Settentrionale Sicula N°5 Marzo/Aprile 2012

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_mattatoio torregrotta _eternit killer _mafia e antipolitica

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SANTO SFAMENI: IN MEMORIA DI UN BOSS


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Marzo/Aprile 2012

Bimestrale n° 5 Direttore Mauro Mondello Redazione Antonino Giorgianni Isidora Scaglione Rita Lorena Paone Santo Gringeri Igor Cosimo Mento Cettina Casella Giuseppe Cassone Progetto Grafico Nunzio Gringeri Editore e Stampa Ass. Centopassi Arci Via XXI Ottobre 419 98040 Torregrotta (Me) Stampa flyeralarm SrL Viale Druso 265, 39100 Bolzano

“Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”. Paolo Borsellino

L’editoriale

Cosa significa vivere in un paese civile? Cosa significa esserlo, civili? Operando un ragionamento a partire dalla parola stessa è facile asserire che la civiltà si differenzia dall’inciviltà per l’educazione di quanti ve ne fanno parte, uomini e donne le cui condizioni di nascita ed esistenza sono legate al concetto di cittadinanza, dunque diritti, doveri, soprattutto regole da rispettare e di cui garantire il rispetto, nel disegno di funzionamento complessivo del rapporto tra cittadino e Stato. Condiviso questo sistema di regole, diritti e doveri, si pone dunque un’altra domanda, ben più complessa: di chi deve avere paura un individuo? Quanti possono giudicare ed eventualmente punire le sue azioni? Beh, in un paese civile un cittadino non dovrebbe mai avere paura, ma fiducia nella giustizia, nel diritto, nella saldezza di norme che vengono applicate nel solo ed unico interesse generale della conservazione dell’ordine sociale. Se dunque, per portare un esempio qualsiasi, una rivista decidesse di pubblicare un articolo in cui si racconta la vita di un noto boss della zona da poco scomparso, il redattore di quell’articolo ed i componenti della rivista da cui quell’articolo verrebbe pubblicato non dovrebbero avere alcuna preoccupazione, nessuna paura, ma soltanto la coscienza della buona fede e la certezza della legge, assiomi che tutti i cittadini di una civiltà dovrebbero condividere, senza distinzioni. Si arriva quindi all’ultimo interrogativo, quello più difficile e spinoso: viviamo, noi tutti, in un paese civile? Lo scopriremo molto presto.

Sommario

Contatti facebook: settentrionale sicula www.youtube.com/user/SettentrionaleSicula settentrionalesicula@gmail.com http://settentrionalesicula.blogspot.com “Registrazione n. 11 del 05/12/2011 presso il Tribunale di Messina”.

di Mauro Mondello

In memoria di un Boss pag. 4 di Mauro Mondello Sai ballare? pag. 10 di Isidora Scaglione Un passo verso L’Europa pag. 11 a cura della redazione Niente di nuovo sul fronte meridionale pag. 13 a cura della redazione Lazzi, sollazzi e svolazzi pag. 15 di Antonio Giorgianni Post-it pag. 16 Fotodrome pag. 18


Villafranca Tirrena

In memoria di un boss di Mauro Mondello

valutare nella serenità della sua coscienza, ma che non possono essere dimenticati, che vanno piuttosto ricordati, amplificati, scolpiti nella memoria di ognuno di noi.

Lasciate riposare in pace i morti, recita un vecchio adagio. E certo lo faremmo volentieri pure nel caso di Santo Sfameni, morto il 22 gennaio del 2012, perchè se Dio esiste allora saprà senza dubbio giudicarlo molto meglio di noi. Per tutti quelli che però restano qui, su questa terra, è forse il caso di puntualizzare alcuni aspetti, specialmente dopo aver assistito ad una cerimonia funebre, tenutasi nella chiesa Santa Maria di Lourdes a Villafranca lo scorso 23 gennaio, durante la quale invece che un uomo pareva si stesse celebrando la scomparsa di un santo, di nome e di fatto. Un riverente stuolo di uomini e donne, notabili politici provenienti da tutta la regione, vigili urbani in divisa, il vicesindaco di Villafranca, Matteo De Marco, numerosi fra assessori e consiglieri dello stesso comune, hanno infatti ritenuto di dover presenziare al funerale di don Santo, durante il quale Padre Antonio Pelleriti, officiante le esequie, sorvolando sui numerosi fatti di sangue per i quali Sfameni è stato negli anni ritenuto complice o responsabile, ha addirittura dichiarato: « in pochi lo sanno, ma quando negli anni ‘90 le ditte lavoravano per la realizzazione della gradinata prospiciente il campetto di calcio attiguo alla parrocchia, il nostro fratello ha voluto dare un suo contributo». Per amore della giustizia e dell’informazione, soprattutto

LA COMMISSIONE ANTIMAFIA Santo Sfameni nasce a Saponara Marittima l’1 agosto del 1928. Lavora come infermiere all’ospedale Regina Margherita di Messina, almeno sino al 1974, momento in cui qualcosa nella vita di Don Santo cambia. Come scrive nel 2006 la Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul Fenomeno della Criminalità Organizzata Mafiosa o Similare, «il vecchio don Paolino Bontade (uno dei più autorevoli capimafia degli anni ‘60, padre dei tristemente noti Stefano e Giovanni ndr ) trascorse gli ultimi sei mesi di vita come riverito degente presso il reparto di neurologia dell’ospedale Regina Margherita di Messina, dove morì il 25 febbraio 1974. E non sarà certo un caso che proprio in quel periodo lavorasse come infermiere presso quello stesso reparto quel tale Santo Sfameni che subito dopo la morte di Bontade senior divenne un facoltosissimo imprenditore edile.» No, non sarà certo un caso. Basta leggere alcuni passaggi della sentenza, datata 10 gennaio 2008, del Tribunale di Catania sul Caso Messina, il processo che in primo grado ha visto condannato, fra gli altri, a sette anni di reclusione, l’ex capo dei Gip di Messina Marcello Mondello, grande amico di Santo Sfameni: «la figura di Santo Sfameni appare definita in modo chiaro, con tratti che ne connotano

