Pechino. La città nuova

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Claudio Greco Carlo Santoro

Pechino La CittĂ Nuova



1. Pechino metropoli contemporanea

La Città Proibita, 9 ottobre 2006 Piazza Tien’anmen, 10 febbraio 2007

L’avveniristico aeroporto di Norman Foster accoglie i visitatori che giungono ad ammirare dal vivo le meraviglie antiche e moderne di Pechino, promesse dalle immagini e dalle descrizioni diffuse in tutto il mondo. Uno scenario totalmente diverso da quello che, appena quindici anni fa, si presentava agli occhi degli intraprendenti viaggiatori che, con non poche difficoltà burocratiche, arrivavano nella terra di Mao. All’epoca era ancora il vetusto aeroporto della fine degli anni settanta a ricevere stranieri e cinesi, sebbene frenetici lavori in corso annunciassero già la costruzione del nuovo impianto, progettato da Ove Arup, che, al momento dell’apertura nel 1999, era sembrato un esempio di assoluta novità. Oggi anche questa struttura, esaurito il suo breve compito, è stata a sua volta declassata dalla gigantesca aerostazione appena inaugurata. Una miriade di taxi scintillanti provvede a trasportare i nuovi arrivati, cancellando il ricordo, non troppo lontano, dei traballanti pulmini gialli a sei posti e delle rare automobili nere che coprivano la corsa verso la capitale. Anche un treno ad alta velocità sfreccia ora sulla sua corsia sopraelevata, alla pari delle più moderne città del mondo. Percorrendo in macchina l’autostrada, fiancheggiata da sequenze fitte di filari di alberi che nascondono le campagne circostanti, si incontra il primo avamposto costruito: il singolare casello per il pedaggio, moderno “pailou”1, con le sue forme e colori tradizionali, esempio emblematico, seppur ingenuo, della commistione di antico e di nuovo, che è ormai il carattere prevalente di Pechino. Le propaggini della città compaiono poco dopo: enormi complessi edilizi composti da torri tra gli otto e i venti piani emergono in maniera sporadica da un’urbanizzazione diffusa di edifici più bassi, interrotta da vaste aree ancora vuote. Le facciate sono a volte segnate da fasce orizzontali di pannelli prefabbricati di cemento alternate a monotone finestrature continue, che restituiscono un’immagine di grigia e cadente uniformità, testimonianza dello sviluppo intensivo ma povero degli anni settanta, oppure sono rivestite da piastrelle di ceramica bianca, modesto segno delle migliorie introdotte dopo il 1980. Poi lucenti curtain-wall, che ricoprono volumi squadrati e massicci, conclusi da vistose coperture orientaleggianti, ricordano il successivo periodo di avanzamento tecnologico e di emulazione dell’occidente. Infine, appaiono le sagome più articolate degli edifici contemporanei, frammiste alle carpenterie di cantiere, che ancora celano il nuovo che avanza. Man mano che ci si muove dalla periferia al centro questo enorme e disomogeneo agglomerato urbano acquista regolarità e ordine, e mostra la 13


L’isola di Qionghua con la Pagoda Bianca vista dalla Città Proibita, 1 gennaio 2003 Tempio del Cielo, turisti cinesi in visita, 14 settembre 1995 Palazzo d’Estate, 14 settembre 1995 14



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Albergo diurno in Dazhalan, 28 novembre 2006 Tetti di antichi siheyuan con le superfetazioni degli anni sessanta nell’area del Gulou, 30 marzo 2004 Antica casa di un siheyuan in Di’anmen Dongdajie, 14 dicembre 2003 24


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Svincolo tra l’autostrada per l’aeroporto e la seconda circonvallazione a Dongzhimen, 15 ottobre 2007 Suonatore di pipa a Beihai, 9 novembre 2003 Ginnastica mattutina nel cortile di un condominio popolare in Dong Si Shi Tiao, 5 dicembre 2006 28



