Dalla morfologia (o la struttura) delle occasioni che attraggono la criminalità; • Dalle “falle” che si generano nei diversi sistemi regolativi formali (amministrativi, giudiziari, finanziari, eccetera); • Dall’impatto dei mutamenti geopolitici nel Mediterraneo, nell’Europa continentale e nel Sud del mondo su tutte le 103 province del nostro paese (immigrazione, disagio, marginalità, criminalità); • Dalla qualità della gestione del territorio, della città, dei vari sistemi urbani.

Da tale orizzonte la sicurezza urbana si presenta come una qualità, vale a dire come un bene complesso che è prodotto dal rapporto tra le amministrazioni (statali e locali) e i cittadini. In tale accezione, interpretare la qualità della sicurezza significa sposare il punto di vista del risultato, colto sia dalle prestazioni che ne sono alla base e sia dai modelli che sono sottesi allo sforzo (se è compiuto, ovviamente) per raggiungerlo. Così procedendo, la ricerca di soluzioni pragmatiche si volge a considerare le prestazioni dell’insieme dei servizi che le amministrazioni pubbliche “offrono” in un dato territorio per prevenire le disfunzioni, controllare con sistemi diretti e indiretti la criminalità e ridimensionare il danno che la società subisce per la violazione della legge penale. Superata, in questa scelta metodologica e di contenuto, il punto del “mero atto finale”, all’adempimento procedurale, la Qualità della sicurezza appare come il risultato di un processo che impegna le 20


Capitolo 1

amministrazioni, a cominciare per l’appunto dalle loro risorse umane, di cui va curata una formazione-riqualificazione dedicata.

1.5 La preparazione dell’apparato amministrativo L’insicurezza urbana si manifesta in diverse forme nel territorio cittadino e nell’hinterland, di cui è necessario tracciare un’attenta mappa ricognitiva. Il nesso sicurezza-sviluppo presenta particolarità tali da richiedere un modello d’intervento concepito secondo priorità da attribuire ai problemi più importanti. È la formulazione di una scelta condivisa degli obiettivi essenziali per generare legalità e sicurezza. Cos’è, infatti, una priorità? Secondo la “legge universale delle priorità (o legge di Pareto o legge 80/20 o “legge abc”): poche cause generano la maggior parte degli effetti. Ne discende un assioma: se in ogni situazione i fattori importanti sono pochi, per un intervento che consegua un successo, occorre individuare tali fattori e concentrare gli impegni essenzialmente su di essi. Dall’insieme delle esperienze maturate in Italia, ricorrono alcuni temi e metodologie, in un percorso che genera nuovi saperi operativi. Una codificazione di tali saperi operativi consente di definire una specifica dottrina di azione di politica locale di sicurezza urbana, la cui sequenza si può così riassumere: diagnosi, conoscenza delle risorse, comunicazione, programmazione, controllo del territorio, contestualizzazione, servizi di polizia locale, sussidiarietà. Nei capitoli che seguono abbiamo ritradotto tale sequenza in: pianificazione, programmazione, progettazione partecipata, sviluppo di reti e network territoriali, identificazione delle risorse da dedicare agli interventi. In entrambi i casi, quello che si vuole sottolineare è la necessità di un metodo di lavoro, che abbia caratteristiche di implementabilità, sostenibilità ed efficacia.

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a) Diagnosi localizzata delle dinamiche del territorio - Una “diagnosi locale” è l’esame delle variabili spaziali, temporali e relazionali dell’insicurezza, e dunque dei fattori verso i quali indirizzare, su scala generale, degli interventi appropriati a cura delle amministrazioni pubbliche e delle componenti del tessuto partecipativo coinvolto. Di tale ricognizione costituisce priorità, la valutazione analitica dei casi in cui è una condizione di degrado a produrre l’immagine della criminalità, per la proliferazione di “non luoghi” del tessuto urbano, lasciati fuori dell’uso che i residenti fanno della città. In secondo luogo occorrerà analizzare come le caratteristiche territoriali – struttura viaria, insediamenti dedicati ad attività produttive, commerciali o direzionali, ampiezza della popolazione dei city users – attraggano tipi differenziati di comportamenti criminali. In una località costiera – a forte concentrazione turistica – i problemi si presentano con un profilo distinto da quelli di un’area di declino industriale. E ancora, laddove prevalga l’urbanistica della cosiddetta “città diffusa”, ci si deve sforzare di cogliere come anche i comportamenti criminali si adattano alla diversa morfologia del territorio, delle abitudini delle popolazioni, delle “vocazioni”. b) Conoscenza delle risorse di controllo - Insieme agli elementi strutturali del suo territorio e alle componenti della “minaccia”, l’Ente locale dovrà poter valutare la disponibilità delle risorse di controllo. L’autonomia locale ha interesse a sapere di quali e quanti apparati è dotata la sua città, su quali indirizzi si orientano, quali priorità, quali risultati conseguono e quali altri si propongono. In sede locale, l’amministratore civico – se non vorrà limitarsi ad esporre, magari in sede di comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, il suo quaderno di doglianze – avrà bisogno di entrare nel merito della questione criminale nel suo territorio: non per esercitare alcuna direzione sugli apparati, ma per comprendere se e quanto questi siano 22


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dotati di una strategia appropriata per quel contesto. Ovvio che ciò implichi delle ulteriori responsabilità. L’amministrazione comunale, mentre interviene sull’infrastruttura, sui servizi, sulla distribuzione delle funzioni direzionali nella città, è obbligata a tenere conto dell’impatto delle scelte sull’evoluzione della delinquenza. La criminalità è infatti un soggetto dalla straordinaria capacità adattativa ed efficienza, tanto che le speranze di controllarne le dinamiche sono riposte su due attenzioni istituzionali. Da una parte sulla salvaguardia degli equilibri della città, sulla cura a non stravolgerne l’identità e i valori ambientali, insieme alla facilità d’uso da parte dei cittadini; dall’altra sulla qualità dell’offerta di sicurezza pubblica, il che equivale a dire al suo attagliarsi “su misura” alla configurazione della città e alle puntuali criticità che la “domanda di sicurezza”, cioè i cittadini e gli enti esponenziali, segnalano. In tale dinamica gli enti locali si pongono in una dimensione d’inedita duplicità: mentre sono componente (o espressione collettiva) della domanda di sicurezza urbana, al tempo stesso sono erogatori di una parte dell’offerta. “Ricevono” e a loro volta “forniscono” sicurezza. Vi è infatti un servizio che è di loro completa pertinenza, quello di polizia municipale. Al di là dei contenuti, “a geometria variabile”, che leggi e ordinamenti trasferiscono o attribuiscono, i comuni e le autonomie locali e regionali devono misurarsi con la vocazione a “fare qualità” in un servizio che comunque attiene – per ambiti più o meno estesi – alla sicurezza urbana, intesa come concetto ben distinto da quello di sicurezza pubblica, cioè come insieme delle forme di controllo sia istituzionale e sia sociale che si sviluppano in diretta correlazione alla qualità della vita nella città. Su tale articolazione di problemi, merita di essere quindi sfruttata la dimensione double face dell’ente locale, che “domanda” e che “offre”: la credibilità dell’offerta di sicurezza – del servizio di polizia municipale nel contesto dei principali servizi di pertinenza 23


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dell’amministrazione – incide fortemente nella forza del “domandare sicurezza”, per conto della comunità dei cittadini di un territorio dato, e viceversa. Insomma una “interazione mutualmente responsabilizzante”. c) Comunicazione cooperativa - Se si voglio raggiungere obiettivi concreti e condivisi, gestione municipale e gestione degli apparati dello stato dovranno, in breve, adottare una linea di comunicazione e di cooperazione alle scelte. Dal lato dei servizi per la sicurezza del cittadino, la domanda di sicurezza acquista, di giorno in giorno, una configurazione sempre più nitida, come un’attesa di prestazione di servizio misurabile, tanto in termini di costi e benefici quanto di rapporto tra cittadino utente-cliente e organizzazione. Superare il punto di vista della procedura e prestare attenzione alla crescita della domanda di sicurezza ha per conseguenza immediata il dovere, da parte delle amministrazioni a vario titolo implicate, di corrispondere con un offerta maggiormente qualificata. Misurare l’effettività dei risultati, valutare la congruenza del rapporto tra l’investimento finanziario e il rendimento in termini di servizio, ricercare la soddisfazione del cittadino divengono prospettive di lavoro. d) Programmazione del lavoro, secondo i Protocolli d’intesa sulla sicurezza delle città - La forte legittimazione che i sindaci ricevono dal sistema elettorale vigente, spinge in direzione di un’effettiva “coproduzione” di un sistema globale di sicurezza per le città. Del resto, con la sottoscrizione dei protocolli d’intesa sulla sicurezza tra sindaco e prefetto, si è iniziato a definire almeno le condizioni minime per concepire tale “coproduzione”. È utile cominciare con il riesame di quanto ricade direttamente nell’ente locale, per dilatarne le implicazioni e trovare i punti di convergenza con le amministrazioni centrali. 24


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In questo senso, il punto d’avvio è la titolarità dei compiti di polizia amministrativa cui seguiranno, in un futuro assai prossimo, con l’autonomia impositiva degli enti territoriali, funzioni pertinenti anche di polizia tributaria. In una visione moderna della politica di difesa sociale dalle illegalità, si può cogliere la potenzialità dell’assolvimento puntuale di tali compiti per contribuire, ad esempio, al generale contrasto dell’inserimento della criminalità economica nel tessuto produttivo della città e all’autoprotezione dell’amministrazione comunale nello svolgimento della stessa attività contrattuale. Da questi riferimenti emerge l’utilità di inserire, nel programma di mandato del sindaco, l’emanazione di idonei provvedimenti per definire meglio ruolo, identità, funzioni della polizia locale. e) Controllo del territorio urbano - Un’efficiente disciplina della circolazione di beni e persone sulla rete viaria, una puntuale applicazione dei regolamenti comunali in materia di attività commerciali e di esercizi pubblici, di tutela della salute e dell’igiene pubblica si risolvono immediatamente in standard di controllo sociale, e quindi in sicurezza pubblica. La condizione di base è che tra l’autorità di governo della sicurezza pubblica e l’amministrazione comunale s’instauri una prassi nuova, adottando effettivamente – anche su impulso del decreto legislativo ex Bassanini – un metodo di concertazione, tanto nelle scelte programmatiche di lungo respiro che nella gestione quotidiana del controllo del territorio. Per tale obiettivo occorre che la pianificazione dell’attività svolta dalla polizia municipale e l’intervento sull’assetto delle funzioni urbane rispettino le coerenze nel modo di operare nella città da parte degli apparati dello Stato e delle grandi amministrazioni pubbliche. La loro prassi, infatti, non può ignorare l’esigenza di salvaguardia degli equilibri delicati della convivenza quotidiana della città (circolazione, 25


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attività lavorative, orari di svolgimento delle abitudini per le mille incombenze quotidiane dei cittadini ecc.). Di qui l’opportunità di sottoscrivere dei ben chiari accordi di gestione. In tal senso occorre responsabilizzare i più importanti enti pubblici e privati a tener conto della generale interazione di comportamenti, abitudini e attività che si verifica in città. f) Contestualizzazione: piano degli orari e creazione dei luoghi della sicurezza - Il programma locale di sicurezza dovrà comprende un’analisi globale degli orari critici della sicurezza, dei luoghi più esposti, delle abitudini sociali che sono compromesse. Occorrerà costituire un’équipe di tecnici (di tutte le professionalità necessarie) e di rappresentanti delle amministrazioni coinvolte per procedere ad un’attenta disamina. Si può sin d’ora prevedere che un approccio razionale e concertato si risolverà in un generale miglioramento, sia a vantaggio dei compiti istituzionali di vigilanza svolti dalle forze di polizia, sia soprattutto - a beneficio della qualità della convivenza civile. Con un piano per gli orari e i luoghi della sicurezza si potrà cominciare a restituire senso e razionalità all’uso delle risorse che lo Stato impiega. Andranno coinvolti in una consultazione, in primo luogo, gli organismi del decentramento amministrativo, le circoscrizioni o i quartieri, quindi i rappresentanti delle categorie produttive e delle associazioni dei cittadini, comprese quelle che si propongono la salvaguardia dei soggetti più deboli ed esposti: è una traduzione pratica della sicurezza urbana, intesa come bene collettivo alla cui “coproduzione” il comune deve partecipare con un ruolo importante. g) Servizi della polizia locale: identità degli operatori e loro rapporto con la città - Il servizio di Polizia municipale è una risorsa rilevante per un investimento teorico, culturale, d’elaborazione normativa (regolamenti, codici di comportamento, ecc.), di 26


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progettazione e di verifica di modelli d’intervento. Su questi operatori si riversano una massa di bisogni e di tensioni che la città produce e accumula. Al di là dei comportamenti criminali, ovvero oltre la fenomenologia del conflitto più acuto e visibile della convivenza civile, esiste un complesso di microtensioni e di microconflitti che sono borderline, si svolgono cioè in una zona grigia tra i comportamenti di rilievo penale e quelli di natura privata. Nel contesto urbano presentano una gamma assai ampia: quando deve formarsi una qualità di città nei quartieri di recente edificazione, quando genera tensioni la pervasività dei comportamenti illegali e, tra questi, gli atti di piccola delinquenza diffusa. E ancora: dalle microtensioni di vicinato e quando si tratta dell’accesso alle risorse, spesso scarse, dei servizi pubblici (trasporti, sanità) o all’offerta di alloggi, e in generale alla struttura dell’ambiente di vita (viabilità, luoghi del tempo libero e dell’animazione). Un primo obiettivo è dunque analizzare quale rapporto si è venuto instaurando tra la Polizia Municipale e il sistema dei bisogni delle città, agendo con un programma di misure e iniziative per dissolvere una certa “separatezza” che può essersi introdotta tra i corpo e società civile un po’ in quasi tutti i contesti del paese. h) Sussidiarietà e sicurezza urbana - Nella definizione della sicurezza urbana si devono prendere in considerazione, nel loro insieme, i sistemi regolativi con cui si gestisce il sistema dei bisogni: dalle normative amministrative, alla possibilità di scelta del cittadino, dall’offerta di servizi pubblici all’accesso a diritti di rilevanza costituzionale, come la salute, l’istruzione, la cultura, eccetera. In una simile visione sistemica di gestione della città, si comprende che le “falle” in un singolo di tali apparati comporta delle lacerazioni anche negli altri strumenti regolativi. In poche parole, una cattiva amministrazione della città, un abuso del territorio, 27


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un’insicurezza nei rapporti economici, un’indisponibilità del bene fiducia nelle relazioni di un sistema economico e sociale locale rappresentano altrettante crepe, che si possono riscontrare e trattare con gli strumenti disponibili dell’autonomie locali. Reciprocamente, se non prese in considerazione, si trasformeranno in brecce del sistema regolativo di tipo penale, e quindi si tramuteranno in un problema di sicurezza pubblica. Se si adotta un criterio di sicurezza urbana, osservando la sicurezza dal lato del cittadino, si è obbligati a misurare ciò che effettivamente arriva “a destinazione”, dalla congerie di servizi. L’attenzione è indirizzata a quale bene effettivamente si trasmetta al cittadino, si sposta dagli apparati ai servizi, trasmigra dall’adempimento alla qualità. Si trasferisce al risultato e alle prestazioni complessive di un sistema locale, e allora tutti si responsabilizzano: la sicurezza diventa un problema gestionale. Tale dimensione di fattore da gestire si manifesta tanto per il privato, che mette a disposizione un’offerta di beni e servizi, quanto per le entità che devono condurre grandi infrastrutture. Ed è ormai un’attesa che si diffonde, dal momento che la “partita” non è più giocata “a due” (chi devia e chi deve esprimere il controllo) ma è una partita molto negoziata, esattamente come la sicurezza urbana rinvia all’idea di un ordine che si può “misurare”. È un orizzonte più esteso del mero “sistema polizia” o del mero “sistema giudiziario”. Per esempio, in un modello di sicurezza urbana si dà grande rilievo al problema delle vittime del crimine, a cominciare dal problema di chi attui interventi di sostegno per dare loro voce e visibilità, che invece vengono trascurati anche quando si costruiscono nuovi istituti normativi. Se da un lato può essere una funzione riconducibile al principio della sovranità dello Stato, laddove siamo all’interno del processo penale o dei comportamenti degli apparati di sicurezza, dall’altro lato può maturare un assetto di sussidiarietà orizzontale in tutto l’aspetto 28


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riguardante la rappresentazione sociale della vittima, il suo porsi in rapporto con i corpi sociali e con il sistema regolativo che sta in quel territorio. Qui c’è uno spazio negoziabile, ed una competenza che si può trasferire: nell’ottica della responsabilità “per”, laddove si possano chiamare in causa altri componenti anche dello stesso Terzo Settore.

1.6 La formazione degli operatori a) Le strutture e il personale coinvolto e le attività fondamentali - Per comprendere quali branche delle amministrazioni e del Terzo settore possano cooperare in ambito locale, e conseguentemente quali professionalità possono essere interessate a un piano formativo in materia di sicurezza urbana, si deve innanzitutto far riferimento a una gamma di attività già svolte. Sulla base di un trasferimento di competenze, che è iniziato nel 1977 con il DPR 616 e che è proseguito con le cosiddette leggi Bassanini, la legge quadro sulla sicurezza sociale (la 328 del 200), e il Decreto Maroni della fine del 2008, alcune aree prioritarie degli Uffici Territoriali del Governo, delle Amministrazione locali e del Terzo settore da interessare nella costruzione della sicurezza urbana sono qui di seguito indicate (insieme alla citazione di alcuni campi d’azione dove può indirizzarsi la formazione): • -

-

Area dei servizi sociali e delle attività educative Minori vittime e minori autori di reati Educazione alla legalità Mediazione dei conflitti Prevenzione e trattamento delle condotte antisociali: Tifoserie violente Bullismo Tossicodipendenze e nuove dipendenze (gioco d’azzardo patologico – GAP) 29


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• -

Area gestione del territorio Prevenzione situazionale del rischio Prevenzione dell’abuso dell’ambiente e in generale delle condotte lesive dell’habitat

• -

Area patrimonio e lavori pubblici Manutenzione delle sedi e interventi sui vandalismi Sicurezza nelle strutture scolastiche

• -

Infrastrutture e mobilità Sicurezza della circolazione nelle strade urbane Sicurezza sui mezzi di trasporto pubblico Sicurezza nelle stazioni dei mezzi pubblici urbani ed extraurbani

Area attività produttive e area sostegno alla famiglia Usura e assistenza alle famiglie: per gli operatori di un servizio di consulenza

• -

Servizio della polizia locale Nelle competenze che il Titolo V della Costituzione attribuisce alle Regioni e nei nuovi modelli di servizio, ivi compreso il servizio della Polizia Municipale di Quartiere (c.d. “vigile di quartiere”)

• -

Area attività e rapporti istituzionali Interazione con la giustizia sul territorio (esempio, formazione dei giudici di pace e strutture) Sviluppo di interventi verso la popolazione detenuta

• -

Area sviluppo urbanistico Sicurezza e riqualificazione urbana Sicurezza nei quartieri periferici

b) Impegnare il personale nella Carta dei servizi - Sullo sfondo di questo complesso di attività, riconducibili sin d’ora a competenze proprie dell’ente territoriale e che i progetti di formazione del personale potranno sostenere, appare assolutamente utile – sempre 30


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all’interno di un percorso di interventi formativi a supporto di attività di servizio – impegnare le strutture nella costruzione di una “Carta dei servizi della sicurezza urbana”, secondo le linee indicate nella Direttiva del Presidente del Consiglio del Ministri del 27 gennaio 1994 (Ciampi-Cassese). Volendo investire ancora di più in tale direzione, si può pensare ad una strategia più complessiva di costruzione di un piano settoriale di comunicazione pubblica che identifichi tempi, modalità, strumenti e risorse atte a favorire l’accesso ai servizi e la circolazione delle informazioni. L’itinerario con il quale potranno essere redatti la Carta o il piano può, infatti, contrassegnare la rilettura orizzontale dei processi che impegnano l’amministrazione, di cui il progetto di formazione rappresenta un pilastro. c) L’analisi dei fabbisogni formativi e l’individuazione di un modello formativo appropriato - Le esperienze sinora tentate, nel promuovere forme di gestione dell’ente locale sulla sicurezza urbana, hanno mostrato che è preferibile seguire un percorso induttivo, che abbia quale punto di partenza i problemi gestionali pratici così come le nuove prassi locali – individuate in un progetto di sicurezza urbana – imporranno alle strutture. Per tali ragioni occorre concepire un percorso dedicato di analisi dei fabbisogni formativi, che parta da un esame – condotto coinvolgendo il personale – delle potenzialità e di limiti delle prassi sinora attuate. Si tratta, in altri termini, di esaminare l’apporto che la singola struttura può fornire al disegno, cui far seguire dei piani flessibili, con metodo esperienziale, per incorporare nuove competenze e valorizzare quelle già possedute. La scala delle operazioni da compiere, per individuare i fabbisogni formativi dell’ente locale in tema di sicurezza urbana, può essere così rappresentata: 31


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1)

2)

3)

4) 5) 6) 7) a) b) c) d)

8)

Come si conduce la lettura di una domanda dei cittadini, intendendo per “domanda” sia le aspettative esplicite e sia quelle latenti; Quali aspetti del sistema regolativo municipale hanno pertinenza nella singola struttura, area, ufficio, servizio Quali funzioni comuni possono risultare nell’analisi dei processi, che confluiscono nella sicurezza urbana Quali abilità risultano, dalle precedenti rassegne, nel personale delle amministrazioni Quali elementi porre in evidenza nella proiezione dell’Ente locale nella sicurezza urbana Quali competenze e abilità si richiedono Cosa può essere acquisito: con risorse e professionalità interne, cosa si può adattare dei modelli formativi praticati in precedenza, cosa va acquisito dall’esterno, cosa può derivare dal lavoro in rete delle singole branche dell’amministrazione e tra queste e amministrazioni esterne partner Quale modello di coordinamento e quale professionalità

d) La progettazione. Orientare verso l’utenza e orientare al partenariato interistituzionale - In base alla rilevazione dei fabbisogni formativi, si procede alla misurazione delle “competenze d’ingresso” del personale da coinvolgere. Si tratta di porre in relazione capacità, prassi, comportamenti consolidati nella gestione con i nuovi indirizzi e gli obiettivi definiti dall’amministrazione. Si dovrà, nella sostanza, definire un’articolazione di interventi formativi “su misura” di ciascun settore, evitando una modalità uniforme, ma alternando l’aula con la formazione “sul campo” e con la sperimentazione nel posto di lavoro. 32


