Vivere del Serra - In Cammino verso la Luce

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Paolo Mirenda

VIVERE DEL SERRA

In cammino verso la Luce

Editrice «Il Quadrifoglio» - Livorno 1


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Paolo Mirenda

VIVERE DEL SERRA In cammino verso la Luce

Editrice «Il Quadrifoglio» - Livorno 3


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A Tommaso e Simone nipoti amatissimi. Perché dalla lettura di questa “poca cosa” possano trarre elementi di religiosità, onestà e saggezza nella vita. Nonno Paolo

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PRESENTAZIONE

Paolo Mirenda in questa raccolta di suoi scritti e conferenze riesce ad unire vari aspetti della religione, della scienza, della società odierna. In essi cita grandi personaggi da Newman a Paolo VI, ma sopratutto riesce ad approfondire, con capacità e stile quei dualismi (di coscienza e fede, relazionismo ed evoluzionismo) che spesso sono al centro delle discussioni generali. È veramente un ottimo lavoro, in quanto permette di non disperdere una ricchezza di studi riproposti, che altrimenti sarebbero caduti nel dimenticatoio. Credo si possa dire che il centro di tutto gira intorno a quel “Cristo il Pedagogo” perché in quel brano il Signore Gesù è definito nella sua pienezza di uomo, maestro, luce, servo ed attraverso la citazione di diverse parabole si arriva alla definizione di Cristo Amore. Infatti, solo comprendendo ed accogliendo l’amore di Cristo potremo comprendere la vera dimensione nella quale scienza e fede non sono in contrasto ma si completano l’una con l’altra. Grazie quindi a Paolo che ha avuto questa capacità di raccolta e sopratutto l’intuizione di non disperdere un tesoro prezioso, che certamente sarà utile a tanti. Mons. Paolo Razzauti Vicario Vescovile Rettore del Seminario diocesano Marzo 2013

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Due parole al lettore

Un desiderio che non mi è stato possibile realizzare: Curare e pubblicare i testi delle conferenze degli illustri oratori delle varie discipline, invitati durante la mia biennale Presidenza. Sono stati tanti e di grande interesse. Ho deciso, quasi in riparazione, di raccogliere e offrire al club alcuni dei personali interventi ispirati ai temi svolti, in parte pubblicati dalla nostra rivista “il serrano” e altri periodici. Compilati in tempi diversi, alcuni volutamente non modificati, soffrono di aggiornamenti. Non viene meno il principale motivo prepostoci. Invogliare a curare, pubblicare le conferenze che il club svolge nell’annuale attività sociale, perché costituiscono un patrimonio culturale da diffondere e sul quale è sempre utile riflettere. E poi una testimonianza di fede nel Serra e di amore per i Serrani. L’A.

Un sentito e affettuoso ringraziamento al caro amico dott. Giovanni Giorgetti, senza il suo appassionato contributo “questa mia poca cosa” non avrebbe visto la luce.

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Brevi di storia del Serra Internazionale

Il movimento serrano nasce nell’inverno del 1934-35 a Sattle negli Stati Uniti ad opera di laici cattolici con lo scopo di sostenere e promuovere le vocazioni sacerdotali. La denominazione Serra ha origine, dal nome di un frate dell’Ordine dei Minori Francescani che si impose di portare il Vangelo, grazie ad uno straordinario impegno missionario, ai popoli nativi dell’America. Profuse il seme della fede cristiana in Messico e in California. Padre Junipero Serra nacque il 24 novembre del 1713 a Petra di Maiorca delle isole Baleari. Professore di teologia e filosofia dell’Università di Palma di Maiorca preferì, alla brillante carriera universitaria, il gravoso impegno evangelizzatore. La sua opera di evangelizzatore e civilizzatore, di promotore del più autentico sviluppo umano, lo elevò alla più alta considerazione sì da essere ritenuto uno dei personaggi più eminenti della storia degli Stati Uniti. Oltre 200 monumenti di riconoscimento testimoniano l’opera religiosa e umana dell’umile frate. Lo Stato della California ha fatto collocare la statua di Padre Junipero Serra, unico religioso, nella Hall of Fame di Washington. Chiuse gli occhi al mondo il 28 agosto del 1784. Giovanni Paolo II lo ha beatificato il 25 ottobre del 1988. I club che portano il suo nome sono diffusi in tutti i continenti.

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Il Serra club a Livorno

L’incorporazione al Serra internazionale del Club di Livorno porta la data del 18 novembre del 1978. In quella occasione il Vescovo Alberto Ablondi che ne era stato patrocinatore disse ai primi Serrani: Siate insegnamento, testimonianza, promessa della Chiesa. L’idea di un club Serra livornese era stata portata in città da Giovani Casaleggio socio del club di Genova dove era sorto il primo club d’Italia. I primi Serrani, furono Renato Ampola, Mario Bartoli, Carlo Donato, Angelo Leonardini, Angelo Tomaselli, Franco Cobal, Giuliano De Victoris. Questi ed altri illustri nomi promossero i primi passi del club a Livorno. Non è possibile, anche per la caratteristica di questa nostra iniziativa, citare tutti i Serrani che si sono distinti in un’opera feconda, per costruire il solido fondamento, sul quale si regge ancora il club livornese, tra i più attivi del distretto di appartenenza. Diversi nostri soci, oltre a caratterizzare la vita del club locale hanno rivestito importanti incarichi distrettuali, nazionali ed internazionali. Ricordiamo Giovanni Novelli Presidente del Consiglio nazionale (CNIS) e Presidente Internazionale; l’ammiraglio Alfredo Brauzzi, Presidente del CNIS; Romano Pellicciarini, già Presidente della Fondazione Junipero Serra ed ora Trustee Internazionale. Le indicazioni del primo momento suggerite dal Vescovo Ablondi che con ecclesiale zelo ha seguito la vita del Club non sono state tradite. Nel Serra livornese, dal suo sorgere, impulso, amore, passione, scienza evangelica elargisce il cappellano don Ezio Morosi. Sua Eccellenza Mons. Ablondi conclude la cerimonia dell’incorpo- Non da meno l’amorevole assistenza dei razione 12


Vescovi Alberto Ablondi, Diego Coletti e Simone Giusti. L’attività serrana si snoda anzitutto con riunioni di preghiera comunitaria. Si immerge altresì nel mare della vita cittadina per gettare, cogliere e coltivare il seme del cristianesimo e della cristianità anche per mezzo di contributi di illustri personaggi del mondo cattolico, della cultura, delle scienze, della filosofia, della sociologia, della giurisprudenza, della storia, della politica. Sarebbe bello poterli citare tutti. Li ricordiamo tutti in uno S.S. Benedetto XVI quando da cardinale l’11 marzo del 1996 trattò il tema: Il prete nel mondo d’oggi, ministero e vita dei sacerdoti. Trentesimo del club Sabato 22 novembre 2008 presso il Santuario della Madonna delle Grazie in Montenero, il Serra di Livorno, ha celebrato il 30°anno della fondazione. La S. Messa è stata celebrata da Mons. Simone Giusti. Una particolare preghiera in quella occasione è stata rivolta alla Madonna Santa Maria delle Grazie. I Serrani, chiamati a testimoniare il Vangelo nella società, ad individuare e coltivare in essa l’humus più fecondo dal quale sbocciare vocazioni cristiane e sacerdotali in particolare, nella ricorrenza del 30° anniversario della fondazione del club in Livorno, sono davanti alla tua immagine venerata in questo Santuario per implorare benedizione e grazie. Per dirle, con animo devoto e pieno di speranza, consapevoli delle nostre debolezze: Madre nostra Ti esprimiamo il profondo travaglio a causa della povertà delle vocazioni sacerdotali nella nostra diocesi. Madre santa Ti vogliamo nostra avvocata perché dal Tuo Figlio, grazie a Te, possiamo ottenere tante vocazioni. Ti preghiamo: Suggeriscici ed illumina le attività che intraprendiamo. Sostieni il nostro Vescovo, la gerarchia ecclesiale, il laicato cattolico nella difficile azione evangelizzatrice di una società secolarizzata che sembra volere fare a meno di Dio. Fai che ci accolga, ci intenda anche quali portatori di valori per un vivere civile migliore. Rivolgi il Tuo sguardo benigno verso i nostri sacerdoti che vivono nel bisogno. I Serrani guardiamo con tenerezza ed amore la tua serena ed amabile immagine che 13


da questo Santuario benedettino protegge la nostra città ed il nostro mare. In te sentiamo palpitare il cuore di Madre che benevolmente ci ascolta ed accoglie la nostra preghiera. A te ci affidiamo, unitamente al nostro beato Junipero Serra che parimenti invochiamo. Ave mater gratiae Ave advocata nostra Ave maris stella Monstra te esse mater (Per i tuoi figli. p. m.) Alle ore 12 cerimonie del trentennale e conferenza del Prof. Paolo Mirenda: Giovanni Maria Vianney, il Curato di Ars. Alle 17, concerto in Chiesa dell’Essemble Bacchelli.

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DUC IN ALTUM “PRENDI IL LARGO E CALATE LE VOSTRE RETI PER LA PESCA” (LUCA 5.4)

È il motto dell’anno sociale compreso nel vasto tema suggeritoci dal Presidente nazionale. “La società, la cultura e le vocazioni, ecco l’impegno del serrano”. A tutti voi è noto l’episodio evangelico della pesca miracolosa narrato da Luca. A me piace brevemente rappresentarvelo. All’invito di Gesù, Simone risponde: “Signore abbiamo faticato tutta la notte senza prendere nulla, ma sulla tua parola calerò le reti”. Calatele, raccolsero una moltitudine così grande di pesce che le reti rischiavano di rompersi. Simone allora esclamò: “Signore allontanati da me perché sono peccatore”. E Gesù “Non temere da ora innanzi sarai un pescatore di uomini”. Il brano evangelico è ricco di significati. Su di uno fermiamo la nostra attenzione. “Non temere da ora innanzi sarai pescatore di uomini”. Quelle parole le sento rivolte anche a noi. Non ci è dato rimanere inoperosi. Il nostro posto è nel mare della vita: ● ●

A testimoniare la Fede. A gettare e coltivare il seme del cristianesimo e della cristianità.

La nostra strategia non possiede armi offensive, è dotata di un blasone, un’arma bianca: L’indole secolare che ci consente di entrare in ogni angolo della società: La famiglia, il lavoro, la cultura, la politica. Angoli che occorre ben conoscere perché vertiginosamente cangianti. Scrive recentemente il card. Tettamanzi: “Urge la necessità di testimonianze cristiane laicali nella vita civile e politica della comunità cristiana è di poco aiuto un laicato che si muove e agisce solo in difesa, che si sente affetto da inadeguatezza urge un laicato maturo e non sbiadito”. 15


Abbiamo orecchie per intendere? È l’uomo che interessa la Chiesa perché è la sua via principale; è l’uomo che deve interessare noi che nella Chiesa, siamo operai per il suo sviluppo religioso, spirituale, morale, civico e materiale. Questa è cultura di vita, di libertà, di amore per il bene comune. Ed è cultura in positivo, diversa da quella suggerita dal relativismo e da un esasperato razionalismo. Per questa cultura, la dottrina sociale della Chiesa, vasta e puntuale, obbliga i laici ad occuparsi di politica, di politica-servizio, che è donazione di sé agli altri. Amici Serrani, La società è la nostra vigna, lì dobbiamo impegnarci. Molti sono i problemi che la attanagliano. Sempre più lontani da Dio, sempre più lontani dalla morale. “La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca”. (Paolo VI) Quella rottura spetta anche a noi sanarla. È pura follia ritenere ingerenza della Chiesa nella politica del paese, quando con la sua dottrina difende i diritti della persona umana. E proprio impossibile intendere che essa ha il diritto di difendere la persona, richiamandosi indefessamente ai valori antropologici? Sia poi ben presente alla nostra mente che: Nella Chiesa pulsa la dinamica dell’amore suscitato dallo Spirito Santo. Che il compito di operare per un giusto ordine nella società è invece proprio dei fedeli laici... chiamati a partecipare in prima persona alla vita pubblica. (Deus caritas est). I laici non possono pertanto abdicare alla molteplice e svariata azione economica, sociale, legislativa, amministrativa, culturale, destinata a promuovere organicamente, istituzionalmente il bene comune. (Christifideles laici). Fermo resta che l’ordine, la giustizia di uno Stato è compito della politica e non della Chiesa che può esprimere pareri e ispirare azioni in ambito temporale, forte dell’Amore per l’uomo via della Chiesa, come espressi nei documenti del Magistero dalla Rerum Novarum 1891, alla Centesimus Annus 1991. I mali che originano nella società si riversano sulla famiglia, nella quale non mancano segni di preoccupante degradazione di alcuni valori fondamentali. La stessa unione matrimoniale sacramentale non è certo esente da espressioni egoistiche che segnano il tradimento di quel cemento amoroso che è dono, che è grazia. 16


In quanti vivono una vita di coppia, in quel tipo di unioni anomale, anche tra persone dello stesso sesso, non c’è certo amore. La loro vita è scandita da sterili intese, quando non dominata da bieco egoismo. Come non ricordare poi alcuni passi dell’omelia pronunciata a Valencia, recentemente, in occasione dell’appuntamento internazionale sulla famiglia, di Benedetto XVI? “La famiglia fondata nel matrimonio indissolubile tra un uomo e una donna, è l’ambito dove l’uomo può nascere con dignità, crescere e svilupparsi in modo integrale. E poi un grido di speranza e di amore rivolto al nostro paese: “L’Italia difenda i valori della famiglia”. Quasi a ritenere che nel nostro paese vi sia la forza adeguata a contrastare le forze del male, invitandola a stare in prima linea in una lotta che vede il Cristianesimo fortemente minacciato e con esso, l’uomo creatura di Dio. Amici Serrani, Un pensiero rivolgo al Seminario, luogo di formazione dei futuri presbiteri. È angoscioso vederli vuoti. È nostro principale dovere, amare e sostenere i giovani. Forse nei giovani d’oggi manca “il cromosoma mistico”. È a essi che dobbiamo rivolgere la frase sinodale nella speranza che venga recepita: “A voi, cari giovani, che amate i sogni, proponiamo questa nostra speranza come il migliore dei vostri sogni”. È la speranza di donarsi a Cristo per servire la sua chiesa. Non ci deve sfuggire che il futuro della Chiesa sarà difficile. Il cardinale J. Ratzinger nel 1973 (da Geliepte Kirche) scrive: “Dalla crisi della Chiesa scaturirà una Chiesa che ha perso molto. Diventerà più piccola e dovrà cominciare proprio daccapo. Credo di essere sicuro che la Chiesa debba attendersi tempi difficili. Non è ancora iniziata la sua vera crisi. Dovrà aspettarsi notevoli scosse su ciò che alla fine rimarrà non la fede del culto politico, bensì la Chiesa della fede”. E Paolo VI: “Ciò che mi colpisce quando considero il mondo cattolico è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero del tipo non cattolico e può avvenire che questo pensiero non cattolico diventi domani il più forte. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo che sia. Ciò che manca in questo momento al cattolicesimo è la coerenza”. Gli fa eco Benedetto XVI: “La Chiesa assumerà altre forme, sarà meno simile a una società di massa e sarà sempre più una Chiesa di minoranza... proprio così ritornerà a essere in senso biblico il sale della terra”. I segni premonitori di queste profezie ci sono. Il destino della Chiesa però non è nel pensiero degli uomini, ma nella volontà di Chi l’ha creata. Noi dobbiamo sperare e attivamente operare, anche se Gesù fa dire a Luca: Quando il Figlio dell’uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra? 17


Una breve citazione desidero ancora farvi: La Parrocchia. È l’avamposto nel mondo del cristianesimo e della cristianità, luogo di culto, ma anche luogo di amore e di carità. Dobbiamo farci meglio conoscere dai nostri parroci per programmare azioni che attengono i peculiari compiti dei Serrani. Desidero proporvi che un Serrano nella messa della domenica, almeno una volta al mese, ricordi ai fedeli, il nostro club, i suoi obiettivi, nella preghiera. È necessario che noi uniamo le nostre, alle forze della parrocchia. Le conferenze che proponiamo per Noi e per la nostra società attengono tematiche di fede, cultura di cultura vocazionale, religiosa, civica. Spazio è dedicato alla laicità intesa come identità peculiare di parte della Chiesa che opera nel suo credo. Non mancano temi celebrativi e di attualità. Ciò nell’intento di una presenza massiccia tesa a evangelizzare, a spendersi per nuove vocazioni, a misurarci con tutte le componenti sociali, religiosamente e civilmente. Amici Serrani, Vorrei vedere i segni di un maggiore slancio, di un salto di qualità, per il nostro club! Non possiamo tradire la sua storia, non possiamo tradire la memoria di quanti in passato lo hanno onorato e distinto. Operai di un’immensa vigna, sia pure con forze limitate, rimbocchiamoci le maniche e facciamo la nostra parte, perché il terreno da arare sia meno arido, senta il profumo della nostra fatica che getta nella terra per marcire, fermentare, il seme di una nuova evangelizzazione, anche per la nascita di tante sante vocazioni. ● ● ● ● ●

Crediamo nel Serra; Operiamo con una maggiore intensità nella società; Operiamo congiuntamente con le associazioni a noi affini, con gli uffici diocesani, con le parrocchie; Condividiamo il pensiero di Benedetto XVI: Il cristianesimo può essere anche una religione civile per quanti non hanno il dono della fede; E anzitutto preghiamo e poi preghiamo. Il colloquio con Dio è l’arma più sicura per concretizzare le nostre buone intenzioni.

Desidero chiudere la mia riflessione sull’illustrazione del programma 2006-2007, con una preghiera, che non è mia. È così bella e suggestiva che l’ho adottata per porre l’accento sulle ambizioni di una presidenza difficile. lo so che il cammino non è facile e la mia missione è piena di difficoltà. lo so che la tentazione può essere violenta e lo scoraggiamento schiacciante. 18


lo so che la mia barca è piccolina e tanto grande è il mare. lo so che stare in alto è faticoso e c’è pericolo di scivolare ma so anche che tu signore, preghi per me e questo mi incoraggia, mi conforta, mi basta. Don Ezio Morosi Cappellano del club La luce del Vangelo rischiari le tenebre di un mondo che sembra poter vivere senza Dio; trionfino i valori più veri della vita; l’uomo si accorga che senza Fede, senza Carità, senza Speranza, il suo cammino sarà tortuoso, difficile. La Madre di Dio, MARIA, ci aiuti a sostenere i nostri propositi. Il beato J. SERRA interceda per noi, benedica i nostri sforzi. 15 Settembre 2006 Apertura anno sociale Pubblicato nel “il serrano” n. 104. 2006

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Serra club Livorno attività sociale 2006-2007, 2007-2008 TEMA DELL’ANNO: DUC IN ALTUM!

Anno sociale 2007-2008. “Prendi il largo e calate le vostre reti per la pesca”. LUCA 5,4 SETTEMBRE Venerdì 15 apertura dell’anno sociale alla presenza di S. E. Diego Coletti Vescovo di Livorno. Lunedì 25 conferenza di Mons. Luca Bonari direttore del C.N.V.: la vocazione missionaria dei laici al servizio di tutte le vocazioni. OTTOBRE Martedì 10 conferenza di Mons. Diego Coletti: non c’è cristianesimo senza speranza. Lunedì 23 conferenza del prof. Mario Primicerio, Presidente della fondazione Giorgio La Pira: Europa, il futuro nel nome di La Pira NOVEMBRE Lunedì 20 conferenza del prof. Severino Dianich: La chiesa a quaranta anni dal concilio. DICEMBRE Lunedì 5 conferenza del prof. Amedeo Cencini della Pontificia Università Salesiana: Psicologia delle vocazioni presbiteriali, alle radici della crisi vocazionale. GENNAIO Lunedì 8 visita del Governatore del distretto 71. Lunedì 22 conferenza del prof. Massimo Ermini e della dottoressa Laura Guerrini della Università di Pisa: Bioetica e Eutanasia. FEBBRAIO Lunedì 5 conferenza del prof. Stefano Semplici della Università Tor Vergata di Roma:

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Pluralismo e Relativismo uno sguardo dalla filosofia politica. Lunedì 19 conferenza di mons. Ezio Morosi: Il prete e la sua immagine. MARZO Lunedì 5 conferenza di don Andrea Brutto rettore del seminario vescovile: La formazione dei presbiteri oggi. Sabato e Domenica 17-18 ritiro spirituale meditazioni a cura di mons. Ezio Morosi. APRILE Lunedì 23 conferenza di don Giovanni D’Ercole della segreteria di Stato del Vaticano: La cultura della eucaristia per una società dell’amore. Domenica 29 Serra day, santuario della Madonna delle Grazie di Montenero. Primo incontro dei Serrani della Toscana. MAGGIO Lunedì 21 rinnovo delle cariche sociali. Lunedì 28 conferenza del dott. Pier Luigi Vigna magistrato: Giustizia e Carità binomio inconciliabile? GIUGNO Lunedì 11 conferenza del prof. Ludovico Galleni: Creazionismo e Evoluzionismo, Dio e Darwin è tempo di dialogo. Lunedì 25 chiusura dell’anno sociale.

