Impressionisti e postimpressionisti

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Impressionisti e postimpressionisti Capolavori dall’Israel Museum di Gerusalemme



La creazione di una collezione

Stephanie Rachum

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uando l’Israel Museum fu inaugurato nel 1965, nella sua collezione perma-

nente l’impressionismo e il postimpressionismo erano ben poco rappresentati, non essendo loro assegnato neppure un apposito spazio espositivo. Le raccolte di pittura e scultura comprendevano allora le opere che erano state richieste a collezionisti e artisti tra il 1906 e il 1964 da Boris Schatz e Mordechai Narkiss, i due padri fondatori ed ex direttori della Bezalel School and Art Museum (fig. 1, p. 16). In un primo momento Schatz si era limitato a raccogliere opere d’arte ebraica ma in seguito, sotto la guida di Narkiss, il Bezalel ha iniziato a funzionare come un museo moderno, ampliando l’orizzonte delle sue collezioni. All’apertura dell’Israel Museum, le opere di proprietà del museo Bezalel sono state trasferite nella nuova sede, diventando la base della collezione di arti visive. Per quanto scarse, alcune delle opere impressioniste e postimpressioniste del nuovo museo (fig. 2, p. 16) erano degne di nota. Tra queste vanno considerate quelle entrate a far parte delle collezioni del Bezalel nei primi anni cinquanta, quando divenne deposito di molti quadri la cui storia era legata all’Olocausto ebraico durante la seconda guerra mondiale. Nel maggio del 1949 l’istituto denominato Monuments, Fine Arts and Archives Section of the Restitution Branch of the United States Military Governement [Sezione Monumenti, Arti visive e Archivi del Dipartimento Restituzioni del Governo militare degli Stati Uniti in Germania], ha consegnato alla JRSO (Jewish Restitution Successor Organization [Organizzazione ebraica per la Restituzione ai Successori]) molti beni provenienti da collezioni appartenute a ebrei e delle quali non si conoscevano i proprietari o gli eredi. La JRSO fu autorizzata a distribuire in tutto il mondo tali beni. Di questi, molti furono assegnati alla Bezalel School and Art Museum. Proprio per il fatto di essere oggetti di proprietà ebraica sopravvissuti alla razzia nazista, queste opere non solo rivestono una particolare importanza artistica ma sono anche un simbolico monumento commemorativo ai collezionisti ebrei morti nell’Olocausto. Uno dei quadri più importanti, prima opera impressionista della collezione, è il paesaggio di Alfred Sisley (cat. 10) entrato a far parte del museo Bezalel nel 1950. L’anno sucCamille Pissarro (Saint Thomas, 1830 - Parigi, 1903) La fabbrica a Pontoise, 1873 (particolare cat. 1) Olio su tela, 38 x 55 cm

cessivo la JCR (Jewish Cultural Reconstruction [Ricostruzione culturale ebraica]), organizzazione istituita dalla JRSO con la finalità di raccogliere oggetti d’arte o di interesse culturale, spediva ventotto casse in Israele. Narkiss, allora direttore della Bezalel School and

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I precursori dell’impressionismo francese

Janne Gallen-Kallela-Sirén

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a nascita dell’impressionismo francese alla fine degli anni sessanta del-

l’Ottocento e la miriade di stili d’avanguardia che ne sono scaturiti, dal neoimpressionismo al cubismo e molti altri ancora, evidenziano una rapida accelerazione nella sequenza di eventi artistici e storici della seconda metà dell’Ottocento. Verso la fine del secolo, agli occhi degli artisti europei e dei critici di tutto il continente, la ricerca di originalità stilistica e tematica in pittura era diventata un principio guida per la pratica artistica. La durata di un movimento d’avanguardia e degli stili ad esso correlati – dalla nascita alla piena fioritura fino al declino definitivo – dipendeva da una rete complessa di mercanti d’arte, galleristi, critici e collezionisti che non solo in Francia ma in tutta Europa godevano di una crescente libertà da ogni ingerenza statale nelle questioni culturali. La collusione tra le innovazioni delle avanguardie e il più recente capitalismo dei consumi ha progressivamente trasformato l’arte in un aspetto cruciale della cultura commerciale moderna nonché del liberismo economico. Nel saggio fondamentale Le peintre de la vie moderne, pubblicato sulla rivista francese “Le Figaro” nel numero di novembre-dicembre 1863, il poeta e critico Charles Baudelaire definiva “modernità” in arte “quella metà effimera, fuggevole, contingente dell’arte la cui altra metà è eterna e immutabile”. Per i posteri la prima parte di questa frase è diventata l’incarnazione letteraria dell’estetica impressionista, il desiderio di cogliere in pittura gli echi dell’eccentrico pulsare della vita contemporanea, sia in città sia in campagna, che si manifesta nelle opere di Édouard Manet, Camille Pissarro e altri artisti del gruppo. Al cuore della rivoluzione impressionista sta la ferma convinzione che l’artista moderno sappia trasformare – grazie a nuove tecniche, insoliti punti di vista e, talvolta, una sana ironia – ciò che è aneddotico e banale in qualcos’altro di visivamente seducente e artisticamente importante. Le origini più dirette e spesso ignorate di questa rivoluzione modernista trovano 1. Jean-Baptiste-Camille Corot (Parigi, 1796-1875) Ville d’Avray, 1855-1865 circa (particolare) Olio su tela, 44,5 x 73,5 cm Dono di Sam Weisbord, Los Angeles, agli American Friends of the Israel Museum in memoria di Goldie Weisbord

