La Musica ignorata

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A Loredana Francesco Sandro


Franco Mussida la MUSICA ignorata


In copertina Uomo-Suono, 2013 Design Marcello Francone Redazione Giovanna Rocchi Impaginazione Sabina Brucoli Fotografie Andrea Melzi

Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore © 2013 Franco Mussida © 2013 Skira editore, Milano Tutti i diritti riservati Finito di stampare nel mese di luglio 2013 a cura di Skira, Ginevra-Milano Printed in Italy www.skira.net


Ringraziamenti Devo un sentito ringraziamento a Tino Stefanoni e Domenico Bianchi per i preziosi consigli. A Demetrio Paparoni anche per avermi fatto da cicerone in un nuovo mondo. Ringraziamento che estendo ad Alex Pinna per le esortazioni, e alle tante persone che hanno collaborato con me per realizzare l’installazione Cambiare di stato e le altre opere: per le sculture in Ceramica: Pietro Vita; per le strutture delle Stazioni d’ascolto con vista sulla Musica: Guido Aliffi; per i lavori di grafica: Edoardo Steiner; per l’impiantistica e le registrazioni ed elaborazioni dei suoni delle sculture: Ludovico Clemente; per la tecnologia delle Stazioni d’ascolto: Ludovico Clemente, Alessandro Brazzoni, Daniele Zanotti; per gli Uomini-Suono in bronzo: Felice Ardito; per i Teatri-Balera: la scuola di Design dell’Accademia di Brera diretto dal prof. Antonello Pelliccia con la collaborazione di Luca Nicosia; per il quadro L’emozione della scala Lidia: Emanuela Pagura; attrezzature audio, studio di registrazione e segreteria generale: CPM Music Institute di Milano.


Sommario

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Franco Mussida. Musica da vedere Martina Corgnati

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Premessa Quel genere che li contiene tutti Sul musicista e sull’ascoltatore La Musica oltre l’intrattenimento

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Terra di vibrazione e d’immaginazione L’uomo invisibile La teoria dell’Ultra- e dell’Iper-invisibilità Monodimensione e multidimensione

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Effetti della Musica Premesse per una filosofia degli effetti intervallari Il suono come domanda, l’emozione come sua naturale risposta Filosofia degli effetti intervallari sulla sfera emozionale Udibilità e inudibilità. Teorie sull’invisibile legato al suono

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Cambiare di stato Diciassette stazioni d’ascolto con vista sulla Musica Sulla memoria di suono della materia inanimata Sull’origine della forma delle sculture Sui materiali e i metalli Intervallo musicale e simbologia rappresentata sui manici Il fenomeno delle eclissi musicali L’eclissi maggiore e l’eclissi minore La Musica dimostra tre cose Effetti intervallari


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Forze evocatrici degli intervalli musicali Intenzioni emotive ed evocazione Forze evocatrici degli intervalli musicali Intervallo di Prima: forza della saggezza Intervallo di Seconda: forze della paura e dell’inquietudine Intervallo di Terza minore: forza della percezione interiore – malinconia Intervallo di Terza maggiore: forza della percezione esteriore – speranza Intervallo di Quarta: forze del dubbio e dell’ambiguità Intervallo di Quinta: forze della contemplazione e della fluidità Intervallo di Sesta: forza del calore che crea Intervallo di Settima: forze del dolore luminoso, del ricordo e della nostalgia Intervallo di Ottava: forza dell’origine Quadri

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Opere I Teatri-Balera

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L’esperienza del rintocco La leggenda inventata della principessa indiana



Premessa

Quel genere che li contiene tutti Suono da quando avevo nove anni. A trentuno, nonostante gli studi di chitarra classica, l’abilità con quella elettrica, l’aver girato mezzo mondo e composto nel mio settore quelli che vengono definiti successi nazionali e internazionali, volevo smettere perché mi sentivo un usurpatore della Musica, un incosciente che si ostinava a usarla, a scrivere, suonare, improvvisare, a muoversi come un cieco in un mondo in cui vagavo solo per istinto e di cui sapevo poco o nulla. Oggi va un po’ meglio. Ma se si esclude l’effimera sicurezza dei gesti, la soddisfazione che dà la padronanza tecnica degli strumenti, il piacere di sentirmi profondamente affine al mondo del suono, continua a essere complicato, anche se eccitante, frequentare uno spazio in cui si lavora solo per sensazioni e nella totale oscurità. Col tempo e con qualche inaspettato ma preziosissimo aiuto dal cielo, ho intuito che si poteva capire qualcosa di più sulla relazione tra cause ed effetti, tra Musica e cambiamenti di stato d’animo se si affrontava il problema non solo da un punto di vista tecnico, ad esempio approfondire ancora di più lo studio dell’armonia, ma se mi mettevo a fare osservazioni su me stesso, sugli effetti che avevano su di me armonia, melodia, ritmo e timbro. Cosa provavo davvero in profondità, intimamente, mentre suonavo? Me lo domandavo spesso alla fine delle tante esibizioni in cui mi lasciavo andare quasi completamente all’istinto. Cosa succedeva nella mia interiorità? Cosa mi evocava un suono? Che effetto provocava in me e nel pubblico che ascoltava un intervallo, un clima, una melodia, magari legata alla parola? Perché da ragazzo non potevo sopportare il Jazz e poi di colpo, superata l’antipatia per un preciso intervallo musicale, ho cominciato a innamorarmene? Col tempo ci si accorge che ciò che si prova mentre si suona non è troppo diverso da ciò che prova chi ascolta. Che gli effetti sono gli stessi e non importa se si sta suonando o ascoltando un genere piuttosto che un altro. La malinconia di un cosiddetto metallaro, quella che si mette in moto in lui 15