Le nuove architetture

Nel 1959, in pochi mesi, Pechino vide sorgere dieci nuove monumentali architetture e il volto dell’antica città cambiò improvvisamente. Con uno sforzo senza precedenti, gli istituti di progettazione, da poco riorganizzati secondo le nuove regole collettivistiche e guidati dai “padri” dell’architettura moderna cinese, si occuparono della realizzazione dei colossali edifici con l’aiuto dell’unico stato estero amico, la Russia. L’obiettivo era dimostrare, con un’esplicita volontà di chiusura, le capacità e l’autonomia della Cina attraverso un’immagine architettonica che divenisse per il resto del mondo un manifesto del nuovo corso. All’inizio del XXI secolo, nuovamente, Pechino e la Cina hanno affidato il cambiamento della propria immagine all’architettura, questa volta per diffondere un messaggio di apertura nel mutato contesto storico e politico, segnato dall’ingresso nel WTO e dall’assegnazione dei Giochi olimpici. Per innescare questo processo sono stati chiamati a partecipare i più noti “maestri” internazionali, affiancati dagli architetti cinesi per le fasi esecutive. Parallelamente i principali istituti statali, in occasione degli interventi più impegnativi in programma, alla ricerca di soluzioni sempre più innovative e audaci dal punto di vista formale e tecnologico, hanno avviato intensi scambi con le più note società di progettazione internazionale. Il processo progettuale, avvenuto sin dalle prime fasi in stretta collaborazione, ha consentito così un effettivo scambio di conoscenze e una sinergia di creatività. Le esperienze e gli esempi dei maestri, vissuti direttamente sul campo e compresi in profondità nei loro pregi e nei loro difetti, hanno quindi fornito gradualmente agli architetti cinesi gli strumenti per cominciare a produrre edifici in maggiore autonomia. Alcuni progetti mostrano un’elaborazione più indipendente e originale di forme e caratteri architettonici e rappresentano il nucleo iniziale, ormai di indubbio spessore internazionale, di una sempre più interessante storia dell’architettura cinese contemporanea. Le opere che maggiormente segnano oggi la Pechino contemporanea, quasi tutte progettate e costruite in questa prima manciata di anni nel nuovo secolo, sono state pertanto suddivise in tre gruppi di dieci progetti ciascuno, in relazione a questo ideale “passaggio di testimone” dalle archistar internazionali ai giovani cinesi. A - Dieci architetture progettate dalle celebrità internazionali La concentrazione, in così breve tempo, dei nomi più noti dell’architettura mondiale ha reso la città un compendio delle tendenze più significative della fine del XX secolo. 176


Certamente condizionati da richieste di magniloquenza della committenza cinese, gli edifici si presentano talvolta come rielaborazioni di opere già costruite in Occidente e indifferenti al contesto urbano, altre volte denotano la felice influenza dei riferimenti culturali cinesi. Le opere scelte sono tra quelle completate, o quasi, alla fine del 2007. Fa eccezione il Beijing New Book Building di OMA, realizzato e oggi affidato a un team locale che ha sostituito Rem Koolhaas nella fase dell’elaborazione degli esecutivi. Una vicenda emblematica, che segnala come questa fase si avvii a essere ricordata come un’esperienza di passaggio, ormai superata. B - Dieci architetture progettate da studi cinesi in cooperazione con studi occidentali Nel secondo gruppo si raccolgono in prevalenza edifici istituzionali di grandi dimensioni commissionati da gruppi internazionali, che hanno voluto segnalare la loro presenza nella capitale con sedi prestigiose e riconoscibili. I progetti sono stati sviluppati dai più importanti uffici di progettazione statale con il contributo di affermate società di ingegneria e architettura internazionali in grado di garantire un alto standard di esperienza in sfide tecnologiche. Sono presenti studi americani, inglesi, australiani ma anche paesi come Francia e Germania che, con lungimiranza, negli anni novanta hanno investito nella formazione delle giovani generazioni di architetti cinesi. Il lavoro congiunto dimostra i diversi esiti dell’incontro tra due culture progettuali diverse alla ricerca di un delicato equilibrio e di una proficua integrazione. C - Dieci architetture progettate da architetti cinesi L’ultimo gruppo vuole rappresentare la scena professionale di Pechino, tra nomi consolidati e figure emergenti. Accanto a personaggi autorevoli e che rappresentano l’architettura contemporanea cinese sulla scena internazionale, si fa avanti una schiera di giovani promettenti, alcuni formatisi all’estero, ma ormai profondamente radicati nel loro Paese, altri cresciuti in patria. Un gruppo variegato in grado di manipolare con abilità linguaggi e tendenze internazionali e rivisitare in modo originale elementi della tradizione locale. Sia che provengano dallo studio di qualche rinomata firma mondiale o che abbiano la possibilità di crescere negli istituti statali, sia che tentino un proprio autonomo percorso professionale, i nuovi architetti cinesi dimostrano di essere ormai pronti al confronto con i colleghi stranieri. 177


