Balla. La modernità futurista

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Questa mostra è dedicata alla memoria di Maurizio Fagiolo dell’Arco


Balla

La modernitĂ futurista

a cura di Giovanni Lista Paolo Baldacci Livia Velani



Sommario

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Presentazione Giovanni Lista, Paolo Baldacci, Livia Velani

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Divisionismo e visione fotografica Giovanni Lista

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Analisi del movimento a. Ritmi del movimento organico b. Movimento della luce c. Velocità meccanica d. Vortici e rotazioni celesti Giovanni Lista

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Antologia

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La cronologia delle “velocità” di Balla. 1912-1914 Paolo Baldacci

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“Futur-realtà”: arte e ambiente nell’opera di Balla Ada Masoero

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“Nous avions veillé toute la nuit...” Balla alle soglie del secolo nuovo. Dalla fotografia all’ilarità Livia Velani

Ricostruzione futurista dell’universo a. Parolibere b. Arte postale c. Moda d. Complessi plastici e. Spazio scenico f. Oggetto e vita quotidiana Giovanni Lista

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Biografia Giovanni Lista

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Arte-azione futurista Giovanni Lista

Bibliografia selezionata Elena Gigli

337

Esposizioni selezionate Elena Gigli

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Sensazioni ed energie Giovanni Lista

263

Al di là dello stile Giovanni Lista

Apparati



Giovanni Lista

Divisionismo e visione fotografica

Giacomo Balla, la modernità futurista

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Elica Balla, Con Balla, vol. I, Multhipla Edizioni, Milano 1984, p. 21. La leggenda è stata creata in varie occasioni, attraverso diversi scritti di tipo commemorativo. 2 Per queste ricerche devo ringraziare soprattutto la dottoressa Luciana Spina che, con dovizia ed entusiasmo, ha voluto assecondarmi fino in fondo in questa mia esigenza di esattezza per quanto riguarda le origini familiari dell’artista. 1

uesta mostra si inserisce in un momento di particolare interesse per il futurismo, ma vuole soprattutto promuovere un riesame dell’opera di Giacomo Balla, l’altro grande protagonista, insieme a Boccioni, dell’avanguardia storica italiana. Nasce quindi con l’esigenza di un approfondimento che doveva investire anche la biografia dell’artista. Attraverso gli anni, man mano che si sviluppava l’interesse per Balla da parte dei musei e degli storici d’arte, si creò, supportata anche dalle figlie dell’artista, una piccola leggenda. Secondo questa tradizione, il padre di Balla sarebbe stato un chimico industriale appassionato di fotografia e di musica, e Balla stesso, nato “in Piazza Vittorio vicino all’arditissima Mole Antonelliana”1, si sarebbe formato come autodidatta dopo aver frequentato solo per due o per sette mesi l’Accademia di Belle Arti di Torino. Informazioni biografiche inesatte, in realtà destinate a costruire un’immagine familiare da riferirsi alla piccola borghesia rispettabile dell’Italia post-unitaria, e ad alimentare la mitologia dell’artista d’avanguardia refrattario al mondo istituzionale degli studi accademici. Un’indagine scrupolosa condotta sulla documentazione d’archivio ancora esistente2, conferma invece una tutt’altra estrazione sociale e un vero e proprio cursus di studi accademici. In base alle statistiche dei censimenti anagrafici, l’origine patronimica dei Balla non può essere situata con certezza. Il nome è presente in molti paesi del Piemonte, in particolare nel comune di Santo Stefano Roero, in provincia di Cuneo. Gli antenati di Giacomo Balla risiedevano, almeno fin dalla metà del Settecento, a Chieri, città di fondazione romana a est di Torino, sul margine meridionale delle colline del Po. Nell’Ottocento, Chieri era città ricca di un’industria tessile quasi totalmente a base artigianale, ma con dure condizioni di lavoro e una

diffusa povertà. I Balla vi lavoravano come “decoratori” o come “tintori” di tessuti. Francesco Balla, il nonno dell’artista, era tintore, esercitando un mestiere che era già quello di suo padre. Si dice che avesse, con la moglie Anna Elia, “una farmacia” nel centro di Chieri. In realtà era speziale e lavorava il “giaud”, cioè la pianticella Isatis tinctoria dalle cui foglie si ottenevano le tinte per il fustagno. Ebbe sette figli, tra cui Giovanni, nato nel 1840, il padre dell’artista, che sposò Lucia Gianotti, lavorante nei laboratori di sartoria che affiancavano l’industria tessile. Elica e Luce Balla hanno anche scritto che il piccolo Balla fu incoraggiato nella sua vocazione artistica da una zia, sorella del padre, che “abitava a Cirié” e alla quale rendeva spesso visita. Non esistono dei Balla iscritti all’anagrafe di Cirié. Deve trattarsi invece di una delle tre sorelle del padre Giovanni, cioè Giorgia, Marianna e Giuseppa Giorgia Rosalia, che rimasero a vivere a Chieri. Il mestiere di decoratore o tintore di tessuti, esercitato per tradizione familiare dai Balla, avrebbe quindi prodotto un immaginario della creazione artistica che sarebbe arrivato fino al piccolo Giacomo. La povertà poteva tradursi nella migrazione dei giovani verso Torino. I numerosi Balla che vennero a lavorare a Torino, quando la città divenne capitale del nuovo regno d’Italia, esercitavano mestieri umili, come macellai e commercianti. I genitori di Balla sono andati ad abitare all’estrema periferia, cioè al di là del Po e sotto la collina, nel poverissimo Borgo Rubatto, sede delle frange sociali più indigenti. Le cronache del tempo parlano di lavandaie, barcaioli e artigiani i cui figli, abbandonati a se stessi durante la giornata, girovagavano sulle rive del fiume. Il nome stesso del borgo deriva dal popolare “rubat”, termine con cui veniva chiamato il rullo di legno utilizzato nelle attività artigianali della tessitura. La madre di Balla diventa lavorante in casa per le sartorie, mentre il padre fa il cameriere, come si apprende dall’atto di nascita: “L’anno mil1


Giovanni Lista

leottocentosettantuno li ventuno luglio alle due pomeridiane in Torino, nel Palazzo Municipale, dinnanzi a me Cavaliere Avvocato PierDomenico Pichi, facente le veci di Segretario comunale ufficiale di stato civile per mandato in data … maggio milleottocentosessantasei, è comparso Giovanni Balla, di anni trentadue, cameriere, domiciliato in Torino, che dichiara essergli nato alle dodici meridiane del diciotto corrente luglio in questa città al Rubatto via Moncalieri, casa Passera, piano secondo, un figlio maschio da sua moglie Lucia Gianotti di anni venticinque, sarta, secolui convivente, alquale figlio impone nome Giacomo. Il dichiarante fu dispensato dal presentare il neonato per la distanza accertatomi con vista medica di sua nascita. Redatto questo atto presenti Domenico Ghigo, di anni quarantadue, mediatore da legna, e Alberto Lione, di anni settantatre, brentatore, residenti in Torino, testi idonei, e meco, previa lettura. Il dichiarante solo si sottoscrive essendo i testi entrambi analfabeti”. La promozione sociale della famiglia Balla arriva a una tappa significativa intorno al 1875, quando la madre Lucia Gianotti-Balla si mette in proprio, lavorando come sarta. La famiglia si trasferisce al di qua del fiume, installandosi in corso San Maurizio n. 19, in una palazzina di fronte ai giardini di Palazzo Reale che è scomparsa con la speculazione edilizia del secondo dopoguerra. Sono 2