Anno sociale 2007-2008. SETTEMBRE Venerdì 21 Apertura dell’anno sociale. Tema: Adolescenza: Ribellione, crisi, ricerca di un’identità. In collaborazione con altri club della città. OTTOBRE Lunedì 22 Conferenza di Mons. Paolo Razzauti: Cristianesimo e cristianità nella chiesa e nella società livornese. 21


NOVEMBRE Lunedì 5 Conferenza di don Gustavo Riveiro su: Il turismo, uno spazio per la pastorale? Lunedì 23 Conferenza del Prof. Francesco D’Agostino, Ordinario di filosofia del diritto dell’Università Tor Vergata Roma: Una corretta biologia alla base della bioetica. DICEMBRE Lunedì 3 Conferenza del Prof. Andrea Salvini Professore di Sociologia dell’Università di Pisa: Emergenza educativa, il grave silenzio. GENNAIO Lunedì 21 Conferenza del Prof. Francesco Busnelli Ordinario di Diritto civile del S. Anna di Pisa: L’identità della persona umana tra natura e artifizio. FEBBRAIO Lunedì 4 Celebrazione del bimillenario della nascita di S. Paolo. Conferenza di Padre GiovanBattista Damioli: L’Incidenza di Gesù Cristo sulla vita e sulle opere di S. Paolo. Venerdì 15 Conferenza della Prof.ssa Angela Pelliciari: I Papi e la Massoneria. MARZO 1-2 Ritiro spirituale a cura di Mons.Ezio Morosi cappellano. Lunedì 3 Incontro Lyons Serra commemorazione del socio di entrambi i club Giovanni Novelli. APRILE Lunedì 7 conferenza del dr. Davide Zolesi: Nel mondo ma non del mondo l’esperienza cristiana di un giovane laico. Domenica 13 Serra day della Toscana Santuario della Madonna delle Grazie di Montenero. S. Messa ore 12.Conferenza del Vicario Generale della diocesi Mons. Paolo Razzauti: Vocazione e Vita un seme da coltivare. Domenica 27 gita sociale a Quercianella. Visita di una parrocchia. MAGGIO Incontro con i Seminaristi e i novelli Presbiteri. Lunedì 23 chiusura dell’anno sociale.

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Servi del club

Cari Soci, Quando nel 2006 ho assunto la Presidenza del nostro prestigioso club, mi sono presentato a Voi con il motto Duc in altum: “Prendi il largo e calate le vostre reti per la pesca”. Con le parole dell’evangelista Luca ho inteso fare nostro ed esaltare il tema di lavoro suggeritoci dal Presidente nazionale: La società, la cultura e le vocazioni, ecco l’impegno del Serrano. Con quel motto ho voluto altresì vivere e far vivere le parole: “Tuffatevi nel mare della vostra storia ed evangelizzate” di Papa Giovanni Paolo II. Da quelle frasi ho ricevuto, passione, ispirazione da trasmettere anche a voi, per meglio operare. E insieme abbiamo intrapreso un faticoso cammino, concepito ed espresso un programma, volto anzitutto a precisare la vocazione missionaria dei Serrani al servizio di tutte le vocazioni, la figura del prete, la sua formazione, la psicologia delle vocazioni presbiteriali, e anche le radici della loro crisi. ●

Abbiamo toccato la sostanza del cristianesimo: “La cultura dell’Eucaristia” vitale per una società fatta di amore, di carità, di giustizia e di speranza, senza le quali non c’è cristianesimo.

L’Eucaristia! Cosa non dovremmo fare al pensiero che prigioniero d’amore per l’umanità, sotto le povere spoglie di un pezzo di pane, dimora il Salvatore, crocifisso e risorto per Noi? Eppure spesso, molto spesso, lo lasciamo solo, anche quando il nostro passo tocca la soglia di una Chiesa. “Eucaristia, mistero da celebrare, mistero da vivere, mistero da annunciare”. “E poiché il mondo è il “campo” (Mt.13,38) in cui Dio pone i suoi figli come buon seme, i cristiani laici, in forza del Battesimo e della Cresima corroborati dall’Eucaristia, sono chiamati a vivere la novità radicale portata da Cristo proprio all’interno delle comuni condizioni della vita (Christi fidelis laici 14,16) essi devono coltivare il desiderio che l’Eucari23


stia incida sempre più profondamente nella loro esistenza quotidiana, portandoli a essere testimoni riconoscibili nel proprio ambiente e nella società tutta (ivi.) Benedetto XVI in Esortazione apostolica, Sacramentum caritatis 22 febbraio 2007". ● ● ●

Ci siamo affacciati a guardare la politica della Chiesa post-conciliare e il futuro della politica nostrana in Europa, nel nome di Giorgio La Pira. Abbiamo osato presentare alla nostra società, tematiche come: “Giustizia e carità binomio inconciliabile?” E perfino, Dio e Darwin: è momento di dialogo?

Ci siamo occupati della crisi dell’adolescenza, tema che per una felice intuizione è stato condiviso e celebrato con gli altri club cittadini. ●

“Dell’emergenza educazione: il grave silenzio”.

Di questo tema scrive il recente Consiglio dei Vescovi italiani (CEI): “La nostra preoccupazione è che il patrimonio dei valori e di fede del popolo italiano non vada smarrito nel passaggio delle generazioni. Per questo è necessario trovare tutte le strade per sostenere le famiglie e parlare ai giovani, anche a quelli apparentemente più lontani.” (Michele Castoro, vescovo di Oria). E Adriano Caprioli, Vescovo di Reggio Emilia Guastalla: “L’emergenza educativa, prima ancora che sui contenuti (peraltro necessari, anzi indispensabili) si risolve sulla capacità di relazione. Nessuno oggi può pensare di educare i giovani da solo. Occorrono reti di solidarietà e di aiuto reciproco tra scuola, famiglia e parrocchia senza escludere il mondo del lavoro. È fondamentale che tutti creino un ambiente culturale nel quale i giovani possano essere invogliati a passare dal permissivismo all’assunzione di responsabilità. In questo specifico ambito dunque, le nostre comunità ecclesiali possono e devono dare un grande contributo”. “E tanto questo contributo sarà importante, aggiunge Simone Giusti, Vescovo di Livorno, quanto più farà riferimento ai grandi valori del Vangelo. “Una certa impostazione di stampo laicista, che vede la formazione solo come trasmissione di nozioni, sta mostrando tutto il proprio fallimento”. È tempo di tornare a educare Gervasio Ristori, vescovo di S.Benedetto del Tronto dice necessaria la costruzione di una “rete tra le agenzie educative” chiamando in causa la famiglia, la scuola, la comunità ecclesiale. Quanti stimoli ci arrivano dalla Chiesa che ci invita a educare evangelizzando una società 24


che ha assoluto bisogno di rieducazione e di rievangelizzazione! Nell’ambito del lavoro: “Dell’esperienza cristiana di un giovane laico”. ● ●

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Dell’identità della persona umana tra natura ed artificio. E poi “una corretta antropologia alla base della bioetica” a precisare che non ci sono una bioetica cristiana e una laica; ma una sola bioetica quella che si fonda sui principi antropologici. Abbiamo disturbato il turismo ritenendo che anche in questo momento culturale e ricreativo vi potesse essere spazio per la pastorale. Ed ancora: “I Papi e la Massoneria”, Il Modernismo “combattuto dalla Chiesa con metodi a volte non immuni da errori con lo scopo di “Instaurare omnia in Christo”.

Sempre le radici del male debbono essere recise, per un futuro migliore! Il ricordo di quel tempo c’è ancora oggi di monito! L’attualità del modernismo, sotto forme diverse, è ancora oggi presente: “Il fumo di Satana ormai è entrato nel tempio di Dio”. E il cristiano e il serrano non possono sottovalutare questo pericolo incombente, anzi da testimone del Vangelo quale si chiede di essere, deve contrastarlo con fermezza non disgiunta all’amore di quanti vivono nell’errore. ● ●

Abbiamo commemorato S.Paolo l’Apostolo delle Genti, nel bimillenario della sua nascita, come voluto dal Santo Padre. Quasi incontrandoci nel pensiero del nostro Vescovo Simone, abbiamo voluto leggere con la conferenza “cristianesimo e cristianità della chiesa e nella società livornese” il contesto socio-religioso nostrano, come a tendere a contribuire all’interrogazione posta nel documento episcopale recente, che tra l’altro si interroga sull’argomento, nel programma “Annunciare Gesù vero volto di Dio”.

Ci è sembrato scorgere in quel documento, la necessità del nostro nuovo Pastore di voler presto conoscere la vigna e gli abitanti che gli sono stati affidati dalla Provvidenza. A tal proposito siamo dell’avviso che solo da una corretta diagnosi si può accedere a un’idonea terapia, che esige coraggio nel praticarla. E noi Serrani, Eccellenza, siamo al suo fianco con le poche forze che abbiamo ma con tanta convinzione e passione, da adulti nella fede come vorremmo essere. La preghiera che abbiamo cercato di intensificare, le nostre meditazioni personali e quelle d’insieme, guidate dal nostro cappellano mons. Ezio Morosi; l’invasione della società nella quale viviamo, portando la testimonianza di fede possibile, la nostra cultura, i valori antropologici della cristianità, la lettura socio-religiosa, il bisogno spirituale, sono stati i mezzi che abbiamo messo in essere, nell’intento di preparare una vigna con meno gramigna al 25


Grande Seminatore perché lì facesse cadere il seme vocazionale del presbiterato e di ogni chiamata particolare volti a preparare il regno di Dio, nel nostro mondo. Laici, al servizio della Chiesa, abbiamo cercato di esprimere e promuovere la cultura della vita. Nel nostro intendimento operativo per il futuro, vi è la volontà di non agire da soli, ma di tentare di sprigionare nel mondo cattolico un’azione d’insieme, certamente più efficace, per dar senso alla nostra identità di club, ma soprattutto per l’esercizio di una profonda e vasta opera di evangelizzazione, con i necessari suggerimenti dell’Ordinario vescovile. Amici, Il Serra è stata la mia vigna. Per due anni in essa da capo-operaio, con voi, ho versato la fatica e l’amore possibili, per indirizzare la navigazione di una barca, verso approdi più sicuri e più redditizi. Non so con quali risultati. So, di avere ricevuto un lauto compenso. ● ● ● ● ● ● ●

Ho imparato a pregare di più e meglio. Ho imparato ad amare di più il mio prossimo. Ho corroborato la mia Fede Ho creduto di più nel nostro Credo, nel mio battesimo. Mi sento più vicino alla mia Chiesa. Ho imparato a servire. Forse anche a testimoniare la mia Fede.

È stato detto “Quando il Figlio dell’Uomo tornerà sulla terra, credete voi che troverà ancora un po’ di fede sulla terra”? Questo pensiero mi dà angoscia sollevata solo dalla speranza cristiana che mi conferisce la certezza che la Chiesa vivrà perché la sua natura non è umana. E infine. Imprimiamo bene nella nostra mente: Non c’è Chiesa senza Eucaristia, non c’è Eucaristia senza preti! Da qui si sprigiona il nostro essere Serrani. Un pensiero affettuoso, augurale rivolgo a quanti da pochi giorni sono diventati sacerdoti. Una speranza coinvolge e assilla tutti noi. Che il nostro seminario abbia tanti candidati al sacerdozio! Questi auspici possono realizzarsi solo se l’uomo e la società non avranno paura del Vangelo e se sapranno vivere di speranza e di amore. Se intenderanno che è l’Amore a farli vivere, redimerli e plasmarli secondo i valori antropologici ai quali la cultura cristiana ha dato e dà tutto. 26


La società deve accettare e non contrastare la figura del prete che oltre alla sua principale azione ministeriale, svolge un’indispensabile attività educativa, civica, sociale. In questo compito, è nostro desiderio che Chiesa e Istituzioni agiscano in perfetta sintonia. L’uomo nella sua soggettività necessita di entrambi i contributi. I Serrani dovranno pur ricordare che l’opera missionaria del beato Junipero Serra è stata quella di educare evangelizzando. È questo il nostro compito, Serrani e Amici che questa sera ci onorate della vostra presenza. Il cammino della vita per tutti è difficile, lo è meno, se con mano il Vangelo, fonte di tanta ricchezza per tutti ci educhiamo, ci evangelizziamo, per educare ed evangelizzare. Il Serra è un’associazione laica al servizio della Chiesa, rivolgendoci al nostro Pastore, come altre volte, Gli diciamo: Siamo al tuo servizio; vorremmo essere una forte spalla per la nostra Chiesa; accettaci con la forza che abbiamo, quella della falange del nostro più piccolo dito. Nel lasciare il servizio di presidenza mi interrogo ancora: cosa ho fatto? cosa di meglio e di più avrei potuto fare? Affollano la mia mente tanti interrogativi volti a giudicare il mio operato. I dubbi ci sono eccome! Mi tranquillizzano la buona fede nell’azione svolta e poi la certezza che il Dio della misericordia sa perdonare. Oh! Se non fosse così! Grazie Serrani, grazie Amici del Serra. Tirrenia, Hotel Continental 23 maggio 2008. Discorso pronunciato alla chiusura dell’anno sociale 2007-2008, il secondo del mio servizio presidenziale, alla presenza dell’Ordinario Vescovile mons. Simone Giusti di altre gerarchie ecclesiastiche, di Membri del CNIS, di seminaristi, delle Autorità civili, dei soci Serrani e amici del Serra. Pubblicato nel “Serra” periodico del Club di Livorno.

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Il Beato Junipero Serra

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1. Il Teologo che dava del tu al Creatore: J. H. Newman J. H. Newman: Il tormento di un’anima in viaggio verso la Luce

Cenni di biografia J. H. Newman nacque a Londra il 21 febbraio del 1801. Il 29 maggio del 1825 venne ordinato sacerdote anglicano. Fu Guida del Movimento di Oxford teso a proteggere l’Anglicanesimo dalle deviazioni dottrinarie protestanti. Si convertì al cattolicesimo nel 1845. Nel marzo del 1847, sacerdote della Chiesa cattolica. Ritornò in Inghilterra dove fondò l’Oratorio di San Filippo Neri. Fu nominato Rettore dell’Università di Dublino. È Autore di molti testi di apologetica, patristica, dogmatica, morale, esegetica, pedagogia, spiritualità. Tra gli altri: Il Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana; Il saggio, suo capolavoro, Grammatica dell’assenso; Letture sul cattolicesimo in Inghilterra; Perdita e guadagno, Storia di una conversione; Apologia pro vita sua (autobiografici); L’idea dell’Università; Prediche in vari volumi; Lettere e diari; Sermoni. Leone XIII nel 1879 lo volle cardinale riconoscendogli “genio e dottrina”. Coniò il suo epitaffio: Ex umbris et imaginibus in veritatem. Chiuse gli occhi al mondo l’11 Agosto del 1890 a Edgbaston. Il viaggio in cerca della vera Luce il cui barlume apparve in Sicilia In un profondo travaglio spirituale, la malattia contratta in Sicilia, la storia millenaria

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e le bellezze naturali dell’isola, costituirono elementi importanti per la conversione. In “My Illness” Newman descrisse il soggiorno nell’isola, la sua malattia e la maturazione spirituale che contribuirà a fargli lasciare l’anglicanesimo per la Chiesa cattolica. Con l’amico Hourrel Froude e il padre, intraprese un viaggio nell’Europa meridionale. Salparono da Falmouth l’8 dicembre del 1832 a bordo dell’Hermes. Toccarono Cadice, Gibilterra, Algeri, Malta, Zante, Patrasso, Corfù. Arrivarono a Messina l’8 febbraio del 1833. A Palermo “la più nobile città che abbia mai visto” il 10 febbraio. In carrozza raggiunse Segesta. “Non vi sono parole che possono descrivere l’effetto penetrante della vista del tempio solo in una desolata solitudine”. Aveva visitato prima Partinico, Alcamo, Calatafimi ed altre città. Il tempio che suscitò grande ammirazione in Lui, tra i più belli dell’antichità, è di stile dorico, costruito nell’ultimo trentennio del 5°secolo a.C. in una città elìma fondata da profughi troiani (Tucidide). Da Palermo, a Napoli e poi a Roma. Qui soggiornò fino all’8 aprile. Mentre i suoi compagni iniziavano il viaggio di ritorno in Patria, Newman ritornò in Sicilia “attratto a ritornare da un irresistibile amore per la Sicilia… regione interessantissima o meglio seducente”… territorio stupendamente bello”... mi sento attratto da essa, come da una calamita avevo due motivi per la mia venuta, vedere le antichità classiche e vedere questa terra.prima non sapevo che la natura potesse essere così bella”. Così scriveva il 5 giugno al suo amico Rogers. Si imbarcò a Napoli il 19 aprile, sul brigantino Sarepta, due giorni dopo, ancora una volta a Messina per il secondo viaggio in Sicilia. Lasciata Messina, a carico di un mulo, assistito da un aiutante, Gennaro, che aveva ingaggiato a Napoli, raggiunse Taormina: “vista superba, la più meravigliosa che avessi sperato di vedere”. “Quando dopo colazione, scrive Newman, con l’aiuto di un giorno chiarissimo salimmo al teatro e da lì osservammo la veduta, che cosa potrei dire? Come mai non mi sia reso conto 30


prima che la natura potesse essere così bella e che avere contemplato da lì quella veduta fosse l’accesso più vicino a vedere l’Eden stesso, più di quanto io potessi concepirlo possibile! Oh me felice, valeva la pena fare tutta quella strada, sopportare la solitudine e la tristezza del mio cammino e il logorio del viaggio per vederla. Con gli occhi aperti, per la prima volta nella mia vita, sentii che avrei dovuto essere migliore e ancora più religioso vivendo lì… non riuscivo a credere che non fosse un sogno”. “Proprio dal monte di Taormina egli sottolinea che quella condizione di bellezza non poteva non ispirare sentimenti più religiosi, la memoria della bellezza originaria di Dio… il rapporto stesso con Dio e con il mondo … Newman non ha mancato di notare le bellezze artistiche e naturali di Malta, della Grecia di Roma; ma è in Sicilia che comincia a sentire un richiamo che sa quasi di magica attrazione… E proprio qui che potrà vivere un momento singolare di auto trascendimento che gli consentirà di rivedere la sua vita al cospetto di Dio e di assumere impegni nuovi al servizio della Chiesa”. (C. Scordato). Visitò Giarre, Trecastagni, Nicolosi, Adernò (Adrano) alle pendici dell’Etna. A Catania il 29 aprile e poi a Siracusa “simile alle città ioniche… con strade strette, basse”. Dal 3 al 25 maggio visse in una zona interna della Sicilia, certamente la più depressa. A Leonforte si ammalò di un’infezione tifoidea, che lo costrinse a letto. Non ancora convalescente si trasferì a Castrogiovanni (ora Enna). È in questo contesto che Newman si apprestava a sposare la Chiesa di Roma. L’influente cornice di bellezza paesaggistica certamente gli venne in soccorso: “Posso dire solamente che prima non sapevo che la natura potesse essere così bella. La Sicilia è davvero un giardino. È come il giardino dell’Eden”. La bellezza, l’arte, la malattia, crearono nel suo animo condizioni favorenti una rivisitazione della sua appartenenza religiosa. “L’impatto di Newman con le testimonianze della classicità fu molto forte. Le visite ai monumenti, provocando un profondo coinvolgimento culturale e talvolta emotivo, riuscivano a suscitare anche un coinvolgimento sul piano religioso .non senza essere seguite da un momento di ulteriore riflessione e rievocazione, emergenti sia nelle lettere che nelle poesie… Newman non esita a riconoscere la presenza del divino che traspare proprio dalla stessa forma architettonica. Egli individua la valenza religiosa nella semplicità dell’architettura e nella prorompente bellezza delle forme”. …Newman può spingersi a riconoscere anche la presenza di “santi” in mezzo a questi atri, cioè di persone che, nonostante la loro appartenenza pagana, non possono non avere vissuto o almeno intravisto la santità di un rapporto con la divinità”. (C. Scordato). “Chi può dire se uomini santi non camminarono in mezzo agli atri fino a quando l’orgoglio della scienza e della letteratura non spense quei raggi che erano stati provvidenzialmente lasciati tra loro?”. Questo Egli scrive. Il tema dei “santi pagani” ha avuto grande spazio nella riflessione patristica e alessandrina in particolare… Newman era testimone privilegiato di questa prospettiva patristica che gli 31