A01 National Grand Theater

Progettista: Paul Andreu Architect Partner: ADP, Beijing Institute Architectural Design (BIAD) Progetto: 2003 Costruzione: 2007 Sito: Centro storico, Chang’an Avenue

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Il complesso per lo spettacolo è concepito come una cittadella di teatri racchiusa all’interno di una cupola semitrasparente in vetro e titanio grigio a pianta ellittica (assi di 212 e 143 metri) e circondata dall’acqua; un’isola in un lago artificiale quadrato di 35.000 metri quadri all’interno di un nuovo parco urbano. L’ingresso, situato a nord su Chang’an Avenue, e collegato alla stazione metropolitana e a un vasto parcheggio per duemilacinquecento vetture, prevede un foyer immerso nell’acqua lungo 80 metri illuminato dalla luce che filtra dalla copertura vetrata. L’interno è suddiviso in tre nuclei: l’opera, con duemilaquattrocentosedici posti a sedere, è uno spazio destinato a rappresentazioni di opera classica, cinese

e occidentale, e danza; seguono una sala da concerti, con capacità di duemiladiciassette spettatori, e un teatro, con millequaranta posti a sedere. L’insieme copre un totale di 200.000 metri quadri, e raggiunge un’altezza pari a 46 metri. La superficie della copertura incorpora uno strato di un materiale innovativo, il DuPont™ Butacite® PVB, che contribuisce staticamente e acusticamente a creare un’unica grande tenda protettiva. Grazie alla parte trasparente, come suggerisce il progettista, l’architetto Paul Andreu, essa è aperta dall’esterno alle luci e al movimento dello spettacolo culturale e dall’interno alla vista della città. Il costo complessivo ha raggiunto, i 364 milioni di euro, alimentando le controversie emerse durante la sua costruzione.


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A02 National Stadium

Progettista: Herzog & de Meuron / Jacques Herzog, Pierre de Meuron, Stefan Marback, Harry Gugger (fase di concorso) Partner: Ai Weiwei, China Architectural Design & Research Group (CADRG), Ove Arup & Partners Hong Kong, Uli Sigg Progetto: 2003 Costruzione: 2008 Sito: Olympic Green

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Un’ellisse con gli assi di 313 e 266 metri definisce la pianta dello stadio. L’invaso ha una forma a sella, in cui le tribune sono sagomate per ottimizzare la visibilità dei 91.000 posti a sedere disponibili. L’idea sviluppata da Herzog & de Meuron, insieme con l’artista cinese Ai Weiwei, prevede che l’impianto sportivo sia completamente avvolto da una trama continua e irregolare, una “pelle” grafica che è contemporaneamente la struttura portante della copertura. Lo spazio anulare compreso tra l’involucro e le tribune è una galleria aperta alta fino a 69 metri, che risolve la circolazione e ospita negozi, caffè, ristoranti. All’interno, tutte le tribune sono protette dalla copertura aggettante, tamponata con pannelli traslucidi di ETFE (etilene, fluoro, tetraetilene) inseriti nelle maglie strutturali. Il progetto originale prevedeva un sistema

retrattile in grado di coprire anche il terreno di gioco, eliminato poi in corso d’opera per contenere il costo complessivo, che così si è attestato intorno ai 300 milioni di dollari. Per ragioni di costo è stata ridotta anche la sezione della travatura che compone il reticolo, influendo, come lamentano gli architetti, sull’immagine dell’edificio stesso. Inoltre altre modifiche sono state introdotte nella zona del podio per aumentare la zona commerciale che dovrebbe sostenere l’investimento a termine della manifestazione olimpica. Il catino delle tribune è realizzato in cemento armato gettato in opera e tinteggiato di rosso. L’involucro è formato da travature in lamiera d’acciaio a sezione scatolare cava delle dimensioni di circa 1 metro, saldate a pie’ d’opera, poi sollevate e assemblate, e infine rifinite con vernice argentata.