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Occorre, infatti, tenere presente che l’argomento “sicurezza urbana” non rinvia tanto all’adozione di nuovi “dispositivi” di azione, quanto a nuove modalità di relazione, sia tra servizi e sia tra questi e gli utenti. Per tutto il settore d’impatto con l’utenza sarà opportuno, ad esempio, dedicare ampio spazio alla formazione decentrata e alla formazione integrata. Il progetto dovrà inoltre proporsi l’obiettivo di fornire agli operatori delle amministrazioni locali un patrimonio di conoscenze e un’assistenza adeguata, che consenta loro di instaurare una collaborazione incisiva con le strutture dello Stato che sul territorio devono provvedere alla tutela della civile convivenza. Con il corso di formazione si apprenderanno quindi delle modalità appropriate per rivolgersi con efficacia ai servizi delle altre amministrazioni che sono collocati nei quartieri, per prevenire dei fenomeni che generano disagio negli operatori e, per conseguenza, negli utenti. Parole chiave:

Domanda di sicurezza Offerta di sicurezza Sicurezza quale prodotto comune Interazione e partenariato Cultura dei servizi Rilevazione-ascolto sulla qualità di sicurezza urbana

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2. Una finestra su sicurezza, welfare territoriale e servizi di Pier Paolo Inserra

2.1 Premessa Continuiamo il ragionamento sul rapporto tra politiche pubbliche e interventi di sicurezza urbana anticipato nell’Introduzione e nel primo capitolo. Prima, però, è necessario fare due considerazioni di fondo, anche se possono apparire un poco slegate tra loro. Innanzitutto, consapevoli del fatto che si debbano padroneggiare sia dati reali che percepiti, cerchiamo di essere quanto più possibile precisi. È vero che uno dei vizi “italioti” di una parte della classe politica nazionale e locale dell’ultimo decennio è stato quello di confondere i cittadini selezionando strumentalmente informazioni provenienti da fonti diverse e confidando nella sindrome da “memoria corta” alimentata dai mezzi di comunicazione di massa: un tempo si poteva discutere la lettura di un dato e le eventuali manipolazioni interpretative che ne scaturivano; oggi sono le informazioni alla fonte ad essere più numerose, ad essere costruite artificiosamente in alcuni casi e a fare da sponda a ragionamenti o letture contrapposte ma in apparenza non falsificabili. Ebbene, mai come sul tema della 34


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sicurezza vale questo meccanismo che innesca nella cittadinanza reazioni confusive e determina la costruzione di un’agenda setting individuale e/o gruppale dai deboli riferimenti. Pertanto, proviamo sin da subito, a recuperare quel rigore sociologico ed ermeneutico sufficiente a non produrre ulteriore confusione. In tal senso, forse è opportuno ripartire dal fatto che, in fondo, non sembra giustificata dal punto di vista statistico rispetto al passato, un’emergenza sicurezza e che, a fronte di alcune tipologie di reato che sono in aumento (i furti negli appartamenti, le frodi) ce ne sono altre che vanno diminuendo. Pertanto, come detto da più parti, i problemi che dobbiamo affrontare davvero sono quelli dell’analisi dei meccanismi di costruzione della domanda di sicurezza da una parte e della percezione di insicurezza dall’altra. In entrambi i casi, esiste uno scostamento evidente tra dato percepito, rappresentazioni sociali che si costruiscono attorno ad esso e insicurezza reale. Chi, però, come noi mastica i paradigmi delle scienze sociali sa bene che, comunque, anche rappresentazioni e percezioni hanno una ricaduta, oltre che sulle Weltanschauung individuali e collettive, su atteggiamenti e comportamenti. La seconda considerazione sul tema dei servizi locali di welfare (sociali, sanitari, culturali, ambientali, per la formazione e il lavoro, etc.). È chiaro che la riflessione investe sul piano teleologico e del metodo i servizi come mondo indifferenziato in cui attori, esperienze e interventi hanno una matrice comune: offrire delle opportunità alla cittadinanza collegate ai diritti esigibili. Ma, per andare a fondo nella questione, quando parliamo di servizi - e in prima istanza delle politiche di welfare locali e/o centrali di cui gli stessi sono il precipitato - è il caso di privilegiare la logica dei cluster piuttosto che quella dell’uniformità. O meglio, se parliamo di sicurezza, politiche e risorse del welfare territoriale è bene adottare una visione multidimensionale: da un lato il discorso non può che essere affrontato in termini sistemici, societari. Dall’altro teniamo presente che vari 35


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modi di declinare, interpretare e agire l’idea di sicurezza si devono incrociare, ad esempio, con le molteplici forme che assumono i servizi sociali (progetti, servizi accreditati o radicati, interventi spot), con vari setting (la strada, i contesti istituzionali, un quartiere, un contesto comunitario), con vari mandati (pubblico, privato), con differenti realtà organizzative (pubbliche, private, non profit), con livelli di sviluppo differenziati (nord, centro, sud: mentre in Lombardia si studia l’impatto dei voucher, nei consessi nazionali in cui si discute di modelli di welfare regioni del centro-sud vengono classificate come regioni in cui il modello di welfare è definito “modello a prescindere” - per citare una famosa battuta di Totò - poiché a prevalere sulle strategie, sugli orientamenti espliciti e sull’implementazione sono gli elementi di anarchia istituzionale, di accidentalità, di approssimazione). Proviamo a spiegare la questione in termini più pragmatici: la relazione che si crea tra produzione di sicurezza/insicurezza e un progetto annuale rivolto a immigrati, sottofinanziato e promosso da un’associazione di volontariato di un paese del napoletano è probabilmente diversa da quella che si crea nell’interlocuzione con uno sportello pubblico di orientamento al lavoro per immigrati ben radicato e gestito da un’impresa sociale accreditata in una cittadina media del Nord-est. Nelle prossime pagine cercheremo di affrontare alcune tematiche importanti: Quale idea esplicita o solo parzialmente articolata di

sicurezza può essere rappresentata nell’interlocuzione con un servizio (sociale) territoriale? Che ruolo sta giocando la politica istituzionale in questa partita? Quali coordinate culturali possono caratterizzare la nostra idea di sicurezza come operatori? 36


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Un ultimo spazio nel capitolo è rivolto ad una serie di questioni ancora aperte che riguardano, ad esempio, il ruolo della conflittualità sociale o il problema sempre attuale dell’incapacità di costruire politiche pubbliche di lungo respiro.

2.2 Quale idea di sicurezza Tre considerazioni preliminari prima di addentrarci nella riflessione su servizi e sicurezza. −

lo schema bisogni/risposte ha un’insufficiente consistenza euristica oltre ad un basso impatto esplicativo, quando parliamo di fenomeni sociali e – ancor di più – della relazione tra essi e la tematica della sicurezza; un’abitudine pericolosa riguarda la necessità di cercare risposte immediate a problematiche sociali, trasformandole con un automatismo in problematiche di ordine pubblico; l’incapacità strutturale di rispondere alle emergenze (a fenomeni sociali in trasformazione?) – ed il continuo, aggiungiamo noi, considerare emergenziali politiche ed interventi connessi a domande sociali reiterate e prevedibili (“l’emergenza freddo”, “l’emergenza casa”, etc.) - indebolisce ancor di più il settore sociale agli occhi della cittadinanza.

Un’ulteriore riflessione preliminare di carattere epistemologico riguarda il presunto paradigma della sicurezza. Attenzione a non sovrapporre i livelli: anche se oggi si parla sempre più di sicurezza ed il termine nelle sue ingenue declinazioni sembra essere stato assimilato, esso a nostro avviso non ha consistenza paradigmatica. Possiamo al massimo considerarlo uno strumento di lettura della realtà, una prospettiva ermeneutico-interpretativa. Al di là di un corpus interessante di riflessioni ed esperienze connesse alla tematica 37


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della sicurezza urbana, oggi non possiamo parlare di un apparato teorico, metodologico e implementativo articolato quanto basti per dare dignità di paradigma o di disciplina al concetto. Ecco che, allora, diventa ancora più importante utilizzare saperi e costrutti teorici riconosciuti, come quelli delle scienze sociali, delle scienze economiche ed organizzative, delle scienze politiche e della pubblica amministrazione, per affrontare la questione. Magari focalizzando l’attenzione sullo sviluppo di una pragmatica articolata ed evitando al contempo approcci semplicistici, astoricizzati e monodisciplinari. Fatte le obbligate premesse, proviamo ad approfondire la relazione esistente tra servizi, welfare e sicurezza. Un passaggio logico-metodologico obbligato (non ci si tacci di ingegnerismo: il nostro vuole essere solo un tentativo di ragionare per approssimazioni successive) riguarda l’analisi di quali idee di sicurezza abbiamo, rappresentiamo e condividiamo come operatori e istituzioni, come organizzazioni o reti. Se ha qualche senso quanto dicevamo all’inizio sulla necessità di ragionare per cluster e di non considerare - se non in una visione generale – il servizio (inteso, lo ricordiamo, come il precipitato operativo, la risposta amministrativa collegata a diritti di cittadinanza specifici che riguardano assistenza, sanità, lavoro, scuola, ambiente, etc.) come un monolite, allora potrebbe essere altrettanto utile capire se nell’analizzare il concetto di sicurezza è possibile individuare differenze, sfumature, modelli impliciti o espliciti di riferimento. Ebbene, sapendo che stiamo effettuando delle semplificazioni forzate, a nostro modo di vedere, in questo preciso momento storico, l’interazione tra un servizio di welfare locale e la questione della sicurezza può essere ricondotta a diverse dinamiche o visioni: Securitarismo – In questo caso, chi lavora in un servizio di welfare locale (lo progetta, lo gestisce), tende a rapportarsi con la 38


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problematica della sicurezza considerandola come collegata essenzialmente a logiche dissuasivo-repressive, di controllo e contenimento. Gli attori (Forze dell’Ordine, sistema giudiziario) che lavorano sulla sicurezza intesa in questi termini vengono vissuti come antagonisti, come portatori di una visione del mondo quasi contrappositiva, simmetrica. E implicitamente meno funzionale, “giusta”, o efficace, almeno rispetto alle grandi questioni della garanzia dei diritti e dell’inclusione sociale. Il tema della sicurezza urbana, pubblica, istituzionale, sociale: nel presente lavoro volutamente ne parliamo più spesso da un punto di vista globale, estetico – è, in questo caso, un tema distante alimentato da codici, linguaggi, simboli estranei. O – in una dinamica di tipo tendenzialmente reattivo4 – è invece praticabile esclusivamente da chi lavora per il rispetto dei diritti di cittadinanza, dei diritti sociali: “la nostra è una società insicura perché gli esclusi sono troppi e troppo poco tutelati ed è “naturale” che facciano propri dei comportamenti devianti. È solo con il lavoro sociale, con meccanismi che favoriscano l’eguaglianza delle opportunità ed una redistribuzione delle risorse e dei diritti che si può eliminare l’insicurezza”. C’è un piccolo problema, però: diverse volte anche i servizi e gli interventi sociali agiscono un mandato di controllo e contenimento; anzi, e non solo negli ultimi anni, esistono servizi di frontiera che è difficile considerare espressione di un solo modus di approcciare alla questione. Si pensi, per esempio, ai Centri di Permanenza Temporanea per immigrati, al lavoro educativo nelle carceri, alle strutture manicomiali per persone con problemi psicotici prima e dopo la rivoluzione basagliana o, sul versante “positivo”, agli interventi di educazione alla legalità nelle scuole, alle azioni di educazione civica, etc. Potremmo cavarcela semplicemente rimarcando il fatto che la 4

Ci si permetta di usare l’avverbio “tendenzialmente” perché dietro all’idea che l’insicurezza sia frutto di esclusione sociale non c’è, a nostro modo di vedere, solo un’assolutizzazione di natura ideologica ma anche un fondo di verità. Non è questa la sede però per approfondire la questione.

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dimensione regolativo-normativa caratterizza la fisiologia di un assetto societario, delle politiche pubbliche, o delle interazioni tra bipedi più o meno evoluti, e che quindi è una dimensione con cui deve fare i conti anche il lavoro sociale o chi si occupa più in generale di welfare. Il rapporto con tale dimensione è – banalizzando – di accettazione o rifiuto: in entrambi i casi il concetto di sicurezza/insicurezza entra in gioco. Qualsiasi fenomeno sociale che abbia un effetto inclusivo o di esclusione (isolamento, emarginazione) si intreccia fortemente con una dimensione securitaria. Dualismo – Specie chi ha praticato negli ultimi dieci anni il concetto di sicurezza urbana o quello di sicurezza partecipata ha provato a considerare come “portanti” per produrre sicurezza o contrastare l’insicurezza reale e percepita sia le azioni repressive delle Forze dell’Ordine sia quelle di inclusione sociale sviluppate da soggetti pubblici, volontariato, imprese sociali. In questo ambito di ragionamento la sicurezza di un sistema sociale dipende, allo stesso tempo, dal rispetto per i diritti sociali e dal rispetto per la legalità: del resto, non si può pensare all’esercizio o alla tutela di un diritto sociale senza che esso venga oltre che compreso anche rispettato. Quei servizi e quei progetti territoriali o di sistema che hanno avuto – dal punto di partenza degli operatori di campo – un mandato preciso in tal senso (si pensi, ad esempio, ai progetti di educazione alla legalità, di inserimento lavorativo di fasce svantaggiate, di comunicazione istituzionale finanziati e promossi dal Ministero dell’Interno negli anni 2000-2006 attraverso il Piano Operativo Nazionale sulla Sicurezza e lo sviluppo del Mezzogiorno; o all’esperienza pionieristica di “Bologna sicura” nella seconda metà degli anni ‘90) hanno sostanzialmente legittimato un approccio e evidenziato un problema. In primis - molti lo hanno fatto a denti stretti e con un poco di diffidenza iniziale da una parte e dall’altra (ci riferiamo, anche in questo caso semplificando volutamente, agli operatori delle Forze 40


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dell’Ordine e agli operatori dei servizi) - hanno permesso di capire che sfera regolativa, legalità, controllo, diritti di cittadinanza e inclusione, nella partita sulla sicurezza locale e nazionale hanno un ruolo importante e che nessun processo unidirezionale può essere attivato credendo che permetta in maniera esclusiva di abbassare i livelli di insicurezza sociale reale e percepita. Le esperienze degli ultimi anni, però, dicevamo che hanno anche portato alla luce una questione non da poco: hanno evidenziato cioè il problema della ridefinizione, tuttora parziale e approssimativa, di alcuni costrutti metodologici, pragmatici e operativi legati alla sfera deontologica, a quella professionale, o ancora, a quella degli strumenti e della metodologia del lavoro sociale. Integrazione e complessità – In questa terza e ultima accezione, tenere insieme sicurezza e welfare territoriale vuol dire: a. pensare che a determinare sicurezza e insicurezza sia l’interazione (l’efficacia o l’inefficacia di) tra una serie di politiche pubbliche complesse. Quelle sociali e quelle regolative sono alcune politiche tra le altre. b. In particolare, oltre alle politiche sociali, regolative, normative, urbanistiche, distributive, entrano in gioco anche le politiche simboliche (comunicazione, rappresentazioni sociali, percezione sono fortemente condizionate dalla qualità o dalla strumentalità di tali politiche), quelle dell’ecosistema, delle tecnologie. c. Quando parliamo di sicurezza e insicurezza, laddove valga quanto detto al punto precedente – se non altro per onorare una logica della complessità – non possiamo più pensare solo ai reati contro la persona, ma anche al rapporto tra globale e locale, al tema dell’ambiente, ai reati contro il patrimonio, alle frodi alimentari, ai mercati finanziari, all’incertezza economica, alla manipolazione strumentale dell’informazione, e così via. Un approccio riduzionista al tema (“mi rende insicura il rischio di essere scippata mentre rientro a casa la sera, in un quartiere che sta peggiorando sempre di più”) ci permette di dare dignità e spazio alle esigenze dei cittadini e di sviluppare una pragmatica mirata, ma rischia al contempo di legittimare totem, alibi e capri espiatori, 41


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senza aiutarci ad andare a fondo nella riflessione e nell’individuazione di soluzioni e risposte (a razionalità limitata, chiaramente) complesse. d. Le politiche ed i servizi sociali, infine, rappresentano all’interno di questa visione un “sottosistema”, una delle chiavi di lettura, una opportunità (o, addirittura dei generatori di insicurezza, in certi casi), almeno su un piano formale. Ogni singola politica pubblica è un sottosistema, sia essa sanitaria, urbanistica, culturale, etc. Qualora pensassimo, infatti, al ruolo che hanno le differenti politiche pubbliche nella partita, potremmo identificare le politiche sociali come una delle politiche strategiche. Se però spostiamo il focus del ragionamento su un livello più alto ed attribuiamo alla parola “sociale” un significato ampio, postweberiano, in linea con i concetti di “societario” e “società”, ci accorgeremmo che qualsiasi processo interazionale o fenomeno individuale, gruppale, organizzativo e collettivo ha una ricaduta/natura “sociale”: sul (nel) sistema, sui (nei) processi o sui (a partire dai) singoli attori. Quest’ultima considerazione restituisce agli operatori ed ai servizi ancora più responsabilità (senso, legittimazione)? Se ne potrebbe parlare.

Naturalmente, ciò che finora abbiamo rappresentato a livello concettuale in realtà si colloca all’interno di un continuum di cui abbiamo evidenziato descrivendoli, per così dire, i due estremi (visione securitaria versus integrata) e l’elemento centrale (visione dualistica), ben sapendo che un fenomeno sociale, l’approccio di un’istituzione o la stessa risposta individuale di un operatore fluttuano o si sovrappongono a più visioni. Altra considerazione da tenere presente, banale per certi versi, riguarda il fatto che l’insicurezza soggettiva o sociale non potrà mai sparire del tutto perché connessa alla natura stessa di un sistema sociale e di un individuo. Avremmo potuto risparmiarci tale sottolineatura se non avesse una sua consistenza, sottovalutata ad oggi, nel calibrare e definire il rapporto tra servizi, politiche, welfare e sicurezza: questi ultimi, infatti, potrebbero svolgere (svolgono?) una funzione quasi-pedagogica, stimolando i cittadini che ad essi si rivolgono a gestire il confronto 42


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con la dimensione dell’insicurezza reale e percepita connessa, per esempio, allo status individuale, all’incertezza legata allo sviluppo di un progetto di vita, al rapporto con reti primarie, secondarie e territori, al malessere psicofisico, a processi di esclusione. In una prospettiva strutturalista, poi, i servizi potrebbero avere addirittura un ruolo dialettico di confronto con e attivazione di conflitti sociali trasformativi. Dalle riflessioni fatte nel paragrafo, infine, emerge ancora una volta la funzione interpretativa del concetto di sicurezza, non quella teorica e paradigmatica. A nostro modo di vedere, inoltre, la terza visione, che tiene insieme integrazione e complessità è quella strategicamente più interessante da articolare e sviluppare. Anche se purtroppo un’antropologia della sicurezza sta nascendo attorno alle prime due visioni – simmetrica e dualista – ci sono ancora spazi e margini sufficienti per investire culturalmente nella direzione di una valorizzazione di politiche pubbliche differenziate, che sia suffragata dall’individuazione lucida di progettualità integrate, connessioni, pragmatiche. Nelle prossime pagine approfondiremo ulteriormente la relazione esistente tra servizi e sicurezza, partendo dall’articolazione della dinamica integrazione/complessità.