quelli gli anni migliori per Balla fanciullo, anche se il matrimonio dei genitori entra allora in una crisi definitiva. La madre gli fa studiare musica e lo iscrive alla corale dei Padri dell’Oratorio della chiesa San Filippo Neri, in via Maria Vittoria. Questa monumentale chiesa barocca di Filippo Juvarra continua tutt’oggi a ospitare concerti vocali come quelli che videro la partecipazione di Balla adolescente. Le ambizioni che la madre ripone nell’educazione del figlio unico autorizzano a pensare che gli abbia fatto visitare la “Mostra Internazionale d’Elettricità”, una delle maggiori attrattive dell’Esposizione Nazionale di Torino, che viene inaugurata il 27 maggio 1884. Balla, che ha allora tredici anni, deve aver ricevuto un’impressione molto viva dallo sfarzo delle luminarie installate nei giardini e nei viali dell’esposizione alla quale partecipano le più grandi ditte internazionali, tra cui Siemens e Edison, ma anche il piemontese Alessandro Cruto, l’inventore della lampadina elettrica a incandescenza. La ditta inglese Compton & Comp. ha acceso un enorme “faro di 6000 candele” sospeso nel centro della grande galleria la quale “appare come una visione fantastica, l’occhio resta affascinato da centinaia di globi luminosi, di lampadari dalle mille fiammelle multicolori disseminati nel vasto ambiente”3. L’esposizione consacra la luce elettrica come metafora del progresso. La luce, come tema e come sensazione, sarà centrale nell’opera di Balla. Nel novembre 1886, Lucia Gianotti-Balla iscrive il figlio quindicenne all’Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino. Dagli archivi e dai registri risulta che il giovane Giacomo Balla ha regolarmente frequentato i tre anni detti di Corso Preparatorio. Nell’anno 1886-1887 ottiene la “Menzione onorevole” per il “Disegno di figura dalla stampa”. Nell’anno 1887-1888 riceve il “Primo Premio: Medaglia d’argento” per il “Disegno di figura da Frammenti dal gesso”. Nell’anno 1888-1889 ottiene la “Menzione onorevole” per il “Disegno di figura dalla Statua” e una “Menzione con assegno d’incoraggiamento” per il “Saggio fuori concorso”. Il disegno Il fauno, che è la sua prova d’esame e che viene acquistato dall’accademia per Lire Trenta, oggi non è più conservato. Balla non si presenta però agli esami della “Scuola di anatomia” ed essendo stato “pro-

Vaudone, Veduta del Borgo del Rubatto, fuori Torino, 1844, litografia su disegno di Francesco Chardon, Collezione Simeom, Archivio Storico della Città di Torino. Il borgo dove abitava la famiglia Balla Atto di nascita di Giacomo Balla, Torino, Archivio storico dello Stato Civile

Cfr. Paolo Meardi, L’elettricità e le sue applicazioni all’esposizione di Torino del 1884, Hoepli, Milano 1885. 3


Divisionismo e visione fotografica

Eduardo Matania, Illuminazione dei giardini dell’“Esposizione Internazionale di Elettricità”, Torino, 1884. Le decorazioni di luci della mostra che Giacomo Balla deve aver visitato con la madre all’età di dodici anni Chessa, L’illuminazione elettrica nel recinto dell’“Esposizione Internazionale di Elettricità”, Torino, 1884

mosso in Figura soltanto, non può passare ai Corsi superiori”. Le difficoltà in cui si trova il giovane studente, che probabilmente non ha potuto seguire tutti i corsi, sono chiarite dai registri d’iscrizione da cui risulta che da quello stesso anno 1888-1889, Balla lavora presso il litografo Pietro Cassina. Quest’ultimo, con negozio in piazza San Carlo n. 6, produce ritratti e immagini dei monumenti e delle bellezze torinesi per i turisti. Negli anni successivi, il giovane Balla appare ancora tra gli studenti che frequentano i corsi superiori, strutturati come scuola serale per gli studenti che hanno già un lavoro. Nell’anno 1889-1890 è iscritto al Corso di Ornato e di Plastica, nell’anno 1890-1891 frequenta il Corso di Ornato e di Plastica e il Corso di Nudo. Molto probabilmente è allora uno studente con statuto particolare che non prevede esami e diplomi. Ogni anno la domanda di iscrizione, che viene sempre presentata dalla madre, conferma l’indirizzo a Torino, in corso San Maurizio n. 19. Per quasi due anni, tra il 1888 e il 1889, Balla ha come insegnante Giacomo Grosso, il pittore che poco dopo provocherà uno scandalo inviando un quadro scabroso alla prima Biennale di Venezia. Ma più che all’eterodossia e all’avanguardia, Balla è stato educato all’esercizio professionale dell’arte, ha studiato la prospettiva, l’anatomia, la composizione geometrica. Come affermava il relatore professor Carlo Felice Biscarra, l’Accademia Albertina forniva un’educazione completa: “La scarsità della cultura generale, tollerata un giorno, non è più ammissibile. L’istruzione deve essere di pari passo sviluppata nella mente del giovane studioso coll’esercizio della pratica. A questo fine si è provvisto collo sta-

bilire obbligatorie le varie materie, che devono concorrere man mano a dirozzare l’intelligenza e preparare l’occhio e la mano per affrontare i problemi più ardui dell’arte. Né è più permessa nel periodo preparatorio la scelta isolata di un ramo speciale. Chi aspira a diventare artista nel senso più elevato della parola dovrà percorrere contemporaneamente tutto lo stadio che per varii sentieri gli appianerà la via a toccare la sospirata meta”. Constatare che il giovane Balla ha in realtà ricevuto una formazione accademica durata cinque anni, permette di vedere in modo diverso la sua opera. La straordinaria qualità tecnica di molti suoi dipinti, la studiata elaborazione degli schemi compositivi che crea in parecchie occasioni, perfino il suo riferirsi in modo implicito e segreto all’arte classica o alle figure della mitologia greco-romana, come vedremo più avanti, non erano conciliabili con l’idea che fosse stato un autodidatta. Nel 1891, quando cessa di frequentare l’Accademia Albertina, Balla cambia mestiere. Smette di lavorare nella litografia Cassina perché viene assunto dal fotografo e pittore Pietro Paolo Bertieri che ha appena aperto, lo stesso anno, il nuovo Studio Bertieri, in via Po n. 25. Nello studio lavora anche suo figlio Oreste che si è specializzato nei ritratti in platinotipia e al carbone. Il figlio più giovane, Pilade Bertieri4, si destinerà invece alla pittura, diventando un amico di Balla. Lo Studio Bertieri, che è allora il più rinomato d’Italia e celebre anche all’estero, è frequentato da attori di teatro, da artisti come Pellizza da Volpedo e da scrittori come Edmondo De Amicis, oltre che da tutta l’aristocrazia e l’alta borghesia torinese. Balla lavora fino alla fine del

4 Nel 1891 Pilade Bertieri aveva diciassette anni e Balla non ha potuto conoscerlo all’accademia, come è stato sempre detto. Essendo molto più giovane, Pilade si iscrisse all’accademia tre anni dopo, quando Balla aveva abbandonato da tempo gli studi.

