VALTER CURZI Storie dell'arte per quasi principianti

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Storie dell’arte per quasi principianti


Mi è concesso di gettare sguardi entro l’essenza delle cose, nei loro rapporti reciproci, che mi svelano un abisso di ricchezze. (J.W. Goethe, Roma, 5 gennaio 1788)


Valter Curzi

Storie dell’arte per quasi principianti


In copertina Fabio Viale Souvenir Pietà (Madre), 2018 Foto Michele Sereni, Pesaro. Collezione privata, Venezia. Thanks to Galleria Poggiali, Firenze Progetto grafico Marcello Francone Coordinamento redazionale Eva Vanzella Redazione Alessandro Prandoni Impaginazione Anna Cattaneo Ricerca iconografica Paola Lamanna

Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore © 2018 Skira editore, Milano Tutti i diritti riservati ISBN 978-88-572-4012-1 Finito di stampare nel mese di dicembre 2018 a cura di Skira editore, Milano Printed in Italy www.skira.net

Crediti fotografici © 2018. Cameraphoto / Scala, Firenze: fig. 5 © 2018. Foto Scala, Firenze: figg. 22, 27, 39, 42, 43, 46, 52, 96, 104 © 2018. Foto Scala, Firenze / bpk, Bildagentur für Kunst, Kultur und Geschichte, Berlin: fig. 23 © 2018. Foto Scala, Firenze / Fondo Edifici di Culto – Ministero dell’Interno: fig. 33 © 2018. Foto Scala, Firenze – su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali: figg. 63, 71 © 2018. The Museum of Fine Arts Budapest / Scala, Firenze: fig. 77 © 2018. National Gallery of Canada: figg. 11, 12 © Daniel Arnaudet / RMN-Réunion des Musées Nationaux / distr. Alinari: fig. 13 © The Cleveland Museum of Art: fig. 97 © René-Gabriel Ojéda / RMN-Réunion des Musées Nationaux / distr. Alinari: fig. 90 © Fabio Viale: figg. 105, 111 Archivi Alinari, Firenze: fig. 2 Raffaello Bencini / Archivi Alinari, Firenze: fig. 108 Foto Almo Berretta: fig. 19 Isabella Stewart Gardner Museum, Boston, MA, USA: figg. 7, 10 Laboratorio fotoradiografico della Pinacoteca di Brera: figg. 1, 47 Photo by David LaChapelle / Contour by Getty Images: fig. 106 Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Opificio delle Pietre Dure di Firenze – Archivio dei Restauri e Fotografico, AOPD – ARF GR12882_LV_. È vietata ulteriore riproduzione o

duplicazione con qualsiasi mezzo: fig. 80 National Galleries of Scotland: figg. 58, 59 Palazzo Ducale, Urbino: fig. 14 Principessa Maria Camilla Pallavicini. Galleria Pallavicini. Fotografo Giuseppe Schiavinotto: fig. 6 The Picture Art Collection / Alamy Stock Photo: fig. 44 Yale Center for British Art, New Haven: fig. 66 Per le immagini di Bill Viola Emergence, 2002 Retroproiezione video a colori ad alta definizione su schermo montato su muro in ambiente buio, 213 × 213 cm (immagine proiettata), 5 × 5 × 7 m (dimensioni ambiente) 11:40 minuti Performer: Weba Garretson, John Hay, Sarah Steben (fig. 107) Catherine’s Room, particolare, 2001 Polittico video a colori su cinque schermi piatti LCD montati su muro, 38 × 246 × 5,7 cm 18:39 minuti Performer: Weba Garretson (fig. 109) Mary, 2016 Trittico video a colori ad alta definizione su schermi piatti verticali, 155,4 × 237,2 × 9,9 cm 13:13 minuti Executive producer: Kira Perov Performer: Lola Gayle, Kian Sandgren, Alessia Patregnani, Jy Prishkulnik, Ariana Afradi, Guillermo Martinez, Deborah Puette, Braeden Marcott, Phil Pressler, Blake Viola, Shinichi Iova-Koga (fig. 110)


