TraMonti 2007

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Club Alpino Italiano

Bollettino d’informazione riservato ai soci

2007

sezione sezione

Giacomo Toni

valdarno inferiore


Tesseramento 2007 Soci ordinari Soci familiari Soci giovani (dal daall 199 19900 in i poi) poi) i)

€ 36,00 €1 17,00 €1 10,00

Al 31 Dicembre 2006 gli iscritti erano 210 così ripartiti 1 132 soci ordinari 1 62 familiari 1 16 giovani

di cui nuovi 17 “ 4 “ 0

Si ricorda che l’iscrizione al CAI: 1 Dà diritto a ricevere “La Rivista” e “Lo Scarpone” (solo ai soci ordinari) 1 Copre con un’assicurazione le spese d’intervento delle squadre di soccorso alpino e dell’elicottero in caso di incidente in montagna 1 Consente (esibendo la tessera con il bollino) di ottenere priorità di accoglienza e particolari condizioni di sconto nei rifugi del CAI 1 Permette di acquistare a prezzi agevolati le pubblicazioni del CAI e del TCI 1 Dà diritto a partecipare a tutte le iniziative delle Sezione con particolari agevolazioni Si invitano i Soci a rinnovare l’iscrizione entro il 31 marzo 2007, per la continuità della copertura assicurativa. Per informazioni sul tesseramento contattare il socio incaricato Giancarlo Duranti al numero 0571 242794. L’iscrizione per il 2006 è valida fino al 31 marzo 2007. Ulteriori informazioni si possono avere in sede il venerdì dalle ore 21,30. Telefono 348 3962348 www.clubalpinoitaliano.it e-mail: valdarnoinferiore@clubalpinoitaliano.it

In copertina:

La sella dell’Anguillara (m. 1050) sul monte Sumbra (Alpi Apuane), zona di importanti graffiti rupestri (foto Giancarlo Sani) Design and produced by CREO Comunicazioni © 2007 United Media srl ph 0571 20097 www.creo.net


SEDE

Sez. Valdarno Inferiore Club Alpino Italiano Piazza Vittorio Veneto 4 - 50054 Fucecchio FI TELEFONO

348 3962348 E-MAIL

valdarnoinferiore@clubalpinoitaliano.it INTERNET

www.clubalpinoitaliano.it PRESIDENTE Bollettino di informazione riservato ai soci Sez. Club Alpino Italiano “Giacomo Toni” Valdarno Inferiore

Giancarlo Sani Tel. 392 4762497 SEGRETARIO

Vittorio Santini Tel. 348 3962348 Coordinamento ordinamento e redazione a ccura di Francesco Mantelli e Vittorio Santini

ORARI APERTURA

Venerdì 21:30/23:30

iin questo numero Su una montagna senza nome (F. Mamtelli)

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Torrentellismo in Francia (D. Trabalzini)

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Le incisioni rupestri dell’Anguillara (G. Sani, R. Falaschi)

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Quasi per scherzo (M. Sabatini)

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Ursus Spelaeus? (G. Sani, M. Sabatini)

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In tre al Sasso Rosso (L. Cioli, A. Mariotti, D. Trabalzini)

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Primo, anzi diciannovesimo! e Vai!! (A. Lusini)

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Zero in condotta (A. Lusini)

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La Ballottata (V. Santini)

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Augusto (M. Borsini)

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La compagnia più eterogenea del mondo (G. Morichetti)

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Programma escursionistico 2007

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Francesco Mantelli

Su una montagna senza nome Mentre spingevo Anne sull’altalena nel grande prato, quei grandi prati verdi della valle di Anterselva, guardavo le montagne attorno. Vedevo montagne che avevo salito intorno a 20 anni fa e percorrevo con lo sguardo le grandi creste del Wildgall e del Magerstein. Quelle creste che portano su cime oltre i 3000 metri che da qui apparivano nitide in un tardo pomeriggio di bel tempo, quel bel

Su una cima S i senza nome, 2 Agosto A t 2006

tempo che sarà un evento raro per tutto l’agosto 2006. Ma durante quei giorni non potevamo saperlo. Non c’era nostalgia per quel lontano passato: sono spesso portato a guardare avanti e a porre i ricordi nella loro giusta dimensione: esperienze per il futuro, oltre che accumulo importante di documenti mentali e materiali. Ma restava un fatto: al di là delle scelte di vita e dell’avanzare dell’età che talvolta costringono a porre un po’ in disparte e a ridimensionare quelle che riteniamo importanti attività del nostro agire, la montagna continuava ad esercitare su di me una potentissima attrattiva. Non scoprivo niente di nuovo: era stata una mia costante

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nel corso di molti decenni, forse dai giorni in cui potevo solo osservare le cime delle colline dalla mia casa e immaginarmi il mondo al di là. Perché la montagna è qualcosa che si ha dentro. Questa è stata per me, da sempre, un’idea fissa, che tante volte ho cercato di trasmettere in molte occasioni e soprattutto durante i corsi di alpinismo: le circostanze legate alle amicizie e al contesto culturale possono aiutarti a scoprire questa idea, ma poi qualcosa deve essere dentro di te, perché non ci sono altre strade: la montagna si sente o non si sente. Ed è un sentire, se è vero, che ti accompagnerà per tutta la vita, in qualunque momento, in qualunque circostanza.

Dalla cima uno sguardo verso le Dolomiti

A questo ripensavo quella mattina del 2 agosto, quando, approfittando di un raro momento di bel tempo, dopo le piogge della notte, camminavo nel vallone a sud di passo Stalle in mezzo al vento e alle nuvolaglie residue. Camminavo su un largo sentiero perché c’era ancora l’incertezza delle condizioni meteorologiche e tutto era pieno di acqua e scivoloso, e pertanto era obbligatorio tenere alto il livello di sicurezza. Cercavo una montagna semplice da salire, ma soprattutto vivevo da solo il rapporto di sempre con la montagna, che spesso non è legato a quello che si fa, ma come lo si fa, quindi come la montagna si vive. Anche se non c’erano ghiacciai nelle immediate vicinanze, pareti da scalare o cime altissime, lassù non sembrava mancare niente delle altre montagne del mondo. Perché la montagna non è mai stata solo quello: è soprattutto esserci e provare quelle sensazioni di appartenenza al mondo della natura dove niente ti distrae e la mente può finalmente lasciarsi trasportare dalla solitudine attorno, dove alla fine sei solo tu che ti rapporti con quel mondo. La montagna resta talvolta un pretesto per dialogare con noi stessi, oltre che richiamo di linee eleganti di pietra su cui porre le mani, o cime sconosciute per sapere cosa c’è lassù e oltre lassù. Sì, poi alla fine sopravviene quello: oltre al lasciarsi trasportare senza una meta, ancora

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scatta quel desiderio di conoscenza, ancora il richiamo di un contatto fisico dei luoghi torna ad affacciarsi e a coinvolgere, un desiderio che a volte completa il vagare senza meta, qualche volta disturba e non sempre porta lontano. Ma appare talvolta irrinunciabile passare attraverso quei percorsi perché, dopo, l’animo sembra acquietarsi e tornare con maggiore serenità, con maggiore ricchezza, solo perché i tuoi piedi ti hanno condotto in altri luoghi, spesso solo attraverso grandi pietraie, quei luoghi che facevano dire a Milarepa: su queste pietraie senza fine puoi barattare la tua vita con una pace senza confini. Così, con il cielo messo apparentemente al bello, lascio il sentiero e mi inoltro lungo un canalone di detriti, una porta di accesso ad una cima non menzionata nella carta, quindi una cima minore e di scarsa importanza. Salgo cercando di individuare un possibile itinerario di salita, cercando di evitare le creste che propongono facili possibilità di arrampicata, su rocce comunque bagnate e costituite da lastre e strati poco stabili, come sono le rocce metamorfiche di questa area montuosa. Come sempre, quando sei sotto ad una montagna, non comprendi bene dove è la cima e tutto assume strane morfologie: quella che sembrava la cima ora è un modesto dosso sotto di te, quel canale alla tua sinistra sembra invece condurre ancora verso l’alto. Così proseguo su un secondo canalone che alla sommità si fa troppo ripido e occorre cambiare itinerario: una piccola arrampicata, controllando bene la roccia, porta su una cresta che sembra guidare ancora più in alto. Alla fine non cerco la vetta, ma solo un luogo dove arrivare,

Cresta ovest verso la cima senza nome

soltanto per stare lì e guardarmi attorno: ma proseguire è ancora possibile. Ci sono davanti rocce un po’ esposte e non troppo stabili, ma si può passare con