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Analisi del movimento. Velocità meccanica

II, 20. Automobile + vetrine + luci (Automobile in corsa – velocità + luci), 1912-1913 Olio su tavola, 55,6 68,9 cm In basso a sinistra: “FUTU(R)BALLA 1912” New York, The Museum of Modern Art, acquisto del 1948 alla Quadriennale di Roma con il titolo Automobile in corsa (n. 5) (Lista, I, 307) II, 21. (Studio di automobile), 1912 Matita su carta, 11,5 14 cm In basso a sinistra: “BALLA” Foglio 5 del Taccuino n. 3 pubblicato in riproduzione anastatica da M. Fagiolo dell’Arco nel 1984 per Martano Editore, Torino. Sul retro, automobile di profilo con chauffeur Collezione privata (Lista, I, 210) II, 22. Velocità d’automobile, 1912-1913 (documentato in Archivi del futurismo, n. 126) Matita su carta intelata, 35 44,7 cm In basso a destra: “FUTUR BALLA” Collezione privata, courtesy Galleria Fonte d’Abisso, Milano (Lista, I, 324) L’insieme di queste quattro opere testimonia il primissimo approccio alla velocità meccanica come tema plastico che Balla attua tra la fine del 1912 e l’inizio del 1913. Si tratta di una fase sperimentale e allo stesso tempo fondatrice, in cui l’artista esplora i dati visivi studiandoli separatamente. Balla non osa confrontarsi direttamente con l’automobile in movimento poiché non domina ancora né l’accadere del fenomeno cinetico, né gli effetti e le ripercussioni che lo accompagnano nel campo della percezione e dell’evento sensoriale. Comincia quindi con lo studio separato delle singole componenti che contribuiscono alla sua complessità nell’intento di effettuare poi un vero e proprio montaggio dei dati visivi sulla tela. L’approccio è di tipo analitico e allo stesso tempo impressionista. Balla cerca di trascrivere i contenuti figurativi della percezione, dettagliandoli in modo empirico e senza nessuna volontà di sintesi. Li accosta con uno spirito positivista, cioè rivolto unicamente verso il concreto dell’esperienza sensibile, a esclusione di ogni componente psichica, soggettiva e di “stato d’animo”. Disegna prima (cat. II, 21) l’oggetto in quanto tale, cioè l’automobile senza il movimento, cogliendola in situazione statica e da due punti di vista, per

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studiarla come forma, massa, volume, materia. Balla appartiene alla generazione che ha visto nascere l’automobile, avverte quindi il bisogno di appropriarsi delle sue forme attraverso l’atto di conoscenza che è il disegno, esattamente come avviene nei corsi d’esercizio pratico nelle accademie di belle arti. Disegna poi il contesto, cioè la costellazione e lo sfarzo delle luci di una vetrina. Aveva già dipinto dei “notturni” perché era soggiogato dal carattere magico e fiabesco dello scintillare delle luci elettriche nel buio, probabilmente a causa di un’esperienza precoce, cioè la visita nel 1884, all’età di tredici anni, della “Mostra Internazionale d’Elettricità”, una delle maggiori attrattive dell’Esposizione Nazionale di Torino (cfr. il saggio di Giovanni Lista in catalogo). D’altra parte, il tema della vetrina dalle luci iridescenti era esplicitamene evocato nel Manifesto tecnico della Pittura futurista. Il disegno è del periodo tra dicembre 1912 e gennaio 1913. Balla ha scelto una scena particolare, cioè probabilmente un addobbo natalizio che si trovava in via Veneto, in un punto in cui la curva in discesa della strada crea un forte contrasto bipartito della luce ambientale durante il tramonto. Ha voluto inoltre osservarla dall’alto, in modo da poter punteggiare separatamente nello spazio le luci e i loro riflessi nei vetri, indicando con cura ogni colore sul foglio del taccuino. Per poter compiere l’osservazione, ha chiesto di entrare all’interno del complesso di Palazzo Margherita, allora residenza ufficiale della regina madre, vedova di re Umberto. Il nome che ha scritto alla rovescia sul foglio, decifrabile come Bedossi, si riferisce forse al medico di Casa Reale che si chiamava in realtà Adamo Besozzi. Quest’ultimo doveva conoscere suo zio Gaspare Melchiorre Balla che

aveva subito l’amputazione della mano destra a causa di un incidente di caccia con re Umberto. Balla è salito sul terrazzo del villino prospiciente via Veneto, fatto edificare tra il 1886 e il 1890 dal principe Rodolfo Boncompagni Ludovisi su progetto di Gaetano Koch. Da quel punto d’osservazione ha potuto vedere perfino il riflesso nella vetrina della lanterna del lampioncino stradale che appare in primo piano nel disegno. Nella fase successiva, ha disegnato il “disgregamento” dell’automobile (cat. II, 22) prodotto dal ripercuotersi dei riflessi luminosi sulla carrozzeria durante la corsa. Il disegno, privo di colore, concerne unicamente il momento di collisione tra i fasci luminosi e la forma compatta dell’automobile. Quest’ultima sembra disfarsi scompaginandosi come in un’esplosione. Con estrema precisione Balla disegna l’espandersi dei raggi di luce, l’effetto di sdoppiamento della sagoma dell’automobile e il moltiplicarsi della ruota anteriore che perde il contorno nel punto di contatto con la carreggiata, dove il riflesso crea un altro centro d’irradiazione luminosa. La parte posteriore dell’automobile è invece quasi intatta poiché non partecipa ancora all’evento cinetico: il disegno è un “fermo immagine” che coglie solo l’istante infinitesimale dell’impatto delle luci. Il dipinto realizzato su tavola associa tutti i dati precedentemente osservati durante la ricognizione visiva strutturandoli su un asse centrale e a partire da un alone di luce situato al centro in alto. Tutta la composizione è un mosaico pluridirezionale di schegge colorate di verde, rosso, viola, giallo con un trattamento a sfumature compenetrate. Le linee oblique e circolari creano una tessitura geometrizzante, densa e continua, ma priva di vettori d’orientazione dominante,

per cui l’immagine sembra metaforizzare gli effetti della riverberazione luminosa in una resa dei contrasti fusionali dell’energia che regolano la vita stessa della materia. La stesura ancora troppo impressionista dell’immagine, che ricorda molto la Lampada ad arco, deve aver suscitato qualche critica da parte di Boccioni. Balla accantona infatti il quadro, eseguito molto probabilmente tra Natale del 1912 e febbraio del 1913, e non lo espone insieme agli altri dipinti dedicati alla velocità meccanica nelle mostre del 1913 e 1914. Il dipinto verrà pubblicato per la prima volta sul giornale “Futurismo” (a. II, n. 32, Roma 16 aprile 1933), con la data 1913 e il titolo Automobile + vetrine + luci, che va pertanto considerato il primo titolo originale mentre il secondo viene dalla tradizione di Casa Balla. Come risulta dalla foto dell’epoca, nel 1933 il quadro non era ancora firmato né datato. Con il titolo Automobile in corsa, l’opera venne esposta alla Quadriennale romana del 1948, dove fu acquistata dal MoMA. A questo acquisto va probabilmente riferita una frase della lettera che Balla invia ad Alfred H. Barr il 23 novembre 1948 (cfr. il saggio di Giovanni Lista in catalogo). (G.L.)