conforto, paradossalmente, nella seconda metà del dettato modernista di Baudelaire; ossia, in un’arte che aspirava (spesso malgrado se stessa) a essere “eterna”, “immutabile” e, in una parola, lirica, in contrapposizione con “effimera”, “fuggevole” e “contingente”. L’arte lirica che anticipa e, grazie alla sentita empatia per gli effetti ottici della luce naturale, ispira gli impressionisti fa della rappresentazione del paesaggio la sua forma arti-

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Impressionismo

Judith Wechsler

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impressionismo si propone di cogliere il volto sempre mutevole della natu-

ra e gli sguardi e i gesti effimeri del quotidiano. Gli impressionisti rispondono alla rapida evoluzione delle condizioni culturali e sociali e alla nuova Parigi in espansione, con i suoi ampi boulevard, gli incontri fortuiti, gli spettacoli e i divertimenti. Parigi, come osservava Walter Benjamin, è la “capitale del diciannovesimo secolo” e gli impressionisti hanno concorso a rispecchiarne e modellarne l’immagine. Il termine “impressionismo” fu coniato nel 1874, quando gli artisti indipendenti riuniti nella Société anonyme des artistes, peintres, sculpteurs, graveurs, etc., delusi per essere stati rifiutati dal Salon, la mostra annuale ufficiale organizzata dallo Stato improntata a valori tradizionali, decisero di organizzare le loro mostre, la prima delle quali fu allestita nello studio del fotografo Nadar. A commento del dipinto di Monet, Impressione, sorgere del sole, un critico espresse il suo disappunto con queste parole “ma questo non è altro che ‘impressionismo’”, e questo è il termine che si usa da allora. Il critico Louis Leroy inventò un dialogo davanti al quadro di Pissarro Gelata bianca. “Sono questi dei solchi? È questa una gelata? Ma se altro non sono che delle raschiature di tavolozza messe in modo uniforme su una tela sporca … forse, ma l’impressione c’è tutta”1. Tremila persone visitarono la prima esposizione; l’accoglienza all’inizio fu ostile. La maggior parte del pubblico trovava scioccanti quei dipinti dai soggetti quotidiani e carenti in fatto di finitura. Tra il 1874 e il 1886 le esposizioni impressioniste furono otto in tutto. Camille Pissarro, il decano degli impressionisti, fece scuola tra gli espositori e fu l’unico a partecipare a tutte le mostre. L’impressionismo giunse a piena maturazione negli anni settanta. Il critico Edmond Duranty faceva notare nel 1876 che “L’idea, la prima idea, era di abbattere le pareti che dividevano l’atelier dalla vita di tutti i giorni … Era necessario permettere al pittore di uscire dalla cella illuminata dal cielo, dal chiostro dove l’unico contatto è il cielo, e portarlo 1. Eugène Boudin (Honfleur, 1824 - Deauville, 1898) Le lavandaie al fiume, 1880-1885 (particolare) Olio su tavola, 26,2 x 36,2 cm Lascito di Alfred Schwabacher, Monaco di Baviera, Zurigo e New York, attraverso l’America-Israel Cultural Foundation

tra gli altri uomini, nel mondo”2. La stessa borghesia divenne un soggetto per l’arte, nelle sue case, nei luoghi di svago, a teatro, nelle sale da ballo, ai caffè e alle corse, come in Interno dell’atelier con “La corsa dei cavalli”, 1880-1881 di Degas (cat. 12). Lo spettatore della vita moderna, il flâneur, l’osservatore attento, che passa il suo tempo a vagare per le strade di Parigi e i suoi divertimenti, diventa egli stesso spettacolo da osservare e dipin-

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3. Tramonto a Eragny, 1890 Olio su tela, 65,2 x 81,3 cm Lascito di Johanna e Ludovic Lawrence, Gerusalemme