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Nubi e neve sul Magerstein (m. 3248)

sicurezza. Un cengia con buoni appigli e ancora la cresta davanti che invita a proseguire, qualche metro di salita su rocce poco sicure, un altro facile dosso e un luogo che sembra una cima. Sì, qualche pietra sovrapposta indica che su una cima sono giunto, soprattutto questo è il luogo più alto di molte creste che da qui si diramano e perfino di alcune cime più lontane. Stimo di essere sui 2700 m, ma l’altezza non mi interessa perché ora non c’è altro se non il grande spazio attorno, la bellezza dei luoghi lontani adornati da nubi che lasciano emergere qua e là grandi montagne che non conosco: in un primo tempo non so neppure se sono in territorio italiano o austriaco. Ma era quello che volevo: una montagna senza nome (non è riportato sulla carta che ho con me, ma un nome sicuramente esisterà), senza un itinerario descritto, un territorio di ricerca dove alla fine non era stato difficile tornare a provare le più belle sensazioni che la montagna può offrire: il senso della scoperta e quello della solitudine, quelle sensazioni da sempre che fanno della montagna uno dei grandi luoghi della conoscenza. Si torna inoltre a provare il senso della precarietà perchè alla fine sei solo su questa cima e le nubi già hanno coperto le montagne attorno, provi una certa insicurezza che ora induce a scendere in fretta, evitando di proseguire lungo la cresta principale che apparentemente sembra portare con maggiore facilità in basso: meglio affrontare il percorso della salita, non banale in discesa, ma conosciuto. Frettolose foto scattate sulla cima e poi massima concentrazione durante la discesa, come recita più l’esperienza che i manuali, ma alla fine sono alla base del canalone di detrito e ogni difficoltà è ormai alle spalle. Le nubi si stanno abbassando in fretta: su quella cima e sulle grandi montagne la pioggia del pomeriggio sarà in seguito neve che imbiancherà per giorni tutte le montagne dell’Alto Adige oltre i 2600 metri.

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Davide Trabalzini

Riflessioni dopo una settimana di canyoning nella terra dei Galletti

Torrentellismo in Francia I bambini piccoli tendono ad arrampicarsi ovunque per necessità di conoscenza, curiosità, libertà. Poi crescono, e nel controverso mondo degli “adultoidi” assumono, o dovrebbero assumere, comportamenti diligenti, corretti e spesso seriosi (anche troppo). Alcuni di loro, tuttavia, hanno la fortuna di appassionarsi a qualcosa, fino ad averne, nei casi più gravi, un amore quasi morboso, votato a soddisfare quel bisogno di conoscenza che avevano in tenera età. Chi ama la montagna ne sa qualcosa; porta segretamente il bisogno infantile di arrivare in “cima” alla sedia e vedere dall’alto. Poi la Discesa di famiglia, Canyon del Cramassouri curiosità prende strade differenti: chi va sulla cima per sentiero, chi passando per una parete rocciosa o chi ancora vede la “cima” dentro la montagna, esplorandone le viscere e le profondità. Poi ci sono quelli che vanno per canyon, praticando un’attività che, a mio parere, riesce a coniugare in modo estremo la passione per l’ambiente montano

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e la voglia di bambino di esplorare, conoscere e divertirsi. Se ancora ci fosse bisogno di specificarlo, il canyoning, o preferibilmente torrentismo, non si pratica con canoe, canotti, pinne, maschere o altre diavolerie: si tratta di scendere (si può dire a piedi?) lungo corsi di acqua montani contornati da alte pareti rocciose spesso strette e buie (devo capire perché la letteratura sull’argomento si diverte a darne ancora descrizioni spettrali quali “orridi in cui la luce del sole riesce raramente a filtrare”); quando si incontrano cascate o salti di roccia si scendono applicando nozioni e manovre tecniche più o meno derivanti dalle più altisonanti attività alpinistiche e/o speleologiche, per poi dimenticarsele del Erica spericolata, Canyon del La Bollene tutto quando invece la cascata, l’altezza e l’acqua permettono un liberatorio tuffo adrenalinico (scusate per l’utilizzo della parola adrenalina, visto che nel mondo quotidiano vorrebbero darcela anche a colazione!). Ebbene, con uno spirito altamente infantile e vagamente esplorativo alcuni soci della nostra sezione, compreso il sottoscritto, si sono resi protagonisti di una settimana di torrentismo in Francia, usando i canyon come mezzo di causa/effetto di enormi piatti di pastasciutta serali, che i cugini di oltralpe non si sognano neanche di provare a preparare. D’altro canto la rivalità con i “galletti” non ha stentato a venir fuori, visto che in maniera esasperante ed al limite dell’idiozia goliardica, l’allegra compagnia dello stivale non si è risparmiata a sottolineare che, calciofili o meno, eravamo pur sempre i campioni del mondo. La zona ludicamente visitata è stata quella del Var, alle porte delle Alpi Marittime Francesi, dove la natura ha accartocciato la plastilina alla quale lavorava dando vita ad una innumerevole serie di solchi rocciosi più o meno giganteschi che niente hanno da invidiare al sia pur vicino e rinomato Verdon; un susseguirsi di enormi canyon, l’Esteron, il Cian, la Daluis, la Tineé, il Vesubie, per indicare solo i principali, che a loro volta sono alimentati da un numero infinito di gole, forre e torrenti; insomma, per un torrentista, banalmente, è un paradiso. Il debutto è stato nel “Vallone dello Chalandre”, caratterizzato da roccia calcarea rossa e da una bella serie di vasche pensili, da scendere diligentemente con

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Toboga per tutti, Canyon del Cramassouri

le corde e le manovre più adeguate (infatti abbiamo rovinato una corda!!!). Il giorno seguente è stata la volta della breve ma bellissima gola del “Cramassouri”, dove per due ore è possibile vestirsi da bambini di 5 anni e procedere con una ludica serie di tuffi e toboga (scivoli). Chi non ha avuto la necessità di vestirsi da bambino è stato il socio Niccolò, che all’età di 4 anni e mezzo, munito di muta, imbrago e caschetto, ha percorso la sua prima forra con tanto di tuffi e corda doppia in coppia con il sottoscritto (ovvero, il padre). La “Bollene” è stato il torrente che ha messo alla prova la nostra voglia di divertirsi con la paura dell’ignoto; due enormi toboga di dieci/dodici metri sparano nell’acqua ad una velocità impressionante, l’uno praticamente verticale, l’altro con una iniziale serpentina al termine della quale ti ritrovi nel vuoto, completamente in balia della fisica gravitazionale. Se mi permettete una parolaccia, direi che è stato un enorme “Acquafun”, dal quale quelli pseudo-veri hanno tutto da invidiare. E’ seguito il “Rio de Mujouls”, un maestoso ambiente calcareo dove la roccia si specchia nelle azzurrissime acque dell’Esteron, creando contorti giochi di forme e luci che spesso, tra le pareti del nostro vivere quotidiano, stentiamo a credere possano esistere; eppure ci sono. Ancora nelle acque dell’Esteron, più a valle, ma con altrettanta spettacolarità, le gole della Cerise ci hanno presentato un curioso itinerario non tecnico (solo a nuoto), anda e rianda. Per finire, il canyon della Roudole, di domenica mattina, prima della partenza, tanto per sfruttare fino all’ultimo il tempo disponibile; due ore di mal di gola ininterrotto, con una bella serie di stretti meandri, curve e tratti ipogei. Insomma, una divertente settimana di torrentismo o, visto il clima goliardico che regnava, di torrentellismo.

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Personalmente consiglio a tutti di provare questa attività in canyon tecnicamente più o meno facili. E’ un’attività in cui si riscopre la voglia di divertirsi insieme - non si tratta semplicemente di stare in compagnia; c’è di più. E’ la possibilità di abbandonare temporaneamente quell’aspetto serioso, che spesso la montagna ci intima di vestire, e di condividere un primordiale bisogno di divertimento con chi ti sta accanto. Intendiamoci, non si tratta di dimenticare i pericoli insiti nella discesa di una forra, perché ci sono e sono assolutamente da non sottovalutare (dal rischio letale di piena, alla consapevolezza di non poter tornare indietro quando si vuole); ma il piacere di giocare con l’acqua in un ambiente da favola, insieme agli amici-compagni d’avventura tende a sdrammatizzare una passione per la montagna che si rifa’ spesso agli echi dell’alpinismo eroico. A tal proposito ne approfitto per sottolineare che condivido un profondo rispetto per le grandi e piccole imprese alpinistiche che esaltano giustamente valori come coraggio, intraprendenza, impegno, ostinazione, e sono quelle che ci ispirano nelle nnostre modeste, ma importanti, Stretti dalle strette, Canyon S C del Cramassouri C i gite montane; pur tuttavia, me lo consenta il lettore, ogni tanto, dopo una settimana di lavoro, fa bene anche una sana nuotata di puro divertimento. Personaggi ed interpreti in ordine alfabetico: Andrea (Orazietti), ovvero l’OMONE (agli occhi di Niccolò), del quale incrociavo spesso occhi di burlona disapprovazione quando si trattava di buttarsi giù per i toboga più paurosi (ai quali comunque non ha mai rinunciato); Andrea (Pecchioli), del quale a tutti è rimasto impresso il momento sornione in cui ha staccato i collegamenti con la comitiva e con malcelata trepidazione è balzato dall’alto di oltre dieci metri per tuffarsi in un’angusta strettoia; Davide, l’autore di queste righe strampalate nonchè ispiratore di fantasiose alternative per affrontare una cascata; Erica, che ha fatto tutto quello che aveva annunciato di non voler/poter fare: salti

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mozzafiato e toboga spericolati; Francesca, l’italo-canadese multilingue, oltre a mia moglie, a cui tutti rivolgevamo la nostra ultima speranzosa attenzione per capire cosa blateravano le incomprensibili lingue della gente di Asterix; Maico, il Gigante Buono, che tra una gola e l’altra vince sicuramente il premio “pennarello” per la sua sgargiante muta colorata; Niccolò, a cui non è piaciuta la gola della “Cerise” (la sua seconda gola), perché con c’erano tuffi (da qui la inquietante consapevolezza di aver creato un mostro).