Santo Sfameni per un incontenibile senso di decenza sociale, ci appare importante ricostruire alcuni passaggi chiave dell’esistenza di Santo Sfameni, fatti che ognuno dei lettori potrà


to per qualsiasi necessità: che si tratti di nascondere un latitante, di aggiustare un processo o di vendicare un torto, Don Santo Sfameni risponde sempre “presente”. I PENTITI A tal riguardo, Gaetano Costa, boss messinese che ha diretto un clan di stampo ‘ndranghetista fino al 1986-87, che venne affiliato Foto di Kevindean su flickr.com (Creative Commons License)

con evidenza e precisione la collocazione e lo spessore nella realtà degli ambienti criminali messinesi - segnatamente della criminalità organizzata di stampo mafioso operante nella zona, anche in collegamento con le “famiglie” palermitane di “Cosa Nostra” - e che valgono ad individuarne lo specifico ruolo, di assoluta valenza strategica, ricoperto in siffatta realtà. Il personaggio, invero, con le sue specifiche connotazioni e dotazioni personali che lo hanno reso un soggetto centrale e per certi versi insostituibile nelle dinamiche criminali della zona, risulta pressoché universalmente noto a tutti i soggetti che – in posizione apicale o, comunque di un qualche rilievo – hanno operato sino alla fine degli anni novanta, ora in sinergia ora contendendosi il campo, nell’ambito della malavita organizzata messinese, come risulta dalle molteplici e sostanzialmente convergenti dichiarazioni dei numerosi collaboratori di giustizia esaminati nel processo. Il primo tratto che emerge in modo univoco è quello di una persona “rispettata” nella sua zona, dotata di carisma ed autorevolezza, non solo presso gli appartenenti alle varie cosche operanti in Messina e nella limitrofa fascia tirrenica dell’Isola, ma anche presso semplici appartenenti alla società civile, ivi compresi taluni rappresentanti delle locali istituzioni, “uno della vecchia guardia” che, forte dei suoi legami, risalenti nel tempo, sia con esponenti di vertice di “Cosa Nostra” che con soggetti delle istituzioni (in particolare con alcuni magistrati), esplica il suo potere reale sul territorio, al riparo del ruolo “civile” di imprenditore edile con il quale è conosciuto nella comunità in cui opera.» Un boss incontrastato insomma, l’uomo di fiducia della mafia nella provincia di Messina, il personaggio cui fare riferimen-

in maniera “riservata” a Cosa Nostra durante una detenzione a Livorno con Giovanni Pullarà, facente capo al gruppo dei “corleonesi” di Riina, Bagarella, Brusca e Nando Greco e che decise di collaborare con lo Stato nel 1994, dichiara che Santo Sfameni «era uno dei più grossi personaggi nella provincia di Messina, uno degli uomini di rispetto conosciutissimi, una persona alla quale si dava il rispetto che lui meritava perchè nella sua zona era uno che gestiva lui, aveva un’autonomia praticamente personale ed era molto vicino ai barcellonesi, praticamente l’uomo locale, l’uomo di rispetto e referente per quella zona era lui”.» Dello stesso tenore le dichiarazioni di Mario

Marchese, capomafia messinese pluripregiudicato, cui è possibile risalire rileggendo una sentenza del Tribunale di Catania del 10/01/2008: «Sfameni, costruttore edile della provincia di Messina, pur non disponendo di un suo “gruppo di fuoco”, era una persona rispettata da quasi tutto l’ambiente malavitoso messinese degli anni ‘70 - ‘80, favoriva i latitanti e, avendo rapporti personali con alcuni giudici, interveniva per risolvere i problemi processuali che di volta in volta insorgevano, sicché, essendo ciò a conoscenza di tutti i messinesi, “ognuno andava da lui ad aggiustare dei processi” con seria aspettativa di esito positivo perché “insomma bastava rivolgersi a lui che lui alla fine se non conosceva quello arrivava tramite un altro…insomma a lui si rivolgevano tutti i capi clan diciamo messinesi, andavano tutti da lui quando succedeva qualcosa o arrestavano qualcuno. Era una persona che ha dimostrato che poteva arrivare benissimo a risolvere quello che si poteva risolvere, non certo che ci risolveva tutto, ma tante cose le poteva risolvere lui. Questa è la persona Sfameni diciamo, rispettabile da tutti”. Ricorda il Marchese che Sfameni aveva rapporti con importanti esponenti della ‘ndrangheta calabrese quali Mommo Piromalli (ed ha precisato al riguardo di aver conosciuto lo Sfameni nel 1977, presso l’ospedale “Piemonte” di Messina, proprio in una circostanza in cui si era li recato insieme ad altri malavitosi messinesi per fare visita al Piromalli, all’epoca “capo indiscusso delle Calabrie”, ivi ricoverato), aveva legami con ambienti e personaggi di “Cosa Nostra” sia palermitani che catanesi, quali Gerlando Alberti junior e Nitto Santapaola e che lo stesso Sfameni gli “aveva confermato che lui era a disposizione di tutti, quando andavano lì si sentivano sicuri e questo era vero perchè la sua


Villafranca Tirrena zona la manteneva tranquilla, non succedeva di imprenditore edile ed era “uomo d’onore” in mai niente, per cui i latitanti andavano...”» rapporti con esponenti di “Cosa Nostra” (ha riAncora su Santo Sfameni, ecco le parole di cordato in particolare la conoscenza con Luigi Sebastiano Ferrara, capocosca peloritano Ilardo, cugino di Piddu Madonia, che era stato divenuto collaboratore di giustizia dopo la latitante a Barcellona P.G.); in particolare ha sua cattura da latitante avvenuta nel 1994 detto di essere a conoscenza, per averlo appree condannato, fra le altre cose, per associa- so da Tommaso Cannella e da Nino Mangano, zione di stampo mafioso, rapina, omicidio noti esponenti dell’associazione mafiosa ed estorsione: «si sapeva che era un grosso “Cosa Nostra”, che Sfameni aveva rapporti con personaggio, una i palermitani, che persona di rispetto aveva dato ospitalinell’ambito mafioso, tà a Gerlando Albersi sapeva che ci stava ti junior durante la un certo… un palerlatitanza di questo mitano, non mi ricore, per conoscenza do come si chiama… diretta, che si conoGerlando Alberti sceva e frequentajunior, che è stato va, intrattenendo latitante da lui”» rapporti di amicizia, I rapporti di Sfamecon Michelangelo ni con la malavita Alfano (con il quaorganizzata siciliana le, peraltro, non sa erano insomma se intercorressero strettissimi, come anche rapporti dimostrano le teeconomici); ha agstimonianze rese ai giunto che essendo giudici da decine stato sempre noto di collaboratori di che Sfameni aveva giustizia. Fra loro rapporti con diversi c’è anche Luigi Spamagistrati, vari racio, a capo di un gruppi criminali potentissimo clan gli chiedevano di Gerlando Alberti Jr. mafioso a Messina intercedere presso sin dall’inizio degli costoro per ottenere anni ‘80; scrivono i giudici: «Sparacio Luigi, favori e cortesie giudiziarie, cosa che più volte sottopostosi ad esame in dibattimento, ha anch’egli Sparacio aveva fatto per sé ed i suoi ampiamente riferito su Santo Sfameni, da affiliati. Ha poi ricordato Sparacio che più vollui conosciuto all’inizio degli anni ’80 e suc- te Sfameni aveva dato assistenza e ricovero a cessivamente ripetutamente frequentato; ha latitanti di vari gruppi, che nascondeva nella precisato che sin da allora esercitava l’attività zona in varie case di cui disponeva e che talvol-