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A03 Headquarter of Central Chinese Television

Progettisti: OMA / Ole Scheeren and Rem Koolhaas Partner: Ove Arup & Partners, East China Architecture Design Institute (ECADI) Progetto: 2003 Costruzione: 2008 Sito: Central Business District, Third Ring Road, Chaoyang Road

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La sede della televisione cinese, è composta da tre edifici: il Central Chinese Television (CCTV), il Television Cultural Center (TVCC) e il Media Park. Il CCTV rappresenta un’interpretazione del tema dell’edificio alto, in cui è superata la semplice sovrapposizione verticale di piani a favore di un’articolazione tridimensionale dei volumi. Due torri oblique, alte 230 metri, si innalzano da un basamento comune e ospitano una gli studi televisivi e la produzione, l’altra gli spazi per i servizi, la formazione e la ricerca. Alla loro sommità sono collegate da un volume proteso a sbalzo di 80 metri, sede degli uffici amministrativi. L’oggetto si presenta come un gigantesco arco tridimensionale, di geometria semplice e al tempo stesso innovativa e ardita. La struttura portante dell’edificio è mista in acciaio e cemento armato; gli elementi diagonali di controventatura hanno andamento irregolare, dipendente dal variare delle sollecitazioni nelle diverse parti della struttura. Questi segni diagonali sono riportati all’esterno e definiscono la trama del curtain wall che avvolge l’edificio. Il TVCC contiene un teatro da millecinquecento posti, sale convegni, un hotel di lusso e un centro visitatori, ospitati in diversi corpi di fabbrica affiancati con diversi orientamenti planimetrici, raccolti sotto un’unica copertura dal profilo

pieghettato e in parte trasparente, che si eleva fino a 155 metri. Il Media Park si trova nella zona sud-est del lotto, e copre un’area di 25.600 metri quadri. È costituito da un parco artificiale composto da zone verdi e strutture di intrattenimento interattivo all’aperto che si propongono come nuova frontiera per la comunicazione in stretta relazione con il contesto urbano. Il costo complessivo si aggira sui 750 milioni di dollari.


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A04 Terminal 3 of Beijing Capital Airport

Progettista: Foster & Partners Partner: Naco, Ove Arup & Partners, Beijing Institute of Architectural Design (BIAD), Bnp Associates Inc., Logplan GmbH, Reef U.K. Progetto: 2003 Costruzione: 2008 Sito: Aeroporto

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L’aeroporto della capitale è costituito da tre terminal: la prima costruzione fu inaugurata nel 1958, successivamente ricostruita nel 1980 e ristrutturata nel 2004, il secondo terminal risale al 1999, su progetto di Ove Arup, mentre il terzo e più sostanziale ampliamento è stato inaugurato nel febbraio 2008. La nuova struttura si distingue per le notevoli dimensioni (una lunghezza di circa 800 metri e una larghezza che raggiunge i 200 metri, per una superficie complessiva di 1 milione di metri quadri); la velocità della progettazione esecutiva e della costruzione (il concorso che ha visto l’assegnazione dell’incarico si è concluso nel novembre del 2003 e l’inaugurazione è avvenuta dopo soli quattro anni); la potenzialità dell’offerta e la flessibilità funzionale (si arriverà ad avere un transito di cinquantacinque milioni

di passeggeri all’anno nel 2015); la sostenibilità ambientale (sono inclusi sistemi di riscaldamento passivo), le aperture vetrate rivolte a sud-ovest e i sistemi di controllo ambientale che minimizzano l’emissione di CO2. Il progetto sviluppa una forma planimetrica che risponde a esigenze funzionali ma che è anche ricca di suggestioni e riferimenti iconografici: con la luce artificiale notturna appare come un’astronave “madre”, ma la sua sagoma allungata ricorda anche l’eleganza della pennellata dell’ideogramma, che rappresenta la parola “uomini”, le scaglie rosse della copertura e il profilo curvilineo imitano le sembianze di un rosso dragone. Il costo complessivo sarà di circa 2 milioni di euro.