Maico missile, Canyon de La Bollene

Ringraziamenti: - alla mamma di Maico per i sughi superlativi che hanno “condimentato” chili e chili di pastasciutta; - agli amici torrentisti di Massa (Chiara, Domenico, Paolo, Roberto, Romana) per la piacevole compagnia; - agli animali del primo campo base, incuriositi dal “curioso” gruppo toscano piazzatosi nella landa spartana di uno pseudo-campeggio; nell’ordine di apparizione: una volpe, un cinghiale, uno scoiattolo e forse un coccodrillo dalle acque dell’Esteron; - a tutti i francesi che potevano dire di tutto, tanto i campioni eravamo noi; - alle nostre differenti idee su differenti argomenti, grazie alle quali abbiamo digerito le corpose cene a colpi di piacevoli conversazioni filosofiche e sociologiche.

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La settimana in cifre: - Forre attraversate: - Numero componenti del gruppo - Mezzi utilizzati: - Corde: - Tuffo più alto: - Toboga più spettacolare: - Chili di pastasciutta consumata - Stupide Baguette ascellari divorate - Campeggi utilizzati: - Paesini turistici visitati: - Giorni liberi di stravacco assoluto: - Curve asfaltate percorse - Periodo - Voglia di divertisi

6 5,5 2 macchine ed una moto 2 da 25 metri ed una da 35 metri. 10 metri del Pecchioli; Toboga della Bollene, 10 metri di scivolo e 4 metri di salto nel vuoto. 12 21 2, uno spartano ed uno …di più 0 0 1245 Dal 21 al 27 agosto 2006 Tanta

Tris T i di cascate, t Vallone V llll d dello llll Ch C Challandre h ll d

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Alpi Apuane

Giancarlo Sani Romano Falaschi

Le incisioni rupestri dell’Anguillara Il luogo Dal versante sud del Monte Sumbra (m 1764) scendono verso il fondovalle tre ripidi canaloni (fosso del Fatonero, fosso dell’Anguillara e fosso delle Comarelle), caratterizzati dalla presenza delle “marmitte dei giganti”, grandiose e profonde erosioni circolari generate dall’azione delle acque. Il paesaggio è irreale, minaccioso e permeato da una solitudine manifesta, sembra impossibile salire le ripide e severe coste che dividono i fossi. Sentieri non se ne vedono, solo un “occhio” attento può intuire che non doveva essere stato sempre così e, passo dopo passo, con attenzione, traversando da quota m. 620 su rocce molto frammentate, si raggiunge la cresta che divide i primi due canali arrivando alla zona dove iniziano i segni incisi.

Un gruppo di “lame pennate” perfettamente allineate con la Pania Secca

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Le incisioni L 1) A quota m 755 una lastra di calcare saccaroide affiora dal terreno e presenta tre incisioni: una lama pennata lunga circa 40 cm, incisa per picchiettatura, a punti affiancati con precisione, seguendo il contorno dello strumento, a grandezza naturale e senza alcuna stilizzazione. A circa un metro di distanza altri due graffiti di dimensioni minori: il primo si può identificare come un piccolo coltello con la punta a roncola (cm 16) ed è affiancato, come se fosse un’unica incisione, da un segno di non facile lettura che può assomigliare ad un fungo. 2) A quota m 790 ancora una lastra calcarea affiorante, letteralmente istoriata con segni religiosi di chiara epoca medievale, come il trigramma di S. Bernardino da Siena, introdotto Particolare della figura antropomorfa a intorno alla metà del xv secolo come “merletti” e altri segni geometrici emblema del movimento religioso recentemente scoperti da lui propugnato. Da notare che le iniziali di Iesus Hominum Salvator sono scritte alla rovescia e in un caso in maniera incompleta. Questi simboli sono associati ad incisioni geometriche di difficile interpretazione: alcune sembrano astratti ideogrammi e in alcune, ci si può riconoscere piccole figure d’animali (un uccello (?), un cane (?) ). Di particolare interesse la figura antropomorfa a “merletti”, anche se rimane oscuro il suo significato. Nella parte superiore si trova l’incisione di una mano il cui significato, riconosciuto da molti studiosi, è da ricercare in un’affermazione di sé e, data la valenza positiva, è considerata apotropaica. Adiacente alla lastra una roccia di piccole dimensioni raggruppa cinque croci, incise profondamente, di varia tipologia: latina, greca, pomata e tripla o papale. Il tutto fa pensare ad una probabile successiva cristianizzazione di quello che potrebbe essere stato luogo di un antico culto pagano. 3) Pochi metri più in alto (quota m 805) un piccolo segno isolato inciso a graffito lineare il cui significato, al momento, resta enigmatico. 4) Continuando a salire lungo il crestone arriviamo) ad una roccia allungata (quota m 835 che presenta la profonda incisione di una croce. 5) Spostandosi a destra, per chi sale, si raggiunge una parete molto inclinata dove sono incise in maniera evidente a caratteri romani le lettere S. AB (congiunte). D e sotto una M: i caratteri incisi presentano un’altezza di circa dieci centimetri. 6) A quota m. 1000, prima di arrivare alla sella, c’è un’insenatura con rocce frammentate; nel mezzo una bianca e liscia placca colpisce per il suo splendore

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e anche, se è molto corrosa dalle acque, con attenzione e vista acuta, meglio con luce radente, ecco apparire le incisioni di due falcetti e tre lame pennate di cui una di lunghezza fuori del normale: circa ottanta centimetri. Associate alle lame ci sono le incisioni di due pugnali, uno dei quali molto particolare (lunghezza cm. 44 ) con nervature centrali. 6) Puntando in L’incisione più caratteristica della sella rappresenta un pennato direzione della sella molto consunto su cui è graffito con segno lineare un fiore di dell’Anguillara, dopo indubbio senso artistico un centinaio di metri e venti di dislivello, su di una roccia seminascosta da alcune piante, si trovano profondamente incise sempre con caratteri romani una M e una C ravvicinate in alto mentre nella parte centrale della roccia si legge EBRE. Da notare che questa parola è preceduta da una crocetta a bracci uguali (greca) e da un segno semicircolare e un segno simile chiude dopo la lettera E. Al di sotto a caratteri più vistosi ancora le lettere S. AB ( congiunte ), L’incisione è scolpita a martellina. 7) Arrivando alla sella a quota m 1050 ci attende una vera e propria esplosione di istoriazioni: venticinque lame pennate, simboli sessuali femminili, mani, graffiti con notevole gusto decorativo come volutei, arabeschi, fiori e una articolata composizione incisa nella parte centrale della grande sella e dove si trova la roccia migliore. L’analisi di questa complessa incisione, secondo il Prof. Zavaroni esperto in antiche simbologie religiose, porta alla seguente possibile interpretazione: due asce (i 7 speculari) una piccola “dentro” l’altra (Dio Ascia padre e Dio Ascia figlio) unite dalla barretta che funge da vincolo. Due cerchi uno più grande dell’altro (Dio Ruota padre e Dio Ruota figlio o garzone). Due ramponi o falcetti di tipo arcaico disposti orizzontalmente ed anch’essi uniti da una linea. Altri segni poco leggibili e interpretabili sono abbinati ai simboli sopra descritti. Tutte le figure della panoramica sella presentano diversi gradi di consunzione e sono state eseguite con differenti tecniche d’incisione. Le lame pennate e altre figure geometriche schematiche sono eseguite con incisione più marcata ( in alcuni casi a martellina ) ma con grado molto pronunciato d’erosione. Le mani, un fiore ed altre incisioni figurative sono invece state eseguite con graffiti lineari e in alcuni casi molto sottili, lasciando presumere che siano state fatte in epoca posteriore. Da notare che le lame pennate si presentano in gruppi e poche sono quelle più in “disparte”, alcune sono incrociate ortogonalmente formando così una specie di svastica. Una composizione è molto bella, artisticamente parlando, si tratta di una lama pennata consunta a cui è sovrapposta un’incisione lineare di un fiore.

