Vermeer. Il secolo d’oro dell’arte olandese

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VERMEER

Il secolo d’oro dell’arte olandese

a cura di Sandrina Bandera Walter Liedtke Arthur K.Wheelock, Jr.




Gerard ter Borch (1617-1681)

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Donna che beve vino 1656-1657 circa Olio su tela 38 29 cm New York, collezione privata Provenienza: Leonardus Pieter de Reus [m. 1860], L’Aia, inv. 31; collezione venduta in blocco al barone Anselm von Rothschild (1803-1874), Vienna, 25 maggio 1845; probabilmente il figlio, Nathaniel von Rothschild (1836-1905), Vienna; per successione al barone Alphonse von Rothschild, Vienna; Führermuseum, Linz, inv. 38:291; restituito alla baronessa Clarice von Rothschild, vedova di Alphonse von Rothschild, 5 dicembre 1947; [mercato dell’arte, Londra, entro il 1955]; Mrs. Sonia P. SeherrThoss (1919-2006); (sua vendita, Sotheby’s, New York, 26 gennaio 2007, lotto 125 [come “attribuito a Ter Borch”]); da qui acquistato dall’attuale proprietario. Bibliografia: Hofstede de Groot 1907-1927, 5 (1913), p. 36, n. 88 (descritto come “bella opera, replica di 80 (Frankfort) [sic]”, firmata con monogramma, dimensioni indicate in 14 14 1/2 pollici); Gudlaugsson 1959, 2, p. 138, cat. 125a; Krempel e Beck 2005, pp. 64-69 passim (discussione del dipinto di Francoforte).

erard ter Borch fu uno dei più influenti ritrattisti e pittori di genere della Golden Age olandese, famoso per aver raffigurato con grande sensibilità gli esponenti più raffinati della società del suo tempo. Nato a Zwolle, dove studiò con il padre, Gerard ter Borch il Vecchio (1584-1662), il giovane artista completò la sua formazione in altri centri, quali Amsterdam, Haarlem e Londra. Visitò anche l’Italia, la Spagna, la Francia e le Fiandre. Nel 1653 era a Delft, dove firmò congiuntamente a Johannes Vermeer (1632-1675) un affidavit attestante che i due artisti si conoscevano all’inizio della carriera di Vermeer. Nel 1654 Ter Borch si sposò e si stabilì a Deventer, dove trascorse il resto della sua vita. In questo dipinto, eseguito poco dopo il trasferimento a Deventer, è raffigurata una giovane donna seduta a un tavolo di legno e intenta a sorseggiare del vino da un bicchiere che tiene delicatamente tra le dita della mano sinistra, mentre con l’altra mano stringe il manico di una brocca di ceramica. Il tappeto che copre il tavolo è stato scostato per far posto a un calamaio di metallo e a un foglio di carta. Come tanti altri dipinti di Ter Borch, maestro della sottigliezza e della giocosa ambiguità, la scena che abbiamo di fronte suscita delle domande. I segni della piegatura potrebbero indicare che la donna sta leggendo una lettera che ha appena ricevuto, ma il foglio sembra bianco; o forse sta bevendo per farsi forza prima di scrivere una lettera particolarmente difficile? In un caso o nell’altro, il letto a baldacchino alle sue spalle chiarisce che deve trattarsi di una lettera d’amore. Quello di una donna che cerca forza, conforto o sollievo in un bicchiere di vino è un tema che Ter Borch ha esplorato in diversi momenti della sua parabola artistica. La Donna che beve vino con un soldato addormentato, eseguita un anno o due dopo la Donna che beve vino, è raffigurata in una posa quasi identica, ma seduta davanti al camino e in compagnia di un uomo pesantemente addormentato sul tavolo1. Con la testa rovesciata indietro per raccogliere le ultime gocce dal bicchiere, ha un’aria frustrata e piuttosto contrariata per il torpore che ha colto il suo compagno. La Donna che tiene una lettera di Helsinki ha invece un’espressione intensa, di profonda malinconia: gli occhi sono umidi e un po’ gonfi, a suggerire che la missiva che ha in mano reca notizie tristi e che lei beve del vino per lenire il suo dolore2. La modella che ha posato per questa Donna che beve vino somiglia a Gesina, l’amata sorellastra di Ter Borch, che compare spesso nei suoi quadri; è stato ipotizzato che tra la sua vita personale e il contenuto di questo e di altri dipinti dal tema simile possa esistere qualche relazione. Intorno al 1650 Gesina era legata da stretta amicizia a Hendrik Jordis, mercante e poeta di Amsterdam; non è dato sapere se si trattasse di un’amicizia romantica, ma pare che all’inizio del decennio successivo si fosse deteriorata. Nell’album di poesia che compose tra il 1652 e i primi anni del decennio seguente, Gesina (che non si sposò mai) inserì un componimento sulla delusione amorosa e sull’effetto consolatorio del vino, che è stato citato spesso a proposito dei dipinti di Ter Borch raffiguranti donne che bevono vino e leggono o scrivono lettere:

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Crudele Venere, fonte di ogni sofferenza Io ti esilio e ti bandisco dal mio cuore Perché non porti altro che triste dolore Vattene, amore voluttuoso. Io ti scaccio dai miei sensi E trovo conforto nel vino3. Quella qui presentata è una seconda versione di un altro dipinto di Ter Borch conservato allo Städelschen Kunstinstitut di Francoforte4. Semplice ma eloquente, la composizione è una tra le più amate dell’artista: Gudlaugsson elenca almeno una dozzina di copie del dipinto di Francoforte. Tra le due opere vi sono delle piccole differenze, come la posizione della testa della giovane donna, che qui è più dritta; nella versione di Francoforte la fanciulla sembra sprofondare il naso nel bicchiere, acquistando un’aria mite, quasi sottomessa. Inoltre, il dipinto in mostra lascia maggiormente vedere il rigonfiamento della gamba del tavolo in basso a destra, mentre la sommità del baldacchino sullo sfondo è tagliata. MEW

Gerard ter Borch, Donna che beve vino con un soldato addormentato, 1658-1659 circa, olio su tela, 39 34,5 cm, collezione privata; Gudlaugsson 1959, 2, pp. 158-161, n. 146. 2 Gerard ter Borch, Donna che tiene una lettera, 1665, olio su tela, 38 34 cm, Helsinki, Sinebrychoff taidemuseo, inv. A II 1531; Gudlaugsson 1959, 2, pp. 186-187, n. 190. 1

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In Gesina ter Borch, Papiere Laurekrans (Amsterdam, Rijksprentenkabinet, inv. 1890, p. 83 recto); cfr. Kettering 1988, 2, pp. 461, 573; e Sutton et al. 2003, p. 106. 4 Gerard ter Borch, Donna che beve vino, 1656-1657 circa, olio su tela, 37,5 28,7 cm, Francoforte, Städelschen Kunstinstitut, inv. 1055; Gudlaugsson 1959, 2, pp. 138-140, n. 125. 3



Hendrick van der Burch (1627-1665 o più tardi)