ta sosteneva anche con aiuti economici, cosa che aveva fatto, oltre che per l’Alberti, anche su sua richiesta per i suoi affiliati Giorgianni e Trischitta e per Cisco su richiesta di Cavò Domenico; ha quindi precisato che, pur non avendogli mai chiesto personalmente di commettere reati per suo conto, si era in una circostanza direttamente rivolto a due appartenenti del suo gruppo, Arnone Marcello e La Torre Guido, per commissionare loro l’incendio di una pizzeria. Si è poi soffermato sui rapporti con i magistrati, precisando di essere a conoscenza, per aver avuto occasione di constatarlo di persona, che Sfameni aveva ottimi rapporti con il G.I.P. Dott. Recupero, al quale metteva a disposizione una casa a Torregrotta per trascorrere le ferie e che aveva aiutato quando il figlio si era presentato alle elezioni, con il cugino del predetto anch’egli a nome Recupero, che operava in Corte di Appello a Messina e con il Dott. Mondello, al quale aveva costruito una casa: questi rapporti a Sparacio risultavano personalmente per avere talvolta incontrato sia Mondello che il G.I.P. Recupero presso la masseria dello Sfameni (un luogo tranquillo ed alberato, dove questo teneva una stalla ed una sorta di maneggio), in cui tutti talvolta si intrattenevano facendo anche delle “mangiate”; a questi giudici Sfameni aveva chiesto numerosi favori, interessandosi, in particolare, per Gerlando Alberti Junior, imputato dell’omicidio di Graziella Campagna, per Michelangelo Alfano, coinvolto nel ferimento del giornalista Licordari, per Michele Greco, processato dalla Corte di Appello di Messina per l’attentato in cui era morto il giudice Chinnici (episodi, questi, sui quali si ritornerà dopo)». Dichiarazioni di questo tenore, rilasciate dai boss più sanguinari della mafia siciliana, potrebbero riempire decine e decine di pagine,


il quadro però è già sufficientemente chiaro da permetterci di passare oltre: il “nostro fratello”, come lo ha definito padre Pelleriti durante l’omelia del suo funerale, era un punto di riferimento cardinale del sistema mafioso nella provincia di Messina, un uomo di rispetto cui tutti chiedevano, ottenendo, favori di ogni genere, un imprenditore edile legato alla mafia palermitana più potente, come risulta anche dai collegamenti di don Santo e di suo figlio Antonino Sfameni (“prestanome del padre nella gestione di attività imprenditoriali”, come recita la relazione di minoranza della già citata Commissione d’inchiesta sulla mafia del 2006) con Vincenzo Vinciullo, rappresentante di prodotti siderurgici e costruttore di prestigiosi complessi immobiliari a Messina che secondo un’informativa del Ros dei Carabinieri datata 1996 veniva addirittura citato in uno scambio di pizzini fra il boss Bernardo Provenzano e il capoclan Luigi Ilardo, quello stesso Ilardo che nel 1994, infiltrato in Cosa Nostra, svelerà agli investigatori il nascondiglio dell’allora latitante Santo Sfameni, facendolo arrestare, e che verrà poi ucciso nel 1996 poco prima di diventare ufficialmente un collaboratore di giustizia e dopo aver fornito al colonnello dei carabinieri Riccio informazioni importantissime sul funzionamento dell’organizzazione mafiosa e sul luogo nel quale si nascondeva Bernardo Provenzano, la cui mancata cattura nel 1995 aprì poi la trattativa fra Mafia e Stato su cui la Procura di Palermo sta ancora oggi indagando. L’AGGUATO AL PROFESSOR PERNICE Gli intrecci criminali si moltiplicano intorno alla figura di Sfameni, che rimane nell’anonimato sino all’inizio degli anni’90, quan-

Il funerale di Santo Sfameni (Foto di E. Di Giacomo) do sono i criminali, finalmente pentiti, a scardinare il meccanismo dietro al quale si nasconde l’ ”eminenza grigia” di Cosa Nostra a Messina (così lo hanno definito gli investigatori) sino ad allora protetta da una società civile che fa finta di non vedere, che si accuccia, che accetta uno stato di cose per cui fra Villafranca e Milazzo tutto è possibile, basta chiedere a Don Santo. Intorno alla famosa masseria di Villafranca ruotano tutti gli affari criminali più importanti della provincia, fra questi l’unico caso risoltosi con una condanna in giudicato per Sfameni, relativo alla gambizzazione di un docente universitario, colpevole di aver bocciato per due volte un amico degli amici. E’ il 6 settembre 1990

quando il professor Pernice, docente di genetica all’Università di Messina, viene ferito alle gambe con cinque colpi di pistola calibro 6 e 35. Di quella mattinata ha un ricordo molto chiaro Rosario Rizzo, soggetto di spicco della criminalità messinese e collaboratore di giustizia dal 1994:«Con Sfameni ormai si era instaurata un’amicizia bellissima ed abbiamo fatto qualche reato assieme, come sanno tutti; lui è stato condannato, quando lui aveva dato l’incarico di fare gambizzare il dottore Pernice, che quel processo si è fatto a Reggio Calabria. Ci ha mandato lo Sfameni Santo. Lui era professore di università a Messina, insegnava medicina, queste cose. Succede questo, che praticamente lui faceva degli


Villafranca Tirrena esami e sopra a cento lui ne faceva promossi due, tre. Ora, siccome c’era un amico suo, che si chiamava dottor Mellina, Mellia o Mellina, si lamentava di questa cosa qua, se era possibile di dare una lezione a questo professore, perché ogni volta boccia questa persona qua. E noi ci siamo messi a disposizione, io, mio fratello, c’era anche Di Napoli, Marcello D’Arrigo. Insomma, io mi sono riunito con lui, c’era mio fratello Letterio e Di Napoli. E così abbiamo fatto questa cosa per lui. Quella mattina ci siamo organizzati. E’ andato il figlioccio di mio fratello, Calabrò Salvatore, e c’ero io e Di Napoli che l’aspettavamo con la macchina, e mio fratello Letterio. L’hanno gambizzato e ce ne siamo andati a casa». Sull’organizzazione dell’agguato aggiunge Salvatore Giorgianni (pluriomicida e trafficante di droga cui Santo Sfameni, su indicazione del boss Luigi Sparacio, offrì ospitalità, insieme agli altri tre criminali Umberto Arnone, Pietro Trischitta e Stellario Lentini, in una mansarda di sua proprietà a Scala Torregrotta, situata al piano superiore del bar allora denominato “Ritrovo della Trappola”, i cui locali erano anch’essi nella disponibilità di don Santo): «lo Sfameni mi aveva detto di gambizzare un docente universitario, non di fargli male, solo gambizzare perchè doveva saltare gli esami. Mi ha detto di gambizzare un docente universitario perchè questo qua bocciava gli studenti e erano figli di persone che interessavano». Sull’attentato a Pernice ha qualcosa da dire anche Pietro Di Napoli, collaboratore di giustizia, già appartenente al gruppo malavitoso facente capo ai messinesi Rizzo Letterio e Rizzo Rosario: «ci siamo portati con Sfameni a Villaggio Aldisio, da un pregiudicato che si trovava agli arresti domiciliari. Egli era Marcello D’Arrigo che ci ha dato piena