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A05 Jianwai Soho

Progettista: Riken Yamamoto & Fieldshop Partner: Beijing New Era Architecture, Beijing Dongfang Huatai Architectural & Engineering, C+A (Soho Villas), Mikan (Shops) Progetto: 2001 Costruzione: 2005 Sito: Central Business District, Jianguomenwai Street

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Il gruppo imprenditoriale Soho (Small Office Home Office) si distingue in Cina per essere il principale promotore di interventi edilizi che si avvalgono del concetto di “mixeduse”. Tra gli esempi più significativi, si annovera Jianwai Soho. Il complesso, infatti, non solo comprende residenze di carattere innovativo, ma anche uffici, “atelier” di grandi firme, negozi al dettaglio e strutture ricreative. Un sistema di torri di varie dimensioni è alternato a corpi di soli tre piani (le villas). Una variazione di scala che consente al visitatore un affascinante controllo percettivo. Jianwai Soho, inoltre, è la prima realizzazione a Pechino che prevede la razionalizzazione e differenziazione dei flussi di percorrenza su più livelli con aree esclusivamente pedonali, strade e parcheggi sotterranei, interconnessi alla rete stradale esterna senza barriere per il controllo degli accessi. Per di più, anziché collocare le costruzioni attorno a un unico centro di servizi,

si è organizzato all’interno del lotto un insieme di luoghi pubblici, creando piazze, viali e terrazzamenti, che funziona da collegamento verso i piani interrati e contribuisce alla ventilazione e illuminazione. Le torri, infine, sono coperte con terrazze giardino. La progettazione (diretta da Riken Yamamoto, autore di edifici con simili standard a Tokyo) si basa su due schemi ortogonali, ruotati tra loro di 25 gradi in modo da raccordarsi, con il disegno planimetrico, contemporaneamente al contesto edilizio e al fiume Tonghui. Gli edifici, dalla forte immagine d’insieme, unificata da una ripetuta soluzione modulare di facciata di colore bianco, si sviluppano su una superficie lorda di 700.000 metri quadri, a fronte di un terreno di 169.000 metri quadri, per un totale di duemilacentodieci unità immobiliari. Il nuovo quartiere è diventato ben presto uno dei nuclei urbani più frenetici di Pechino e numerose manifestazion pubbliche si svolgono tra la scenografia degli astratti edifici.


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A06 Shang Du Soho

Progettista: Lab Architecture Studio Partner: Ove Arup & Partners, Chinese Academy of Building Research (CABR) Progetto: 2004 Costruzione: 2007 Sito: Central Business District, Dongdaqiao Road

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Il progetto è situato su un lotto di 2,2 ettari all’interno del Central Business District. È stato promosso dal gruppo Soho (Small Office Home Office) e progettato dallo studio di origine australiana Lab Architecture Studio, guidato da Peter Davidson. Come nel Jianwai Soho, anche in Shang Du Soho la destinazione d’uso è mista: uffici, residenze e commercio al dettaglio, tutti collegati e integrati da ristoranti, bar e punti d’incontro, per un’area totale costruita di 170.000 metri quadri. Il complesso è composto da due edifici collegati dai cinque piani di un basamento commerciale, che costeggia il fronte stradale e funge anche da spazio collettivo in cui organizzare eventi come sfilate e concerti. La volontà dei progettisti

è di provare a incorporare le comuni attività previste e gli eventi pubblici estemporanei in uno stesso spazio architettonico. Il disegno delle facciate delle torri si ispira alle superfici di un cristallo dalle molteplici inclinazioni. Di giorno le pareti così sfaccettate di curtain wall riflettono in maniera differenziata il paesaggio circostante e di notte sono ulteriormente delineate dai led che ne ornano gli spigoli. Nonostante il progetto generale tenda a un’esaltazione delle forme, il complesso si inserisce nel contesto senza restarne estraneo, grazie a collegamenti visuali e fisici, percorsi pedonali, che permettono il fluire della vita cittadina all’interno dei nuovi spazi costruiti.