2.2.1 Sottosistema agente, specialistiche e vettori strutturali In che direzione possono andare i servizi e le politiche di welfare locale se pensiamo al ruolo di cambiamento degli assetti societari attuali che potrebbe avere l’applicazione di un modello di welfare riformista e realmente redistributivo ma anche alle specifiche forme che esso può assumere nell’attivare piccoli processi trasformativi o migliorativi nei confronti di un individuo, un gruppo, un territorio? Come è possibile declinare nel rapporto tra servizi (sociali) e sicurezza le dimensioni soggettiva, intersoggettiva e sistemica, considerando il 43


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servizio stesso come un’interfaccia di tipo politico, progettuale e relazionale? Se riprendiamo quanto detto nel paragrafo precedente per descrivere la dinamica (visione) integrazione/complessità, ci troviamo di fronte ad uno scenario complesso in cui la portata potenziale e la funzione di un servizio territoriale nei processi di costruzione di sicurezza possono essere così rappresentati: − Il sottosistema agente – Pur rischiando di basare tutto il ragionamento su una serie di postulati, in questa accezione il sottosistema sociale che rappresenta politiche pubbliche specifiche - in una partita, lo ricordiamo, che prevede integrazioni e raccordi tra politiche differenti - è un sottosistema che ha una sua ragion d’essere solo se tiene insieme in un equilibrio dinamico spinte (strategie, progettualità, interventi) verso l’autonomia e spinte verso l’interdipendenza. Nel primo caso, parliamo di autonomia perché i servizi sociali - qualsiasi tipo di servizio sociale – sono strutturalmente agenti di sicurezza/insicurezza. Il sottosistema è autonomo e definito, raccogliendo esperienze, metodologie, pratiche che possono direttamente generare sicurezza/insicurezza (o rapportarsi con esse). Ma allo stesso tempo, a proposito di interdipendenza, dobbiamo considerare il sottosistema servizi sociali come connesso fortemente ad altri sottosistemi generatori di politiche pubbliche e progettualità. La sicurezza intesa come processo e non solo come output in questo caso è collegata alle forme, ai contenuti e alle modalità attraverso cui si sviluppano interconnessioni tra i sottosistemi (interdipendenza). Proviamo a fare degli esempi. Se pensiamo a servizi sociali che hanno un ruolo più o meno diretto nel determinare sicurezza/insicurezza, possiamo riferirci con immediatezza, tra gli altri, alle unità di strada, al lavoro con i tossicodipendenti, al lavoro con le vittime di tratta. Tali servizi (progetti?) sono in ogni caso

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Capitolo 2

destinati ad intrecciare il tema della sicurezza urbana o locale. Stiamo ragionando attorno ad un locus, ad uno spazio sistemico tendenzialmente autonomo, riconosciuto e normato. Ma questo stesso locus assume determinate caratteristiche formali e processuali anche perché connesso ad altri spazi (luoghi, attori, politiche, progetti) attraverso un’interlocuzione circolare. Ecco che, in questa prospettiva, il lavoro di un’unità di strada sulla tratta deve intrecciarsi con quello delle Forze dell’Ordine sull’individuazione delle sacche di criminalità organizzata che gestiscono la prostituzione locale, con il tema della sostenibilità ambientale e dell’urbanistica laddove si parli di zoning, e così via. Su cosa dovremo sempre più concentrarci nei prossimi anni? Su due questioni: che tipo di connessioni attivare e quale strategia di riferimento negoziata e condivisa promuovere. Torniamo all’esempio del lavoro contro la tratta degli esseri umani, per spiegare meglio quest’ultima affermazione. Lavorare sulle connessioni vorrà dire capire quanti e quali attori entrano in gioco nel determinare sicurezza/insicurezza, quali sono le metodologie ed i processi da attivare per contrastare il problema, quali azioni integrate e coordinate sviluppare. Ma vuol dire anche negoziare, mediare e elaborare una strategia complessiva di lettura, investimento e azione comune: cosa non scontata perché ad entrare in campo sono valori, culture organizzative, linguaggi spesso contrastanti o differenti. Qualora prevalga la responsabilità pubblica sarà possibile fare sintesi e trovare una strada da percorrere come network di attori. Se a prevalere è l’autoreferenzialità, l’integrazione tra attori e progetti sarà improbabile o inefficace. Il sociale come attore specialistico – Ma il “sottosistema sociale” può anche marcare un proprio protagonismo nell’individuazione di servizi e interventi sociali meno vincolati alla dimensione dell’assistenza, dell’accoglienza, della risposta ad una richiesta targhettizzata di aiuto e più vicini al concetto di sicurezza 45


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pubblica inteso in una doppia accezione. Da una parte, come sviluppo e tutela dei diritti normati e collegabili, ad esempio, alla sfera dell’educazione alla legalità o della difesa dei diritti di cittadinanza. Si pensi in questo caso alla battaglia sulla diffusione della legalità e del senso civico tra preadolescenti e adolescenti delle scuole dell’obbligo, o alla ridefinizione del ruolo di advocacy da parte delle sempre più necessarie associazioni di tutela dei consumatori. Dall’altra parte, un lavoro sociale di costruzione di percorsi di sicurezza pubblica può essere inteso come attivazione di nuove semantiche, dialettiche e sintassi sociali fondate sulla negoziazione, sull’agire deliberativo, sulla mediazione sociale e dei conflitti. O, ancora, sul networking, sulla comunicazione sociale e istituzionale, sullo sviluppo di spazi proattivi e di coinvolgimento della cittadinanza, sulla valorizzazione dell’e-democracy o della relazione esistente tra web community, social network e impegno civile. In tutti i casi, sia pure con notevole ritardo, sembra che stiano nascendo domande e ambiti di lavoro sociale che, mentre per alcuni versi costringono a mettere in discussione prossemiche, design e architetture “superate” di definizione di un servizio, per altri ben si integrano con quelli hardware e più tradizionali, restituendo dinamismo all’intero settore. I vettori strutturali – Laddove, però, radicalizzando alcune riflessioni anticipate nelle pagine precedenti, volessimo proseguire ulteriormente verso la strada dell’individuazione di spazi sperimentali e innovativi di lavoro sociale connesso alla produzione di sicurezza, dovremmo affrontare un panel di questioni una volta per tutte. a. Che peso possono avere il lavoro sociale ed i servizi – a partire dalle rappresentazioni più sofisticate e sperimentali di essi – nel favorire il passaggio da una logica burocratica, procedurale, fiscale di costruzione delle politiche pubbliche (di sicurezza) ad una logica fondata sulle scienze sociali, organizzative, sull’ecosostenibilità e le tecnologie? 46


Capitolo 2

b. Quanto possono le scienze sociali contribuire a ridefinire modelli, metodologie partecipative e assetti di governance, valorizzando al contempo tutti gli attori istituzionali ed extraistituzionali che concorrono a sviluppare policy locali e centrali?

In entrambi i casi, quel ruolo di interfaccia di un servizio di cui abbiamo parlato in precedenza diventa anche un ruolo vettoriale: di indirizzo e orientamento di processi sistemici di governo, attivazione delle politiche, consolidamento dei diritti. Si apre e si rinvigorisce, per certi versi, un ambito di lavoro collegato alla ricerca-azione, all’utilizzo di metodologie partecipative precise finalizzate a promuovere buona governance territoriale. Diventano competenze, professionalità e “servizi” il lavoro di costruzione di modelli e processi di pianificazione strategica, di programmazione partecipata, di valutazione d’impatto e di efficacia di una serie di azioni sociali. I vettori, in questo senso, assumono una funzione centrale nel definire un concetto diverso di integrazione tra sicurezza e lavoro sociale. L’idea di servizio sociale si modifica, non riguarda più esclusivamente il collegamento con i bisogni sociali individuali o di gruppi della popolazione ma anche spazi nuovi di riflessione, progettazione e azione, connessi alla costruzione del sistema, delle politiche pubbliche, allo sviluppo locale nel suo complesso. Chiudiamo il paragrafo con alcune sottolineature. Il tentativo di costruire una tassonomia che parta dall’idea che per produrre sicurezza il sociale debba integrarsi con altre dimensioni e politiche, aiuta ad esplorare aree concettuali e di intervento innovative. È molto probabile, inoltre, che per rappresentare in maniera compiuta la relazione tra servizi e sicurezza tutte e tre le funzioni (sottosistema agente, specialistica e vettoriale) che i servizi stessi possono avere debbano essere agite in maniera integrata. 47


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2.3 Il rapporto tra istituzioni, politiche sociali e servizi Il modo attraverso cui va declinandosi la politica istituzionale nel nostro Paese ci porta a fare alcune considerazioni che hanno ricadute pesanti sull’interazione tra politiche pubbliche, politiche sociali, sicurezza e servizi. Sembra prevalere la voglia di libertà individuale sullo Stato sociale. Ad incepparsi progressivamente è stata la macchina mitologica dei partiti: essa non crea più felicità. A ciò si aggiunga il fatto che noi stessi operatori o amministratori fatichiamo ad avviare e gestire una relazione dialettica e critica con il desiderabile societario di oggi: il problema non è, comunque, rincorrere la mitologia passata o presente ma ricostruire una lettura rigorosa e attenta della realtà che ci circonda oltre che fabbricare un corpo sociale diverso. Le stesse scienze sociali come la sociologia hanno perso capacità predittiva, la ricerca non azzarda e si appiattisce sulla descrizione del presente. Se i partiti davvero attivi una volta fondavano le proprie politiche su poca retorica e molti contenuti, oggi il rapporto si è drammaticamente rovesciato e tutti i partiti da almeno venti anni hanno abbandonato non a caso il tema dei servizi, perché “politico”, deontologico, complesso. A imporsi, infatti, non è più la cultura del servizio ma quella del dispositivo (si pensi, nella partita sulla sicurezza urbana, alle telecamere e a tutto il dibattito sulla videosorveglianza). Se per molti versi è vero che bisogna recuperare severità, rigore e professionalità, per altri – in termini più generali – si deve porre fine alla falsa enfasi sulla partecipazione che è sempre più celebrativa, consolatoria, adulatoria. Si pensi a quanta partecipazione usa e getta è stata promossa dal nostro ceto politico nei processi di costruzione di un Piano sociale di zona o in situazioni conflittuali riguardanti cittadini e istituzioni locali in cui era necessario gettare acqua sul fuoco. 48


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Laddove, sia pure considerandolo approssimativo, ritenessimo attuale il quadro appena descritto, il lavoro sui vettori (intesi anche come servizi innovativi) potrebbe diventare strategico per creare spazi di ricerca-azione, attivare processi di pianificazione partecipata delle politiche pubbliche, favorire l’interazione tra government e governance, concentrarsi sulla valutazione delle policy e utilizzare la partecipazione – con metodo, continuità e rigore scientifico – come potente strumento interazionale e di definizione di un moderno raccordo tra cittadinanza e istituzioni. Con quale finalità? Costruire un patto riformatore tra attori diversi (operatori pubblici, del privato sociale, mondo produttivo, università, istituzioni, politica) per restituire spazio al protagonismo della cittadinanza. In quest’ultima esigenza è possibile riconoscere in buona parte la ragione ontologica che legittima la relazione tra sicurezza, servizi e welfare locale.

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3. Coniugare partecipazione, piani e programmi per costruire sicurezza locale di Pier Paolo Inserra

3.1 Premessa Esordiamo volutamente con una considerazione netta, una sorta di principium che riguarda l’abc di ogni amministratore, di ogni funzionario e impiegato che rivestono un ruolo istituzionale. Ma anche, aggiungiamo, di tutti coloro che rappresentano e svolgono azioni/servizi di pubblica utilità, come un’associazione di volontariato o una cooperativa sociale o lo stesso imprenditore privato che dovrebbe gestire al meglio i rapporti complessi tra azienda, istituzioni e territorio. Quest’ultimo, poi, non è solo riconducibile all’idea di mercato più o meno turbolento, ma è fatto di relazioni, responsabilità sociale, valori. Ebbene, oggi è più che mai necessario tenere insieme tre tendenze per cercare di garantire quel buon governo locale che, tanto per cambiare, è quasi sempre stato descritto in maniera retorica, semplicistica: a. Favorire lo sviluppo di processi di governance adeguati, che prevedano un confronto costante tra attori istituzionali ed extraistituzionali, fondato su logiche deliberative e 50


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negoziali, e orientato a favorire la responsabilizzazione progressiva dei cittadini nella gestione del proprio territorio. b. Articolare il passaggio da un’idea generica di amministrazione del territorio alla sua implementazione, passando obbligatoriamente (per una questione di metodo, non di rigidità didascalica) attraverso lo sviluppo ordinato di strategie, politiche, piani, programmi, progetti, interventi e servizi. Sono ancora troppo poche le realtà amministrative di un’Italia fatta di piccoli comuni, o di grandi realtà metropolitane sempre più spesso governate in maniera confusa e senza una visione di lungo respiro, che rispettano o considerano davvero i singoli passaggi della filiera come necessari. Non si può, ad esempio, costruire un servizio locale per l’occupazione delle fasce deboli se ciò non si aggancia ad una strategia più complessiva sul welfare locale, sulle caratteristiche e le forme che esso assume, sugli strumenti per implementarlo. Non si possono nemmeno avere grandi idee piratesche, senza avere nessuna capacità o strumento per trasformarle in servizi ed interventi. Nel primo caso il rischio è quello di una gestione disordinata e solo pragmatica, a livello politico, del bene pubblico. Nel secondo il rischio è ancorare un’amministrazione pubblica ad una visione astratta e intellettualistica che non ha collegamenti organici con la realtà ed i bisogni dei cittadini. c. La terza tendenza che andrebbe valorizzata riguarda il raccordo tra quanto dicevamo nei punti precedenti e i concetti di capacità implementativa, sostenibilità e efficacia. Un piano, un programma o un servizio devono essere seguiti, monitorati, valutati per l’efficacia effettiva che garantiscono. Ma devono anche essere sostenibili, avere le risorse sufficienti per il loro sviluppo. Il problema è che ancora c’è troppo accidentalismo, poco rigore nel declinare tutto questo.

Chiaramente, gli stessi interventi di sicurezza urbana, oltre a risentire del tipo di approccio utilizzato (cfr. capitolo precedente: dualismo versus securitarismo o integrazione), risentono della serietà e del rigore con cui si è seguito un percorso che parte da un’idea societaria (o da un bisogno) e viene declinato con la costruzione di una strategia, una politica condivisa, un piano settoriale di azione, etc. 51


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Nelle prossime pagine, cercheremo sia pure in maniera sintetica, di capire cosa vuol dire costruire un piano o un programma anticipando una serie di considerazioni relative a partecipazione e governance locali. I capitoli successivi, poi, continuano il ragionamento sulla filiera “strategia-piano-servizio”, approfondendo – sia pure attraverso delle sollecitazioni che però non rappresentano l’intera complessità del ragionamento – metodi e tecniche di costruzione di un progetto, contenuti di un percorso partecipato di costruzione delle reti locali, e – a proposito di sostenibilità reale – risorse pubbliche dedicate.

3.2 Politiche partecipate di promozione della sicurezza locale: a che punto siamo? Il passaggio da una concezione dissuasivo-repressiva di sicurezza ad una fondata sulla pianificazione strategica, lo sviluppo sociale e la promozione di politiche integrate, di fatto, è ancora agli inizi. Nonostante ciò, le determinazioni più recenti del Legislatore – si pensi al Decreto Maroni sulla sicurezza dell’Estate del 2008 – a livello nazionale e regionale inducono ad alcune considerazioni: a. Le politiche sociali ed i servizi sono territorializzati. Lo Stato, nella sua massima espressione, dovrebbe garantire politiche di indirizzo generali suffragate da un ruolo di programmazione attento e costante da parte delle Regioni e delle comunità locali; b. Le politiche di sicurezza locale e di qualità della vita sono il frutto di un’interazione strategica, progettuale, organizzativa e operativa tra più attori sociali. In virtù di quanto appena detto vanno stimolati e favoriti processi partecipativi dal basso che permettano di declinare un’idea plurale di governance e di cittadinanza; c. In termini sussidiari, punto di riferimento insieme alle Regioni è l’Ente locale, che coordina gli altri attori sociali 52


Capitolo 3

territoriali al fine di favorire un confronto reale tra modelli culturali e sociali diversi, linguaggi, progettualità e buone prassi.

Purtroppo, però, i numerosi attori sociali interessati alle dinamiche di costruzione delle politiche di sicurezza – ci riferiamo in prima battuta agli organismi istituzionali regionali e territoriali – vivono con eccessiva frequenza una condizione di anomia. Essi posseggono, difatti, strumenti di lettura della realtà locale, cultura politica, competenze, capacità di governo e di azione mediamente involuti, nonostante le responsabilità derivanti dal ruolo amministrativo che dovrebbero agire. Certo, tenere insieme - secondo un modello fondato su un’idea dichiarata, esplicita, complessa di governo - politiche distributive, redistributive, costituenti, regolative e simboliche non è facile. Ciò non dispensa, però, dalla necessità di fare i conti con il fatto che le realtà locali siano sempre più strategiche, all’interno di sane logiche di sussidiarietà orizzontale e verticale, nel determinare il raggiungimento di obiettivi relazionali e societari intrecciati con l’idea stessa di benessere sociale e sicurezza. Alla luce di quanto appena detto, il tentativo che faremo nel capitolo è quello di individuare un insieme di dimensioni strategiche, di metodi e di strumenti utili, se non per attivare ad un buon livello politiche partecipate di promozione della sicurezza, almeno per cominciare ad uscire dall’acquitrino del riduzionismo e dell’improvvisazione.

3.2.1 Attori, governance e partecipazione Investire con sensibilità e rigore su politiche di sicurezza locale vuol dire far sì che tutti gli attori coinvolti nel determinare benessere sociale dichiarino e condividano, nella fase preliminare: 53


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a. b.

c. d.

e.

una definizione esplicita e nello stesso tempo aperta di governance e di partecipazione; i contenuti generali e gli obiettivi a cui fa riferimento il percorso partecipativo che si mette in atto; le tipologie di attori sociali che entrano in gioco (ed in che termini); A quali livelli di analisi/proposta/azione gli attori locali si collocano e di quali visioni/contenuti sono portatori; quali spazi e quali prassi di partecipazione è opportuno valorizzare e agire.

Proviamo, anche in questo caso per quanto possibile, ad approfondire i punti appena declinati. Governance e partecipazione a livello locale (punto a.) - Per una definizione di governance facciamo riferimento a quanto assunto dall’United Nations Development Program (UNDP), soprattutto per sgombrare il campo da interpretazioni strumentali del termine accumulatesi in questi anni. L’UNDP definisce la Governance come “l’esercizio dell’autorità politica, economica ed amministrativa nella gestione degli affari di un Paese ad ogni livello. Governance comprende i complessi meccanismi, processi ed istituzioni attraverso le quali i cittadini e i gruppi articolano i loro interessi, mediano le loro differenze ed esercitano i lori diritti ed obblighi legali (…) Governance include lo Stato, ma lo trascende includendo il settore privato e la società civile (…)”. L’ accresciuta legittimazione di un approccio bottom-up alle politiche di sicurezza locale rischia, però, di avallare una visione molecolare, frammentaria di governo territoriale. In realtà, non è concepibile amministrare davvero i processi di politica locale senza una efficiente organizzazione di government: non 54


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può esistere una governance senza governo. Così, del resto, oggi risulterebbe debole un governo senza governance. Nella costruzione di politiche di sicurezza diffusa, allora, la partecipazione non è un più solo un diritto da esercitare una tantum, bensì un compito permanente attraverso cui una comunità locale gestisce complessità, pluralismo e democrazia, garantendo al contempo valore aggiunto (conoscenza, capacità di orientare i conflitti, identità) alla struttura sociale su cui si fonda. I contenuti del percorso partecipativo (punto b.) – La partecipazione, pur rappresentando sotto molti aspetti un diritto, un valore, non è mai il fine di un processo di governance. Se pensiamo ad un progetto locale, si può partecipare come attore di una rete o come singola realtà, prevalentemente per stimolare e contribuire ad attivare: 1. politiche pubbliche territoriali in ambito sociale, economico, culturale, ambientale, etc.; 2. piani di sviluppo specifici di medio-lungo periodo, connessi alle politiche descritte al punto 1); 3. programmi di intervento sul breve-medio periodo; 4. analisi e indagini territoriali su fenomeni socioeconomici specifici; 5. progetti (interventi, azioni, servizi) singoli o di rete; 6. processi comunicativi e informativi; 7. percorsi di monitoraggio e valutazione delle azioni e dei servizi; 8. più azioni elencate dal punto 1) al punto 7).

Gli attori sociali e le attività di partecipazione (punti c., d., e.) – Le interazioni tra attori e modalità di partecipazione vanno sempre indagate nel dettaglio (in relazione a: una politica, un lavoro di pianificazione e di progettazione, un percorso di analisi e osservazione dei fenomeni e dei bisogni locali, un’azione sociale specifica orientata verso la promozione di sicurezza locale). 55


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Per questo motivo è importante studiare a fondo, attraverso matrici e altri strumenti elaborativi, tra le altre cose: a. b. c. d. e.

f. g. h. i.

estetiche e forme (tradizionali o innovative, associative e/o tecnologiche, etc.) di partecipazione; formalità e informalità che caratterizzano i gruppi e i singoli nel partecipare; Metodologie partecipative specifiche; continuità o istantaneità che assume una prassi partecipativa; ruoli e funzioni che ogni attore fa propri nelle diverse fasi temporali e concettuali di sviluppo del progetto. È un aspetto delicato e complesso: ogni attore può assumere uno o più ruoli nell’ambito dell’intero processo: istituzionale, progettuale, gestionale, di fruizione, interlocutorio, attivo. processi e relazioni di networking; contenuti specifici (della politica, del progetto, etc.); spazi fisici e/o comunicativo-relazionali al cui interno si attiva partecipazione; pratiche e strumenti di partecipazione.

3.3 Dalla pianificazione strategica alla progettazione partecipata Sui tre concetti di pianificazione, programmazione e progettazione, negli ultimi decenni è stato scritto moltissimo. In ambiti che, non a caso, spaziano dall’urbanistica all’ambiente, al sanitario, al culturale, al sociale. Prima di approfondire le questioni che ci riguardano (della progettazione si parlerà in un capitolo apposito), tuttavia, sono essenziali un insieme di puntualizzazioni: si tratta di concetti strettamente collegati tra loro che, in ambito locale, dovrebbero rappresentare fasi centrali di 56


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un unico processo euristico, conoscitivo, e operativo che informa le stesse politiche di promozione della sicurezza; ci riferiamo a discipline e metodologie specifiche: alla pianificazione strategica nell’ambito delle politiche pubbliche, alla programmazione dei servizi e degli interventi territoriali rivolti alla cittadinanza, alla progettazione sociale partecipata; nessuna attività di pianificazione o di progettazione coglie in maniera esaustiva le caratteristiche di un fenomeno sociale e i conseguenti interventi e servizi che possono essere concepiti. Un buon piano e un buon programma prevedono, quindi, anche risorse specifiche per azioni sperimentali e innovative, e contributi mirati a dare risposta ad emergenze che si presentano in maniera “improvvisa”; le politiche di sicurezza – ci colleghiamo a quanto detto in punti precedenti del testo – sono anche politiche che favoriscono la nascita dell’associazionismo, il ruolo attivo di gruppi informali, lo spontaneismo legato ad un’idea improvvisa o alla voglia di organizzare un’iniziativa culturale nel proprio quartiere. Un buon piano e, sul territorio, una buona rete di realtà locali attive, tengono conto di tutto questo, favorendolo; un piano locale risente necessariamente delle indicazioni e delle scelte strategiche effettuate a livello istituzionale all’interno di sistemi similari o più ampi. Ciò non può essere disconosciuto, anzi, deve diventare un’opportunità nella sua costruzione.