consentiva di avvertire le tracce della santità di Dio nella vita di quegli uomini che avevano calpestato il santo suolo del tempio”. (C. Scordato). “La Patristica, la scala sulla quale sono salito per entrare nella Chiesa”. Il soggiorno nell’isola, il tormentato soggiorno, durò fino al 18 giugno. Il 9 luglio del 1833 raggiunse casa a Iffley segnato dalle sofferenze. Si era imbarcato a Marsiglia su un mercantile che trasportava arance. La malattia salvatrice La malattia di Leonforte in Newman costituì un pregnante elemento alla profonda rivisitazione del suo essere cristiano contribuendo a fargli conquistare una nuova e più profonda identità religiosa e spirituale. “Leonforte e Newman si incontrano nel segreto della storia e nelle ragioni dello spirito.” “La febbre quasi fatale guida Newman a una scoperta di se stesso…. sta scoprendo valori e ideali che danno senso alla sua vita. La febbre aveva bruciato il suo passato spingendolo alla ricerca di nuovi obiettivi”. (G. Collins, Sj.) Nella cittadina occupò una stanza in una modesta locanda, assistito dal suo servo. Soffrì, nella solitudine, si ritenne sul punto di morire. Costretto a letto spesso gli fu di conforto il suono dei musicisti girovaghi che gli giungeva dalla finestra aperta sulla strada. In quella musica, quasi una medicina, sentì che non era solo nella sua sofferenza; il cuore della Sicilia era con lui quasi a dirgli: ce la farai, siamo con te. “Nella desolazione mia più profonda venne allora a riconfortarmi la musica dei musicisti girovaghi …la musica pareva quella dell’arpa e del clarinetto”. Scrive G. Cristaldi: “La musica dei girovaghi siciliani non era quella raffinata di Beethoven, ma portava l’eco di nenie antiche, sedimentate e riespresse nel cuore antico della Sicilia. E i musicisti girovaghi questo cuore antico lo facevano palpitare accanto al cuore dello straniero ammalato. Nel lamento che è preghiera, nella musica che è conforto, nel dialetto che si fa comunicazione, Newman ha colto… tratti caratteristici dell’anima siciliana”. E Newman: “Il primo giorno, mentre ero disteso a letto, sopraggiunsero molti pensieri. Sentivo che Dio stava lottando contro di me e sentii alla fine di conoscere il perché: era a causa della mia ostinazione… però sentivo e continuavo a dire a me stesso, non ho peccato contro la Luce… e ci fu un momento in cui ebbi una comprensione assai consolante e 32


sconvolgente dell’amore di elezione di Dio e mi sembrò di sentirmi suo. “Non penso che morirò … Dio ha ancora per me un lavoro da compiere”. La Grazia iniziava a plasmare il suo cuore e la sua mente. “Dio mi sta dando una severa lezione di pazienza e ho fiducia di non stare sprecando, nell’insieme, questa ammonizione. Ciò è sua volontà. Mi sforzo di pensare che, ovunque io sia, Dio è Dio e io sono io”. “Ora, nella solitudine siciliana, nel fuoco interiore della purificazione che accompagna i sussulti della malattia, Newman sperimenta una nuova conversione passando da una fede insidiata dall’orgoglio ad una fede disponibile della novità di Dio.” (G. Cristaldi). In Sicilia Newman incontrò e si scontrò con Dio. “Il ricordo del tempo da lui trascorso in Sicilia fu insieme commosso e felice. Egli ricordava sia l’incomparabile e affascinante bellezza dell’isola sia la sofferenza che aveva provato, quella sofferenza che poi sbocciò nella resurrezione”. (A. Hilary). Il dubbio: che la chiesa anglicana non fosse nella verità, che non fosse la sua chiesa! “Non potevo continuare in questo stato, né dal punto di vista del dovere, né dal punto di vista della ragione. La mia difficoltà era questa: mi ero ingannato una volta come potevo essere sicuro di non ingannarmi una seconda volta? Comunque bisognoso di porre un limite a questi vaghi presentimenti, dovevo fare del mio meglio e poi lasciare che una Potenza più alta maturasse la questione. L’unica questione era questa: posso io salvarmi l’anima nella Chiesa d’Inghilterra? È un peccato mortale se non passo ad altra confessione? Le mie convinzioni sono talmente forti che credo più forti non potranno diventare: soltanto che è così difficile sapere se si tratta di una chiamata della ragione o della coscienza”. Furono l’una e l’altra a portarlo nella Chiesa di Roma. La vera Chiesa, custode della Grazia e della Verità, l’unica Verità alla quale Egli tendeva. Si intensificava il lungo processo che avrebbe portato alla nascita di un Gigante della Chiesa cattolica, la cui intelligenza seppe capire Dio, che lo chiamava a grandi impegni evangelici e il cui cuore rinnovato seppe amare ancor di più il suo Creatore, i cristiani tutti, il mondo. Cor ad cor loquitur, il cuore che parla al cuore, é il messaggio di amore, iscritto nel suo stemma cardinalizio. Mutuato da San Francesco di Sales lo fece pienamente suo. A buon titolo Newman è detto l’inventore del dialogo del cuore. Semplicità, cordialità, amore nell’interlocuzione, ricerca della verità, furono cardini della sua missione. A conferma della sua appassionata interlocuzione epistolare, con fedeli, teologi, amici e quanti a lui si rivolgevano per consigli e pareri, le sue lettere occupano ben 32 volumi. 33


Il travaglio continua “Mi rimaneva ancora da compiere un ulteriore progresso mentale e da fare un ultimo passo. L’ulteriore passo consisteva nel potere affermare che ero certo delle conclusioni alle quali ero arrivato. L’ultimo passo imperativo quando avessi raggiunto quella certezza consisteva nella mia sottomissione alla chiesa cattolica”… Tormenti, interrogativi, riflessioni maceranti visse, fino all’approdo. “Vi è tra noi una vita divina che si manifesta chiaramente, nonostante tutte le nostre colpe, che è una delle caratteristiche fondamentali della Chiesa. Perché dovremmo cercare altrove la presenza di Nostro Signore quando Egli ce l’assicura dove siamo?”. “…La chiesa anglicana sarebbe stata davvero grande, sarebbe stata irresistibile: le mancava soltanto di essere vera.”. “Mi ero ingannato una volta; chi mi assicurava che non mi ingannassi ancora? Come nel 1840 avevo ascoltato i dubbi nascenti a favore di Roma, così ora ascoltavo i dubbi languenti a favore della chiesa anglicana”. “…Ho paura di essere ormai convinto che la Chiesa cattolica sia la Chiesa degli Apostoli… Propendo molto più a credere che l’Inghilterra sia nello scisma….”. E finalmente arriva il grande momento “Penso che la Chiesa di Roma sia la vera Chiesa e che la nostra non faccia parte della Chiesa cattolica, non essendo in comunione con Roma e sento perciò di non potere, onestamente esercitare più il magistero della nostra chiesa.” (anglicana). Come scrive nella sua Apologia, Newman, inginocchiatosi, esprime la sua professione di fede chiedendogli di ammetterlo nella Chiesa di Roma, a Padre Domenico Barberi, passionista, viterbese, che svolgeva in Inghilterra una proficua opera evangelizzatrice. Accadeva a Littlemore il 9 ottobre del 1845, in una sera piovosa. Paolo VI ha dichiarato Beato Padre Domenico Barberi nel 1963. Ci piace riferirvi alcuni spunti dal Simposio, 26-27 marzo, 2009 presso l’Università cattolica del S. Cuore di Milano dal titolo J. H. NEWMAN OGGI: logos e dialogo, animato da studiosi di primissimo piano per ricordare con loro parte del pensiero profetico di Newman. L. Ornaghi Rettore dell’Università cattolica di Milano: Una sintesi eccezionale tra Fede e Ragione “Il cardinale Newman ha saputo incidere nella storia della Chiesa, anticipando spunti im34


portanti del Concilio e meritando la stima e l’affetto di due Papi come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. “Uno dei Maestri a cui riferirsi per il progresso continuo verso la verità. Di fronte alla doppia minaccia del razionalismo e del fideismo il card. Newman giunse ad una sintesi eccezionale tra fede e ragione, di qui l’esigenza di riprendere e rinnovare lo studio su Newman, non solo a livello specialistico ma come tentativo di rispondere ad un bisogno autenticamente culturale del mondo di oggi”. Giovanni Paolo II nella Fides et Ratio menziona il card. Newman come il primo dei grandi pensatori del tempo moderno, che hanno affrontato coraggiosamente il tema tra filosofia e parola di Dio. Al problema del rapporto tra fede e ragione Newman compone in più di vent’anni la sua GRAMMATICA DELL’ASSENSO. (R. La Delfa) Lì analizza l’atto dell’assenso della mente umana alla verità; il diritto dell’uomo alla certezza su argomenti di fede. “Fede, atto personale di adesione che non si esaurisce nella sola comprensione razionale”. E Philipe Boyce O.C.D ricorda tra l’altro, le parole pronunciate da Giovanni Paolo II ai partecipanti del simposio romano celebrato in occasione del primo centenario della morte dell’insigne cardinale inglese. Merita attenzione “l’unità che Newman conosceva, tra la teologia e la scienza tra il mondo della fede e il mondo della ragione”. “La fede non dimostra le verità matematiche.”. “L’esercizio della ragione, ausiliario verso la verità religiosa utile se usato a proposito, ma non necessario”. “Alleanza senza compromesso tra fede e ragione”. (Newman) P. Herman Geissler Direttore del Centro internazionale Newman Friends: Newman continua a parlare a noi uomini e donne del terzo millennio e ci interpella con la forza del suo pensiero e con la santità della sua vita. …”Il genio di Newman sebbene sempre ammirato fu riscoperto dal Concilio vaticano II di cui è stato un precursore profetico. Il Vaticano II ha recepito e consacrato tante intuizioni di Newman ad esempio sul rapporto tra fede e religione, sul significato della coscienza, sulla educazione universitaria, sul mistero della Chiesa, sulla missione dei laici, sull’ecumenismo, sul dialogo con il mondo”. Sulla TEOLOGIA DELLA COSCIENZA newmaniana così come riportato da KER, teologo di Oxford nel Convegno, citiamo: “La teologia della coscienza elaborata dal card. Newman ribadisce la sovranità, ma non l’autonomia della coscienza individuale. Nel pensiero di Newman, infatti “la coscienza è sovrana solo perché è “il Vicario di Dio” il suo sostituto o delegato, ma non è autonoma perché non è una divinità ma è al servizio di Dio. La coscienza è il portavoce non della 35


personalità individuale o del temperamento, ma di Dio”. “La coscienza, elemento centrale nella ricerca della Verità”. “Quella dottrina sulla coscienza è diventata per me sempre più importante nello sviluppo successivo della Chiesa e del mondo” (card. Ratzinger). Nel 1990, in occasione del centenario della morte di Newman ancora il card. Ratzinger: “Fu l’uomo della coscienza”. “Newman spiegava l’esistenza dell’uomo a partire dalla coscienza, ossia nella relazione tra Dio e l’anima, era anche chiaro che questo personalismo non rappresentava nessun cedimento all’individualismo e che il legame alla coscienza non significava nessuna concessione all’arbitrarietà, anzi che si trattava proprio del contrario… la libertà di coscienza, così ci insegnava Newman, non si identifica affatto con il diritto di dispensarsi dalla coscienza, di ignorare il Legislatore e il Giudice, e di essere indipendenti da doveri invisibili.”. “Il segno caratteristico del grande dottore della Chiesa mi sembra essere quello che egli non insegnò solo con il suo pensiero e i suoi discorsi, ma anche con la sua vita, poiché in lui pensiero e vita si compenetrano e si determinano reciprocamente. Se ciò è vero, allora davvero Newman appartiene ai grandi dottori della Chiesa, perché egli nello stesso tempo tocca il nostro cuore e illumina il nostro pensiero”. Attraverso la teologia della coscienza, Egli schiude non pochi varchi alla comprensione di importanti temi teologici. Nell’enciclica Veritatis Splendor si legge: “Il cardinale J. H. Newman, eminente assertore dei diritti della coscienza, affermava con decisione: “La coscienza ha dei diritti, perché ha dei doveri”. L’intervento di Gallangher m. p. della Pontificia Università Gregoriana, a proposito dell’ERRORE FATALE DEL PENSIERO LAICO riferisce il pensiero di Newman: “L’errore fatale del pensiero laico è quello di giudicare la verità religiosa senza la preparazione del cuore”. Di notevole rilievo il concetto educativo newmaniano: L’EDUCAZIONE È L’APERTURA DELLA MENTE E DEL CUORE. Nel suo primo discorso all’Università di Dublino: “desidero che l’intelletto si muova con la massima libertà e la religione goda una libertà pari; ma quel che vorrei stipulare, è che ambedue debbano stare in un solo e medesimo luogo, autentificate nelle stesse persone Voglio distruggere quella diversità di centri, che mette tutto a soqquadro creando una contrarietà di influenza. Desidero che gli stessi luoghi e le stesse persone siano insieme oracolo di filosofia e santuari di devozione. Non mi soddisfa che la religione sia di qua e la scienza sia di là e che i giovani conversino tutti i giorni con la scienza e alloggino con la religione la sera… Ma voglio che uno stesso tetto contenga insieme la disciplina intellettuale e quella morale… Voglio che un intellettuale laico sia religioso e che un devoto ecclesia36


stico sia intellettuale”. Nell’opera IDEA DELL’UNIVERSITÀ, composta tra il 1852 e il 1858, espone “un progetto di cultura cristiana di grande spessore, in cui la teologia avrebbe informato ogni scienza nel rispetto del loro statuto e dato impulso alla vita della Chiesa. Al problema dell’educazione del laicato risponde con la realizzazione di frequenti incontri in cui interviene lasciandoci pubblicate compilazioni pregevoli dei suoi discorsi e delle sue lezioni. A questo proposito rimane rilevante per la teologia il suo articolo sulla CONSULTAZIONE DEI LAICI IN MATERIA DI DOTTRINA”. (R. La Delfa .) “L’idea di Università del card. Newman comporta “formazione dell’uomo e arricchimento della persona non possono verificarsi se non cogliendo l’unitotalità della persona stessa, nelle diverse componenti che la costituiscono, se viene meno invece “la concezione unitaria della conoscenza che può essere garantita solo dalla verità per Newman si afferma inesorabilmente una concezione razionalistica dell’intelletto, con la conseguente crisi dell’università quale istituzione educativa produttrice di sapere dell’uomo. L’educazione intellettuale totale è dunque richiesta dalla natura stessa della conoscenza torna sempre di nuovo a farsi plausibile in forza dell’originaria e insopprimibile esigenza di unità che la connota” (G. Borgonovo). Quanto alla formazione del laicato Newman scrive: “Voglio un laicato non arrogante, non precipitoso nel parlare, non litigioso, ma fatto di uomini che conoscono la loro religione che vi entrano dentro che sanno benissimo dove si trovano, che sanno quello che possiedono e quello che non possiedono, che conoscono la loro fede così bene che sono in grado di spiegarla, che ne conoscono la storia tanto da poterla difendere. Voglio un laicato intelligente e bene istruito. Desidero che allarghiate le vostre conoscenze, coltiviate la ragione, siate in grado di percepire il rapporto fra verità e verità, che impariate a vedere le cose come stanno, come la fede e la ragione si relazionino fra loro, quali siano i fondamenti e i principi del cattolicesimo… Sono sicuro che non diventerete meno cattolici familiarizzandovi con questi argomenti, perché manteniate viva la convinzione che lassù c’è Dio, e ricordiate che avete un’anima che sarà giudicata e dovrà essere salvata”. Nell’importante convegno un interessante intervento di M. Marchetto della Scuola Sup. Int. di Scienze della Informazione di Venezia su: UN ANTIDOTO AL RELATIVISMO. La verità non può essere relativa, aveva detto Newman che aggiunge: “Un antidoto al relativismo richiede una preparazione del cuore, cioè uno spirito nettamente disposto, un’inclinazione che proviene dalla grazia soprannaturale, quella retta disposizione che è amore. Noi crediamo perché amiamo”. Interessante la relazione sul tema VIVERE È CAMBIARE svolta da R. Siebenrock della Facoltà teologica di Innsbruck. L’Autore ricorda tra l’altro quanto aveva scritto Newman nel “LO SVILUPPO DELLA DOTTRINA CRISTIANA”. “In un mondo più alto le cose vanno altrimenti, ma qui sulla terra vivere è cambiare e la perfezione è il risultato di molte trasformazioni”. 37


I dogmi, così come i nuovi insegnamenti della Chiesa, sono da ritenere sviluppi autentici della Rivelazione. E ancora”chi rinuncia al futuro per il passato si è negato fondamentalmente la dinamicità della chiesa i cui sviluppi sono “strutturalmente imprevedibili…sviluppo nella continuità”. Affermazioni in sintonia con le riflessioni del Vaticano II; della “ermeneutica della riforma con Benedetto XVI e di Paolo VI: La Chiesa vive, ringiovanendo se stessa e la sua opera con e nella missione di Cristo”. Chiesa in cammino Continuo è il rinnovarsi della Chiesa e sul rimanere sempre la stessa, perché fedele al suo Capo, Cristo. Prima, durante e dopo il Concilio vaticano II si staglia la grande figura profetica di J. H. Newman. Newman finalmente si mise a disposizione della Provvidenza che lo chiamava a grandi opere. “Gli uomini vedevano in lui un servitore del potere eterno e invisibile e, quando gli erano vicino, era più facile per essi credere in Dio e a quanto Dio è vicino all’uomo”. (The Birmingham Daily Post). Il Vescovo di Birmingham William Bernard Ullthorne: QUESTO UOMO È UN SANTO. Nel 1979 Giovanni Paolo II per il centenario del cardinalato di Newman disse: “L’elevazione di Newman a Cardinale, come la sua conversione alla Chiesa cattolica, è un avvenimento che trascende il fatto storico e l’importanza che ciò ha avuto per il suo paese. Eventi hanno inciso profondamente nella vita della Chiesa molto di là dai confini d’Inghilterra… Lo stesso Newman, con visione quasi profetica era convinto che egli stava lavorando e soffrendo per la difesa e la promozione della causa della religione e delle Chiesa non solo nel periodo a lui contemporaneo ma anche per quello futuro. La sua influenza ispiratrice di grande maestro della fede e di guida spirituale viene percepita sempre più chiaramente nei nostri giorni”. Nel 1991, il Pontefice, approvando il decreto sulle virtù eroiche, lo proclamò Venerabile. Così si espresse: “profonda onestà intellettuale, fedeltà alla coscienza e alla grazia, pietà e zelo sacerdotale, devozione alla Chiesa di Cristo e amore per la sua dottrina, incondizionata fiducia nella Provvidenza e assoluta obbedienza al volere di Dio caratterizzano il genio di Newman… Rendendo grazie a Dio per il dono del venerato J. H. Newman in occasione dei duecento anni della nascita preghiamo affinché questa guida certa ed eloquente nella nostra perplessità diventi anche nelle nostre necessità un intercessore potente al cospetto del trono della grazia. Preghiamo affinché la Chiesa proclami presto ufficialmente e pubblicamente la santità esemplare di uno dei campioni più versatili e illustri della spiritualità inglese “. 38


La nomina a Cardinale della Chiesa cattolica da parte di Leone XIII suscitò in Lui qualche perplessità: “Non è stato facile, non è stato facile. Dicevano che fosse liberale, ma io avevo deciso di onorare la Chiesa onorando Newman. Ho sempre avuto un culto per Lui”. Quando il suo Vescovo consegnò a Newman la lettera che gli comunicava le intenzioni del Papa si dimostrò disponibile di accettare la cappella cardinalizia ma aggiunse: “Sono vecchio e diffido di me stesso. Sono ormai trent’anni che vivo in “nidulo meo”, nel mio caro oratorio, nascosto e contento. Perciò supplico S.S. di non togliermi a San Filippo, mio padre e patrono… prego S.S. di avere riguardo al mio desiderio di rimanere nascosto… alla vita ritirata che ho condotto dalla mia giovinezza, alla mia ignoranza delle lingue straniere, alla mia inesperienza degli affari, per lasciarmi morire là dove ho sempre vissuto. Conoscendo i sentimenti di benevolenza di S.S. che posso volere di più”. Il Santo Padre a mezzo del Segretario di Stato cardinale Nina gli confermava la porpora “apprezzando l’ingegno, la dottrina, la pietà e lo zelo dimostrati nell’esercizio del suo ministero, la devozione e l’attaccamento filiale alla Santa Sede apostolica ed i segnalati servizi che da lunghi anni sta rendendo alla religione”. Non furono né pochi né deboli i contrasti della gerarchia cattolica romana e inglese per la nomina papale. L’imposizione della berretta cardinalizia ebbe luogo il 13 maggio del 1879. Nel concistoro erano stati creati altri nove cardinali tra i quali mons. Giuseppe Pecci, fratello del Papa. Benedetto XVI il 19 settembre lo proclamerà Beato al Cofton ParK di Birmingham. Aveva detto: “non sono portato a fare il santo. Mi basta lucidare le scarpe ai Santi”. “Newman appartiene ai grandi dottori della Chiesa perché egli nello stesso tempo tocca il nostro cuore e illumina il nostro pensiero” (card. Ratzinger). Benedetto XVI parlando recentemente ai vescovi di Inghilterra e Galles in visita “ad limina” ha detto: “Il cardinale Newman ci ha lasciato un esempio eccezionale alla verità rivelata, seguendo quella kindly light ovunque essa lo conducesse, anche a un considerevole costo personale ….Giustamente è stata prestata molta attenzione alla sua attività accademica e ai molti scritti di Newman, ma è importante ricordare che egli si considerava soprattutto un sacerdote. In questo Annus sacerdotalis, vi esorto a far presente ai vostri sacerdoti il suo esempio di impegno alla preghiera, di sensibilità pastorale per le necessità del suo gregge, di passione per la predicazione del Vangelo”. “Dicevano che fosse liberale” Newman lottò il liberalismo religioso e morale. Sentita questa sua lotta, intesa come ideologia nemica della dottrina della Chiesa anglicana e non solo. 39


