Il design Cartier. Visto da Ettore Sottsass

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Il design Cartier visto da Ettore Sottsass


Il design Cartier visto da Ettore Sottsass



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INTRODUZIONE FRANCO COLOGNI

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IL DESIGN CARTIER VISTO DA ETTORE SOTTSASS INTERVISTA REALIZZATA DA MARIE-LAURE JOUSSET

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LA COLLEZIONE ART DE CARTIER ÉRIC NUSSBAUM

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ORNAMENTI ETTORE SOTTSASS

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DESIGN E GIOIELLI MATEO KRIES, ALEXANDER VON VEGESACK

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I DISEGNI DEL GIOIELLIERE BETTY JAIS

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DISEGNO E CREAZIONE JACQUELINE KARACHI

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CATALOGO DELLE OPERE

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CRONOLOGIA E BIBLIOGRAFIA

COLLIER DE CHIEN, Cartier Parigi, 1953


INTRODUZIONE

Benché negli ultimi dodici anni e più la Collezione Art de Cartier, mostra per geniale definizione “itinerante”, abbia girato tutti i continenti, approdando in alcuni dei più importanti musei del mondo per una serie di memorabili esposizioni, si può ben dire che queste di Berlino e di Milano sono una vera première. Finora, infatti, nell’articolazione delle mostre della collezione aveva prevalso, come del resto prevale quasi sempre in ogni tipo di esposizione cultural-artistica, il criterio della storicizzazione. Che il curatore operasse la scelta di dispiegare l’intera evoluzione dell’esperienza artistica del gioielliere attraverso alcuni capolavori esemplari, rappresentativi delle varie epoche successive, o che invece preferisse organizzare l’itinerario del visitatore per grandi famiglie tematiche (gli animali, i fiori, l’Oriente, i diamanti e così via), Cartier è stato sempre raccontato come una storia nella quale usciva, a un tempo, celebrato nella sua unicità e confinato al ruolo che le convenzioni della storia dell’arte attribuiscono a un gioielliere, sia pure al più grande di tutti: il ruolo di Cartier, di poeta e di mago delle arti decorative, cioè, se così si può dire ricorrendo alla illuminante contraddittorietà di un ossimoro, delle arti minori per eccellenza. A Ettore Sottsass, che è uno dei grandi maestri del design contemporaneo, del gioiello interessa poco l’aspetto di “valore” dei materiali e ancor meno quello, per il quale mostra anzi una certa avversione, dell’ostentazione di ricchezza e di prestigio sociale. Così la sua interpretazione dell’arte di Cartier, in questa audace esposizione, si distacca quasi completamente dagli aspetti storici e sociali per concentrarsi proprio su quello che è l’interesse principale della sua vita e il patrimonio comune che gli sembra di poter condividere con Cartier: il design. Il design è certamente uno degli elementi più caratterizzanti della cultura del XX secolo. La sua posizione di cerniera fra arte e industria, fra dignità estetica e mercato ne ha fatto uno dei grandi protagonisti di quel processo di semplificazione delle forme, di ricerca della bellezza elementare che ha costituito una delle conquiste più preziose dell’epoca contemporanea. Giustamente Sottsass osserva che nell’arte del gioielliere il design tocca, in un certo qual modo, l’estremo della sua purezza, perché qui lo spirito creativo, meno condizionato dagli aspetti funzionali dell’oggetto, può esercitarsi più liberamente che altrove. Ecco che allora, slegato da ogni esigenza di praticità (se non quella, sempre tenuta in gran conto da Cartier, della portabilità del gioiello), quel processo di semplificazione, di epurazione formale che tocca il suo vertice nella produzione Art Déco di Cartier, viene a saldarsi a un altro tema forte del Novecento, a un altro fuoco centrale della riflessione di Sottsass: quel miracoloso equilibrio fra ricerca di nuove strade espressive e discesa alle radici primitive dell’arte che ha profondamente segnato tutta la prima metà del XX secolo, nella pittura come nella musica, nelle arti plastiche come nella letteratura. Questa esigenza di fare tabula rasa del passato recente e di risalire piuttosto alle civiltà pre-storiche per rifondare l’arte sopra la sua purezza originaria, questa esigenza così fortemente sentita da tutti i grandi innovatori del Novecento, dai cubisti agli ermetici alla seconda scuola viennese, corrisponde del resto molto bene alla scelta che presiede a questo allestimento ardito e nuovissimo di Sottsass: destoricizzare la produzione di Car-

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COLLIER “COCCODRILLI”, Cartier Parigi, 1975

tier, scioglierla dal suo abbraccio con la cultura e con i gusti dell’epoca, e rappresentarla semplicemente nella sua forza formale e plastica, di colori e di volumi, come una serie di opere di bellezza assoluta. Assoluta in quanto appunto universale e atemporale. Dovunque, comunque. Per sempre.

F R A N C O C O LO G N I S e n i o r E x ec u t i ve D i r e c t o r, RICHEMONT

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IL DESIGN CARTIER VISTO DA ETTORE SOTTSASS

Marie-Laure Jousset: Prima di parlare del contenuto della mostra, vorrei parlare della selezione dei pezzi. Infatti, la prima cosa che ti è stata chiesta, Ettore, è di guardare la Collezione Cartier e di scegliere dei pezzi. Un’avventura insolita, visto che non sei un gioielliere. Hai quindi visto un’enorme quantità di gioielli… Ettore Sottsass: Sì, sono andato varie volte a Ginevra. Su un tavolo, mi hanno presentato quasi mille gioielli. Naturalmente è stato un lavoro complicato perché i gioielli risalgono a vari periodi: dalla fine dell’Ottocento fino a oggi. Quindi hanno attraversato fasi diverse di stile, costumi e anche regime politico, diciamo. Molte principesse sono scomparse, molti regni sono diventati repubbliche ecc. Poi, in generale, il costume è cambiato, soprattutto per quanto riguarda il modo di portare il gioiello. Quindi si prospettava un lavoro un po’ complicato. Per fortuna Renée Frank mi ha aiutato molto e anche Éric Nussbaum. L’idea era di scegliere i gioielli soltanto in base al design, perché io sono un architetto, sono un designer, e quindi non me ne intendo di pietre. È evidente che un gioiello non conta solo per il disegno, ma… come dire, vale anche per la qualità della costruzione, la qualità delle pietre e così via. Quindi, ci sono molti criteri per giudicare un gioiello. Non abbiamo avuto, nessuno di noi, un vero e proprio sistema razionale di scelta. Abbiamo scelto quello che ci sembrava più carino, più portabile, più ragionevole… MLJ: Oppure più stravagante… ES: …oppure più stravagante, come la pendola “Elefante” che è una follia, una follia tale da conferirle una