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Donna con un bambino1 che fa le bolle di sapone in giardino 1660 circa Olio su tavola 59,2 49,7 cm Iscrizione (falsa): P. de Hoogh Zurigo, Kunsthaus Zürich, The Betty and David M. Koetser Foundation Provenienza: H. ter Colville, Bristol; [Colnaghi, Londra, 1929]; Sir Harold A. Wernher; [David M. Koetser, Zurigo]; Kunsthaus Zürich, The Betty and David M. Koetser Foundation, Zurigo. Bibliografia: Liedtke et al. 2001, n. 12.

l padre di Van der Burch, commerciante di candele, trasferì la famiglia dal villaggio di Naaldwijck, vicino all’Aia, a Voorburg e poi a Delft prima del 1642, quando Hendrick è menzionato per la prima volta in quella città. Egli si formò probabilmente a Delft, dove entrò nella gilda dei pittori nel 1649. Il 5 agosto 1652 fece da testimone per un testamento insieme a Pieter de Hooch; questa è la prima attestazione della presenza a Delft dell’artista di Rotterdam. La donna di Delft che De Hooch sposò nel 1654, Jannetge van der Burch, era quasi certamente sorella o sorellastra di Hendrick. Nel settembre del 1655 Van der Burch si trovava a Leida, dove durante l’autunno si sposò. Entro il maggio del 1659 la famiglia si era trasferita ad Amsterdam, ma due anni dopo l’artista è menzionato ancora a Leida. Infine, nel 1664 saldò quanto doveva alla gilda dei pittori di Delft, ma non sempre l’appartenenza a una corporazione indica la residenza in quella città. L’ultimo documento noto su Van der Burch risale al 1666 e registra la nascita di suo figlio a Leida. Di questo artista si conosce circa una dozzina di opere, nessuna delle quali è datata; in ogni caso, esse sono talmente vicine alla maniera di De Hooch che – oltre ad aver provocato in passato problemi attributivi – permettono di seguire facilmente l’evoluzione del loro autore. Anche se Van der Burch è di due anni più anziano, le poche scene di corpo di guardia di sua mano che si conoscono, risalenti agli anni cinquanta del Seicento, dipendono da quelle di De Hooch e dalle sue fonti (cfr. la disamina in cat. 15). Van der Burch è un pittore più debole, che a quanto pare cercò di compensare tale debolezza con l’animazione delle pose (alcune delle quali sembrano mutuate da De Jongh) e con notevoli effetti di luce. La tranquilla Donna con una brocca in cortile (Krannert Art Museum, University of Illinois) e un dipinto simile (mercato dell’arte, 1935) devono invece risalire agli anni 16581660 e ricordano molto le quiete vedute dei cortili e degli stretti passaggi di Delft di De Hooch, specialmente quelli con piccole case di mattoni viste da dietro2. Un ufficiale e una donna in piedi, dipinto intorno al 1665 (Philadelphia Museum of Art), è ambientato in uno degli interni domestici di Amsterdam cari a De Hooch, con pareti di cuoio dorato, pavimento di piastrelle e finestre che tentano di mitigare l’impressione dell’interno di una scatola da scarpe in una confezione regalo3. La tavola di Zurigo è una delle opere più belle di Van der Burch. Eseguita probabilmente intorno al 1660, è in buona parte tributaria di una scena in giardino di De Hooch del 1658-1660 (collezione privata), ma presenta uno spazio e un’atmosfera più intimi. Il tenero incontro tra la donna e il bambino richiama altre opere del periodo di Delft di De Hooch, come La camera da letto (cat. 18). Poco importa che Van der Burch avesse ormai lasciato Delft: gli artisti si spostavano facilmente da una città all’altra, e in questo caso particolare i legami di parentela offrivano loro un motivo in più. Come nella produzione di De Hooch, lo stile del dipinto, con la piacevolezza del suo cromatismo e delle sue tessiture e il semplice senso dell’ordine, evoca un mondo privato di agio e armonia. La bolla di sapone fluttuante nell’aria e i fiori rigogliosi ci ricordano che la vita è breve e fragile. Si potrebbe pensare che il significato del dipinto, se ve n’è uno, si sposi bene con l’atmosfera del soggetto e che abbia contribuito a trascinare l’osservatore maschile in questa visione di una casa ideale. WL

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1 Non sappiamo se si tratti di un bambino o di una bambina, perché l’uso di vestire i più piccoli in modo molto simile non permette di individuarlo. Cfr. Ekkart e Bedaux 2000,

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pp. 78-82. 2 Cfr. Sutton 1980a, p. 323, figg. 48, 49. 3 Ivi, pp. 323-324, fig. 53.



Gerrit Dou (1613-1675)

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Donna al clavicordo 1665 circa Olio su tavola 37,7 29,8 cm Londra, Dulwich Picture Gallery, per concessione dei Trustees of Dulwich Picture Gallery Inv. DPG 56 Provenienza: forse Johan de Bye, Leida (1665), n. 2; Forse Issenghien (1754); Compte de Dubary (vendita, Parigi, 21 novembre 1774, n. 30); Principe de Conti (vendita, Parigi, 8 aprile 1777, n. 325); Paul Benfield (vendita, Londra, 30 maggio 1799, n. 64); Noel Desenfans (vendita, 18 marzo 1802 [acquistato alla]); per lascito a Peter Francis Bourgeois (1807); lascito Bourgeois, 1811. Bibliografia: Baer 1990, n. III; Beresford 1998, n. 56; Wheelock 1995b, p. 202; Sluijter 1991, p. 59, n. 105; Baer et al. 2000, pp. 124-125, cat. 30.

eduta oltre un’ampia arcata di legno che definisce il registro superiore del dipinto e oltre un grande arazzo appeso che nasconde gran parte dello scuro interno della stanza, una giovane donna guarda in direzione dell’osservatore mentre suona il clavicordo. La luce che entra dalla finestra aperta le illumina il volto e la figura, per poi passare alla stanza e cadere sulla viola da gamba appoggiata a un tavolo, su un libro di musica e un bicchiere di vino semivuoto posati su di esso e su un grande bacile, da cui spunta un tralcio di vite, che tiene fresca una brocca di vino. In alto, nella zona d’ombra al di sopra della donna, pende una lucida gabbia per uccelli con lo sportello ben chiuso. L’artista non ha scelto a caso questi elementi del suo capolavoro, ma li ha introdotti per trasmettere un’atmosfera e un messaggio. In realtà il modo in cui l’arazzo è tirato indietro possiede tutte le caratteristiche di un tableau vivant; possiamo persino immaginare il momento in cui esso viene scostato per rivelare questa scena suggestiva. Il tema del dipinto è il desiderio d’amore e compagnia. Nell’arte olandese questo messaggio è espresso attraverso la musica, in modo particolare quando un musicista è raffigurato accanto a uno strumento incustodito, in attesa di mani disposte a suonarlo. Un popolare emblema dell’epoca descrive come le corde di uno strumento risuonano in quelle di un altro, e proprio questo è il concetto sotteso alla scelta degli elementi che Dou raffigura nella sua composizione. In particolare il clavicordo era uno strumento associato all’amore. Scrive un poeta olandese: “Impara a suonare il liuto, il clavicordo. Le corde hanno il potere di accarezzare il cuore”1. Il ruolo del vino nelle vicende amorose non ha bisogno di spiegazioni, tanto meno per un pubblico italiano. Le implicazioni della gabbia sono invece meno evidenti per l’osservatore contemporaneo rispetto a quanto lo fossero nell’Olanda del Seicento, quando questo motivo era un altro dei preferiti della tradizione emblematica. Una gabbia chiusa rappresentava il desiderio di un rapporto d’amore premuroso, che offrisse sicurezza ponendo dei limiti, contrapposto alla libertà rappresentata dallo sportello aperto2. Il fascino di questa immagine si estende alla resa meravigliosamente dettagliata dei diversi materiali che è la cifra stilistica di Dou. L’artista sa rendere la pelle sottile, quasi trasparente, del volto della fanciulla, i delicati riccioli biondi che lo incorniciano, la superficie liscia del legno di una viola da gamba e la differenza fra la trama e l’ordito del grande arazzo. Al di là di tanta abilità, comunque, Dou ha una sensibilità assai spiccata per i modi in cui la luce riempie uno spazio, infondendogli vita e calore. Nel XVII secolo queste qualità gli assicurarono la fama e indussero numerosi artisti a emulare la sua maniera di dipingere e le sue scelte tematiche. AKW