Egli ne ribadì il contenuto nel discorso pronunciato per l’elevazione alla dignità cardinalizia. Ci sembra di poter ritenere che l’avversione al liberalismo da parte di Newman non è certo lontano da quello contro relativismo, contro il quale si sono consumati Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI, “ perché subdolo nemico della fede.” Se è vero che il liberalismo è nato come dottrina fondamentale dei diritti dell’uomo in quanto uomo, tra le varie correnti di pensiero, nel tempo, non esiste unanimità di pareri circa la legge morale universale né religiosa né laica nel mondo liberale, dove valgono il rispetto delle libere scelte di valore individuale. L’universalità cede alla relatività, la persona all’individuo. Ci si allontana dalla concezione dell’uomo del cristianesimo per sfociare in un liberalismo da concetti cangianti per approdare verso il relativismo se non verso il laicismo. Ci piace riportare solo alcuni passi del discorso pronunciato in occasione dell’elevazione alla dignità cardinalizia su questo spinoso argomento: …”Ho cercato di contrastare con tutte le mie forze lo spirito del liberalismo nella religione. Mai la Santa Chiesa ha avuto bisogno di qualcuno che si opponesse più di oggi, ahimè si tratta ormai di un errore che si estende come trappola mortale su tutta la terra; e nella presente occasione, così grande per me, quando è naturale che io estenda lo sguardo a tutto il mondo, alla santa chiesa e al suo futuro, non sarà spero ritenuto inopportuno che io rinnovi quella condanna che già così speso ho pronunciato. …non dimentichiamo che nel liberalismo ha del buono e del vero; basta citare, ad es. i principi di giustizia, onestà sobrietà, autocontrollo, benevolenza che, come ho già notato, sono i suoi principi più proclamati e costituiscono leggi naturali della società e solo quando ci accorgiamo che questo bell’elenco di principi è inteso a mettere da parte e cancellare completamente la religione, che ci troviamo costretti a condannare il liberalismo”. “Il liberalismo in campo religioso è la dottrina secondo cui non c’è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro, e questa è una convinzione che ogni giorno acquista più credito e forza. È contro il riconoscimento di una religione come vera. La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale; non un fatto oggettivo o miracoloso; ed è un diritto di ciascun individuo farle dire tutto ciò che più colpisce la fantasia… Si possono frequentare le chiese protestanti e le chiese cattoliche, sedere alla mensa di entrambe e non appartenere a nessuna… la confusione diventa palese quando in assenza di una Verità si ritiene una religione uguale all’altra.”. E il card. Ratzinger gli fa eco. ...Lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi moderni. Si va costituendo una dittatura del Relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi invece abbiamo un’altra misura: Il Figlio di Dio, il vero uomo. È la figura del vero umanesimo. 40


In assenza di essa l’esistenza umana si snoda senza freni consentendogli l’esercizio del libero arbitrio”. Tutto è lecito e questa condotta non può non avere effetti deleteri sulla società. L’assenza di una Verità nell’ambito religioso ed etico sostanzia il liberalismo di ieri condannato da Newman, al relativismo dei nostri giorni. Come ieri talune concezioni liberali, il relativismo dilagante dei nostri giorni, in nome di presunti valori laici, sta distruggendo “la bella struttura della società che è l’opera del cristianesimo, che sta ripudiando il cristianesimo” (Newman). L’avversione poi della cultura cristiana, vera fonte di convivenza civile, in nome di una laicità portatrice di chi sa quali migliori valori, fornisce gravi elementi destabilizzatori di una società sana come profetizzato da Newman. “L’uomo colui che cerca la verità… una volta che si è tolta la libertà all’uomo è pura pretendere di renderlo libero. Verità e libertà o si coniugano insieme o insieme miseramente periscono “ (Wojtyla). “La verità è logos che crea dia-logos e quindi comunicazione e comunione. La verità facendo uscire gli uomini dalle opinioni e dalle sensazioni soggettive, consente loro di portarsi al di là delle determinazioni culturali e storiche e incontrarsi nella valutazione del valore e della sostanza delle cose” Benedetto XVI (Caritas in Veritate). “Newman appartiene a tutti coloro che sono alla ricerca di un preciso orientamento e di una direzione attraverso le incertezze di un mondo moderno”. “Uomo pienamente cosciente della sua missione, ho avuto da fare diceva, guidato unicamente dall’amore per la verità e dalla fedeltà a Cristo, il quale per arrivare alla pienezza della salvezza e della pace tracciò un percorso, il più penoso, ma anche il più grande, il più significativo, il più decisivo che il pensiero umano abbia mai condotto nel XX secolo, anzi si potrebbe dire nell’età moderna”. “Ci uniamo volentieri a una schiera di voci in tutto il mondo, nel lodare Dio per il dono del grande Cardinale inglese e per la sua duratura testimonianza…. La missione particolare che Dio gli affidò, garantì che J. H. Newman appartiene a ogni epoca, luogo e persona”. (Paolo VI). A trent’anni dalla sua conversione e chi sa quante altre volte dopo, queste le parole di fedeltà alla chiesa cattolica: “Dal 1845 non ho mai esitato, neppure un solo istante, nella mia convinzione che fosse mio preciso dovere entrare come allora ho fatto, in questa chiesa cattolica che, nella mia propria coscienza ho sentito essere divina”. Un’esortazione ai cristiani: “ con la morte del suo figlio abbiamo un atto di Dio, un suo atto irreversibile che fa del suo perdono dei peccati, della sua riconciliazione con l’umanità un evento della storia… ha dato prova della sua lealtà sincerità nei nostri confronti come anche noi dobbiamo mostrare la nostra nei suoi non con parole ma con atti “. Il lieto evento della beatificazione del Venerabile Newman dovrà costituire per tutti i catto41


lici la motivazione per una migliore e più diffusa conoscenza del pensiero e delle opere di un Grande dottore della Chiesa. “Non dubiti, Newman sarà un giorno dottore della Chiesa”. Queste le parole di Pio XII a J. Guitton in un colloquio confidenziale di alcuni decenni or sono. E la profezia si è avverata. L’iter autobiografico spirituale di Newman è mirabilmente scolpito nella sua opera prestigiosa: APOLOGIA PRO VITA SUA. Newman e Roma Solo una citazione, il tema complesso, merita trattazione a parte e ben altra competenza che la nostra come peraltro per tutta l’opera newmaniana. Newman colloca i suoi giudizi su Roma in tre momenti: L’impero e la città antica con la sua grandezza pagana. Roma: un mondo di particolare bellezza. Roma e la storia della cristianità.

Santuario della Madonna delle Grazie di Montenero.

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Ma infine: “Roma… è di tutte le città, la prima di tutte quelle che ho viste, comprese la cara Oxford, non sono che polvere a confronto con la sua maestà e la sua gloria”. (Da Newman e Roma di B. M. Hoegemann FSO). Ombre luci si leggono nei suoi giudizi. Non mancano toni severi sulla vita del cattolicesimo romano e ciò prima della sua conversione. Amici Serrani, Vi ho detto poco, troppo poco, forse neppure l’abc, di J. H. Newman: “Una figura affascinante, coinvolgente, profetica, acuta, umana, cercatrice e ricercatrice di Dio e del significato ultimo dell’esistenza umana”. (M. Bontempi). Pio XII lo definì: ACERRIMUS VERITATIS INVESTIGATOR. Un pressante invito vi rivolgo: Cercate, amate, riflettete sulla vita di un GRANDE della nostra Chiesa. Invochiamo, preghiamo con Lui, perché la LUCE implorata alla quale chiese aiuto ottenendolo, illumini anche il nostro cammino di fede. Santuario della Madonna delle Grazie di Montenero. Inizio dell’anno sociale del Serra Club 2010/2011, 18 settembre 2010. Pubblicato nel Eco del Santuario di Montenero anno 2011 Ringrazio il direttore don Luca Giustarini Vall. o. s. b. e il sig. Roberto Manera.

Nota: Consultati La luce nella solitudine a cura di Rosario La Delfa e Alessandro Magno Ed. R.e R. Mazzone, 1989; Newman incontra Leonforte, Ed. Oasi, 1990.

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CONFESSORE E PENITENTE – CONVERTITO Padre Domenico Barberi e J. H. Newman

“Lì proprio vicino al fuoco il Sig. Newman cominciò la sua confessione generale con sentimenti di umiltà e devozione straordinaria”. Con queste parole Padre Domenico Barberi informava il suo Superiore Generale che nella celebre notte dell’8-9 ottobre del 1845 J. H. Newman prete anglicano si fece cristiano della Santa Chiesa cattolica romana. Straordinaria quella notte: aveva fine il lungo, sofferto, tormentato cammino di Newman verso “l’amata vera Chiesa di Dio”. Alfonso Capecelatro (1814-1912), oratoriano, poi elevato alla dignità cardinalizia da Leone XIII (1885), così descrive lo straordinario avvenimento: “Dalgairns (John Dobre, oratoriano) invitò Padre Domenico della Madre di Dio, Provinciale dei Passionisti, a recarsi da Aston-Hall in Littlemore, dicendogli solo che era chiamato a compiere un’opera in servizio di Dio; questi inconsapevole accorse. Parvegli presentare che ogni indugio potesse tornare di gran danno all’ufficio cui era chiamato. E però per uno orribile tempaccio si pose in viaggio in una vettura scoperta. Sostenne cinque ore di direttissima pioggia e come piacque a Dio, tutto immollato giunse alfine notte tempo a Littlemore. Non così tosto fu entrato nella romita dimora di quegli uomini ferventi di cui era fama in tutta l’Inghilterra, ecco che il Newman umiliatissimamente gli si gettò ai piedi dicendogli che ei di là non si leverebbe, se prima non l’avesse benedetto e ricevuto nella Chiesa di Gesù Cristo”. (Newman e la religione cattolica in Inghilterra, ovvero l’oratorio inglese 1859). Chi è il privilegiato confessore che fece Newman cattolico? È Padre Domenico Barberi, passionista. Nasce a Viterbo il 22 luglio del 1792. Perde i genitori in tenera età. Adottato da uno zio materno lo aiutava nei lavori dei campi, accudendo anche al pascolo delle pecore. Ben altre erano le aspirazioni di Domenico. Nel 1815 si professa membro della Congregazione della Passione. Il I marzo del 1818 viene ordinato sacerdote. 44


Occupa diversi posti di responsabilità nell’Ordine. Docente, insegna teologia e filosofia. Uomo di studio: numerose le sue opere filosofiche, teologiche, ascetiche. Si rivelò Apostolo, efficace predicatore, anima ecumenica, pronto ad ogni bisogno del prossimo. Nel suo gene maturava da tempo l’indole della missionarietà. “Io mi ricordo che offrii la mia vita, dichiarandomi pronto a morire sommerso nel mare avanti di toccare l’Inghilterra, perché questa isola tornasse in seno alla Chiesa cattolica”. “Dio si degnò infondere nel mio cuore fin dai più teneri anni un amore ardentissimo per i miei carissimi fratelli separati e specialmente per gli inglesi”. Evangelizzare nei paesi del nord Europa la sua ambizione. Fu inviato nel Belgio e poi, con sua soddisfazione, nel Regno Unito. Nel suo “Pianto dell’Inghilterra” si legge tutto il suo amore per quella terra e la ferrea volontà di portare i protestanti in seno alla Chiesa cattolica. È lì che si spende fino al martirio della sua persona. Fraterno nel dialogo, impressionante la sua volontà ecumenica. Operò tante conversioni fino a quella ritenuta la più famosa: avere portato in seno alla chiesa di Roma “il Papa dei protestanti, il loro grande oracolo, il più dotto uomo che si trova in Inghilterra”. (J . H. Newman). Lì fonda la prima casa dei Passionisti, ad Aston Hall. La loro opera si svolge in mille difficoltà. Padre Domenico scrive: “Croci e difficoltà sono senza numero e tali che qualche volta mi sono veduto all’ultima estremità quasi sul punto di ritornarmene indietro… Ah, mio Dio! mio Dio! Quanto bisogna soffrire…La sola volontà divina è il mio sostegno: sono qui perché Dio mi ci ha voluto da tutta l’eternità. Sia benedetto il suo santo Nome. Ecco l’unica mia risorsa”. Su quelle difficoltà, la conferma di Newman. “Se i religiosi cattolici vogliono conquistare l’Inghilterra, vadano a piedi scalzi nelle nostre città manifatturiere, predichino al popolo come S. Francesco Saverio, siano presi a sassate e confesserò che essi possono fare quello che non possiamo fare noi… solo fede e santità sono irresistibili”. Padre Domenico Barberi e tanti dei suoi confratelli vivevano quella fede, quella santità. Nel 1884 conosce Newman, ed altre personalità del mondo anglicano e cattolico. Tra questi Giorgio Spencer, poi passionista, con il nome di P. Ignazio di S. Paolo, che eredita da Padre Domenico la direzione dell’opera missionaria in Inghilterra e Scozia; Nicholas Wiseman, Arcivescovo di Westmister e poi cardinale. Una puntuale descrizione di Newman sulla personalità di P. Domenico, alla richiesta del Cardinale Parocchi, promotore della causa di beatificazione di Padre Domenico, si trova nella risposta che gli invia. Era il 1889, un anno prima della morte. Eccola: “Certamente Padre Domenico Barberi della Madre di Dio fu un commoventissi45


mo missionario e predicatore commoventissimo ed ebbe una gran parte nella mia conversione e in quella di altri. Lo stesso suo sguardo aveva un’impronta santa; quando la sua figura si appassionava alla mia vista, mi commoveva in modo singolarissimo e la sua notevole bonomia in mezzo alla sua santità era in se stesso una reale predica santa. Nessuna meraviglia, pertanto, che diventassi il suo convertito e il suo penitente”. Paolo VI che lo proclama Beato il 27 ottobre del 1963 nella sua dichiarazione così si esprime: “Padre Domenico fu grande Maestro di ascetica, predicatore infaticabile, apostolo e apologeta esperto delle correnti di pensiero del suo tempo”. E sottolinea talune pecularità della vita del Beato come la dedizione alla Passione di Cristo e la devozione alla Madonna Addolorata. “Padre Domenico non solo predicò il culto alla Croce del Signore, ma egli stesso la portò…fu un paziente, fu un sofferente. Portò quella croce così pesante, così dolorosa in ossequio alle parole di Cristo: Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinunzi a se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt.16,24). E in quella dichiarazione ricorda “il fatto” il contributo cioè di P. Barberi alla conversione di Newman con queste parole: “La straordinaria importanza di quel semplice avvenimento e la ognora crescente grandezza del celebre inglese riverberano sull’umile religioso una luce folgorante. Subito viene al nostro labbro la domanda: fu lui a convertire Newman? Quale fu l’influsso di P. Domenico su di lui?... ma è da credere e da augurare che l’accostamento di queste due sante figure, il Beato Domenico e il cardinale J. H. Newman, non lascerà più il nostro spirito, che continuerà a pensare al senso misterioso del loro incontro con grande speranza e con prolungata preghiera”. Papa Paolo aveva in animo la canonizzazione di Newman? Quel binomio di vita e di santità ci coinvolgono, ci affascinano, ci suggeriscono di confermarci nella loro e nostra fede. Dicembre 2012

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J. H. Newman a Livorno

Newman J. H. nacque a Londra il 21 febbraio del 1801. Il 29 maggio del 1825 venne ordinato sacerdote anglicano. Fu Guida del Movimento di Oxford teso a proteggere l’anglicanesimo dalle deviazioni dottrinarie protestanti. Si convertì al cattolicesimo nel 1845. Nel marzo del 1847 fu ordinato sacerdote della chiesa cattolica. Fondò in Inghilterra l’Oratorio di S. Filippo Neri. Leone XIII riconoscendogli “genio e dottrina”, il 13 maggio del 1879, gli conferì la porpora cardinalizia. È autore di testi di spiritualità, apologetica, patristica, dogmatica, morale, pedagogia, autobiografici. Nel 1991 Giovanni Paolo II, approvando il decreto sulle sue virtù eroiche, lo proclamò Venerabile e Benedetto XVI, Beato nella sua Birmingham, il 19 settembre 2010. Aveva scritto: “Non sono portato a fare il santo. Mi basta lucidare le scarpe ai santi”. Nella vita di questo insigne personaggio, vi è uno spazio vissuto a Livorno. A questo è dedicata la nostra nota. A causa della sua malferma salute, nel viaggio di ritorno da Roma per l’Inghilterra, dopo la nomina a Cardinale, si fermò a Livorno dal 5 al 20 giugno. La notizia è espressa in una sua lettera al Duca di Norfolk scritta da Roma il 30 maggio. In altra lettera, datata 1 giugno, sempre da Roma, Hotel Bristol via Sistina 48, indirizzata a Artur Wollaston Hutton, scrive che a Livorno sarebbe stato ospite dell’ANGLO-AMERICAN HOTEL. La presenza nella nostra città del neo-cardinale è documentata dalle lettere inviate. La prima del 5 giugno è indirizzata al Cardinale Manning in Inghilterra. Nella lettera inviata al Duca di Norfolk, datata 5 giugno, per la prima volta indica la sede della compilazione: Leghorn the anglo-american hotel. La stessa appare ancora nella lettera a Miss M.P. Giberne nella quale denuncia i mali di cui è affetto, febbre, polmonite, diarrea. In altra breve corrispondenza al duca di Norfolk, l’11 giugno dice di essere confortato dalle cure di un medico inglese e di uno italiano. 47


Il 16 scrive a Charles Ryder, secretary of the society of St. Bede. In pari data, altra lettera per il duca di Norfolk. Il 19 giugno fa sapere a mrs Sconce, una signora inglese che abitava a Firenze e che lo aveva assistito durante la malattia, di lasciare l’indomani Livorno per partire alla volta di Genova. Scrive a Bryan J. Stapleton lo stesso giorno. La corrispondenza epistolare del Cardinale, da Livorno, finisce qui. Il 21 giugno invia da La Spezia una lettera, completata a Genova, indirizzata a E. B. Pusey nella quale si dice convalescente. Perché Newman sostò a Livorno? Riteniamo che non si possano escludere motivi climatici e la presenza di una nutrita colonia inglese nella città. La nostra indagine faticosa, ma feconda ci ha molto interessato ed incuriosito.

L’hotel Anglo - Americano.

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Tra l’altro: In quale parte della città era sito l’Anglo-American Hotel? Non esiste oggi a Livorno un esercizio alberghiero denominato Anglo-American Hotel donde la nostra curiosità di scoprire la collocazione di questo albergo. Ritenendo che vi potesse essere una qualche connessione tra licenza all’esercizio alberghiero e la sua ubicazione, ci siamo recati presso la biblioteca della Camera di Commercio per saggiare qualche documento attinente la nostra ricerca. Dall’amabilità di più di una persona, abbiamo potuto prendere visione di una interessante e per noi preziosa pubblicazione: Guida di Livorno, editore Arti grafiche Belforte del 1904, attestante la presenza a Livorno dei Consolati dell’epoca. All’indirizzo Consolato del Portogallo, rileviamo che aveva sede presso l’Hotel AngloAmerican. Ci è stato agevole associare questa voce all’analoga indicata da Newman all’inizio delle sue lettere. L’albergo era sito sul Viale Regina Margherita, oggi Viale Italia nel palazzo che fa angolo con via C.Mayer. “Nel miglior punto della passeggiata in faccia ai giardini, veduta splendida sul mare, luce e ascensore elettrico. Proprietario Polese F. telefono 88”. Questa scarna nota, circa la presenza del Beato J.H.Newman a Livorno, nel silenzio di altre autorevoli fonti alle quali ci eravamo indirizzati, vuole documentare il suo soggiorno nella nostra città, segnatamente l’albergo che lo ha ospitato e stimolare altresì interesse per la grandiosa opera di un singolare apostolo del Cristianesimo, Maestro e Difensore dei valori prioritari della persona, tra i quali brillano quelli della Coscienza, della Libertà, della Verità, così indispensabili al vivere civile, di ogni tempo. Nota 1: Questo articolo stato pubblicato nel n-1 del L’Eco del Santuario di Montenero 2011 dove è possibile leggere la documentazione di cui trattasi. Nota 2: Un sentito ringraziamento a Sr. Irene FSO, del Centro internazionale Amici di J. H. Newman di Roma e ad alcuni amici che operano a vario titolo nella Biblioteca della Camera di Commercio di Livorno.