Giacomo Balla, Studio per riflessi delle luci nella vetrina di “Automobile + vetrine + luci”, 1912, matita su carta, 8,5 13,2 cm, collezione privata (Lista, I, 308)


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II, 23. (Velocità di automobile + luci), 1913 Tempera su carta rossa, 65 70 cm (formato irregolare) In basso a sinistra: “FUTUR BALLA” Collezione privata (New York - Houston - San Francisco 1968-1969, p. 54) Generalmente considerato uno degli studi per il dipinto del MoMA Automobile + vetrine + luci (cat. II, 20) è invece un’opera di poco successiva nella quale Balla si sforza di superare i dati ancora naturalistici presenti nel quadro. Il colore viene completamente eliminato e sostituito da una tonalità di base data dal rosso della carta, e così anche gli elementi più riconoscibili della vettura, come le ruote a raggi. Rimane il diagramma astratto della luce di un faro riflessa nella vetrina e la successione dinamica, altrettanto astratta, dello spostamento dell’automobile, sintetizzata nelle linee verticali della cabina che si spostano da destra verso sinistra e nell’accavallarsi delle linee curve (i parafanghi o le ruote stesse) in basso. Queste prove di progressiva astrazione sono retrospettivamente descritte da Balla nel 1926: “Liberato dal fardello della esperienza, della celebrità, e di tutte le sue opere27, rinverginato con rinnovato ardore irradiante di Fede, molta intuizione, ottimismo, fresco come una rosa fresca: felice di sentirsi nuovo di bucato, incominciò in mezzo a un camerone vuoto bianchissimo a tracciare sopra fogli di carta le linee di auto in corsa, oggettive prima, sintetiche in seguito (linea sintetica di velocità) basi fondamentali e formidabili delle personalissime forme-pensiero: creazioni sue inconfutabili”28. Ed è proprio nel mese di aprile del 1913 che, come ricorda Nicola Pascazio, l’artista è maggiormente impegnato nell’elaborare “un quadro rappresentante via Nazionale nell’esuberanza e grandezza del tumulto veicolare”29. Si tratta della serie sul movimento e le luci riflesse30 che poi culminerà, alla fine dell’anno, nel capolavoro Plasticità rumori + velocità (1913-1914) esposto a Roma nel febbraio 1914 e oggi conservato al Kunsthaus di Zurigo (vedi saggi di Giovanni Lista e di Paolo Baldacci in catalogo). (E. G.) Si riferisce ovviamente alla famosa asta dell’aprile 1913 quando Balla mise in vendita tutti i suoi capolavori figurativi at27

taccando uno striscione sopra la galleria con la scritta, tra due croci nere: “Balla è morto. Qui si vendono all’asta le sue opere” (Fu Balla, Negozi d’Arte Giosi, via del Babuino 150, Roma 14-16 aprile 1913). 28 G. Balla, Demolizione della casa di Balla in M. Fagiolo dell’Arco, Balla: le “compenetrazioni iridescenti”, Bulzoni editore, Roma 1968, p. 33. 29 N. Pascazio, La pittura futurista, in “Humanitas”, n. 16, 20 aprile 1913. 30 Le prime prove della nuova serie sono strettamente collegate agli studi derivati da Automobile + velocità + luci.

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II, 24. Dinamismo d’automobile, 1913 Vernice su carta, 49 77 cm Sul retro: “Dinamismo d’automobile – Balla” Svizzera, collezione privata (Lista, I, 297) II, 25. Studio per dinamismo d’automobile, 1913 Matita su carta, 48 61 cm In basso a sinistra: “FUTUR BALLA” con il timbro “Pugno di Boccioni” Per il titolo Casa Balla, n. 32: “Studio per dinamismo d’automobile” 1913 Collezione Natalie e Lêon Seroussi (Lista, I, 319) Un secondo tema affrontato da Balla nella primavera del 1913 è quello del disgregamento dei corpi prodotto dal movimento (e dalla luce), assioma proclamato dal Manifesto tecnico della pittura futurista e che egli accompagna all’osservazione di un eguale e contrario condensarsi in quasi tangibile materialità di elementi impalpabili come la luce e il rumore. Dimostrare che il movimento e la luce distruggono la materialità dei corpi era un imperativo futurista, e Balla, da solerte adepto, vi si impegna a fondo, percorrendo anche in questo caso una strada che da un parziale residuato di naturalismo lo porta a una sintesi completamente astratta. Come già notò Maurizio Fagiolo dell’Arco, “nei quadri di velocità, le automobili procedono sempre da destra verso sinistra e gli spessori dell’atmosfera si ingrandiscono nella stessa direzione (in forme circolari o diagonali). Fedele a una osservazione scientifica, Balla sa bene che lo sguardo dello spettatore entra nel quadro da sinistra verso destra. In tal modo l’impatto tra la cosa rappresentata e l’occhio di chi lo guarda risulta più dinamico”: una specie di accelerazione impressa dalla sommatoria dell’istintivo movimento “di lettura” dell’occhio (da sinistra a destra) e del movimento raffigurato dall’artista (da destra a sinistra). In una prima fase della ricerca, Balla adotta uno schema che potremmo chiamare “a proiettile”, nel quale l’auto in corsa è raffigurata spezzata in vari “fotogrammi” ideali, con il tettuccio e la cabina chiaramente visibili nel loro scalare prospettico e inseriti in una composizione angolare a cuneo con la punta rivolta a sinistra. La composizione, in questa fase, non invade l’intera superficie del quadro, ma è interamente racchiusa in una forma a cuneo che poggia la propria punta su una sottile barriera che sembra resisterle e piegarsi sotto la sua spinta (evidente influsso delle immagi-

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ni fotografiche delle onde d’urto dei proiettili nell’aria realizzate da Ernst Mach nel 1885-1886, vedi saggio di Paolo Baldacci in catalogo). Subito dopo, abbandonato lo schema “a proiettile”, Balla sintetizza invece il dinamismo in uno schema geometrico obliquo di angoli e triangoli acuti, che alla fine diventa una griglia puramente astratta. La vernice su carta e il disegno qui presentati illustrano perfettamente questa fase di maggiore astrazione e ci permettono di cogliere il passaggio da una rappresentazione ancora descrittiva delle ruote e del loro movimento (nell’opera più grande) a una sintesi grafica del movimento rotatorio (visibile nel disegno) precorritrice di quella forma lineare che nel 1914 verrà chiamata “linea di velocità astratta”. (E.G.)


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II, 26. Espansione x velocità (Velocità d’automobile), 1913-1914 Olio su cartone, 60 98 cm Firmato e datato in basso a sinistra: “Balla 1913” Il titolo originale è documentato nella mostra di Roma 1914, n. 7 Milano, Civiche Raccolte d’Arte, Collezione Grassi (Lista, I, 321) Il quadro fa parte di una delle serie che l’artista ha dedicato alle velocità dei corpi meccanici all’interno del tessuto urbano e fu esposto nelle prime mostre futuriste del 1914 a Roma e a Londra, e infine a San Francisco nel 1915 col titolo Espansione x velocità (Dynamic Expansion – Speed) (per la corretta identificazione cfr. il saggio di Paolo Baldacci in catalogo). Balla utilizza una stesura rarefatta per dare una libertà totale all’immagine e mettere in evidenza il suo carattere effimero, che si imprime nello sguardo solo per un istante. Lascia così ampiamente scoperto il supporto, facendone apparire la testura e il colore che interagiscono con il contenuto grafico dell’immagine. Si riconosce il profilo dell’automobile, che non è una macchina da corsa ma una normale vettura cittadina, dai volumi non aerodinamici, come indicano l’abitacolo squadrato e la testa del guidatore sormontato dal tipico berretto da autista. La strutturazione geometrica della composizione è articolata tramite tre fasci di linee. Le oblique che si restringono in basso danno il senso di direzione. Sono coperte in parte dal turbinio atmosferico che, scaturendo dalle ruote, si apre e si dissolve con un ritmo sciolto. L’effetto di volumi piramidali in primo piano traduce in realtà l’impressione di movimento dei volumi urbani che si inclinano come risucchiati dal passaggio del corpo meccanico che attraversa velocemente lo spazio della strada. Le linee prospettiche hanno origine da un punto che corrisponde col volante stesso dell’automobile, il quale costituisce così plasticamente il centro di irradiazione delle forme di tutta la composizione dinamica. Con grande precisione, Balla ha reso l’istante in cui l’occhio, dopo aver confusamente cercato di afferrare l’oggetto in movimento, arriva a percepirlo e a riconoscerlo. Questa dinamica della percezione, che si conclude con un flash ottico, è strutturata dalla convergenza delle diagonali nel punto di fuga che si trova all’estrema sinistra del quadro, ed è intensificata dallo scalare graduale del profilo superiore della vettura. I contenuti iconici dell’im-