esistenza propria! MLJ: Quindi, il criterio era l’emozione? ES: Sì, l’emozione. La parola emozione mi sembra un po’ strana… Era comunque come collocare questi

oggetti nel mondo contemporaneo, in un’ottica contemporanea. MLJ: Ed era anche un punto di vista del tutto soggettivo. ES: Certamente, ma è sempre così… non esiste un giudizio astratto. Il giudizio è sempre condizionato da

criteri intellettuali, culturali, fisici e altri ancora… MLJ: E al tempo stesso, ti sei interessato alla funzione degli oggetti, ogni tanto li hai raggruppati in

famiglie, ma non hai voluto farti limitare dalla cronologia… ES: Non troppo, perché se è vero che abbiamo scelto sulla base, appunto, di considerazioni come il

design, la cura dedicata all’oggetto, l’intensità dell’oggetto, il tempo nel quale è stato creato diventa meno importante. Non siamo partiti da una scelta o da una catalogazione cronologica. Non mi sembrava molto interessante. Il gioiello è quello che è: o funziona ancora oggi, ossia ha ancora la sua efficacia, la sua forza ritualistica, oppure non ce l’ha. Quindi il tempo non importa. Devo dire che durante le riunioni a Ginevra, ho anche dovuto cambiare il mio pensiero sul gioiello. In principio avevo un’idea un po’ astratta: il gioiello è una cosa preziosa, lo possono comprare solo i ricchi ecc. Piano piano ho capito che dietro la storia dei gioielli c’è in qualche modo la storia dell’umanità intera, un lavoro incredibile, viaggi interminabili alla ricerca delle pietre, un meccanismo straordinario che dà al gioiello tutto il suo fascino… MLJ: Secondo me, è il momento di dire che si tratta di un bellissimo mestiere. Dal disegnatore agli atelier

che hai visitato, vi è una continuità nella qualità che rende l’oggetto finale un capolavoro. L’oggetto giunge a una qualità che trascende il periodo della sua ideazione…

Ettore Sottsass, SCHIZZI PREPARATORI delle fotografie dei gioielli della Collezione Art de Cartier.

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LA COLLEZIONE ART DE CARTIER Nel 1973 Robert Hocq, a quei tempi presidente di Cartier Parigi, fece acquistare all’asta, a Ginevra, la prima delle sei pendole misteriose “Portico”, creata nel 1923 e comprata da H.F. McCormick, marito della famosa cantante polacca Ganna Walska. Cinquant’anni dopo la sua realizzazione, dunque, una di queste “misteriose” – definite nel 1925 “miracoli dell’orologeria” dalla “Gazette du Bon Ton”, “irreali e preziose, tessute in un sogno con raggi di luna, svelano minuto per minuto il mistero del tempo…” – ritorna in casa Cartier, non per essere prima o poi rivenduta, ma come prima pietra di una collezione che farà il suo effettivo debutto circa dieci anni dopo e che, documentata da archivi ben conservati, continuerà ad arricchirsi con il passare degli anni. Ispirati da Hans Nadelhoffer e dal suo libro Cartier, allora in fase di compimento, Joseph Kanoui e Alain Dominique Perrin presero l’audace decisione di fare tutto il possibile per permettere a Cartier di rientrare in possesso di opere storiche, così da raccoglierle in una collezione capace di rendere testimonianza di un patrimonio eccezionale, divenuto ormai leggendario. In circa vent’anni la Collezione si arricchirà delle creazioni più svariate, rappresentative di un lavoro di gioielleria dalle molteplici sfaccettature e disteso su un arco di tempo di un secolo e mezzo… L’intelligente idea di dotare l’istituzione di uno spazio patrimoniale aperto all’esterno e in grado di rispondere all’esigenza di mostrare ciò che merita d’essere visto, di comunicare attraverso il linguaggio di queste opere d’arte, da allora non ha mai smesso di svilupparsi sotto forma di eventi interni alla stessa Maison o di manifestazioni internazionali, dando così ogni volta un’intensa testimonianza della vita della Collezione. Insostituibile messaggero della Maison, la Collezione Art de Cartier permette così a un vasto pubblico di conoscere non soltanto le tradizioni e le innovazioni che stanno alla base della storia dell’istituzione, ma anche l’evoluzione di una creazione che è andata esercitandosi senza soste nei territori privilegiati di Cartier: la gioielleria, l’orologeria con le sue innumerevoli e inventive realizzazioni, gli accessori e una grande quantità di oggetti. Presenti sulla scena internazionale, i tesori della Collezione non pretendono, almeno nel prossimo futuro, un luogo stabile di conservazione, un museo. In Francia come all’estero, in effetti, le occasioni di esposizione si moltiplicano, sia sotto forma di retrospettive “Art de Cartier” sia attraverso la partecipazione a grandi mostre tematiche in vari paesi, su richiesta di prestigiosi musei. Anche nel settore editoriale la Collezione ha aperto il campo a pubblicazioni su Cartier che sono diventate testi di riferimento e ha permesso all’istituzione di dare il proprio contributo a numerose opere specialistiche dedicate alle pietre preziose, ai diamanti storici o a temi più generali di gioielleria e di orologeria. Parigi e il Petit Palais (1989), Roma e l’Accademia Valentino (1990), San Pietroburgo e il Museo dell’Ermitage (1992), Tokyo e il Metropolitan Teien Museum (1995), Losanna e la Fondation de l’Hermitage (1996), nel 1997 il Metropolitan Museum of Art di New York e il British Museum di Londra per i 150 anni della Maison, Città del Messico e il Museo del Palacio de Bellas Artes (1999), Chicago e il Field Museum of Natural History (19992000) hanno così accolto con entusiasmo la Collezione Art de Cartier, presentata ogni volta agli occhi del pubblico in modo diverso, in una scenografia sempre rinnovata. In questo 2002, da giugno a settembre, la mostra “Il design Cartier visto da Ettore Sottsass” presenta la Collezione

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COLLIER E BRACCIALE, Cartier Londra, 1936

Art de Cartier nella cornice del Vitra Design Museum di Berlino; da ottobre 2002 a gennaio 2003, viene ospitata a Milano, capitale del design, nella prestigiosa sede di Palazzo Reale. Proponendo in questa occasione un’esperienza inedita, abbiamo affidato all’architetto e artista italiano Ettore Sottsass la definizione dello spazio espositivo a partire dai pezzi da lui stesso selezionati all’interno della Collezione, messa a sua disposizione a questo scopo. È perciò un singolare itinerario estetico, capace di gettare una nuova luce su queste opere, quello che Ettore Sottsass mette in scena, impegnando il suo talento di architetto nella creazione di vetrine la cui concezione è interamente finalizzata alla bellezza e al mistero degli oggetti.