ascoltando l’immancabile ballad, magari dei Metallica, è pur sempre malinconia, un sentimento comune e condiviso. La Musica la evoca in milioni di modi diversi e ognuno le dà una sua specifica visione a seconda delle sue naturali propensioni temperamentali, ma il sentimento è uno solo. Alcuni la provano con una pienezza appagante ascoltando Puccini, altri sentendo Baker in Summertime, altri lo Springsteen in Streets of Philadelphia, altri ancora immergendosi in Eric Satie. Mentre gli amanti della Musica pop la sentono colorarsi di speranza sulle ali di canzoni come Almeno tu nell’universo o La Cura. Ma è pur sempre e soltanto “malinconia”, un sentimento universale, come è universale la Musica. Ed è così anche per tutti gli altri moti interiori essenziali; la Musica li rende vivi proponendo ritmi e tempi diversi, riempiendo col suo potere di evocazione tutti i linguaggi e i generi, dai più semplici ai sofisticati. È grazie a lei che ci sentiamo vivi interiormente, che possiamo toccare col cuore i colori della nostra sensibilità emotiva. Il verde tenue della flemma, il giallo acceso dell’entusiasmo contagiante, il rosso della collera, o il blu profondo della malinconia. Mentre si suona e si ascolta è possibile accorgersi del nascere di questi misteriosi processi. L’occhio si attiva per guardare ciò che succede fuori, l’Io musicale si sveglia per osservare attraverso processi sonori cosa ci succede dentro. Certo non è facile compiere queste osservazioni, serve avere come delle speciali lenti interiori. Sembra tutto complicato, ma la comunicazione musicale è diretta, percepibile subito, la si vive, anche se non ci si riflette sopra. Si mangia per abitudine e si ascolta Musica per abitudine senza farsi troppe domande. È qualcosa di istintivo. Sono però sempre di più le persone che maturano una più lucida coscienza alimentare. Si spera succeda altrettanto per la Musica, che è un alimento a sua volta. Per iniziare basta ascoltare e osservare con attenzione i risultati degli effetti del suono, provando a non mettersi in mano soltanto all’antipatia o alla simpatia per questa o quella Musica. È così che inizia la costruzione di quelle particolari lenti cui accennavo prima. Le mie me le sono ovviamente costruite artigianalmente con l’esperienza di anni e come dicevo con qualche preziosissimo, inaspettato aiuto. Nonostante questo sono grezze, mi ricordano quelle di Guglielmo da Baskerville, il frate francescano de Il nome della rosa, ma mi permettono di orientarmi, di procedere non proprio alla cieca in questa scivolosa regione dell’invisibilità affettiva legata al suono. Mentre lavoro continuo a chiedermi se quello che deduco, intuisco, provo personalmente sia sovrapponibile a ciò che succede ad altri. Su questo tema però, su oggettività e soggettività della comunicazione musicale, sui suoi ef16