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magine acquisiscono infatti progressivamente una densità e una corporeità che culminano nel punto di fuga prospettico. Facendo coincidere quest’ultimo con il volante di guida, Balla ha voluto provocare un effetto d’empatia, portando lo spettatore a identificarsi con l’uomo che conduce l’automobile. La sensazione della velocità è prodotta anche con tocchi biancastri che scavano lo spazio e danno un rilievo plastico alle forme, ma facendole sembrare vuote e trasparenti, rese immateriali dalla forza dell’evento cinetico. Il quadro fu acquistato direttamente dall’artista da Carlo Grassi nel giugno 1948. Il collezionista venne introdotto in Casa Balla dalla signora Matizia Maroni, come ricorda Elica Balla (Balla 1984-1986, III, p. 279). Poi donato nel 1958 con la Collezione Grassi alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Milano. (G.L.)


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II, 27. Studio di automobile in corsa, 1913 Matita su cartoncino, 24 38 cm In basso a sinistra: “FUTUR BALLA”; sul retro: due timbri: “Pugno di Boccioni” (per il titolo Casa Balla, n. 19a: Studio di automobile in corsa) Collezione privata, courtesy Galleria Fonte d’Abisso, Milano (Lista, I, 304) II, 28. Dinamismo + dispersione (Automobile in corsa), 1913-1914 Olio e tecnica mista su carta applicata su cartone, 73 104 cm In basso a sinistra: “FUTUR BALLA”, sul retro: “AUTOMOBILE IN CORSA – FUTUR BALLA”; il primo titolo è documentato in Napoli 1914, n. 6 Collezione privata (Lista, I, 316) Un ulteriore soggetto di indagine esplorato da Balla nel 1913 riguarda il disgregamento dell’automobile in corsa integrato nei volumi del paesaggio urbano. Troviamo infatti in queste opere un elemento nuovo che si inserisce nello schema ormai collaudato del disgregamento della forma dell’automobile: una forma geometrica piramidale che si sovrappone in successione rapida e quasi in trasparenza alla sagoma del veicolo e del suo guidatore. Si tratta di una resa schematica e astrattamente sintetica dei volumi degli edifici: una specie di paesaggio urbano defor-

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mato dalla velocità e molto meno naturalistico di quelli coevi di Boccioni, Severini o Carrà. Questo schema compositivo compare per la prima volta nel dipinto n. 3 di catalogo della mostra di Lacerba a Firenze nel novembre 1913, intitolato Profondità dinamiche (vedi saggio di Paolo Baldacci in catalogo), oggi collezione Mattioli, di cui il disegno qui esposto (cat. II, 27) si può considerare uno degli studi più precisi. Nella successiva mostra di Roma (febbraio 1914) Balla sostituì quest’opera con una molto simile, ma più grande e di maggior respiro compositivo, intitolata Espansione x velocità (cat. II, 26), che fu poi inviata anche a Londra e a San Francisco. Il dipinto, oggi nelle collezioni del CIMAC di Milano, è uno dei più alti risultati di Balla su questo tema. La terza opera di questa serie che viene qui presentata (cat. II, 28) fu eseguita da Balla, al più tardi all’inizio del 1914, per essere inviata alla mostra di Napoli (maggio 1914) con il titolo Dinamismo + dispersione (per l’identificazione vedi saggio di Paolo Baldacci in catalogo), in sostituzione della precedente che era stata inviata a Londra. Nei diagrammi curvilinei del moto rotatorio Balla è ormai vicinissimo alla linea di velocità astratta, di cui stava sperimentando i primi esiti proprio in quei mesi, mentre, rispetto al dipinto milanese del CIMAC, questo presenta una maggiore sonorità metallica e meccanica dovuta al monocromo bianco, grigio e nero. (E. G.)


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II, 29. Plasticità luci x velocità, 1913 Tempera e carboncino su cartone scuro intelato, 67 98,5 cm In basso a sinistra: “FUTUR BALLA“ Stoccarda, Staatsgalerie (Lista, I, 329) Il numero 1 della mostra di Firenze del novembre 1913 era un dipinto intitolato Plasticità luci x velocità, illustrato nel catalogo e riprodotto poi anche nel libro di Boccioni Pittura Scultura futuriste (Milano, 1914), quasi uguale a quello della Staatsgalerie di Stoccarda qui esposto, tanto che le due opere sono state spesso confuse o ritenute la stessa in molte pubblicazioni. Sappiamo tuttavia da una recensione dell’epoca31 che il quadro esposto a Firenze, oggi disperso, aveva tonalità di base giallastre, mentre questo è dipinto in toni metallici nero azzurri. Non è da escludersi che Balla sia intervenuto sul medesimo dipinto modificandone solo il tono di colore e minimi particolari (non si tratterebbe quindi di due quadri successivi

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ma di uno solo parzialmente modificato), oppure si deve fare l’ipotesi che, inviato a Londra e a San Francisco il dipinto esposto a Firenze, Balla ne abbia fatto una seconda versione di uguale misura in toni metallici (vedi saggio di Paolo Baldacci in catalogo)32. Quest’opera, uno dei massimi capolavori dell’astrattismo naturalistico di Balla, rappresenta la fase logicamente, anche se non cronologicamente, conclusiva di tutta la sua ricerca. La composizione è priva di ogni riferimento naturalistico e raffigura “una successione dinamica di piani luminosi resi in forme triangolari sfumate e sfaccettate che attraversano diagonalmente il quadro contrastando con linee curve che scendono dall’alto verso il basso a intervalli progressivamente maggiori da destra verso sinistra (diagramma visivo dello spazio che si incurva sotto la pressione del corpo lanciato in velocità)” (Baldacci). Per le varie fasi di studio e i diversi bozzetti del quadro si veda il saggio di Paolo Baldacci in catalogo. (E.G.)

Si veda Roma 1971-1972, p. 49. Tali ipotesi potrebbero essere verificate, togliendo forse ogni dubbio, mediante una riflettografia ai raggi infrarossi da effettuarsi presso il museo che detiene l’opera.