disponibilità dandoci una persona di fiducia, suo figliozzo, il Calabrò, che noi, poi, abbiamo utilizzato per far sparare il dottor Pernice». Per la gambizzazione del professor Pernice il Tribunale di Reggio Calabria condannerà Santo Sfameni, Pietro Di Napoli, Giovanni Paratore, Salvatore Calabrò, Rosario Rizzo e Marcello D’Arrigo, mentre verrà assolto il giudice Giuseppe Recupero, all’epoca presidente della Corte d’Assise del Tribunale di Messina e riconosciuto frequentatore della masseria di Sfameni, inizialmente indicato come mandante dell’agguato a seguito dei rilievi investigativi e citato in tal senso da testimonianze rese da parte di alcuni collaboratori di giustizia. Nella memoria difensiva presentata durante il processo, Recupero non nega il suo rapporto d’amicizia con Sfameni, ma indirettamente chiama in causa prestigiosi nomi della società messinese frequentatori, come lui, della famosa masseria di don Santo: «il luogo era meta delle visite di noti e stimati professionisti: notai, medici ed anche magistrati miei colleghi. Presso detta campagna io e i miei familiari abbiamo conosciuto esclusivamente, ed erano abituali frequentatori: il prof. Antonino Bonfiglio di Villafranca Tirrena, ordinario di matematica alle scuole medie-superiori; il dott. Bonomo, neurologo-assistente all’Ospedale ‘Regina Margherita’ di Messina, dove fra l’altro lo Sfameni aveva lavorato (primario detto prof. Vitetta), prima che iniziasse a fare l’appaltatore; il prof. Avv. Domenico Tomeucci, dell’Università di Messina; l’avv. Candeloro Olivo, maestro di mio figlio e legale dello Sfameni; il signor Iannelli, direttore dell’agenzia del Banco di Sicilia di Torregrotta Scala; signor Giunta Paolo, all’epoca assessore in carica del Comune di Torregrotta (socio d’affari storico

ed amico fraterno di Santo Sfameni ndr); il signor Velo Francesco, grosso industriale caseario di Torregrotta; la dott.ssa Lucrezia Vitetta (figlia del prof. Vitetta, cattedratico di Psichiatria e di Igiene Mentale, già assistente e poi aiuto di neurologia all’Ospedale Regina Margherita di Messina, che secondo le dichiarazioni di Antonino Cisco, appartenente dal 1983 alla famiglia malavitosa di Costa Gaetano, organizzata sul modello della ndrangheta, nell’ambito della quale, con il ruolo di “sgarrista”, era dedito ad estorsioni, rapine, spaccio di droga ed altro, su ordine di Sfameni falsò una perizia psichiatrica per far ottenere a Cisco l’infermità mentale dopo essere stato arrestato nel 1983 per l’omicidio di Luigi Mazzitelli ndr) ed il di lei marito dott. Pandolfo, figlio di un primario radiologo; il sig. Emidio Ambrosi, agente di polizia penitenziaria; un agente della P.S. e famiglia, abitante a Rometta Marea; il signor Mangano Carmelo (lo conoscevo da tempo) appaltatore residente a Messina; il signor Pasquale Mangano, gestore di un asilo-nido a Messina; il signor Bosurgi Alfredo, pensionato di Valdina Marina; il signor Andrea Lo Presti, titolare di una macelleria a Torregrotta-Scala: la figlia ed il genero del Lo Presti avevano in gestione un bar-pizzeria dello Sfameni a Torregrotta; il dott. Russo Antonino, commercialista del luogo; il geom. Fagnani e moglie di Villafranca; tale Capillo, cognato di una impiegata del mio ufficio; il signor La Fauci Antonino e famiglia, titolare di una piccola industria per infissi di Giammoro». GRAZIELLA CAMPAGNA, VITTIMA DI MAFIA Dell’omicidio di Graziella Campagna si sa oggi praticamente ogni cosa. Si sa ad esempio che Gerlando Alberti Junior, l’omicida


della povera Graziella, esponente di spicco dati processuali acquisiti, si è già visto come della mafia palermitana, considerato dalla siano risultati ampiamente provati il ricovero Criminalpol“uno dei maggiori elementi del- e l’assistenza che egli prestò a Gerlando Alberla mafia internazionale orbitante nel mondo ti junior ed a Sutera Giovanni, membri di una della droga”, trascorreva la sua latitanza scor- importante famiglia palermitana di “Cosa razzando a destra Nostra”, durante la e a manca fra latitanza di queSanto Saba e Torsti, protrattasi per regrotta, protetto diversi anni in Viled accudito da lafranca Tirrena. Codon Santo Sfamestituisce altresì dato ni, pubblicizzando processuale certo la sua amicizia che costoro, proprio con il maresciallo nel periodo di tale dei Carabinieri latitanza, rimasero Giardina. Insomimplicati nell’omima un’incredibile cidio di Graziella rete di connivenze Campagna, perpeche a conti fatti trato nel dicembre ha visto implicati, 1985, indiziati di consciamente od esserne gli autori inconsciamente, per impedire che la nella protezione ragazza, che aveva di due pericolosi occasionalmente latitanti, le più alte scoperto la vera istituzioni del noidentità dell’Alberti stro paese, a livel(che in Villafranca lo locale: giudici, si celava sotto falso marescialli dei canome), potesse riverabinieri, politici, larla, così mettendo la povera Graziella Campagna tutti in silenzio di in pericolo il di lui fronte al volere mafioso. Più di tante suppo- stato di libertà. Da varie fonti processuali è sizioni, vale la pena riportare un passaggio emerso ancora che lo Sfameni, che già curava della sentenza del Tribunale di Catania, da- la latitanza dei due palermitani, si adoperò in tata 10 gennaio 2008, relativa al processo loro soccorso anche nella fase iniziale delle a carico del giudice Marcello Mondello, un indagini e del processo a loro carico, espliestratto che ben chiarisce le circostanze cando anche in questo caso un suo illecito ed il coinvolgimento di Santo Sfameni nel intervento in sede giudiziaria. Secondo la tesi caso di Graziella Campagna: «Nel delineare il accusatoria destinatario di siffatto intervento personaggio di Santo Sfameni, sulla base dei fu l’odierno imputato Marcello Mondello, che,