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CAMILLE PISSARRO


el 1884 Pissarro si trasferisce nel piccolo villaggio di Eragny, dove affitta una casa che in seguito acquisterà con l’aiuto di Monet. In questo luogo, con un granaio che funge da atelier, risiederà stabilmente negli ultimi vent’anni di vita. Rispetto a Pontoise, l’ambiente è qui più marcatamente rurale, senza tracce di sviluppo industriale, e i campi circostanti diventano uno dei soggetti ricorrenti dell’artista. Molti suoi dipinti di questa zona, come Tramonto a Eragny, raffigurano scene in cui gli alberi sono protagonisti. Agli inizi degli anni ottanta, Pissarro, come Renoir, inizia ad allontanarsi dalle tecniche e dai metodi impressionisti. Mentre sta tentando di superare l’impressionismo classico, usando pennellate diagonali parallele, nel 1885 incontra Paul Signac, che a sua volta lo presenta a Georges Seurat. Pissarro, colpito dal nuovo approccio “scientifico” di Seurat, adotta la tecnica neoimpressionista del pointillisme. Per alcuni anni si lega al gruppo di Seurat, condividendo le idee anarchiche di molti suoi esponenti. Ancor prima che Seurat muoia nel 1891, Pissarro è però disilluso dal pointillisme, una tecnica laboriosa che lo obbliga a dipingere per lo più nell’atelier. Tuttavia, sebbene preferisca un approccio più spontaneo, dal pointillisme prende molti insegnamenti. Le sue composizioni diventano più strutturate, le pennellate più precise e la tavolozza conserva la leggerezza e la purezza di colore caratteristica del neoimpressionismo. Con Tramonto a Eragny si chiude il suo periodo neoimpressionista. In quegli anni (1890) riprende a dipingere all’aria aperta e lascia che i colori interagiscano liberamente sulla tela invece di aspettare che si asciughino uno alla volta. Ma le pennellate, minuscole, frammentate e incrociate come anche i luminosi contrasti di colore sono una prova evidente degli insegnamenti del pointillisme. Nel 1890 Pissarro dipinge spesso il tramonto, sia a Eragny che nel vicino villaggio di Bazincourt, un soggetto accompagnato dalla forte sensazione di qualcosa sul punto di svanire e che lo appassionerà per molto tempo. In questo caso, particolare importanza è riservata al cielo, che occupa due terzi

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della tela. Sebbene consti di pochi elementi e sia estremamente semplice, Tramonto a Eragny è un dipinto pieno di vita. Due filari di alberi, uno dei quali in posizione relativamente arretrata, sono suddivisi in quattro gruppi disposti in senso orizzontale sulla superficie del quadro. Dietro di loro, il terreno declina e poi risale di nuovo fino a incontrare la linea bassa dell’orizzonte. Il cielo, reso con ariose sfumature pastello, avvolge uno splendido sole nell’istante in cui tramonta. Il corpo celeste di un bianco vivido è schermato da nuvole vorticose, attraverso le quali si intravedono sprazzi di cielo azzurro. La luce dorata del sole al tramonto illumina i campi ma il lato degli alberi rivolto verso l’osservatore rimane di un colore verde scuro con ombre sfumate di viola e arancio. I biondi raggi sfiorano solo il contorno degli alberi mentre il verde naturale delle fronde si riflette nelle ombre orizzontali che si stendono sul terreno. I brillanti contrasti di colore risultano ulteriormente accentuati dalla pennellata dinamica e multiforme, stesa con tratto rapido e sicuro.

S.R.

CAMILLE PISSARRO

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16. Dintorni di Maintenon, 1888 Olio su tela, 54,8 x 65,5 cm Dono della famiglia Kramarsky, New York, attraverso l’America-Israel Cultural Foundation, in memoria di Siegfried Kramarsky Photo © The Israel Museum, Jerusalem by Max Richardson