Sommario

7 Introduzione 9 Premessa 13 Capitolo I. Iniziamo dal contesto 18 La derelitta attribuita a Sandro Botticelli: storia di un malinteso 24 Biblioteca e studiolo nel Palazzo Ducale di Urbino: Federico da Montefeltro, uomo di lettere e d’armi 33 Capitolo II. Di cosa parliamo quando parliamo di “etichette” storico-artistiche? 38 Non solo Rinascimento nelle arti fiorentine del primo Quattrocento 45 Roma barocca ma anche classicista nella prima metà del Seicento 53 Capitolo III. Guardare un’opera d’arte: il soggetto 59 Soggetti di metamorfosi: Diana, Atteone, Apollo, Dafne e gli altri 66 Rispecchiarsi nella storia: eroi ed eroine di Roma antica nel Settecento 73 Capitolo IV. Guardare un’opera d’arte: lo stile 79 Leonardo e Michelangelo tra disegno e colore 85 Caravaggio pittore del reale 93 Capitolo V. E per concludere: eredità artistiche 99 La Roma di carta di Giovan Battista Piranesi 104 Sguardi contemporanei sulla tradizione: storie di “Pietà” in Bill Viola, David LaChapelle, Fabio Viale



Introduzione

I numeri dei visitatori di mostre e di musei vanno di giorno in giorno aumentando, tanto da farci interrogare sulla richiesta di un’offerta culturale che sembrerebbe essere più urgente, ma che, con sempre maggiore frequenza, si esaurisce nella superficialità e nella frettolosità. L’interrogativo di cosa rimanga dell’esperienza di visita ai milioni di turisti che si trascinano stancamente nelle sale dei grandi musei o che si accalcano intorno ai dipinti dell’ennesima mostra dedicata agli impressionisti dovrebbe interessare ogni storico dell’arte che abbia a cuore la disciplina e che senta la responsabilità e l’urgenza di renderla patrimonio comune evitando le banalizzazioni. Decifrare e raccontare il concetto mutevole dell’opera d’arte e della bellezza, attraversarne la storia, è un’operazione di certo non facile; tuttavia, in anni di appassionato insegnamento, ho maturato la convinzione che è possibile farne uno strumento di educazione coniugando conoscenza ed emozione. Si tratta di fornire, anche ai non addetti ai lavori, chiavi di lettura che facciano sentire l’arte come una delle più alte e significative testimonianze lasciate dall’uomo. L’impostazione narrativa, che questo libro adotta, per quanto possibile al di là degli specialismi, può servire a ridare vita agli oggetti artistici dal momento che, come scrive Tahar Ben Jelloun, essa “è un omaggio all’inesauribilità del reale e apre porte e finestre su un universo più intimo”. Gli interrogativi intorno all’opera d’arte possono essere centinaia, come centinaia sono gli incontri che facciamo in Italia con dipinti e sculture in grandi o in piccoli musei, in cattedrali o nella più modesta pieve di campagna. Eppure, potrei dire inspiegabilmente, la conoscenza, l’apprezzamento e il godimento del patrimonio artistico sono appannaggio, ancora oggi, di una ristretta élite, un lusso a volte da concedersi in età di pensione. Varcare le porte di una chiesa o di un palazzo storico per scoprirne tesori inaspettati, o più semplicemente per goderne la bellezza, è nella maggior parte dei casi – poco importa l’età anagrafica o il livello di istruzione – fonte di inadeguatezza se non di imbarazzo. Essere cresciuti e attraversare quotidianamente città dallo straordinario patrimonio monumentale, come di frequente capita in Italia, non cambia, ahimè, le cose. 7