Il pubblico avrà così ancora una volta il piacere di scoprire con stupore e meraviglia, sia nello spazio dell’esposizione sia nel catalogo associato all’evento, la Collezione Art de Cartier presentata sotto una prospettiva diversa, di sobria nobiltà.

ÉRIC NUSSBAUM DIRETTORE, COLLECTION ART DE CARTIER

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ORNAMENTI

Ho letto che i paleontologi, quelli che cercano come era la vita nella preistoria, cioè nella storia di qualche decina di migliaia di anni fa, hanno trovato che già allora le donne e forse gli uomini portavano collanine di conchigliette. Dicono che certe volte quelle conchigliette venivano da molto lontano, erano molto preziose, ma forse questo è quello che sembra, perché può essere che a quei tempi i mari fossero diversi; forse arrivavano vicini alle grotte abitate. Ad ogni modo un fatto è certo: già qualche decina di migliaia di anni fa, le donne e gli uomini si ornavano il corpo con collanine e segni di vario genere, per soddisfare quel sottile, oscuro piacere di sentirsi preparati a dichiarare agli altri la propria “personale” presenza, anzi la propria identità, la propria personale specialità; per sentirsi seduttore o per sentirsi terrorista o anche forse, qualche volta, per presentarsi ben vestiti davanti all’ignoto, per ingraziarselo, per proporre un accordo – più o meno possibile – con l’ignoto. Le donne e gli uomini si decoravano per mostrarsi sul palcoscenico della vita e della morte nella parte che ognuno, per conto suo, si attribuiva o in quella parte che nel corso della commedia o del dramma gli veniva attribuita… Ho letto che nella savana a sud del Sahara vive una tribù di nomadi pastori che si chiama la tribù dei Bororò. Ogni anno i Bororò fanno un concorso di bellezza. Quel concorso di bellezza è il loro teatro, la loro rappresentazione, il loro unico rito esistenziale, perché il loro unico desiderio – delle donne e degli uomini – è di essere belli. E sono belli, sono alti, magri, hanno la pelle lucida nera, hanno denti bianchissimi, intatti che mostrano volentieri, come segno di bellezza, aprendo le labbra, e portano grandi cappelli di paglia a cono e si ornano con bellissimi, grandi orecchini e grandi collane fatte con perline di vetro, con bottoni e bottoncini, con pezzettini di legno e conchiglie e monete e monetine e anche piccoli stracci di stoffe colorate. Nel deserto, nella savana, tutto è prezioso e se è prezioso è anche bello, provoca sorpresa, meraviglia, apre il cuore al sogno, al mistero, all’irraggiungibile. Ho letto che anche nelle antiche tribù del centro America, la tribù dei Nahua, dei Tapanechi, degli Azcapotzalco e poi nei popoli dei grandi regni Maya, Toltechi, Aztechi, le donne e gli uomini si ornavano dalla testa ai piedi con stoffe colorate e disegnate e con le piume preziose verde-oro dell’uccello Quetzal e piume di altri misteriosi uccelli della foresta. Il disegno dell’ornamento e la rarità dei materiali comunicavano il rango, cioè la parte che “l’uomo ornato” avrebbe recitato nella generale commedia. Ho anche letto che al momento di parlare con l’imperatore Montezuma, Cortés, il generale spagnolo, si è tolto una collana di perle di zircone che aveva e l’ha messa al collo di Montezuma. Dopo un po’ i servitori di Montezuma hanno portato a Cortés due collane di gamberi avvolte in un panno. Le collane erano fatte di conchiglie rosse – molto rare – e da otto gamberi pendenti, di oro, lavorati con molta maestria e più o meno grandi come il palmo di una mano. Montezuma ha messo le collane al collo di Cortés. In quell’incontro Montezuma l’imperatore era decorato con molte piume verde-oro di Quetzal e Cortés il generale era vestito di acciaio e sul suo elmo aveva qualche piuma rossa. Montezuma era anche ornato con collane e bracciali d’oro e l’armatura di Cortés, qua e là era dorata…

BRACCIALE “TUTTI FRUTTI”, Cartier Parigi, 1925

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DESIGN E GIOIELLI

“OH, CH’ELLA INSEGNA PERFINO ALLE TORCE COME SPLENDERE DI PIÙ VIVA LUCE! PARE CHE SUL BUIO VOLTO DELLA NOTTE ELLA BRILLI COME UNA GEMMA RARA PENDENTE DALL’ORECCHIO D’UNA ETIOPE. BELLEZZA TROPPO RICCA PER USARNE, TROPPO CARA E PREZIOSA PER LA TERRA!” WILLIAM SHAKESPEARE, ROMEO E GIULIETTA

I gioielli obbediscono in modo pressoché esclusivo al nostro gusto personale e all’immagine che abbiamo di noi stessi. Fin dai tempi più remoti sono l’espressione dei nostri desideri più intimi, delle nostre nostalgie e dei nostri bisogni più profondi. Il talento dei gioielli sta nel trasformare questi sentimenti in piccole opere d’arte che servono da ornamento al nostro corpo. Un gioiello è magico e poetico. Obbedisce unicamente alle sue stesse regole, che non sono quelle del design. Diversamente dal design di qualità, un gioiello non è tenuto a piegarsi agli imperativi della razionalità, del senso, dell’economia; non ha neppure bisogno di essere ergonomico. Per lui le leggi della fabbricazione valgono a stento e può perfino farsi beffe, con somma destrezza, dei vincoli materiali. Mentre nel design dominano le leggi della produzione e della logica, in oreficeria a regnare sono le leggi dell’espressività e della psicologia. Qualche suggestivo esempio tratto da culture ed epoche diverse potrà aiutarci a chiarire questo aspetto. In numerose culture gioielli e parure si portano esclusivamente in occasioni particolari. Appartengono a un mondo di riti e di danze. Possono completare un costume di festa, essere il supporto di danze estatiche o fungere da ornamenti sepolcrali. In queste culture i gioielli simboleggiano spesso il vincolo spirituale con gli antenati. Lo stesso vale per noi: un gioiello rappresenta la più intima delle eredità, quella che ci ricorda le nostre radici e alla quale si tiene “come alla pupilla dei propri occhi”. Parure e gioielli sono strettamente legati al corpo umano. Possono abbellirlo o nasconderlo, ma possono anche assoggettarlo e condizionarlo, come dimostrano gli anelli e gli orecchini d’oro delle tribù africane, che deformano certe parti del corpo, o le scarificazioni, che sono la traccia di riti di iniziazione. Nei paesi musulmani la mano di Fatima, discesa dalla famiglia di Maometto, è onnipresente: protegge gli uomini dal malocchio. Ma la parure e il corpo umano possono anche costituire un tutt’uno, come nel caso delle pitture corporali e dei tatuaggi. All’epoca del baratto sono i gioielli, in quanto capaci di stabilire tra forma e materia un rapporto astratto e privo di funzionalità evidente, ad apparentarsi più di ogni altra cosa al denaro. Un cofanetto pieno di gioielli è stato per molto tempo il solo bene materiale posseduto da una donna, poteva rappresentare la sopravvivenza in periodi di sciagure, quando si rendeva necessario fuggire o quando il marito si faceva ammazzare. Un gioiello è il segno della posizione sociale, può valere una fortuna o esprimere l’appartenenza a un gruppo.