fetti sul piano delle emozioni del pensiero, sul suo potere evocativo, fortunatamente ho potuto sperimentare e documentare molto. Mi è stato spesso chiesto quando ho iniziato a occuparmi degli effetti del suono sulla persona e come si sia evoluto questo interesse. È successo una trentina d’anni fa, provando a guardare cosa si nascondeva dietro le regole armoniche, dietro gli aspetti tecnici ed espressivi dei linguaggi musicali. Era il periodo in cui fondai il CPM Music Institute di Milano. Tra le motivazioni che mi indussero a darmi da fare in quel senso c’era anche un motivo egoistico, costringermi a intensificare gli studi, visto che la mia vera maestra è stata prevalentemente la strada, il palco. Poi, un decennio tra carcere e comunità a incontrare ragazzi in difficoltà, a sperimentare e osservare con loro i rapporti tra suono ed emozione, a inventare modi per riscaldare il cuore e far sedimentare, calcificare nelle loro ossa un po’ di serenità e di fiducia. Credo sia stata fondamentale la spinta della passione, oltre che per la Musica, anche per la filosofia, la pedagogia e l’antroposofia. Importanti sono state le tante lezioni tenute in università e nel nostro istituto, lezioni che mi hanno consentito di verificare le osservazioni e sperimentare nuovi elementi motivazionali, di osservare le reazioni alle teorie sull’Ultra-invisibilità. Ascoltatore e musicista sono le due parti di una mela spaccata a metà. Il desiderio di conoscere delle nuove generazioni rende sempre più necessario spiegare a chi ascolta, i veri destinatari del lavoro di ogni musicista, come funziona ciò che gli si offre. Ma non è come rendere “trasparenti” le etichette dei prodotti alimentari, profumi, farmaci, non è solo precisarne il contenuto. Si tratta di rendere più trasparenti i processi di un prodotto sonoro invisibile che provoca effetti sorprendenti, completamente istintivi, capaci di modificare in modo profondo, nel tempo di una canzone, lo stato emotivo dell’individuo. Non è roba da poco. Il tema è la libertà condizionata dell’ascoltatore, il suo farsi governare più o meno consapevolmente dal mondo del suono. Si è più liberi se si conoscono meglio questi effetti, e non è vero che il musicista o l’ascoltatore che li indaga gode meno, anzi: gode molto di più. Sul musicista e sull’ascoltatore La Musica è stata definita in tutti i modi. Basta andarsi a leggere uno dei tanti dizionari e alla voce “Musica” si trovano incredibili perle di saggezza, bellissime definizioni in forma poetica proposte da filosofi, scrittori, artisti di tutti i tempi e di tutte le discipline. Ma prima di essere plasmabile fino a diventare “Arte Femmina”, la Musica è fondamentalmente una magica forza evo17


catrice che muove i muscoli invisibili e involontari che costituiscono la nostra struttura emotiva interiore. È una specie di trasparente burattinaia che, attraverso i suoi fili di suono, mette in scena sullo schermo del nostro cervello, con l’aiuto di cuore e polmoni, storie e racconti senza alcun bisogno di usare parole. Lo fa creando climi e paesaggi fatti di emozioni e sentimenti, che spesso non ci immaginiamo neanche di avere, mettendo in luce i nostri veri tesori nascosti. Che sia fondamentalmente un forza evocatrice capace di produrre la primavera in gelide serate invernali, consolare chi soffre per amore senza bisogno di frasi a effetto, dare una sveglia al ragazzino malinconico che se ne sta a rimuginare, riempire di ulteriore eccitazione motoria l’entusiasta, lo sanno bene i musicisti più o meno consapevoli di ciò che fanno. Lo sa chi ha suonato tanto, chi si è fatto i calli alle mani e sulle dita, chi si è sgolato, usurato le corde vocali, o si è segnato in maniera definitiva le labbra. Lo sanno i tanti musicisti che hanno fatto e fanno un lavoro umile lontano da splendide strutture, storiche bomboniere, sale da concerto disseminate in tutti i Paesi del mondo; quelli che la Musica la vivono per tradizione, l’hanno rubata alle radio, l’hanno imparata e la fanno per strada come i gitani, gente spesso di grande sensibilità ma poco avvezza alla parola che esprime la poesia e la filosofia. Per chi utilizza la Musica per offrire l’occasione di un sorriso, dare sollievo e piacere alleggerendo il peso dell’esistenza, è certamente più utile immaginarla come forza lavoro. Una forza capace di operare la magia di una trasformazione interiore, una forza che genera movimento, che può far ballare, sognare e immaginare. Una forza occulta che lavora come il vapore o l’energia elettrica per le macchine, una forza biologica capace di produrre movimenti visibili e invisibili. Il carburante emozionale necessario al musicista per operare col suo strumento quale che sia. La Musica quindi non esiste solo per il piacere dei musicisti, ma per il piacere e il benessere di tutti gli ascoltatori. Svanita nell’inevitabile silenzio che arriva alla fine di ogni brano, ciascuna Musica lascia le sue tracce, i sui sedimenti in chi l’ha ascoltata. Sedimenti che diventano ricordi più o meno lucidi in forma d’emozione, ricordi di puri sentimenti in forma di suono che ciascuno si porta dentro. Spesso queste emozioni, questi sentimenti dispersi nell’aria dal musicista, sono talmente forti che una volta assimilati ed elaborati alla velocità della luce dai meccanismi del piacere dall’ascoltatore, arrivano a livelli tanto profondi da sedimentarsi in lui rimanendovi per tutta la vita. 18