La pianificazione strategica – Molti pensano che pianificare sia un atto effimero e inutile, oppure che comporti dispendi di tempo se si lavora in piena emergenza. O, ancora, che la pianificazione attenga solo a politiche e azioni generali in ambito nazionale o sovranazionale e che sia quindi eccessivo parlare di pianificazione locale. Si tratta di considerazioni grossolane. È vero piuttosto che amministratori locali, tecnici, cittadinanza organizzata - lo abbiamo anticipato in altre parti del capitolo - sono poco abituati dal punto di vista culturale a misurarsi con investimenti e progettualità di ampio respiro. 57


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Il Piano strategico da elaborare a livello regionale e locale ogni volta che, in generale, ci si misura con una politica pubblica specifica (sociale, sanità, ambiente, cultura, urbanistica, occupazione, etc.) o integrata (sicurezza) dovrebbe contenere5: Quadro logico del processo di pianificazione strategica - Una dichiarazione generale di “missione” che comprenda le principali funzioni ed operazioni. - La descrizione delle finalità e degli obiettivi in termini di risultati da attendersi. - La descrizione del modo in cui quelle finalità ed obiettivi così espressi debbano o possano essere conseguiti, compresa una descrizione dei processi operativi, delle qualificazioni e delle tecnologie, nonché delle risorse umane, di capitale, di informazione, ed altre, necessarie per conseguire quelle finalità e obiettivi. - Contenuti e modalità di sviluppo delle quattro dimensioni che contraddistinguono, nel nostro caso, una politica pubblica (ricerca-azione e analisi multidimensionali sulle caratteristiche di un territorio; sviluppo di processi di governance e partecipazione degli attori territoriali; progettazione partecipata; conoscenza, apprendimento, informazione e comunicazione, inter ed intrasistemiche). - La descrizione preventiva di come le finalità di prestazione espresse e descritte nel Piano annuale o pluriennale degli interventi (Programmazione) - si dovranno o si potranno mettere in relazione alle finalità e agli obiettivi del Piano strategico (ciò che è oggetto di quello che i politologi usano chiamare le “analisi politiche”, policy analysis). - L’ identificazione dei fattori chiave esterni che possono influenzare - positivamente o negativamente - il conseguimento delle finalità generali e gli obiettivi del Piano strategico - La descrizione delle variazioni di programma usate per determinare finalità ed obiettivi generali, con un prospetto per le future valutazioni. 5

Per ulteriori approfondimenti si rimanda a: Franco Archibugi, Introduzione alla pianificazione strategica in ambito pubblico - Alinea Editrice, Firenze, 2005.

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La programmazione territoriale - I contenuti principali di un lavoro di programmazione (alcuni esperti di planologia parlano di “Piano degli interventi”) direttamente collegati alla progettazione, sono: Quadro logico del processo di programmazione territoriale - La determinazione degli obiettivi operativi, allo scopo di definire il livello di “prestazione” da conseguire per ogni attività di programma. - L’ indicazione di detti obiettivi in forma tendenzialmente oggettiva, quantificabile e misurabile. - L’individuazione preliminare di azioni sociali, interventi, prassi, servizi specifici da sviluppare poi a livello progettuale. - L’individuazione degli attori e dei processi partecipativi specifici da agire sul campo nell’arco temporale corrispondente allo sviluppo del programma. - La descrizione sommaria dei processi operativi delle qualificazioni, tecnologie, risorse umane, capitali, informazione etc., cioè delle risorse il cui impiego è necessario per conseguire i livelli di prestazioni indicati. - La fissazione degli indicatori, o misuratori, di prestazione sulla base dei quali si intende misurare e valutare le prestazioni, i livelli di servizio, e i genere i risultati di ogni attività di programma. - La predisposizione di una base di comparazione dei risultati del programma con gli obiettivi di prestazione fissati per il programma. - La descrizione delle metodologie e dei mezzi da usare per verificare e validare i valori misurati.

Nel capitolo seguente entriamo nel merito delle metodologie di progettazione partecipata.

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4. Fondamenti di progettazione sociale partecipata per lavorare sulla sicurezza locale di Nicoletta Teodosi

4.1 Premessa Avevamo di fronte tre opzioni per parlare di progettazione sociale partecipata e integrata (PSPI). La prima, dare per scontato che tra gli operatori del pubblico, del terzo settore, tra i funzionari e gli amministratori, fosse già radicata una cultura della progettazione nel campo delle politiche pubbliche e sviluppare un capitolo molto tecnico e complesso. La seconda scelta, che pensavamo di praticare all’inizio del progetto editoriale, prevedeva un’analisi dei formulari del PON Sicurezza con una serie di indicazioni utili alla loro compilazione. La terza scelta, più didattica, consisteva nello spiegare quali fossero i principi generali di un progetto, i passaggi logici fondamentali, a partire da un campo in cui la progettazione ha raggiunto livelli di diffusione molto alti: quello delle politiche di welfare locale. Ebbene, l’opzione iniziale non ci convinceva perché incorporava un rischio: quello che il testo diventasse, in questa parte strategica, poco accessibile: siamo convinti che la cultura della progettazione non sia poi così radicata e diffusa. Quella intermedia si fondava su un limite metodologico (che abbiamo cercato di superare, 60


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ma solo in parte, nel capitolo finale sulle risorse): e cioè che i progetti di sicurezza locale partecipata siano implementabili solo attraverso il PON Sicurezza (sono anche implementabili attraverso il PON specifico: ma se partiamo dal presupposto che la sicurezza sia frutto di politiche integrate e di processi partecipativi, viene da sé che non è esclusivamente il PON a garantire risorse pubbliche). Abbiamo scelto l’ultima opzione perché ci permette di ragionare sui processi e soprattutto su un metodo. Ogni lettore, una volta assimilata la sezione, non si trasformerà certo in un professionista della progettazione. Ma sicuramente sarà in grado di attivare processi partecipativi, di riconoscere un progetto fatto con decenza, e di comprendere qualsiasi schema progettuale o formulario venga proposto. Entriamo nel merito della riflessione. La PSPI è un insieme di conoscenze, di tecniche, di capacità individuali e di gruppo il cui prodotto consiste in uno o più progetti all’interno dei quali sono individuate le ragioni, i modi, le tecniche, gli attori per realizzare una o più attività collegate, nel nostro caso, a interventi di sicurezza locale. La PSPI è un processo, richiede cioè l’individuazione di una serie di fasi collegate e conseguenti che necessitano di un investimento in termini di tempo, a volte anche di denaro, ma soprattutto richiede un coinvolgimento di persone e di enti portatori di conoscenze, tecniche e capacità senza le quali un progetto partecipato non ha successo. La PSPI è una tecnica che si utilizza se si vuole far prevalere un approccio dal basso dove hanno valore la trasversalità e la condivisione delle conoscenze, delle tecniche e delle capacità; dove ciascuno è fonte e portatore di realtà, anche molto complesse, che devono lavorare e collegarsi tra loro. Questo lavoro si chiama “fare rete”, significa che enti e organizzazioni, anche con mandati e mission

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differenti, condividono uno stesso percorso per raggiungere degli obiettivi ben precisi. Il lavoro di rete è la traduzione pratica della PSPI descritta precedentemente, come avremo modo di approfondire nel capitolo successivo. Perché un lavoro di rete si trasformi in un’azione concreta deve evolversi in un partenariato: la formalizzazione cioè di responsabilità e di ruoli, la divisione di compiti tra tutti i partecipanti alla rete, gli attori o stakeholder. Il partenariato può tradursi in un atto formale (Protocollo di intesa, Accordo di programma) ma anche semplicemente in un impegno reciproco, sotto forma di lettera, a realizzare parti di un progetto, come accade per i progetti europei. Occorre tempo per poter progettare in maniera partecipata un’attività, a volte bisogna organizzare riunioni, avere contatti con i partner, che non abitano sempre nella stessa città, bisogna spostarsi e questo ha un costo, così come ha un costo comunicare con strumenti e tecnologie avanzate. È stato chiamato costo, anche se è preferibile parlare di investimento, perché rientra nella logica della progettazione partecipata pensare in termini di benefici futuri e non solo di costi di oggi. La progettazione è partecipata se il processo che si intende avviare vede il coinvolgimento di chi promuove il progetto e di chi in qualche modo ne è beneficiario o destinatario6. La progettazione partecipata può prevedere la stesura di un solo progetto contenente una sola iniziativa o più azioni, oppure prevedere più progetti e più azioni: in questo caso si parla di Programmazione. La differenza è data dal tipo di risorse cui si fa riferimento, da quanto cioè si intende investire o si pensa di avere a disposizione, dall’ente o 6

Si intende come beneficiario l’ente che riceve del denaro in cambio di attività specifiche; per destinatario si intende la persona o il gruppo di persone, gruppo target, cui sono destinate le azioni del progetto.

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istituzione che promuove il Progetto o Programma. Lo Stato centrale, attraverso i Ministeri, è più facile che programmi delle azioni complesse e di lungo periodo; le Regioni sono istituzioni deputate a legiferare e a redigere Piani triennali sulla sanità; i Comuni possono redigere un progetto, ma anche programmare un Piano di Zona triennale contenente una serie di servizi sotto forma di progetti. Nella progettazione sociale partecipata e integrata bisogna avere chiaro in mente che tutti i partecipanti hanno pari dignità, sono responsabili in eguale misura della riuscita del progetto, del raggiungimento dei risultati attesi, anche se è individuato un ente capofila di progetto che ha la responsabilità della gestione economica davanti ai partner e sopratutto nei confronti del committente. Nella logica della PSPI, un progetto è il risultato dell’agire di più settori, enti, organizzazioni, persone, di attori rilevanti, anche se poi il lavoro finale, il cosiddetto editing, è fatto da poche persone. I protagonisti della progettazione/programmazione partecipata e integrata sono: − − −

Politici = portatori di decisioni Destinatari = portatori di bisogni Esperti = portatori di conoscenze

La progettazione partecipata può essere settoriale quando si realizza in un ambito tematico specifico: lotta alla droga, disabilità, infanzia e adolescenza, pari opportunità, immigrazione, ecc. La progettazione partecipata può anche essere territoriale e quindi avere una logica vicina allo sviluppo locale, dove sono coinvolti contesti diversi: ambiti specifici quali sociale e sanità, urbanistica e viabilità, ambiente, istruzione e formazione. Si tratti di progettazione settoriale o territoriale si parla, comunque, di “progettazione integrata”, perché coniuga diversi aspetti e prospettive. La progettazione partecipata, 63


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infatti, risponde a problemi o bisogni che necessitano di soluzioni complesse, non provenienti cioè solo da un punto di vista.

La Progettazione Partecipata Integrata è un’attività unitaria e complessa che avvicina la mente alla realtà, che affronta problemi, cerca risposte attraverso attività anche molto complesse. La PPI poggia sulle competenze degli attori. La PPI è un processo inclusivo.

Il prodotto, il risultato finale della PSPI, è un progetto che contiene gli elementi fondamentali alla soluzione di problemi che si vogliono risolvere, in che modo e con quale investimento sia di risorse umane sia economico. Il progetto può essere scritto a tavolino, da esperti esterni chiamati all’occorrenza e realizzato indicando chi deve fare cosa e quando, ma soprattutto con la collaborazione di esperti interni con competenze nel settore dell’analisi della situazione di partenza, nella gestione amministrativa, nella individuazione di azioni atte a risolvere il problema da cui il progetto prende origine. Nel settore delle politiche di welfare e di qualità della vita, in particolare, si lavora per progetti perché i finanziamenti sono a tempo, significa cioè che un progetto ha vita tanto quanto dura la risorsa economica che è stata investita: può durare un anno o più o fino a scadenza del budget a disposizione. Solitamente, la durata di un progetto è data dall’avviso pubblico a cui l’ente proponente risponde. Ma attenzione: per progetto va anche considerato il complesso delle attività di un qualsiasi ente, attività che nel loro insieme contribuiscono alle finalità statutarie o di mandato istituzionale. Se si immagina un mosaico o un puzzle, ciascuna singola attività o progetto è un tassello per la costruzione dell’immagine finale. 64


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Il progetto è uno strumento che consente di conseguire determinati obiettivi, ridurre la portata di un problema o eliminare ostacoli. Il progetto è un processo cognitivo cui corrispondono diverse attività in più ambiti.

Non è sufficiente, però, dimostrare di avere la volontà di realizzare una qualsiasi attività, anche se è un buon punto da cui partire. É necessario, in carenza di fondi propri, lavorare per progetti. La ragione primaria non è solo quella strumentale di cercare nuovi finanziamenti. Tra le motivazioni va sicuramente considerato il percorso del progetto, che nel suo sviluppo, nella sua realizzazione, in fase di valutazione anche in itinere può subire miglioramenti o variazioni e quindi necessita di essere rivisto, aggiornato, modificato. E ciò dà origine ad un nuovo progetto, il cui decorso può ricevere le stesse attenzioni del precedente e quindi dare origine ad un altro progetto, in maniera circolare, se si vuole, da cui l’adozione del metodo PCM (Project Cycle Management) già in uso in ambito internazionale ed europeo e di cui si dirà più avanti. Un progetto secondo la PSPI deve rispondere alle seguenti domande: perché si vuole/si deve presentare un progetto? Cosa si vuole/si deve fare? Con chi lo si vuole/si deve realizzare? Quando è necessario realizzarlo? In che modo lo si vuole/si deve sviluppare? Molti riconosceranno uno stile giornalistico in queste domande, infatti è dal giornalismo che viene mutuata una capacità di sintesi necessaria ad una struttura lineare di un progetto (si intende il collegamento tra le fasi di un progetto). Il rischio da evitare, infatti, è quello di dilungarsi senza individuare bene quello che si propone. Più è lungo il testo più si rischia di dire cose che non rispondono alle reali esigenze, spesso richieste negli avvisi pubblici. Infatti tra le priorità per un progetto è leggere bene il bando, e/o interpretare al 65


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meglio gli obiettivi di chi lo vuole proporre. I maggiori errori si fanno nella fase di acquisizione delle informazioni necessarie a decidere se si posseggono i requisiti per avanzare una proposta: sembra di aver compreso bene cosa è richiesto dall’avviso pubblico, invece nel testo si rischia di dire ciò che si vuole descrivere, non quello che viene richiesto realmente di rispondere.

Perché si lavora per progetti: per produrre servizi maggiormente rispondenti ai bisogni per accedere alle risorse finanziarie pubbliche e private per sperimentare nuove ipotesi organizzative, come le reti di servizi per fare rete tra servizi con mandati diversi per coinvolgere le istituzioni per pubblicizzare le attività degli enti per coinvolgere i cittadini

Per scrivere un progetto con un approccio partecipativo bisogna possedere conoscenze teoriche e pratiche; è necessario cioè conoscere bene l’ambito settoriale e l’ambiente territoriale dove si intende realizzare il progetto, bisogna avere delle competenze di tipo teorico che accompagnino e rafforzino l’intervento che si vuole realizzare, con quali risorse umane, con quali strumenti. Per essere chiari, se si vuole pensare ad un intervento in favore dei minori e adolescenti, non è sufficiente l’esperienza di chi vi lavora ancorché utile, ma sono necessarie conoscenze di base sulla pedagogia infantile, sulla psicologia dello sviluppo, sulla sociologia della devianza, come minimo. Nel sociale non è più tempo dell’improvvisazione, come è accaduto negli anni’80 dove era sufficiente una motivazione personale o di gruppo per creare servizi, gestire attività che allora erano innovative e non esistevano, ma che oggi devono essere rispondenti ai problemi che se non sono più complessi comunque sono 66


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maggiormente conosciuti e pertanto richiedono approfondimenti. Le Scienze Umane fino a circa 30 anni fa non avevano la diffusione e la specializzazione che hanno oggi, hanno professionalizzato operatori in grado di saper leggere bisogni diversi, tanto quanto è diversa e complessa la società.

4.2 Gli strumenti della progettazione partecipata Per intraprendere un percorso progettuale partecipativo va realizzata innanzi tutto una analisi ex-ante, vale a dire si deve sapere dove siamo collocati in termini contestuali e chi siamo per iniziare un’avventura della quale l’ignoto deve essere noto sin dal primo momento: si deve sapere dove andare, con chi, quanto spendere, proprio come se si stesse progettando un viaggio.

Conoscere per saper progettare

Sin dagli anni ‘60 del secolo scorso si è sviluppato nella cooperazione allo sviluppo in favore dei paesi terzi la Swot Analisys (SA), uno strumento utilizzato per comprendere l’entità dell’intervento che deve essere realizzato in un dato territorio. Allora si trattava particolarmente di ingenti investimenti nei paesi in via di sviluppo per opera dei paesi area OCSE. La tesi principale di questo tipo di analisi si basa sulla comprensione di quali siano le potenzialità e quali i limiti, sia dell’ente che intende presentare un progetto, sia del contesto all’interno del quale esso opera. Individuare quali sono le forze e le debolezze è un primo passo per avviare i fondamentali della progettazione partecipata e integrata. 67


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La SA è una analisi di valutazione che deve essere effettuata per verificare se esistono i presupposti (interni ed esterni all’organizzazione) per poter ipotizzare un progetto. All’inizio, infatti, vanno capiti i problemi che si vogliono affrontare (Debolezze), con chi, come (attraverso tecniche di ascolto, gruppi di partecipazione). Nella progettazione partecipata nulla è lasciato al caso, una analisi approfondita oggi permette di individuare e definire – in termini probabilistici – quali scelte in futuro potranno o dovranno essere assunte; spingendosi ancora più avanti permette di fare una analisi di scenario futuro, pensando nel lungo periodo. In quest’ultima ipotesi, quella degli scenari futuri, si deve partire dalle differenze degli eventuali promotori di un progetto. Se è una istituzione pubblica, Regione, Stato centrale è più facile che sia utilizzata la programmazione (contenente cioè diversi progetti) e quindi sia prevista una analisi nel lungo periodo e sia più facile parlare di scenari. L’analisi ex-ante si utilizza quando si vuole dare una possibilità di sviluppo ad un territorio o comprendere meglio un settore specifico (siamo in una ottica di integrazione tra attori provenienti da settori diversi) valorizzandone le forze e contenendone le debolezze, ma anche quando è necessario pensare nel lungo periodo. Nella SA, gli elementi di forza, debolezza, opportunità e minacce esterne si determinano in maniera condivisa (siamo sempre nell’approccio della PSPI) e lo scenario che si vuole analizzare ed eventualmente modificare è costruito insieme agli attori/stakeholder, compresi i cittadini. Per avviare una analisi secondo l’individuazione delle forze e delle debolezze, interne ed esterne, è necessario seguire le seguenti fasi: 1. analizzare il contesto territoriale dove il progetto/programma deve essere realizzato: − quali forze e debolezze devono essere individuate. Tra le 68


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2. − −

3. − −

forze vanno considerate le risorse economiche, finanziarie, ma anche il capitale umano a disposizione; quali azioni sono da realizzare considerando le opportunità e le minacce provenienti dal mondo esterno ai proponenti; analizzare il contesto esterno al progetto/programma da realizzare: quali forze e debolezze sono insite nel mondo esterno; quali opportunità o minacce provengono dal mondo esterno; individuare le possibili azioni da intraprendere tenendo conto delle fasi 1 e 2; quali hanno maggiori opportunità di riuscita e minori rischi (fattori esterni); scelta delle azioni più rilevanti per il contesto di riferimento.

Una analisi ex-ante con queste caratteristiche, prevede tre funzioni fondamentali: promozione, governo, coordinamento, a ciascuna delle quali possono corrispondere uno o più attori. La promozione è curata da chi intende lanciare un progetto/programma e necessita la creazione di alleanze. Solitamente questo ruolo può essere ricoperto da politici, in qualità di portatori di decisioni che si traducono in leggi, linee guida, piani strategici. Il governo, inteso come gestione e responsabilità dell’azione futura, può essere guidato dagli stessi decisori, ma possono essere trovati anche altri interlocutori quali ad esempio degli esperti esterni o interni. Il coordinamento di una analisi SWOT può essere guidato da esperti in gestione dei gruppi e riduzione dei conflitti. Siamo in una fase preliminare, quindi di analisi dello stato attuale per arrivare a delle proposte e decisioni operative da assumere in un secondo tempo. La partecipazione ad una fase di questo tipo deve essere allargata ad una platea vasta composta sia da beneficiari sia da destinatari.

Cambiare in meglio la qualità della vita dei destinatari

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4.3 Le fasi della progettazione sociale integrata e partecipata Il modello di progettazione proposto nel capitolo si basa sulla coniugazione del PCM (Project Cycle Management), ciclo di gestione di un progetto, adottato sin dal 1993 in sede Comunitaria nel settore della cooperazione allo sviluppo. L’approccio del PCM è adattabile a realtà specifiche differenti: organizzazioni di volontariato e non profit, enti pubblici, imprese, gruppi organizzati di cittadini: Tali realtà sono accumunate nel nostro caso da un unico scopo: quello di definire in maniera sistematica le proprie azioni, siano queste inserite in piani, programmi (di ampio respiro anche in termini temporali) o progetti.

Project Cycle Management Insieme di strumenti che possono determinare l’efficacia di progetti/programmi e il miglioramento dei meccanismi di gestione secondo i principi della governance

La metodologia progettuale proposta si suddivide in nove fasi principali, che tratteremo come singoli paragrafi.

4.3.1 Attività preparatoria: individuazione del problema o del bisogno Una volta effettuata la valutazione preliminare (forze e debolezze interne, opportunità e minacce esterne) e determinata la possibilità di lavorare ad una proposta sotto forma di progetto, si può passare alla prima fase della progettazione, quella dell’attività preparatoria che consiste nella individuazione del problema che si vuole risolvere o del bisogno da soddisfare.

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Va detto che un progetto non deve necessariamente affrontare un problema in senso negativo: anche programmare un viaggio di piacere può essere visto come un progetto e di certo non si tratta di un problema grave. Due sono le modalità per sviluppare un progetto: la prima si basa sull’individuazione degli obiettivi, del perché vogliamo o dobbiamo presentare un progetto, per quale/i motivi; la seconda individua le azioni che si ritiene siano necessarie per risolvere il problema individuato. Altra particolarità per chi progetta è legata al tipo di finanziamento: spesso si aspetta la pubblicazione di un bando pubblico prima di presentare un progetto. Questa è una modalità, ma non si coniuga con la logica della progettazione partecipata. Essa prevede una programmazione nel lungo periodo, quindi l’individuazione di progetti legati tra loro (mosaico/puzzle) che non possono, anche per ragioni di tempo, essere progettati nell’arco di poche settimane, in vista della scadenza degli avvisi pubblici, dal momento in cui vengono pubblicati. Del resto, se partiamo dal presupposto che ad attivare principalmente interventi partecipati di sicurezza locale siano le istituzioni, i comuni, pensiamo ad attori che possano decidere direttamente sull’allocazione delle risorse. Lo stesso PON Sicurezza prevede l’accesso diretto a finanziamenti dedicati qualora a presentare un progetto siano enti locali in accordo con la Prefettura: ma di questo parleremo meglio nell’ultimo capitolo. Quindi, la progettazione nell’ottica qui presentata, prevede delle caratteristiche fondamentali: bisogna avere tempo, bisogna sapere cosa si vuole fare, il progetto in caso di pubblicazione di un bando deve essere, se non proprio terminato, almeno a buon punto. 71


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Anche perché, lo vedremo in seguito, un progetto partecipato e integrato deve avere una partenariato già formalizzato e questo non lo si concretizza in pochi giorni, a meno che non sia già attiva una rete costruita in periodi precedenti. Nella stessa fase di valutazione ex-ante si deve dichiarare apertamente ai possibili partner che il confronto al quale stanno partecipando è finalizzato ad un partenariato per un progetto.