ANELLO, Cartier Parigi, 1967

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BRACCIALE, Cartier Parigi, 1928

Il gioiello può trasformare in tesori cose senza valore: denti, scalpi, chiodi arrugginiti, monete, gusci di lumaca, pezzetti di vetro… E allo stesso modo anche il gioiello più prezioso, quando la persona che ce lo ha regalato ci delude, può diventare oggetto di repulsione. I gioielli, infatti, appartengono anche al mondo delle emozioni e dell’amore. Siamo soliti pensare che uomini e donne li usino volentieri come armi di seduzione. La donna fatale non incede forse carica di gioielli, ostentandoli come trofei? E la bella innocente, invece, senza alcun ornamento? Mentre un uomo che corteggia una donna è incline a regalarle gioielli, la donna può utilizzarli con altrettanta efficacia per sedurlo o per rovinarlo. E, qualora dovesse stancarsi sia dell’uomo sia dei gioielli, non dimentichiamo che questi ultimi sono trasportabili… Tutti questi esempi mettono in luce la complessità del gioiello e il suo radicamento profondo della nostra coscienza. I gioielli non obbediscono a regole oggettive, bensì a norme soggettive. Così, se si può spiegare in che cosa consiste il design di qualità, non si può invece penetrare il mistero di un gioiello. Ecco una ragione sufficiente, per il Vitra Design Museum di Berlino, per indagare, dal punto di vista del design, il fascino esercitato dal gioiello. È una fortuna che questa analisi possa essere condotta a buon fine partendo dai gioielli Cartier. Cartier non è soltanto l’orafo più rinomato del mondo: questa prestigiosa Maison possiede anche una leggendaria collezione di gioielli e di accessori che copre tutta la sua storia. Alcuni pezzi di questa importante collezione sono già stati esposti al Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo o al Metropolitan Museum of Art di New York. I gioielli Cartier incarnano alla perfezione le più elevate qualità del gioiello, che si tratti di forma, di sapienza artigianale o di valore. Rappresentano il gioiello nella sua essenza. Ed è una fortunata coincidenza anche il fatto che il responsabile e organizzatore di questa mostra della Collezione Art de Cartier altri non sia che Ettore Sottsass, che ha familiarità tanto con il mondo razionale del

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DESIGN E GIOLIELLI

design industriale quanto con il mondo paradossale e onirico del gioiello. Tutta la sua produzione si caratterizza per la sintesi ludica fra una modernità decisa e una gioia di vivere pagana, sintesi che dà vita a oggetti multicolori, pieni di umorismo e dalle linee nitide. Sottsass è uno dei grandi designer che hanno lasciato la propria impronta nella storia del design industriale e dell’arredamento d’interni. Ma, in parallelo, si è sempre dedicato anche ad altre attività: la realizzazione di serie di ceramiche e di oggetti di vetro, il resoconto dei suoi numerosi viaggi in paesi lontani in forma di racconti e di fotografie. Il suo sguardo, affinatosi nei contatti con altre culture, e la sua serenità gioiosa gli permettono di svelare aspetti inattesi dei gioielli Cartier, aspetti che vanno al di là della semplice materialità e della moda. Grazie alla selezione e all’allestimento di Sottsass, lo sguardo del visitatore si concentra subito e direttamente sui gioielli. Esposti in vetrine a forma d’altare, i gioielli sono così sottoposti al solo giudizio estetico dello spettatore. Con mano sicura, e con quel gusto della geometria e dei colori che lo contraddistingue, Sottsass provvede alla messinscena dei gioielli selezionati intorno al corpo. In questo modo la profusione di forme e di associazioni che ci travolge dinanzi ai gioielli Cartier non è mascherata, bensì svelata e valorizzata. Il visitatore, non essendo immediatamente informato del contesto storico e tecnico, si trova più esposto all’aura di questi oggetti, al loro incomparabile splendore. In quest’aura la presenza reale e le immagini da essa evocate si mescolano alla mistica propria del gioiello e, infine, anche a una vaga conoscenza della storia dell’oggetto. Chi non ha mai sentito parlare, almeno una volta, di uno dei diademi Cartier e della donna che lo indossava, o magari di un diamante unico nel suo genere? Nel catalogo della mostra ognuno potrà approfondire tali conoscenze a suo piacimento. Ma la cosa più importante resterà comunque il procedimento stesso della percezione, che guida più direttamente al tema centrale della mostra: all’essenza del gioiello in generale, a quella del gioiello Cartier in particolare, ai molteplici rapporti fra gioiello e design. Basti pensare agli innumerevoli tentativi che furono compiuti nella storia del design per conferire agli oggetti realizzati anche solo un frammento del significato semantico che possiedono i gioielli Cartier! Le sperimentazioni del design radicale si ponevano già, negli anni sessanta e settanta, l’obiettivo di contrastare una tendenza tipica dell’epoca moderna, che Michel Foucault definiva come “la cesura fra le parole e le cose”. All’inizio degli anni ottanta il movimento Memphis, il cui iniziatore fu Ettore Sottsass, vedeva nell’oggetto un supporto di significato chiamato a operare come un medium, instaurando una comunione con lo spettatore. Oggetti come i gioielli Cartier, che veicolano l’immaginario e invitano alla proiezione, rimangono un modello inaccessibile. L’opulenza di un gioiello può tuttavia limitare questo effetto e trasmettere una sensazione di sovraccarico, quando ad esempio l’aspetto figurativo viene a soffocare l’immaginazione. In ogni caso l’estetica composita e disparata dei gioielli solleva l’eterna questione (eterna ma attualissima) di sapere se la semplice contrapposizione di categorie come sobrietà e opulenza, understatement e kitsch, corrisponda effettivamente a una realtà. Un gioiello Cartier è un simbolo imperituro, eppure sempre nuovo, di ciò che la mano e la fantasia dell’uomo sono capaci di fare. Come tale ricorda al designer il suo ruolo di istigatore, per antonomasia, di un fruttuoso scambio fra l’artigianato e l’industria. A più riprese i designer hanno arricchito i processi di fabbricazione industriale con innovazioni provenienti dal settore artigianale o hanno sviluppato tecniche di produzione ibride. Si possono citare come esempio le sperimentazioni di Gaetano Pesce, consistenti nell’attribuire caratteristiche individuali agli oggetti uniformati dalla produzione in serie secondo un procedimento di distribuzione