Essere un vero “ascoltatore” significa infatti sentirsi partecipi, farsi coinvolgere emotivamente dalle comunicazioni che la Musica di qualsiasi genere e forma propone. Significa avere sensibilità simili e compatibili a quelle del musicista. La differenza tra l’uno e l’altro in pratica non esiste, se non nell’interesse manifesto del musicista di voler mettere, come si dice, “le mani in pasta”, ovvero occuparsi con più coscienza di tutto ciò che serve per suonare la Musica, pensarla, viverla. Anzi, forzando un po’ la mano, si potrebbe dire che l’ascoltatore si trova senza volerlo a godere dei frutti del musicista senza prendersi carico di alcuni svantaggi connaturati con la nostra professione. E per svantaggi non intendo una vita spesso scomoda, per tanti precaria, con ritmi sballati, ma alcune inevitabili controindicazioni che colpiscono soprattutto chi, attraverso talento o fortuna, ha ottenuto successo e celebrità. Essere seguiti per anni da un pubblico numeroso con il quale si sono condivisi eventi straordinari e intense emozioni è certo fonte di gioia e soddisfazione, ma ha pur sempre le sue simpatiche complicazioni. Ciononostante, scegliere di suonare uno strumento musicale, di cantare, oppure limitarsi a far propri gli effetti prodotti da chi canta o suona stando dall’altra parte del palco o con delle cuffie alle orecchie, ha in ogni caso un solo comune denominatore: quello di sentire intimamente che suono e Musica contengono qualcosa di veramente speciale e straordinario. Certo, nel rapporto di “dipendenza” tra musicista e pubblico ci sono, come ovvio, anche problematiche di relazione. Quella più comune al musicista, specie nell’ambito della canzone, è il veder facilmente sfumare la sua natura di servitore della Musica vinto dalla frenesia di raggiungere a tutti i costi il consenso del pubblico, di volerlo con tutti i mezzi, fino a offrirgli ciò desidera ma che lui non ama. La complicazione più comune nell’ascoltatore è invece quella di usare un pò troppo l’istinto in una visione eccessivamente manichea tra amare od odiare certe musiche. L’“ascoltatore” più ama, più si emoziona in profondità, più si trasforma, passando da semplice persona che assorbe le emozioni offerte dal musicista a esclusivo proprietario di quelle stesse emozioni. Le sedimenta tanto in profondità nella propria memoria affettiva, che quelle fotografie interiori, quelle forti emozioni e sentimenti legati a suoni, melodie, parole, finiscono per non essere più considerate come farina del sacco dell’autore, ma qualcosa di sua esclusiva proprietà. Più forte è quell’emozione, quel ricordo di suono, più l’“ascoltatore” vorrà rivivere quell’emozione anche ad anni, decenni di distanza. Non c’è niente di negativo in questo, del resto il mercato del cosiddetto “revival” lo sa be19


ne. E poco importa se a fargli rivivere quelle emozioni è qualche altro artista, o magari il suo stesso idolo che nel frattempo non è più quello di una volta, è cambiato anche fisicamente, magari ha la pancetta, meno capelli, ha perso lo charme e il carisma di un tempo: l’importante è rivivere quelle emozioni fatte di una sostanza speciale nascosta nell’immaterialità del suono. Tutto questo è un segno forte, il segno del magico potere di relazione che la Musica porta con sé coinvolgendo chi suona e chi ascolta. È proprio questa forza, questa magia che coinvolge musicista e ascoltatore, che mi ha sempre affascinato: quell’incredibile potere di relazione tra Musica ed emozioni. Un potere di cui si sa ancora molto poco, nonostante sia lo scopo primario di qualsiasi comunicazione musicale. Questo è uno degli ambiti musicali che ho studiato e frequentato, ma chi mi conosce sa che non è l’unico in cui ho lavorato e sperimentato. Del resto l’ambito musicale mi coinvolge mio malgrado da più di sessant’anni, dal lancio del mio primo vagito nello spazio asettico di una sala parto dell’Ospedale Maggiore di Milano. Tra gli ambiti in cui ho fatto esperienza, tra quelli più noti, c’è certamente il mio essere chitarrista, compositore, cantante. Un impegno che da più di cinquant’anni mi vede proporre dai palcoscenici di mezzo mondo il mio modo di vivere la Musica che, nonostante gli studi classici, si è subito orientato fin da ragazzo nell’ambito del Pop e del Rock, ovvero nell’alveo della Musica popolare contemporanea. Un insieme di forme musicali che coinvolge miliardi di persone, che portano in sé gli stessi identici poteri essenziali di forme considerate più nobili. Sono quei poteri, pagliuzze d’oro da setacciare anche tra le correnti “maleducate” alla “Rolling Stones”, che hanno coinvolto l’ascoltatore che vive in me, invitandomi a lavorare attorno a ricerche e osservazioni su principi ed effetti che regolano la relazione tra suono ed emozione. È un duplice lavoro che mi ha appassionato e che mi appassiona da più di trent’anni al punto da sentire il bisogno di raccontarlo, condividerlo concettualmente, fissarlo in modo concreto e inequivocabile. Tanto che per farlo ho dovuto distaccarmi per un attimo dall’etericità del suono per utilizzare una materia artistica molto diversa, una materia molto più densa, che si pesa e si vede: la forma della scultura e dell’immagine. La Musica oltre l’intrattenimento È pensiero purtroppo ormai comune che proprio la Musica legata ai linguaggi popolari trovi ruolo e identità quasi esclusivamente nell’ambito dell’intrattenimento e dell’esibizione. Un pensiero che condiziona chi crea, chi produ20