Stabilito che l’ente è in grado di presentare un progetto vanno individuati: - il problema o il bisogno che si vuole risolvere. Esso deve essere in sintonia con gli obiettivi - l’idea progettuale, che si deve coniugare con la mission o il mandato dell’ente e dei partner Prima di passare alla fase descrittiva è necessario acquisire tutte le informazioni necessarie, aggiornate e precise (leggi, capitolato, letteratura in materia)

4.3.2 La formulazione degli obiettivi L’obiettivo è il punto di partenza e di arrivo di un progetto, indica la ragione per cui si vuole avviare un’attività, intraprendere un percorso che conduca a dei risultati ben definiti. L’individuazione degli obiettivi risponde alla domanda: perché vogliamo/dobbiamo realizzare il progetto? Si può rispondere solo se si conosce bene il problema/bisogno che si ha di fronte, è l’agire per obiettivi che permette di capire con quali mezzi e strumenti si vuole intervenire. Gli obiettivi sono importanti per l’ente e per i destinatari, perché è attraverso di essi che si intende ridurre o eliminare un problema o soddisfare un bisogno. Gli obiettivi sono generali e specifici, nel primo caso devono avere una ricaduta collettiva e di lungo periodo, mentre gli obiettivi specifici sono legati direttamente con le finalità 72


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del progetto, devono comunicare quale utilità i destinatari riceveranno dal progetto e sono strettamente collegati con le attività e i risultati attesi, che rappresentano ciò che ci si aspetta dalla realizzazione delle attività previste nel progetto. Gli obiettivi perché siano attendibili devono essere misurabili, ciò significa che va dato loro un valore che va sotto il nome di indicatori (al plurale perché si parla solitamente di set di indicatori). Gli indicatori sono degli indici quantitativi e qualitativi che permettono di descrivere, monitorare, valutare in termini statistici lo sviluppo di una politica, di un piano/progetto. Gli indicatori comunicano le informazioni necessarie circa il fenomeno che si vuole osservare. Perché gli indicatori diano le informazioni necessarie devono rispondere a 5 requisiti: validità, per misurare il fenomeno che si vuole rilevare o

studiare. La misurazione deve basarsi su dati certi, vanno usati quindi test o scale; attendibilità dei dati, che devono essere precisi e reperibili. Un test somministrato più volte deve dare gli stessi risultati del precedente, ferme restando le variabili; pertinenza, perché devono misurare una o più caratteristiche di ciò che si vuole rilevare o leggere; rilevanza della caratteristica individuata; specificità, che deve ridurre al minimo i falsi positivi.

L’utilizzo degli indicatori in fase di progettazione non è semplice, non siamo abituati a misurare un fenomeno, un evento, un investimento in termini di benefici e di ricadute nel lungo periodo. Ciò è legato alla mancanza della cultura del dato e della valutazione a cui invece dovremmo al più presto abituarci o adeguarci. Per fare un esempio, in fase di individuazione degli obiettivi insieme ai risultati attesi va posta anche la seguente domanda: perché il progetto/programma abbia successo cosa dobbiamo misurare? 73


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Esempio: dato il Piano sicurezza di una Città o il Piano socio-sanitario di una Regione dobbiamo monitorarne i progressi, quali il grado di sicurezza, percepito in un X numero di momenti (all’inizio, in fase intermedia, alla fine della sperimentazione) oppure la ricaduta degli interventi di prevenzione sulla qualità della vita delle persone. Il collegamento tra obiettivi e indicatori deve essere diretto, così come va definito con correttezza come questi saranno rilevati.

Elementi chiave per definire gli obiettivi chi Gruppo di coordinamento composto da referenti di ciascun partner aderente al progetto

come Attraverso incontri, scambi, contatti chiari e definiti da un ordine del giorno ben preciso

quando In fase 1 e comunque subito dopo l’analisi exante

perché Per determinare lo scopo del progetto e le attività

Strumenti necessari alla individuazione degli obiettivi Report analisi ex-ante, studi e ricerche di settore, competenze dei partecipanti al coordinamento, risorse finanziarie potenziali a disposizione, politiche di settore locali, regionali, nazionali e comunitarie

4.3.3 Partenariato Questa fase della progettazione è strettamente collegata a quanto detto nel capitolo successivo sulla rete. Il partenariato è un fattore centrale quando si usa la logica della PSPI ed è fondamentale nella 74


Capitolo 4

progettazione europea di cui resta uno dei principi basilari della coesione sociale. La formalizzazione del lavoro di rete è il partenariato: un impegno che tutti gli attori coinvolti direttamente o indirettamente nel progetto assumono per raggiungere i risultati del progetto attraverso quanto in esso viene stabilito. Perché una rete evolva in partenariato devono essere rispettate alcune condizioni: condivisione

delle informazioni riguardanti il progetto. Ciascun partner è una risorsa per il progetto, il suo know how, tutto ciò che conosce, può essere utile ai fini del progetto e deve essere messo a disposizione. adattamento ai tempi dei partecipanti alla rete. I partenariati possono essere compositi, avere al loro interno realtà che necessitano di tempi operativi o decisionali differenti. La decisione di un ente pubblico deve passare attraverso un iter politico che richiede un tempo maggiore rispetto ad una organizzazione non profit o privata. formalizzazione di ruoli e funzioni all’interno del partenariato. Soprattutto quando i partenariati sono composti da più soggetti non deve essere trascurato l’aspetto organizzativo: chi fa cosa; ciascun partner dovrebbe svolgere quelle attività che sa fare meglio. condivisione e acquisizione dei risultati da parte dei partner. I benefici dei risultati di un progetto in partnership sono di tutti non solo di chi è capofila.

Il partenariato nasce per portare avanti un progetto si basa su accordi precisi, su chi fa cosa, quando e con quale budget ha sempre un coordinatore e un comitato di gestione

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Costruire la sicurezza locale

Date queste condizioni, si capisce come la fase della composizione del partenariato sia delicata e possa richiedere un investimento in termini di tempo e denaro. Può, ad esempio, accadere che la rete sia composta da attori residenti in zone diverse del Paese e che siano necessarie diverse riunioni prima di giungere alla formalizzazione del partenariato. Scegliere di lavorare in maniera partecipata e integrata significa non solo soddisfare delle condizioni, ma anche beneficiare di vantaggi diretti quali una ripartizione dei costi che non gravano solo su un soggetto; il know how di ciascuno permette di coprire più ambiti settoriali e territoriali che un solo ente non sarebbe in grado di fare; si possono apprendere nuovi modelli e metodi di lavoro grazie allo scambio di saperi e prassi; infine ciascun partner è un nodo di una rete (il partenariato), ma può essere parte di altre reti e quindi integrare e creare nuove opportunità.

4.3.4 Programma di lavoro Il programma di lavoro, alias piano delle attività, descrive le azioni che si intendono realizzare per raggiungere gli obiettivi del progetto. Risponde alla domanda: cosa dobbiamo fare per raggiungere gli obiettivi prefissati e i risultati attesi? Le attività di un progetto devono essere coerenti con gli obiettivi, con il contesto di riferimento, con il mandato dell’ente o degli enti promotori. Per redigere un programma di lavoro si devono esaminare tutte le opzioni utili a raggiungere gli obiettivi per scegliere poi l’alternativa più efficace ed efficiente che deve rispondere a dei requisiti di massima. 76


Capitolo 4

Il programma deve contenere delle proposte/soluzioni che abbiano: − una buona probabilità di successo. Va fatta una buona

− −

− −

valutazione ex ante circa i rischi e gli imprevisti che si possono incontrare cui rispondere in maniera flessibile e capace; un budget assegnato che sia coerente con la gestione ordinaria e in sintonia con i tempi di erogazione dei fondi; la possibilità di collegarsi al contesto settoriale e territoriale di riferimento; in una logica di Progettazione Partecipata e Integrata ogni attore/stakeholder è centrale rispetto alla proposta; la caratteristica di rispettare i vincoli tecnici e a norma di legge; l’eventualità di impegnare esperti e collaboratori con competenze tecniche e organizzative necessarie.

Elementi chiave per definire il programma di lavoro Chi Gruppo di coordinamento composto da referenti di ciascun partner aderente al progetto

come Privilegiare le competenze tecniche e organizzative

quando

perché

Dalla fase 2 e comunque subito dopo l’analisi exante

Orientare le attività agli obiettivi

Strumenti necessari alla realizzazione del programma di lavoro Analisi di contesto, obiettivi generali e specifici, report di attività di progetti precedenti, riunioni tra esperti

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Come emerge dalla tabella, il programma di lavoro può essere composto da una sola azione o da più fasi collegate tra loro. Ogni fase può prevedere delle attività alle quali può corrispondere un prodotto/risultato.

4.3.5 Preventivo di spesa Un progetto è un investimento e in quanto tale ha delle spese che devono essere sostenute per coprire i costi di personale, delle attività, di gestione, di acquisto, ecc. Il preventivo di spesa di un progetto è un bilancio di previsione delle spese che dovranno essere sostenute e non necessariamente corrisponde al consuntivo che deve essere redatto in fase di rendicontazione. Un preventivo (budget) deve essere coerente con l’intero progetto e le voci di spesa devono essere collegate al programma di lavoro. Per quantificare i costi di un progetto, oltre a tenere conto delle attività e delle risorse umane e strumentali da impiegare, si deve fare riferimento al bando o avviso pubblico che stabilisce il finanziamento disponibile, oppure, se sono presenti, a vincoli più generali di carattere amministrativo, finanziario e rendicontativo.

4.3.6 Verifica della documentazione prima della presentazione del progetto e lista di controllo Prima della consegna di un progetto è necessario verificare se si è risposto a tutti i requisiti richiesti dal bando completi di documenti e allegati ovvero, per ritornare all’esempio del PON Sicurezza e all’attivazione diretta dell’ente locale, se si sono rispettate tutte le procedure per accedere ai finanziamenti. Al termine della redazione del progetto gli esperti e i responsabili di progetto presso ogni partner, 78


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che non hanno lavorato direttamente sul progetto, devono verificare l’esistenza di punti deboli e fattori negativi, verificare la congruità del budget, controllare l’insieme dei documenti e delle procedure. Questa revisione finale del testo, ad opera di persone diverse da chi ha redatto il progetto, è una fase molto delicata e va considerata una sorta di supervisione che deve essere effettuata confrontando il progetto con la griglia dei punteggi individuata dall’ente che ha commissionato il bando o con i criteri di carattere amministrativo e procedurale per accedere al finanziamento. A tal proposito, va ricordato che una lettura approfondita dell’avviso pubblico – o, lo ribadiamo, la conoscenza lucida del processo da attivare per utilizzare i finanziamenti – è fondamentale per la costruzione di un progetto; sottovalutare questa parte significa mettere a rischio l’esito della valutazione del progetto. Valutazione che viene effettuata da una commissione ad hoc incaricata dall’ente committente. È sufficiente non allegare un documento, non individuare in maniera chiara gli obiettivi, superare il limite di richiesta di finanziamento per avere un giudizio sfavorevole. Presentare un progetto in risposta a un bando pubblico non comporta l’erogazione automatica del finanziamento o alcun impegno da parte dell’ente fino al completo iter di valutazione. La presentazione di un progetto va considerata alla stregua di un concorso e in quanto tale prevede la partecipazione di una quantità di concorrenti, la competenza e la conoscenza delle tematiche relative all’avviso pubblico. Per facilitare la verifica della completezza del dossier relativo al progetto è necessario preparare una lista di controllo, nel caso l’ente emanatore del bando non l’abbia messa tra i documenti da allegare. 79


Costruire la sicurezza locale

La formula della check list è in uso per i progetti europei e si sta diffondendo anche per i progetti a valenza nazionale.

Lista di controllo o check list (acquisizione avviso pubblico o bando) Conoscenza iter accesso diretto ai finanziamenti lettura approfondita del testo individuazione capofila del progetto composizione gruppo di coordinamento del progetto per sviluppo piano di lavoro individuazione ruoli e funzioni calendario incontri stesura bozza e preparazione documenti revisione bozza formulazione preventivo costi revisione bozza e armonizzazione del preventivo approvazione testo finale del progetto lista di controllo documenti da allegare consegna progetto entro data di scadenza

4.3.7 Gestione del progetto Le modalità di gestione di un progetto con un approccio partecipato e integrato devono essere definite già nel programma di lavoro. In fase esecutiva possono essere disciplinate da un apposito documento che indichi chi fa cosa (i beneficiari), l’oggetto dell’iniziativa finanziata e il luogo di attuazione, la durata del programma di lavoro, le modalità di erogazione del finanziamento, le relazioni sulle attività eseguite. L’ente capofila del progetto ha l’onere della gestione finanziaria, da lui dipendono i requisiti di trasparenza e chiarezza nei rapporti con l’ente committente. 80


Capitolo 4

4.3.8 Valutazione La valutazione è una fase importante del progetto perché consente di valutare l’impatto delle attività programmate in termini di risultato e di processo. La valutazione può essere svolta internamente (auto-valutazione) o affidata ad un ente terzo, non coinvolto con il progetto e con nessuno degli enti aderenti al partenariato. Questa fase inizia con l’avvio del progetto e deve dimostrare se le attività previste nel progetto e la loro realizzazione sono coerenti con i presupposti individuati dal progetto (dagli obiettivi fino ai risultati attesi). La valutazione di un progetto è strettamente legata al monitoraggio, una osservazione periodica e costante del processo di realizzazione del progetto. Si parla di valutazione ex ante, in itinere ed ex post perché il progetto prende vita nel momento in cui viene ideato, si sviluppa e termina per dare origine ad un nuovo progetto.

4.3.9 Rendicontazione Gli enti gestori di progetti sono obbligati a dimostrare come i finanziamenti ricevuti da enti pubblici e privati sono stati spesi. Il progetto può dirsi concluso solo se è stata approntata una rendicontazione: una nota dettagliata delle spese sostenute per il progetto finalizzata all’ottenimento del saldo del finanziamento accordato in fase di affidamento del progetto. Questa fase del progetto è altrettanto importante rispetto alle altre in quanto non è unicamente collegata alla dimostrazione delle spese, ma serve a comprendere come fondi pubblici o privati siano stati spesi, e se in maniera coerente con quanto stabilito nel progetto. L’ente committente ha l’obbligo di controllare la rendicontazione prima di dare via al saldo.

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Costruire la sicurezza locale

Dimostrare di saper gestire un finanziamento è requisito essenziale per valutare positivamente l’ente beneficiario e renderlo affidabile, tanto quanto la sua capacità di gestire le attività previste nel programma di lavoro. La rendicontazione completa di copie delle spese sostenute (fatture, buste paga, ecc), della tenuta dei registri contabili per 5 anni dal termine del progetto e, a seconda dell’ente committente, certificata da un revisore contabile iscritto allo specifico albo (audit), deve essere allegata ad un rapporto descrittivo sulle attività svolte (report finale). Tale report deve contenere il documento di valutazione del progetto e una descrizione dettagliata delle attività svolte e dei risultati ottenuti.

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Capitolo 5

5. L’importanza del lavoro di rete in un territorio di Massimiliano Trulli

5.1 Premessa Oggi si sente parlare molto di reti e della loro importanza in relazione alle politiche pubbliche. Politici, dirigenti di servizi ed uffici, operatori, ma anche i mezzi di comunicazione, citano continuamente il tema delle reti, a volte per lamentarne il mancato sviluppo, a volte per sottolineare come siano state importanti nel raggiungere un determinato risultato. Se ne parla ovviamente non solo in relazione alle politiche di sicurezza, ma con riferimento a tutte le tematiche ed i settori che riguardano il compartimento pubblico: la sanità, l’ambiente, le politiche sociali, e così via. Come capita per gli argomenti un po’ inflazionati, anche nel caso delle reti il tema rischia di poggiarsi su semplificazioni o confusioni. Il risultato è quello che pur sentendone parlare così spesso, a volte si rischia che ci possa sfuggire l’essenza di cosa concretamente sia una rete, e sopratutto di come questa possa essere una risorsa reale per il nostro lavoro. È per questa ragione che nell’affrontare il presente capitolo sulle reti tenteremo di rispondere ad alcune domande: cosa intendiamo per reti? Perché è importante praticarle? Chi ne dovrebbe fare parte? 83


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L’intento non è ovviamente dottrinale: ci preme soprattutto che i lettori arrivino a condividere, anche in questo caso, una sintassi ed una grammatica originali sulle reti.

5.2 Le reti: definizioni e caratteristiche generali Conviene specificare che in questa fase si affronterà l’argomento delle reti in termini generali e non collegandolo necessariamente al tema della sicurezza. Inizieremo invece dalla sezione successiva del capitolo a scendere nel merito del tema specifico della sicurezza locale partecipata. Almeno in prima approssimazione, una definizione di “rete” può essere la seguente: una rete è rappresentata da una pluralità di enti e/o persone fisiche che acconsentono a scambiare o a mettere in comune le proprie idee, le informazioni in loro possesso, i propri saperi, le esperienze e risorse, per raggiungere con modalità cooperative un obiettivo comune. Una rete si forma in sostanza quando più organizzazioni e singoli individui scelgono consapevolmente - invece che puntare sulla competizione e su un modello di azione individualista - di valorizzare, per raggiungere i propri scopi, una serie di sinergie. Spesso si utilizza il termine inglese “network”, che in una delle sue accezioni è sostanzialmente sinonimo di rete. Le componenti della rete, le singole soggettività che vi aderiscono, dando sostanza alla rete stessa, sono di volta in volta definite in letteratura “nodi”, “attori” o “membri” della rete. In tutti i casi, rappresentano sia dei vettori professionali che socio-relazionali fondamentali. Non esisterebbe una struttura di rete se non esistessero delle interfaccia in grado di tenere insieme le varie maglie. 84


Capitolo 5

Differenza tra rete e partenariato A volte si tende a sovrapporre il concetto di partnership con quello di rete, o si fa riferimento ai componenti di una rete anche con il termine di “partner”. Si tratta tuttavia di accostamenti terminologici non del tutto corretti. Di seguito proviamo a sintetizzare i principali elementi distintivi tra reti e partenariati: la rete può avere diversi gradi di formalizzazione, e non di rado si basa esclusivamente su una serie di rapporti informali tra i suoi membri in generale la rete persegue obiettivi di carattere generale e non riconducibili ad una singola iniziativa o progetto la rete può infine essere del tutto orizzontale, nel senso che al suo interno tutti i membri potrebbero avere il medesimo potere di azione e decisione

la partnership di solito si basa su accordi prestabiliti e precisi (chi fa cosa, quando, quale è la divisione del budget) normalmente un partenariato nasce proprio per portare avanti una singola azione o progetto il partenariato ha in generale un soggetto coordinatore (o capofila), e magari un organismo di coordinamento come un comitato di gestione

Alcune caratteristiche delle reti - La rete si basa in generale sulla spontaneità dell’adesione ad un progetto comune, sulla cooperazione e sulla solidarietà tra i membri che vi aderiscono. Non di rado, una rete sceglie di darsi come principi fondanti quelli dell’uguaglianza e dell’assenza di gerarchie. Ciò non di meno, per funzionare in modo efficace la rete necessità di una serie di elementi quali: − una struttura organizzativa – che sarà più o meno leggera a

seconda della complessità delle azioni di rete gestite; − regole condivise; − un modello comunicativo interno ed uno esterno; − un programma di azioni per realizzare gli obbiettivi che la

rete stessa si è posta.

Di volta in volta, una rete può assumere un carattere più o meno strutturato. Carattere distintivo delle reti maggiormente strutturate è di solito la presenza di un qualche tipo di formalizzazione, dalla 85


Costruire la sicurezza locale

semplice stipulazione di un protocollo di intesa fino ad arrivare alla registrazione di un organismo con autonomia giuridica propria. Spesso le reti strutturate comportano anche la presenza di una struttura organizzativa, dotata di organismi di rappresentanza, uffici, personale di coordinamento e gestione. Le reti informali saranno ovviamente più fluide, agili ed aperte all’adesione di nuovi membri, ma sconteranno anche limiti come una maggiore debolezza in termini di capacità di gestire interventi complessi e la difficoltà nel dare continuità all’azione di coordinamento tra i membri. Finalità delle reti - Le persone e le organizzazioni si mettono in rete per una serie di finalità diverse. Di seguito proviamo a sintetizzare quelle che sono le finalità che tipicamente una rete si dà e persegue nell’ambito del settore di comune interesse: −

− −

portare avanti interventi di sensibilizzazione pubblica e campagne di pressione che abbiano un impatto ed una visibilità più ampia di quanto riuscirebbero a fare i singoli membri; condividere ed aggiornare informazioni, strumenti e metodologie di lavoro innovative; realizzare una programmazione partecipata di programmi operativi e strategie di medio e lungo periodo, magari lasciando poi ai singoli membri la realizzazione dei singoli progetti ed interventi; realizzare congiuntamente una serie di progetti e interventi, condividendo competenze e capacità operative per massimizzare la loro efficacia ed efficienza; ottimizzare le risorse presenti sul territorio coordinando e mettendo a fattor comune le risorse e i servizi a disposizione di ciascun membro; portare congiuntamente avanti richieste di finanziamento e campagne di raccolta fondi nei confronti di finanziatori. 86


Capitolo 5

5.3 Le reti territoriali per la sicurezza partecipata In questa sezione iniziamo a delimitare il campo specifico della riflessione, definendo con più precisione quello che sarà l’argomento centrale trattato nel corso del paragrafo. Una serie di elementi concorrono a definire il campo di indagine: −

il concetto di rete tra enti tra loro eterogenei per natura e funzioni (istituzioni locali e nazionali, terzo settore, privati) ma tutti a vario titolo interessati al tema della sicurezza; il tema della sicurezza. Si tratta di un argomento largamente approfondito in altri capitoli. Ci limitiamo qui a ribadire un aspetto importante: il fatto che nell’affrontare il tema della sicurezza si privilegeranno esempi concreti collegati alla dimensione della prevenzione piuttosto che della repressione; la dimensione territoriale o locale; ci riferiremo dunque ad un territorio limitato, che potrà sostanziarsi di volta in volta in un quartiere, in un comune più o meno grande, o al limite in una regione, senza mai assurgere ad una dimensione nazionale o internazionale; l’ultimo aspetto riguarda le pratiche di partecipazione, ovvero la promozione di un percorso all’interno del quale tutti gli attori del territorio abbiano la possibilità di mettere a disposizione le proprie risorse e di esprimere le loro opinioni sul tema della sicurezza. Data la trasversalità della questione sicurezza, i soggetti potenzialmente interessati a questo tema (e che andranno stimolati e guidati a dare il loro contributo) saranno numerosi e tra loro eterogenei.