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J. H. Newman lume sulla città Il 30 novembre 2012 alle ore 16, alla presenza di un folto numero di Serrani, invitati rappresentanze delle Autorità cittadine, Mons. Ezio Morosi, cappellano del club Serra e Vicario Generale della diocesi, ha benedetto la lapide installata a cura del Serra nel palazzo, sito nel viale Italia angolo via C. Mayer, allora sede dell’hotel anglo americano, a ricordo del cardinal J. H. Newman che vi soggiornò dal 5 al 20 maggio del 1879. Il cardinale il 13 maggio aveva ricevuto da Papa Leone XIII la cappella cardinalizia. La sosta a Livorno, del viaggio di ritorno verso l’Inghilterra, fu dovuta a malattia. È seguita una santa Messa di ringraziamento, celebrata nella vicina chiesa di S. Jacopo, dal parroco don Alberto Vanzi. Dopo la cerimonia religiosa il Past Presidente del club Prof. Paolo Mirenda ha pronunciato parole di circostanza sulla vita e le opere del Beato J. H. Newman. Questo il testo. La vita e le opere di J. H. Newman sacerdote anglicano nato a Londra nel 1801, convertitosi al cattolicesimo dopo lungo e tormentato travaglio, fino ad essere consacrato sacerdote nel 1845, è ricca così ricca, da stupirti sempre più e costringerti a porti tanti interrogativi, solo se vuoi conoscere qualcosa di un Gigante del cristianesimo e del cattolicesimo in particolare.

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Perché della conversione da anglicano a cattolico. Perché cardinale della Santa romana chiesa ad opera del Papa Leone XIII che lo disse “il mio cardinale”. Perché Pio XII interpellato da J. M. Guitton, unico laico invitato quale osservatore alla prima sessione del Concilio vaticano II, lo rassicurò dicendogli: Non dubiti Guitton, J. H. Newman sarà dottore della Chiesa. Perché Papa Paolo VI disse di Lui: Guida sicura a tutti coloro che sono alla ricerca di un preciso orientamento e di direzione attraverso le incertezze del mondo moderno. Perché nel 1979, Papa Giovanni Paolo II nel centenario del cardinalato di Newman disse: L’elevazione di Newman a Cardinale, come la sua conversione alla chiesa cattolica è un avvenimento che trascende il fatto storico e l’importanza che ciò ha avuto per il suo paese… la sua influenza ispiratrice di grande maestro della fede e di guida spirituale viene percepita sempre più chiaramente nei nostri giorni. E lo proclamò Venerabile nel 1991. Perché nel 2010, il 19 settembre Benedetto XVI al Cofton Park di Birmingham, lo proclamò Beato e rivolgendosi ai Vescovi di Inghilterra e del Galles pronunciò tra l’altro queste parole: Il cardinale Newman ci ha lasciato un esempio eccezionale alla Verità rivelata seguendo quella kindl ligth ovunque essa lo conducesse anche ad un considerevole costo personale …giustamente è stata prestata molta attenzione alla sua attività accademica e ai molti suoi scritti, ma è importante ricordare che egli so considerava soprattutto sacerdote…esempio di impegno alla preghiera, di sensibilità pastorale per le necessità del suo gregge, di passione per la predicazione del Vangelo. Perché il Vaticano II ha recepito tante intuizioni di Newman sul significato della coscienza, sul rapporto tra fede e ragione, sul mistero della Chiesa, sull’ecumenismo, sulla necessità del dialogo costruito con il cuore, sul ruolo dei laici nella chiesa e nel mondo, sull’educazione universitaria e altro. Perché il Serra club di Livorno, ha fatto proprio il suggerimento di chi vi parla, di onorare oggi il Beato Newman apponendo sulla facciata del palazzo, già hotel anglo-americano che lo ospitò ammalato, a pochi giorni dall’avere ricevuta la cappella cardinalizia, dal 5 al 20 giugno del 1879. Della nostra indagine volta a precisare il sito nella nostra città dell’hotel, abbiamo già detto altrove (nostra conferenza al Serra del 18 settembre del 2010, pubblicata nel Eco del Santuario di Montenero n.1 del 2011). E quanti altri interrogativi! Ed allora la voglia di sapere diventa insaziabile e macini libri, consulti riviste, recensioni, convegni la sua produzione di altissimo taglio religioso, evangelico, culturale, sociale e quante altre caratterizzazioni si possono aggiungere al prezioso patrimonio lasciatoci. Un’opera grandiosa! Ne citiamo solo alcune. 51


La grammatica dell’assenso dove analizza l’atto dell’assenso della mente umana alla verità, il diritto dell’uomo alla certezza su argomenti di fede. Alleanza senza compromesso tra fede e ragione. Appaiono in tutta evidenza i contenuti della pregevole trattazione di Fides et Ratio dell’enciclica di Giovanni Paolo II. La teologia della coscienza, elemento centrale nella ricerca della verità, voce di Dio, di cui abbiamo detto. Errore fatale del pensiero laico. “L’errore fatale del pensiero laico è quello di giudicare la verità religiosa senza la preparazione del cuore”. Consultazione dei laici, in materia di dottrina chi tratta del coinvolgimento dei laici nella Chiesa. L’idea dell’Università dove si pone i problemi educativi e gli indirizzi volti a risolverli. Lo sviluppo della dottrina cristiana. “Vivere nella terra è cambiare e la perfezione è il risultato di molte trasformazioni… I dogmi sono sviluppi autentici della rivelazione…sviluppo nella continuità”. Gli Ariani del IV secolo. I Tracts La Vita media della chiesa anglicana Sermoni Lettere: queste raccolte in 32 volumi. Il dramma di Geronzio opera letteraria musicata da Elgar. Poema sulla vita dell’aldilà. Quante altre citazioni! L’oratorio di Birmingham ha raccolto quasi tutte le opere di Newman: 26 volumi, 6 del periodo anglicano, 20 del periodo cattolico. Ti accorgi che quasi ti manca il tempo per conoscerlo a fondo. E ti devi accontentare di acquisire solo l’abc, di quel prezioso tesoro. Ed è appena questo che, in diverse occasioni, ho potuto partecipare ai soci del nostro prestigioso club, ampiamente accusando le nostre lacune. Oggi diremo sopratutto qualcosa che tocca la circostanza odierna. E anzitutto. Abbiamo ai nostri occhi un Santo! Una santità acquisita a caro prezzo soffrendo spiritualmente e fisicamente. Una sofferenza che lo ha visto per lunghi anni lottare con Dio. Una sofferenza che lo ha portato a divenirgli amico Dio. E poi due insegnamenti fondamentali. Il primo: Cor ad cor loquitur parole incise nel suo stemma cardinalizio sulla sua tomba. Il cuore che parla al cuore per meglio comprendere, per meglio dialogare con Dio e il 52


prossimo. Il secondo: Ex umbris et Imaginibus in Veritatem. All’affannosa ricerca della Verità a partire da quanto è possibile vedere dall’immaginazione e dalle figure che la mente umana dei mortali concede, per la conquista della verità. Nella lapide-ricordo che oggi il Serra ha inteso installare nella facciata del palazzo, che lo ospitò vi è incisa una frase di Pio XII indirizzata a J. H. Newman: Acerrimus veritatis Investigator. Ed è su questa attribuzione che oggi invito tutti voi, amici Serrani e quanti hanno voluto partecipare alla cerimonia, a meditare. Newman ha cercato la Verità, ha cercato Dio che è primato di verità e di vita. Questa ricerca ha avuto come suo viatico la preghiera che è vivere il dialogo con Dio e la coscienza, attraverso la quale Dio parla, rivelandosi nel Suo Figlio Incarnato, nella Trinità, nell’Eucaristia, nel sacerdozio, nella sua chiesa. Dopo aver lottato, sì lottato, per tanti anni con Dio mostrandosi resistente a Chi lo voleva per sé, ne diventò amico, confidente tale, ché di lui è stato detto: Del Teologo che dava del Tu al Creatore. “O Dio mi metto senza riserve nelle tue mani…Tu sei la saggezza, Tu sei l’amore … che cosa posso desiderare di più…Dio è il Dio del mio cuore, la mia eterna felicità”. E quante altre espressioni si potrebbero citare, significative della ricerca della verità. La coscienza anzitutto che svolge un ruolo essenziale, è l’elemento centrale nella ricerca della verità, è propedeutica della verità, è l’avvocata della verità, attraverso la quale si schiudono non pochi varchi alla comprensione di importanti temi teologici. “Quanto alla coscienza, esistono due modalità per l’uomo di concepirla. Nella prima la coscienza forma soltanto una specie di intuito verso ciò che è opportuno, una tendenza che ci raccomanda l’una o l’altra cosa. Nella seconda è l’eco della voce di Dio. Ora tutto dipende da questa differenza. La prima via non è quella della fede, la seconda lo è “. “La coscienza è sovrana solo perché è il vicario di Dio, il suo sostituto o delegato, ma non autonoma perché è al servizio di Dio. La coscienza è il portavoce non della personalità individuale o del temperamento, ma di Dio …se ci vergogniamo, siamo spaventati per avere trasgredito la voce della coscienza ciò suppone che esiste Qualcuno verso il quale siamo responsabili, davanti al quale proviamo vergogna, le cui pretese temiamo. Questi è Dio” (Newman). Scrive il cardinale Ratzinger: “Quella dottrina sulla coscienza è diventata per me sempre più importante nello sviluppo successivo della Chiesa e del mondo. Newman fu l’uomo della coscienza … spiegava l’esistenza dell’uomo a partire dalla coscienza, ossia nella relazione tra Dio e l’anima”. (Discorso nel centesimo anno della morte di Newman. Centro Amici di Newman Roma 1990.) In quel discorso il cardinale nel citare Newman e segnatamente l’opera Gli Ariani del IV secolo rievocava, condividendone il pensiero: 53


Riconoscere che la verità in quanto tale deve guidare tanto la condotta politica che quella privata. Newman cerca la verità, valore assoluto, in ogni ambito. Tra la pace e la verità sceglie la verità. Contrastò il liberalismo religioso”secondo cui non c’è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro”… Concezione questa che trova il suo corrispondente nel relativismo di ieri e di oggi. Relativismo conoscitivo e morale che non può non trovare una ferma condanna nella Chiesa perché l’uomo è alla ricerca della verità, nel suo valore assoluto, perché relativismo vuol dire lesione della dignità dell’uomo perché contrario al principio del suo pieno diritto di cercare, conoscere la verità. Newman è il paladino della verità propria della persona umana, che è un valore antropologico del quale non si può, non si deve fare a meno. A distanza di decenni gli fa eco Papa Wojtyla: “L’uomo colui che cerca la verità…una volta che si è tolta la verità all’uomo è pura illusione pretendere di renderlo libero…verità e libertà o si coniugano insieme o insieme miseramente periscono”. La mia argomentazione della teologia newmaniana sulla conoscenza e sulla verità, anche se corroborata da autorevoli riflessioni di Altri, non è certamente esaustiva nel farvi intendere tutto il significato di una scelta impressa nella lapide commemorativa. Sono certo però che stimolerà la vostra mente a saperne di più, a indirizzarvi verso la Luce. Celebriamo questa con le parole del Beato, concepite e scritte durante il suo viaggio di ritorno dalla Sicilia, che grazie alle sue bellezze naturali, alla sua arte antica contribuì, questo è il parere di autorevoli studiosi, ad avviare a soluzione la dura macerazione spirituale che portò Newman in seno alla Chiesa cattolica. Miracolo di quei monumenti che sanno parlare al cuore, alla mente, all’anima e suscitare intime riflessioni volte a determinare profondi cambiamenti. Scrive Newman su quella terra, dalle grandi tradizioni: “Posso dire che prima non sapevo che la natura potesse essere così bella. La Sicilia è davvero un giardino. È come il giardino dell’Eden. Ecco le parole rivolte allo Spirito Santo, alla Luce. Guidami, dolce Luce attraverso le tenebre che mi avvolgono guidami Tu, sempre più avanti! Nera è la notte, lontana è la casa: guidami Tu, sempre più avanti! 54


Gruppo di serrani sotto la targa di J. H. Newman sul viale Italia.

Reggi i miei passi: cose lontane non voglio vedere: mi basta un passo per volta. Così non sempre sono stato Né sempre ti pregai Affinché Tu mi conducessi sempre più avanti. Amavo scegliere la mia strada, ma ora guidami Tu, sempre più avanti! Guidami, dolce Luce Guidami Tu, sempre più avanti. Newman vide nel suo transito terreno con gli occhi della fede la Luce. Ne ha goduto pienamente, nel suo vero splendore, l’11 agosto del 1890, quando ha lasciato la vita terrena. Ci suggerisce Lina Callegari, valente biografa di Newman, un accostamento della sua anima a quella di Geronzio protagonista del suo poema con le parole che questi pronuncia:

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Qualcuno mi ha chiuso nel suo ampio palmo; non è una stretta come avviene sulla terra, ma una presa che avvolge la superficie del mio essere diafano, come fossi una sfera, che può essere tenuta così; una uniforme e delicata pressione mi dice che non sono io a muovermi, ma sono spinto sulla mia strada. Ed ecco! Odo un canto… Commenta l’illustre biografa: È la voce degli Angeli che abitano il mondo invisibile per il quale ha sempre vissuto. È transitato per questo nostro mondo un personaggio di elevato spessore. “Una figura affascinante, coinvolgente, profetica, acuta, umana, cercatrice e ricercatrice di Dio e del significato ultimo dell’esistenza umana”. (M. Bontempi ). È questa figura che il Serra di Livorno ha oggi l’onore di celebrare.

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Il laico in J. H. Newman

La figura di laico scolpita da Newman merita una riflessione. La società, la vigna evangelica, nella quale essi operano, offre un desolante quadro denunciato a suo tempo dal neo-Beato; ancora grave, più grave ai nostri giorni. Scrive Newman: “La bella struttura della società che è l’opera del cristianesimo, sta ripudiando il cristianesimo”. La grave affermazione del grande dottore della Chiesa, è un grido di allarme rivolto al laicato cattolico, gran parte dell’essere-chiesa, che vede ogni giorno di più la scristianizzazione della società e da molte parti il tentativo di totale eradicazione dei principi del cristianesimo che per secoli hanno costituito il collante più solido per il vivere civile di quel mondo dove è cresciuto, dove oggi viene rinnegato. Una convivenza civile, democratica, rispettosa della verità e della libertà muore, se non è plasmata dall’Amore. E il cristianesimo è soprattutto Amore, senza il quale ogni legge fallisce. A quella diagnosi pienamente condivisa, sempre più ingravescente, hanno teso porre rimedi, il Vaticano II, l’Evangeli nuntiandi di Paolo VI, la Christifidelis laici di Giovanni Paolo II e molti altri documenti del Magistero. È da citare, perché recente, la lettera apostolica Ubicumque et Semper di Benedetto XVI con la quale istituisce il Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. Si legge il grido di società e cultura da secoli impregnati del Vangelo, oggi fortemente in crisi, poi il richiamo al blasone di identità del cristiano: “all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò una direzione decisiva”. Commenta Rino Fisichella, Arcivescovo e Presidente del neonato dicastero: “Il Vangelo non è un mito, ma la testimonianza di un evento storico, che ha cambiato il volto della storia”. Della necessità di questa caratterizzazione storica del cristianesimo se ne era accorto Newman che in essa poneva un valore da mettere in campo. È dunque ancora un gravoso compito per i laici: La nuova evangelizzazione. Ma non prima di riconoscersi in un identikit, in ordine a dirsi cristiano laico. Quale laico? Quello tracciato da Newman (anche). “Voglio un laicato non arrogante, non precipitoso nel parlare, non litigioso ma fatto di 57


uomini che conoscono la loro religione, vi entrano dentro, che sanno benissimo dove si trovano, che sanno quello che possiedono, che conoscano la loro fede così bene che sono in grado di spiegarla, che ne conoscano la storia tanto da poterla difendere. Voglio un laicato intelligente e bene istruito. Desidero che allarghiate le vostre conoscenze, coltiviate la ragione, siate in grado di percepire il rapporto tra Verità e Fede, che impariate a veder le cose come stanno, come la fede e la ragione si relazionino tra loro, quali siano i fondamenti e i principi del cattolicesimo”. Ho estrapolato queste poche parole, da un discorso molto più vasto, peraltro significativo, anche di una semplicità tale da farci dire: lo sappiamo che ci vieni a dire! In esse, è da rimarcare, sono insite visioni profetiche come il rapporto tra fede e ragione e quello che in questo contesto ci interessa maggiormente, cioè la necessità del laico cristiano di conoscere e vivere la storicità di Cristo, del cristianesimo, della sua Chiesa, per comprenderli e farli comprendere nella loro dimensione divina e umana. Sono queste parole che ci obbligano a intensificare le nostre riflessioni sullo status di militanti-laici per meglio vivere e diffondere nella società il prezioso scrigno di valori datici dal cristianesimo. Compito gravoso, impari, è l’inculturazione evangelica, così come il nostro lodevole tentativo di far nascere e crescere le vocazioni. È sotto i nostri occhi peraltro il magro risultato che registriamo. La società è sorda, ci schernisce, ci deride quasi. Che fare oltre al meglio conoscere? Tra i tanti insegnamenti che ci vengono dal beato J. H. Newman ne scegliamo uno, forse il più elementare, forse il più disarmante, forse il più efficace: parlare da cuore a cuore - cor ad cor loquitur, il suo metodo di evangelizzazione. Cor ad cor loquitur fece imprimere sul suo stemma cardinalizio. Ancora un mezzo a nostra disposizione. I campi culturali sui quali agire: Come Newman, ieri contrastò il liberalismo, noi oggi dobbiamo con tutta forza contrastare il relativismo, perché entrambi nemici subdoli della Verità e origine di tante non verità che sono alla base della disgregazione e scristianizzazione della struttura societaria. Con questi obiettivi, alfine di sostanziare ancor di più l’impegno serrano nella società, non è affatto da escludere la nostra presenza nelle istituzioni che declinano la vita democratica. So di ripetermi, ma sono altrettanto convinto della necessità di farlo. Il mondo, la Chiesa e noi Serrani con essa, siamo in cammino. Cammino non è rinnegare, ma vivere una nuova vita. L’invito ci viene dalla titolazione della citata nuova istituzione ecclesiale: Ubicumque et semper. Ripeto ubicumque. 58


“Come può un cristiano vivere nel mondo senza essere del mondo!” È lì, dove non possiamo mancare! E le citazioni dottrinarie del Magistero volte a incoraggiare la presenza dei cattolici alla vita politica del paese sono innumerevoli e datate. Ne ricordiamo ancora tre, la prima: È nella politica che si esercita la più efficace forma di carità (Paolo VI). La seconda: “Non solo rinnovo dell’auspicio sulla presenza dei cattolici in politica ma un impegno concreto da parte dei vescovi per accompagnare tale presenza” (Mariano Crociata, Segretario Generale CEI, a commento di una recente riunione CEI). La terza: “Aspettarsi che i cattolici circoscrivano il loro apporto sempre importante della carità, fosse pure per contribuire ai doveri dello Stato in ordine al bene comune, significa scadere in una visione utilitaristica, quando non anche autoritaria. I cattolici non possono consegnarsi all’afasia ideologica o tattica, se lo facessero tradirebbero le consegne di Gesù ma anche le attese specifiche di ogni democrazia partecipata”. (Angelo Bagnasco Presidente CEI Assisi 8-11, 2010 Assemblea generale della Conferenza episcopale). Newman “nella sua lunga vita, dagli inizi nella chiesa d’Inghilterra e dell’influenza che vi esercitò, in particolare a Oxford, alla fine come cardinale della chiesa cattolica romana, è possibile rintracciare nel suo pensiero un modello costante e armonioso”. In Newman rintracciamo sempre la preoccupazione di rendere il laicato una forza attiva, all’opera sia nella chiesa sia nel mondo in generale” (Ian Ker). Abbiamo orecchie per intendere? Vogliamo rimanere nel limbo? Pubblicato nel “il serrano”. Category cultura 19 Ott. 2011

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IL PRIMATO di DIO nella VITA e negli SCRITTI del BEATO J. H. NEWMAN