inscindibile, costituendo così nella realtà emozionale un particolare stato di uguaglianza. Effetti intervallari Al pari delle forze generate dagli intervalli di Terza maggiore e minore, ciascuno degli intervalli che si producono all’interno della cosiddetta Ottava ha un suo preciso potere evocatore, una sua specifica identità e forza vibrante udibile che, a contatto con l’elemento vibrante Ultra-invisibile inudibile, provoca il sorgere di una forte emozione, la nascita di precisi sentimenti. È un fatto conclamato che, nonostante l’intensità di queste evocazioni possa variare da persona a persona, è un fatto personale oggettivo, anche se soggettivo è l’effetto che si vive altalenando simpatie e antipatie. Pur essendo la malinconia un sentimento chiaro a tutti, ciascuno lo può vivere a suo modo. C’è chi ha una sensibilità più fine, come accade ad esempio per i registi cinematografici che magari rendono visibile la malinconia osservando e mostrando cose diverse: una bici arrugginita appoggiata al muro, un fiore appassito, lo sguardo del tifoso dopo un goal subito dalla squadra del cuore, l’atto di una persona cara che volta le spalle senza salutare, non solo quindi prendendo a riferimento la “solita” immagine della luna che si rispecchia sul mare. In virtù delle forze che abbiamo già visto all’opera, ciascun intervallo ha quindi una sua diversa personalità evocatrice. C’è da notare che la distanza di una nota dalla sua casa d’origine, dalla cosiddetta Tonica, la nota per così dire di partenza che dà il nome a ogni accordo, che funge anche da prima nota della scala, è determinante per il tipo di emozione e sentimento evocati. Come per l’occhio umano, maggiore è la distanza più l’intervallo lo si sentirà distante anche emotivamente, nel senso che i suoi effetti, pur bruciando molto – come ad esempio quello di Settima maggiore – apparterranno a una sfera che ci fa percepire la lontananza, qualcosa di ancestrale che abbiamo abbandonato e che vive nel passato. Quelli più vicini, come la Seconda, ci scuotono risvegliandoci, oppure, come la Terza sia maggiore che minore, danno maggiormente l’impressione di uno stare vicino a casa. Per tornare ora al mio lavoro visivo, come ho già ricordato, ciò che si trova sui manici delle sculture sono appunto gli effetti delle forze che ogni singolo intervallo produce sul nostro mondo affettivo. Sulla parte più esterna del manico è inciso il numero dell’intervallo; sotto, separati da uno spazio in cui non c’è nulla, lo spazio del mistero e del cambiamento di stato, sono invece incisi i simboli delle forze che agiscono quando si ascolta Musica, forze che operano dentro e fuori di noi, forze che stanno celate in tutti, nessuno escluso. 66


È chiaro che i poteri della Musica non si limitano solo al potere degli intervalli. Ad esempio la forza del ritmo opera a fianco di quella intervallare, di quella melodica, armonica, timbrica, aiutando ciascuna forza a sedimentare l’esperienza. Per quanto riguarda la forza intervallare essa lavora facendoci percepire sia la dimensione dell’interiorità, sia quella dell’esteriorità. Un’esteriorità che non sentiamo però come qualcosa che è altro da noi. Attraverso la Musica è possibile sentire se stessi, ma è anche possibile allontanarsi da se stessi. Si sta nello spazio interiore affettivo ma si può anche uscire in uno spazio esteriore affettivo che è vivo nel mondo. La Musica ci permette di volarvi in mezzo, di allontanarci e di avvicinarci a noi stessi, di rinchiuderci in noi stessi fino a serrare la nostra porta di casa. Le nostre ali vere non sono fisiche ma musicali. I diversi simboli che rappresentano le forze hanno quindi una costante: la rappresentazione dell’interiorità raffigurata da un ovale, e dallo spazio che sta oltre, fuori dall’ovale, un vivere fuori da questo spazio delimitato, che percepiamo anche oltre il confine del nostro corpo. L’intervallo di Quarta segnala questa linea di confine che divide in modo percettibile ciò che sta dentro da ciò che sta fuori, l’interno dall’esterno.