5.4 Gli attori rilevanti delle reti locali per la sicurezza Abbiamo detto che gli attori che contribuiscono alla formazione ed allo sviluppo di una rete sono spesso identificati in letteratura come “nodi”, o più genericamente “aderenti”. 87


Costruire la sicurezza locale

Ma chi sono gli attori principali di una rete centrata sul tema della sicurezza di un territorio? Nel caso della sicurezza, rilevanza e trasversalità del tema fanno si che la mappa dei nodi della rete sia potenzialmente molto vasta ed eterogenea. Bisogna peraltro tenere presente l’esigenza di coinvolgere non solo soggetti che abbiano nel loro mandato specifico quello di occuparsi del tema della sicurezza, ma anche attori che operano in una serie di ambiti comunque strettamente collegati a tale tema: inclusione sociale, cultura, educazione e formazione, commercio, ambiente, viabilità, e così via. Lasciamo invece volutamente fuori da questo ragionamento le istituzioni di livello nazionale e sovranazionale – la cui importanza è indubbia nell’ambito delle politiche di sicurezza – in quanto il ragionamento di queste pagine è dedicato, come abbiamo già avuto modo di chiarire, alla dimensione della rete locale. A partire da quanto riporta la tabella che segue relativamente ai diversi nodi della rete, giova fare due precisazioni: -

-

La prima riguarda il fatto che non ha senso parlare al singolare di “rete” per la sicurezza locale. Piuttosto sarà opportuno parlare di un sistema di reti, o di “reti a geometria variabile”. In altre parole non tutti i soggetti sotto elencati saranno necessariamente parte di tutte le iniziative di rete: diversi network si comporranno e lavoreranno parallelamente a seconda delle esigenze. La partecipazione delle scuole potrebbe, ad esempio, non essere necessaria per un intervento di sensibilizzazione della popolazione anziana sui rischi di truffe e raggiri, ma sarà invece essenziale in un progetto per la prevenzione del bullismo. La seconda considerazione è che spesso non è richiesta solo una collaborazione verticale ma anche orizzontale tra i diversi nodi della rete: ad esempio potranno rivelarsi opportune sia interazioni sinergiche tra i diversi comuni di uno stesso 88


Capitolo 5

territorio che tra questi comuni e l’associazionismo o le imprese dell’area.

E’ il caso, infine, di tenere presente una sottolineatura che riguarda la metodologia del lavoro di rete. Così come poc’anzi abbiamo parlato di reti a geometria variabile, nella tabella che segue, quando descriviamo i vari attori lo facciamo con la consapevolezza che non siano gli unici attivabili ma tra i principali. E che oltre a poter variare, anche le funzioni e i ruoli, nel rispetto dei mandati specifici, possono cambiare o aggiornarsi. I soggetti principali ed il loro valore aggiunto

Nodi della rete

Regione ed enti locali

I Governi Locali hanno ovviamente un ruolo fondamentale nella promozione delle politiche di sicurezza partecipata. Regione, Province, Comuni, Comunità Montane ed Isolane – ciascuna nell’ambito delle proprie funzioni e secondo le competenze che la legge assegna loro – hanno infatti una responsabilità insostituibile a vari livelli: − nella programmazione e nel coordinamento delle politiche di sicurezza − nella promozione e nel coordinamento delle reti per la sicurezza locale partecipata − nella realizzazione diretta di progetti e iniziative per la sicurezza − nel finanziamento di progetti e iniziative per la sicurezza affidati anche ad altri soggetti

Forze dell’ordine

Valore aggiunto

Un fondamentale ruolo delle forze dell’ordine è ovviamente quello del contrasto alle organizzazioni criminali e più in generale alle manifestazioni di illegalità diffuse sul territorio. Andrebbe però valorizzato sempre più anche il ruolo positivo giocato dalle forze dell’ordine in interventi di assistenza al cittadino, sensibilizzazione, prevenzione, promozione della legalità.

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Costruire la sicurezza locale

Associazioni

Nodi della rete

Valore aggiunto L’associazionismo – nelle sue diverse forme – rappresenta un valore aggiunto non indifferente per le reti di sicurezza partecipata, dato che può farsi portatore di risorse importanti come: − una conoscenza capillare del territorio e delle sue problematiche − il reperimento di risorse aggiuntive come il volontariato − la capacità di innovare e sperimentare approcci nuovi − una competenza non indifferente su questioni specifiche legate alla sicurezza locale. Non parliamo qui solo delle associazioni che si sono specializzate sul tema della sicurezza e della legalità, o della lotta al racket e all’usura, ma anche di enti impegnati su tutta una serie di fronti che con la sicurezza sono strettamente intrecciati, come il sociale, l’ambiente, la scuola, la cultura, e così via.

Impresa sociale

Da non sottovalutare l’importanza – nelle reti locali – dell’associazionismo delle comunità straniere, che vive un periodo di notevole espansione. L’impegno di un numero sempre maggiore di stranieri in attività sociali, culturali, filantropiche, sta peraltro evidenziando come queste persone possano costituire una risorsa sociale, e sta mettendo alla prova gli stereotipi legati alla visione dell’immigrazione come mero “problema sociale”. Le imprese non profit svolgono ormai da decenni un ruolo importante nella realizzazione di progetti ed interventi con una ricaduta diretta sulle politiche di sicurezza locale. Si pensi al lavoro realizzato in convenzione con le istituzioni pubbliche nei servizi sociosanitari, ma anche nell’inserimento protetto al lavoro di persone ex tossicodipendenti ed ex detenuti. Analogamente a quanto detto per le associazioni, spesso il valore aggiunto della cooperazione sociale non sta poi solo nel “fare” ma anche nel sapere capire prima di altri soggetti le evoluzioni dei fenomeni sociali e nel riuscire a proporre approcci e soluzioni nuove a quei fenomeni. Da non sottovalutare poi il ruolo delle cooperative nel creare lavoro, compresa l’esperienza esemplare costituita da quelle cooperative nate grazie ai beni sottratti ai mafiosi e al lavoro di molti giovani onesti. 90


Capitolo 5

Nodi della rete

Valore aggiunto

Scuola ed altra agenzie educative

Imprese private e loro associazioni di categoria

Organizzazioni sindacali

Tra gli elementi che rendono cruciale il ruolo dei sindacati nel costruire reti locali che lavorino sul tema della sicurezza vanno senza dubbio citati: - la presenza del sindacato in gran parte dei luoghi di lavoro e tra tutte le principali categorie professionali - comprese le forze dell’ordine – e la conseguente capacità di raggiungere e sensibilizzare milioni di cittadini; - l’attenzione da sempre data dal sindacato a tematiche specifiche legate alla sicurezza, quali la lotta contro le mafie, la tutela di un welfare in grado di prevenire manifestazioni di disagio sociale, la dotazione di mezzi adeguati per i lavoratori del comparto della Giustizia e per le altre categorie di lavoratori che si occupano del tema della sicurezza. La parte sana delle imprese rappresenta spesso la vittima più visibile di una economia danneggiata da pratiche commerciali illegali e scorrette, quando non o strangolata dalla criminalità. Allo stesso tempo le imprese possono costituire anche una potente arma in grado di scardinare il sistema dell’illegalità e della connivenza con le organizzazioni criminali. Oltre al ruolo di denuncia e di rifiuto delle logiche che le organizzazioni criminali cercano di imporre ai privati, le aziende piccole e grandi hanno una responsabilità fondamentale come portatrici di uno sviluppo virtuoso in grado di portare lavoro e sottrarre a tali organizzazione manovalanza. Se si guarda al concetto di sicurezza non solo in una ottica di repressione del crimine ma soprattutto di prevenzione e crescita della consapevolezza dell’importanza della legalità, le scuole di ogni ordine e grado – ma anche gli enti di formazione rivolti a persone di tutte le età – rivestono una importanza fondamentale. Si tratta infatti di soggetti che possono avere un ruolo fondamentale nei percorsi di educazione civica, promozione della legalità, formazione di una consapevolezza dei cittadini rispetto all’importanza di comportamenti responsabili.

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Costruire la sicurezza locale

Cittadinanza

Nodi della rete

Valore aggiunto Inserire la cittadinanza tra gli attori delle politiche di sicurezza potrebbe sembrare retorico e privo di reale possibilità di impatto sulla realtà. Si ritiene tuttavia che i cittadini di un territorio non costituiscano solo i destinatari primari delle politiche di sicurezza, ma possano in certe condizioni giocare anche un ruolo attivo e propositivo nella definizione di tali politiche. Si tratta infatti dei soggetti che meglio di chiunque altro conoscono i problemi e le risorse di un territorio, e come tali si possono fare portatori di proposte attraverso le istanze che la democrazia offre, quali: petizioni, partecipazione a dibattiti ed assemblee, azioni popolari, libera associazione in comitati e gruppi anche informali, referendum consultivi. Ovviamente le istituzioni locali hanno una importanza fondamentale nel promuovere e stimolare tale partecipazione.

5.5 Il valore aggiunto delle reti: una riflessione basata sull’approccio del PCM Nell’analizzare senso e contenuti di una rete per la sicurezza locale partecipata, utilizzeremo un approccio di tipo teorico-pratico: più che dilungarci in considerazioni generali sull’importanza della collaborazione e della sinergie fra gli organismi del territorio a vario titolo interessati alla sicurezza – considerazioni che rischierebbero di risultare un po’ vaghe – applicheremo al tema, anche in questo caso, l’approccio del Project Cycle Management (PCM) o Ciclo del Progetto7, e lo correderemo di una serie di semplici esempi. L’utilizzo combinato del PCM, già trattato nelle sue declinazioni generali nel capitolo sulla progettazione partecipata, e di una casistica 7

Come testo di riferimento per approfondimenti, si veda European Commission, Project Cycle Management Manual, 2008. Il testo è scaricabile on line sul sito http://ec.europa.eu/europeaid/. Una versione in italiano è anche scaricabile dal sito www.formez.it.

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Capitolo 5

esemplificativa renderà evidente come un progetto realizzato da un ente locale per migliorare la sicurezza dei propri cittadini possa trarre un beneficio sostanziale dalla collaborazione sinergica con una serie di altri attori del territorio. Alla base della metodologia del Ciclo del progetto vi è il principio della valutabilità degli interventi, ovvero l’idea che sia necessario fissare dei parametri precisi che consentano sia a chi realizza un intervento – nel nostro caso un dato intervento per la promozione della sicurezza partecipata del territorio - sia a chi lo ha finanziato di: a) accertarsi che il singolo progetto sia inserito all’interno di una strategia e di una programmazione territoriale più complessiva; b) rendersi conto se l’intervento immaginato in fase di progettazione è stato realizzato nel miglior modo possibile; c) trarne in ogni caso conclusioni utili per agire in modo più efficace ed efficiente nei progetti futuri.

Di seguito elenchiamo le fasi di cui si compone un qualsiasi intervento di sicurezza secondo la metodologia del Ciclo del Progetto. Per aiutare la comprensione a ciascuna fase faremo corrispondere un esempio. Dopo avere spiegato brevemente cosa è il Project Cycle Management e quali sono le sue fasi di sviluppo, il successivo passaggio logico sarà quello di mostrare come una rete sia in grado di rendere più efficaci ed efficienti ciascuna delle fasi del ciclo. Lo schema che segue, pur riprendendo quanto detto nel capitolo precedente, lo rilegge alla luce di 6 fasi essenziali: programmazione, progettazione, finanziamenti e risorse, implementazione, valutazione, riprogettazione. 93


Costruire la sicurezza locale

Le fasi del ciclo del progetto

Valutazione

Implementaz.

Finanziam.

Progettazione

Programmazione

fase

di che si tratta

Esempio

È la fase di definizione degli obiettivi generali di un determinato ente con riferimento ad un determinato lasso di tempo

Ipotizziamo che l’organizzazione interessata sia il Comune di Torre del Greco (NA). La fase di programmazione potrebbe essere costituita dall’elaborazione del programma di governo messo a punto della giunta comunale all’inizio del mandato. Ovviamente il programma dedicherà la necessaria attenzione anche ai temi della sicurezza.

Ovviamente un programma si deve tradurre in interventi (o progetti) concreti. La progettazione è la fase di definizione di un singolo intervento.

Nel nostro esempio, il singolo intervento potrebbe essere costituito da una campagna di educazione alla legalità da realizzarsi nelle scuole superiori del Comune. Ovviamente tale progetto deve essere coerente con il programma di governo presentato in Consiglio Comunale.

Riguarda il reperimento delle risorse economiche necessarie a realizzare l’intervento.

I finanziamenti per la nostra campagna potrebbero essere individuati all’interno del bilancio comunale o tramite un bando del PON Sicurezza.

Si tratta della fase di realizzazione delle attività previste nel nostro intervento.

A questo punto potremo realizzare le attività di sensibilizzazione sulla legalità nelle scuole superiori del territorio.

Riguarda la verifica dei risultati raggiunti sia sotto il profilo delle attività effettivamente svolte, sia della gestione economica (rapporto tra costi e benefici).

A fine campagna verificheremo cosa gli studenti delle scuole hanno imparato e se le risorse economiche sono state spese in modo trasparente.

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Capitolo 5

Nuova fase di programmazione

fase

di che si tratta

Esempio

Il ciclo viene chiuso da una nuova fase di programmazione, che terrà conto dei risultati della valutazione per progettare in modo più efficace i futuri interventi.

Nel programma di governo della successiva giunta potremmo decidere di ripetere la campagna, dati i buoni risultati, questa volta allargandola anche alle scuole medie.

Partiamo da una provocazione: un Comune potrebbe essere del tutto in grado di portare avanti in autonomia il suo intervento di educazione alla legalità nelle scuole, facendo a meno della rete. Per dimostrare il contrario sarà allora necessario capire come concretamente la qualità e l’economicità della campagna potrebbe giovarsi, ad esempio, del contributo dell’Associazione Libera, di una associazione di commercianti anti-racket, degli insegnanti scolastici, del locale Commissariato di Polizia e del Gruppo dei Vigili Urbani. Nella tabella che segue proveremo ad analizzare quale sia il valore aggiunto della rete in ciascuno dei passaggi che compongono il ciclo del progetto. A fronte di un investimento iniziale che può sembrare dispersivo, sul medio-periodo assimilare e praticare una logica di network è fondamentale. Capiremo, allora, per rimanere all’esempio della tabella sulle fasi del ciclo di progetto, come la partecipazione di più soggetti potrà significare migliore programmazione delle politiche di sicurezza, più accurata progettazione della campagna nelle scuole, aumento delle probabilità di finanziamento del progetto, migliore gestione della campagna, più obiettiva ed approfondita valutazione partecipata.

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Costruire la sicurezza locale

I vantaggi della rete fase

possibili vantaggi della rete

Programmazione

La partecipazione dei soggetti territoriali rilevanti, potrà conferire maggiore accuratezza e completezza al lavoro di programmazione, favorendo: compiutezza della raccolta di dati, accurata analisi di buone pratiche già realizzate, confronto tra opinioni e punti di vista differenti, eccetera.

Progettazione

Passando dal piano della programmazione generale alla definizione di un singolo intervento, si potranno individuare e coinvolgere nella progettazione alcuni soggetti territoriali che siano strategici sia per permettere una più accurata ed approfondita definizione dell’idea progettuale che – nel caso di esito positivo dell’istruttoria - per la sua traduzione in pratica. In altre parole avremo creato una piccola rete (o avremo impegnato in un lavoro di progettazione una rete esistente e già attiva).

Finanziamento

Bisogna tenere presente che sempre più spesso bandi pubblici e linee finanziamento privilegiano i progetti presentati non da un singolo ente, ma da cordate rappresentative di una molteplicità di soggetti diversi. Per questo le reti sono a volte non solo auspicabili, ma addirittura imprescindibili se si vuole accedere a delle risorse per realizzare un intervento.

Implementazione

Mettere in rete più soggetti significa anche avere a disposizione competenze ampie e diversificate per la realizzazione di un intervento. Ciascun partner della rete potrà occuparsi dell’aspetto che conosce meglio o, ad esempio, mettere a disposizione sedi logistiche ed attrezzature, con un miglioramento netto dell’efficacia ed economicità del lavoro.

Valutazione

Analogamente a quanto si è detto per la programmazione, la partecipazione al ciclo di più soggetti – spesso portatori di competenze e punti di vista diversificati – favorirà anche l’obiettività, la completezza e l’accuratezza del lavoro di valutazione.

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Capitolo 5

5.6 Conclusioni e indicazioni operative Alla luce delle considerazioni sin qui fatte, proviamo in questo paragrafo di chiusura a tirare le conclusioni ed a fornire alcune indicazioni operative su quale possa essere il ruolo delle istituzioni locali nella promozione delle reti sul tema della sicurezza partecipata. È corretto premettere che non si tratterà di tracciare regole universalmente valide: questo sarebbe d’altronde impossibile dato che le variabili in campo sono, come abbiamo visto, numerosissime. Si tratterà, più modestamente, di fornire alcuni suggerimenti derivanti dall’analisi di buone prassi già sperimentate, evidenziando a volte le diverse opzioni percorribili. Il ruolo fondamentale delle istituzioni locali - La prima rilevante indicazione, riguarda il fatto che le istituzioni locali dovrebbero assumere un ruolo importante nella promozione e nella implementazione delle reti territoriali per la sicurezza partecipata, ovviamente nel territorio di competenza delle istituzioni stesse. Esperienze realizzate in territori e situazioni anche diversi tra loro, mostrano infatti che questo ruolo dell’attore pubblico si è rivelato prezioso in varie fasi della vita di una rete: nel momento della nascita della rete il patrocinio dell’istituzione pubblica può rivelarsi un facilitatore per l’adesione dei soggetti rilevanti del territorio; nella fase della strutturazione della rete l’istituzione può contribuire a farsi promotrice e garante di regole di funzionamento e gestione del network; nella fase “matura” della rete, infine, lo stimolo continuo dell’istituzione locale potrà contribuire a tenere vivi i meccanismi di partecipazione e condivisione interni. In altre parole, è molto importante che il soggetto pubblico locale – che sarà di volta in volta il Comune, la Municipalità, l’Assessorato, e così via – si faccia promotore della rete, per rimanere poi garante del suo funzionamento. 97


Costruire la sicurezza locale

L’importanza della democrazia interna - L’impegno dei membri di una rete locale è spesso volontario e comunque strettamente legato ad elementi emotivo-relazionali: si aderisce alla rete perché fortemente motivati e ci si assume determinati oneri spinti dal desiderio di condividere un percorso e di confrontarsi su obiettivi comuni. In assenza di un buon livello di democrazia interna e della possibilità di incidere nelle discussioni e decisioni della rete, questa motivazione potrebbe venire meno, e con essa potrebbe affievolirsi o cessare la partecipazione stessa dei membri. Si noti che questa osservazione fa almeno in parte da contraltare a quanto detto al punto precedente rispetto al ruolo dell’istituzione pubblica locale. Se è essenziale che quest’ultima si faccia promotrice e regolatrice della rete, è anche vero che sta all’intelligenza dei referenti istituzionali evitare un ruolo eccessivamente egemonizzatore ed accentratore, per esercitare un ruolo da garanti affinché nessun altro nodo del network prenda il sopravvento sugli altri. Scelta del livello di formalizzazione e strutturazione - Abbiamo visto come le reti possano assumere caratteristiche tra loro molto diverse: potranno decidere di avere una natura completamente informale o caratterizzata da forma giuridica autonoma, di darsi un apparato organizzativo leggero e flessibile o dotarsi di una struttura articolata. Abbiamo anche visto che tutte queste ipotesi hanno dei pro e dei contro: ad esempio, costituirsi come associazione di secondo livello ha dei costi, e potrebbe anche essere un passo non condiviso (soprattutto nella prima fase) da tutti i membri che invece parteciperebbero a un percorso informale. D’altra parte anche non darsi come rete una forma legale e regole precise potrebbe risultare, sul lungo periodo, negativo sotto altri punti di vista: possibile deresponsabilizzazione dei membri, carenze organizzative, impossibilità di accedere a finanziamenti e

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Capitolo 5

bandi, insufficiente capacità di comunicazione interna e verso l’esterno, ecc. La soluzione potrebbe essere quella di conferire alla costituenda rete un livello di formalità e strutturazione inizialmente medio-basso. In questa ipotesi, le procedure adottate per la nascita del network saranno quindi agili, ma non completamente assenti: si potrebbe ad esempio convocare – con un atto dell’istituzione locale promotrice un Tavolo di coprogettazione, o una Consulta; contemporaneamente si potrebbe richiedere una adesione esplicita ai membri, anche con una semplice lettera o con la firma di un protocollo di collaborazione. Nel tempo sarà poi il livello di maturazione e di condivisione interno alla rete a permettere un percorso di ulteriore formalizzazione e di graduale conversione in un soggetto più strutturato. Soggetti da coinvolgere - Un’altra decisione delicata riguarda l’ampiezza della rete, e dunque la scelta dei soggetti da coinvolgere e stimolare a partecipare al confronto. Abbiamo visto come il tema della sicurezza si caratterizzi per la sua trasversalità. Questo comporta che saranno decine, o persino centinaia i soggetti locali che hanno fra i loro ambiti di interesse la tematica della sicurezza o comunque ambiti ad essa collegati. Il problema che si pone a questo punto è quello di trovare il giusto equilibrio tra l’assicurarsi che la rete sia sufficientemente ampia e comprensiva da contenere i soggetti più interessati e competenti sul tema, e il fare in modo che l’eccessivo allargamento dei soggetti coinvolti non pregiudichi agilità ed efficienza del confronto. La soluzione potrebbe passare attraverso la strutturazione di una rete ampia ma dotata al suo interno di articolazioni tematiche. Si tratterebbe quindi di una serie di commissioni o gruppi di lavoro ciascuno specializzato su determinati aspetti dell’articolato tema della sicurezza: a titolo esemplificativo, potremmo creare una “sotto-rete” sul tema dei rapporti tra sicurezza ed educazione, intesa sia come 99


Costruire la sicurezza locale

istruzione scolastica che come educazione degli adulti; un’altra “sottorete” che si occupi di integrazione multiculturale e mediazione dei conflitti, e così via.. Ovviamente andrebbero previsti anche momenti di programmazione e valutazione comuni per tutti i soggetti aderenti alla rete, favorendo l’interconnessione tra le iniziative seguite dai singoli gruppi di lavoro ed evitando che questi lavorino in modo isolato e non coordinato. Le risorse a disposizione - In conclusione, affrontiamo brevemente il tema delle risorse: con quali finanziamenti alimentare la rete e soprattutto le iniziative e i progetti ad essa collegati? Anche in tale caso la nostra proposta sarà pragmatica e legata ad un approccio per gradi. Bisogna premettere che la creazione di una rete non necessita, in se, di grandi risorse economiche. Sarà sufficiente individuare una sede per le riunioni, costituire una mailing list, dotarsi di semplici strumenti di comunicazione e scambio di informazioni e mettere lucidamente a disposizione tempo, competenze, professionalità. Ovviamente nello sviluppo del percorso di rete, con il rafforzarsi dello spirito di collaborazione e con l’elaborazione di programmi e proposte di intervento precisi, si porrà il problema di un accesso a risorse maggiori. Da questo punto di vista, come abbiamo già avuto modo di accennare, esistono una serie di bandi ed avvisi pubblici che privilegiano il finanziamento di progetti presentati non da un singolo ente ma da reti ampie di proponenti. La rete potrà dunque avere un punto di forza nel reperimento di risorse dedicate a progetti per la sicurezza locale. Il prossimo capitolo sarà dedicato in modo specifico, sia pure se introduttivo, proprio a quest’ultimo tema.