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PIERRE-AUGUSTE RENOIR


li anni ottanta sono per Renoir un periodo tormentato, fitto di rivolgimenti sia nel lavoro che nella vita privata. Per qualche anno i proventi dei ritratti gli consentono di viaggiare in Algeria e in Italia. Vedendo le opere dei maestri del Rinascimento e sentendosi sempre più insoddisfatto della propria pittura, l’artista si convince di non saper né dipingere né disegnare. Rinuncia a costruire il suo futuro sulla ritrattistica di moda e cerca di impostare la pittura su basi radicalmente nuove. Renoir sente l’esigenza di lasciare più spazio al disegno, di strutturare le sue composizioni. Lo “stile agro” che nasce in questo periodo di ricerca interiore e sperimentazione è caratterizzato da contorni dalla linea ben definita e, secondo i canoni impressionisti, da una cura speciale per i particolari. Molti suoi mecenati non apprezzano il nuovo stile e questo, sommato alla crisi economica che travaglia la Francia, lo riduce nuovamente in povertà. Al termine del “periodo agro”, verso la fine del decennio, una nuova vivacità fatta di pennellate e colori pervade i suoi quadri. Perso l’interesse per i temi della vita moderna, ricerca una visione senza tempo, radicata nella rappresentazione idilliaca della campagna, sia popolata che disabitata. Nonostante i disordini politici e le ansie personali, la sua opera rispecchia solo armonia e quiete insieme al piacere che desiderava dare e ricevere attraverso la pittura. Verso il 1890 sposa Aline Charigot, sua compagna da una vita e madre del figlio Pierre. La donna gli darà altri due figli, Jean e Claude. La sorte ora gli è di nuovo favorevole ed esce vittorioso dalla lunga lotta per essere riconosciuto come maestro. Dintorni di Maintenon viene eseguito nel 1888, durante il momento cruciale del passaggio dal “periodo agro” a una nuova sintesi. Questo dipinto presenta un impasto denso, una distribuzione spontanea di tocchi variopinti senza nessun ordine preponderante. Per il cielo e il sentiero Renoir sceglie ampie pennellate mentre il fogliame è definito da tocchi più piccoli. La casa in primo piano al centro è di colore rosa e oro con sfumature verdi applicate a piccole e vibranti macchie di colore. Il camino della casa divide in due la composizione in senso verticale e al contempo le diagonali ricorrenti

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dei tetti attirano gradualmente lo sguardo dall’alto a destra verso lo sfondo. Su entrambi i lati delle case raggruppate al centro convergono due sentieri, dove la vivida luce del sole si alterna a ombre scure. Adulti e bambini chiacchierano o passeggiano sui viottoli. L’incontro tra i due sentieri occupa tutto il primo piano e si colloca nell’ombra proiettata dal grande edificio sulla destra, del quale si vede solo parte del timpano. Si tratta forse del castello di Maintenon, costruito per la moglie di Luigi XIV alla fine del XVII secolo. Considerata la sua crescente propensione per le scene pastorali sarebbe stato più logico per Renoir dipingere un gruppo di modeste casupole invece del castello. L’artista trascorre il mese di settembre del 1888 con l’amico Gustave Caillebotte a PetitGennevilliers, vicino ad Argenteuil. A giudicare dal fogliame tendente al colore arancio che indica l’incipiente autunno, è probabile che il suo breve soggiorno a Maintenon risalga a questo periodo. S.R.

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19. Le giovani donne di Giverny, effetto di sole, 1894 Olio su tela, 65 x 99,5 cm Lascito di Loula D. Lasker, New York, attraverso l’America-Israel Cultural Foundation Photo © The Israel Museum, Jerusalem by Max Richardson

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CLAUDE MONET


iovane artista a Parigi, Monet rimane molto colpito dalle opere di Courbet e Manet. Negli anni sessanta dipinge quadri ambiziosi di grandi dimensioni, nella speranza di farsi conoscere al Salon. Fin dagli esordi vuole dare ai suoi dipinti quel carattere monumentale che contraddistingue i capolavori dei musei. Queste opere si distinguono dalla pittura tradizionale dell’epoca poiché l’artista evita volutamente le consuete superfici “levigate” e opta per una stesura del colore mediante pennellate ben definite, vivaci e distinte l’una dall’altra, applicate con un pennello molto carico. In un decennio la sua pittura si evolve e si modernizza tanto da acquisire tutti gli elementi tipici dello stile impressionista. Negli anni settanta si consolidano i principi dell’impressionismo. Tuttavia già dal 1880 Monet, come molti altri artisti suoi contemporanei, insoddisfatto del proprio lavoro, è alla ricerca di altri modi per esprimere la crescente consapevolezza del fatto che le condizioni atmosferiche influenzano l’esecuzione del dipinto e le reazioni emotive nei confronti del soggetto. L’artista approfondisce gradualmente il concetto della pittura in serie, presentando lo stesso motif in diverse condizioni di luce e meteorologiche. Il concetto di serie gli permette di concentrarsi sull’“involucro”, ossia le condizioni dell’aria che circonda il soggetto e di analizzarne a fondo gli effetti mutevoli. Inoltre, esponendo le serie insieme in un’unica