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Forze evocatrici degli intervalli musicali


Intenzioni emotive ed evocazione Prima di entrare nel merito delle caratteristiche evocative di ciascun intervallo, vorrei trarre qualche conclusione rispetto a ciò che fin qui ho scritto. Il suono musicale prodotto da un musicista con uno strumento naturale, fosse anche la sua voce quando canta, non è solo un insieme di frequenze udibili, ma il veicolo delle sue intenzioni, emozioni e sentimenti più privati e profondi. Riempire il suono di questi elementi vibranti inudibili che agiscono su un diverso piano di invisibilità, che si può dire Ultra-invisibile, genera un flusso emozionale che coinvolge chi suona e chi ascolta. A questo personale e soggettivo flusso di intenzioni si aggiungono altri elementi oggettivi della Musica: quelli che costituiscono i poteri dell’elemento vibrante musicale, elementi naturali come ritmi e timbri e variazioni d’altezza sonora, che operano sia in natura che nell’uomo. Tra questi, nell’ambito dei poteri legati alla variazione d’altezza del suono musicale, ovvero un suono sentito, pensato e voluto in modo specifico da un musicista, svolge un ruolo fondamentale il potere dell’intervallo musicale, un potere evocativo che viene universalmente e istintivamente riconosciuto da tutte le etnie e tutti i popoli. Si osserva poi che in questo quadro, ogni intervallo (da considerarsi come vero mattone della Musica) produce un suo specifico effetto evocatore nell’interiorità di ciascuno. Quella che mi piace definire Musica nuova, quella non riprodotta, ma suonata dal musicista di fronte al suo pubblico, produce questo effetto evocativo sposandosi con la singola natura temperamentale, cioè caratteriale di chi ascolta, eccitandola fino a che non compaiono, in risposta, emozioni e sentimenti puri, ovvero scremati da ricordi, azioni, atti o fatti accaduti. Ciò che comunica questa Musica sempre nuova e viva, proposta dal musicista che viaggia su un diverso piano di invisibilità, è semplicemente un’essenza, la sua essenza d’emozione e di sentimento che si confronta per simpatia con i colori interiori di chi ascolta. Sentimenti e stati d’animo in forma pura: malinconia, rabbia, compassione, tenerezza, paura, diffidenza, gioia, angoscia, serenità ecc… perfino il senso fine della speranza. Tutti quei valori alti, ma anche quelli più bassi, che costituiscono la natura nascosta e fondante del nostro relazionarci con il mondo attraverso piaceri e dispiaceri, aperture e chiusure con tutti i possibili livelli intermedi istintivi. Insomma, una realtà parallela che per metafora si potrebbe dire essere costituita da puri colori senza forme, da odori senza la materia che li genera; una realtà di pure forze interiori, più che di figure, oggetti, paesaggi fisici. Questi aspetti sono noti. Un lavoro su aspetti della relazione suonoMusica-colore lo fece Vasilij Kandinskij nei primi anni del secolo scorso, ma tanti altri artisti hanno approfondito il tema Musica-colore. Il lavoro che vorrei fa69


re in questa fase, prova a inquadrare le forze del suono e della Musica osservando i poteri evocatori generati dalle variazioni d’altezza che produce l’intervallo musicale. Possiamo immaginarle meglio se pensiamo che queste forze ci abitano, ci investono e ci rivestono. Forze-colore che sanno prendere la nostra forma come eterei, invisibili vestiti interiori. Se osserviamo la pelle delle guance di una ragazza sensibile lusingata da uno sconosciuto, si nota che si colora di rosso se si sente toccata nell’intimità da un suo gesto, o da particolari parole. Ma che colore ha veramente l’intenzione emotiva, quel potere interiore che sale da dentro, e che infiamma le guance provocando il rossore? La Musica agisce un po’ allo stesso modo, invade la nostra intimità ma noi la facciamo entrare senza opporre resistenza, senza arrossire. Per usare l’ennesima metafora, questi suoi poteri evocativi che attivano sentimenti ed emozioni andrebbero immaginati come tanti diversi interiori vestiti colorati, che indossiamo a seconda della sollecitazione che arriva; l’occasione per farlo non giunge da una lusinga, dalla vista di un bel paesaggio, ma da un suono, dalla Musica, da quel potere disciolto in lei tra tanti altri, quello dall’intervallo musicale. Quando la differenza di potenziale sonoro che lo crea comincia inconsciamente a lavorare su di noi, come accade per il campo elettrico, produce energia emotiva che per simpatia genera evocazione. Il potere di questa energia viene esaltato dall’artisticità del musicista che vive a sua volta questo potere permeandolo del prodotto che gli intervalli creano in lui. Il musicista in questa condizione è contemporaneamente un ascoltatore che sente la Musica che lui stesso produce. Non è un caso che spesso ai musicisti più sensibili capiti di sentirsi gioire o di piangere mentre stanno suonando. Accade quindi che quando questo flusso di energia emotiva generata dal suono bussa alla porta dell’interiorità, una volta entrata nello spazio inconscio dell’ascoltatore, lui risponda istintivamente colorandoci, in modi sempre diversi a seconda dell’intervallo che si ascolta, neanche fossimo dei camaleonti, di uno specifico stato d’animo. Allora ci si sente come indossati da un sentimento, un sorta di vestito d’emozione la cui identità corrisponde alla forza evocativa. Ovviamente gusti e sensibilità sono tutte diversi da persona a persona. Dipendono da temperamenti del carattere interiore, della cultura non solo musicale, dalle simpatie e antipatie istintive. Anche per questo ogni individuo si può dire abbia un suo specifico armadio in dotazione con abiti emotivi più o meno fini, con gradi diversi di sensibilità, che vengono per così dire indossati, o meglio vissuti, a seconda delle diverse sollecitazioni provocate dalla forza della Musica e dai suoi intervalli. È per questa ragione che a una specifica Musica ciascuno reagisce a modo proprio. 70