aderendo alle sollecitazioni mossegli in tal senso, in quella prima fase adottò il provvedimento di proscioglimento degli imputati. Per quanto attiene all’ “interessamento” di Santo Sfameni in favore dell’Alberti e del Sutera sono state raccolte in dibattimento le dichiarazioni di Marchese Mario, di Sparacio Luigi e di Timpani Santi, i quali tutti, sia pure con gradi diversi di precisione e di approfondimento, hanno concordemente riferito di essere a conoscenza che lo Sfameni si adoperò per ottenere in quella prima fase la “sistemazione” del processo in favore dei predetti». Nonostante decine di testimonianze di pentiti, la confisca di beni per 15 milioni di euro nel 2004 da parte dello Stato, una lunga latitanza, il periodo in carcere, gli arresti domiciliari, le custodie cautelari, nessun giudice ha mai condannato Santo Sfameni per associazione di stampo mafioso, così se n’è andato tranquillo e sereno, fra le mura amiche della sua casa a Villafranca, riverito e rispettato dai suoi concittadini. Certo la sua masseria era frequentata dai boss più potenti e sanguinari di tutta la Sicilia, da Bontade ad Inzerillo, da Santapaola a Sparacio; certo dava rifugio a latitanti di ogni calibro e provenienza; certo aggiustava i processi, anche quelli per omicidio, come se fosse la cosa più semplice e naturale del mondo; certo se gli passava per la testa praticava estorsioni e faceva gambizzare professori universitari, il tutto mentre il suo patrimonio economico e sociale cresceva e cresceva, a dismisura. Però mafioso no, mafioso mai. Forse perchè, come dicevano i criminali di un tempo, la mafia è un’invenzione, la mafia è una fantasia. Forse perché, si sa, la mafia non esiste...


Torregrotta

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di aggregazione. Il progetto preliminare, redatto dall’Ufficio Tecnico Comunale e favorevolmente sottoposto a processo di verifica (nonché corredato da tutti i pareri, autorizzazioni e nulla osta ricorrenti per il livello definitivo di progettazione), era già stato approvato in linea tecnica dall’ing. Pietro Anastasi, nominato Responsabile Unico del Procedimento dalla determina sindacale n.35 del 15.07.2011. La determina sindacale n.37 dello stesso giorno, invece, aveva per oggetto la manifestazione d’interesse a svolgere il servizio di elaborazione e digitazione dei dati grafici e analitici relativi al progetto in questione e, meno di un mese dopo, in data 09.08.2011,

con determina n.38, dall’ufficio del sindaco veniva conferito l’incarico per il servizio ingegneristico alla Teknografics Service di Barcellona Pozzo di Gotto. L’importo della prestazione professionale, ammontante ad € 15.000,00 oltre oneri fiscali e previdenziali, troverà copertura con le somme spettanti al Comune dal PIT 22 “La Via dell’Argilla”, in base al DRS n.2703/S7 del 26.10.2009. Il 28.09.2011 la Giunta Comunale con delibera n.162 approvava anche il progetto definitivo e lo dichiarava immediatamente esecutivo. Tale progetto prevede, al fine di

ristrutturare internamente ed esternamente l’edificio che ospitava l’ex mattatoio, una spesa che ammonterebbe a € 800.000,00, di cui € 540.131,04 per l’esecuzione dei lavori ed € 259.868,96 per somme a disposizione dell’amministrazione. L’intervento dovrebbe essere finanziato dal PIST 20,20,20 “una politica per l’eccellenza”, nell’ambito dell’Asse VI POR Sicilia 2007/2013, ma attualmente si è ancora in attesa di approvazione. La ristrutturazione dell’edificio, adesso in gran parte inagibile, sarà volta a far mutare completamente l’aspetto del vecchio mattatoio. Al suo interno, infatti, saranno spazzati via tutti i rozzi arnesi da macello per far spazio a tutù, chitarre e trucco scenico. Non più ambienti bui, ma ampi spazi illuminati dai riflettori. Insomma, tutta un’altra storia…! Come spiegatoci dall’Assessore Giovanni Polito, firmatario della proposta, il centro di aggregazione e produzione artistica, infatti, ospiterà al suo interno due aule didattiche, un laboratorio artistico, un laboratorio teatrale e una sala prove. Esternamente, invece, previe alcune demolizioni, verrà allestita un’area parcheggi, ma molto esigua vista la scarsa disponibilità di spazio. Al problema si dovrà ovviare probabilmente con qualche esproprio, seppur anche questo sarà limitato vista l’adiacenza con l’area cimiteriale. La predisposizione dei parcheggi, a quanto sembra, è un problema ricorrente a Torregrotta e pare proprio che passi sempre in secondo piano (vedi struttura geodetica...). Che dire, finalmente gli aspiranti attori torresi avranno a disposizione una sede più consona per mettere in atto le attitudini artistico – teatrali di cui spesso danno testimonianza in luoghi molto meno adeguati.


Valle del Mela

Un passo verso l’Europa a cura della Redazione

È il 6 aprile 2009 quando, presso il Tribunale me di minerali del gruppo dei silicati (minedi Torino, ha inizio il processo indetto dal rali composti prevalentemente da ossigemagistrato Raffaele Guarinello contro uno no e silicio). La sua resistenza al calore e la dei fratelli Schmidheiny (ex presidenti del sua struttura fibrosa lo rendono un materiaconsiglio di amministrazione dell’Eternit AG) le a prova di fuoco, ma le polveri contenenti ed il barone belga Jean Louis De Cartier de Marchienne. L’accusa è quella di essere i responsabili delle morti per mesotelioma registratesi tra gli ex operai delle fabbriche Eternit a contatto con l’ amianto. Il 13 febbraio 2012 il tribunale di Torino condanna gli imputati a 16 anni di reclusione e li costringe all’ indennizzo di circa 3000 parti civili oltre al pagamento delle Foto di Paolo Margari su flickr.com (Creative Commons License) spese giudiziarie. Per la prima volta dei vertici aziendali vengono condan- fibre d’amianto, respirate, possono causare nati per disastro ambientale aggravato. gravi patologie, l’asbestosi, tumori delUna sentenza storica, dunque, per le lotte la pleura (ovvero il mesotelioma pleurico), dei lavoratori, per una città, Casale Monfer- ed il carcinoma polmonare, che rientrano rato, che ha dignitosamente rifiutato 18,3 nel campo delle malattie professionali e milioni di euro offerti da uno degli imputati. può manifestarsi anche dopo parecchi Ma chi è questo “killer” che arriva ad uccidere anni (fino a quaranta) dall’esposizione. circa quattromila persone ogni anno in Italia? L’impiego dell’amianto è illegale in ItaL’amianto, detto anche asbesto, è un insie- lia dal 1992.