Introduzione

C’è in ballo peraltro, non lo si dimentichi, la riuscita nei confronti della conservazione del patrimonio artistico e paesaggistico del Paese: ciò che non si conosce e non si apprezza difficilmente si ha interesse a preservare. C’è una scena di un film dei fratelli Taviani, Good Morning Babilonia, che mi torna in mente ogni volta che, a inizio dell’anno accademico, entro nell’aula affollata da nuovi studenti. Il film racconta la storia di migranti italiani approdati in America nella speranza di lavorare a Hollywood come artigiani restauratori. Cacciati ingiustamente dal cantiere dove si sta costruendo una spettacolare scenografia i due fratelli, Andrea e Nicola, affrontano il capocantiere mostrando le proprie mani e pronunciando orgogliosamente queste parole: “Queste mani hanno restaurato le cattedrali di Pisa, Lucca, Firenze… di chi sei figlio tu? Noi siamo i figli dei figli dei figli di Michelangelo e Leonardo.” Questo libro è rivolto agli studenti e a voi che scegliendo di leggerlo forse sentirete per la prima volta l’orgoglio di essere “i figli dei figli dei figli di Michelangelo e Leonardo” e di tutti quegli altri artisti che avrete modo di incontrare in queste pagine e successivamente di ritrovare nei musei, nelle chiese e nei palazzi delle strade della vostra città.

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Premessa

“Che cos’è un’opera d’arte?”, potrebbe chiedersi, come prima cosa, lo storico dell’arte principiante. Potrei rispondere prendendo in prestito le osservazioni di Erwin Panofsky: l’opera d’arte è l’oggetto di un’esperienza estetica in cui si condensano forma, idea e contenuto, tre elementi legati alla consuetudine visiva del fruitore, ma anche alla sua “attrezzatura culturale”. È su questa base che lavora lo storico dell’arte che “sa”, scrive Panofsky, “che il suo bagaglio culturale, quale di fatto è, è diverso da quello degli abitanti di un altro paese e di un’altra epoca. Egli cerca perciò di ovviare a questo apprendendo quanto più può sulle circostanze in cui gli oggetti dei suoi studi sono stati creati”. La storia dell’arte si serve dunque – come ogni disciplina – di molteplici codici interpretativi e lo storico dell’arte dovrà farne un buon uso per garantire al meglio quella che Panofsky definisce un’“esperienza ri-creativa”, nell’interesse di riscoprire le condizioni artistiche e culturali originali dell’opera. Tra gli innumerevoli autori della letteratura critica sarebbe sufficiente tuttavia citare i nomi di Giorgio Vasari e di Luigi Lanzi per spiegare, in sintesi, come può cambiare radicalmente il metodo di indagine e di conseguenza il risultato conoscitivo. Vasari – noto pittore e architetto aretino fondatore a Firenze della prima accademia artistica europea – pubblica nel 1550 Le Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, prima storia organica degli artisti italiani tra Medioevo e Rinascimento. Il corposo volume raccoglie una serie di biografie ordinate grosso modo cronologicamente. Tutto si articola e si esaurisce dunque entro le date di nascita e di morte dei singoli maestri selezionati per rappresentare al meglio il percorso dell’arte da Cimabue a Michelangelo. A scardinare questo modello, dalla fortuna incondizionata per secoli, interviene alla fine del Settecento l’abate marchigiano Lanzi con la sua Storia pittorica dell’Italia (1795-1796). Non più una storia di artisti, ci segnala immediatamente il titolo dell’opera, ma una storia della pittura nell’ampia area geografica della Penisola, già identificata come Italia. Si tratta di una vera e propria 9