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A07 Linked Hybrid – Filmic Urban Space

Progettista: Steven Holl Architects / Steven Holl, Li Hu Partner: Beijing Capital Engineering Architecture Design Progetto: 2004 Costruzione: 2008 Sito: Dongzhimen North Street

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L’idea di fondere i due aspetti tipici della residenza di Pechino, le case tradizionali basse a corte e gli edifici alti costruiti nel periodo della modernizzazione, ha generato uno schema con otto torri, alte 66 metri, che racchiudono una corte interna occupata da alcuni volumi minori. Il progetto prevede tre livelli di spazi comuni che mettono in relazione le varie parti del complesso. A quello del suolo, aperto anche al pubblico, ci sono negozi, servizi e un grande specchio d’acqua rettangolare con rocce e piante acquatiche. Il secondo livello è una terrazzagiardino che si estende per tutta la corte e infine un terzo livello, il più spettacolare, è costituito da una sequenza di ponti sospesi che raccorda le torri degli alloggi a mezza quota e caratterizza in modo inconfondibile gli edifici. Sono stati studiati con cura tutti gli impianti

termici e di ventilazione, comprese soluzioni che sfruttano la geotermia, per consentire il risparmio energetico e una migliore qualità alla vita degli abitanti. L’organizzazione dello spazio interno degli appartamenti è flessibile. Pannelli semovibili, che ruotano su un perno, si possono aprire o chiudere a seconda delle esigenze riproponendo le consuete soluzioni architettoniche d’interni del maestro newyorkese. Anche i pannelli che compongono la facciata sono un chiaro riferimento ad altri progetti dell’architetto: la residenza studentesca del M.I.T. e il complesso residenziale giapponese realizzato a Fukuoka in Giappone. I ponti sospesi, infine, sono un esplicito rimando a una tipologia sviluppata già all’inizio della carriera da Steven Holl.


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A08 Chaowai Soho

Progettista: Iroje Architects & Planners / Seung H. Sang Progetto: 2004 Costruzione: 2007 Sito: Sanlitun

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Il complesso, promosso dal gruppo Soho (Small Office Home Office), si distingue per due forme principali: un grande corpo massiccio che racchiude uno spazio interno e un’alta torre che svetta nella corte. Il complesso è adibito a uffici e al commercio al dettaglio. Il progetto parte dall’idea di creare una galleria circolare intorno a una piazza interna e che, al contempo, ricordi i mercati all’aperto e le antiche case tradizionali di terra della regione del Fujian. Assumendo una forma sinuosa e morbida, il complesso si adegua al perimetro del lotto. Il progettista, il coreano Seung H. Sang, reinterpreta l’architettura storica asiatica in termini contemporanei anche tramite i materiali: le aperture non ordinate delle finestre, intercalate a rarefatti bow-window, riprendono alcuni caratteri tipici della città

unitamente alla colorazione marrone delle facciate esterne – un richiamo alle murature – sebbene essa sia risolta da una bellissima pietra multicolore. La superficie del lotto è di 20.000 metri quadri, quella totale dell’intervento è di 150.000 metri quadri, dei quali 64.000 destinati al commercio al dettaglio e 70.000 a uffici. Il grande blocco massiccio è formato da due edifici di undici piani collegati tra loro con ponti a varie quote oltre ai collegamenti interni ottenuti tramite scale, gallerie e scale mobili che formano uno spazio complesso e articolato. Le coperture sono costituite da tetti giardino. L’edificio alto, invece, è una torre di venticinque piani in acciaio e vetro, che emerge in contrasto con la parte più bassa del complesso e ha una destinazione d’uso principalmente a uffici.


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