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Ancora una volta ci troviamo di fronte all’intenzionalità di sovrapporre segni “recenti” a quelli “antichi”. 8) Saliamo ancora (quota 1130) e improvvisamente ci troviamo di fronte, solitario, un simbolo solare scolpito su una roccia declive, orientata in direzione della Un momento U t della d ll fase f di rilievo-studio ililii t di della d ll complessa l incisione, i i i Pania della Croce, dalla forte simbologia religiosa, posta al centro della sella. la montagna regina delle Apuane da dove ogni giorno il sole sorge dietro la sua possente mole. Quando l’uomo scoprì l’agricoltura, legando così la sua sopravvivenza ai raccolti, si rivolse al sole pregandolo di sorgere, giorno dopo giorno. Iniziò così il culto del sole radicandosi in maniera forte ed ebbe subito i suoi simboli: tra i più antichi la spirale, il meandro, la ruota e il cerchio che esprime concettualmente la perfezione, la centralità. Si tratta di un cerchio non chiuso, con coppella centrale , inciso profondamente nella roccia, che appare come intermedio tra la spirale e il cerchio puntato: il suo diametro è di diciotto centimetri. Alcuni metri sopra, su un masso allineato con la roccia del simbolo solare, abbiamo trovato un segno a “V” rovesciato che indica nella direzione della Pania. Le lame pennate e il culto del dio Silvano Il pennato (la falx arboraria dei latini ) è un tipico strumento ancora oggi usato dai boscaioli, caratterizzato da una breve impugnatura, una lama larga e lunga 30/40 cm e con la punta ricurva in avanti. Sono considerati della stessa famiglia dei falcetti e delle roncole, una famiglia così antica da ritrovarne esempi non solo nell’età del ferro ma anche in quella del bronzo. Al museo Archeologico di Firenze sono esposti esemplari datati dalla tarda età del bronzo al medioevo. Strumenti la cui forma è rimasta inalterata in tremila anni. Sicuramente oggi il pennato, la lama pennata è uno strumento di lavoro ma chi può dire che in passato non fosse anche un’arma? E la sacralità delle armi è cosa da tutti gli studiosi condivisa specialmente se associata a documentate ritualità. Si tratta, comunque, di strumenti che da tempo immemorabile sono collegati a forti simbolismi: dalla falce di Saturno al falcetto d’oro dei Druidi. Nel 1979 nei pressi d’Albegna fu trovato un bronzetto votivo etrusco datato al III secolo prima di Cristo, un giovane nudo che teneva con la mano destra un grande pennato probabile rappresentazione di una deità campestre. Un guerriero, rappresentato su un frammento del frontone del Tempio

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dei Sassi Caduti costruito nell’IV sec. a.C, impugna una lama ricurva che ricorda un pennato. Su un sarcofago romano del II sec. d.C, adesso conservato nei Musei Capitolini di Roma, è rappresentata una scena di combattimento con evidente la presenza di una lama pennata impugnata da un combattente. Nel territorio di Arlena di Castro sono state recentemente recuperate sei steli funerarie e su due di loro vi è incisa una lama pennata. Le steli si possono ragionevolmente collocare nella seconda metà del II secolo d.C. Nel museo del Marmo di Carrara si può ammirare una stele votiva trovata a Luni, dove in bassorilievo è rappresentato un uomo barbuto con un pennato nella destra e un ramo d’albero nella sinistra, un’immagine del Dio Silvano amato e venerato nel territorio di Luni. Nel 1924 fu scoperta presso la cava di Gioia (Carrara) un bassorilievo con un’immagine del Dio Silvano. Nella mano destra un pennato e nella mano sinistra un ramo d’albero: il tutto esattamente come la piccola stele di Luni . Questa divinità era molto venerata, la riprova sta nelle numerose iscrizioni rinvenute nella zona. Alcuni studiosi ritengono che Silvano faceva già parte della “complessa costellazione degli dei italo-etruschi” e il suo culto era già seguito nella Toscana pre-cristiana. Dio dei boschi, delle cave e delle miniere, come degli allevatori e dei confini, apparve come un Dio buono, solare e che prometteva abbondanza. In Toscana le incisioni dei pennati, soggetti che non hanno riferimenti in altre aree del nostro paese, sono state eseguite fino all’epoca moderna ma molto probabilmente come retaggio di antichi culti. Tralasciando le incisioni solitarie o raggruppate in poche unità, sulle Alpi Apuane sono attualmente noti quattro siti con incisioni di lame pennate che fanno pensare a luoghi di culto: oltre alla sella dell’Anguillara, oggetto del presente articolo, abbiamo la Roccia del Sole (scoperta dai ricercatori Citton e Pastorelli) alla base del gruppo delle Panie dove una ventina di lame pennate sono associate a cerchi anche di grandi dimensioni e alcuni di essi sono dei rosoni a sei punte, probabili

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simboli solari. Inoltre sono associate ad incisioni piediformi dal marcato significato rituale in molte religioni. Nel desolato altopiano carsico della Vetricia, a quasi m. 1500 di quota, è stata scoperta dal Gruppo Archeologico Pisano una piatta roccia ai margini di un vertiginoso strapiombo, dove sono incisi una decina di pennati associati ad un rosone (diametro cm 70) e cerchi al cui interno presentano altre incisioni molto consunte di non facile lettura. Sul Monte Gabberi, nelle Apuane meridionali, a quota m 920 si trova il “Pianorino dei Pennati”, un vero e proprio balcone sulla costa versiliese; qui vi sono incise diciassette lame pennate (le ultime due sono state da noi scoperte recentemente) intorno a una vaschetta di forma rettangolare, praticamente al centro del pianoro roccioso. La presenza di alcune croci, incise più profondamente dei pennati, lascia pensare ad una possibile cristianizzazione del luogo in epoca più recente. Cercando di arrivare ad una possibile interpretazione e alla datazione di questi siti, ci si rende conto di navigare al buio anche perché, come sottolineato in precedenza, incisioni di questo tipo non esistono altrove se non nelle Alpi Apuane, mancando così ogni possibile confronto con siti analoghi già sottoposti alle analisi da parte di esperti studiosi dell’arte rupestre. Alcune considerazioni fanno pensare che ci si trovi davanti a luoghi di culto, probabilmente in venerazione del Dio Silvano, ma crediamo possibile anche altre interpretazioni risalenti ad un tempo più arcaico. Le principali di esse sono: 1) I siti sono tutti in luoghi dominanti, in posizioni molto panoramiche ed esposte, le quote relative oscillano tra i 920 e i 1450 metri. 2) Il numero delle incisioni è nell’ordine di decine di pennati, in molti casi associati ad altri segni e simboli attribuiti all’età del Ferro e del Bronzo. 3) Ad un primo esame le tracce dei pennati sembrano antiche e molto consunte. Alcune di esse non sono visibili se non con una forte luce radente e bagnando la roccia. 4) La presenza di croci, incise quasi sicuramente in epoca successiva, lascia pensare a una cristianizzazione effettuata su un luogo di culto pagano. 5) In due siti (Roccia del Sole e Vetricia) le lame pennate sono associate a rosoni e cerchi riconducibili alla sfera della religiosità celtica. 6) Le rappresentazioni (documentate) antiche dimostrano che il pennato (la lama pennata) ha da almeno tremila anni la stessa forma arma o strumento da boscaiolo che sia (probabile che avesse ambedue le funzioni ) e, pur non costituendo una prova certa delle antichità delle incisioni, possono indirizzarci verso questa ipotesi. Considerazione finale Le incisioni prese in esame in questa breve nota, sparse lungo la cresta che divide gli orridi fossi del Fatonero e dell’Anguillara, dimostrano come questo desolato e impervio costone rappresentasse un “sentiero”per raggiungere il Passo Fiocca a m. 1550, mettendo così in collegamento l’arido cuore delle Apuane centrali con le boscose e verdi vallate dell’alta Garfagnana. Una frequentazione che copre svariati secoli e che riteniamo abbia avuto fine in epoca moderna. La zona è tuttora in fase d’esplorazione e nel corso del 2007 riteniamo di poter concludere il lavoro che, considerate le premesse, potrebbe assumere una grande importanza etnografica e storica aggiungendo altri “tasselli” per la migliore comprensione degli aspetti religiosi e culturali delle antiche popolazioni Apuane.