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Westerbaen 1672, 2, p. 721, dalla traduzione inglese di Christopher Brown in Brown 1976, n. 32. Cfr. anche Baer et al. 2000, n. 30. 2 Cfr. Hooft 1611, pp. 66-67, con il motto: “Voor vryheyt vaylicheyt” (“In cambio di libertà, sicurezza”). 1

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Pieter Janssens Elinga (1623 – ante 1682)

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Interno con gentiluomo, donna che legge e cameriera 1670 circa Olio su tela 83,7 100 cm Iscrizione illeggibile in basso a sinistra Francoforte sul Meno, Städelsches Kunstinstitut und Städtische Galerie Provenienza: Paulus van Romondt, Kampen; Van Romondt De Vries (vendita, Amsterdam, 11-14 maggio 1835, n. 11); JeanJacques-Marie Meffre, Comte de Morny [m. 1865], Parigi; Comte de Morny (vendita, 25-26 febbraio 1845, n. 43); Charles Piérard, Valenciennes; Piérard (vendita, Escribe, Parigi, 20-21 marzo 1860, n. 28); Madame Blanc (vendita, Oudart, Parigi, 1 maggio 1876); Stephan e Caspar Bourgeois, Francoforte [prima del 1878]; acquistato dal museo come Pieter de Hooch il 18 dicembre 1878. Bibliografia: Sander e Brinkmann 1995, p. 37, ripr.; Kersten et al. 1996, pp. 186, 189, ripr.

a suggestione di questo interno caratterizza l’essenza della visione artistica di Pieter Janssens Elinga, che evoca l’isolamento psicologico di individui che condividono lo stesso spazio fisico1. Mentre una cameriera spazza tranquillamente l’elegante pavimento di marmo, la padrona di casa siede a un tavolo all’estremità opposta della stanza: qui c’è un mondo concluso in se stesso, reso ancora più privato dalle imposte in basso, chiuse, delle finestre sulla parete di fondo. Immersa nella lettura, la donna volge le spalle all’osservatore, il volto nascosto dall’ampia cuffia che le copre la testa. Il padrone di casa, anch’egli di spalle rispetto all’osservatore, sta per conto suo in un’altra stanza, visibile al di là della porta. Questa stanza, che dà sulla strada, potrebbe essere l’ufficio, dove il marito riceveva i clienti e conduceva gli affari. Janssens Elinga crea l’atmosfera suggestiva di questa scena sia grazie al trattamento dello spazio e della luce che caratterizza il suo stile, sia attraverso gli atteggiamenti delle figure: come queste coesistono armonicamente pur rimanendo entità separate, così fanno le finestre, le porte, i mobili e i quadri, le cui forme individuali risaltano nettamente sulle pareti imbiancate e sul pavimento di marmo. Janssens Elinga vivacizza la tranquilla sobrietà di questo ambiente spazioso e ordinato con affascinanti effetti ottici che mostrano come l’inaspettato entri sempre nella vita, facendola vedere da angolazioni nuove e impreviste. Qui lo specchio crea forme oblique che si contrappongono alla regolarità delle finestre; un raggio di luce che cade sul pavimento ne annulla il motivo decorativo; l’angolo d’ombra sulla parete laterale e l’immagine rifratta della sedia sulla parete di fondo creano forme distorte, quasi spettrali nella regolarità geometrica vagamente opprimente della stanza. Pur essendo nato a Bruges, verso la metà del secolo Pieter Janssens Elinga viveva a Rotterdam, dove si ispirò alle scene di genere di Ludolf de Jongh (1616-1679), Pieter de Hooch (1629-1684) e Jacob Ochtervelt (1634-1682). Intorno al 1653 si trasferì ad Amsterdam, dove fu attivo per il resto della sua carriera. Le caratteristiche essenziali dei suoi interni, in particolare la presenza di una seconda stanza vista attraverso una porta aperta, sono molto vicine agli spaziosi ambienti dipinti da De Hooch dopo il trasferimento ad Amsterdam, intorno al 1660. E infatti nel 1878, quando fu acquistato dallo Städelsches Kunstinstitut und Städtische Galerie, questo dipinto era attribuito a De Hooch, allora conosciuto assai meglio di quanto fosse Janssens Elinga. Non solo vi era stata apposta una falsa firma di De Hooch; anche la grande figura della cameriera era stata interamente ridipinta, e al suo posto comparivano un cane e una sedia2. È abbastanza probabile che Janssens Elinga e qualche altro artista abbiano istituito uno stile di pittura di genere parallelo a quello che Vermeer e De Hooch stavano creando a Delft, ma distinto da esso. Le opere di questi pittori, che per molti tratti rispecchiano la tradizione dei manoscritti fiamminghi, con le loro atmosfere contemplative, quasi sacramentali, e la sensibilità per gli effetti ottici di luce e colore, rappresentano un aspetto affascinante ma poco compreso della pittura di genere olandese alla metà del Seicento. AKW

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1 Questa osservazione si rifà in gran parte a Wheelock 2000, pp. 168-170. 2 La ridipintura risale agli anni tra il 1835, quando il quadro fu venduto ad Amsterdam (vendita Van Romondt), e il 1845, quando fu venduto (come opera di Pieter de Hooch) a Parigi (vendita Comte de Morny).

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Johannes Vermeer (1632-1675)

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Santa Prassede 1655 Olio su tela 101 82 cm Iscrizione in basso a sinistra: Meer 1655; in basso a destra: Meer N R[..]o[..]o The Barbara Piasecka Johnson Collection Foundation Provenienza: Erna e Jacob Reder, New York, 1943-1969; [Spencer Samuels & Co., New York, 1969-1987]; all’attuale proprietario nel 1987. Bibliografia: Wheelock 1986, pp. 71-89, ill. 1, 3-4, 7-13, 15-16 e 19-20; Montias 1989, pp. 140-143, 146, ill. 17; Liedtke 1992, pp. 96, 104-105, n. 37 e 38 e ill. 3; Wheelock 1995c, pp. 7, 20-27, 29, 24, 26, 113, 163, 169, ill. 8.