Premessa

“rivoluzione copernicana” che sostituisce alla biografia l’indagine territoriale. Lanzi, da instancabile viaggiatore, attraversa in lungo e in largo il Paese scoprendone la complessità culturale. Sul piano storico-critico l’impostazione dell’abate di Treia è un avanzamento straordinario, tanto da permettere, per la prima volta, di illustrare l’ineguagliabile varietà e ricchezza artistica della futura Nazione frutto, non sembri un paradosso, di quella frammentazione politica che ha favorito la moltiplicazione delle scuole pittoriche radicandole alle singole realtà geo-politiche. Giovanni Romano, nella necessità dello storico dell’arte di riconoscere i diversi stili delle opere distribuite in realtà territoriali differenti, ha suggerito di associare i linguaggi figurativi con le numerose cadenze dialettali; un esercizio efficace per comprendere con immediatezza l’articolazione complessa dell’arte italiana. Ricordare in percentuale la ricchezza del patrimonio artistico italiano rispetto al resto del mondo – come è oramai divenuto esercizio fin troppo frequente – è questione che lasciamo agli amanti dei primati e dei numeri, ma certo può valere la pena di segnalare fin d’ora la peculiarità di un Paese dove l’arte ha il privilegio della continuità storica e della disseminazione sul territorio. Goethe, che al suo viaggio in Italia ha dedicato pagine indimenticabili, nell’inverno del 1786, ad appena una settimana dall’arrivo a Roma, rendeva conto nel suo diario dell’incredibile stratificazione storica della città: “Quando si considera un’esistenza simile”, scriveva, “vecchia di duemila anni e più, trasformata dall’avvicendarsi dei tempi in modi così molteplici e così radicali, e si pensa che è pur sempre lo stesso suolo, lo stesso colle, sovente perfino le stesse colonne e mura, […] ci si sente compenetrati dai grandi decreti del destino.” Al palinsesto storico, che caratterizza in generale ogni città italiana, si dovrà aggiungere la particolarità di aree geografiche limitrofe che coltivano nella stessa epoca linguaggi figurativi radicalmente differenti. Si pensi, per portare un unico esempio, alle attuali Marche, dove nella seconda metà del Quattrocento la corte di Federico da Montefeltro si affida al rinnovato linguaggio prospettico di Piero della Francesca (fig. 1), mentre il resto della regione celebra la propria potenza economica richiedendo, in molti casi, polittici sontuosi dal fondo oro al pittore veneziano Carlo Crivelli (fig. 2). 10


Premessa

Sapersi orientare in una simile complessità non è cosa semplice; “confessiamolo”, annotava Goethe, “è una dura e contristante fatica quella di scovare pezzetto per pezzetto, nella nuova Roma, l’antica”, per aggiungere tuttavia subito dopo “eppure bisogna farlo, fidando in una soddisfazione finale impareggiabile”. Muoversi in una città sapendone leggere monumenti, palazzi, strade è un’esperienza non sempre facile ma esaltante. La città e la sua storia si svelano nelle forme sempre nuove che hanno caratterizzato nei secoli gusto e stile. Eccoci all’imbocco di ponte Sant’Angelo (fig. 3), sotto di noi il Tevere, davanti la sfilata degli Angeli marmorei di Gian Lorenzo Bernini. Una vera e propria messa in scena teatrale animata da figure aggraziate e dolenti. Ogni angelo reca in mano un simbolo della Passione di Cristo mentre il vento, che si immagina improvviso e impetuoso, agita vesti e capelli. È il trionfo della Roma barocca, capitale splendente del cristianesimo cattolico. Davanti a noi, oltre il ponte, la storia più remota e illustre della città si manifesta nella mole grandiosa dell’antico sepolcro dell’imperatore Adriano, trasformato, con il nome di Castel Sant’Angelo, in fortezza pontificia a guardia del Borgo Vaticano. Sullo sfondo, spostando il nostro sguardo verso sinistra, si staglia nel cielo dell’Urbe la maestosa cupola di Michelangelo, l’artista dei papi del Rinascimento. Uno di loro, Giulio II, avrebbe incaricato il maestro toscano di decorare, a pochi passi dalla Basilica di San Pietro, la volta della Cappella Sistina, che ancora oggi attira, ogni anno, sei milioni di visitatori lungo il percorso di uno dei più bei musei al mondo, nato nel Settecento quando Roma – come vedremo – era la meta agognata di ogni artista e di ogni viaggiatore. Il mestiere dello storico dell’arte richiede in primo luogo di vedere, osservare quanto più possibile per formare un archivio di immagini in grado di orientare il proprio sapere. È la “memoria dell’occhio”, osserva Romano, lo strumento principale dello storico dell’arte; ma altrettanto importante è la capacità di dare un ordine alla raccolta di immagini, di sapersi orientare entro la griglia temporale che scandisce forma e stile. L’opera d’arte, è bene spiegare subito, va collocata in un sistema di relazioni complesso che ha a che fare con l’artista e il momento della sua realizzazione, oltre che con la lunga storia 11