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Marcello Sabatini

Quasi per scherzo Dedicato a tutti coloro che in qualsiasi modo hanno collaborato, ma soprattutto agli amici Paolo Sostegni, Paolo Bocconi e Jerry Pieri per l’importanza della scoperta che inconsapevolmente ci hanno regalato e a Romano per la preziosa collaborazione nei lavori di restauro dell’arredamento esistente. Fu scritto, qualche tempo fa, che nella nostra sezione sarebbe stato allestito un museo. Nacque così, da una piccola cella sporca e vuota da anni, fra lo scetticismo di alcuni e l’entusiasmo di altri, il nostro museo. Il lavoro è stato notevole e tanto rimane ancora da fare, ma la collaborazione di soci e amici è stata la linfa vitale che ha dato corpo alla cosa.Alcune persone si sono fatte avanti donando o lasciando in visione attrezzatura d’antiquariato di tipo alpinistico o speleologico, oggetti e ossa di vari animali trovati in occasioni di escursioni. Minerali e fossili di diversa natura e provenienza ce ne sono ma devono ancora essere messi in ordine. Altri ancora hanno promesso che porteranno……… Non posso certamente elencare tutti coloro che hanno collaborato sinora, ma posso certamente urlare a gran voce GRAZIE, CONTINUATE! L’ultimo regalo che si è rivelato essere una scoperta di notevole importanza è arrivato da tre simpatici ragazzi, due nostri soci e un loro amico soprannominato il “vampiro”, Paolo Sostegni, speleologo con la passione ossessiva per la ricerca di buchi soffianti, Paolo Bocconi “brigidino”, Jerry Pieri ”fotografo estroso”. Sono arrivati una sera di settembre sorridendo e con aria burlona, quasi per scherzo, mi hanno detto: “Marcello siamo stati alla buca per te, per il museo”, e da un busta di plastica vengono tirate fuori alcune ossa lunghe, dei denti ed una mezza mandibola con un dente canino che avrebbe fatto invidia ad una tigre.Una piccola ricerca personale, confermata poi dal direttore del museo di Fucecchio, ha dimostrato che le ossa in questione sono di orso delle caverne (Ursus Spelaeus) una bestia comparsa all’inizio del Pleistocene (circa 700.000 anni fa), ma che ha avuto il momento di massima diffusione nel tardo Pleistocene, durante l’ultima glaciazione (120.000 anni da oggi), per estinguersi alla fine del periodo glaciale, attorno ai 12.000 anni dal presente. Il periodo della sua massima espansione si può collocare fra 85.000 e 35.000 anni fa. Successivamente i ragazzi mi hanno portato nel luogo del ritrovamento dove ho potuto constatare personalmente la notevole quantità di ossa presenti. Della scoperta è stata messa al corrente la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, come si può vedere dalla relazione allegata di seguito. Allo scopritore ed agli amici, che hanno collaborato con lui, dedico un ringraziamento personale e da parte di tutta la sezione per questo importante regalo che ci hanno fatto e per l’opportunità che ci è stata data. Mi auguro che questa scoperta, avvenuta “quasi per scherzo”, sia di sprone ad altre persone per portare migliorie sia di carattere materiale che culturale al nostro piccolo “museo”. Devo dire che, oltre alle persone che hanno dato aiuto materiale, cerco qualcuno che odori di libro e di penna, qualcuno che si renda disponibile per un consiglio o per una consulenza……….Fatevi avanti, telefonate! Tranquilli!!!!…..L’ingresso al nostro museo è gratuito!

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Relazione sul ritrovamento d’ossa in una grotticella della Garfagnana

Giancarlo Sani Marcello Sabatini

(Lettera inviata alla sopraintendenza)

Ursus Spelaeus ? Con questa breve relazione vogliamo portare a conoscenza la Soprintendenza per i beni Archeologici della Toscana del ritrovamento di una notevole quantità d’ossa all’interno di una piccola cavità posta alla testata della Turrite di Gallicano. Poiché la nostra principale PParte t di emimandibola i dib l sn ((circa i metà) tà) con d dente t canino i e attività è l’esplorazione premolare tricuspidato delle grotte carsiche che la Garfagnana offre con generosità, a chi con passione s’interessa a loro e non possedendo le cognizioni scientifiche per poter con sicurezza riconoscere a quale animale appartenessero, anche se una nostra modesta ricerca sui siti on-line ci porta a concludere che si potrebbe essere davanti a dei notevoli, per quantità e per l’ottimo stato di conservazione, resti dell’Orso delle Caverne. E’ per questo che ci rivolgiamo alla vostra illustrissima competenza per poter finalmente capire l’importanza o no della nostra scoperta.

Osso affiorante tra ciottoli e terra

Breve cronistoria della scoperta Nel corso del 2005 uno speleologo alla ricerca di buchi soffianti trova l’ingresso di una piccola cavità da cui usciva un po’ d’aria. Dopo un faticoso lavoro di disostruzione riusciva a penetrare all’interno notando che sul pavimento pieno d’acciottolati sbucavano anche delle ossa. In questa prima fase ne furono accumulate una certa quantità in un angolo

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Ossa accumulate nella prima fase in un angolo della grotticella

della grotticella. Dopo un anno la cavità fu di nuovo visitata dallo scopritore accompagnato da due nostri soci i quali ebbero l’intuizione che si poteva trattare di reperti importanti, questo dopo tra l’altro aver individuato mandibole e dei denti di notevoli dimensioni. Dato che nella nostra sezione ( Cai Valdarno Inferiore “Giacomo Toni”) con sede a Fucecchio è stato allestito un piccolo museo dove sono esposti reperti di varia tipologia trovati in montagna durante le escursioni che i nostri soci e non solo effettuano nell’arco dell’anno, i nostri amici si sono sentiti in dovere di portare in sezione una parte di questi ritrovamenti. Scattata la molla della curiosità, e non con poca fatica, abbiamo iniziato a documentarci per cercare di capire di quale “bestia” del passato si trattava. Noi crediamo con una certa (ma non sufficiente) sicurezza che siamo davanti ai resti di un esemplare d’Orso delle Caverne e dato che le mandibole sono (al momento) tre si può ragionevolmente pensare ad almeno due animali. A questo punto ci siamo sentiti in dovere di avvertire le autorità competenti e abbiamo telefonato in data 18 c.m al Prof. Giulio Ciampoltrini della soprintendenza per i beni Archeologici della Toscana il quale dimostrando interesse per la cosa e ringraziando per la correttezza del nostro comportamento ci ha autorizzato di prelevare il resto delle ossa mettendole in sicurezza nella nostra sezione onde evitare possibili atti di vandalismo se non addirittura il furto. Descrizione delle ossa trovate Porzione d’Emimandibola dx e sn con denti canini Porzione di mascella con molare e premolari Denti vari Due vertebre Due ossa lunghe riferibili verosimilmente a radio e ulna Ossicino riferibile ad articolazione della zampa Questi reperti sono attualmente nel nostro Museo e rappresentano solo una piccola parte di ciò che è rimasto nella grotta dove sono, tra l’altro, riconoscibili: femore, omero,coste, vertebre, parti del cranio e altri segmenti scheletrici.

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Luca Ciolli Alessandro Mariotti Davide Trabalzini

Agosto 2006

In tre al Sasso Rosso Una cordata che non si legava insieme dai tempi del corso di alpinismo del 1992. Telefonata del Traba, e mi propone l’uscita. Accetto, faccio un paio di telefonate, una va a buon fine l’altra no. Alessandro e’ dei nostri. Cordata a tre. Ritrovo a Fucecchio alle ore 06,00. Partiamo per incontrarci col Traba che e’ già lì dalla sera prima, a Castelnuovo Garfagnana, per fare colazione. Il tempo e’ buono: è previsto solo qualche cumulo nel tardo pomeriggio, con probabili precipitazioni temporalesche. Saliamo in macchina dopo fatto colazione, direzione Passo delle Radici, Sasso Rosso. L’ambiente e’ unico, la visuale SSull V tiro i spazia dal mare all’Appennino, e spostando lo sguardo verso nord-ovest, emergono da un fitto bosco dalle varie tonalità di verde, le bellissime pareti calcaree della Pania di Corfino. Nel tragitto in auto, di circa venti minuti, abbiamo messo in ballo altre uscite per l’estate, vette più o meno alte, ascensioni su ghiaccio e roccia, e quanto di piu’ bello si possa immaginare. Arrivati al punto dove si lasciano le macchine, ci prepariamo, prendiamo il materiale suddiviso equamente, e raggiungiamo un boschetto in discesa, fino ad arrivare all’attacco della via, che non si tratta della classica dei Fiorentini, ma di una via moderna spittata sportiva, che si trova più a destra rispetto alla classica. Dopo una breve ricerca, la troviamo, ci imbrachiamo, scarpette ai piedi e via. Il primo tiro e’ di Davide, superato brillantemente: 35 metri circa. Recupero dei secondi di cordata. Arriviamo alla sosta gia molto entusiasti per il tipo di arrampicata che la roccia ci offre, e per l’ambiente unico, che fa pensare al Verdon. Individuato il secondo tiro, tocca a me, un bellissimo diedro protetto benissimo,