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primi dipinti a soggetto biblico e mitologico di Vermeer possono apparire sorprendenti a chi conosce soltanto le sue vedute urbane e le più tarde scene di genere. Lungi dal raffigurare momenti della vita quotidiana della Delft del Seicento, come il ritratto evocativo di una donna che suona il liuto in un interno assolato (cat. 48), questi lavori rimandano a mondi molto distanti dalla realtà contemporanea. Santa Prassede, il più antico dipinto conosciuto di Vermeer, così come Cristo in casa di Marta e Maria (fig. 7) e Diana e le ninfe (fig. 8), due opere giovanili risalenti alla metà degli anni cinquanta del Seicento, differiscono dai dipinti della maturità anche per le ampie qualità pittoriche. Tuttavia, come osservato nel saggio biografico proposto dallo scrivente all’inizio del presente catalogo, queste opere mostrano già una caratteristica che sarà centrale nello stile maturo del grande maestro: un senso di serenità e di eternità che conferisce a ogni immagine una straordinaria dignità. I momenti tranquilli che vi sono descritti sono legati al bisogno spirituale della “contemplazione nell’azione”. Santa Prassede era una donna romana del II secolo nota perché si prendeva cura di coloro che subivano il martirio in nome della fede cristiana. La santa, con gli occhi bassi e una veste di un sorprendente rosso lampone, è inginocchiata proprio davanti all’osservatore ed è raffigurata nell’atto di spremere una spugna da cui esce del sangue che si riversa in una brocca d’argento decorata. Il sangue appartiene al martire decapitato che giace per terra alle sue spalle. Sullo sfondo a destra, si scorge un’altra figura femminile, forse la sorella santa Pudenziana, che cammina accanto all’entrata di un grande edificio classico. La storia di questo dipinto e del collegamento con la vita e l’opera di Vermeer è affascinante e complessa1. In quanto sua prima opera conosciuta, Santa Prassede solleva interrogativi non solo sulla natura della sua formazione artistica, ma anche sul suo primo stile pittorico. Una delle ragioni che rendono l’opera insolita sta nel fatto che l’artista riprese la composizione da un precedente italiano, un dipinto del pittore fiorentino Felice Ficherelli (1605-1660; cat. 45b). Benché non si sappia con certezza come Vermeer fosse venuto a conoscenza della Santa Prassede di Ficherelli, è possibile che l’opera o una sua copia si trovasse nei Paesi Bassi, dove il mercato dell’arte italiana era fiorente2. Vermeer studiò attentamente l’immagine di Ficherelli, al punto da realizzarne una replica quasi identica, riprendendo l’atteggiamento e la posizione delle figure e adattando il vivace schema cromatico dell’artista italiano. L’immagine dichiaratamente cattolica dipinta in un ambiente protestante getta luce sulla natura della fede di Vermeer e sul ruolo che essa assunse nella sua visione artistica. Un’immagine di Santa Prassede sarebbe di certo piaciuta alla suocera Maria Thins e al suo circolo di amici gesuiti di Delft. In effetti, è probabile che il giovane artista, da poco convertito al cattolicesimo e legato per matrimonio a una famiglia con forti simpatie gesuite, possa essere stato spinto a dipingere la tela principalmente per il suo soggetto religioso3. È interessante notare che Vermeer introdusse una rilevante modifica iconografica nella propria versione della scena: oltre alla spugna ripresa da Ficherelli, la santa di Vermeer stringe tra le mani un crocifisso, mescolando così in modo simbolico il sangue del martire con quello di Cristo. L’innovazione tematica, riflesso della devozione nei confronti della nuova fede, è collegata all’interesse dell’artista per l’importanza e la dignità del servire gli altri. Il tema ricorre anche nei suoi primi dipinti storici, in cui scelse di raffigurare scene misurate per mettere in risalto le interazioni psicologiche tra i personaggi, piuttosto che quelle fisiche. Il carattere meditativo di Santa Prassede e di Cristo in casa di Marta e Maria rimanda alla dottrina gesuitica di base che propugna la pratica della “contemplazione nell’azione”, un ideale che avrebbe trovato riscontro diretto nelle nuove convinzioni religiose di Vermeer. Le sottili distinzioni di stile e tecnica tra il lavoro di Vermeer e quello di Ficherelli rispecchiano le differenze di maniera tra un maestro fiorentino e uno olandese. Quest’ultimo, per esempio, ha applicato il pigmento in modo più compatto, ha intensificato i colori e ha semplificato le pieghe del drappeggio. Inoltre, ha audacemente illuminato il volto della santa e ne ha modificato la fisionomia, allungandone i lineamenti, ampliando la fronte e rendendo più deciso il naso. Gli interventi fanno sì che la figura abbia una presenza fisica che manca all’immagine più dolce e morbida di Ficherelli.

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Il fatto che a prima vista un dipinto come Santa Prassede appaia tanto diverso dal resto della produzione di Vermeer ha reso controversa la sua attribuzione4. Tuttavia, se è vero che nessun altro dipinto del maestro di Delft è basato in maniera tanto diretta su un precedente, Santa Prassede può essere attribuito con certezza al giovane artista in virtù delle firme, della tecnica pittorica e dei collegamenti stilistici e tematici con altri suoi dipinti giovanili. L’attribuzione può essere sostenuta anche dalla notevole coerenza tra la disposizione d’animo e la posa di questa figura e quella di altri lavori più tardi eseguiti dall’artista. L’atteggiamento pensoso della santa è paragonabile non solo a quello della protagonista di Giovane donna addormentata (fig. 20), ma anche all’espressione assorta della padrona nel tardo Donna che scrive una lettera in presenza della sua domestica (fig. 54). Elemento ancora più significativo, le donne di queste tele hanno lineamenti identici: occhi e sopracciglia molto distanziati tra loro e naso lungo e dritto. La stessa modella compare anche in altri lavori di Vermeer tra cui Donna con una bilancia (fig. 5). Se ne deduce, quindi, che l’artista si sia servito della stessa modella per i dipinti realizzati dalla seconda metà degli anni cinquanta agli anni settanta del Seicento. Poiché l’unica donna con cui Vermeer visse in tutto questo periodo fu Catharina Bolnes, è probabile che fosse lei a posare per il marito. Anche l’età delle donne ritratte in questi dipinti potrebbe corrispondere a quella di Catharina, nata nel 1631. Problemi di attribuzione a parte, la plausibile identificazione della modella di Santa Prassede con la moglie di Vermeer aggiunge una dimensione affascinante alle motivazioni personali che a quanto pare legavano l’artista al soggetto del dipinto. AKW

1 Per un’analisi approfondita di quest’opera, inclusa la tecnica pittorica utilizzata e il suo rapporto con la vita e la carriera di Vermeer, vedi Wheelock 1986 e Wheelock 1998. 2 È possibile che Vermeer si sia recato in Italia negli anni della sua formazione artistica. Tuttavia un viaggio del genere non è in alcun modo documentato. 3 Santa Prassede era una delle sante romane che godevano di

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una certa popolarità tra i gesuiti, sempre attenti a enfatizzare le antiche tradizioni della chiesa cattolica. 4 Per esempio Walter Liedtke, mio collega nell’organizzare questa mostra, non riconosce la validità dell’attribuzione. Vedi Liedtke 1992. Altre riserve a tale proposito sono state espresse da J. Wadum, Contours of Vermeer, in Gaskell et al. 1998, pp. 214-219.