Premessa

dell’oggetto artistico; senza dimenticare peraltro che l’opera può cambiare di significato e di valore a seconda dello sguardo che l’attraversa, non tanto lo sguardo individuale – come è naturale immaginare – quanto piuttosto “l’occhio” delle diverse epoche. Ed è proprio partendo da questo ultimo affascinante concetto che avviamo il nostro percorso “fidando in una soddisfazione finale impareggiabile”. Questo libro propone dieci letture riunite tematicamente con lo scopo di dare forma sistematica al modo in cui si può affrontare la conoscenza dell’arte e della sua storia. Cinque i capitoli, ognuno di due conversazioni – entro un arco cronologico che si inquadra tra Quattrocento e Settecento e che comprende un affondo conclusivo nella contemporaneità – precedute da un’introduzione, che ha la finalità di orientare il lettore anticipando questioni metodologiche e approcci conoscitivi. Segue una nota bibliografica che privilegia, per quanto possibile, testi di facile reperimento. La sitografia fa per lo più riferimento agli argomenti e alle opere d’arte citate ed è seguita nella maggior parte dei casi dall’indicazione di uno o più testi di approfondimento, quando utile, di carattere interdisciplinare.

Referenze bibliografiche B. Agosti, Giorgio Vasari: luoghi e tempi delle Vite, Officina Libraria, Milano 2013 (seconda edizione 2016). C. Gauna, La “Storia pittorica” di Luigi Lanzi: arti, storia e musei nel Settecento, Olschki, Firenze 2003. E. Panofsky, La storia dell’arte come disciplina umanistica, in Id., Il significato nelle arti visive, Einaudi, Torino 1962 (edizione originale 1940).

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G. Romano, Una lezione per aspiranti storici dell’arte, in L’intelligenza della passione, a cura di M. Scolaro e F.P. Di Teodoro, Minerva Edizioni, San Giorgio di Piano 2001, pp. 489-496. Sitografia Per la consultazione on line dei testi di Giorgio Vasari e di Luigi Lanzi: www.memofonte.it/ricerche/giorgio-vasari www.memofonte.it/ricerche/luigi-lanzi


Capitolo I Iniziamo dal contesto Paul Valéry nel 1934 scriveva: “Come l’acqua, il gas o la corrente elettrica entrano grazie a uno sforzo quasi nullo, provenendo da lontano, nelle nostre abitazioni per rispondere ai nostri bisogni, così saremo approvvigionati di immagini e di sequenze di suoni, che si manifestano a un piccolo gesto, quasi un segno, e poi subito ci lasciano” (Pièces sur l’art, 1934). Lo scrittore e filosofo francese era forse distante dall’immaginare, nonostante la sua intuizione profetica, che un giorno dagli schermi di un computer, di un tablet o di un cellulare una semplice interrogazione ci avrebbe permesso di catturare, con “un piccolo gesto” appunto, migliaia di immagini. È una risorsa straordinaria, non vi è ombra di dubbio, eppure se la cosa riguarda i dipinti di Raffaello o le sculture di Gian Lorenzo Bernini si pone un serio problema, intuito, in tempi potremmo dire non sospetti, da Walter Benjamin, autore di un saggio dal titolo L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, ancora oggi illuminante. “Nel giro di lunghi periodi storici”, scrive Benjamin nel 1936, “insieme coi modi complessivi di esistenza delle collettività umane, si modificano anche i modi e i generi della loro percezione sensoriale. Il modo secondo cui si organizza la percezione sensoriale umana – il medium in cui essa ha luogo – non è condizionato soltanto in senso naturale, ma anche storico.” La diffusione all’epoca della riproduzione fotografica dell’opera d’arte imponeva all’autore una riflessione sulla percezione. La moltiplicazione dell’immagine che la nuova tecnica permette, osserva Benjamin, distrugge inesorabilmente l’“aura” dell’opera d’arte. Scompare nella memoria collettiva l’idea dell’unicità dell’opera, così come l’importanza di un contatto diretto con essa. È facile intuire quanto tutto questo abbia a che fare con i costumi contemporanei e con la qualità dello sguardo odierno; l’abitudine diffusa dell’uso della strumentazione informatica ha ormai trasformato l’opera d’arte in una semplice immagine e allontanato l’idea che la sua visione diretta possa essere rivelatrice da un punto di vista conoscitivo oltre che emozionale. Alla moda13