Se appena sai qualcosa di un prete anglicano convertitosi al cattolicesimo, attraverso un tormentato travaglio spirituale, che porta il nome di J. H. Newman ti prende un’insaziabile voglia di saperne di più. E cerchi, leggi, scopri, rifletti, su quanto riesci a consultare vita e opere di un Gigante della storia del Cristianesimo e della Chiesa cattolica dell’800. Nacque a Londra nel 1801. Sacerdote anglicano nel 1825 e poi cattolico nel 1847. Cardinale nel 1879: Leone XIII lo disse il “ mio cardinale” dotato di “genio e dottrina”. “Una guida sicura a tutti coloro che sono alla ricerca di un preciso orientamento e di una direzione attraverso le incertezze dl mondo moderno “ (Paolo VI .). Venerabile dal 1991. Beato, settembre 2010. Un Maestro, un Educatore. Per raggiungere la perfezione della sua vita fino alla santità, per esplicitare nel miglior modo l’insegnamento evangelico mise in essere due memorabili insegnamenti: L’uno: Il cuore che parla al cuore per meglio comprendere e dialogare. L’altro: Ex umbris et imaginibus in veritatem: L’affannosa ricerca della verità a partire da quanto è possibile vedere dall’immaginazione e dalle figure che la mente di morali concede per l’acquisizione della verità. Elevato agli onori degli altari da Benedetto XVI il 19 settembre u.s., è stato celebrato in un Simposio Internazionale alla Facoltà di Teologia della Pontificia Università Gregoriana di Roma, a cura della stessa e dell’International Centre of Newman Friends, il 22-23 novembre. Tema: Il primato di Dio nella vita e nelle opere del Beato John Henry Newman. Le relazioni sottolineano: Il significato e l’attualità della ricerca di Dio, anche in ordine alle 60


sfide del tempo; il valore della spiritualità, la sua spinta ad agire nella quotidiana opera missionaria. Quattro le sessioni di studio: Alla ricerca di Dio; Sfide nel contesto attuale; Alle sorgenti di Dio; Chiamati alla Missione. Le Presidenze e le introduzioni ai temi, affidati agli Eminentissimi Cardinali: Angelo Amato Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi; Zenon Grocholewski, Prefetto della Congregazione per l’Educazione cattolica; Ivan Diaz, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli; Mons.Vincent Nichols Arcivescovo di Weistmister. Le conclusioni di Padre Hermann Geissler, Direttore del Centre of Newman Friends. La significatività e attualità dei temi, l’autorevolezza degli Oratori, hanno dato un’ulteriore lettura della statura profetica, teologica, spirituale, filosofica e missionaria del neo Beato. Pensatore tra i più geniali dei nostri tempi “propose una teologia affascinante, fresca, rinnovata, sulla scia dei grandi Padri della Chiesa”… volta a “vivere in una profonda amicizia con Dio, in un dialogo personale con Colui che ci parla nella coscienza e in modo definitivo nel Figlio Incarnato, che vive nella sua Chiesa” (Hermann Geissler). Vivere il dialogo con Dio è riconoscere il suo Primato che è primato di verità e vita. E la ricerca di Newman è ricerca della Verità è ricerca di Dio, indotte dalla coscienza. Nella sua vita e nelle sue opere dominano incontrastate le figure di Dio, della Trinità, dello Spirito Santo, dell’Incarnazione, dell’Eucaristia, del sacerdozio, della Chiesa. Queste visioni chiare nella sua mente, calde nel suo cuore sono impreziosite dalla preghiera che Newman praticò sempre, dall’adolescenza, al suo ultimo respiro, come Lui la intendeva nel suo più pieno e più vero significato: Diretta comunicazione con Dio che ci parla nella coscienza, nel suo Figlio incarnato, nella Chiesa. Ordinato sacerdote anglicano così invoca Dio: “È fatta... Sono tuo mio Signore, sembro piuttosto frastornato e non mi è possibile credervi né comprendere del tutto … le parole, per sempre, sono terribili”. Signore non chiedo consolazione a paragone della santificazione. Per sempre parole, parole da non revocare mai. Sono responsabile per le anime fino alla fine dei miei giorni”. Nel mettersi in relazione con Dio: “O Dio mi metto senza riserve nelle tue mani…Tu sei la saggezza… Tu sei l’amore, che cosa posso desiderare di più? Dio è il Dio del mio cuore, la mia eterna felicità”. Potenza della preghiera! Di Lui è stato scritto: Del teologo che dava del tu al Creatore. Il suo apostolato, vissuto per la sua santificazione, il bene delle anime, l’evangelizzazione espressa dalle sue parole e dai suoi scritti, ebbe nella preghiera la leva potente per salire 61


fino alla più alta vetta della perfezione umana, spirituale, sacerdotale e creare unitamente alla testimonianza quell’enorme mole di lavoro che sono le sue opere: Insegnamenti di ogni tempo e per tutti. Benedetto XVI indirizzando ai Convegnisti un suo messaggio, molto significativo nelle articolazioni attinenti la vita e le opere del beato J. H. Newman, così concludeva: “Al Beato John Henry Newman Maestro nell’insegnarci che il primato di Dio è il primato della verità e dell’amore, affido le riflessioni e il lavoro del presente Simposio, mentre per intercessione della Vergine Maria, Madre della Chiesa, sono lieto di impartire a tutti i partecipanti l’implorata Benedizione Apostolica, pegno di abbondanti favori celesti”. Pubblicato nel “il serrano” 27 maggio, 2011 category il mondo cattolico.

L’A. e il teologo prof. Rosario La Delfa

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2. Due Papi Paolo VI e Humanae vitae 25 luglio 1968 – 25 luglio 2008 Sono trascorsi quaranta anni dalla promulgazione della lettera enciclica Humanae vitae. Non abbiamo titolo per approfondire il contenuto della famosa enciclica. La nostra riflessione vuole ricordare ai lettori del “il serrano” il grande Pontefice e soprattutto spendere qualche parola sul travaglio fisico e dell’anima, sui sentimenti provati nello studiare e formulare il documento, come Lui stesso ebbe modo di ricordare qualche giorno Giovanni Paolo VI con il cardinale Wojtyla. dopo la pubblicazione: (Castel Gandolfo Udienza generale 31 luglio) …Le nostre parole hanno oggi un tema obbligato dall’enciclica Humanae Vitae, che abbiamo pubblicato in questa settimana circa la regolazione della natalità. E subito precisò che: “il documento pontificio non è soltanto la dichiarazione di una legge morale negativa, cioè l’esclusione d’ogni azione che propone di rendere impossibile la procreazione, ma è soprattutto la presentazione positiva della moralità coniugale in ordine alla sua missione d’amore e di fecondità nella visione integrale dell’uomo e della sua vocazione non solo naturale e terrena, ma anche soprannaturale ed eterna. È il chiarimento di un capitolo fondamentale della vita personale, coniugale, familiare e

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sociale dell’uomo”. Ritenuto l’indeciso, forte della sua funzione dottrinale e pastorale, spazzò via le attese di una moltitudine di cristiani, il parere della commissione consultiva preparatoria all’enciclica presieduta dal card. Seunes, già insediata da Giovanni XXIII e da Lui allargata, che pare si fosse pronunciata per qualche provvedimento a favore della contraccezione. Nessun cedimento alla volontà popolare, anzi molti insegnamenti in quell’enciclica sull’amore pienamente umano, vale a dire nello stesso tempo sensibile e spirituale... un amore totale, un amore fedele, un amore fecondo. Questo fu il suo dettato, perché questo è il fondamento della sua chiesa: un amore che desse il frutto di sé, in ordine collaborativo al disegno della creazione, voluto da Dio e richiesto alla persona. Nessuna separazione nell’unione del vero amore, donazione fedele di sé all’altro e procreazione. Dicevamo che scopo di questa nota è il ricordo dei sentimenti del Papa, nello studio e nell’elaborazione dell’Humanae vitae. All’espressione di questi non sono certo secondari la spiritualità, l’umanità, la dottrina, l’autorevolezza del Suo magistero, il Concilio vaticano II, il momento storico che attraversava la chiesa e il nostro paese. E proseguì col dire: Il primo sentimento è stato quello di una nostra gravissima responsabilità… durante i quattro anni dovuti allo studio e all’elaborazione di questa enciclica… ci ha fatto anche non poco soffrire spiritualmente. Non mai abbiamo sentito come in questa congiuntura il peso del Nostro Ufficio. Abbiamo studiato, letto discusso quanto potevamo e abbiamo anche molto pregato… dovevamo rispondere alla Chiesa, all’umanità intera… eravamo obbligati a fare Nostro l’insegnamento del Concilio… ci sentivamo propensi ad accogliere, fin dove ci sembrava di poterlo fare, le conclusioni per quanto di carattere consultivo della Commissione istituita da Papa Giovanni e da Noi stessi ampliata. ...Sentivamo le voci fragorose dell’opinione pubblica e della stampa, ascoltavamo quelle più tenui, ma assai penetranti nel Nostro cuore di padre e di pastore, di tante persone, di donne rispettabilissime specialmente, angustiate dal difficile problema e dell’ancor più difficile loro esperienza… Responsabilità, studio, sofferenza spirituale, gravità dell’ufficio da svolgere di successore di Pietro, fedeltà al Concilio. L’amore, la carità verso quanti attendevano la Sua parola di Padre e di Pastore. Un fisico, una mente, un’anima tormentati da tanti sentimenti, nel prendere una decisione di complesso significato e tanto difficile. E mentre accusa con tanta umiltà l’inadeguatezza della Nostra povera persona, il formidabile obbligo apostolico di doversi pronunciare al riguardo conferma la serena decisione nel pronunciare la nostra sentenza nei termini espressi dalla presente enciclica. 64


E invoca la sorgente della sua forza. Nos autem sensum Christi habemus! Contro la volontà di tanti, Lui con l’aiuto dello Spirito Santo decise per il vero amore umano, per la santità del coniugio, per la difesa del principio della creazione che ha la coppia. Il tutto nella comprensione e nel rispetto della peculiarità del problema del controllo della natalità, che tante coppie vivono e affrontano e soffrono ogni giorno. Paolo VI chiude il discorso esprimendo la speranza che il popolo cristiano accogliesse benevolmente la sua sentenza dettata dall’essere cristiani. Inflessibile! La dottrina della Chiesa è fondata sulla connessione inscindibile che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: quello unitivo e quello procreativo. Tanti i delusi! Un cardinale, Karol Wojtyla che di lì a breve gli sarebbe succeduto, condivise e commentò dal par suo l’Humanae vitae (Osservatore romano 5 gennaio 1969). Tra l’altro il futuro Giovanni Paolo II scrisse: “È opportuno avere presente la sostanza della legge scritta nel cuore dell’uomo e attestata dalla coscienza, per riuscire a penetrare la profonda verità della dottrina della Chiesa, contenuta nell’enciclica”. Come non ricordare ancora, per meglio capire i suoi sentimenti in quel citato momento e non solo, il grave periodo storico vissuto dalla Chiesa e dal nostro paese durante il Pontificato nel quale Egli servì il cristianesimo e l’umanità intera? Citiamo il pericolo delle fratture nel seno della Chiesa, l’ecumenismo, il divorzio, il terrorismo, la vicenda Aldo Moro. Il suo fisico e la sua anima conobbero tanta sofferenza! Sulla sostanza dei suoi sentimenti, come penetrare se non approssimativamente, nell’anima, nel cuore, nella mente della Persona? Ci piace ricordare l’opera bronzea di Brescia che lo mostra pesantemente curvo come di CHI ha sofferto ed immolato se stesso per amore di Cristo che rappresentò in terra e di tutta l’umanità alla quale riferì tutto il suo essere padre. Il 6 agosto del 1978 tornava alla Casa del Padre. Dal Suo testamento spirituale sentiamo il bisogno di riportare qualche cenno che serva al nostro scopo. La gioia della vita: … sento il dovere di celebrare il dono, la fortuna, la bellezza, il destino di questa stessa fugace esistenza: Signore, Ti ringrazio che mi hai chiamato alla vita, ed ancor più che, facendomi cristiano, mi hai rigenerato e destinato alla pienezza della vita… ed iniziato al sacerdozio di Cristo…a Roma inizialmente accanto al Papa… a Milano sulla cattedra per me troppo alta e venerabilissima dei 65


Santi Ambrogio e Carlo finalmente in questa suprema e formidabile e santissima di S. Pietro. E poi un pensiero alla Sua amata Chiesa …dovrei dire tante cose, tante sullo stato della Chiesa; abbia essa ascolto a qualche nostra parola, che per lei pronunciammo con gravità e amore. E il saluto: alla dilettissima Chiesa cattolica, all’Umanità intera la mia apostolica benedizione. E quanta umiltà: Desidero che i miei funerali siano semplicissimi, non desidero né tomba speciale, né monumento. Qualche suffragio, beneficenze, preghiere. Ci riesce difficile non continuare, onde ricordare i sentimenti di tanta Persona anche al di fuori dell’occasione citata! Lascio la parola a Schwaiger, un esperto della storia dei Papi che così scrive di Paolo VI: “La figura di questo Papa, misconosciuto e non di rado osteggiato da molti mentre era in vita, ora si va illuminando grazie alla rispettosa comprensione della sua personalità e del suo operato. Paolo VI non si è concesso una vita facile. Ma i Papi migliori sono stati quelli che hanno sofferto il peso della loro missione”. Mi piacerebbe che i Serrani leggendomi possano colmare le tante lacune di questa mia nota studiando un grande Papa, tanto grande e tutto da scoprire. Per Lui valgono gli aggettivi di “incompreso, frainteso, isolato, mesto, amletico, prigioniero della minoranza conciliare” di cui ci parla il noto vaticanista Andrea Tornielli? Non sono tanti che all’interno e all’esterno della Chiesa esaltano il suo coraggio, la sua sofferenza e soprattutto la sua santità, alla quale noi fermamente crediamo. Pubblicato nel “il serrano” n. 112. 2008 Nota. Dall’Osservatore romano 21 dic.2012. Il Santo Padre Benedetto XVI ha autorizzato la Congregazione delle cause dei Santi a promulgare il decreto che riconosce le virtù eroiche di Papa Paolo VI. Il Papa di Humanae vitae è Venerabile. Inizia l’iter verso la canonizzazione.

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Giovanni Paolo I una meteora nel firmamento della Chiesa

L’anno 1978 per il mondo cattolico è stato drammatico e pieno di emozioni. Abbiamo assistito alla fine di un lungo pontificato, quello di Paolo VI, all’inizio di un altro e al suo tramonto, dopo 33 giorni, quello di Giovanni Paolo I. Poi all’elevazione sul soglio pontificio di un Papa “straniero” Giovanni Paolo II, figlio della martoriata Polonia. Chi non ricorda quel grave spettacolo: Prima una bara, poi una seconda e su di esse il Vangelo, strapazzato dal vento, al centro di un grande palcoscenico, Piazza S. Pietro, parte di un immenso teatro occupato da milioni di spettatori di tutto il mondo; dalla faccia impietrita, dagli occhi gonfi di lacrime, che sbigottiti resero omaggio ai due Pontefici tornati alla casa del Padre. Prete, Vescovo, Pontefice di eccelse virtù, nacque povero, visse povero. Nell’infanzia disse: Ho sofferto la fame. Fin dalla tenera età assoluta è stata la sua devozione a Dio: “Eccomi Signore prendimi come sono ma fammi diventare come Tu mi desideri”. Praticò le virtù teologali: Fede, Speranza, Carità in modo eroico. Dimostrarlo sarà compito del processo di canonizzazione iniziato dal suo successore alla diocesi di Belluno, già Vescovo coadiutore della diocesi di Livorno, il compianto mons. Vincenzo Savio. Giovanni Paolo I si ritenne strumento di Dio e a Lui obbedì sempre come si conviene verso Chi è “Padre e Madre”. Alle soglie del sacerdozio per lui “giovane

Giovanni Paolo I con il cardinale Wojtyla.

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di impegno straordinario, eminente per scienze, di pietà distinta e di ottimi costumi” ma che non aveva l’età canonica per l’ordinazione sacerdotale, il suo Vescovo chiese al Vaticano la dispensa, che tardò a venire. Fu cappellano ad Agordo, Direttore del Seminario di Belluno, dottore in teologia. Giovanni XXIII nel consacrarlo Vescovo disse: “Abbiamo fatto una bella e grande cosa”. Vescovo di Vittorio Veneto, Patriarca di Venezia, Principe della Chiesa, Papa. Una carriera folgorante. E Lui: Io sono colui che viene dai campi. Si ritenne di appartenere “alla categoria dei poveri scriccioli che sull’ultimo ramo dell’albero ecclesiale squittiscono soltanto, cercando di dire qualche pensiero, su temi vastissimi, mentre altri assomigliano ad aquile che planano con documenti magistrali ad alto livello e altri ancora sono usignoli che cantano le lodi del Signore in modo meraviglioso”. Postino di Dio: “Bisogna che io sia un veicolo adatto e degno della Parola che da Dio viaggia nell’assemblea cristiana”. Patriarca di Venezia, paternamente preoccupato degli effetti della disoccupazione, indirizzò, nella speranza di un migliore assetto sociale, esortazioni a sacerdoti, imprenditori, dirigenti, lavoratori, a tutti. Un giorno, in tempo di austerità, mancava la benzina; per recarsi in una parrocchia nei pressi di Mestre, non esitò a “inforcare” la bicicletta per raggiungere i fedeli che lo attendevano in Chiesa. Il Patriarcato era aperto a tutti e a tutte le ore. Fu visto per le strade a distribuire buste ai bisognosi. Vestì senza ricercatezza. Usò anche vesti del suo predecessore. I suoi vestiti a volte erano rammendati. “Non so fare il cardinale” disse. Eletto Papa, alla richiesta del cardinale Camerlengo se accettasse di succedere a Pietro “sconvolto e impietrito” rispose: Accetto, eccomi Signore. La febbre della fedeltà al Signore e l’amore per la Chiesa avevano ancora una volta vinto sulla sua indole schiva. “Perché hanno eletto me?”. “Dovevano scegliere altri più preparati di me”. Al suo segretario mons.Mogee: “Dovevano eleggere il cardinale che stava di fronte a me (K. Wojtyla)”. E poco prima di morire: “Io me ne andrò e lui verrà al mio posto”. “Non sono che un bambino Signore, non so parlare”. Quanta umiltà e insieme quanta fede e amore nel servire Dio e la Chiesa! Fu umile e ubbidiente alla Chiesa così come gli aveva consigliato Giovanni XXIII (udienza privata del 21 dic. 68) “Vada a casa, legga il XXIII capitolo del terzo libro della IMITA68


ZIONE di CRISTO”. Il titolo di quel capitolo è: Umiltà e Ubbidienza. Era su quel libro che stava macerando il suo spirito, poco prima di morire, come è stato scritto? Visse un continuo dialogo con Dio, un dialogo d’amore, “tenendo la mia mano in quella di Cristo appoggiandomi a Lui”. “Cerco di avere nel cuore non una fiammella di amore per Dio ma un falò e allora il vento non lo spegne, anzi lo fa più gagliardo”. La catechesi fu la sua più efficace predicazione. La espresse nella parola e in varie pubblicazioni. Tra queste “ILLUSTRISSIMI” apprezzata nel mondo ecclesiale, ebbe risonanza mondiale. “CATECHETICA IN BRISCIOLE” la dedicò alla mamma: “Alla soave memoria della mamma, mia prima maestra di catechismo”. Vi furono segni premonitori che indicarono nel Patriarca di Venezia un futuro Papa. Paolo VI a Venezia, in piazza S. Marco gli mise la sua stola sulle spalle. Nel ricordare l’accaduto disse: “Papa Paolo mi ha fatto diventare così rosso davanti a ventimila persone, io non sono mai stato così rosso”. In occasione di una visita ad limina dei Vescovi del Triveneto, l’allora cardinale Luciani si accorse che il Pontefice non trovava il pulsante del campanello per porre fine all’udienza, glielo porse. Il Papa a un prelato a lui vicino sussurrò: “Così ha imparato dov’è”. La profezia più autorevole gli sarebbe venuta da Suor Lucia la veggente di Fatima. Narrano persone degne di fede che l’allora cardinale ne fu gravemente turbato. Nelle poche udienze generali trattò in modo semplice e confidenziale i temi dell’umiltà, della fede, della speranza, della carità, dell’amore. Furono quelle le sue encicliche. La luce del Papa “del sorriso, del sorriso di Dio” come è stato detto, brilla in cielo. Il mondo tutto ha visto solo la scia luminosa di una meteora del firmamento ecclesiale spentasi il 28 settembre del 1978. Successe a Pietro per soli 33 giorni. Giovanni Paolo II nel celebrarlo disse: Egli ci insegnò l’amore alla Chiesa, l’amore a Cristo, l’amore a Dio, l’amore che Dio ha per noi. “Non ci sono che due personaggi che contano nella nostra vita DIO e NOI, disse Luciani. “Ed è proprio qui tutto il Luciani, è in questo rapporto bilaterale che deve essere inserito il mistero della morte di Giovanni Paolo I: il suo messaggio non sarebbe completo senza questa fine sconcertante, la quale viene proprio ad integrare e a perfezionare la lezione intramontabile che Egli ci ha dato con il suo servizio e la sua fede”. Pubblicato nel “il serrano” n. 117, 2009.