Uno degli aspetti fondamentali della legge è il fatto che sia stata la prima della normativa statale ad occuparsi anche dei lavoratori esposti all’amianto. Essa ha introdotto, infatti, una rivalutazione contributiva del 50% ai fini pensionistici dei periodi lavorativi. In assenza di una CONTARP (Consulenza Tecnica di Accertamento dei Rischi Professionali), il singolo lavoratore può però incontrare serie difficoltà nel documentare la propria esposizione all’amianto, dovendo pertanto ricorrere spesso ad un accertamento giudiziale. Esistono inoltre numerosi dati storici, politici e sociali che non possono non essere citati. Nel 1927 il Regolamento generale per l’igiene del lavoro dettava norme di prevenzione e protezione dalle polveri; nel 1933 veniva ratificata la Convenzione n.18 del 1925, che estendeva l’assicurazione sociale anche alle malattie professionali, che così venivano indennizzate. Secondo un importante arresto giurisprudenzale, l’integrità personale dell’uomo e la sua salute sono protette non soltanto dal


contratto, ma anche da determinate leggi di pulizia sanitaria e dal Codice penale. Le forme assicurative non dispensano i datori di lavoro dall’obbligo contrattuale di usare la diligenza necessaria per evitare danni ai lavoratori. Nel 1943 il Ministro delle Corporazioni presentava presso la Camera il disegno di legge che estendeva l’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali alla silicosi (un’affezione dei polmoni provocata dall’inalazione di polvere) e all’asbestosi. Paradossalmente, se fino ad allora era stato adoperato in maniera molto marginale, l’amianto andò diventando di uso comune, fino ad essere utilizzato in circa 3000 siti lavorativi. Soltanto con le Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto del 1991 e 1992 si aveva la svolta legislativa, tanto che il Pretore di Torino riconosceva il nesso causale tra la violazione delle norme di prevenzione e il mesotelioma pleurico nato dopo l’inalazione di fibre di amianto. Nonostante tutto, oggi, in Italia, alcuni scienziati e magistrati negano codesto nesso. Il killer silenzioso si aggira, come nel resto d’Italia, anche nella nostra Sicilia e le vittime finora registrate sono 521. A tal proposito, non può non parlarsi della tristemente nota Valle del Mela. Purtroppo il pericolo che quotidianamente corre il Circondario del Mela, sede della raffineria, della Centrale Edipower S.p.A, della Cometra S.p.A e dell’acciaieria, è stato finora ignorato . Urge, dunque, l’adozione di un censimento e di una mappatura amianto di tutte le

industrie e, naturalmente, gli strumenti necessari per le tanto bramate bonifiche. Prima di tutto ciò, molti si domandano però dove siano finiti tutti i fondi destinati alla bonifica e al risanamento di siti contaminati che erano stati dati alla regione Sicilia. Nei prossimi giorni l’ONA (Osservatorio Nazionale sull’Amianto), nato per sostenere i lavoratori esposti all’amianto e le loro famiglie, presenterà una petizione all’Unione Europea Ciò che viene chiesto al Parlamento europeo è l’approvazione di una mozione di condanna dello stato italiano e una diffida perchè vengano rispettati i diritti della nostra regione Sicilia. Contenuto della petizione saranno anche le misure di prevenzione e il risarcimento dei danni che finora si sono abbattuti sul nostro territorio, i piani di risanamento e bonifica e una continua sorveglianza sanitaria. L’ ONA sarà legalmente rappresentato dall’avvocato Ezio Bonanni, con il coordinamento dell’avvocato Maria Calderone, che ci ha delineato i punti fondamentali della petizione. Ad essa hanno aderito diverse associazioni del comprensorio della Valle del Mela (DUDIRDAI, Cittadini pacesi per la vita, ADASC, Il sorriso, I love Milazzo, TSC) e diverse associazioni di Gela e Priolo. La società civile si avvale di valori etico giuridici ,degli artt. 4,11, 114, 151 e 153 del trattato sul funzionamento europeo e degli artt. 32, 41, 117 della nostra costituzione. L’ARPA (Agenzia Regionale Protezione Ambiente), l’ISPRA(Istituto Superiore per la Pro-

tezione e la Ricerca Ambientale) e numerosissimi studi preliminari dichiarano i comuni di Milazzo, San Filippo del Mela, Santa Lucia del Mela, Pace del Mela, Condrò, Gualtieri e San Pier Niceto territori ad alto rischio ambientale. Si chiede, pertanto, il rispetto delle direttive comunitarie europee, dell’articolo 6 del Trattato di Lisbona e soprattutto delle normative CEE, come la 30 del 1999, che vuole degli studi preliminari della qualità dell’aria. Ciò a cui si mira è un vero e proprio sviluppo sostenibile, ma fino ad oggi è mancato tutto, a partire dagli atti di indirizzo di coordinamento e di attuazione di una normativa ambientale che, se ci sono stati, non sono stati adeguati, visti i casi di malattie,morti e superamenti dei valori soglia, attestati dalle numerose auto denunce delle aziende dell’ASI e da studi scientifici che hanno rilevato il nesso con la causalità ambientale, la cosiddetta “probabilità qualificata di eziologia”. È mancata un’informazione ambientale adeguata su quelli che sono gli inquinanti per una corretta partecipazione alle decisioni pubbliche. Perfettamente consapevoli, però, dei doveri da contratto sociale che li legano allo Stato, venti avvocati si batteranno attraverso questa petizione, che l’avvocato Calderone definisce “la prima forma di rispetto e di volontà attuativa del principio: chi inquina, paga!”. Davanti ad un territorio martoriato e abbandonato dalla Provincia e da supporti come la V.I.A (Valutazione d’Impatto Ambientale) o la VAS (Valutazione Ambientale Strategica), lasciato nella mani di un’ARPA che possiede soltanto due centraline di rilevamento in Sicilia, i firmatari chiedono che l’Unione Europea riesca ad ovviare a queste mancanze per il bene delle generazioni future.


L’Opinione

Niente di nuovo sul fronte meridionale

A cura della Redazione

Spesso sono costretta dagli eventi ad analizzare, antropologicamente, quella categoria di persone che impone la propria volontà con mezzi molte volte illeciti, per conseguire interessi privati, anche a danno di quelli pubblici. Abitando in una terra così ricca di contraddizioni come la Sicilia, in modo – purtroppo – quasi naturale, all’aggettivo “illecito” asso-

cio il termine “mafia”, di conseguenza provo profondo imbarazzo nel non capire in molte circostanze la differenza tra atteggiamento mafioso e comportamento pseudo politico. Il nostro territorio è tempestato da individui democraticamente eletti che dietro un’ipocrita diplomazia mediatica nascondono egoistici interessi, grossa dose di ignoranza, incompetenze che si volga-

rizzano in comportamenti degni di quegli uomini in giacca, coppola e lupara canonizzati dalla filmografia contemporanea. E noi continuiamo a chiamarli Politici. E noi seguitiamo a lamentarci della nostra condizione sociale ed economica. Come può una regione come la nostra - che per decenni è stata martoriata da asso-


migliorare e cambiare), non esitano a minacciarci sperando di ripristinare il classico silenzio tipico del territorio.