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D. Trabalzini arriva alla sosta del IV tiro

Dal Sasso Rosso verso l’Alto Appennino

30 metri circa. Ci muoviamo abbastanza bene e veloci, alternando i tiri di corda e senza trovarci mai in difficoltà. Praticamente una giornata da ricordare, cielo terso con scarsa presenza di umidità, temperatura ideale per qualsiasi cosa si voglia fare, ed ancora quei famosi cumuli che dovrebbero apparire nel pomeriggio, sono molto lontani. Continuiamo la nostra salita, ancora a tiri alterni, guardandoci intorno, per godere quello che la natura ci offre, ad ogni metro che saliamo, la vallata sotto di noi e’ sempre più affascinante, le pareti alle nostre spalle ci offrono uno scenario fiabesco, e con lo sguardo sempre più vigile scrutiamo le pareti circostanti per non farci sfuggire un eventuale planata dell’aquila. La giornata sta volgendo al termine, ancora tre tiri ci separano dalla cima. Penultimo tiro. Tocca a Davide, tiro molto interessante, che si snoda su di uno sperone esposto, con difficoltà abbastanza sostenute. La sosta e’ comoda ma esposta. Poco dopo arriviamo anche io e Alessandro, ma insieme a noi arrivano anche quei cumuli che dovevano presentarsi solo nel tardo pomeriggio. In lontananza si comincia a sentire rimbombare in tutta la valle il boato dei tuoni. Siamo preoccupati, Davide pensieroso comincia a contare per capire la distanza del temporale, ma non si capisce bene, a volte e’ vicinissimo altre si allontana, e nel frattempo cadono le prime gocce. Mi preparo e parto per l’ultimo tiro.Vado leggermente a destra, per affrontare un muro verticale, ma il rombo dei tuoni si fa sempre più forte e la paura aumenta. Dieci metri sotto di me su quella sosta esposta a tutte le intemperie Davide e Alessandro vedono la vallata illuminarsi al bagliore dei fulmini. Davide non conta più i secondi che ci separano dal temporale, ormai ci siamo dentro. Le saette nascono e muoiono da uno sperone all’altro della montagna. Davide e Ale mi imprecano di fare veloce a concludere il tiro, ma la paura aumenta e il muro verticale mi respinge. Tento un paio di volte ancora, poi decido di spostarmi ancora piu’ a destra per un canale erboso e fitto di alberelli di varie dimensioni. Non so se la decisione sia saggia ma sicuramente più veloce. Al primo albero buono mi fermo e faccio sosta. Recupero i compagni, ma da

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come vengono su veloci non faccio neanche in tempo a recuperare la corda, praticamente arrampicano con un lasco enorme, con un rischio di volo lunghissimo. Più veloci del pprevisto mi raggiungono. Li sciolgo velocemente, neanche si fermano, tirano dritto alla ricerca di un punto migliore per uscire. Davide e’ in testa: raggiunge la sommità sopra il canale e alla meglio ci assicura. Lo raggiungiamo, rifacciamo le corde e velocemente prendiamo il sentiero fra gli alberi che conduce alla macchina. Il temporale ormai sta dando il meglio di se, ad ogni passo che facciamo la ferraglia che abbiamo addosso, sembra faccia da richiamo ppiù che mai alle saette L’elettricità nell’aria aumenta, noi sempre più veloci usciamo dal sentiero alberato. A. Mariotti in arrampicata In lontananza si vede la macchina, ma il sentiero che ora percorriamo è brullo pieno di ometti alti perlomeno ottanta cm.(molto utili, sì, ma per quando non c’è temporale). Davide aumenta il passo già veloce, raggiunge la macchina e ci si catapulta dentro. Noi lo seguiamo a ruota, a malincuore (essendo sua la macchina) ci dice di salire su senza badare a niente. Chiudiamo gli sportelli. Siamo salvi.

D. Trabalzini sul primo tiro

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Andrea Lusini

Primo, anzi Diciannovesimo! e Vai!! Ora Vi faccio una domanda: secondo voi, chi sarebbe contento se gli dicessero che anziché essere primo è diciannovesimo? Uno sportivo appena giunto al traguardo? Oppure un alunno alla graduatoria per una borsa di studio? Oppure un lavoratore in lista per un salto di categoria? Gli esempi sarebbero infiniti. Alla fine di qualsiasi fatica, quando possiamo già gustarci il primo posto arriva il solito guastafeste di turno e ci dice: macchè primo, diciannovesimo; chi di noi non si arrabbierebbe? Eppure ci sono persone che gioiscono e molto. Saranno pazzi? Forse si, ma vediamo con ordine cosa è successo. All’interno della commissione speleologica della nostra sezione negli ultimi due-tre anni c’è stato un gran movimento per quanto riguarda poter fare un corso di speleologia di primo livello riconosciuto e omologato dalla Società Speleologica Italiana. Alcuni soci sostenevano l’esame per aiuto istruttore, grande impegno di reclutazione dei partecipanti a “marea” fino a che sembrava fosse tutto pronto l’anno scorso, con gli speleologi fiorentini che ci avrebbero dato una mano per poter svolgere il nostro primo corso di speleologia, (è vero, l’avevano promesso davanti a

Senza ulteriori commenti

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testimoni) in quanto a noi ci mancano a tutt’oggi almeno due istruttori. Poi una lunga serie di scambi di corrispondenza, i rapporti che diventavano sempre più tesi fino alla rottura e alle minacce. Il nostro gruppo testardamente, ma forse anche in maniera molto arrogante, portava comunque avanti un corso pirata in tutto e per tutto, assumendosi dei rischi altissimi, perché in caso di incidente ad un accompagnato ma forse anche peggio ad un accompagnatore, avremmo avuto la speleologia Toscana capitanata dai fiorentini, pronta a darci addosso in quanto ci avevano avvisato anche in via ufficiale di non fare corsi di nostra iniziativa non riconosciuti: in una parola illegali. Ma i proverbi rispecchiano sempre la verità e la fortuna che aiuta gli audaci non poteva non aiutare noi. Con coraggio, ma anche con grande professionalità è stato portato a termine senza inconvenienti un corso con delle uscite non propriamente semplici e al riparo da eventuali problematiche, anzi uscite in grotte di tutto rispetto per un corso. Poi un gran lavoro in inverno da parte di alcuni soci che instauravano un buon rapporto con gli speleologi del Gruppo Speleologico Archeologico Livornese, i quali di fronte alla nostra testardaggine, alle insistenti richieste di aiuto, e al numero di corsisti che siamo in grado di reclutare ogni anno, non hanno potuto che cedere e darci una mano. Per dovere di cronaca devo anche dire che altri gruppi, da me contattati personalmente dopo aver manifestato la loro disponibilità nel darci un aiuto facevano clamorosamente un passo indietro dopo essere stati a loro volta, diciamo, consigliati a farsi gli affari loro. Comunque, il corso di primo livello di speleologia (che quando uscirà il notiziario sarà ormai terminato) sarà effettuato insieme, noi con i livornesi, si terrà nei mesi di novembre e dicembre 2006 e vedrà le molte lezioni teoriche svolte un po’ nella sede dei livornesi e un po’ nella nostra sede. Dopo tante battaglie la Commissione Speleologica “L’OTTAVO NANO” riesce a fregiarsi del suo PRIMO corso di speleologia riconosciuto ed omologato dalla S.S.I. . A proposito, ho detto PRIMO? Nooo te lo ripeto, DICIANNOVESIMO, in quanto abbiamo assunto il numero progressivo della Scuola di Speleologia di Livorno. Ma noi siamo contenti lo stesso, anzi.