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Capitolo 6

6. Le principali risorse pubbliche utilizzabili di Antonio d’Alessandro

6.1 Premessa Abbiamo accennato più volte, nei capitoli precedenti, ai limiti che presenta un’operazione di esplicitazione e descrizione delle risorse economico-progettuali messe a disposizione da committenti pubblici. Li ribadiamo volutamente, perché possano accompagnarci come premessa fondante nell’ultimo capitolo che andiamo a presentare: a. Diverse tipologie di risorse – Nell’ affrontare il tema, non si può ragionare esclusivamente in termini di risorse economiche dedicate e ottenibili attraverso l’attivazione di una serie di iter di carattere amministrativo e procedurale (siano essi collegati a bandi e avvisi pubblici, siano specifici e ad accesso diretto per enti locali). Le risorse che entrano in gioco in un progetto o un piano sulla sicurezza locale sono molteplici (facile a dirsi, meno facile a tenerlo davvero presente): nel nostro approccio articolato e complesso parte di esse le abbiamo descritte parlando, ad esempio, di reti e attori locali. Ma, più in generale, le risorse sono di quattro tipi: risorse strutturali e strumentali (attrezzature, sedi logistiche, materiale d’ufficio, etc.), risorse professionali e conoscitive (saperi, specializzazioni, competenze formali e informali, etc.), risorse economico-finanziarie (dirette e derivanti dall’interazione con committenti pubblici e privati), risorse organizzative di sistema (istituzioni, associazionismo, gruppi informali, imprese, scuole, etc.). Un ragionamento sulla sostenibilità, collegato al 101


Costruire la sicurezza locale

discorso sulle risorse deve prevedere un’analisi completa delle quattro tipologie di risorse attivabili immediatamente, sul medio, e sul lungo periodo. b. Project financing e fund raising – Se attiviamo programmi e piani complessi di intervento collegati a politiche pubbliche locali, dobbiamo aspettarci che tale complessità si esprima anche sul piano delle risorse economiche utilizzabili (soffermiamoci per un attimo esclusivamente su tale tipologia di risorse). Non si può, infatti, pensare - se non in maniera organica e alla luce di un piano strategico ben congegnato – che il canale di finanziamento sia esclusivo, definito una volta per tutte, ed esaustivo. Non lo si può fare perché non esiste nessun canale unico sufficiente a implementare una strategia di lungo termine sulla sicurezza, ma non lo si può fare anche perché le opportunità e le modalità di accesso a finanziamenti specifici cambiano nel tempo, si aggiornano e ridefiniscono. E, soprattutto, non si può pensare ad un canale unico e circoscritto perché - al di là di finanziamenti specifici collegati ad attività di sicurezza locale ben definite - la sicurezza è il prodotto dell’interazione tra più politiche pubbliche (che concorrono a definire livelli di qualità della vita individuali e collettivi) e tra esse e le sviluppo reale di spazi partecipativi, negoziali e di coinvolgimento attivo della cittadinanza. Pertanto, sono molteplici anche gli stessi canali di finanziamento attivabili (Fondi strutturali, risorse collegate alla tassazione locale, risorse collegate a servizi sociali e sanitari, all’ambiente, allo sviluppo di impresa, alla scuola, etc.).

Per tornare ad un esempio concreto, nelle pagine che seguono non abbiamo trattato il PON per lo Sviluppo locale del Ministero dell’economia per problemi di spazio. Esso permette di lavorare allo sviluppo del tessuto produttivo di un territorio, come a progetti specifici di security management per le imprese. A partire da quanto abbiamo detto nei capitoli precedenti, quindi, è strategico per promuovere anche progetti di sicurezza locale. Ma non è possibile in una sede come questa (anche perché il testo non è pensato come un manuale specialistico sui finanziamenti diretti ed indiretti utilizzabili

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Capitolo 6

per implementare sull’argomento.

sicurezza

territoriale)

essere

esaurienti

Un consiglio preliminare? Il lettore approcci ai paragrafi successivi traendo spunti reali per pensare a progetti finanziabili. Non si concentri, però, unicamente sulle risorse economiche, e pensi che, all’interno della propria struttura (istituzionale o extraistituzionale che sia), deve con coscienza e rigore sviluppare un metodo di lavoro che permetta di essere aggiornati sulla questione,

di riconoscere le opportunità, di costruire un database aggiornabile dei siti da cui scaricare bandi e avvisi o attraverso cui monitorare le procedure di accesso diretto a finanziamenti interessanti: è importante, insomma, comprendere i processi di monitoraggio, di approccio e di utilizzo dei finanziamenti, non le singole opportunità (o, peggio, le scadenze dei bandi che ci si presentano accidentalmente davanti) in sé.

6.2 Il PON Sicurezza 2007-2013 In questa parte della pubblicazione saranno riportate alcune indicazioni rivolte a quanti quotidianamente si confrontano con le problematiche della sicurezza non dal punto di vista del controllo del territorio ma partendo dalle esigenze che i cittadini esprimono e rappresentano. Il confronto quotidiano su tali tematiche è la base per la costruzione di ogni politica pubblica che miri a ridurre l’insicurezza dei cittadini, reale o soltanto percepita. Gli Amministratori locali rappresentano un fondamentale punto di snodo fra i bisogni territoriali e gli interventi programmati a livello centrale. Ecco perché il ragionamento che faremo è tarato su di essi (ma un attore extraistituzionale interessato, piuttosto che un’impresa locale o una 103


Costruire la sicurezza locale

rete di realtà di cittadini organizzati può fare tesoro dei contenuti trattati nelle pagine successive, sia per attivare direttamente delle progettualità sulla sicurezza, sia per “spronare” l’ente locale a farlo insieme). Per questo motivo, fin dall’inizio il Programma Operativo Nazionale “Sicurezza per lo Sviluppo del Mezzogiorno d’Italia” (PON) ha avviato sperimentazioni territoriali e strette interrelazioni con gli Enti locali, direttamente ed attraverso le Prefetture – UTG, che hanno portato a risultati concreti che stanno permettendo a tutti gli Amministratori locali delle regione del cosiddetto Obiettivo Convergenza8 di comprendere le potenzialità offerte dal Programma e come sia possibile utilizzarle per rafforzare le iniziative territoriali volte a migliorare la sicurezza dei cittadini. In questa parte affronteremo, quindi, il tema delle risorse e poi, nella parte seconda, si approfondiranno le linee di sviluppo che a livello locale possono avere le politiche per la sicurezza in sintonia con le linee programmatiche e le risorse messe a disposizione dal PON.

6.3 Le caratteristiche degli APQ Al fine di permettere l’utilizzazione delle risorse del PON da parte degli Enti locali si devono elaborare e sottoscrivere degli appositi Accordi di Programma Quadro (APQ), uno per ciascuna delle attuali regioni Obiettivo Convergenza, in attuazione delle Intese 8

Attualmente in Italia l’Obiettivo Convergenza comprende le seguenti regioni: Calabria, Campania, Puglia e Sicilia; l’UE rivede periodicamente i territori da inserire in questo elenco che sono destinatari degli aiuti più cospicui per lo sviluppo economico e sociale.

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Capitolo 6

Istituzionali di Programma9 preliminarmente sottoscritte con le Amministrazioni regionali. Tali Accordi sono un vero e proprio strumento di concertazione fra lo Stato e le Regioni e definiscono la cornice istituzionale ed operativa in cui si potranno sviluppare le iniziative concordate sui diversi territori. In sostanza, nell’ambito del Programma, tali Accordi riguardano l’individuazione di obiettivi, settori e aree dove, attraverso iniziative che puntano a migliorare le condizioni di sicurezza e di legalità ,sia possibile anche favorire lo sviluppo economico e sociale del territorio. Quindi, gli APQ definiscono: • • • • • •

gli interventi da realizzare, specificandone i tempi e le modalità di attuazione; i soggetti responsabili dei singoli interventi; la copertura finanziaria degli interventi, distinguendo tra le diverse forme e fonti di finanziamento; le procedure ed i soggetti responsabili per il monitoraggio e la verifica dei risultati; gli impegni di ciascun soggetto firmatario e gli eventuali poteri sostitutivi in caso di inerzie, ritardi o inadempienze; i procedimenti di conciliazione o definizione dei conflitti tra i soggetti partecipanti all’Accordo.

Gli Accordi in tema di sicurezza e legalità sono il frutto di una collaborazione interistituzionale tra il Ministero dell’Interno Dipartimento della Pubblica Sicurezza, il Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento delle Politiche di Sviluppo e Coesione e le singole Regioni, come si evince dalla seguente figura: 9

Le Intese sono strumenti di programmazione che consentono a ogni Regione di concordare con il governo centrale gli obiettivi, i settori e le aree dove effettuare gli interventi infrastrutturali di interesse comune per lo sviluppo del territorio regionale.

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Costruire la sicurezza locale STATO

REGIONI

Ministero degli interni PON sicurezza

Basilicata Calabria Campania

Ministero dell’Economia Dipartimento di sviluppo e coesione

Puglia Sardegna Sicilia

ACCORDO DI PROGRAMMA QUADRO

PROGETTI PILOTA

INIZIATIVE LOCALI

SUPPORTI TECNOLOGICI

Ogni istituzione contribuisce alla realizzazione dell’APQ in termini di contenuti e di risorse finanziarie, proponendo i settori dove agire, inserendo specifici progetti e indicando i fondi messi a disposizione a tali scopi. Gli interventi contenuti negli APQ sono, infatti, attuati con i finanziamenti che provengono: dal PON, per quanto riguarda il Ministero dell’Interno; da Delibere CIPE per il Ministero dell’Economia e delle Finanze; dai POR, Programmi Operativi Regionali e da alcune leggi regionali. Attualmente gli Accordi sono in via di definizione e non bisogna sottovalutarne l’utilizzo nell’attuale settennato. Nello scorso periodo di programmazione 2000 – 2006 comprendevano interventi per oltre 480 milioni di euro, come si evince dalla seguente tabella: 106


Capitolo 6

Regioni e risorse APQ 2000 – 2006 Regione

Importo (in Euro)

Basilicata Calabria Campania Puglia Sardegna Sicilia

71.369.546 38.715.527 71.332.964 86.438.638 75.821.435 138.161.586

Perciò, è necessario che ogni singolo Amministratore e funzionario degli Enti locali segua l’evoluzione che avrà questa fase di nuova programmazione (a proposito di quanto dicevamo nella parte terminale della Premessa, sul metodo), perché è possibile che le risorse impegnate dall’Unione Europea, dallo Stato attraverso il Ministero degli Interni e dalle singole Regioni rendano concrete tutte quelle iniziative di difesa della legalità e promozione della sicurezza che non è possibile attuare con le risorse dei bilanci comunali. Per favorire questo tipo di informazione e per aiutare a far emergere le sinergie fra le scelte in tema di sicurezza degli Amministratori locali con le risorse offerte dal PON, si è deciso di elaborare questo rapido manuale che affronta tutti i nodi principali di una reale ricaduta territoriale della programmazione pluriennale del PON.

6.3.1 Dagli APQ ai Progetti Pilota Uno dei risultati concreti derivanti direttamente dagli Accordi sono i cosiddetti Progetti Pilota, una serie di azioni coordinate gestite, in genere, da un Consorzio di Comuni di cui il capofila è quello in cui si sviluppano maggiormente le iniziative. In sostanza, si tratta di sviluppare un’idea progettuale sui temi della legalità, della sicurezza e dello sviluppo economico locale, partendo dai bisogni territoriali, condivisi da un gruppo di 107


Costruire la sicurezza locale

amministrazioni o da un consistente territorio, o ancora dalla presenza di alcune opportunità, come i beni confiscati alla criminalità organizzata. L’idea viene discussa e condivisa con la Prefettura – UTG e in questa discussione viene coinvolta la Regione per verificarne la congruità con l’Accordo di Programma Quadro esistente e la disponibilità finanziaria. In caso di un riscontro positivo verrà contattata la Segreteria Tecnica del PON perché si istruisca l’idea progettuale e diventi un vero e proprio progetto di intervento seguendo delle apposite Linee Guida. Il progetto così elaborato dovrà essere vagliato da un’apposita Commissione istituita presso il responsabile di Misura10 che procederà all’eventuale approvazione. 10

Il PON Sicurezza per lo Sviluppo del Mezzogiorno traduce la strategia globale in tre Assi di intervento: • • •

Sicurezza per la libertà economica e d’impresa. Diffusione della legalità. Assistenza Tecnica (comprendente le attività di supporto, consulenza ed assistenza per l’attuazione del programma).

Il primo Asse è articolato nei seguenti Obiettivi operativi:l • 1.1 “Rendere il territorio meno aggredibile da fattispecie criminose” • 1.2 “Garantire il libero e sicuro delle vie di comunicazione” • l’1.3 “Tutelare il contesto ambientale”, • 1.4 “Contrastare ogni forma di aggressione diretta del libero mercato e della legale attività produttiva” • ‘1.5 “Realizzare una formazione integrata tra operatori della sicurezza a tutti i livelli”. Il secondo Asse ha i seguenti Obiettivi operativi: • • • • •

2.1 “Realizzare iniziative in materia di impatto migratorio” 2.2 “Tutela del lavoro regolare” 2.3 “Garantire maggiore trasparenza negli appalti pubblici” 2.4 “Contrastare il racket delle estorsioni e dell’usura 2.5 “Migliorare la gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata”

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Capitolo 6

Una volta approvato, la Segreteria Tecnica provvederà alla realizzazione di uno studio di fattibilità del progetto sulla base del quale si procederà all’estensione di un’apposita convenzione fra il PON ed il Consorzio dei Comuni che gestiranno le azioni. A questo punto, potranno essere avviate tutte quelle attività preparatorie all’implementazione progettuale, quali la redazione di un piano particolareggiato operativo, le eventuali convenzioni con realtà istituzionali territoriali (Università, Comunità Montana, ecc.) o extraterritoriali (CNR, ISTAT, ecc.). Si appronteranno e

diffonderanno i bandi pubblici relativi alla realizzazione del progetto che potrà prevedere più attività e diverse iniziative dislocate sul territorio dei Comuni Consorziati. IDEA PROGETTUALE E CONDIVISIONE CON ALTRI COMUNI

CONFRONTO CON LA PREFETTURA E LA REGIONE

VERIFICA CON LA SEGRETERIA TECNICA PON

STUDIO DI FATTIBILITÁ’

FIRMA DELLA CONVENZIONE E AVVIO DELLE ATTIVITÁ

• •

2.6 “Contenere gli effetti delle manifestazioni di devianza” 2.7 “Potenziare la dotazione tecnologica della PA ai fini di migliorare l’efficienza e la trasparenza dei processi gestionali • 2.8 “Diffondere la cultura della legalità” • 2.9 “Realizzare tra gli operatori di sicurezza a tutti i livelli una formazione integrata”. Come già detto l’Asse III è relativo all’Assistenza tecnica del PON, anche se ha due Obiettivi operativi interessanti, uno sulla Comunicazione del Programma ed il secondo riguarda la Valutazione delle attività svolte.

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Costruire la sicurezza locale

Alcune volte l’iter di proposta dei Progetti Pilota può anche essere diversificato in base a specifiche esigenze11 ed opportunità, come la presenza sul territorio di beni confiscati alla criminalità organizzata, ma in genere la sequenza logica è quella appena illustrata. Un’ultima annotazione riguarda le tipologie delle iniziative finanziabili; come già detto, un primo punto di riferimento importante è l’APQ che già prevede, sulla base degli obiettivi prefissati, attività e progetti da avviare. Subito dopo è bene verificare con la Prefettura – UTG se l’idea sia fattibile sul territorio in questione e, soprattutto, se non ci siano altre iniziative dello stesso tipo che magari sono in una fase di avanzamento migliore. Infine, è bene coinvolgere al più presto gli Amministratori locali più vicini per attivare una fase di reale progettazione partecipata che possa raccogliere le esigenze ed i bisogni di un territorio più vasto di quello del Comune proponente e/o capofila.

6.4 Dal PON ai Programmi Operativi Regionali Le tematiche della sicurezza locale non solo sono al centro della programmazione 2007 – 2013 del PON Sicurezza, come abbiamo già detto in precedenza, ma recentemente l’Unione Europea (UE) ha stabilito che questo tema debba essere presente trasversalmente nei

11

Uno dei Progetti Pilota finanziati dal PON 2000 – 2006 in Sardegna è stato quello denominato “Legalità per Lula”, un comune della Barbagia in cui dagli inizi degli anni ‘80 non veniva eletto il Sindaco a causa delle minacce che i diversi candidati subivano; grazie alla mobilitazione di una parte dei cittadini e al sostegno della Prefettura, a metà degli anni ‘90 si è riusciti a rieleggere un nuovo Sindaco e subito dopo si è attivato il Progetto Pilota che ha sostenuto lo sviluppo di Lula e del territorio circostante.

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Capitolo 6

progetti di sviluppo in quanto condizione fondante per lo sviluppo delle aree territoriali.12 Quindi, anche in altri programmi cofinanziati dall’UE la sicurezza avrà un ruolo importante e spesso decisivo per l’assegnazione delle risorse rispetto alla ristrutturazione urbana,oppure alle azioni territoriali di sviluppo finanziate attraverso i Programma Operativi Regionali (POR) ed i Programmi Integrati Territoriali (PIT). Per gli Amministratori locali spesso le risorse di questi programmi sono le uniche che consentono di promuovere lo sviluppo locale dal punto di vista economico e sociale, a causa delle ricorrenti riduzioni dei finanziamenti da parte dello Stato; quindi, ci sembra utile soffermarci su come la tematica della sicurezza si integri soprattutto con i POR già approvati e con quelli che sono in via di programmazione, anche perché, a differenza delle risorse del PON Sicurezza, in alcune regioni ci sono ancora somme disponibili per sostenere specifici programmi di intervento, come si può desumere da un’analisi mirata dei POR delle diverse regioni.

6.5 Sicurezza e finanziamenti regionali dell’UE Il13 Quadro Comunitario di Sostegno (QCS) Obiettivo 1 2000/2006 assegna alla sicurezza un ruolo di primaria importanza e ne sottolinea il carattere di trasversalità rispetto ai Programmi Operativi 12

Nel Terzo Rapporto sulle Politiche di Coesione della Commissione Europea viene espressamente citata la sicurezza per lo sviluppo come un elemento centrale, così come nella prima versione degli orientamenti strategici per la programmazione 2007 – 2013 in tema di interventi nelle aree urbane viene citata la sicurezza come un elemento essenziale per la coesione sociale e quindi per lo sviluppo economico. 13 Il presente paragrafo è tratto dal documento “Ricognizione degli interventi previsti dai Programmi Operativi Regionali Obiettivo 1 nel settore della Sicurezza e della Legalità”, realizzato per conto della Segreteria tecnica del PON Sicurezza, dalla Società Ernst&Young.

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Costruire la sicurezza locale

delle Regioni del Mezzogiorno d’Italia, ribadendo come la sua finalità primaria sia quella di contribuire a determinare migliori condizioni generali di contesto e di accompagnare trasversalmente i diversi processi di sviluppo. In seguito alla Revisione di metà periodo, in particolare, il QCS ha ridefinito – nel modo seguente – le linee di indirizzo in materia di Sicurezza: o saranno privilegiate, all’interno dei Programmi Operativi Regionali gli interventi di impostazione integrata, che inseriscono gli obiettivi della sicurezza in un più ampio ventaglio di recupero delle aree di disagio sociale e di sviluppo produttivo; o per la responsabilità nazionale del fattore sicurezza, e per le esigenze di omogeneità e contestualità dell’intervento è previsto un Programma Operativo Nazionale “Sicurezza per lo Sviluppo” che, a partire dall’esperienza del periodo 1994-1999, faccia leva sulle componenti più tecnologiche e organizzative dell’intervento; o il ruolo e la funzione dell’esperto trasversale in sicurezza, originariamente previsto in alcuni POR, possono essere assorbiti, ove la Regione lo ritenesse opportuno, dall’incaricato del coordinamento e del raccordo con il Prefetto coordinatore e con l’Autorità di Gestione del PON Sicurezza, istituito nell’ambito degli Accordi di Programma Quadro.” (Cfr. QCS Ob. 1 2000/2006, pag. 227)

Come emerge dalle integrazioni rispetto alla versione originaria (in corsivo), il QCS pone pertanto una grande attenzione su due elementi: •

integrazione degli interventi;

• coordinamento con il Ministero dell’Interno, attraverso la figura del Prefetto Coordinatore e dell’Autorità di Gestione del PON Sicurezza.