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Paolo VI e il card. Albino Luciani a Venezia

Nota. Il 17 0ttobre nella ricorrenza del centenario della nascita di Albino Luciani, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei Santi, ha ricevuto il Summarium, prima parte della Positio che tratta dell’eroicità della vita e delle virtù del “Papa del sorriso”. È l’inizio del processo che porterà agli onori degli altari Papa Luciani.

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3. Il Parroco del mondo Giovanni Marie Vianney: Curato d’Ars

Nasce a Dardilly, nei pressi di Lione l’8 maggio 1786. È ordinato sacerdote a Grenoble il 13 agosto 1815. Arriva ad Ars il 13 febbraio del 1818. Muore il 4 agosto del 1859. Beato l’8 gennaio del 1905, Pio X lo dichiara Protettore dei Parroci di Francia. Pio XI lo canonizza il 31 maggio del 1925. Lo proclama Patrono di tutti i Parroci del mondo. Nel 1959 Giovanni XXIII, nell’anno centenario della morte promulga l’enciclica “Sacerdoti nostri primordia”. Nel 1986 Giovanni Paolo II, il Giovedì Santo 16 marzo, 2°centenario della nascita del Santo, lo addita come esempio” incomparabile di sacerdote” (Lettera ai Sacerdoti). Benedetto XVI, dal Giugno 2009, indice un anno dedicato ai Sacerdoti, nel nome del Curato d’Ars. Ma chi è questo parroco Santo, additato ad esempio di “incomparabile Sacerdote” a tutti i sacerdoti del mondo? “Portateci Cristo, portatecelo in modo chiaro, riconoscibile, audace …Dio è la sola ricchezza che, in definitiva, gli uomini desiderano trovare in un sacerdote, senza il sacerdozio ministeriale non ci sarebbe né l’Eucaristia, e tanto meno la missione e la stessa Chiesa”. Con queste parole, Benedetto XVI ha 71


annunciato alla Congregazione per il clero l’anno sacerdotale nel nome del Santo Curato d’Ars. Il Serra livornese vuole promuovere momenti di riflessione sul sacerdozio in un giorno molto significativo, nel quale celebriamo il Serra day in onore di un altro sacerdote, il Beato Junipero Serra indefesso evangelizzatore al quale chiediamo che la società abbia tanti sacerdoti della santità sua e del Curato d’Ars. Sforziamoci di studiarli, di capirli, di imitarli nell’amore che loro hanno avuto in Dio, nella chiesa, perché le nostre azioni associative, trovino sempre maggior vigore. Giovanni Maria Vianney sedette sui banchi di scuola a 17 anni. Ebbe molte difficoltà negli studi teologici e filosofici. Il suo Parroco lo aiutò convinto che sarebbe stato un grande sacerdote. A proposito del suo scarso quoziente di intelligenza disse: Penso, dirà il Signore abbia voluto scegliere il più testone di tutti i parroci per compiere il maggior bene possibile. Se ne avesse trovato uno peggiore, l’avrebbe messo al mio posto, per mostrare la sua grande misericordia. Riteneva che il suo vescovo si fosse sbagliato nell’affidargli la parrocchia. “Non mi rammarico di essere prete per dire la Messa, ma non vorrei essere parroco”. Per tre volte chiese al suo Vescovo di volersi ritirare dall’ufficio”per piangere in solitudine” i suoi peccati. Tre anni prima che morisse e ancora prima tentò di fuggire ritenendosi di non essere degno di esercitare il suo ministero. Tutte le volte i suoi fedeli pronti a fermarlo: “Signor Curato se vi abbiamo dato qualche dispiacere ditelo, faremo tutto quello che vorrete per farvi piacere”. “Il prete diceva, da un lato, si capirà soltanto in cielo. Se lo comprendessimo sulla terra ne moriremmo non di paura ma di amore. Dopo Dio il prete è tutto. Lasciate per vent’anni una parrocchia senza prete e vi si adoreranno le bestie”. A un parroco che gli rimproverava la sua scarsa dotazione teologica”: Signor Curato quando si possiede così poca teologia, non si dovrebbe mai entrare in un confessionale”. E lui “mio carissimo e amatissimo fratello quanti motivi ho di amarvi! Voi siete il solo che mi abbia conosciuto bene”. Man mano che aumentava in lui la consapevolezza della misericordia di Dio incominciò a ritenersi intendere buono a nulla. “Il buon Dio che non ha bisogno di nessuno, si serve di me per il suo grande lavoro, benché io sia un sacerdote senza scienza”. “Mio Dio concedetemi la conversione della mia parrocchia. Io sono disposto a soffrire tutto.” E si mortificava, si flagellava, fino a svenire, mangiava pochissimo ( le patate bollite duravano parecchi giorni). 72


LE SUE OMELIE “Nessun sacerdote ha mai parlato di Dio come il nostro Curato”. Così i fedeli. E il suo Vescovo: “Si dice che il Curato d’Ars non sia istruito… però so di sicuro che lo Spirito Santo si incarica di illuminarlo.” PIO XI nell’omelia pronunciata in occasione della canonizzazione del “povero Curato d’Ars” descrisse così la sua figura: “l’esile figura corporea di Giovanni Maria Vianney, la testa risplendente di una specie di bianca corona di lunghi capelli, il volto gracile e disfatto pei digiuni, dal quale talmente traspariva l’innocenza e la santità di un animo umilissimo e soavissimo che, al primo aspetto, le moltitudini venivano richiamate a pensieri salutari”. Giovanni XXIII nell’enciclica Sacerdotii nostra primordia nel descrivere i tratti della santità del Curato d’Ars tese a delineare gli aspetti della sua vita sacerdotale “che in tutti i tempi sono essenziali, ma acquistano tanta importanza ai nostri giorni, che stimiamo un dovere del nostro mandato apostolico insistervi in modo speciale in occasione di questo centenario”. E il Curato: “Come è spaventoso essere prete! Come è da compiangere un prete quando dice Messa come una cosa ordinaria! Come è sventurato un prete senza interiorità”. E ne esalta il Papa, l’ascesi sacerdotale “severo con sé e dolce con gli altri”… la figura di sacerdote straordinariamente mortificato che, per amore di Dio e per la conversione dei peccatori, si privava di nutrimento e di sonno, si imponeva rudi discipline e praticava soprattutto la rinuncia di se stesso in grado eroico”. “San Giovanni M. Vianney, fu esempio mirabile di povertà evangelica”. “Il mio segreto, egli diceva, è semplicissimo: dare tutto e non conservare niente”. “In tutta la sua vita praticò in grado eroico l’ascesi della castità ornarnento insigne dell’Ordine nostro “ (S. PIO X). Diceva il Curato: “Quando il cuore è puro, non può fare a meno di amare, poiché ha trovato la sorgente d’amore che è DIO. Il sacerdozio ecco l’amore del cuore di Gesù”. Fu rigido nell’obbedienza cieca al suo Vescovo. Nella seconda parte dell’enciclica, Giovanni XXIII esalta la figura del Santo d’Ars come “il sacerdote… uomo di preghiera citando le sue parole: “L’uomo è un povero che ha bisogno di domandare tutto a Dio…Quante anime possiamo convertire con le preghiere! La preghiera ecco la felicità dell’uomo sulla terra”. La sua devozione a Nostro Signore presente nel Santissimo Sacramento dell’altare era veramente straordinaria. Nell’indicare il Tabernacolo con amore struggente diceva: Egli è là. 73


Ricorda Giovanni XXIII un pensiero di Pio XII al clero romano.”Un sacerdote genuflesso davanti al tabernacolo, in atteggiamento degno, in profondo raccoglimento, è un modello di edificazione, un ammonimento e un invito all’emulazione orante per il popolo”. “Questa fu l’arma apostolica per eccellenza del giovane Curato d’Ars, non dubitiamo del suo valore in qualsiasi circostanza”. A proposito del sacrificio della S. Messa il Santo Padre scrive: È là che il popolo di Dio, illuminato dalla predicazione della Fede, nutrito del Corpo di Cristo, trova la sua vita, la sua crescita e ve n’è bisogno, rinsalda la sua unità. È là in una parola che per generazioni e generazioni, su tutte le plaghe del mondo, si costruisce nella carità il Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa”. E raccomandava a proposito della Messa, sorgente prima di santificazione personale del Sacerdote: “Con affetto paterno, Noi chiediamo ai nostri diletti Sacerdoti di esaminarsi periodicamente sulla maniera con cui celebrano i santi misteri.” È necessario che il Sacerdote operi congiunto con Cristo e guidato dal suo spirito così come il Curato d’Ars. Nella terza parte dell’enciclica Giovanni XXIII scriveva come il “Santo Curato fu al suo tempo un modello di zelo pastorale in quel villaggio di Francia, dove la fede e i costumi risentivano ancora il turbamento della Rivoluzione”. Alla conclusione: “L’esempio del Curato d’Ars conserva un valore permanente ed universale su tre punti essenziali”. ALTO SENSO DELLE PROPRIE RESPONSABILITÀ PASTORALI “Amico mio confidava un giorno a un confratello, voi non sapete ciò che voglia dire per un parroco presentarsi al tribunale di Dio”. PREDICATORE E CATECHISTA INFATICABILE “Il Santo Curato d’Ars non aveva certo il genio di un Segneri o di un Bossuet, ma la convinzione viva, chiara, profonda, da cui era animato, vibrava nella sua parola, brillava nei suoi occhi, suggeriva alla sua fantasia e alla sua sensibilità idee, immagini, paragoni giusti, appropriati, deliziosi, che avrebbero rapito un San Francesco di Sales.Tali predicatori conquistano veramente il loro uditorio. Chi è pieno di Cristo, non troverà difficile di guadagnare altri a Cristo”. Così PIO XII. E ancora: “Quando alla fine della sua vita, la sua voce affievolita non arrivava più a farsi intendere da tutto l’uditorio, era ancora con il suo sguardo di fuoco, con le sue lacrime, con i suoi gridi di amore di Dio o le sue espressioni di dolore al solo pensiero del peccato che convertiva i fedeli accorsi ai piedi accorsi. Come non essere colpiti dalla testimonianza di una vita così totalmente consacrata all’amore di Cristo?”. Conclude il Pontefice “Al termine di questa Lettera venerabili fratelli, desideriamo dirvi tutta la nostra soavissima speranza che, con la Grazia di Dio, che questo centenario della morte del Santo Curato d’Ars possa risvegliare presso ogni sacerdote il desiderio di com74


piere generosamente il suo mistero e soprattutto il suo “primo” dovere di sacerdote, cioè di raggiungere la propria santificazione”. STRENUO APOSTOLO DEL CONFESSIONALE “…l’amministrazione del Sacramento della Penitenza rifulse di particolare splendore e produsse frutti in sommo grado copiosi e salutari. Egli trascorreva in media quindici ore al giorno al confessionale. Questo lavoro quotidiano cominciava all’una o alle due del mattino e non finiva che di notte”. E quando cadde, di sfinimento, cinque giorni prima della morte, gli ultimi penitenti si strinsero al capezzale del moribondo. Si calcola che verso la fine della vita il numero annuo dei pellegrini avesse raggiunto la cifra di 80000". La sua santità è maturata “nel martirio del confessionale”. Nella Lettera ai sacerdoti in occasione del giovedì santo 1986 emessa il 16 marzo, quinta domenica di Quaresima, anno ottavo del suo Pontificato, Giovanni Paolo II, nel tessere le virtù eroiche e la santità del Curato d’Ars, che indica come esempio da imitare a tutti i sacerdoti concludeva: “Chiediamo al Sacerdote eterno che il ricordo del Curato d’Ars ci aiuti a ravvivare il nostro zelo al suo servizio. Supplichiamo lo Spirito Santo di chiamare a servizio della Chiesa molti sacerdoti della tempra e della santità del Curato d’Ars”. Amici Serrani, non può non essere che questo il nostro ardente desiderio! Non dimentichi della santità del nostro beato Junipero Serra, del quale oggi celebriamo la sua infaticabile opera di evangelizzatore e civilizzatore, abbiamo voluto porre alla vostra attenzione la figura del Curato d’Ars additato quale esempio di santa vita sacerdotale, ai sacerdoti di tutto il mondo, da tre Pontefici. Invochiamo da Dio, dal Beato Junipero Serra, dal Santo Curato d’Ars la forza di dare il nostro convinto contributo alla Chiesa, perché il Signore ci dia tanti e soprattutto santi Sacerdoti. Mi piace chiudere questa nostra breve nota sul Curato d’Ars, figura di santo sacerdote, con una domanda rivolta ad un laico, Vittorino Andreoli che per un anno intero ed in vari articoli ha sezionato per “Avvenire”, la figura del Prete. Leggendo le sue riflessioni é impossibile non farsi conquistare dalla figura del Sacerdote come uomo di Dio tutto dedito agli altri. Ma allora perché pochi giovani avvertono il fascino di questa vocazione? (Francesco Ognibene) E Andreoli: “Il sacerdozio fa paura, anche perché il prete sembra dovere essere titanico, perfetto, iperattivo. E questo credo abbia l’effetto di scoraggiare. Eppure sappiamo che anche i grandi preti santi si sentivano indegni del loro ministero e ricorrevano di frequente 75


alla confessione. Ed occorre stare attenti a non declinare la figura del sacerdote in base a criteri di impeccabilità e di efficienza. Il prete più grande non è il sapiente ma chi si crede un rottame”. A chi aspira al sacerdozio andrà forse detto: provaci il Signore ti aiuterà. Santuario della Madonna delle Grazie di Montenero 3 maggio - Serra day 2009. Pubblicato nel “il serrano” n.115, 2009.

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Ricchezza e povertà del Sacerdote Un’icona: il Curato d’Ars

L’ultima cena “Durante la cena Gesù prese un pane e recitata la benedizione, lo spezzò; poi dandolo ai suoi discepoli disse: prendete e mangiatene, questo è il mio corpo!” “Prese poi il calice, rese grazie e disse bevetene tutti perché questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza che è versato per tutti a remissione dei peccati”. (Mt.26,28.) Dignità e missione degli Apostoli “Voi siete il sale della terra”. “Voi siete la luce del mondo”. “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini affinché vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli.” (Mt 5, 13, 14, 16). Nasce la Chiesa, il suo primato, il suo capo in terra, il sacerdozio. “E io dico a te: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Io ti darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei Cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”. (Mt16-18,19.) “Simone di Giovanni, mi ami tu più di questi?” “Certo, Signore, rispose Pietro, tu sai che io ti amo”. E Gesù a lui: “Pasci i miei agnelli”. (Gv. 21, 15.) Tre volte Gesù gli disse “Pasci i miei agnelli”. “ Come Tu hai mandato me nel mondo, così io ho mandato loro nel mondo”. “Santificali nella verità, la tua parola è verità”. “Non prego per loro soltanto ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola, perché tutti siano una cosa sola”. (dalla preghiera di Gesù al Padre. Gv. 17,18)

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Il comandamento nuovo “Vi do un comandamento nuovo: amatevi l’un l’altro. Come io vi ho amato, così anche voi amatevi scambievolmente”. “Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli: se avrete amore l’un l’altro”. (Gv.3,4). Invio dello Spirito Santo “Se mi amate, osservate i miei comandamenti ed io pregherò il Padre di mandarvi un altro Consolatore che stia sempre con voi, cioè lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere perché non lo vede né lo conosce; ma voi lo conoscete perché abita con voi e sta con voi”. “Io non vi lascerò orfani” (Gv14.15 …18.) Abbiamo tratto dai Vangeli di Matteo e Giovanni alcune immagini indicative di eventi straordinari e fondamentali del cristianesimo ai suoi primordi, prima che Cristo fattosi Uomo tornasse al Padre che lo aveva inviato nel mondo per la salvezza degli uomini: L’Eucaristia, la Chiesa, il suo Capo invisibile, il Sacerdozio. Un’eredità lasciata per Amore. Questo è il mio corpo, la sua identità umana e divina è da quel giorno misteriosamente, ma realmente presente in forma percepibile dall’uomo. Il sacerdote che trasforma il pane e il vino in un’identità umano-divina, ha nella sua parola la stragrande potenza di operare nel suo nome. “Senza l’Eucaristia, la nostra vita di sacerdoti mancherebbe del suo centro” (Schonborn). Chi è il Sacerdote? Tema complesso e cruciale. Non credo si possa rispondere esaurientemente a questo interrogativo. Per una riflessione profonda su questa figura Benedetto XVI ha indetto l’anno sacerdotale, 19 giugno 2009 2010, legato alla figura di un sacerdote francese, Giovanni Maria Vianney, il santo Curato d’Ars nel 150° anno dalla sua morte. Un modello da imitare! La parola sacerdote viene dalla combinazione di sacer (sacro) e dho-ts, colui che fa fare cerimonie sacre. È un religioso religio che vuol dire legame, legame tra la necessità dell’uomo ed il sacro di cui ha bisogno. Egli è l’espressione concreta di Cristo, Dio-Uomo; fa incontrare Dio, pur nella fragilità umana. 78


Egli è ricco e nel contempo povero, di una povertà che disarma, ma creativa, una creatività al superlativo capace di trasformare il pane in vino in corpo e sangue di Cristo. Lui, testimone di Cristo, ha il compito di plasmare la vita dell’uomo per Cristo venutogli in soccorso, per salvarlo, assicurandogli la felicità eterna. Per questa opera di sacrifici e irta di difficoltà il sacerdote è Un Unico, nella vita di ciascuno di noi, volto a insegnarci la giusta via per l’eterno. Proviamo a dire qualcosa sull’interrogativo postoci. Nel senso teologico, cristologico ed ecclesiologico. Egli agisce in persona Christi per cui “il prete si identifica con Cristo attraverso un cammino di obbedienza, che riguarda sia la funzione ministeriale da svolgere con l’autorità di Cristo, sia la conversione costante di tutta l’esistenza al modello di vita da lui proposto”. (C. M. Martini in Cei, commissione per il clero; la spiritualità del prete diocesano). “Senza il sacerdote ministeriale non ci sarebbe né l’Eucaristia, né tantomeno la missione e la stessa chiesa”. (Benedetto XVI) Il Papa sprona i sacerdoti e dice loro “portateci Cristo, portatelo in modo chiaro, riconoscibile, audace. Solo Lui può spezzare il pane, versare il vino e far di loro il corpo e il sangue di Cristo. Solo Lui può dire io ti assolvo, io ti perdono. E quelle parole sono parole di Cristo”. La chiave dell’evangelizzazione è la santità del sacerdote. Nell’udienza generale del 19 agosto del 2009 in Castel Gandolfo, riportando un pensiero di S. Giovanni Eudes, canonizzato nello stesso giorno del parroco d’Ars 31 maggio 1925, il Santo Padre dice ai sacerdoti: Donatevi a Gesù, per entrare nell’immensità del suo grande cuore, che contiene il cuore della sua santa madre e di tutti i santi e per perdervi in questo abisso d’amore, di carità, di misericordia di umiltà, di purezza, di pazienza, di sottomissione e di santità. L’apostolato che oggi tende ad assorbire molto tempo al sacerdote, deve trovare armonia con la preghiera. “La preghiera è l’anima dell’attività pastorale, la linfa che ad essa infonde forza, è il sostegno dei momenti di incertezza e di scoraggiamento e la sorgente inesauribile di fervore missionario e di amore fraterno verso tutti”. (Benedetto XVI, udienza per i Vescovi di recente nomina. Castel Gandolfo 21 settembre 2009). Incertezza e scoraggiamento dei quali la persona del sacerdote abbonda. Questi, se vissuti cristianamente, sono sì povertà che però costituisce ricchezza, che lo avvicinano a Dio, lo santificano. Vi è chi alla figura del prete vuole conferire un’immagine particolare data dal modo come egli esercita il suo ministero nella società del tempo, di difficile trattazione, solo al pensiero 79


del vertiginoso mutamento dei costumi. La vita del sacerdote deve essere un cammino verso l’imitazione di Cristo per la sua santificazione. A proposito di santità, quella canonizzabile, è una dimostrazione l’innumerevole schiera di preti santi riconosciuti dalla Chiesa. Vi è una santità non canonizzata ed è riferita alla vita del prete che offre la sua opera di apostolato in fede all’Ordine ricevuto, per il quale è stato consacrato, e conferma con essa la profonda dedizione alla causa di Cristo. “Questa santità che direi piuttosto una santità mite eppure sfolgorante, una santità povera eppure sontuosa, é riferita alla magnificenza che è Cristo, Uomo perfetto, il più bello ed affascinante tra il figlio dell’uomo”. (Vittorino Andreoli: La santità del sacerdote in Avvenire 17.12.2008). Questa è la ricchezza del sacerdote, il contrario è mera povertà, financo tradimento se non vive non vive in conformità all’Ordine ricevuto. “I sacerdoti uomini di vero amore, misericordia, umiltà e pazienza”. (Benedetto XVI Castel Gandolfo 19 agosto 2009). E ancora il Santo Padre. Così S. Giovanni Eudes incoraggia i sacerdoti: Donatevi a Gesù per entrare nell’immensità del suo grande cuore, che contiene il cuore della sua santa Madre e di tutti i santi, e per perdervi in questo abisso di amore e di carità, di misericordia, di purezza, di pazienza, di sottomissione e di santità. (Coeur admirabile in Benedetto XVI, udienza generale in Castel Gandolfo 19 agosto 2009). La figura del prete, deve coniugare la sua soggettività alle funzioni ministeriali alle quali è chiamato in prima persona. Soggettività personale, caratteriale, culturale, che devono sposarsi con la società e con le necessità operative di una chiesa in cammino. “La Chiesa cammina insieme con l’umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena” (Gaudium et spes.n. 40). Essa “ha bisogno di persone, di credenti, soprattutto di laici credenti che sappiano stare dentro il mondo e tra la gente in modo significativo. Laici credenti di forte personalità”. (Gaudium et spes n.31) Si pretende che il prete debba essere espressione di perfezione assoluta e non si pensa che egli abbia un’umanità di peccatore, che porta in sé le molte debolezze umane. Egli è povero, il più povero, di una povertà disarmante che lo porta però vicino al prossimo e a Dio. E questo non è anche momento di ricchezza? Il prete più grande non è il sapiente, non è il più ricco di cose terrene, ma chi si sente un rottame”. A una schiera di preti raccolti ad Ars, venuti da tutto il mondo, di ogni razza e colore il cardinale di Vienna, Christoph Schönborm, nella trattazione del tema “La gioia di essere preti” a voce alta e solenne ricorda le parole di Giovanni Paolo II: Siamo testimoni di misericordia, virtù fondamentale in un prete, misericordia infinita perché tale è la misericordia divina. 80