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DESIGN E GIOLIELLI

aleatoria. E si può ugualmente citare Issey Miyake e la sua linea “A-POC”, che chiede all’utilizzatore di tagliare lui stesso il suo vestito a partire da un cilindro di tessuto prefabbricato. Come prova a contrario si potranno invece ricordare quei designer che, come Henry Van de Velde o Charles Rennie Mackintosh per lo Jugendstil o ancora gli artisti del Bauhaus, mentre da una parte pagavano il loro tributo alla modernità, continuavano tuttavia a far confezionare i loro gioielli in modo artigianale. In conclusione l’analisi del gioiello in generale, a partire dai gioielli Cartier, è tanto più interessante in quanto si tratta di un fenomeno veramente globale. Influenze egizie, giapponesi e cinesi caratterizzavano già lo stile Cartier negli anni 1910-1920. Fra tutte le possibili fonti di ispirazione, si è potuto affermare che il solo funzionalismo non aveva trovato spazio, cosa che è stata spesso rimproverata a Cartier. Ma la mondializzazione induce a relativizzare questo punto di vista. Anche se le conquiste della creazione contemporanea non possono essere negate, il fenomeno della mondializzazione contribuisce al progressivo affievolimento dell’ideale artistico che ha fin qui contrassegnato l’Occidente. Questo ideale è sostituito da un linguaggio globale, più complesso, nel quale si fondono le più svariate tecnologie e culture. Da questo punto di vista il gioiello sembra aver svolto un ruolo di precursore: fin dai primi anni del Novecento un africano poteva indossare un collier ornato di un pezzo di metallo, un’europea avere al collo un amuleto maya e il maharaja di Patiala portare, naturalmente, dei gioielli Cartier. MATEO KRIES, Responsabile del VITRA DESIGN MUSEUM DI BERLINO ALEXANDER VON VEGESACK, Direttore dei VITRA DESIGN MUSEUMS

Già prima della mostra “Il design Cartier visto da Ettore Sottsass” esistevano rapporti privilegiati fra il Vitra Design Museum e Cartier. Con la Fondazione Cartier per l’arte contemporanea di Parigi, Cartier è stato l’iniziatore di un’istituzione culturale privata che, come il Vitra Design Museum, privilegia non già la redditività, bensì l’indipendenza e la qualità delle opere. Dopo la mostra di Issey Miyake alla Fondazione Cartier, il Vitra Design Museum ha organizzato nel 2001 l’esposizione “A-POC Making: Issey Miyake et Dai Fujiwara”, che ha presentato per la prima volta in Germania le opere di questo grande stilista. Con “Il design Cartier visto da Ettore Sottsass” il Vitra Design Museum di Berlino organizza, per la seconda volta, una mostra intorno al mito di un grande nome, creando così un attraente contrasto con l’aspetto ribollente di una città in piena mutazione. Anche fra Ettore Sottsass e il Vitra Design Museum c’è una lunga amicizia. Già nel 1993 il museo ha realizzato con lui la mostra “Citizen Office”, che aveva come tema l’ufficio del futuro, una mostra che era il risultato di due anni di intensa collaborazione. Numerose realizzazioni di Sottsass sono ospitate nell’importante collezione del Museo.

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DIADEMA, Cartier Londra, 1937

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I DISEGNI DEL GIOIELLIERE

I disegni del gioielliere parlano oggi alla nostra sensibilità con un’intensità singolare: la raffigurazione a gouache, così pittorica, dona loro un’esistenza propria, distinta dal loro divenire funzionale. Sollecitando il nostro immaginario, ci appaiono opere di pura creazione. Ma ciò significa dimenticarsi della loro modestia originaria, perché questi disegni, in piena coerenza con la tradizione del mestiere, erano chiamati semplicemente a trasmettere un messaggio e pertanto considerati di scarsa importanza. Ci piace ricordare che la maggior parte del nostro archivio Art Déco fu ritrovata una ventina d’anni fa, in un contenitore vicino a una caldaia, e che i disegni delle nostre pendole vivevano la loro vita sotterranea in un locale murato… Il disegno è tecnico e prossimo, quanto più possibile, alla realtà. Destinato a chi, nell’universo chiuso dell’atelier, si appresta a modellare il gioiello, vuole esserne, ancor prima dell’esecuzione, la fedele prefigurazione. Nella sua ricerca della resa a grandezza naturale, privilegiando la veduta frontale rispetto a quella prospettica, nella sua minuziosa riproduzione realistica di colore, struttura e densità del materiale, il disegno ha la vocazione all’esattezza e alla precisione. Appare dunque come portatore di una serie di paradossi, uno dei quali, e non il più insignificante, è che, sotto la sua apparenza libera e gioiosa, deve obbedire a esigenze estremamente vincolanti. Un motivo di più per ammirare la qualità della mano che magistralmente organizza e mette in scena quel che, prima ancora di conoscere la sua trascrizione in gioiello, diventa variazione sul tema, gioco sulle forme e sui colori, quadretto astratto o scenetta venata di poesia. Altra caratteristica del disegno nella nostra Maison è di essere opera collettiva, il cui autore rimane nell’anonimato. Certo fra un disegno e l’altro si rivelano differenze di esecuzione e questo individualizza e personalizza ai nostri occhi l’opera, benché non firmata. Ma, rispettando le regole del mestiere, affronteremo il disegno Cartier nella sua entità. Il disegno del gioielliere è eseguito secondo la tecnica della gouache e il suo supporto d’elezione è la carta da calco: la congiunzione di questi due elementi conferisce all’insieme un’estrema fragilità. Ma è anche ciò che lo identifica, concedendogli una realtà che sembra effimera e un fascino molto speciale. Dall’inizio del XX secolo fino alla fine degli anni trenta le carte da calco, o carte trasparenti, sono di colore ocra, naturale, beige o grigio-verde. Sono carte di qualità, che mostrano varianti strutturali. Negli anni del dopoguerra l’atelier fa sistematicamente ricorso a una carta da calco di una tonalità verde molto intensa: questo per una trentina d’anni, fino all’adozione generalizzata di una carta trasparente bianca di grana grossa, la cui qualità è ben lontana da quella delle carte di un tempo. Questa scelta è dettata da ragioni tecniche. Per chi lavora i materiali preziosi, e in particolare le pietre, è necessario un supporto capace di rendere la luminosità e la finezza della gamma cromatica. La carta trasparente, più liscia e meno densa, assorbe meno i colori, permette di sovrapporli in pennellate leggere, assicura maggiore sottigliezza alla pittura a gouache e la rende più luminosa; più facile da lavorare, consente ritocchi e pentimenti, cancellature e raschiature, e una continua rielaborazione della massa pittorica allo scopo di una maggiore precisione. È un supporto molto ricettivo, che neutralizza più facilmente il contorno e permette la ripresa del motivo al verso, restituendo così al disegno la sua forza senza appesantirlo eccessivamente e fargli perdere luminosità.