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mostra, ottiene quella monumentalità che ricercava, senza per questo venir meno alla modernità di concezione. La serie dei covoni, che inizia a dipingere nel 1888, è la prima che Monet espone tutta insieme, seguita da quella sulla cattedrale di Rouen e infine da quella delle ninfee cui l’artista dedica gli ultimi trent’anni di vita. (cat. 20). Le giovani donne di Giverny, effetto di sole prende il nome dalla forma dei fastelli che offrono un temporaneo riparo dal cattivo tempo, prima che vengano formati i covoni veri e propri. È dipinto nella piana di Ajoux, poco dopo la serie della cattedrale di Rouen. Sebbene il soggetto siano sempre i covoni, questi si distinguono da quelli della precedente serie del 1888 per forma e numero. Il quadro presente nella collezione dell’Israel Museum è uno dei tre che rappresentano lo stesso campo con una composizione quasi identica. In questo va notato però che Monet ha steso sulla tela un impasto più denso. Lo strato di colore apporta ai covoni una connotazione scultorea, di forte concretezza. Tenuto conto che non fanno ombra, si direbbe che siano stati dipinti in pieno mezzogiorno. Essendo di natura provvisoria, i covoni non sono certo rimasti sul campo abbastanza a lungo perché Monet completasse tutta la serie. Questa è forse una delle ragioni per cui l’artista ha abbandonato questo soggetto senza approfondirlo ulteriormente. S.R.

CLAUDE MONET

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La scultura alle soglie del XX secolo

Gal Ventura

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lla fine dell’Ottocento la scultura costituiva l’ultimo baluardo rimasto del-

l’establishment conservatore dell’arte accademica. Mentre la pittura aveva infatti subito un processo di cambiamento rivoluzionario, dopo l’epoca barocca non si poteva certo dire altrettanto della scultura, essendosi ormai fossilizzate molte prassi riguardo ai materiali, ai soggetti e alla collocazione delle opere. Quanto ai materiali, era usanza che la scultura fosse modellata con materiale pieno e opaco, di norma gesso o marmo. Anche i soggetti non variavano molto, limitandosi essenzialmente alla figura umana e agli animali. I temi erano più che altro allegorici, religiosi, mitologici o storici e le figure erano idealizzate. Gli oggetti non comparivano spesso, prima del XX secolo, fatta eccezione per quelli che fungevano da attributi allegorici o che rappresentavano specifiche professioni o qualità. Questa mentalità conservatrice si rispecchiava anche nella collocazione delle statue negli spazi pubblici urbani. Durante il Secondo Impero, il Barone Haussmann, sindaco di Parigi, aveva avviato un radicale processo di riorganizzazione della città che prevedeva, tra i vari interventi, la creazione di ampi boulevard e sontuosi edifici, tra i quali l’Opera, le cui sculture vennero realizzate da Jean-Baptiste Carpeaux, che come altri sognava di far rivivere il grandioso barocco parigino. Gran parte delle opere di scultura realizzate in Francia in questo periodo era collocata nelle piazze cittadine, a testimoniare i valori borghesi del Secondo Impero e della Terza Repubblica, de rigueur al Salon, l’esposizione annuale d’arte ufficiale voluta dallo Stato. Le opere erano invariabilmente poste su alti piedistalli, considerati essenziali per la scultura, che allontanando le statue suscitavano nello spettatore un’aura di riverenza. I piedistalli accentuavano la grandeur della scultura e di conseguenza il suo distacco dalla vita di tutti i giorni. La bianca purezza delle opere contribuiva a rafforzare questo effetto e accentuava la sensazione che le sculture appartenessero a un mondo superiore. Nel 1912, lo scultore e pittore futurista Umberto Boccioni pubblicava una graffian1. Aimé-Jules Dalou (Parigi, 1838-1902) Donna che legge, 1874 Terracotta, 55,5 x 28 x 38 cm Lascito di Johanna e Ludovic Lawrence, Gerusalemme, in memoria di Elisheva Cohen

te critica dello stato della scultura approvata dagli ambienti ufficiali: “La scultura, nei monumenti e nelle esposizioni di tutte le città d’Europa, offre uno spettacolo così compassionevole di barbarie, di goffaggine e di monotona imitazione […] In tutte queste manifestazioni […] si perpetua lo stesso equivoco: l’artista copia il nudo e studia la statua clas-

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Postimpressionismo

Janne Gallen-Kallela-Sirén

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l termine postimpressionismo fu coniato nel 1910 dal critico e storico dell’arte