Illustrazione di Movimento Basta su flickr.com (Creative Commons License)

ciazioni mafiose rette dalla legge dell’omertà - risollevarsi, prendere coscienza delle proprie potenzialità, progredire per non costringere le giovani generazioni ad amarla per poi abbandonarla se l’atteggiamento mafioso riesce ad impossessarsi di quella parte della società pagata (e non mi riferisco solo alla classe politica) per contrastarlo? A un noto avvocato messinese, che si occupa di casi di mafia, fu chiesto, durante un convegno organizzato per ricordare Graziella Campagna, se e da chi ricevesse minacce. Accompagnata da un sorriso beffardo, la sua risposta fu affermativa, ma non scontata: a intimidirlo, infatti, non sarebbero stati i boss da lui più volte nominati e accusati ma giudici. Sono passati anni da quell’evento al quale partecipai insieme con altri giovani studenti liceali ma quella frase rimbomba ancora nella mia testa, riesce ancora a scandalizzarmi, fortunatamente. Oggi, che guardo più da vicino la società in cui vivo, mi rendo conto che la corruzione prima di tutto morale ed etica trova terreno fertile nella quotidianità politica e sociale, lasciando sempre meno attonite le persone che si credono immuni. Ecco allora che la Sicilia mi appare nella morsa dell’illegalità alimentata dal potere. Scrivere in un giornale libero d’inchiesta come Settentrionale Sicula vuol dire rifiutare a voce alta qualsiasi tipo di “padrineria”, qualsiasi tipo di condizionamento esterno; significa scontrarsi con la nostra realtà e

poter osservare da vicino le reazioni poco consone di amministratori della cosa pubblica che, invece di incoraggiare il nostro lavoro (che teoricamente dovrebbe perseguire i loro stessi obiettivi, denunciare per

È in questi momenti allora che inizio ad odiare la mia terra, ad indignarmi profondamente perché tutto pare non poter cambiare: e se forme di volontariato come il nostro sembrano non poter godere di un futuro come possiamo sperare che si sviluppino qui forme oneste di lavoro e produttività? Il lavoro e il progresso che i nostri politici reclamizzano a gran voce davanti alle telecamere, viene poi ostacolato in mille modi diversi quando i media voltano le spalle.

Non è il pizzo a scoraggiare le nuove menti che vogliono investire in questi luoghi. La cosa però ancora più raccapricciante è rendersi conto che tutti noi abbiamo contribuito ad alimentare questo degrado: soffochiamo le nostre consapevolezze quando diamo voti in cambio di favori, di promesse spesso non mantenute, quando eleggiamo personaggi assolutamente non preparati solo perché supportati da poteri già radicati. Tutti noi abbiamo collaborato a trasformare la Sicilia in una parodia di esemplarità rovesciate.


L a z z i ,

s o l l a z z i

e

s v o l a z z i

di Antonio Giorgianni In Italia stiamo prendendo l'abitudine ai ventenni; un ventennio è durato il fascismo, caduto rovinosamente nel 1945 dopo il disastro della guerra, un altro ventennio è durata la cosiddetta seconda Repubblica, affondata nei vortici di una crisi economica mondiale. La suddetta, nata per rifondare la democrazia e la politica dopo il terremoto di Mani Pulite, che aveva scoperchiato un sistema di corruzione minando la credibilità delle istituzioni, ha indotto nella popolazione l'idea che i partiti erano diventati delle vere associazioni a delinquere e che c'era bisogno di un cambiamento radicale. In questo contesto la caduta del Muro di Berlino ha avuto un effetto devastante a causa della presenza del P.C.I. che monopolizzava l'opposizione e che con la sua crisi eliminava la possibilità di una reale alternanza. E così il lavoro della magistratura, favorito da un clima giustizialista, portò a compimento la destrutturazione del sistema politico mettendo fine alla prima Repubblica. Dalla crisi di questa nasceva uno pseudorinnovamento tutto imperniato sul maggioritario, sul governatorato, sul presidenzialismo, sullo scimmiottamento del sistema americano. Il risultato è stato un populismo mediatico caratterizzato da progetti faraonici e illusionistici e da un tran tran di corruzione a tutti i livelli, anche i più alti, visti i numerosi processi in cui era implicato l'ex presidente del consiglio, Silvio Berlusconi. L'antipolitica è diventata l'ideologia dominante e la televisione con i suoi talk show ha preso il

potere. Bastava parlare contro la prima repubblica e la partitocrazia, contro i politici di professione, per aumentare la propria audience e il proprio credito. È stato un fiorire di demiurghi dal fare decisionista, dalle grandi progettualità visionarie, dal moralismo gratuito al gradimento degli allocchi, ed il potere veniva delegato venendo meno sempre più il controllo della democrazia dal basso . Al di là della situazione economica estremamente difficile, è sotto gli occhi di tutti e minimamente contestabile lo stato di inaffidabilità delle istituzioni a tutti

i livelli e la sfiducia nella rappresentanza politica e nella democrazia in generale. La tesi che tutto sarebbe andato meglio con più decisionismo e meno democrazia è fallita miseramente. È semplice: più si allarga la partecipazione alle decisioni e più è facile il controllo dell'operato delle stesse essendone aumentata la trasparenza (e non il contrario..) Più partecipazione, meno protagonismo, più responsabilità, meno demagogia, più discorsi meno spot e forse riusciremo ad uscire dall'esilarante spettacolo della seconda Repubblica.


Post-it Per Graziella Ricevuta In una località chiamata Città Franca o Villa Gratuita, un anziano signore S.Famelico, muore circondato dal conforto dei suoi e dopo estrema unzione e benedizione di Santa Romana Chiesa. Il santo uomo ha vissuto una vita intensa e piena dedicandosi massivamente e devotamente alla sua attività affinché l’Associazione di Beneficenza di cui faceva parte diventasse sempre più ricca e potente. Sempre si è impegnato con abnegazione e infinitamente si è prodigato con opere meritevoli per il bene della sua società, dando prova di saper discernere ciò che era utile da quello che era inutile, di capire se un’azione portava onore o disonore, dando il giusto peso alle persone e soprattutto alle cose. Ha contribuito ad estorcere tanti beni,a distribuire tante ricchezze ai soci più capaci e coraggiosi e che avevano in spregio la morte degli altri,specie se infami o spioni. Tante sono le imprese a sua futura memoria, e tante vite innocenti salvate, si dice persino di un sindacalista. Una volta però,una brutta Campagna innescata da una stampa-giustizialista e illiberale, a servizio di una banda di sbirri e spioni, ha cercato di macchiare la sua onorabilità, ma non si trattava del barbaro omicidio di una ragazza ma solo dell’eliminazione di una incauta e ingenua testimone: il nostro eroe ha superato bene l’ostacolo per Graziella Ricevuta. Per giudicare la vita di un’uomo più o meno giusto o più o meno me-

L’INCIPIT

Nel segno della pecora Haruki Murakami Per puro caso, un mio amico venne a sapere dal giornale che lei era morta, e mi chiamò per dirmelo. Mi lesse lentamente al telefono il trafiletto uscito sull’edizione del mattino. Niente di eccezionale, come articolo. Doveva averlo scritto un cronista alle prime armi, uno appena laureato che voleva farsi un po’ la mano. Una data, un angolo di strada, qualcuno che guidando un camion investe qualcuno, qualcuno che che viene incaricato di svolgere un’inchiesta per omicidio colposo… Sembrava una di quelle brevi poesie che vengono pubblicate sul frontespizio di certe riviste.