Johannes Vermeer (1632-1675)

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La stradina 1658 circa Olio su tela 54,3 44 cm Amsterdam, Rijksmuseum, dono di H.W.A. Deterding, Londra Inv. SK-A-2860 Provenienza: forse Pieter Claez van Ruijven, Delft (prima del 1674); forse Maria de Knuijt, vedova di van Ruijven, Delft (16741681); forse Magdalena van Ruijven e Jacob Dissius, Delft (1681-1682); Jacob Dissius (con suo padre Abraham Dissius, 16851694), Delft [1682 – m.1695]; (vendita del suo patrimonio, Amsterdam, 16 maggio 1696, n. 32 o n. 33); Gerrit Willem van Oosten de Bruyn, Haarlem (prima del 1797); vedova van Oosten de Bruyn, Haarlem (1797-1799); Van Oosten de Bruyn (vendita, Haarlem, 8 aprile 1800, n. 7); Pieter de Winter, Amsterdam (1800-1807); Lucretia van Winter (Six-van Winter dopo il 1822), Amsterdam (1807-1845); Jonkheer Hendrik Six van Hillegom, Amsterdam (1845-1847); Jonkheer Jan Pieter Six van Hillegom e Jonkheer Pieter Six van Vromade, Amsterdam (1847-1899/1905); Jonkheer Willem Six van Wimmenum, Amsterdam (1905-1919); Jonkheer Jan Six, Amsterdam’s Graveland (1919-1921); (sua vendita, Amsterdam, 12 aprile 1921); all’attuale proprietario nel 1921 (dono di Henry Deterding, acquistato da Six). Bibliografia: Wheelock 1977a, pp. 277-278, ill. 80; Montias 1989, pp. 149, 197, 199-200 e n. 88, 248, 255 e ill. 24; Blankert et al. 1992, pp. 48, 104, 108, 156-160, 166, n. 50, 177-178, n. 9, 217, 223 e ill. 9, 39 e 114; Wheelock 1995c, pp. 48-53, 64, 77, 165, 172, 192 n.1 e ill. 29.

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a stradina è un’opera intima sia per dimensioni sia per soggetto. A dispetto del piccolo formato, descrive con grande efficacia il carattere della Delft di Vermeer, con le sue strade tranquille, gli edifici pittoreschi e il senso della comunità che unisce gli abitanti. Adottando la prospettiva di chi sta dall’altra parte di una strada di ciottoli, Vermeer ritrae solo parzialmente due costruzioni cinquecentesche collegate da un muro con una porta aperta su un andito e un cortile interno. Le facciate di mattoni rossi, i vani delle porte e le persiane di legno, nonché le piccole finestre con vetrate a piombo, costituiscono la suggestiva e variegata ambientazione in cui agiscono le figure – una donna seduta sulla soglia di casa concentrata sul suo lavoro di cucito, una domestica affaccendata nel cortile adiacente e i bambini assorti nel loro gioco, inginocchiati al margine della strada. Il dipinto, tuttavia, non riguarda tanto Delft, quanto piuttosto la poetica bellezza della vita di tutti i giorni. Gli edifici non presentano elementi architettonici di rilievo, non ci sono targhe sui muri né guglie di chiese sullo sfondo che ne consentano l’identificazione. Nella luce piatta di una giornata nuvolosa, la scena appare senza tempo. Benché le case affacciate sulla strada siano parallele al piano del dipinto, Vermeer ha deciso di collocarle fuori centro consentendo a ciascuna di estendersi oltre il margine della tela. Tale scelta compositiva conferma l’ipotesi che il vero soggetto del dipinto fosse l’atmosfera della stradina, e non la descrizione dei singoli edifici. Le donne, impegnate a cucire o a pulire la casa e inquadrate all’interno di nicchie architettoniche, incarnano un ideale di virtù domestica. La cura delle faccende domestiche era una virtù femminile tenuta in gran conto dalla società olandese dell’epoca, al pari della capacità di occuparsi dei propri figli. Anche la vite rampicante che ricopre parte dell’edificio a sinistra, che sin dall’antichità simboleggiava l’amore, la fedeltà e il matrimonio, potrebbe essere un richiamo alla virtù domestica. Senza indulgere in eccessi di alcun tipo, Vermeer è riuscito a rendere non solo la presenza fisica degli edifici, ma anche il loro carattere e l’epoca di costruzione: ha descritto i segni del tempo attraverso una sottile modulazione dei colori dei mattoni e della malta, includendo persino le riparazioni alle crepe, le tegole mancanti sopra le porte d’accesso ai cortili e l’aspetto un po’ rovinato della porta chiusa a sinistra. I muri imbiancati al pianterreno, infine, si rivelano un importante accorgimento compositivo. Le strisce bianche, infatti, creano un’efficace separazione tra le differenti superfici di mattoni e ciottoli e attirano l’attenzione sulle figure presenti nella scena. Non sappiamo se Vermeer sia passato a questo tipo di soggetto sul finire degli anni cinquanta del Seicento per l’influenza di Pieter de Hooch, tuttavia le affinità di approccio e tecnica indicano che i due artisti conoscevano l’uno i lavori dell’altro (cat. 16 e 18). Un aspetto interessante del metodo di lavoro di De Hooch consisteva nel combinare fantasiosamente elementi architettonici di origini diverse in un unico spazio all’apparenza realistico. Le immaginose ricostruzioni di De Hooch appaiono del tutto convincenti, e i suoi interventi di manipolazione della realtà sono stati scoperti solo perché in molte scene di cortili si riconoscono gli stessi elementi architettonici disposti in modo diverso. Al pari di De Hooch, anche Vermeer probabilmente unì due edifici che nella realtà non erano vicini. Partendo dal presupposto che la sua veduta urbana sia in effetti un’immagine composita, si può tentare di identificare almeno una parte del sito raffigurato. È possibile che Vermeer avesse un atelier al secondo piano della locanda di proprietà del padre, la “Mechelen”, che dava su uno stretto canale e su una stradina chiamata Voldersgracht. Tra gli edifici che sorgevano al di là del canale rispetto alla locanda c’era un ospizio per anziani, almeno fino al 1661, anno in cui la cappella che ne faceva parte divenne la sede della Gilda di San Luca. Benché il grande edificio non compaia nel dipinto di Vermeer, le rappresentazioni settecentesche di Voldersgracht indicano che a sinistra della Gilda di San Luca c’era una casa con il tetto spiovente e un muro adiacente, con una porta arcuata che immetteva su un vicolo laterale (v. pagina seguente, fig. 1). La costruzione era praticamente identica a quella raffigurata a sinistra nel dipinto di Vermeer. È dunque possibile che l’artista abbia dipinto la veduta dalla finestra del suo atelier e abbia fantasiosamente combinato l’edificio con un’altra struttura per creare un’immagine straordinaria di armonia domestica. AKW

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1. Palazzo della Gilda di San Luca, XVIII secolo Washington, D.C., National Gallery of Art Library

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Johannes Vermeer (1632-1675)

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Giovane donna con bicchiere di vino 1659-1660 circa Olio su tela 77,5 66,7 cm Iscrizione sul vetro della finestra, in basso a destra: IVMeer, VM in legature Braunschweig, Herzog Anton Ulrich-Museum, Kunstmuseum des Landes Niedersachsen Inv. 316 Provenienza: forse Pieter Claesz van Ruijven, Delft, prima del 1674; forse Maria de Knuijt, vedova Van Ruijven, Delft, 16741684; forse Magdalena van Ruijven; Abraham e Jacob Dissius, Delft, 1682-1696 (vendita, Amsterdam, 1696); duca Anton Ulrich, Brunswick, prima del 1710; Herzog Anton Ulrich-Museum, Salzdahlum, Braunschweig, 1714. Bibliografia: Klessmann 1978, pp. 164-168, n. 39; Blankert et al. 1992, pp. 179-181, n. 11; Wheelock 1995b, pp. 114-119, n. 6; Liedtke 2008, pp. 86-88, cat. 10.

