GP Magazine gennaio 2018

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penna e un microfono non sono mai mancati. Insomma, un sogno che poi si è realizzato per caso molti anni dopo. Frequentavo il primo anno di università quando un amico, che aveva avuto modo di leggere alcuni testi che scrivevo di notte, mi informò del fatto che una piccola emittente locale cercava urgentemente una persona che scrivesse per il tg. Pensò subito a me e mi fissò un appuntamento al quale non andai. Nonostante il mio carattere piuttosto espansivo, in realtà, sono timida nei primi approcci con le persone e anche con le esperienze. Così pensai che fosse meglio continuare a scrivere per me stessa per non rischiare delusioni. Quel pomeriggio all'ora dell'appuntamento il mio telefono suonò e una voce squillante, burbera e decisa conquistò la mia attenzione. Era il cameraman “tuttofare” dell'emittente che, quasi senza darmi alternativa, mi intimava di presentarmi. Invece di irritarmi, io trovai buffo il suo modo di fare e in pochi minuti di motorino arrivai da lui. Era un signore piccolo, canuto e dallo sguardo torvo color del cielo. Perennemente arrabbiato. Lavorava giorno e notte, faceva tutto lui in quella piccola TV. Girava le immagini, faceva il regista, il produttore, il segretario, provava perfino a scrivere pezzi e a speakerarli. Poi arrivai io e lui si sentì meno solo. Fu l'inizio di un'amicizia meravigliosa e della collaborazione più intensa di tutta la mia vita. La cronaca locale mi ha insegnato tutto. La tecnica, i trucchi del mestiere, l'amore per le storie che si nascondono dietro le notizie, la capacità di dormire con il telefono sotto al cuscino perché se la "nera" chiama, bisogna rispondere subito. E lui, soprannominato il cerbero per i suoi modi piuttosto diretti, mi insegnò a non mollare mai. Lì iniziai a condurre i primi tg. Da allora non ho più smesso...”. Quale parte del percorso iniziale è stata la più difficile? “La cosa più difficile un tempo era farsi concedere un praticantato. Per il resto il lavoro era soltanto una gioia. Era tutto molto semplice e naturale. Entusiasmante. Quando ho iniziato ero giovanissima, erano tempi diversi, si lavorava in strada, le notizie le davamo noi alle agenzie, non c'erano filtri. Non c’erano orari. Io ero la mia fonte, la producer e l’assistente di me stessa. Tutto molto faticoso ma bellissimo. Le difficoltà sono arrivate dopo. La professione negli ultimi anni si è evoluta, è cambiato l'approccio con le notizie (anche con i praticantati purtroppo) Le news viaggiano veloci su smartphone e tablet, occorre stare attenti alle bufale, alle fake news e quegli emozionanti ed educativi momenti con il taccuino in mano, durante il ‘giro di nera’ in questura, si sono persi nel tempo.

Caterina, poco più di un anno fa hai perso una collega che ha lasciato un enorme testamento morale, Letizia Leviti. Ci puoi dire qualcosa di lei e di quello che ha lasciato al giornalismo italiano? “Con Letizia è stato amore a prima vista. Lavoravo a Sky da pochi giorni, per me era una nuova avventura. Mi ritrovai a lavorare insieme a lei sulla pista di atterraggio all'aeroporto di Ciampino. Aspettavamo il rientro di un c 130 con a bordo i corpi di alcuni giovani militari italiani caduti in Afghanistan. Mentre Letizia era in diretta io correvo velocissima per non farmi scappare un ministro che dovevo intervistare. Caddi sopra un chiodo, che bucò la mia scarpa facendomi cadere per terra svenuta. Fu lei a portarmi in infermeria. Aveva interrotto quello stava facendo per stare con me. Mi insegnò che gli amici, anche quelli a prima vista, vengono prima di tutto, e io imparai a mie spese, che non si corre mai dietro a un ministro. Mai. La dolcezza di Letizia, la sua voce flebile e i suoi occhi luccicanti mi accompagnano sempre. Era vera e trasmetteva qualcosa di magico. Tra noi bastava uno sguardo per comunicare. Poi spesso quello sguardo si trasformava in una lettera. Ogni tanto ne spunta una da qualche cassetto e so che lei c'è. Quando mia madre si ammalò gravemente, anche se ci conoscevamo da pochi mesi, lei si sentì di scriverle un messaggio. Mia madre pianse a lungo. Così un giorno, mentre mi guardava condurre il tg per vedere la figlia lontana, almeno in video, notò che Leti stava seguendo un evento a Piacenza, non lontano da casa sua. Molto debole e affaticata non esitò nemmeno un attimo e, dopo aver combattuto con la sua paralizzante timidezza, inforcò la bicicletta per raggiungere Letizia e farle solo una carezza ringraziandola di quel pensiero. Fu così che Letizia conobbe per la prima volta mia mamma. Conoscendola non mi spiegai quale forza riuscì a trascinarla fuori di casa quel giorno, fino a quando anche Letizia si ammalò. Ora le immagino insieme mentre commentano i fatti del giorno. Questo è ciò che ha lasciato a me. Al giornalismo italiano ha lanciato un messaggio lucido e lungimirante che tutti dovrebbero riascoltare almeno una volta al giorno”. Capita spesso di dover dare notizie dure. Tu che sei madre da poco, senti una pressione maggiore nel raccontarle al pubblico? “Dover raccontare le violenze sui più deboli è un dolore grandissimo. Vedere immagini di abusi in un asilo o in una casa di cura mi provoca molta rabbia oltre al dolore. Credo però che sensibilizzare su questi temi sia un dovere imprescindibile. Non bisogna mai abbassare la guardia o sottovalutare anche piccoli segnali”. Si parla in continuazione di imparzialità. Ci si rie-

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