Il primo montanaro ... “Quando sei ad un bivio e non sai quale strada scegliere, prendi sempre quella in salita” Seneca

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Andrea Lusini

Zero in condotta Tutto cominciò un venerdì sera presso la nostra sede, quando il Sani ci raccontò di un arrivo d’acqua dall’alto che proveniva da una grande galleria presso la grotta “buca della condotta”. Presi da immane curiosità preparammo subito l’uscita esplorativa. Era il nove maggio 2004 e nove (dico nove) di noi armati di tutto punto partimmo con grandi progetti in mente e le gallerie nuove già disegnate nell’immaginario. Con le indicazioni che Giancarlo ci aveva fornito non fu difficile individuare l’ingresso anche perché bello ampio. Strano, ci aveva parlato di strettoia subito all’ingresso. Imbocchiamo la grande galleria in lieve discesa e subito si nota che chiude in fondo. Sarà un sifone, mi abbasso, striscio, c’è fango, forse è un sifone. No chiude. Da dove si entra? Notiamo un piccolo buchetto sulla parete sinistra a circa 2 metri dal suolo e con qualche difficoltà ci infiliamo ad uno ad uno. Con il passare dei metri il cunicolo non si allarga, anzi diventa sempre meno agevole. Comincia ad andare in discesa e ci dobbiamo girare ma come fare? Un piccolo buchetto dove infilare le gambe, movimenti degni di un contorsionista e via giù in discesa. Strisciamo a pancia sotto all’indietro senza sapere dove andare ma saggiando con le gambe il passaggio: Il pavimento in discesa è formato da una serie ininterrotta di vaschette di traboccamento piene d’acqua; quando dopo diverse decine di metri riusciamo a rimetterci in piedi siamo completamente fradici. Non sappiamo dove andare, e ci infiliamo in un buchetto che faceva sembrare quello appena passato un’autostrada. Molti, molti metri di cunicolo strettissimo e poi via verso il fondo della grotta fino al sifone finale. Sulla via del ritorno troviamo una sala alla base di un pozzo con arrivo d’acqua dall’alto ma non sembra essere il pozzo descrittoci dal Sani. Decidiamo alla prossima uscita di portare materiale per arrampicare artificialmente quel pozzo. Ecco un riassunto delle esplorazioni tratto dal libro della commissione speleologica “speolo” 27/06/2004 partecipanti: 6 Decisi come non mai a risalire quell’arrivo d’acqua abbiamo acquistato un trapano a batteria meraviglioso. In qualche ora siamo in cima, ma quella che sembrava essere una galleria promettente altri non era che la base di un ulteriore pozzo molto alto ad occhio oltre 30mt. Decidiamo di lasciare armato e concentrarci sull’altro pozzo che cominceremo a chiamare il “pozzo del Sani”. 11/07/2004 partecipanti: 5 Esplorazione del “pozzo del Sani” A.Lusini sale in artificiale fino a quella

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che sembrava essere una prosecuzione, invece si rivelava una grossa nicchia. La salita avveniva sotto forte cascata d’acqua tanto che abbiamo dovuto usare l’impianto di illuminazione a batterie. Per il freddo siamo dovuti tornare indietro. Per quel poco che si riusciva a vedere guardando in alto sembra che ci sia una prosecuzione circa 10mt più su. 14/11/2004 partecipanti: 4 Continua l’esplorazione, purtroppo ci sono stati dei litigi e alcuni degli esploratori se ne vanno. Alcuni non torneranno più in quella grotta. (tanto eravamo rimasti in molti!) 08/12/2004 partecipanti: 4 Non è stato possibile continuare l’esplorazione per la troppa acqua che proveniva dall’alto, in più c’era molta acqua anche in altre zone della grotta. Usciti per il freddo 17/07/2005 partecipanti: 3 Ci rechiamo in fretta al primo pozzo salito per disarmare e portare via la corda, ma un errore di valutazione dell’altezza del pozzo ci fa desistere. Andiamo al pozzo del Sani e visto che c’è poca acqua saliamo tutti e tre sul terrazzo salito in precedenza da Lusini e da li P.Billeri inizia una spettacolare risalita. Viene giù poca acqua e stavolta ci consente di guardare in alto per poter scegliere la via migliore per salire. Billeri sale fino a che Lusini e Cerri lo fermano perché è finita la corda da 40 m. Comunque il freddo che attanagliava Lusini e Cerri fermi su un piccolo terrazzino, sotto l’acqua per alcune ore avrebbe messo la parola fine alla risalita anche avendoci avuto altra corda. Avevamo anche finito la luce. Siccome tutta la corda era stata piazzata per la risalita, abbiano dovuto disarrampicare per 6 – 7 metri e visto il freddo, i crampi e la poca luce rimasta non è stato un scherzo. Siamo usciti distrutti. 12/03/2006 partecipanti : 6 Giornata fredda ma bella. La marmitta sul torrente proprio sotto all’ingresso è piena d’acqua: un segno premonitore? Fuori incontriamo i Pistoiesi con un uscita di precorso i quali non avendo gli imbrachi si trovano in difficoltà per far salire i loro ragazzi. Noi stracarichi di materiale non abbiamo difficoltà a montare una corda fissa per farli passare. All’interno c’è molta acqua tanto che siamo arrivati sotto il pozzo del Sani completamente fradici. Dal pozzo viene giù una grossa cascata tanto che è impossibile perfino fare delle riprese video da parte di Lusini. Orazietti intanto provava a salire per vedere se in alto la situazione migliorava. Impossibile proseguire. Abbiamo avuto problemi per uscire e per raggiungere le auto a causa del freddo intenso. 09/07/2006 partecipanti: 5 Entriamo e nonostante l’attrezzatura siamo veloci a raggiungere il pozzo del Sani. Si sale fino a dove era arrivato Billeri. Da lì lo stesso Billeri attrezza una sosta e parte con l’arrampicata. Va su bene, la galleria continua leggermente inclinata. Dopo molti metri la conformazione della roccia cambia, diventa un conglomerato ciottoloso e nonostante l’attenzione che mette nel proseguire sia Lusini che Verri vengono colpiti da sassi di piccole dimensioni ma che procurano

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un gran male alle mani intorpidite per il freddo e per l’immobilità: siamo appesi a forse trenta metri di altezza ormai da diverse ore: Billeri pianta un fix nell’ultima parte di roccia “buona” e ridiscendiamo: nonostante tutto siamo contenti, la grotta continua, e con queste premesse e gli ultimi avanzamenti la prossima uscita ci porterà in quel ramo superiore di gallerie che fortemente immagino nella mia testa ormai da oltre due anni. La gloria è vicina. Settembre 2006 partecipanti: 3 Le viperacce aspettano che io vada in ferie per andare alla Condotta e fregarmi la scoperta. Purtroppo dopo altri metri di dura salita anche quella che sembrava essere una prosecuzione chiude in strettoia. Non posso aggiungere altro perché non ero della spedizione. Voglio comunque ringraziare chi mi ha dato una mano in tutto questo tempo, da chi, viste le difficoltà (e quindi a ragione) è venuto una sola volta a chi non si è perso un’uscita. E’ stato comunque bello, ci siamo divertiti molto, abbiamo fatto delle mangiate da Calorino esagerate: un solo rammarico non aver filmato quel pozzo che così tanto ci ha fatto soffrire. Adesso la grotta è stata completamente disarmata. Non è stato effettuato neanche il rilievo. ZERO IN CONDOTTA.

Vittorio Santini

La Ballottata “Ballottata” è parola goffa; chi si intende di lingua italiana dice che è onomatopeica perché nel pronunciarla si avvicina al suono di ciò che definisce; in effetti ricorda il rumore delle castagne che cuociono nell’acqua della pentola. Noi abbiamo denominato Ballottata il tradizionale pranzo sociale che costituisce l’occasione di premiare soci meritevoli o venticinquennali alla presenza anche di numerosi partecipanti che soci non sono; proprio perché parola antica che evoca atmosfere casalinghe di inverni lontani, con famiglie raccolte attorno al focolare o alla più moderna cucina economica a legna, quando raccogliamo le prenotazioni ci aspettiamo di sentirci dire: alla ballottata portaci tua nonna! Per darle un nome al passo dei tempi pensavamo di chiamarla “Sbruciacchiata”, ma è termine che ricorda più qualcosa di rimasto troppo a lungo sul fuoco piuttosto che un boccone gustoso da mangiare, più la fucina di un fabbro che una portata di fine pranzo; “Pranzo dei Marroni” sarebbe troppo restrittivo e sa di raduno leghista; “Festa delle Castagne” forse è sufficientemente attuale, vagamente ambientalista, profondamente naturista ed a qualcuno può far credere che a fine