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uesto ambiente ordinato ed elegante fa da sfondo a una scena di seduzione. Un giovane malinconico poggia la testa sulla mano, mentre una giovane donna con un elegante vestito di raso rosso tiene con grazia il bicchiere di vino bianco che le è stato offerto da uno zelante corteggiatore1. La fanciulla sorride rivolta all’osservatore, mostrando di accettare non solo il bicchiere di vino ma anche le attenzioni dell’uomo. L’ampio sorriso ha portato molti a credere che la ragazza sia già ebbra e pronta a cedere alle pressioni dell’uomo2. Tuttavia, la giovane è lungi dall’essere ubriaca e sedotta e il suo è un sorriso d’intesa che indica consapevolezza e pieno controllo della situazione. Il dipinto di Vermeer rientra nel genere di scene d’interni molto diffuse nell’Olanda di metà Seicento, in cui si ritraevano i costumi della vita dell’epoca soprattutto in materia d’amore e corteggiamento. Molte erano incentrate sulle debolezze dei rapporti umani e sull’incapacità degli uomini di trattenere il proprio appetito sessuale. In uno dei dipinti realizzati intorno alla metà degli anni cinquanta del Seicento, Gerard ter Borch (1617-1681), per esempio, ritrasse una giovane donna triste che beve da sola mentre il suo compagno si è addormentato, stordito dal tabacco3. Nel 1658 Pieter de Hooch (1629-1684) ritrasse una situazione più complessa che aveva a che fare con il vino e il tabacco in Donna che beve in compagnia di soldati (v. pagina seguente, fig. 1). In una stanza piena di luce, un uomo con una pipa di terracotta siede davanti a una finestra aperta, mentre un altro giovane versa del vino nel bicchiere di una donna seduta. La presenza di un’altra donna più anziana dietro la coppia, che sembra svolgere il ruolo della mezzana, suggerisce che alla fine il vino porterà a un incontro sessuale4. Di certo Vermeer s’ispirò a dipinti di questo tipo per il suo Giovane donna con bicchiere di vino e per la scena di seduzione, di poco precedente, intitolata Il bicchiere di vino, 1658-1659 circa (fig. 25). L’azione concentrata nell’angolo di una stanza spaziosa corrisponde a uno schema compositivo ripreso direttamente da De Hooch. In Giovane donna con bicchiere di vino, tuttavia, Vermeer colloca le figure più vicino al primo piano del dipinto di quanto non faccia De Hooch, rendendole così l’elemento dominante della composizione a discapito della struttura architettonica della camera. Vermeer introdusse un commento moralistico alla scena nella vetrata decorata con l’immagine allegorica della Temperanza che tiene una briglia5. Essa ricorda l’emblema incluso nel libro di Gabriel Rollenhagen intitolato Selectorum Emblematum e dato alle stampe nel 16136, il cui epigramma, Serva Modum (“Siate moderati”), è spiegato nel testo d’accompagnamento che, traducendo liberamente l’originale, recita: “Il cuore non sa osservare la moderazione né mettere freno ai sentimenti quando è colpito dal desiderio”7. L’emblema fa da interessante contrappunto all’evidente mancanza di controllo dei due uomini. Al pari della figura addormentata nella scena di genere di Ter Borch, anche l’uomo dietro il tavolo che si regge la testa con la mano ha ecceduto con il fumo, come rivela il fornello della pipa visibile sul foglio di carta arrotolato. Il desiderio fisico senza freni, rafforzato dal consumo di vino, sembra caratterizzare l’uomo in atteggiamento galante ritratto in primo piano, anche se l’artista non ci dà modo di sapere se le sue avances avranno o meno successo. L’attenzione di Vermeer, in effetti, sembra concentrarsi sulla mancanza di moderazione che si osservava nella vita dell’epoca8. Lo scenario da lui descritto, con l’uomo che fa il galante con una bella donna con le labbra rosso vermiglio, la pelle color avorio e un lucente abito di raso, solo per esserne respinto, era uno dei preferiti dei poeti secenteschi, che basavano la loro idea dell’amore non corrisposto sui sonetti di Petrarca9. Tuttavia, mentre il poeta trecentesco idealizzava l’amore come sentimento puro e irraggiungibile, artisti e letterati olandesi del Seicento convertirono quei concetti quasi neoplatonici in realtà terrena. Sono le debolezze umane e non i limiti materiali del cuore a precludere il raggiungimento dell’unione perfetta. L’artista che più di altri sposò questa visione dell’ideale petrarchesco fu Ter Borch10, ed è molto probabile che i suoi dipinti abbiano ispirato Vermeer nella concezione di quest’opera11. Il dipinto si colloca in una fase di transizione del percorso artistico che avrebbe portato Vermeer alla pittura di genere. L’ambientazione e la disposizione complessiva delle figure rimandano a Pieter de Hooch, anche se qui i personaggi appartengono alle classi agiate. In contrasto con l’approccio al soggetto di De Hooch, la scena di Vermeer riflette ideali petrarcheschi ed è eseguita con tecnica raffinata. AKW

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1. Pieter de Hooch Donna che beve in compagnia di soldati, 1658 Parigi, Musée du Louvre

Descrizione basata su Wheelock 1995b, pp. 114-119, n. 6. Klessmann 1978, n. 39; Blankert et al. 1992, p. 180. 3 Sutton e Brown 1984, n. 11, tav. 70. Non sappiamo se Vermeer avesse visto questo dipinto, anche se conosceva Ter Borch. Il 22 aprile del 1653 i due furono testimoni della firma di un affidavit a Delft. Vedi Montias 1989, p. 308, doc. 251. Poiché Vermeer si era sposato solo due giorni prima, è possibile che Ter Borch si trovasse a Delft proprio per le nozze. Tuttavia, nessun altro documento collega i due artisti. 4 Per un’analisi di questo dipinto, vedi Sutton e Brown 1984, pp. 217-218, cat. 52. 5 Klessmann ha sottolineato questo punto nei suoi scritti su Vermeer; vedi Klessmann 1978. 6 La figura della Temperanza è associata a uno stemma araldico. Neurdenberg 1942, pp. 65-66, lo identifica con quello di Jannetje Vogel (m. 1624), la prima moglie di Moses J. Nederveen, vicino di Vermeer. Per quanto sia possibile che Vermeer si fosse basato su uno specifico prototipo, va notato che i colori della figura sono diversi nel dipinto di Berlino in cui essa compare. A quanto pare, dunque, Vermeer si prese una certa libertà riguardo all’accuratezza della sua rappresentazio1 2