Ogni intervallo ha quindi un suo potere, una sua forza evocativa. Ad esempio quello di Quinta agisce esattamente nello stesso modo a prescindere dalla forma o genere musicale che lo ospita, donando a questo o quel genere i sui poteri senza alcuna preferenza. Agisce sul cosiddetto “rockettaro” esattamente nello stesso modo con cui agisce su una signora della buona società che vive di Musica classica e magari ama Wagner. Per dimostrarlo ci sono molti modi. Se si analizza l’introduzione, il cosiddetto riff di Smoke on the Water, brano simbolo dei Deep Purple del 1973, e il tema della Cavalcata delle Valchirie, brano dell’opera La Valchiria di Richard Wagner del 1856, entrambi emblematici, si notano interessanti punti in comune. Un certo incitare alla disobbedienza il primo, un evocare venti di guerra il secondo. Si osserva anche che oltre il suono della sezione di trombe e tromboni della Cavalcata, che ha punti in comune con la chitarra distorta di Ritchie Blackmore, un altro dei punti in comune è trasmettere sensazioni volitive, le stesse che si legano all’evocare l’epicità della battaglia e all’energia contro del Rock vestito di Metal. In entrambi i brani vive una sequenza di tre intervalli di Quinta. Mentre però nella Cavalcata gli intervalli di Quinta dei tre accordi principali in sequenza sono come “ingentiliti” nel loro potere dall’arpeggio e da alcuni intervalli di Terza minore che vi si frappongono, la sequenza dei tre accordi di Smoke on the Water è diretta, potente, come un cazzotto nello stomaco. Tolti di mezzo gli intervalli di Terza dagli accordi (fanno troppa sentimentalità), Blackmore nel suo famosissimo riff si affida a tre accordi statici ben noti nella Musica rock. In pratica fa risuonare contemporaneamente l’intervallo di Quinta e quello di Ottava, quello centrale di Quarta è poco influente in quanto soggetto all’effetto eclissi, come ho raccontato riferendomi al fenomeno che si nota molto bene negli intervalli di Terza. L’insieme di Tonica, Quinta e Ottava produce quella particolare sensazione imperiosa e magica che coincide anche con l’immagine emotiva dell’equilibrio perfetto prodotto dall’intervallo di Quinta. Una sensazione che si unisce a un’ulteriore forza, quella della certezza della sorgente di ogni evocazione emozionale che vive nell’intervallo di Ottava. Quindi non dovete stupirvi se nel chiedere a un amante dell’Hard Rock di qualsiasi nazionalità cosa pensi della Cavalcata della Valchirie: egli, con ogni probabilità, vi farà un sorriso e punterà il pollice al cielo. Questo esempio potrebbe essere esteso a tutti gli intervalli: a quelli di Settima che trovano dimora nel dolore sia del Blues che in una dimensione più altera e nobile, nel Bolero di Ravel. Agli intervalli dell’esitazione, quelli di Quarta, che segnano il confine invisibile di un vivere dentro e un vivere fuori, carat71