31 32


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II, 30. Espansione dinamica x velocità, 1913 circa Vernice su carta intelata, 65,5 108,5 cm In basso a sinistra, in stampatello: ”FuturBalla”; sul retro, reintelato dopo il 1972: “Espansione dinamica e velocità“ Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, dono di Luce e Elica Balla, 1984 (Lista, I, 294) Un dipinto con titolo simile, Espansione per velocità, compare per la prima volta alla Galleria Sprovieri nel febbraio del 1914 (cat. n. 7). Le prime “velocità d’automobile” esposte alla “Esposizione Futurista di ‘Lacerba’” nel novembre del 1913 a Firenze, in misura ridotta, e che aumentano notevolmente nella successiva “Pittura Futurista: Balla, Boccioni, Carrà, Russolo, Severini, Soffici”, tenuta nella primavera del 1914 alla Galleria Sprovieri di Roma, sono opere dove sono inseriti anche nuovi termini di ricerca, come “sera”, “spessori d’atmosfera”, “dinasmismo d’elica” molteplici con “+ stato d’animo”, in

conformità con i dettami di Boccioni. Tra queste appare per la prima volta al n. 5 Velocità astratta (riprodotta in Boccioni1914) di cui questo dipinto, come quello leggermente più grande dal titolo Velocità astratta, 1913, ex collezione Campilli, anch’esso in mostra (cat. II, 31) possono essere delle varianti difficilmente individuabili all’epoca, dato che non restano se non rare documentazioni fotografiche delle opere esposte. Infatti solo su di un riscontro filologico dei titoli si è potuto ricostruire la nascita e l’excursus delle opere di questo periodo (cfr. L. Velani, Regesti, in Roma 1971-1972), e recentemente dal ritrovamento degli elenchi doganali con prezzi e misure delle opere esposte alla “Panama Pacific International Exposition” (PPIE) al Palace of Fine Arts di San Francisco, nel dicembre 1915 (cfr. Baldacci 2007 e il saggio di Paolo Baldacci in catalogo). (L.V.)

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II, 31. Velocità astratta, 1913 Olio su tela, 78 108 cm In basso a sinistra: “FUTUR BALLA”; sul retro: VELOCITÀ ASTRATTA G. BALLA 1913 Collezione privata (Lista, I, 298) I due dipinti cat. II, 30 e cat. II, 31 sviluppano un tema che Balla, pienamente cosciente del suo percorso, decise verso la fine del 1913 di intitolare Velocità astratta, usando un aggettivo che fino a quel momento non aveva ancora adoperato. La fase conclusiva della serie trovò piena espressione nel grande dipinto Velocità astratta di oltre due metri per tre esposto nella mostra di Roma nel febbraio del 1914 e oggi nella Pinacoteca Agnelli di Torino (Lista, I, 293). Un quadro di quella mole e di quell’impegno presuppone un lungo studio, che è infatti documentato nelle sue varie fasi (si veda il saggio di Paolo Baldacci in catalogo). Lo stesso schema compositivo del dipinto finale si ritrova con alcune varianti, nei due studi maggiori che ci sono rimasti e che sono esposti in questa mostra: la vernice su

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carta Espansione dinamica e velocità della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma (cat. II, 30) e l’olio su tela Velocità astratta già collezione Campilli (cat. II, 31). Si tratta di uno schema molto simile a quello di Plasticità luci x velocità, con la sola differenza che i piani luminosi triangolari, che attraversano diagonalmente il quadro di Stoccarda, sono qui sostituiti da una serie di diagrammi astratti sintetizzanti il vorticoso moto rotatorio dei pneumatici in velocità. Mentre nel dipinto della GNAM, dove già si vedono le grandi curve di spazio che da destra in basso si aprono verso l’alto a sinistra, la sagoma della vettura e l’abitacolo con il guidatore sono ancora ben percepibili nella più alta delle due fasce orizzontali che dividono il quadro, nella successiva Velocità astratta tutto diventa un diagramma grafico e plastico senza più alcun aggancio naturalistico: “il moto circolare, i segmenti luminosi obliqui, le traiettorie di luce, i volumi di spazio forzati dal movimento e le scansioni della cabina. Nulla più si riconosce ma tutto si intuisce e trasmette uno straordinario senso di energia dinamica” (saggio di Paolo Baldacci in catalogo). (E.G.)


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II, 32. Studio di motocicletta in corsa (Velocità di motocicletta), 1913 Vernice su carta intelata, 68 97 cm In basso a sinistra: “FUTUR BALLA” Per il titolo: Casa Balla, n. 189: Studio di motocicletta in corsa Lugano, collezione privata (Lista, I, 327) II, 33. Motocicletta in corsa, 1913 Matita su carta, 18,5 27 cm In basso a sinistra: “FUTUR BALLA” Per il titolo Casa Balla, n. 410: Motocicletta in corsa, 1913 Collezione Spallanzani, courtesy Galleria Fonte d’Abisso, Milano (Lista, I, 326) II, 34. Forme rumore di motocicletta, 1913-1914 Olio su carta intelata, 73 101 cm In basso a destra: “BALLA 1913”; sul retro: “FORME RUMORE DI MOTOCICLETTA BALLA 1913” Collezione privata (Lista, I, 325) Parallelamente allo studio della velocità d’automobile, Balla sviluppa anche un secondo tema legato al movimento meccanico, quello della velocità di motocicletta, mentre non è assolutamente attratto, come lo era invece Boccioni, dallo sviluppo potenziato del dinamismo muscolare umano che si stabilisce nell’interazione tra l’essere organico e il mezzo meccanico, cioè nell’attività del ciclista. Nell’importante disegno a matita blu Motocicletta in corsa (cat. II, 32) Balla traccia i diagrammi di penetrazione dinamica dell’atmosfera da parte di un corpo solido, più

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raccolto e teso di quanto non sia quello dell’automobile in corsa, e li trasferisce poi in una vernice su carta (cat. II, 33) nella quale si definiscono con precisione le forme del movimento rotatorio spiralico sormontate dal tracciato orizzontale del guidatore, divenuto quasi cilindrico, che perforano lo spazio e la luce. La terza opera, Forme rumore di motocicletta, ha origine invece da un’esperienza personale e anticipa diversi aspetti delle future ricerche nel campo delle sensazioni ed energie. Racconta Elica Balla: “Verso l’autunno del 1913 tra i giovani d’avanguardia che vanno a discutere delle nuove idee allo studio di Balla, c’è anche un giovane aristocratico il quale si diletta di sport, possiede una motocicletta e un giorno si presenta dal modernissimo Maestro Balla per portarlo a fare un giro nel sidecar della sua moto: la cosa è emozionante. […] È stata una cosa magnifica: il pittore ne farà un quadro futurista, il soggetto è modernissimo, la sensazione è nuova. È nato così il quadro intitolato Forme rumore + motocicletta (sic): colori metallici argentei in forme puntute dentellate che danno la sensazione del rumore scoppiettante della moto, su sfondi verdeggianti, sensazioni di colori dei campi verdi dopo le prime piogge d’autunno”33. Niente meglio di questa descrizione permette di comprendere l’importanza e la novità di quest’opera, che si stacca decisamente da quanto Balla aveva fatto fino a quel momento, collegandosi alle sue più recenti ricerche sull’oggettivazione plastica delle forme-rumore. (E. G.) 33

E. Balla, Con Balla... cit., vol. I, p. 312.


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Sidecar prodotto in Inghilterra, 1914