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ne. Non è dato sapere se la famiglia avesse commissionato questi lavori o abbia avuto a che fare con la scelta del soggetto. 7 Rollenhagen 1613: “Mens SERVARE MODUM, rebus sufflata secundis, Nescit, et affectus fraena tenere sui”. 8 A giudicare dal costume, il ritratto deve risalire alla metà degli anni trenta del Seicento. Vedi per esempio il ritratto di Lucas de Clercq eseguito da Frans Hals intorno al 1635 (Frans Halsmuseum, Haarlem), ill. in Slive 1970, p. 2, tav. 169. 9 Kettering 1993, pp. 101-104, ha sottolineato come poeti e drammaturghi, da P.C. Hooft a Jan Harmens Krul, abbiano sviluppato questo genere letterario basandosi sugli scritti di Petrarca. 10 Vedi, per esempio, La visita dell’innamorato, 1658 circa, Washington, D.C., National Gallery of Art, analizzato in Wheelock 1995c, pp. 26-30. 11 Benché risulti che Ter Borch e Vermeer si fossero conosciuti nel 1653, non si hanno prove di successivi contatti tra i due. In ogni caso, sembra che entrambi abbiano venduto le proprie opere attraverso lo stesso mercante d’arte di Amsterdam, Johannes Renialme, fino alla sua morte nel 1657. Vedi Montias 1989, p. 139.



Johannes Vermeer (1632-1675)

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Giovane donna seduta al virginale 1670-1672 circa Olio su tela 25 20 cm New York, collezione privata Provenienza: forse Pieter Claesz. van Ruijven (1624-1674), Delft; forse per successione al genero Jacob Dissius (sua vendita, Amsterdam, 16 maggio 1696, n. 37); forse Wessel Ryers (sua vendita, Amsterdam, 21 settembre 1814, n. 93); Alfred Beit (18531906), Londra, probabilmente acquistato negli anni novanta dell’Ottocento; per successione a suo fratello Otto Beit (18651930) nel 1904; per successione a suo figlio, Sir Alfred Lane Beit (1903-1994), Blessington, Irlanda, fino al 1960 [Marlborough Fine Art, Londra, 1960]; barone Frédéric Rolin [m. 2002], Bruxelles, per discendenza ai suoi eredi fino al 2004 (vendita, Sotheby’s, Londra, 7 luglio 2004, n. 8); Steve Wynn Collection, Las Vegas, 2004 [Otto Naumann Ltd., New York]; da qui acquistato dall’attuale proprietario. Bibliografia: Gowing 1970, pp. 78, 157, fig. 80; Wheelock 1981, p. 45, fig. 53; Liedtke et al. 2001, pp. 403, 406, n. 11, p. 581, n. 46; Sutton 2008, pp. 190-192, n. 31; Liedtke 2008, pp. 175-177, n. 36.

uesto piccolo e incantevole dipinto è simile per stile ed esecuzione ad altri lavori di Vermeer dell’ultimo periodo raffiguranti giovani donne intente a suonare uno strumento, tra cui La suonatrice di chitarra (1670 circa), oggi alla Kenwood House di Londra (v. pagina seguente, fig. 1), nonché Giovane donna in piedi al virginale (16701672 circa; cat. 52) e Giovane donna seduta al virginale (1670-1672, fig. 36 e fig. 1 di cat. 52), entrambi alla National Gallery di Londra. Anche questo dipinto, dunque, deve risalire ai primi anni settanta del Seicento. Nel corpus vermeeriano il riferimento alla musica è sempre legato all’idea del corteggiamento. Al pari della Giovane donna in piedi al virginale, anche la protagonista di questa piccola tela guarda in direzione dell’osservatore, che occupa la posizione di un eventuale corteggiatore. I capelli ricci legati e in ordine, i nastri rossi e il filo di piccole perle che impreziosisce l’acconciatura dimostrano che si tratta di una fanciulla di buon’educazione e grande sensibilità. Tuttavia è l’espressione, benché assente come in altri personaggi di tardi dipinti di Vermeer, a fare di lei una persona reale con dei veri sentimenti. Da questo punto di vista è evidente il debito del pittore con Gerard ter Borch e (proprio come Ter Borch) con le donne con cui condivideva il proprio mondo privato. Il dipinto, reintegrato nell’oeuvre vermeeriana solo di recente, dopo essere stato a lungo inaccessibile al pubblico, presenta molte caratteristiche di stile e maniera dell’ultima fase della carriera dell’artista. La gonna lucente, il riflesso di luce sulla cassa del virginale, il leggio e la parete bianca luminosa, per esempio, sono tutti descritti con grande maestria. Lawrence Gowing fu particolarmente colpito dal trattamento “delle mani, dello strumento, così come dello spazio e della luce che li circondano” che, sosteneva, era sufficiente a dimostrare la paternità di Vermeer1. Nel dipinto, tuttavia, si nota un elemento imperfetto che ha suscitato la perplessità di molti studiosi, vale a dire l’aspetto rigido, se non addirittura legnoso, dell’ampio scialle giallo che avvolge il busto della donna. L’analisi ai raggi X ha rivelato che sotto lo scialle c’è un abito perfettamente dipinto con una manica dal disegno elaborato che, partendo dal collo, copre con grazia la spalla e parte delle braccia. La gonna mostrava ampie pieghe all’altezza della vita e in origine il ricco drappeggio dal gomito allo schienale della sedia non era presente2. L’analisi del pigmento ha inoltre stabilito che la veste era stata dipinta con una miscela di giallo di piombo e stagno diversa da quella dello scialle. È dunque probabile che quest’ultimo sia stato aggiunto solo in seguito, forse dopo la morte del pittore. Una situazione simile si riscontra in Giovane donna con flauto (fig. 12), oggi alla National Gallery of Art di Washington, che pare essere stato modificato dopo la morte di Vermeer3. Ulteriori analisi tecniche hanno consentito di individuare molte affinità in termini di materiali e tecniche tra questo e altri tardi lavori dell’artista. La mano di fondo marrone chiaro fu applicata in due strati ed è identica per composizione e stesura alle imprimiture dei dipinti di Londra. L’oltremare genuino (ricavato dai lapislazzuli) degli strati finali serve non solo per le sfumature azzurre (nello schienale della sedia), ma anche per conferire una luminosità fredda allo sfondo e alle lumeggiature sugli avambracci. Vermeer utilizzò un pigmento verde per le ombre sul volto, come fece per i lavori della National Gallery e della Kenwood House di Londra. Infine, le linee ortogonali del virginale furono tracciate sulla tela dopo l’imprimitura, usando cordicelle trattate con il gesso fissate a uno spillo piantato nella tela all’altezza della spalla della donna4. Gli studi condotti nel 2011 da C. Richard Johnson della Cornell University e da Don H. Johnson della Rice University hanno dimostrato che il quadro fu dipinto su una tela proveniente dallo stesso rotolo utilizzato per La merlettaia (fig. 40) del Louvre, solitamente datato 1669-16705. Se ne deduce che Vermeer deve aver usato quel rotolo per l’ultimo gruppo di opere e forse intendeva utilizzarlo ancora. Alla sua morte, avvenuta nel 1675, i materiali trovati nell’atelier includevano “dieci tele per pittore”6. Con molta probabilità erano già tese e preparate, ma non ancora dipinte. I lavori realizzati su tele dello stesso rotolo potevano risalire a periodi diversi, a seconda della velocità con cui l’artista lavorava e consumava i materiali a sua disposizione. WL / AKW

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1 Lettera scritta da Lawrence Gowing alla galleria londinese Marlborough Fine Art nel 1959, citata in Sheldon e Costaras 2006, p. 90. 2 Ibidem, p. 95. 3 Vedi Wheelock 1995b, pp. 387-393. 4 Nel saggio Vermeer in Perspective, pubblicato in Wheelock

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1995b, pp. 67, 71, Jørgen Wadum ha riportato tredici casi di fori di spillo nelle tele di Vermeer. In articoli successivi Wadum ha citato diciassette esempi (come comunicato personalmente a Walter Liedtke, 6 luglio 2009). 5 Liedtke et al. 2012. 6 Montias 1989, p. 341, doc. 364.