P. Daveru Haruki Murakami - Illustrazione di Fellowsisters su flickr.com (Creative Commons License)

IL FUTURISTA

ritevole parlano i propri funerali. Quello del nostro S.Sfamelico sarà ricordato nei secoli a Franca Città o Villa Gratuita. La chiesa era piena e colma, e tanti, tantissimi sono rimasti fuori a riempirne un’altra e un’altra ancora. Grande è stata la commozione per codesto Benefattore della Società, il popolo tutto si è riversato per dargli l’ultimo saluto perché tutti a lui dovevano massimo rispetto, a qualunque categoria appartenessero. Encomiabile è stata la presenza di qualche rappresentante delle istituzioni che ha così dimostrato di saper bene interpretare il sentire comune. Molti però restano ancora i suoi detrattori, che lo giudicano addirittura un Fuori Legge, o peggio un Mafioso, o peggio un Assassino: ma sono solo degli invidiosi e dei quaquaraqua.


Codice di autoregolamentazione per la campagna elettorale L’associazione Centopassi, con sede in Torregrotta (ME), nella sua qualità di proprietario ed editore della testata giornalistica Settentrionale Sicula, nell’ambito della propria autonomia ed in esecuzione delle leggi vigenti e degli emanandi regolamenti di attuazione, per la raccolta di propaganda elettorale per le elezioni Amministrative Comunali della Sicilia 2012 e per eventuali tornate di ballottaggio (laddove previsto), porta a conoscenza degli utenti il seguente Codice di Autoregolamentazione 1. Nei trenta giorni consentiti dalla legge 10/12/1993 n. 515, l’Editore raccoglierà inserzioni elettorali da pubblicare su Settentrionale Sicula e suoi annessi editoriali, secondo le regole tutte sottoindicate. 2. Le inserzioni di propaganda elettorale dovranno essere relative a: a) annunci di dibattiti, tavole rotonde, conferenze e discorsi, b) pubblicazioni destinate alla presentazione dei programmi, delle liste, dei gruppi di candidati e dei candidati; c) pubblicazioni di confronto tra i candidati. Tutte le inserzioni dovranno recare la seguente dicitura: “Propaganda elettorale” 3. Non saranno accettate inserzioni pubblicitarie elettorali pure e semplici e cioè le pubblicazioni esclusivamente di slogan positivi o negativi, di foto o disegni, di inviti al voto non accompagnati da adeguata, ancorché succinta, presentazione politica dei candidati e/o di programmi e/o di linee, ovvero non accompagnati da una critica motivata nei confronti dei competitori. Per tali inserzioni vi è un espresso divieto legislativo. (art.2 legge 515/93). La richiesta di inserzione elettorale dovrà essere rivolta direttamente a Settentrionale Sicula, contattando il n. 347.7531433 oppure via e-mail all’indirizzo settentrionalesicula@gmail.com 4. Le richieste di inserzioni elettorali, con gli specifici dettagli relativi alla data di pubblicazione e le eventuali posizioni di rigore, etc., dovranno pervenire (anche in formato elettronico e via e-mail) di norma dieci giorni prima della data richiesta per la pubblicazione. 5. Le tariffe, secondo quanto disposto dall’art.3 del Regolamento del Garante, saranno le seguenti: Banner ½ pagina Pagina Interna – 100 euro Seconda Pagina e Penultima Pagina – 150 euro Pagina Intera Pagina Interna – 200 euro Seconda Pagina e Penultima Pagina – 250 euro I prezzi sono da intendersi iva compresa Il materiale dovrà essere inviato già pronto per la pubblicazione in formato JPG o GIF. Non si praticano sconti quantità, né altri sconti. Per data fissa, o posizione di rigore, festivo, etc. si applicano le maggiorazioni previste dal listino. Il PAGAMENTO dovrà essere effettuato contestualmente all’accettazione dell’ordine di pubblicazione in contanti. 6.

In osservanza delle regole di cui alla legge 10/12/93 n. 515 e degli emanandi regolamenti in attuazione, al fine di GARANTIRE LA POSSIBILITÀ DI ACCESSO IN CONDIZIONI DI PARITA’ e l’equa distribuzione degli spazi tra tutti i soggetti interessati che ne abbiano esigenze informative o precedente carico pubblicitario di altra natura, spazio sufficiente all’esaurimento delle inserzioni regolarmente pagate, verrà attuata la seguente procedura: a) l’Editore comunicherà ai richiedenti l’eventuale mancanza di disponibilità alla pubblicazione per la data o le date indicate. L’Editore concorderà con l’inserzionista i tempi e gli spazi, se diversi da quelli richiesti, per la pubblicazione in altra data; se ciò non fosse possibile l’Editore procederà ad una riduzione proporzionale degli spazi richiesti onde garantire l’accesso a tutte la categorie interessate. b) Analogamente, qualora dovessero verificarsi fenomeni di accaparramento di spazi, l’Editore si riserva, per garantire concretamente la possibilità dell’accesso in condizioni di parità nonché l’equa distribuzione degli spazi tra tutti i soggetti che ne abbiano fatta richiesta, di ristabilire una pari condizione per i richiedenti, procedendo nel modo indicato nel precedente punto a).

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La vendita sarà effettuata presso l’Editore. Nei testi degli avvisi pubblicitari dovrà apparire il “COMMITTENTE RESPONSABILE SIG. (persona fisica)…”(come da art.3, 2° comma, legge 10/12/93 n. 515). Gli ordini, come da art.3 legge 10/12/93 n.515, dovranno essere effettuati ( e quindi firmati ) da: a) i segretari amministrativi o delegati responsabili della propaganda, previa la loro identificazione ed attestazione della qualifica; b) i candidati o loro mandatari. Qualora il committente della propaganda elettorale a favore di uno o più candidati sia un gruppo, un’organizzazione, un’associazione di categoria, un movimento, un partito, etc., occorre la preventiva autorizzazione (scritta) del candidato o del suo mandatario. La fattura andrà emessa a: a) segretari amministrativi o delegati responsabili della propaganda; b) candidati o loro mandatari; c) organizzazione/associazione di categoria, etc., previa autorizzazione, come sopra indicato. L’Editore dovrà rifiutare richieste di propaganda elettorale da parte di Enti della Pubblica Amministrazione ( come da art. 5 legge 10/12/93 n. 515 ). Per tutto quanto non meglio specificato si farà riferimento alla normativa vigente.

8.

L’Editore Associazione Centopassi


Fotodrome

Li’l Railway (foto di _Blippo_ su flickr.com)

Ras Jdir - Confine Libia - Tunisia (foto di Germano Cucinotta)


Stromboli (foto di Nicola Pino) Capo Milazzo e Vulcano (foto di _Blippo_ su flickr.com)


Ăˆ partita la campagna tesseramenti ARCI per l’anno 2012. chi fosse interessato e volesse avere maggiori informazioni:

arci.centopassi@gmail.com


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