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II, 35. Ritmo + velocità, 1913-1914 Pastello su carta, 28 42,8 cm In basso a sinistra, in arancio, a pennello (acquarello): “Balla ritmo + velocità”; sul retro scritto a mano: “Ritmo+velocità” Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, dono di Luce e Elica Balla, 1984 (Lista, I, 334) Questo pastello, dove definitivamente torna il colore, dal precedente monocromo delle “velocità d’automobile”, conferma il passaggio alla nuova fase dell’artista, che crea sottili effetti di profondità nell’etere, inserendo gli elementi del paesaggio in una nuova sintonia di ritmo e velocità. La trascrizione in campo visivo di elementi sensoriali si pone in parallelo con l’Arte dei Rumori del 1913 di Luigi Russolo, ma anche con evoluzioni che aprono alle nuove sintesi di paesaggio, come Velocità astratta – L’auto è passata, 1913 della Tate Gallery di Londra (cat. II, 37) in cui le onde, come pacificate dal colore, preludono a un concetto al di fuori del meccanico. Sembra di riscontrare nelle forme sinusoidali del pastello Ritmo + velocità lo stesso schema compositivo delle linee andamentali di paesaggio in verde dell’opera suddetta. Il quadro della Tate Gallery faceva parte di un trittico34, insieme con Velocità astratta + rumore35 e con Velocità + paesaggio (Lista, I, 312), due opere entrambe contraddistinte dal segno a zigzag del rumore, dai toni forti e contrastati del rosso e dalle cornici tutte uguali, dipinte dall’artista. La composizione e i colori del pastello Ritmo + velocità, con i suoi toni azzurri, arancio e verdi, avvicinano l’opera al “trittico delle velocità”, di cui è sicuramente uno studio, e annunciano le successive evoluzioni delle “forze di paesaggio”. A questo tipo di composizione, con lo stesso profilo che astrae il paesaggio, si avvicinano altri bozzetti, studi e varianti sul tema (vedi Archivi del futurismo, II, nn. 55, 125, 127, 127, 128). (L.V.) M. Fagiolo dell’Arco, Balla: le “compenetrazioni”..., vol. I, pp. 27 e 48. 35 Il dipinto oggi alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia, che Balla regalò a Theo Van Doesburg in visita a Roma nel suo studio. 34

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Giacomo Balla, Velocità astratta + rumore, 1913-1914, olio su tavola, 54,5 76,5 cm, Venezia, collezione Peggy Guggenheim


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II, 36 II, 36. Linea di velocità astratta, 1914 Olio su tavola, 16,7 32,8 cm In basso a sinistra: “FUTUR BALLA”; sul retro: “LINEA DI VELOCITÀ ASTRATTA - BALLA”. Cornice eseguita dall’artista Lugano, collezione privata (Milano 1989a, n. 38) II, 37. Velocità terrestre (Velocità astratta L’auto è passata n. 3 ), 1913-1914 Olio su tela, 50,2 64,5 cm In basso a sinistra: “BALLA”; sul retro: “N. 3 VELOCITÀ ASTRATTA 1913 BALLA L’AUTO È PASSATA” Il primo titolo è documentato in “Futurismo”, a. II, n. 32, Roma 16 aprile 1933, dove l’opera è riprodotta capovolta; il quadro aveva in origine una cornice dipinta da Balla Londra, Tate Gallery, Friends of the Tate Gallery, 1970 (Lista, I, 314) II, 38. Ritmo + rumore + velocità d’automobile, 1914 Olio e vernice su cartoncino intelato, 64,5 72,5 cm In basso al centro: “FUTUR BALLA RITMO + RUMORE + VELOCITÀ D’AUTOMOBILE” Collezione privata (Lista, I, 323)

Tra la fine del 1913 e l’inizio del 1914, in previsione delle mostre di Roma, di Londra e di Napoli, Balla non solo porta a termine, traendone frutti copiosi, le ricche premesse dell’intensa attività di osservazione e di ricerca svolta nell’anno precedente, ma imposta anche sviluppi del tutto nuovi in una prospettiva di maggiore sinteticità e più coerente astrazione. Nel pastello (cat. II, 35) Ritmo + velocità, probabilmente realizzato all’inizio del 1914 per essere inviato alla mostra di Londra, e in un piccolo olio sempre rimasto in studio (cat. II, 36), compaiono per la prima volta questi elementi nuovi: una forma sintetica e plastica di paesaggio astratto, penetrato da una forma bianca che si presenta come un piano autostradale visto in prospettiva; una linea curva che parte da destra, sale verso l’alto e poi scende verso sinistra per poi ripiegare nuovamente verso il suo punto di partenza, talvolta tracciando la spirale quasi di un vortice (la linea di velocità astratta); tracciati bianchi spigolosi e puntuti che si intersecano formando talvolta delle croci uncinate e che sono la sua ultima versione plastica della sensazione di rumore (forma-rumore), e infine gli spessori di atmosfera, azzurri e sfumati verso il bianco. Riferibile allo stesso periodo è il dipinto, oggi della Tate Gallery, anticamente intitolato Velocità terrestre (cat. II, 37), che costituiva la terza parte di un ideale trittico destinato a rappresentare i

tre momenti salienti del passaggio di un’automobile nella campagna: la prima percezione della velocità, indicata dalla linea astratta infuocata rosso arancione, che interseca le forme di paesaggio e di atmosfera (titolo del dipinto: Velocità astratta + paesaggio, Lista, I, 312); la percezione immediatamente successiva del rumore (Velocità astratta + rumore / Rumorautomobile + paesaggio, Lista, II, 1085), e infine (in questo dipinto) la traccia puramente aerea e sensoriale dell’auto che è passata. Come uno studio assai impressionante del secondo quadro del trittico, il capolavoro oggi alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia, si presenta la vernice su carta quasi monocroma Ritmo + rumore + velocità d’automobile (cat. II, 38), dove la linea della velocità, scattante nel nero che si viene a combinare con gli angoli acuti del rumore (in giallo), è attraversata dalla linea a zig-zag del ritmo in un complesso arabesco dinamico. Sicuramente, in questi suoi sviluppi, Balla aveva tenuto conto, molto di più di quanto non ne tenne l’autore stesso, di quanto era scritto nel manifesto di Carlo Carrà La pittura dei suoni, rumori e odori, apparso a Milano l’11 agosto del 1913: “La pittura dei suoni, dei rumori e degli odori nega: I grigi, i bruni, e tutti i colori fangosi. L’uso dell’orizzontale pura, della verticale pura e di tutte le linee morte. […] La pittura dei suoni, dei rumori e degli odori vuole: l’urto di tutti gli angoli acuti,

che già chiamammo gli angoli della volontà; la linea a zig-zag e la linea ondulata; le linee, i volumi e le luci considerati come trascendentalismo plastico, cioè secondo il loro caratteristico grado d’incurvazione o di obliquità, determinato dallo stato d’animo del pittore”36. (E.G.) C.D. Carrà, La pittura dei suoni, rumori e odori: manifesto futurista, Milano, 11 agosto 1913. 36

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II, 39. Forma rumore, 1913-1914 Vernice su carta dorata, 34,5 37 cm In basso a sinistra: “BALLA” Per il titolo Casa Balla, n. 210: Forma rumore Collezione privata (Lista, I, 343) Si tratta di un importante studio per le oggettivazioni plastiche della sensazione di rumore, derivato da un disegno del Taccuino n. 3, foglio 48. Come in Forme rumore di motocicletta la sensazione del rumore è qui rappresentata come un’esplosione di solidi a punta di diamante. Altre volte, come si è visto, aveva preso la forma di cartoni piegati o di segni spigolosi incrociati sparsi per l’atmosfera. (E.G.) II, 40. Linea di velocità + paesaggio, 1915 circa Collage di carte colorate, 35 28,5 cm In basso a sinistra: “FUTUR BALLA”; sul retro: “LINEA DI VELOCITÀ + PAESAGGIO BALLA”, con il timbro “Pugno di Boccioni” Collezione privata (Lista, I, 501) Durante gli anni della prima guerra mondiale (1915-1918), Balla sperimenta la tecnica per lui nuova del collage. Un tecnica che “si presta a creare immagini di tono assolutamente astratto con decise forme àplat: si tratta di forme analoghe a quelle che troviamo realizzate in pittura negli stessi anni. Si potrà anche pensare (ringrazio per il suggerimento Paolo Sprovieri) a una carenza dei materiali pittorici – olio, tela – date le difficoltà belliche”37. Nell’esemplare qui presentato le carte stagnole compongono la forma di una solida linea di velocità che si staglia su una prospettiva pianeggiante di paesaggio con un punto di fuga a destra verso l’alto. Uno schema che anticipa quello delle composizioni del 1918 intitolate Colpo di fucile. (E.G.)