inglese Roger Fry, che lo introdusse come argomento di discussione pubblica nel titolo della storica mostra da lui organizzata alle Grafton Galleries di Londra verso la fine di quell’anno. La mostra, Manet and the Post-Impressionists, che scandalizzò il mondo dell’arte inglese con la sua esibizione sfacciata di colori “selvaggi” e tecniche “primitive”, comprendeva 250 opere di ventiquattro precursori dell’arte moderna francese. Fry, curatore della mostra, usava il termine “postimpressionismo” in modo generico riferendosi a diversi stili d’avanguardia, dal pointillisme di Seurat al cubismo di Picasso, che avevano fatto la loro comparsa a Parigi sulla scia dell’impressionismo tra la metà degli anni ottanta e il 1910. Nel corso del XX secolo, il concetto di Fry di arte postimpressionista ha subito numerose trasformazioni e rielaborazioni, e i suoi confini restano vaghi ancora oggi. Alcuni usano il nome postimpressionismo in modo libero, come pseudonimo dell’opera di quattro o cinque giganti dell’estetica dell’arte moderna, ovvero Cézanne, Gauguin, Van Gogh, Seurat e a volte Toulouse-Lautrec. Altri invece gettano la rete del postimpressionismo su vari artisti e movimenti d’avanguardia attivi a Parigi e altrove approssimativamente tra il 1885 e il 1905. Spesso sono l’ampiezza del respiro estetico di una data collezione e la sua profondità storica a determinare cosa si possa definire postimpressionismo. La collezione d’arte postimpressionista dell’Israel Museum – e qui uso il termine in senso ampio – rievoca la concezione originale di Fry, concentrando l’attenzione su maestri come Cézanne e Gauguin e incorporando anche vari pittori provenienti dal circolo neoimpressionista di Seurat (Cross, Van Rysselberghe, Signac), un certo numero di importanti discendenti di seconda generazione di Manet e dell’impressionismo (Bernard, Forain, Sérusier, Vuillard) e persino un eccentrico personaggio dell’estetica della Belle Époque come Henri Rousseau. Anche il pittore olandese Vincent van Gogh, uno dei prediletPaul Gauguin (Parigi, 1848 - Isole Marchesi, 1903) Natura morta, 1899 (particolare cat. 46) Olio su tela, 45,5 x 61,3 cm Dono dello Yad Hanadiv, Gerusalemme, dalla collezione di Miriam Alexandrine de Rothschild, figlia del primo Barone Edmond de Rothschild

ti di Fry, è presente all’Israel Museum, se non nella quantità di opere che il critico inglese avrebbe voluto, almeno con l’incontaminata luminosità ottenuta tecnicamente dall’artista nei campi di grano della Francia meridionale durante l’estate del 1888. All’Israel Museum la vicinanza storica e le tangenze tra gli stili d’avanguardia del tardo XIX secolo, scoperte da Fry curiosando tra le gallerie d’arte francesi e tedesche nell’autunno del 1910, vengono lucidamente messe in mostra attraverso gli importanti esempi di due artisti

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33. Il rimorchiatore, canale presso Samois, 1901 Olio su tela, 66 x 82 cm Dono di Sara Mayer, Tel Aviv, in memoria del marito Moshe Mayer

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PAUL SIGNAC


Paul Signac (Parigi, 1863-1935)

ato in una famiglia di agiati commercianti parigini, Signac ha la fortuna di godere dell’indipendenza economica durante tutta la sua vita e nel 1882 inizia a dipingere a tempo pieno. Non avendo alcuna preparazione tecnica formale, le sue prime opere traggono spunto dagli studi fatti sull’impressionismo e dai rapporti personali con alcuni dei principali esponenti del movimento. Grazie all’incontro con Georges Seurat, nel 1884, abbraccia le teorie del colore e le tecniche pointilliste dell’artista neoimpressionista e due anni dopo, all’epoca in cui partecipa all’ultima mostra del gruppo impressionista, l’opera di Signac viene già esposta insieme a quelle del neoimpressionismo. Dopo la morte di Seurat nel 1891, Signac diviene il principale autore e punto di riferimento del gruppo. Nei suoi scritti formula con grande chiarezza le teorie neoimpressioniste sulla pennellata ordinata e controllata, sull’applicazione scientifica della teoria del colore e sul ritorno alle regole compositive del passato. Anarchico e pacifista, Signac vede nelle teorie “scientifiche” del neoimpressionismo un riflesso della propria fede nella tecnologia e nel progresso dell’umanità. Nel 1892 inizia a frequentare regolarmente Saint-Tropez, sul Mediterraneo, e da quel momento in poi è evidente una lenta evoluzione nella sua produzione. I toni di colore si fanno più intensi e le pennellate gradualmente diventano più larghe, ognuna leggermente separata dalle altre da una minuscola superficie di tela preparata che emerge dal fondo. È durante questo periodo che Signac smette di dipingere direttamente all’aperto, preferendo eseguire sul luogo degli schizzi a matita e degli acquarelli per poi finire i dipinti nel suo studio. Allo stesso tempo, lo stile diviene sempre più decorativo e lontano dalla realtà immediata. Il rimorchiatore, canale presso Samois è dipinto a pennellate di colore puro simili a tessere di mosaico. Il bianco intorno a ognuna serve a dare luminosità al quadro, mentre la superficie si anima per il netto contrasto tra colori giustapposti (blugiallo, viola-arancione, rosso-verde). Questi contrasti vengono bilanciati da armonie di colori (blu-verde, giallo-arancione, rosso-viola) che fanno da elemento