ORECCHINO “TIGRE”, Cartier Parigi, 1961

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I DISEGNI DEL GIOIELLIERE

Raccolte di ornamenti, repertori di forme decorative o architettoniche, schizzi dal vivo o rilievi sul motivo, costituiscono il crogiolo dell’ispirazione. Ma non c’è nulla di dispersivo o di gratuito in questo processo: i vincoli sono costrittivi e dipendono dalla materia da domare. Non può certo sorprendere, in queste condizioni, la straordinaria permeabilità del disegnatore all’evoluzione tecnica del mestiere, che produce di rimando un’evoluzione nell’esecuzione dell’opera grafica. Come se la trascrizione con matita e pennello cercasse di accordarsi profondamente a ciò che diventerà uno stile di gioielleria. Alla svolta del secolo scorso Louis Cartier diffonde l’impiego del platino per le montature, provocando una rivoluzione nelle tecniche di incastonatura. Ma, da uomo di cultura classica qual è, si oppone alla tendenza Art Nouveau rimanendo fedele al vocabolario tradizionale della gioielleria. Nasceva così l’identità Cartier, da innalzare a stile e da codificare in un gioco di regole chiaramente riconoscibili: sarebbe stato compito dell’atelier di disegno dar vita alle forme e ai motivi fondanti. I disegnatori presagiscono tutte le potenzialità che si aprono al gioielliere e sviluppano una maggiore attenzione alle strutture. Il platino è duttile e favorisce la linea sottile e la curva, orientando in questo senso l’evoluzione: ricreazione dei motivi classici attraverso una revisione dei tipi di montatura, rivalutazione estetica della pietra liberata ormai dalla ganga eccedente delle montature d’argento, reinserimento della pietra così valorizzata in un nuovo rapporto con l’insieme. Così prende l’avvio il famoso stile ghirlanda, caratteristico di Cartier. La nuova estetica privilegia il gioiello bianco: il platino è un metallo bianco che, lavorato secondo la tecnica particolarissima del millegrain, affina la montatura fino a un punto di non ritorno e, associato al diamante, esprime il meglio di sé, strutturando i vecchi tagli in trame di infinita leggerezza. Non è dunque un caso che i disegnatori scelti da Louis Cartier in questi primi anni del secolo si siano formati alle tecniche della lavorazione del ferro e della passamaneria. Ci volevano mani sicure e chiaroveggenti nella realizzazione delle strutture leggerissime che avrebbero accolto le pietre. Nasce così uno stile del tutto particolare nella storia della grafica della Maison. Disegni rigorosamente precisi nella loro riproduzione in scala 1:1 – regola sacrosanta del mestiere – ma che escludono qualsiasi ingerenza del linguaggio della gioielleria: allo scopo di privilegiare la veduta d’insieme, si dimentica la pietra, che viene evocata con inchiostro grigio-verde su semplici tratti di penna o di matita. Questa convenzione permette al disegnatore di accordare interamente la sua attenzione alla trama decorativa e alla sua base strutturale. Secondo il temperamento di ciascuno, o magari l’umore del momento, secondo il privilegio accordato alla dinamica o all’equilibrio del motivo, la scelta andrà allora a cadere sulla grafica o, invece, sul colore in tinta unita, che acquieta e canalizza il disegno. Collier de chien, diademi o devant de corsage diventano fregi decorativi per effetto del chiaroscuro sottolineato dal tratto nero del contorno. E chi riuscirebbe a immaginare un diadema ornato di diamanti, con il suo armonioso sviluppo solare, dinanzi a questo schizzo nervoso a matita, poi ripreso a penna, cui la rapidità frettolosa del tratto conferisce il movimento? Il disegno dev’essere facile da decifrare per i gioiellieri dell’atelier. Si affermano così altre convenzioni, relative alla colorazione. Da ricordare il diadema con motivo di spighe, reso in un effetto cromatico di verdi e di rosa: nessuno smeraldo e nessun rubino sono tuttavia previsti per animare il magnifico schieramento dei diamanti. Per gli iniziati il significato non è né sul piano estetico né su quello tecnico: rappresenta

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I DISEGNI DEL GIOIELLIERE

BRACCIALE, Cartier Parigi, 1924

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CATALOGO DELLE OPERE

BANDEAU, Cartier Parigi, 1922


Diadema Cartier Parigi, 1908 Platino, 15 diamanti forma poire, diamanti rotondi taglio antico, perle fini; serti muguet per 1 le sospensioni mobili dei diamanti forma poire 14,5 (diametro) x 5,5 x 0,55 cm

Collier de chien Cartier Parigi, 1906 Platino, diamanti rotondi taglio antico, serti millegrain 2

Provenienza: Mary Scott Townsend. Thora Ronalds McElroy. Randolph Hearst 10,6 (diametro) x 5,5 x 0,48 cm

Spille “Due rami di felce” Cartier Parigi, 1903 Platino, diamanti rotondi taglio antico Provenienza: Sir Ernest Cassel 3

18,5 x 4 (ciascuna) x 0,46 cm Interamente articolate, portabili come collier aggiungendovi due catenine, o come diadema, grazie a un’armatura rigida

Spilla “Nodo” Cartier Parigi, 1906 Platino, oro, un diamante forma coussin, diamanti taglio marquise; diamanti rotondi taglio 4

antico e rose, serti millegrain e serti clos Provenienza: sir Ernest Cassel 17,1 x 6,4 x 1,3 cm

Devant de corsage Cartier Parigi, 1912 5

Platino, diamanti rotondi taglio antico e rose, serti millegrain Provenienza: Meyer Sassoon 11,5 x 10 x 1,3 cm Centro staccabile che può essere portato come spilla

Spilla Cartier Parigi, 1906 6 Platino, oro, uno zaffiro rotondo, zaffiri calibrati, diamanti rotondi taglio antico; serti millegrain e serti rabattu 6 x 3,3 x 0,8 cm

Spilla pendente Cartier Parigi, 1913 7

Platino, zaffiri, diamanti taglio 8/8 e rose, giada, turchesi, una perla fine 12,3 x 4 x 0,6 cm