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II, 41 M. Fagiolo dell’Arco, Una tecnica sperimentale: il collage, in Futur natura: la svolta di Balla 1916-1920, catalogo della mostra, a cura di M. Fagiolo dell’Arco con la collaborazione di E. Gigli, Milano, 19 novembre 1998 - 20 febbraio 1999, Mazzotta, Milano 1998, p. 24. Nel più recente catalogo Balla a sorpresa: astrattismo dal vero, decor pittura, “realtà nuda e sana” 19191929 (a cura di M. Fagiolo dell’Arco con la collaborazione di E. Gigli, Galleria Fonte d’Abisso, Milano 14 novembre 2000 - 30 gennaio 2001, Mazzotta, Milano 2000, p. 11) Fagiolo ocnclude: “[...] è stato giustamente proposto come unico punto di riferimento il lavoro di alcuni artisti russi come Olga Rozanova, che espone nel 1914 nella galleria di Giuseppe Sprovieri. La notazione storica è di Giovanni Lista”.

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II, 41. Linea di velocità + forme e rumore, 1913-1914 Olio su tela, 30 47,5 cm In basso a sinistra: “FUTUR BALLA” Courtesy Byblos Art Gallery (Casa Balla, n. 19; Edimburo-LondraOxford 1987, p. 93) In questo dipinto a olio di piccole dimensioni, sempre rimasto in casa, Balla chiude in una sintesi mirabile i tre temi iconografici dei volumi di spazio o spessori d’aria, della linea di velocità e della forma-rumore, rispettivamente riconoscibili nelle gradazioni dei blu, nell’arabesco rosso e nella saettante spigolosità dei gialli. (E.G.)

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II, 42. Studi di ruote in movimento e velocità (Linea di movimento + spazio e sintesi di moto elicoidale), 1913 Matita su carta, 24 40 cm (irregolare) Il primo titolo è documentato in Casa Balla, n. 402: Due studi di ruote in movimento e velocità Collezione privata, courtesy Galleria Fonte d’Abisso, Milano (Lista, I, 236) II, 43. Linea di velocità astratta, 1914 Tempera su carta nera, 18 24 cm In basso al centro: “BALLA 1914”; sul retro: “LINEA DI VELOCITÀ ASTRATTA BALLA 1914“ Collezione privata, courtesy Galleria Fonte d’Abisso, Milano (Lista, I, 363) II, 44. Velocità astratta, 1914 Matita su carta, 42,2 62,9 cm Al centro: “VELOCITÀ ASTRATTA”; a destra: “FUTUR BALLA” e il timbro “Pugno di Boccioni” Lugano, collezione privata (Lista, I, 365) II, 45. Linea di velocità + spazio, 1913-1914 Carboncino su carta, 63 69,5 cm In basso a sinistra: “FUTUR BALLA” e il timbro “Pugno di Boccioni” Per il titolo Casa Balla, n. 53a: Linea di velocità+spazio Collezione privata, courtesy Claudia Gian Ferrari (Edimburgo-Londra-Oxford 1987, p. 37) II, 46. Linea di velocità astratta, 1914 Tempera e acquarello su carta, 55,5 66 cm (con cornice dipinta dall’artista) In basso a sinistra: “FUTUR BALLA”; sul retro, ad acquarello: “LINEA DI VELOCITÀ ASTRATTA“ Svizzera, collezione privata, courtesy Sperone-Westwater, New York (Lista, I, 373) II, 47. Linea di velocità, 1913-1914 Tempera su carta, 67 85 cm In basso a sinistra timbro e a pennello in viola: “FuturBalla Linea di velocità” Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, dono di Luce e Elica Balla, 1984 (Lista, I, 335) II, 48. Vortice, 1914 Matita su carta, 29 45 cm In basso a sinistra: “FUTUR BALLA”

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e il timbro “Pugno di Boccioni” Per il titolo Casa Balla, n. 29: Vortice, 1913 Lugano, Collezione privata (Fagiolo 1992, p. 110) II, 49. Velocità astratta, 1914 Pastello su carta, 31,5 42,5 cm In basso a sinistra: “VELOCITÀ ASTRATTA BALLA 1914” e il timbro “Pugno di Boccioni” Collezione privata, courtesy Galleria dello Scudo, Verona (Lista, I, 364) Questo gruppo di disegni e di studi eseguiti con varie tecniche, tutti riferibili alla fine del 1913 e alla prima metà del 1914, documenta in modo esauriente il lavoro di Balla nel momento in cui evolve dalla linea di velocità astratta alla forma del vortice. La linea di velocità aveva preso forma attraverso le successive schematizzazioni del movimento rotatorio nelle parti inferiori dei dipinti di velocità d’automobile. È una genesi, questa, che appare chiara soprattutto se si osservano i vari studi presenti nei taccuini. Il primo foglio, in genere chiamato Linea di movimento + spazio di moto elicoidale (cat. II, 42), è ancora legato alla scomposizione sintetica del movimento interferente con le dimensioni di spazio (in alto sulla destra troviamo una sintesi grafica del moto elicoidale)38. Seguono poi vari esperimenti di linee di velocità astratte, con o senza elementi di paesaggio. La linea di velocità è in realtà una raffigurazione dell’automobile in corsa che si staglia contro lo sfondo del paesaggio, spesso solo indicato da una linea di orizzonte. L’auto in corsa genera delle linee di penetrazione negli spessori del cielo, e la vera e propria linea di velocità è quella forma, in genere rossa nelle opere a colori, altrimenti nera o bruna, che attraversa, scattando come una molla, tutta l’opera. Essa viene sempre coniugata ad altri elementi, come embrionali forze di paesaggio, spessori di atmosfera, forme rumore o volumi di spazio. Verso la fine di queste sperimentazioni, la linea di velocità genera il vortice e con esso quasi si confonde (cat. II, 46, 47, 48, 49) trasportando l’indagine dalla mera osservazione di un fenomeno meccanico a una dimensione più ampia che si estende ai misteri della natura, del cielo e dell’energia vitale. Dal centro del foglio, come quando un bambino butta il sasso nell’acqua, vorticosamente parte la linea del carboncino o del pastello nella costruzione del vortice che arriva a scavalcare il perimetro del foglio (l’ami-

co Umberto Boccioni aveva scritto: “Il quadro non basterà più”). Si apre, nel 1914, un nuovo capitolo nel quale Balla, dilettante astronomo, volge il suo sguardo al cielo e ai movimenti celesti. (E.G.) 38 L. Marcucci in Giacomo Balla. Opere dal 1912 al 1930, Tipologie d’astrazione, catalogo della mostra, Modena, Galleria Fonte d’Abisso, 15 marzo – 15 maggio 1980, n. 1, p. 25.


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