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Capitolo 6

Infine, come ulteriore elemento da tenere in considerazione per l’integrazione tra le politiche (nazionale e regionale) in materia di sicurezza, nel rispetto delle reciproche competenze, non deve essere tralasciata la riforma del Titolo V della Costituzione, che, disponendo in materia di “legislazione concorrente”, attribuisce alle Regioni una legislazione “esclusiva” sulla polizia amministrativa e locale14. Perciò, la programmazione degli interventi previsti dai POR e dal PIT che parte dal 2007 vede il tema della sicurezza come protagonista. Pertanto, sin da subito, è possibile individuare occasioni di sostegno a progetti territoriali relativi alla sicurezza proposti da Enti locali. Infatti, la trasversalità della tematica della sicurezza di cui parla il QCS Ob.1 ha trovato, a livello di attuazione dei POR, ma non dei PIT, due possibili modalità di realizzazione che corrispondono a due differenti tipologie di approccio, che possiamo definire: • •

diretto: le AdG (Autorità di Gestione) prevedono una misura del CdP (Complemento di Programmazione) “dedicata” alle tematiche della sicurezza e della legalità; indiretto: gli obiettivi di sicurezza e legalità vengono perseguiti attraverso misure che operano in settori sensibili e che promuovono iniziative in grado di influire sul miglioramento del contesto sociale in termini di diffusione della legalità.

I due approcci possono coesistere e, dove ciò avviene, l’effetto dell’attuazione congiunta delle misure dedicate e di quelle che perseguono indirettamente gli stessi obiettivi sembra sicuramente in grado di produrre un impatto significativo e integrato.

14

Si aggiunga a quanto detto, specie rispetto al ruolo degli Enti locali, Il Decreto Maroni dell’estate del 2008, che da indicazioni su come anche i sindaci e i comuni entrino in gioco nel regolamentare gli interventi di sicurezza, specie a livello dissuasivo e di controllo.

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Costruire la sicurezza locale

Nella Regione Campania, per fare un esempio concreto, si è passati dal primo approccio al secondo; infatti, nel POR 2000 – 2006 era stato inserita la misura 3.23 “Promozione di un sistema integrato di sicurezza urbana e ripristino della legalità” (FSE), con una dotazione finanziaria pari a € 5.714.285 (pari allo 0,07% del costo totale del POR). Attualmente, invece, non c’è più una singola misura ad hoc ma si possono rilevare nei due strumenti di programmazione 2007 – 2013 alcune iniziative che possono essere utilizzate per la pianificazione territoriale della sicurezza urbana. In particolare, il nuovo PO FESR prevede l’Obiettivo specifico 6.a “Rigenerazione urbana e qualità della vita” con una dotazione di ben 1.505 milioni di euro seguito dall’Obiettivo operativo 4.7 “Sicurezza stradale” che ha una dotazione di 80 milioni di euro. Altresì, il PO FSE ha lo specifico Asse III “Inclusione Sociale” con una dotazione di 170 milioni.

6.5.1 Le risorse da integrare La rilevazione del rapporto di integrazione/sinergia programmatica tra le diverse Misure dei PO Regionali ed il PON consente di rilevare una concentrazione e focalizzazione attorno ad alcune Misure del PON che dimostrano maggiore attitudine a produrre effetti sensibili sul territorio e che sembrano maggiormente percepibili dalle realtà locali. In particolare, dall’analisi dei documenti di programmazione regionale, si rileva una forte concentrazione delle tematiche attorno a linee di intervento che sono in sinergia con quanto il PON realizza con gli Obiettivi operativi 2.1, 2.6 e 2.8 che riguardano come area tematica generale la diffusione della legalità in varie azioni (formative, di prevenzione della dispersione scolastica, di lotta alla tratta delle donne e dei minori, ecc.). 114


Capitolo 6

Da un lato il dato non sorprende in quanto corrisponde alla particolare caratteristica degli interventi attuativi del PON, particolarmente idonei a produrre effetti con dirette ricadute a livello territoriale; dall’altro, tuttavia, non si può non far notare che si tratta di settori di intervento in cui le Regioni hanno facoltà di programmare iniziative. Perciò, ogni Amministratore locale deve tener conto delle possibili integrazioni fra queste diverse fonti di finanziamento ed anche delle opportunità offerte dai PIT; anche se quest’ultimi, a differenza dei POR, non hanno misure specifiche sulla sicurezza. In definitiva, ogni Amministratore locale dovrebbe avere presenti, durante la programmazione delle politiche territoriali di sicurezza, le diverse fonti di finanziamento disponibili partendo dal PON e dalle possibilità offerte dai POR e, in parte minore, dai PIT, non dimenticando altre risorse (come quelle descritte nella parte successiva al capitolo). Si tratta, quindi, di miscelare le diverse risorse, evitando sovrapposizioni che possono portare addirittura alla perdita dei finanziamenti eventualmente ottenuti. A questo proposito, un’ipotesi di lavoro da tenere in considerazione è quella di una Pianificazione generale distrettuale (o intercomunale), che preveda azioni interconnesse finanziate da fonti diverse in base al quadro generale di riferimento; in sostanza, un vero e proprio mosaico formato da tasselli di diverso tipo e colore che contribuiscono ciascuno a disegnare una politica locale di sicurezza.

6.6 Risorse specifiche attivate ad hoc È possibile costruire un percorso legislativo regionale che faciliti o potenzi l’ utilizzo di un insieme di risorse. La Regione Campania, per 115


Costruire la sicurezza locale

rimanere all’esempio di prima, è giunta alla quinta gestione finanziaria della Legge Regionale 13 giugno 2003 n. 12 “Norme in materia di polizia amministrativa regionale e locale e politiche di sicurezza” che promuove progetti locali (per comuni e province) nell’ambito specifico della sicurezza urbana. Un provvedimento del 2004 (Legge N. 11 del 9 Dicembre 2004 (“Misure di solidarietà in favore delle vittime della criminalità”) ha attivato un programma di interventi per le vittime delle varie forme di criminalità nel territorio, con esplicito riferimento all’associazionismo antiestorsione e antiusura. Decine di immobili, infrastrutture di servizio, stabilimenti produttivi sono stati acquisiti al patrimonio pubblico, a seguito dell’esito di processi penali a carico della proprietà risultata di tipo criminale, configurata nell’art. 416 bis del codice penale. La Regione Campania ha provveduto al sostegno delle amministrazioni locali nel cui territorio sono ubicate proprietà di origine illegale, con la Legge Regionale n. 23 del 12 dicembre 2003, “Interventi a favore dei comuni ai quali sono stati trasferiti i beni confiscati alla delinquenza organizzata, ai sensi della legge 7 marzo 1996, n.109, articolo 3”. Un impulso alla riforma organizzativa e alla riqualificazione dei Corpi di Polizia municipale e provinciale viene impresso dalla citata Legge Regionale N. 12 del 13 giugno 2003 con la quale sono finanziati ogni anno i progetti specifici promossi da decine di comuni nel territorio delle cinque province. Da un lato la dotazione strumentale e la qualificazione professionale delle polizie locali (anche per il tramite di una Scuola regionale istituita con questa missione) e da un altro lato la promozione di un sistema integrato di sicurezza delle città e del territorio della Regione, convergono ad incentivare le forme di collaborazione tra la polizia locale e le forze di polizia dello Stato. 116


Capitolo 6

6.7 Le altre risorse 6.7.1 I programmi dell’Unione Europea Mentre per quanto riguarda l’aspetto specifico della repressione dei crimini esiste fra i paesi dell’Unione Europea (e non solo) un forte elemento di coordinamento che fa capo all’Interpol, che si occupa della lotta internazionale ai reati che riguardano più paesi (per esempio il traffico di droga e di esseri umani), le politiche e le iniziative locali per la sicurezza non rientrano tra le priorità dell’Unione Europea e perciò non esistono programmi specifici che sostengano gli Enti locali in questo settore. Nel Trattato di Maastricht si è infatti stabilito che la sicurezza locale è un ambito esclusivo dell’azione dei Paesi membri. Ciò nonostante l’Unione si è dotata di alcuni strumenti che, a volte direttamente, più spesso indirettamente, sono in grado di intervenire a sostegno delle attività che gli Enti Locali intendano mettere in campo in questo ambito. Anche se le iniziative finanziabili rivestono un maggiore interesse per gli organismi centrali degli Stati (Ministero di Giustizia o dell’Interno), in quest’area vanno collocate le Linee di bilancio15 che sostengono i programmi come CIPS (Lotta la terrorismo) e ISEC (Prevenzione dei crimini violenti), le cui caratteristiche sono illustrate sul sito www.eu.int: si tratta prevalentemente di attività che riguardano l’aggiornamento e lo scambio di buone pratiche fra le forze di polizia, comprese quelle locali, e la magistratura dei paesi aderenti. Sugli Enti Locali ha invece una diversa e più diretta ricaduta il programma URB-AL. 15

Per Linea di bilancio si intende un’attività finanziata dall’UE per un periodo massimo di 3 anni con progetti a cui l’UE partecipa fra il 50% e il 75% con un contributo massimo di 300.000 euro; queste linee di bilancio sono rinnovabili ma possono essere anche eliminate dopo il triennio di attività o trasformate in Programmi.

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Costruire la sicurezza locale

URB-AL Il Programma16 URB-AL relativo alla cooperazione transnazionale fra città urbane dell’Unione Europea e quelle dell’America Latina è organizzato in una serie di reti tematiche attraverso cui si prevede di sviluppare iniziative di cooperazione e di scambio, anche in materia di sicurezza urbana: queste ultime sono rappresentate dalla Rete 14 che fa capo alla città di Valparaiso, in Cile (www.urbalvalparaiso.cl). URB-AL finanzia sostanzialmente due tipi di iniziative: • scambi di esperienze e di formazione sulle diverse aree della sicurezza urbana fra Europa ed America Latina per un biennio; • sperimentazione di progetti e iniziative comuni fra i diversi paesi, a seguito della realizzazione dell’iniziativa precedente, a carattere triennale.

È possibile quindi per i Comuni capoluogo di regione (o di provincia se il problema della sicurezza è particolarmente presente), per le Province e le Regioni, attivare una serie di iniziative di scambio di esperienze e conoscenze con diversi Paesi (come il Brasile, l’Argentina, il Messico, la Colombia, ecc.), in cui i fenomeni che determinano l’insicurezza urbana sono endemici e presenti da molti anni e quindi hanno determinato, in diversi casi, lo svilupparsi di azioni di contrasto particolarmente interessanti anche per la realtà italiana. Per chi è interessato, il primo passo da fare è connettersi al sito della Rete 14 per valutare il tipo di progetti finora realizzati, al fine di verificare la possibile rispondenza con azioni simili che si vogliono 16

Per Programma si intende una serie di attività finanziate dall’UE per un periodo pari a quella della programmazione generale, in genere 6 o 7 anni, a cui l’Unione partecipa insieme ad un cofinanziamento degli Stati membri per coprire almeno il 75% delle spese (spesso si arriva al 100%), di progetti che vanno da 300.000 a 2 e più milioni di euro.

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Capitolo 6

attuare nel proprio Comune. Successivamente si può aderire alla Rete 14 (senza nessun impegno di tipo economico), e prendere contatto con alcune delle città aderenti per proporre l’attivazione di un’azione di scambio (progetti di tipo A); se la proposta viene approvata e finanziata e l’esperienza è positiva si può poi predisporre un progetto comune (progetti di tipo B) e realizzare una serie di iniziative operative nei territori dei diversi Paesi. DAPHNE È un programma-quadro che si propone di aiutare gli operatori degli Enti locali e/o del Terzo settore ad intervenire a favore delle vittime di violenza, soprattutto se minori e/o donne. Possono essere cofinanziate azioni concrete di protezione e di prevenzione per le vittime ed anche la diffusione di modelli e buone prassi. Si propone inoltre di incoraggiare la cooperazione con paesi terzi e con i paesi candidati a entrare in UE. L’obiettivo è fornire un concreto supporto alle vittime e di prevenire la diffusone di pratiche violente nei gruppi a rischio; negli scorsi anni Daphne ha finanziato l’attivazione di case protette per le donne vittime di tratta oppure programmi per il reinserimento sociale di minori abusati sessualmente. Tuttavia, si può ottenere sostegno finanziario anche nel caso di programmi di assistenza relativi alla vittimizzazione tra gli immigrati e di sostegno dei servizi sociali territoriali connessi alle categorie prima ricordate. Altre opportunità Come già accennato, pur non esistendo altre risorse dell’Unione Europea che riguardano direttamente la sicurezza urbana, esiste la possibilità di avere finanziamenti per incidere indirettamente su questo tema. Infatti, uno degli obiettivi principali dell’Unione è da sempre la riduzione delle differenze economiche e sociali fra gli Stati membri; 119


Costruire la sicurezza locale

tale obiettivo viene perseguito attraverso il finanziamento di numerosi Programmi di intervento che riguardano in particolare (ma non solo, sia chiaro) quelle regioni che hanno un livello economico nettamente al disotto della media europea, inserite nell’Obiettivo Convergenza. I principali, per durata e possibilità di finanziamento, sono: • Interreg sostiene la cooperazione transfrontaliera fra regioni in vari settori tra cui anche azioni volte al reinserimento sociale e lavorativo delle persone svantaggiate, la sicurezza partecipata, l’immigrazione in un’ottica di scambio con le altre regioni dell’UE che si affacciano sul bacino del Mediterraneo; ulteriori informazioni e bandi si trovano on line su http://ec.europa.eu/regional_policy/interreg3/abc/voletc_it.htm • Progress interviene per sostenere l’occupazione, la lotta all’esclusione sociale, per migliorare le condizioni degli ambienti di lavoro e le pari opportunità attraverso il finanziamento di studi sui temi descritti e, soprattutto, promuove la cooperazione fra i diversi Stati in campo sociale ed occupazionale attraverso il sostegno alla creazione di partneship transnazionali. Essendo un programma di nuova istituzione è attualmente in via di implementazione e le possibilità di finanziamento sono consultabili sul sito http://ec.europa.eu/social/home.

Questi programmi possono essere utili nel sostenere un progetto complessivo di sicurezza urbana in cui il recupero di zone del territorio e/o di persone in stato di emarginazione siano fra le azioni principali per favorire la percezione di sicurezza da parte dei cittadini.

6.8 Le buone pratiche italiane ed europee Per buone pratiche di sicurezza urbana s’intendono quelle soluzioni effettivamente realizzate con successo e con una struttura di modello tale da soddisfare alcuni requisiti minimi: 120


Capitolo 6

a) fornire una prova documentata di buona gestione dell’intervento (rispetto integrale dei diritti della persona; qualità dei servizi; valutazione ex ante, in itinere ed ex post degli effetti sistemici delle azioni); concretezza delle attività; impatto sulla qualità della vita; rapporto ottimale tra costi e benefici; b) trasferibilità del “saper fare” creato dall’esperienza; c) conformità ad un corpus di principi appropriati (integrazione e integrabilità con altri settori dell’amministrazione, come sicurezza sociale, riqualificazione urbana, comunicazione istituzionale, ad esempio).

Si possono dunque considerare “buone pratiche” quelle soluzioni di esperienza che hanno la potenzialità di replicare o generalizzare un approccio che apporta effettivi benefici al livello di sicurezza documentabile materialmente e al livello di sicurezza percepita dai cittadini.

6.8.1 Le reti italiane Il Forum italiano per la sicurezza urbana, www.fisu.it, è un’associazione attiva dal 1996, di oltre settanta città, province e regioni italiane, il cui obiettivo è quello di promuovere, anche nel nostro Paese, nuove politiche di sicurezza urbana. L’obiettivo associativo è affermare il ruolo centrale delle città e creare un punto di vista unitario delle città, delle regioni e delle province sul complesso delle materie di sicurezza. Il Forum italiano è sezione nazionale del Forum europeo per la sicurezza urbana, al quale sono associate oltre duecento città e amministrazioni territoriali europee di dieci diversi paesi. Lega per le Autonomie locali-Consulta Sicurezza e Giustizia. Nell’ambito dell’associazione – che opera dai primi decenni del ‘900 e riunisce circa 2000 enti, tra Comuni, Province e Regioni – è stato 121


Costruire la sicurezza locale

costituito una Consulta per elaborare una politica comune, confrontare le esperienze e realizzare dei progetti in rete cha abbiano il necessario profilo di efficacia e di risultati. In rapporto dialettico con le istituzioni centrali (Governo, Parlamento, Amministrazione della Giustizia) l’organismo si propone di sostenere le richieste e le azioni che le varie amministrazioni intraprendono per migliorare la Sicurezza e l’efficienza della Giustizia, anche nella eventualità di situazioni di emergenza o di allarme che potrebbero verificarsi nei vari territori. Anci – Associazione Nazionale dei Comuni d’Italia. È all’opera da alcuni anni un organismo consultivo e di studio che si propone sia di definire delle linee operative per lo sviluppo delle competenze e dei servizi di Polizia locale affidate ai comuni e sia, più in generale, di promuovere lo scambio di esperienze e di prassi innovative tra le amministrazioni. Tale organismo ha contribuito alla redazione del testo – approvato insieme alla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome – per una proposta di legge su “Sicurezza urbana e polizia locale” volta a delineare gli strumenti normativi utili alla “realizzazione di un sistema integrato di sicurezza delle città e dei territori regionali, comprensiva di una coerente riforma della polizia locale.

6.8.2 Reti europee di città per la sperimentazione e l’adozione di buone prassi Forum europeo per la sicurezza urbana - È un’associazione di comuni e di altre “collettività territoriali” (città, province, regioni o loro associazioni) il cui atto di fondazione risale al novembre del 1987, al termine della conferenza “Politiche locali di sicurezza urbana”, promossa dalla CPLRE (Conferenza permanente dei poteri locali e regionali) del Consiglio d’Europa. Al nucleo iniziale di 122


Capitolo 6

municipi, province e regioni si sono aggiunte in seguito sia amministrazioni dell’UE e sia dell’ extra UE, con partenariati rivolti anche al Nordamerica e alle città dell’Africa. Si qualifica come “organizzazione internazionale non governativa” di enti impegnati a dialogare, riflettere e cooperare sulle politiche e pratiche di sicurezza urbana. Ha messo in opera programmi di cooperazione tra città su specifici temi attinenti le problematiche della sicurezza, contribuendo così a stimolare ed orientare le politiche locali, nazionali e comunitarie in questo settore. Il Forum Europeo è presente in qualità di organo esperto presso le Nazioni Unite e il Consiglio di Europa; il suo attuale presidente è Freddy Thielemans, sindaco di Bruxelles. Ha sede a Parigi. http://www.urbansecurity.org/ European Anti Poverty Network (EAPN) - Costituito per iniziativa del “Réseau européen des associations de lutte contre la pauvreté et l’exclusion sociale”, EAPN è a sua volta una rete rappresentativa di associazioni e gruppi non governativi impegnati contro la povertà e l’esclusione sociale negli Stati membri dell’Unione Europea. Aspetto essenziale della rete è contribuire a integrare l’obiettivo contro l’esclusione sociale trasversalmente in ogni politica pubblica tesa a promuovere la coesione sociale. EAPN è sostenuta dalla Commissione Europea. www.eapn.org. Eurocities - Si tratta della rete delle principali città europee, fondata nel 1986 con l’adesione di 120 amministrazioni di oltre 30 paesi e con l’obiettivo di favorirne la cooperazione e lo scambio di know how. Eurocities ha elaborato una piattaforma per anche per sviluppare soluzioni innovative in un vasto campo di materie, creando Forum, Gruppi di lavoro, elaborando progetti e altre attività. Di particolare interesse è il Forum per gli Affari sociali, che si attiva per due grandi obiettivi: promuovere azioni per combattere la povertà e l’esclusione sociale; favorire pari opportunità per tutti, oltre 123


Costruire la sicurezza locale

che il rispetto delle diversità. In questo senso il quadro di riferimento è quello definito nella cosiddetta “Strategia di Lisbona” dell’UE, dall’evento in occasione del quale (1999) i capi di governo concordarono un complesso di raccomandazioni per riformare il welfare state. Eurocities, per il tramite del suo Social Affairs Forum, segue due direzioni operative: a) educazione per l’inclusione sociale (a esempio, con una seconda chance per prevenire la dispersione e l’abbandono scolastico senza aver ottenuto qualificazione); b) strategie per ridurre e prevenire la mancanza di abitazioni.

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Riferimenti bibliografici essenziali

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2000 Dizionario di sicurezza urbana. Le parole chiave per affrontare un disagio sempre più presente EdUP


Gli autori

È stato possibile editare questo libro perché abbiamo avuto modo di incrociare decine di persone: politici sensibili, professionisti del settore, personale delle pubbliche amministrazioni, tecnici, amministrativi. Ci limitiamo, pertanto, a riportare i nominativi di coloro che hanno seguito, di fatto, la parte finale di stesura del testo. Ancora un grazie a tutte e a tutti coloro che hanno permesso di cominciare una riflessione approfondita che si spera sia preliminare ad un approccio più complessivo alle politiche di sicurezza urbana. Antonio d’Alessandro – Giornalista, è esperto di politiche sociali, comunicazione sociale e sicurezza urbana. Maurizio Fiasco – Sociologo, formatore, è uno dei massimi esperti nazionali di sicurezza urbana. Pier

Paolo

Inserra

Presidente

dell’Associazione

Parsec,

ricercatore e formatore, si occupa di pianificazione delle politiche pubbliche e di progettazione sociale partecipata. Nicoletta Teodosi – Esperta di progettazione europea, si occupa di lotta alla povertà e inclusione sociale. È dirigente del CILAP, sezione italiana del network europeo di lotta alla povertà. Massimiliano Trulli – Esperto di progettazione e sviluppo locale, si occupa di diritti di cittadinanza e politiche di inclusione sociale.




Finito di stampare nel mese di Gennaio 2009 da Croma Multimedia Srl Roma


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