Spilla “Draperie” Cartier Parigi, 1912 8

Platino, oro, tre cabochon di zaffiro di cui uno di circa 28,70 carati, zaffiri calibrati; diamanti rotondi taglio antico e 8/8 7,3 x 4 x 1,3 cm

Spilla Cartier Parigi, 1922 9

Platino, smeraldi forma poire, quadrati e taglio cabochon, sfere di smeraldo incise, diamanti rotondi taglio antico, 8/8 e rose, onice 15,1 x 4,2 x 1 cm

Spilla Cartier Parigi, 1913 10

Platino, uno smeraldo triangolare sfaccettato di circa 11,90 carati, cabochon e gocce di smeraldo, diamanti rotondi taglio antico, perle fini, onice 9,6 x 3,6 x 0,75 cm

Spilla Cartier Parigi, 1913 11

Platino, oro, cabochon di zaffiro, smalto bianco e verde Provenienza: contessa di Hohenfelsen 5,5 x 2 x 0,9 cm

Diadema stile Art Nouveau Cartier Parigi, 1902 12

Platino, diamanti rotondi taglio antico e rose, serti millegrain Provenienza: Lila Vanderbilt Field 17,5 (diametro) x 7 x 1 cm

Collier Cartier New York, 1925 13

Platino, uno smeraldo esagonale inciso di circa 85,60 carati, 50 sfere di smeraldo (circa 517 carati), diamanti taglio 8/8, perle fini Lunghezza del collier (aperto) 75 cm Pendente: 13,3 x 4,4 x 1 cm

Bracciale “Indiano” Cartier Parigi, 1920 14

Platino, semisfere di smeraldo a coste, diamanti rotondi taglio antico, onice 7,4 x 6,9 (diametro) x 1,92 cm

Orologio pendente Cartier Parigi, 1923 15

Platino, oro, uno smeraldo inciso di circa 44,15 carati, una sfera di smeraldo a coste, diamanti rotondi taglio antico, 8/8 e rose, perle fini, onici calibrati, smalto nero 9,3 x 4 x 1,6 cm


Portasigarette Cartier Parigi, circa 1908 16

Argento dorato, smalto giallo e blu, un cabochon di zaffiro 1,5 x 8,7 x 7,6 cm

Portasigarette Cartier Parigi, 1907 17

Oro guilloché e cesellato, platino, diamanti taglio rose, smalto blu, bianco e verde 9,8 x 5,9 x 1,3 cm

Orologio da taschino Cartier Parigi, 1909 18

Oro, platino, diamanti taglio rose, perle fini, smalto viola e bianco su sfondo guilloché 4,7 (diametro) x 0,86 cm (orologio)

Orologio pendente Cartier Parigi, 1907 19

Oro, platino, diamanti taglio rose, perle fini, smalto rosa e bianco su sfondo guilloché 3,05 (diametro) x 0,83 cm (orologio)

Orologio pendente “Cesto di fiori” Cartier Parigi, 1909 Platino, oro, diamanti taglio rose e antico, smalto blu 20 Provenienza: Nelly Melba. Principe Félix Youssoupov 3,1 x 3,3 x 1 cm (orologio)

Portasigarette “Draghi” Cartier Parigi, 1927 21

Oro, platino, quarzo rosa, lapislazzuli godronati, madreperla, diamanti taglio rose, cabochon di smeraldo, smalto nero 8,9 x 5,1 x 2,1 cm

Portasigarette “Russo” Cartier Parigi, 1925 22 Oro, platino, cristallo di rocca, diamanti taglio rose, smalto blu e rosso 10,2 x 6,5 x 2,1 cm

Portasigarette Cartier Parigi, 1912 23

Oro, diamanti taglio rose, onice, smalto bianco e nero 8,9 x 7,9 x 1,2 cm

Portasigarette Cartier Parigi, 1927 24

Oro, platino, un diamante esagonale, lacca nera, smalto nero e colore avorio 8,56 x 5,95 x 1,48 cm


Portasigarette Cartier Parigi, 1928 25

Oro, agata, zaffiri calibrati, smalto blu e color crema Provenienza: maharaja d’Alwar 8,8 x 6 x 1,4 cm

Portasigarette Cartier Parigi, 1930 Oro, platino, mosaico di lapislazzuli e di turchese, uno zaffiro e due diamanti taglio baguette 26 8,6 x 5,8 x 1,9 cm

Pendola a gravità Cartier Parigi, 1927 Oro, platino, nefrite, onice, giada incisa, corallo, diamanti taglio rose, cabochon di rubino, 27

smalto nero e arancione 23,3 x 12,1 x 7 cm

Pendola a gravità Cartier Parigi, 1927 Oro, lapislazzuli, malachite, cornalina, turchesi, madreperla, corallo, cabochon di smeraldo, un diamante, smalto blu 28

Provenienza: George Blumenthal. Maharaja di Patiala 25,4 x 7,3 x 9,7 cm

Spilla “Fontana” Cartier Parigi, 1930 Platino, un diamante a mezza luna, diamanti taglio baguette, taglio quadrato e rotondi ta29

glio antico 3,6 x 1,9 x 0,8 cm

Spilla “Tempio” Cartier New York, circa 1927 30

Platino, un diamante a mezza luna, diamanti taglio baguette e quadrato 4 x 1,5 x 0,3 cm

Spilla Cartier Parigi, 1910 Platino, diamanti rotondi taglio antico, zaffiri calibrati, serti millegrain 31

Provenienza: Cornelius Vanderbilt 4,15 (diametro) x 0,4 cm

Spilla “Nodo giapponese” Cartier Parigi, 1907 32

Platino, oro, diamanti taglio rose, rubini rotondi e calibrati 4,6 x 2,4 x 0,69 cm


Spilla Cartier Parigi, 1907 33

Platino, diamanti rotondi taglio antico e rose, serti millegrain 3,8 x 3,8 x 0,62 cm

Spilla “Piramide” Cartier Parigi, 1935 Platino, diamanti rotondi taglio antico di cui uno di circa 4,20 carati, diamanti taglio ba34 guette e 8/8 4,2 x 4,6 x 1,5 cm

Pendola misteriosa “Modello A” Cartier New York, 1929 Oro, platino, cristallo di rocca, onice, piume di martin pescatore, diamanti taglio rose, serti 35 millegrain 13,7 x 9,2 x 5,3 cm

Pendola misteriosa “Modello A” Cartier Parigi, 1914 Oro, platino, cristallo di rocca, agata bianca, diamanti taglio rose, cabochon di zaffiro, smal36

to bianco 13 x 8,4 x 5,1 cm

Pendola misteriosa Cartier Parigi, 1967 Oro, platino, lapislazzuli, cristallo di rocca, diamanti taglio brillante e rose 37