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Da Firenzuola D Fi l verso B Badia di di Moscheta M h t

pranzo gli offriremo pure una bella coppetta di marron-glacés affogati nel rum e nel caffè. Comunque sia, anche quest’ anno la Ballottata l’abbiamo fatta. Siamo andati a Firenzuola in pullman ed alla Badia di Moscheta a piedi. Per la verità non tutti sono arrivati a Moscheta con le loro gambe. Il popolo del CAI comprende anche chi per età o per condizioni di salute non è in condizione di fare lunghe camminate, ma trova ancora piacere nel sentirsi parte di un gruppo, nell’ ammirare un bel panorama dai finestrini di un autobus, nell’assaporare quei piatti che nei ristoranti di montagna trovano le migliori condizioni per essere gustati. Chi ha fatto il percorso a piedi ha beneficiato di buone condizioni atmosferiche, anche se non ha potuto vedere cervi e daini, come capita frequentemente, costeggiando la rete di recinzione della locale azienda venatoria. Coloro che invece sono andati a Moscheta in pullman hanno visitato il Museo dell’ Appennino accompagnati ed edotti da una guida, che ha trasmesso alla comitiva, oltre alla propria competenza professionale, tutto il proprio amore per quei luoghi dove ha vissuto ed a cui è intimamente legata. Badia di Moscheta è un luogo mistico che suggestiona per il silenzio, per l’ isolamento, per l’ atmosfera intima e raccolta, per il verde degli alti abeti e per il gorgheggiante scorrere del ruscello. Tale nutrimento spirituale ha evidentemente stimolato anche l’ appetito fisico, tanto che al ristorante Contessa Lina, di Firenzuola, dove siamo tornati per il pranzo, tutti hanno dato prova di apprezzare i buoni piatti del cuoco Stefano: dagli antipasti toscani alle caldarroste, passando per polenta ai funghi, pappardelle ed arrosto. Il pomeriggio in trasferta si è concluso con una breve visita al castello, in fase di restauro, facente parte della stessa azienda venatoria. A completare la giornata è mancata invece la premiazione dei soci: non c’ è stato nessuno da festeggiare per i venticinque anni di iscrizione al CAI ed è mancato, per motivi di famiglia, pure il socio Luca Ciolli al quale era stata dedicata una targa di riconoscimento per aver promosso e curato la gestione della biblioteca di sezione. Lo spirito della gita era comunque di riunire attorno ad una tavola imbandita, luogo dove tutte le organizzazioni fanno tappa nei momenti celebrativi, le varie anime del CAI: giovani alle prime esperienze ed anziani che hanno provato tutto, chi va in grotta e chi sale in parete, chi sostiene il CAI dall’ interno e chi ne ammira i valori dall’ esterno, chi sogna un futuro e chi racconta un passato. Quel giorno a Firenzuola eravamo in molti. Forse ci siamo riusciti !

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Massimo Borsini

Augusto É più di un anno che è morto Augusto Allegri ma il suo ricordo è ancora molto vivo e anzi mi rendo conto sempre più di aver conosciuto una persona davvero speciale. La sua passione per la montagna e l’alpinismo risale fino dall’adolescenza, ma per vari motivi Augusto non si era mai potuto confrontare con questo mondo con il risultato che col passare degli anni si era creato la convinzione che per andare in montagna occorressero doti quasi da superuomo, convinzione che penso sia stata alimentata dalla letteratura di montagna dei suoi idoli giovanili che parlava di fatiche sovrumane, pericoli e, troppo spesso, di tragedie. Quando si è lasciato convincere a provarci è esplosa tutta la sua passione e determinazione per conoscere meglio questo mondo affascinate che aveva sempre e solo sognato. Io ho avuto il grande piacere e privilegio di aiutare a crescere alpinisticamente questa persona che nel giro di pochi anni era passata dalla prima soffertissima salita alla Pania della Croce alla salita del Monte Bianco (massima elevazione d’Italia e d’Europa) condotta con una sicurezza e determinazione che ricordo mi lasciò abbastanza sorpreso. In montagna ringiovaniva letteralmente e meravigliava tutti per l’entusiasmo e la grinta uniti ad una umiltà verso l’ambiente e i compagni di escursione che non ti aspetteresti da una persona che nel sociale e nel mondo del lavoro aveva raggiunto traguardi assoluti. Standogli vicino ho conosciuto un uomo dall’intelligenza profonda che sapeva illuminarti sulle cose più pratiche e terrene come sugli aspetti più nascosti dei sentimenti e delle emozioni. Ciao Augusto è stato molto bello fare un po’ di strada assieme.

Ps. Se vedi Paolo salutalo per me…..

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Giovanni Morichetti

La compagnia più eterogenea del mondo Così ho pensato nel momento in cui ho riletto l’elenco dei nominativi che mi avevano dato la loro disponibilità. Fino ad un mese dalla partenza avevo solo una decina di adesioni di cui almeno la metà incerte: mio figlio Diego che per l’occasione avevo nominato ‘accompagnatore’ in quanto anche lui conoscitore dei luoghi, Carla e Carlo, Paola e Fabio, Andrea, Franca, Piero, Corrado ed io. Sinceramente ero un tantino dispiaciuto del fatto che nessun altro dei miei amici e compagni di tante escursioni avesse potuto aderire; d’altra Cresta C t Nord N d -Monte M t Priora Pi (Monti (M ti Sibilli Sibillini) i) parte gli impegni familiari non si possono mettere in discussione e poi le previsioni meteo erano pessime. Il mio disappunto era duplice: i miei compagni di sempre non avrebbero contribuito né ad innalzare il numero, né a collaborare per la riuscita della gita, nonostante vecchie sollecitazioni verso me per proporre i Monti Sibillini. Stranamente negli ultimi quindici giorni antecedenti la partenza sono pervenute parecchie richieste che assolutamente non mi sarei aspettato. L’unico aspetto che al momento ho valutato negativamente è stato il fatto che dei 23 partecipanti almeno 15 mi erano totalmente sconosciuti: c’era perfino una ragazza iscritta al Cai di Pistoia di madrelingua tedesca, mai vista prima. Finalmente si parte: si fa per dire, visto che Paola e Fabio erano partiti il giorno prima, in dieci capitanati da Gerry e Paolo sono arrivati il giorno dopo, mentre solo in undici siamo invece partiti in perfetto orario. Arrivati presso l’agriturismo che ci avrebbe ospitati, come da previsioni abbiamo trovato una stagione stile invernale con pioggia, nevischio e temperature appena superiori allo zero, abbiamo acceso il riscaldamento; era la sera del 1° Giugno

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2006. Le escursioni, iniziate sempre con tanta frenesia, sono state ogni volta interrotte: quando da una bufera di neve, quando da neve troppo profonda o da visibilità uguale a zero. E’ ancora ben impresso nella mia mente il ricordo della discesa in macchina con catene da neve montate, fortuna che le avevo nel baule dell’auto, dal rifugio M o n t e Sibilla a quota 1540 ai circa 900 del nostro agriturismo, a causa della neve appena Lago di Pilato scodellata mentre abbiamo passato una mezzora a pranzo nel rifugio in quota. Questo per coloro che non hanno invece scelto di andare visitare la città di Ascoli Piceno o le grotte di Frasassi o altro. Tutto ciò farebbe veramente presupporre ad una comitiva veramente eterogenea come preannunciato, se non fosse perché queste persone che alla sera si ritrovavano presso l’agriturismo oltre che dimostrare una grande capacità di comunicazione e tanta voglia di stare in compagnia, hanno messo in luce ciascuno il meglio di sé da far dimenticare non solo le disavventure della giornata, ma da farle apparire invece delle stupende situazioni. Il tutto condito con la qualità del ristorante (Enrico), la professionalità della cameriera (Sig.ra Paola), la disponibilità del proprietario (Pippo) e la straordinaria quanto selvaggia bellezza dei luoghi dell’escursione del terzo giorno, che puntualmente ci ha regalato il sole, ha trasformato una gita di tre giorni iniziata sotto auspici estremamente sfavorevoli in una occasione straordinaria, al punto che ci siamo dati appuntamento al 2008 che ci riserverà nuovamente tre giorni consecutivi per il ponte del 2 Giugno. E’ un appuntamento per tutti, escluso il maltempo. Dall’organizzatore grazie per avere partecipato ma soprattutto per avere contribuito a trasformare un inutile fine settimana di maltempo in una occasione dove 23 persone con pochi legami fra loro e molte risorse umane hanno saputo star bene insieme e divertirsi alla faccia di tutte le previsioni.

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Escursioni

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contatti

Programma escursionistico 2007

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1684!769:4: 1682!71:5:3 1682!353229 1682!7843:2 1682!33864 458!4275131 1682!:33318 1682!:42629

E:escursionisti EE:escursionisti esperti EEA:escursionisti esperti attrezzati T:turisti SP:itinerario speleologico TR:itinerario torrentistico

Nbsmjboj!Qbpmp Npmmpwb!Ubojb Npsjdifuuj!Hjpwbooj Psb{jfuuj!Boesfb Tbcbujoj!Nbsdfmmp Tboj!Hjbodbsmp Tboujoj!Wjuupsjp Vmjwjfsj!Jtbcfmmb

1684!9426: 458!42467:2 479!567334 459!4:73457 1682!3117: 1682!:35281 446!2318816 1682!54336

Gli interessati alla gita sono invitati a prendere contatti con la sezione o con il referente, in anticipo sulla data prevista

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Quando le montagne si disegnavano

(disegno di M. Tirinnanzi, 1975)

sezione sezione

Giacomo Toni

valdarno inferiore


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