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unificante, ricordandoci che Signac è un artista del colore di primissimo ordine. Malgrado la superficie sia resa vibrante dalle singole pennellate, l’impressione generale è di calma ed equilibrio grazie alla simmetria classica della composizione, che si divide verticalmente e orizzontalmente nella proporzione esatta della sezione aurea di 5 : 8. Questo impianto geometrico è però ammorbidito dalle curve ritmate e ripetute del fumo, delle montagne, degli alberi e della riva, che aggiungono un tocco di eleganza decorativa. Marinaio provetto, Signac sceglie spesso come soggetti dei suoi quadri immagini di paesaggi marini, porti e scene lungo i fiumi, in particolare la Senna. Samois, dove viene dipinto Il rimorchiatore, è un paesino situato tra la Senna e la foresta di Fontainebleau, a una cinquantina di chilometri da Parigi. Dal quadro traspare la passione dell’artista per i battelli a vapore dell’epoca e i loro fumi. Signac ama fondere un elemento di modernismo industriale insieme a quelli più consueti della sua opera: l’acqua, il cielo e il gioco della luce. S.R.

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39. Albero lungo la curva, 1881-1882 Olio su tela, 60 x 73 cm Dono di Lilly Schwabacher, Ascona, in memoria di Guste e Bernhard Mayer

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PAUL CÉZANNE


Paul Cézanne (Aix-en-Provence, 1839-1906)

e primissime opere di Cézanne sono spesso caratterizzate da un romanticismo violento, sensuale e solo dopo dieci anni di sforzi, agli inizi del decennio del 1870, la sua modalità di presentazione diviene più misurata e raffinata. Questo è in parte dovuto all’amicizia e agli insegnamenti informali di Camille Pissarro, con il quale Cézanne lavora tra il 1872 e il 1874 e a cui continua a far visita di tanto in tanto fino al 1891. Mentre i due dipingono fianco a fianco, Pissarro incoraggia pacatamente Cézanne a stabilire un contatto più diretto tra i suoi quadri e la natura e riesce a risvegliare in lui una passione per il colore che sarebbe durata nel tempo. Tuttavia, anche durante questo periodo in cui Cézanne adotta una pennellata più corta, evita il nero e lavora all’aria aperta, esistono differenze considerevoli tra le sue opere e quelle del suo mentore impressionista. Sono già evidenti in Cézanne la tendenza a usare forme geometriche, come pure la continua ricerca di nuovi mezzi per rappresentare profondità e volume. Di fatto, Cézanne non aderisce mai completamente all’impressionismo, insoddisfatto dall’idea, alla base del movimento artistico, di rappresentare solo ciò che l’occhio vede. Più avanti negli anni spiegherà: “Nel pittore sono al lavoro due elementi: l’occhio e il cervello, che devono cooperare tra loro; occorre adoperarsi per sviluppare entrambi, ma il pittore deve potenziare l’occhio attraverso l’osservazione della natura e il cervello attraverso la logica delle sensazioni organizzate, che forniscono il mezzo di espressione”1. Gli anni dal 1876 al 1880 rappresentano per Cézanne un periodo di transizione. Lavorando principalmente a Parigi e nei dintorni, nella nativa Aix-en-Provence e presso l’Estaque, lentamente si distacca dalle influenze impressioniste ed elabora un tipo di raffigurazione più intellettuale dei propri soggetti. Molto probabilmente Albero lungo la curva viene dipinto in questo periodo. Qualche traccia dell’impressionismo è ancora riconoscibile nel cielo ricco di atmosfera, dove le tonalità blu e rosa creano insieme un effetto fluido, transitorio, e nella composizione che, malgrado i numerosi elementi rettilinei, non possiede né la costruzione e l’organizzazione serrata delle opere successive né le

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forme geometriche molto semplificate che saranno caratteristiche dell’arte di Cézanne. Tuttavia, alcuni stilemi pittorici sono indicativi di un nuovo approccio. La profondità viene suggerita mediante la giustapposizione dei tocchi di verde freddo e di caldo ocra in primo piano. Qui l’artista evita le linee convergenti della prospettiva convenzionale e crea lo spazio mediante la sovrapposizione sulla destra e al centro dei piani di colore e delle diagonali decise ma troncate, insieme all’attenta collocazione sulla sinistra della strada semicircolare che gira attorno all’albero alto. Nel piano centrale, soprattutto sugli alberi e sulle colline, Cézanne usa pennellate ritmate, quadrate e rettangolari, che danno struttura alle forme creando un senso di solidità. Sebbene lo stile maturo di Cézanne non si sia ancora completamente evoluto in Albero lungo la curva, l’artista mostra il suo chiaro distacco dall’obiettivo di catturare semplicemente gli aspetti momentanei del paesaggio a favore di una concezione più ampia delle strutture sottostanti. Dopo vent’anni di studio e riflessione, Cézanne è già molto avanti nel percorso verso il raggiungimento della sua personale visione artistica. S.R.