Provenienza: Barbara Hutton 15 x 8,5 x 5 cm

Portapenna Cartier, circa 1920 38

Oro, giada bianca, un cabochon di zaffiro, smalto blu 22,5 x 1 cm

Portapenna Cartier, circa 1929 39

Oro, agata grigia e bruna, corallo, smalto nero 16 x 0,9 cm

Lente d’ingrandimento da scrivania Cartier Parigi, 1924 40

Oro, giada grigio-verde, onice 18,7 x 7,7 (diametro) x 1,34 cm


Occhialetto “Tigre” Cartier Parigi, 1954 Oro, smalto nero, smeraldi forma poire. In origine in un astuccio in broccato recante l’iscri41

zione: “Please return to HRH The Duchess of Windsor, Reward” (“Si prega di restituire a Sua Altezza Reale la Duchessa di Windsor, Ricompensa”). Provenienza: duchessa di Windsor 11 x 8,5 x 2,44 cm (aperto) Portapenna serbatoio Cartier Parigi, 1909 Oro, decorazione “pechino” in smalto bianco e nero, pois in smalto bianco

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Provenienza: duchessa di Marlborough 7,7 x 1,2 cm Portapenna serbatoio Cartier Parigi, 1938

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Oro, corallo, smalto nero 8,95 x 1,76 cm Portapenna serbatoio Cartier Parigi, 1908

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Oro, decorazione “pechino” in smalto bianco, pois in smalto bianco 9,75 x 1 cm Portapenna serbatoio Cartier Parigi, 1934

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Oro, decorazione “pechino” in smalto nero 10,9 x 1,3 cm Pendola misteriosa “Chimera” Cartier New York, 1926 Oro, platino, scultura cinese di una chimera in agata grigia del XIX secolo, nefrite, qua-

46 drante in citrino sfaccettato, diamanti taglio rose, smeraldi, perle fini, smalto rosso e nero 17 x 13,8 x 7,5 cm Pendola misteriosa “Elefante” Cartier Parigi, 1928 Oro, platino, scultura cinese di un elefante di giada verde pallido del XVIII secolo, onice, 47

cristallo di rocca, madreperla, perle fini, corallo, diamanti taglio rose, smalto nero Provenienza: maharaja di Nawanagar 20 x 15,5 x 9,2 cm Spilla Cartier Parigi, 1925

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Oro, platino, giada incisa e forata, rubini calibrati, diamanti rotondi taglio antico e 8/8, smalto nero Provenienza: William Kissam Vanderbilt 9,5 x 2,5 x 0,55 cm

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Spilla Cartier New York, 1925 Platino, un cabochon di smeraldo di circa 15,12 carati, un diamante forma coussin di circa 3,83 carati, un diamante forma poire, diamanti rotondi taglio antico, corallo, smalto nero 4,8 x 3,8 x 1,6 cm


Bracciale “Chimere” Cartier Parigi, 1928 Oro, platino, due sfere di smeraldo a coste, uno smeraldo e due zaffiri incisi; smeraldi e zaffiri calibrati, cabochon di smeraldo e di zaffiro; quattro diamanti forma coussin rovesciati, 50

diamanti taglio 8/8, forma poire e trapezio; corallo scolpito, smalto verde, blu e nero Provenienza: Harold McCormick (Ganna Walska) 7,4 x 8,15 x 1,6 cm Bracciale Cartier Parigi, 1937 Platino, oro bianco, oro giallo, tre fili di sfere di lapislazzuli di cui uno ornato di “chiodi” di

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diamanti, turchesi incastonate su argento invecchiato e oro giallo, diamanti rotondi taglio antico e 8/8 20,3 x 2,5 x 1,85 cm Bracciale Cartier Parigi, 1924

52 Oro, platino, corallo, madreperla, diamanti rotondi taglio antico, 8/8 e rose, smalto nero 18 x 1,8 x 0,67 cm Bandeau Cartier Parigi, 1922 53 Platino, oro, corallo, onice, diamanti rotondi taglio antico, 8/8 e rose, tartaruga, smalto nero 12 (diametro) x 2,9 x 0,64 cm Orologio da borsetta Cartier Parigi, 1929 Oro, decorazione “a mattoni” in smalto blu, cabochon di zaffiro 54 Provenienza: Douglas Fairbanks 4,3 x 3,65 x 0,75 cm Apertura a pressione dei due cabochon di zaffiro, il coperchio girevole serve da cavalletto Orologio da borsetta Cartier Parigi, 1929 55

Oro, decorazione in smalto nero, cabochon di zaffiro 4,3 x 3,65 x 0,7 cm Apertura mediante pressione dei due cabochon di zaffiro, il coperchio girevole serve da cavalletto Orologio da borsetta “a scomparsa” Cartier, 1930

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Oro, decorazione in smalto nero 4,65 x 3 x 0,8 cm Apertura delle ante mediante pressione dei pulsanti smaltati in nero Orologio da borsetta “a scomparsa” Cartier Parigi, 1928

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Oro, decorazione in smalto nero 4,65 x 3 x 0,8 cm Apertura delle ante mediante pressione dei pulsanti smaltati in nero


Orologio da tasca “Roulette” Cartier Parigi, 1937 58

Oro, cristallo di rocca, una perla, smalto rosso e nero 4,5 (diametro) x 0,8 cm

Orologio da tasca “Turbina” Cartier Parigi, 1943 59 Oro, 4,2 (diametro) x 0,4 cm

Orologio da tasca Cartier New York, 1927 60

Oro, cristallo di rocca, smalto color crema 5,8 x 4,5 x 0,5 cm

Orologio da tasca Cartier New York, 1929 61

Platino, oro, cristallo di rocca, diamanti taglio rose, smalto color crema 5,8 x 4,7 x 0,6 cm

Orologio da tasca a ore saltanti Cartier New York, 1929 62

Platino, oro, cristallo di rocca, un rubino triangolare, smalto bianco 4,9 (diametro) x 0,5 cm

Orologio da tasca “Gettone” Cartier Parigi, 1923 63

Oro, cabochon di pietra di luna, decorazione in smalto nero 5 (diametro) x 0,7 cm

Orologio da tasca Cartier New York, 1926 64

Platino, diamanti taglio 8/8 e rose, onice 4,7 (diametro) x 0,7 cm

Orologio da tasca Cartier Parigi per Cartier New York, 1910 65

Oro rosso e oro verde 4,7 (diametro) x 0,6 cm

Orologio da tasca, quadrante “24 ore” Cartier Parigi, 1913 66 Oro, 4,5 (diametro) x 0,5 cm

Orologio da tasca “Savonnette” Cartier Parigi, 1921 67

Oro, smalto blu 4,5 (diametro) x 0,6 cm



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