1. Johannes Vermeer La suonatrice di chitarra, 1670 circa Londra, Kenwood House, lascito Iveagh

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Johannes Vermeer (1632-1675)

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Giovane donna in piedi al virginale 1670-1672 circa Olio su tela 51,7 45,2 cm Firmato sul lato del virginale: IVMeer (IVM in monogrammi) Londra, The National Gallery Inv. NG1383 Provenienza: forse collezione Diego Duarte [1682], Anversa (venduto nel 1691), oppure (possibile vendita, Jacob Dissius, Amsterdam, 16 maggio 1696, lotto 37); forse nel patrimonio della vedova di Nicolaes van Assendelft [1630-1692], Delft, 1711; (possibile vendita, Amsterdam, 1714); (vendita, Jan Danser Nijman, Amsterdam, van der Schley, 16 agosto 1797, lotto 169, a Bergh); forse collezione Edward Solly [17761844], Berlino e Londra; (vendita, Edward William Lake, Londra, 11 luglio 1845, lotto 5); (vendita, J.T. Thom, Londra, 2 maggio 1855, lotto 22); collezione Thoré-Bürger [Etienne Joseph Théophile Thoré; m. 1869], Parigi, nel 1866; ereditato dalla famiglia Lacroix, Parigi; (vendita, Théophile Thoré, Parigi, 5 dicembre 1892, lotto 20, a Bourgeois Frères, Parigi e/o Lawrie & Co., Londra); acquistato nel 1892 dalla National Gallery. Bibliografia: MacLaren e Brown 1991, 1, pp. 466-468; Wheelock 1995b, pp. 196199, n. 21; Liedtke et al. 2001, pp. 402406, n. 78; Liedtke 2008, pp. 166, 170-171, 198, n. 33.

estita in modo molto elegante, con una gonna di raso e un corpetto azzurro impreziosito da inserti di pizzo e nastri luccicanti rossi e argentati, la protagonista di Giovane donna in piedi al virginale occupa tranquilla il centro esatto della composizione. La postura eretta e le morbide pieghe della gonna le conferiscono la grazia distante ma affascinante di una cariatide greca. La camera è elegante e sobria; i pochi arredi – una sedia, il virginale e due dipinti – sono indicativi di una casa ricca e ben tenuta. Un fascio di luce illumina l’ambiente, creando vivaci accenti lungo le pieghe dell’abito, sulle decorazioni intagliate della cornice dorata sulla parete dietro la donna, sulle linee nitide della cassa del virginale e sulle borchie che segnano i bordi della sedia. Realizzato in una fase relativamente tarda della carriera, Giovane donna in piedi al virginale è caratterizzato dalle audaci semplificazioni nella resa della luce e della forma proprie di Vermeer. Il quadro visibile dietro la testa della protagonista raffigura Cupido che tiene in mano una carta da gioco. L’immagine è tratta dall’illustrazione che compariva nel popolare libro di emblemi di Otto van Veen, accompagnata da un verso che propugnava la fedeltà e il valore dell’amore per una sola persona anziché per molte1. Per questo motivo, il dipinto di Vermeer è stato interpretato come un’immagine dell’amore puro e armonioso, un sentimento incarnato nella chiarezza e perfetta armonia della composizione stessa. Giovane donna in piedi al virginale è spesso ritenuto il pendant di Giovane donna seduta al virginale, anch’esso conservato alla National Gallery (v. pagina seguente, fig. 1; fig. 36)2. Le due tele sono praticamente identiche nelle dimensioni, complementari per composizione e furono probabilmente dipinte nello stesso periodo su supporti ritagliati dal medesimo rotolo. Non sappiamo se Vermeer le avesse immaginate appese l’una accanto all’altra, ma di certo esse rappresentano due variazioni su un tema che attirò il suo interesse per gran parte della sua carriera: il rapporto tra amore e musica. Mentre Giovane donna in piedi al virginale ci incanta presentandoci un interludio musicale innocente e del tutto virtuoso, Giovane donna seduta al virginale propone una visione più complessa del tema. La scena (notturna) è immersa in un luce fioca; la geometria pura e insistente del primo è sostituita da angoli obliqui e tessuti morbidamente scomposti. La scena non è frontale ma leggermente angolata e la nostra visione è ulteriormente ostacolata dalla porzione di tenda e dalla viola da gamba che occupano l’immediato primo piano. La ragazza con il sorriso civettuolo sembra incoraggiare le nostre avances; la viola da gamba e il libro di musica aperto appaiono come un invito a unirci a lei per un romantico duetto. Il dipinto sulla parete dello sfondo, una versione della Mezzana di Dirck van Baburen oggi al Museum of Fine Arts di Boston3, presenta una scena esplicita di amore mercenario. Benché la presenza di quest’opera possa implicare un riferimento all’amore illecito, la viola da gamba potrebbe anche simboleggiare un sentimento casto: a quanto si diceva, uno strumento a corde risuonava quando ne sentiva un altro, proprio come due cuori innamorati battono all’unisono in perfetta armonia4. È stato ipotizzato che, in contrasto con la scelta virtuosa illustrata in Giovane donna in piedi al virginale, la musicista di Giovane donna seduta al virginale proponga un dilemma etico: l’osservatore può prendere la viola da gamba e unirsi a lei in verginale armonia, oppure soccombere alla seduzione e agli inganni dell’amore illecito5. MEW

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VanVeen 1608, pp. 2-3. Liedtke (in Liedtke et al. 2001, pp. 402-403, e Liedtke 2008, p. 170) ritiene che i dipinti siano dei pendant, mentre Brown (in MacLaren e Brown 1991, 1, p. 467) e Wheelock (Wheelock 1995b, pp. 200-202) non concordano sulla teoria. 3 Dirck van Baburen, La mezzana, 1622, olio su tela, 101,6 107,6 cm, Boston, Museum of Fine Arts, inv. 50.2721 (v. fig. 1 2

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35). Maria Thins, la suocera di Vermeer, possedeva il dipinto (o una sua versione). 4 Vedi, tra gli altri, A.K. Wheelock, Jr., in Wheelock 1995b, p. 202, che cita un emblema di Jacob Cats intitolato “Quid Non Sentit Amor” (Cats 1627, p. 85, emblema 42). 5 A.K. Wheelock, Jr., in Wheelock 1995b, p. 200.



1. Johannes Vermeer Giovane donna seduta al virginale (particolare da fig. 36), 1670-1672 circa Londra, The National Gallery, lascito Salting, 1910

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