Capitolo I. Iniziamo dal contesto

lità contemplativa dei secoli passati si è sostituita oggi la visione ravvicinata e veloce da schermo di PC o di cellulare che tende a escludere il contesto. Sfuggono, soprattutto ai più giovani, la peculiarità dell’opera d’arte come oggetto materiale e al contempo la complessità di rapporti nell’ambito d’origine in grado di far rivelare l’opera permettendole di entrare in una relazione profonda e affettiva con chi la osserva. Dirò di più, al problema del rapporto diretto tra osservatore e opera e della ricostruzione del contesto si aggiunge – è questione che mi capita di verificare con sempre maggiore frequenza nel corso delle lezioni – l’incapacità di vedere. Guardare, ripeto spesso, non significa saper vedere e tantomeno comprendere. Anche l’attitudine nell’esercizio di lettura di un dipinto richiede un’educazione dell’occhio facilitata dalla visione diretta dell’opera d’arte. C’è bisogno di tempo e di qualche conoscenza per sapere decifrare un soggetto e per cogliere logiche spaziali e soluzioni compositive apparentemente banali ma non scontate, soprattutto se si considera che la cultura visiva dell’artista, come ricorda Benjamin, può essere diversa dalla nostra. Il modo in cui osserva l’uomo del Rinascimento, educato all’uso della matematica e della geometria, chiamato quotidianamente a messe e sermoni, non può che essere differente dal nostro. Non si dimentichi inoltre che la conoscenza dell’opera d’arte mediata da un’immagine non sarà mai in grado di restituire le condizioni spaziali e ambientali di un’opera, che sono parte integrante per una sua corretta interpretazione, oltre che per un pieno godimento di essa. L’altezza di un dipinto al di sopra di un altare, la cornice che lo circonda, l’invaso spaziale di una cappella, la fonte di luce di una finestra sono elementi noti e tenuti in grande considerazione dall’artista nel momento della realizzazione del quadro o della scultura, al punto da condizionarne l’ideazione. Di fronte alla Cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo a Roma notiamo, a un primo sguardo, lo spazio ristretto della cappella e la conseguente straordinaria abilità prospettica di Caravaggio nei dipinti laterali con i santi Pietro e Paolo, eseguiti tra il 1600 e il 1601 (fig. 4). La dinamica compositiva della coppia di tele, poste una di fronte all’altra, si apprezza non tanto nella veduta frontale quanto piuttosto assumendo il punto di vista di chi 14