teristici sia nelle fioriture del periodo tardo Barocco (Vivaldi) sia negli arpeggi delle dodici corde dei Birds, nel Folk americano, nelle canzoni di Dylan. Se pensiamo invece agli intervalli di Terza non basterebbero le stanze di tutte le biblioteche del mondo per contenere la Musica scritta con questo intervallo. Siamo quindi in un territorio che non è fatto di vuota filosofia, ma di esperienze interiori reali e concrete che sono il cuore della comunicazione musicale. Emozioni che i musicisti suonando e cantando imparano a riconoscere, a vivere, a controllare e quindi a proporre ad altri. Siamo nell’ambito di campi di forza che appaiono e scompaiono in continuazione seguendo l’andamento del brano, costituendo un sempre nuovo tessuto di colori interiori, campi di forza che si addensano e si disperdono come nuvole nel cielo dell’interiorità a una velocità talvolta così repentina da non essere misurabile. Ogni individuo, in modo diverso a seconda del suo particolare temperamento, oltre alle intenzioni soggettive del musicista, ne godrà quindi anche il potere oggettivo dell’intervallo e proverà maggiore o minore simpatia per alcuni intervalli legati a ritmi, timbri e armonia rispetto ad altri. Chi ha un temperamento entusiasta sopporta male le intenzioni di un incedere musicale flemmatico, lento, che “se la prende comoda” e si crogiola in un’intervallistica sofferente e lamentosa, tanto adorata invece da chi ha un carattere malinconico. Nella mia personale esperienza di osservazione e meditazione sui diversi piani e ruoli della Musica nel suo rapporto suono-emozione legato al potere evocativo di ciascun intervallo, mi sono trovato e mi trovo continuamente di fronte le forze che provocano un cambiare di stato, la condizione che si verifica quando un suono si trasforma in un’emozione. Sono queste le direzioni di forza evocativa che ho voluto timbrare sui manici delle mie sculture. Forze evocatrici degli intervalli musicali Fissare con qualche breve nota il reale potere degli intervalli non sarebbe solo presuntuoso, ma impossibile. L’insieme di questi poteri si può dire racchiuda infatti l’intero codice del sentire umano. Un insieme di poteri che riempie lo spazio emotivo del corpo. Definisce i confini della sensibilità riempiendo la casa terrestre come riflesso della casa celeste. Ciononostante, se si usa quel particolare orecchio che costituisce la fine predisposizione dell’ascoltatore che ama sentire i suoni musicali, che li accoglie nella propria interiorità dove li lascia lavorare, se si presta attenzione a ciò che ci succede, al nostro cambiare di stato emotivo, allora attraverso l’osservazione delle loro impronte su di noi (effetti evocativi), ci si rende conto di alcune caratteristiche delle straordinarie forze che sorgono e agiscono in quelle brevi distanze sonore che sono gli intervalli. 72


Macrocosmo microcosmo, 2013

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Eclissi minore, 2013

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Intervallo di Quinta, 2013

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Intervallo di Ottava, 2013

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Teatro-Balera 1 – L’altro mondo, 2013

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I Teatri-Balera

Nel lavoro con le arti visive il mio obiettivo è rappresentare visivamente i diversi piani di udibilità e di invisibilità su cui si svolge il rapporto di comunicazione tra Musica e individuo. L’area è immensa, ma nella normalità della vita ci sono fatti che osservati da un particolare punto di vista svelano preziosi segreti. Fatti concreti che consentono di rappresentare in forma visuale il rapporto tra musicista e pubblico. Uno di questi fatti riguarda il rito del concerto. Non si tratta però di concerti classici o legati a un genere particolare, ma tutti i concerti, da quelli vissuti dagli ascoltatori comodamente seduti in poltrona a quelli di Musica pop, jazz, che si adattano ai più diversi luoghi. Generi, specie il Progressive, che per un periodo si sono inseriti in luoghi destinati al ballo cambiandone le caratteristiche. C’erano infatti una volta certe Balere o Dancing (anglicismo a parte sono la stessa cosa) che in quel periodo aureo a cavallo tra la fine degli anni ’60 e i primi ’70, venivano usate dai ragazzi come sale da concerti, come veri e propri teatri. Quando faceva sera i ragazzi entravano nel locale di corsa per assicurarsi i posti davanti. Riempivano la pista da ballo sedendosi per terra a gambe incrociate. Erano arrivati fin lì facendo magari qualche centinaio di chilometri per diventare trasparenti “Uomini-Suono”, per respirare suono, nutrirsi di Musica di immagini ed emozioni, e smettere per qualche ora di ragionare razionalmente. Sperimentavano che la dimensione del sogno è una dimensione viva, non un effetto collaterale minore che si vive solo di notte nel proprio letto. Sognare a occhi aperti ascoltando Musica era per loro la prova di vivere un’esistenza più piena, si sentivano più ricchi, più motivati interiormente, umanamente. In quella sorta di Teatri-Balera della Musica si esibivano piccole orchestre, gruppi come la PFM in cui militavo. I ragazzi venivano lì per farsi attraversare, per catturare la forza evocativa di intervalli, melodie armonie e ritmi, le emozioni i sentimenti, l’energia di ciascun musicista che stava sul palco di fronte a loro; venivano lì per poter trasferire tutto questo mondo ognuno nel suo proprio mondo, per vivere la metamorfosi interiore di un continuo cambiare di stato provocato da 125



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