1 John Rewald, Paul Cézanne, A Biography, New York, 1939, p. 135.

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44. Villaggio in Martinica, 1887 Olio su tela, 45,7 x 71 cm Dono di Jan e Ellen Mitchell, New York, attraverso l’America-Israel Cultural Foundation Photo © The Israel Museum, Jerusalem by Avshalom Avital

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PAUL GAUGUIN


el 1887 Gauguin e Charles Laval si recano a Panama e poi in Martinica, alla ricerca di un clima mite e salubre e di un luogo poco costoso dove vivere una vita naturale, “selvaggia”1. Mentre trascorrono l’estate in una casetta come quelle rappresentate nel quadro, creano alcune opere che a volte sono state attribuite erroneamente ai due artisti. Villaggio in Martinica è sicuramente di Gauguin: rappresenta immagini – la capra che allatta sotto un particolare albero, la donna seduta che si tiene un piede e quella che cammina – che Gauguin inserirà tra le sue reminiscenze della Martinica nelle zincografie del 18892. Sebbene di stile ancora essenzialmente impressionista, questo quadro mostra alcuni segni dell’evoluzione artistica nell’approccio al soggetto e al colore. In Martinica Gauguin rimane affascinato dalla vita agreste all’aria aperta, ritmata dalle lente cadenze dell’“esotica” popolazione di pelle scura, un’attrazione che in seguito lo avrebbe condotto a Tahiti. In questo dipinto i nativi riposano come in letargo sotto il sole di mezzogiorno, quasi incapaci di muoversi: una donna dorme, mentre la sua compagna riflette. Una terza ha appena la forza di sollevare una mano mentre conversa con un’altra, che cammina con un cesto di frutta sulla testa. I loro movimenti vengono ripresi e ripetuti nei tronchi degli alberi sullo sfondo, che paiono piegarsi sotto il pesante fogliame. Dall’altro lato della fila di casupole, una capra allatta il suo piccolo fornendogli sia latte che ombra sotto il proprio corpo. L’atmosfera è resa ancora più pesante dal cielo azzurro, piatto: invece di infondere una ventata d’aria, si unisce al tetto arancione, accentuando il senso di calore. I colori mostrano l’evoluzione di Gauguin nell’approccio alla tonalità. Mentre il terreno e le capanne sono dipinti con modulate pennellate impressioniste nei toni rosa e beige e il fogliame in varie sfumature di verde, gli altri colori sono più intensi. Non a caso le donne sulla sinistra sono rappresentate nelle varianti dei colori primari blu, rosso e giallo, e la fascia e il fazzoletto della donna che passeggia fanno da complemento al vestito rosa con tocchi di rosso. La figura blu riflette il cielo

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azzurro, mentre la gonna rossa riecheggia nel tetto arancione sullo sfondo e nella terra intorno all’albero in primo piano. A differenza del fogliame nei dipinti impressionisti, quest’albero ha grandi foglie che spiccano sullo sfondo del cielo piatto, e molte figure e oggetti sono ben delineati. Anziché adottare l’uso dei diversi piani di Cézanne per creare un gioco tra bi- e tridimensionalità come aveva fatto in Case a Vaugirard (cat. 43), qui Gauguin sceglie un approccio coloristico. Le diagonali prodotte dalle case e dalle donne suggeriscono una profondità a cui si contrappongono le zone piatte e luminose nella parte centrale superiore, che sorgono dal fondo verso la superficie. In modo analogo, il riecheggiare del cielo nel vestito blu e del tetto arancione nella gonna rossa e intorno alle radici dell’albero, uniscono tra loro visivamente il primo piano, il piano centrale e lo sfondo. Come La donna che passeggia (cat. 27), anche Villaggio in Martinica è un’opera di transizione in cui Gauguin sperimenta elementi che ben presto integrerà in un nuovo stile. Z.A.-M.

1

Correspondance de Paul Gauguin, a cura di Victor Merlhès, Parigi, 1984, vol. 1, pp. 147, 151-156. 2 Richard Brettell, Françoise Cachin, Claire Frèches-Thory, Charles F. Stuckey e Peter Zegers, The Art of Paul Gauguin, Washington, National Gallery of Art, 1988, pp. 141-142, n. 75-76.

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