Santi Faustino e Giovita

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LXXXIV

tanta meraviglia di potenza: dal che gran numero di conversioni. Solo l’imperatore ed Aureliano non vollero riconoscere in quel prodigio la mano dell’Onnipotente e sordi alla voce di Lui che avea parlato per mezzo di Faustino e Giovita, si ostinarono nell’errore e nell’errore morirono. Guai a quell’anima che resiste all’invito di Dio mentre Egli chiama al ravvedimento! Se ne pentirà, ma troppo tardi! Una folla immensa aspetta nel porto di Napoli l’arrivo del vascello imperiale, spinta non tanto da vaghezza di ammirare il monarca e il suo corteo, quanto da desiderio di mirare in volto i due illustri bresciani, che la fama tanto avea resi celebri e di udirli a predicare e di veder nuovi miracoli. Appena la nave fu ancorata ed essi misero piede sul lido, vedendosi attorniati da tanta moltitudine, non posero tempo in mezzo a predicare ed istruire, battezzando poi coloro che vi erano già stati disposti durante il tragitto da Roma a Napoli. Le loro parole forti e persuasive scendevano come pioggia benefica nel cuore dei napoletani, commovendoli soavemente e le conversioni furono talmente numerose che si può con sicurezza affermare essersi il Signore servito della pervicacia di Adriano per dilatare la sua religione in Italia. Ogni strumento è ottimo nelle mani di Dio ed a quella maniera ch’egli si servì di dodici rozzi pescatori per fondare la sua Chiesa, adoperò i tiranni per estenderla nelle parti più remote del mondo. Non appena Aureliano s’accorse che i suoi prigionieri abusavano dello scompiglio suscitatosi allo sbarco della corte per predicare la loro religione si sdegnò altamente e li fece rinchiudere in profonda prigione, donde non li trasse che per tentarli nuovamente all’adorazione dei numi di Roma. Adriano in dignità di Pontefice Massimo entrando nella città costumava far subito offrire splendidi sacrifici agli dei; laonde parecchi ne indisse anche in Napoli, e al più solenne volle presenti Faustino e Giovita, sotto la minaccia o di adorare gl’idoli o soggiacere a nuovi tormenti. È inutile ripetere la loro risposta, essi non la mutavano mai, e l’imperatore avrebbe pur potuto convincersi che il tentarli era fatica sprecata. Per castigarli Aureliano mise in opera un nuovo supplizio degno del suo cuore ferino: li fece porre in mezzo a due ruote armate di punte le quali, girando le une contro le altre, ne lacerassero le carni, ne stritolassero le ossa. Non ebbe però il


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