Capitolo I. Iniziamo dal contesto

osserva le opere fuori dal recinto sacro, al di qua della balaustra che chiude, oggi come ai tempi di Caravaggio, l’ingresso della cappella. La superficie limitata della pianta costringe il pittore a studiare una rappresentazione fortemente in scorcio, adottando due diagonali per le figure dei santi invertiti nelle loro posizioni, così da creare un bilanciato contrappunto: la figura di san Pietro, sulla sinistra, ci appare adagiata sulla croce con i piedi inchiodati in alto in primo piano, mentre sul lato opposto san Paolo, riverso a terra, è rappresentato con la testa verso di noi, così da enfatizzare e farci notare le palpebre abbassate per l’abbaglio della luce divina nel momento della conversione. La pala sull’altare, raffigurante l’Assunta, e al centro della volta l’Incoronazione della Vergine sono di mano di Annibale Carracci, che aveva appena portato a termine gli affreschi della Galleria di Palazzo Farnese, accolti, fin da subito, da una fama che aveva eguagliato i dipinti michelangioleschi della Cappella Sistina. Il tesoriere pontificio Tiberio Cerasi, intuendo la portata di entrambi i pittori, ne aveva cercato un confronto nella cappella di Santa Maria del Popolo, destinata ad accogliere la sua tomba e giudicata già all’epoca “bellissima”. Bastano queste poche note per comprendere quante informazioni può restituire un contesto originario, già a una prima osservazione; indicazioni negate sia dalla riproduzione dell’opera sia dallo spazio museale. Facciamo un esempio, riguardo a quest’ultimo punto, mettendo al centro della nostra riflessione la Pala di San Giobbe di Giovanni Bellini, esposta dal 1815 nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Il titolo della pala d’altare, dalle dimensioni non comuni – quasi cinque metri di altezza, e presto ne capiremo le ragioni – rievoca la chiesa veneziana di provenienza San Giobbe, dove il quadro occupò il secondo altare sulla parete destra a partire dagli anni ottanta del Quattrocento fino alla sua rimozione. Nell’osservare il dipinto all’interno del museo veneziano risulterà facile intuire che esso è attualmente collocato più in basso rispetto alla posizione originaria, che prevedeva che la pala fosse sistemata al di sopra della mensa d’altare e quindi a diversi metri da terra. La logica espositiva dello spazio museale impone, necessariamente, di adeguare la posizione del quadro in questione a quella degli altri dipinti della sala, tutti posti alla stessa altezza a 15


Capitolo I. Iniziamo dal contesto

prescindere dalle loro dimensioni. Mi si dirà: un peccato veniale! Il quadro in fondo è godibilissimo anche a quell’altezza; tenterò tuttavia di spiegare come esso può recuperare di significato e di suggestione se ricollocato, quantomeno idealmente, nel suo contesto originario. Nella chiesa di San Giobbe è ancora presente l’altare con la sua cornice marmorea che racchiudeva la tavola. Se si osserva la cornice, ovvero una coppia di pilastri che sostiene un’arcata, si noterà che essa ha la stessa decorazione e gli stessi identici capitelli che compaiono nei pilastri dipinti nella pala di Bellini e che quindi costituisce parte integrante del quadro, andando a completare l’architettura dipinta dal grande maestro veneziano (fig. 5). Per comprendere la motivazione dell’espediente belliniano bisogna rifarsi all’importanza assunta dalla prospettiva nel Quattrocento. La prospettiva diviene nelle mani dei pittori lo strumento con cui definire pittoricamente la verosimiglianza dello spazio naturale. Nata, come si sa, a Firenze all’inizio del XV secolo, la pratica arriva con un certo ritardo a Venezia, ma gli esiti dell’opera di Bellini sono affascinanti e tecnicamente di grande rilievo. Egli immagina che il suo quadro, grazie alla resa ineccepibile della prospettiva con le figure a grandezza naturale scalate nella penombra, possa creare l’illusione di un’apertura reale nella parete della chiesa, fornendo in definitiva l’impressione di trovarsi di fronte a una vera e propria cappella all’interno della quale la Madonna col Bambino, circondata dai santi Francesco, Giovanni Battista, Giobbe, Domenico, Sebastiano e Ludovico da Tolosa, si offrono allo sguardo dei fedeli. Sulla sinistra san Francesco, dal volto così umano da sembrare un ritratto, ci invita con lo sguardo bonario e con il gesto della mano ad avvicinarci, accolti dal suono melodioso degli strumenti musicali dei tre angeli assisi ai piedi del trono dove la Vergine si erge maestosa avvolta nel manto azzurro sull’abito regale intessuto d’oro. Il dipinto reca un messaggio forte e significativo anche da un punto di vista religioso: il sacro è sceso tra gli uomini, basta un cuore aperto e fiducioso per goderne. Sapere che alla chiesa era annesso un ospizio per poveri affidato alle cure dei francescani può aiutare a comprendere lo spirito del luogo. Quest’ultima notazione ci permette di introdurre un altro concetto importante per la comprensione dell’opera d’arte: essa va 16


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