E raccomanda la preghiera e la celebrazione della S. Messa “in persona Christi”. Non come atto rutinario. Il semplice, il rottame è più vicino a Dio, il più idoneo alla conversione delle anime, alla feconda evangelizzazione . In occasione di una sua visita a S. Giovanni Rotondo nell’assistere alla celebrazione del santo sacrificio da S. Pio ricorda: “Ho avuto l’impressione di vedere la realtà del sacrificio di Cristo; come se il velo del sacramento fosse caduto”. E ancora: “Solo alla luce della misericordia di Dio possiamo guardare in faccia la nostra miseria…in un mondo senza misericordia tutti tendono ad autogiustificarsi e ad accusare gli altri. E quando ci si accorge della nostra miseria, siamo tentati dello scoraggiamento e della disperazione”. Ad una forte tentazione di scoraggiamento conduce la solitudine. Per essa bisogna ritrovare forme di vita in comune, o comunque di prossimità. La solitudine mina la vita dei preti ed è un momento non secondario della sua povertà. Carenza vocazionale È corretto pensare che tra quanti vi possa essere una qualche inclinazione a farsi presbiteri si interrogano: Ne vale la pena? “È proprio necessario fare questa scelta, con tutti i sacrifici che comporta e sono notevoli, quando quelle stesse cose o quella stessa testimonianza la possono dare anche restando nel mondo, da laico, vivendo la vita di tutti?” (Amedeo Cencini in: I giovani sfidano la vita consacrata). La povertà di sacerdoti oggi è da addebitare alla perdita del mistero e alla debolezza della cultura di riferimento dei giovani del nostro tempo? Cosa registriamo sui nostri giovani: “una gioventù senza grandi aspirazioni e senza alti ideali; una gioventù pragmatica, più interessata a vivere il meglio possibile il momento presente che a progettare e preparare il futuro. Essa non conoscerebbe il mistero del proprio io né tanto meno, alcun mistero che ci sovrasti”. (A. Cencini). Essa vive “in un presente incapace di assumere il passato culturale e di orientarsi a un futuro con un progetto e in attesa” (F.Imoda, Sviluppo umano. Psicologia e mistero Piemme 372-3,1993.) “Manca nei nostri giovani il cromosoma mistico, la capacità di lasciarsi attrarre da qualcosa che è sperimentato come intrinsecamente bello e che dà la bellezza alla propria vita; la scoperta dunque, che è bello, non solo giusto e santo, darsi a Dio, essere del tutto suoi, cantarlo, celebrarlo, annunciarlo, amarlo e servirlo”… Assenza o povertà di questo cromosoma vuol dire, ancora una volta, assenza o povertà di passione, la materia prima di un progetto di consacrazione”. (A. Cencini) I giovani sfidano la vita consacrata Ediz. Paoline 81


1996.) “Dio chiama sempre, il problema è saperlo ascoltare. Guardate poi i molti Movimenti e giovani comunità cristiane, quante sono le vocazioni. Chiediamoci perché lì ci sono, lo stile di vita secolarizzato (dei giovani), la loro teologia orizzontale non possono che allontanarli dal sacerdozio”. (Schonborn). Un interrogativo per noi Serrani Nella società, alla ricerca dei giovani che possano innamorarsi del mistero, della vocazione sacerdotale, siamo idonei culturalmente per suscitare loro il grande amore di diventare ministri di Dio? Se è vero che anche questa vocazione è dono di Dio non è men vero che noi, missionari per scelta, dobbiamo trovare e sapere indicare quelle strade lungo le quali la vocazione può incontrare i giovani d’oggi. Se è scontato poi che cardine del tutto è il dono di Dio, pista preziosa lungo la quale incontrare e accompagnare i giovani è la testimonianza del nostro essere cristiano. È faticoso, impegnativo esserlo. La redenzione, la ricchezza del sacerdozio e la povertà dei sacerdoti, un mistero che ci avvolge!

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4. Un frate tutto obbedienza Icilio Felici e bisaccia eroica

Quel giorno di gran festa in cielo, il Padreterno cinse il capo con un diadema tempestato di diamanti. Poi, in giro per l’universo per una ennesima missione d’amore, Pietro che lo accompagna gli disse: Maestro, il più bello dei diamanti si sta staccando. Ed Egli: lascialo andare. Entrambi lo seguirono lungo la corsa, l’Uno compiaciuto, l’altro un po’ meno. Il prezioso si posò graziosamente sulle acque del Mediterraneo. Di lì a poco, dalla profondità marina emerse un lembo di terra, un’isola: La Trinacria si affacciava alla vita del globo terraqueo. Nel tempo, l’isola si popolava e tra i numerosi centri apparvero Nicosia e Sperlinga, arroccati tra i monti Nebrodi, Madonie ed Erei. Numerosi furono i colonizzatori dell’isola. I Greci chiamarono Nicosia, Nikes Oikos; gli Arabi, Niqusin; Federico II, Civitas Costantissima. Con altri paesi i due centri furono colonizzati anche da Piemontesi e Lombardi, donde il loro dialetto gallo - italico. Nicosia, (Nicuscia) ebbe numerose baronie, molte ancor oggi belle chiese e diversi conventi maschili e femminili. Statua di B. Felici (Noè Palumbo)nell’altare del B. Felice

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Sperlinga (Sperrenga) “regale dimora rupestre” in origine borgo feudale ha trovato espansione ai piedi della sua rocca, un castello medioevale che re Filippo II concesse al principe Giovanni Forti Natoli. Ai tempi dei VESPRI SICILIANI il castello ospitò trecento francesi altrimenti votati alla morte, fregiandosi del titolo: Quod Siculis placuit sola Sperlinga negavit inciso all’ingresso del castello. Nel secolo dei LUMI, quando si tendeva ad ignorare l’esistenza di Dio a causa di un razionalismo esasperato, Egli inviò un ulteriore messaggio di amore. Ebbe la luce a Nicosia “Bisaccia eroica” al secolo Filippo Giacomo Amoroso, poi fra Felice, frate cappuccino. Era il 5 novembre dell’anno 1715, figlio di Mastro Pietro, di professione calzolaio (scarpareddu) e di Arcangela, piissima donna. Un ricordo, una riscoperta, una celebrazione, possono definirsi le sequenze di questa nota. Lontano nel tempo, all’età di dieci, dodici anni in un collegio di Nicosia leggevo diverse biografie di Santi. “Bisaccia eroica” tra quelle, descrive la vita dell’allora, il Beato Felice da Nicosia, i suoi fatti straordinari, le grazie, i miracoli” di un fraticello cappuccino laico e cercatore, avvenuti in terra di Sicilia, in quella vicina a Nicosia, a Sperlinga, mio paese di origine. Questo il ricordo. La riscoperta attiene il nome di Icilio Felici. Allora, l’illustre sacerdote, letterato, agiografo toscano, non mi diceva tanto, se si eccettua un giudizio, quello allora possibile, di un autore dallo stile piano, godibile, che faceva vivere il suo racconto, piacevolmente. Fede, Speranza, Carità, penitenza, verginità, povertà, umiltà, obbedienza assoluta e tante altre le virtù di fra Felice magistralmente descritte. Ma anche gli esempi salutari di vita che praticava e additava le grazie, gli avvenimenti strani, i miracoli. Quanto egli viveva, praticava, gli veniva imposto, tutto faceva accompagnandolo dal motto, il suo motto: sia per l’amor di Dio. Povero, tanto povero! Mai una tonaca nuova per lui! Asino del convento, frate cercatore, calzolaio, ortolano, infermiere, giullare di Dio! Questi i suoi mestieri! Il Guardiano che contribuiva a costruire la santità del frate analfabeta, fu detto IL MARTELLO e QUESTI L’INCUDINE (Icilio Felici). Come dire un binomio perfetto, l’un fatto per l’altro, perché la volontà di Dio potesse prendere forma, a dimostrazione della Sua gloria, della santità del frate ed in soccorso 84


delle anime, che Egli quotidianamente indirizzava verso di Lui con l’esempio. Padre Marini disse del Padre Guardiano: Sapiente amministratore di un patrimonio di fede, di carità, di fortezza. Colui che esalta le virtù, la santità di fra Felice. Asino del convento, buffone, fra miseria, fra “scuntentu” mortificanti epiteti che gli rivolgeva il martello. Ed egli nella più consapevole gioia e in perfetta obbedienza, condivideva quelle parole, quasi fossero titoli nobiliari. E tutti accettava conditi dal suo motto. Lo schermiva, lo calunniava, e lui con il sorriso nel viso rispondeva: Sia per l’amore di Dio. Dovunque si trovasse, in convento o in “missione” non mancava di passare qualche ora davanti al tabernacolo. Una profonda venerazione per Cristo, prigioniero d’amore. In città e nei paesi vicini, ormai con la fama di “santo”, grandi e piccoli gli facevano corona. La sua fede, la sua carità, la sua umiltà, la sua pazienza, il suo candore, la speranza che divulgava erano anche elementi di evangelizzazione che compiva giorno, dopo giorno. Fra Felice, aiutami, pensaci tu, guariscimi, tutte parole che gli rivolgevano e alle quali tendeva a rispondere con la preghiera anzitutto invocando Dio e la Madonna. Ai piccoli dava in ricordo una “figuretta” (immagine di Santi). “Martire della penitenza” così lo disse Icilio Felici perché il suo corpo era cinto da strumenti pungenti che si conficcavano nella carne, onde soffrire per sé e per i peccati degli altri. “Sulla spalla destra dove gravava il peso della bisaccia, portava una rotella di legno con delle punte di ferro che si conficcavano nella carne”. La Provvidenza, suo tramite, compì eventi straordinari, grazie, miracoli. Non è possibile parteciparli al lettore, perché diventerei il biografo del Santo senza averne titolo e non l’estensore di una nota rievocativa mista a una riflessione salutare che accresce la spiritualità e fa tanto bene all’anima. Qualche evento strano, ci sembra d’obbligo citarlo, ricorrendo alla penna del Felici. Il Viceré di Sicilia si portò a Nicosia per visitare la città, il convento e conoscere il fratelaico di cui non solo la città di origine parlava, ma tutta la Sicilia accreditandogli la fama di Santo. Faceva molto caldo e il Viceré aveva bisogno di bere. Il Martello, rivolgendosi a fra Felice, umiliatolo con i soliti epiteti, gli disse: Non vi accorgete che Sua Altezza ha sete e desidera un po’ d’acqua della nostra cisterna! Andate ad attingerne un secchio e portatela qui subito….il secchio non si trova (glielo aveva nascosto) Padre Macario, afferra un vecchio paniere di vimini che forse non è a caso là a portata di mano. E porgendoglielo ordina: Mettetela qui l’acqua… presto… fra Felice….obbedisce, 85


va e prende il paniere e ritorna con il paniere pieno d’acqua, senza che ne trasudi una goccia. Ne beve il Viceré, ne beve il Guardiano, ne bevono tutti i presenti…una buona metà avanza e resta lì nel paniere, come una secchia stagnata. Dei tanti, ancora uno, di quegli eventi “strani”, che ha avuto luogo a Sperlinga. “Un certo Marco Castrogiovanni aveva acceso all’aperto una fornace (era dedito alla fornitura di materiale per costruzione), quando una pioggia improvvisa e dirotta… impediva la cottura delle pietre e provocandone l’ ebollizione minacciava di fare crollare ogni cosa”. Passa di lì fra Felice e il poveretto gli chiede aiuto e Lui: “Fatevi animo, non è nulla… ritiratevi e lasciatemi solo”. I presenti giunti a una rispettosa distanza si pongono in attenta osservazione. E che vedono? Fra Felice fattosi il segno della croce si inginocchia a pregare, poi si alza e si lancia dentro la fornace. Non usciva, “segno che è rimasto bruciato, mormoravano…”. “A un tratto fra Felice sbuca fuori… nemmeno un pelo della barba strinato! Gli astanti gridano al miracolo! E Lui… ringraziate il Signore che per intercessione della sua Santissima Madre ha voluto esaudire le nostre preghiere, se ne va soddisfatto unicamente di avere fatto una opera buona”. Fra Felice, per volere di Dio fu uno straordinario taumaturgo. Molti i miracoli operati in vita e in morte, tutti registrati nella causa di canonizzazione. Ebbe il dono della premonizione. Entrato che fu in camera di una giovane donna le dice: “Di un po’ ti piacerebbe andare in cielo con la Madonna? E lei Sì.. mercoledì a mezzogiorno la Vergine santissima ti verrà a prendere… Così fu. E il dono della bilocazione. Il padre di un certo Antonio Ferruccio si era recato a Palermo, doveva tornare a Sperlinga. Visto il forte ritardo Antonio va in convento da fra Felice e gli chiede l’aiuto di far tornate il padre a casa. Fra Felice lo rassicura, “vai, il tuo padre è già a casa”. Tornato che fu a casa Antonio poté riabbracciare il suo papà. Non è certo scopo di questa nota arricchirla dei numerosi fatti prodigiosi del fraticello-cercatore. Ci piacerebbe peraltro, ma non lo consentono le regole di certa carta stampata. Nel maggio di quell’anno (1787) fra Felice pare compisse la sua ultima missione. Era andato alla “chiesta” di vino per la messa. Sulla salita dei Cappuccini, carico di un gravoso peso, con le forze fisiche ormai allo stremo, cadde. Gli viene in soccorso tale Giovanni Bavuso, intenzionato a sollevarlo dal peso, ma fra Felice rifiuta cortesemente. Volle per l’ultima volta portare la sua croce. Di lì a poco si avvicinava la sua fine. Chiese il viatico e l’estrema unzione. Si era premurato prima, di fare il testamento. A suo fratello: gli strumenti di calzolaio che si era portato con se, al suo ingresso in convento e che non pochi servigi avevano reso alla comunità. Continueremo ancora un po’ a parlare di lui per porre l’accento sulla principale delle sue virtù, L’obbedienza, cieca, lieta, semplice. 86


Il prodigio, forse il mistero domina le ultime ore di vita del fraticello-cercatore. A fronte di avvenimenti eccezionali non si può non invocare l’intervento dall’alto. Fra Felice prima di morire voleva il permesso del suo Superiore. Pronto a lasciare questo mondo mandò un suo compagno a chiederlo a Padre Macario e questi parlando forte perché fra Felice lo sentisse, giaceva a letto in una cella accanto alla sua, urlò forte: “Questo ipocrita superbo! Vuole fare il santone fino alla fine perché vede che c’è tanta gente, deve far sapere l’ora della sua morte! Chi gliela detto, l’angelo custode, a che ora deve morire? E invece non è ora”. Ancora una volta il moribondo fece richiedere per obbedienza di poter morire. Questa volta padre Macario esce dalla sua cella, dopo aver sentito il medico curante che gli aveva detto: “Padre, io trovo che fra Felice ha cessato di vivere almeno da tre ore. E intanto parla ma non può essere il suo spirito: il sangue ha cessato di circolare da tempo”. P. Macario, rispose che fra Felice due volte gli aveva chiesto “il permesso” di morire, ma lui per la sua benevolenza glielo aveva negato. Scoppiò in pianto, fattosi coraggio, si alzò e andò nella cella accanto. “Fra Felice, è volontà di Dio che partiate da questo mondo, vi do la benedizione”. E Lui: sia per l’amor di Dio e chinò il capo. Erano le ore 20-21 del 31 maggio 1837, l’anima del fraticello-cercatore-analfabeta, l’anima del Santo raggiungeva la patria celeste accrescendo la preziosa costellazione dei santi. Alla voce della morte sparsasi nella città, nei paesi vicini (Sperlinga, Mistretta, Cerami, Troina, Gangi, Capizzi, Cesarò ed altri, dove il frate cercatore aveva “operato” per raccogliere l’elemosina e per svolgere la sua missione di evangelizzatore grande fu il cordoglio, numerosa la folla accorsa a rendere omaggio alla sua salma. Grandiosi e partecipati i funerali. Alfine di render omaggio alla incommensurabile obbedienza di fra Felice, pur con qualche ragionevole perplessità della quale chiediamo perdono al Santo non possiamo omettere un episodio molto peculiare, scientificamente impossibile, anche se storicamente provato. Trasportato nella zona sepoltura, sotto la chiesa, svestito dall’abito, come consuetudine, fra Serafino da San Mauro Castelverde e fra Onofrio da Castelbuono, alla presenza di altri frati, vollero l’ultima prova di obbedienza di fra Felice. Fra Onofrio: “Fra Felice, come foste con noi obbediente in vita, siatelo ora anche dopo morto” . Con una forbice che aveva in tasca, gli aprì una vena del braccio, e uscì sangue copioso..che ne inzupparono parecchi fazzoletti. Ad un altro segno della loro volontà, la vena, così prodigiosamente aperta, a tre giorni dalla morte, si richiuse definitivamente. In quei giorni seguirono parecchi miracoli. Che dire? Alla strana richiesta dei frati ed al suo esito, come descritto e documentato anche Dio aveva obbedito alla sua meravigliosa creatura! 87


Leone XIII lo dichiara Beato il 12 marzo del 1888. Benedetto XVI lo canonizza il 23 ottobre del 2005. “Bisaccia eroica è il tessuto meraviglioso della vita di un figlio autentico della Sicilia, che della sua isola rispecchia insieme l’ardore e il misticismo; che figlio di un ciabattino anch’esso indossa un giorno il rozzo saio dei Cappuccini e continua l’apostolato dell’amore già iniziato sul deschetto del calzolaio; che col suo motto “sia per l’amor di Dio” sostiene giocondamente le più dure tribolazioni sciogliendo il cantico della perfetta letizia; che frate cercatore passa di porta in porta chiedendo quella elemosina, che compensava largamente col suo sorriso e colle benedizioni fatte discendere su quei focolari; che si ritiene l’asino del convento e si sottopone a tutte le fatiche…e umiliazioni; protetto e favorito visibilmente da Dio, semina sempre dovunque a larga mano strepitosi miracoli con una disinvoltura sorprendente…. Icilio Felici, la cui penna riflette gli ardori della sua fede, il candore della sua anima, la bontà del suo cuore, la giocondità del suo carattere, si trovava per ciò stesso nella felice condizione di pennelleggiare magistralmente la bisaccia eroica del mite cappuccino “. Carlo Card. Salotti Nota. Dedico questa nota agli amici Serrani del club di Cascina, cultori di Icilio Felici, perché nel commemorare l’illustre scrittore si ricordino di bisaccia eroica.

Sperlinga e il castello

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5. Maestro di due Papi Jean Marie Guitton Un laico al servizio della Chiesa

Jean Marie Guitton nacque a S. Etienne il 18 agosto del 1901. È ritenuto il più grande pensatore cattolico del secolo XX. Bambino sognava diventare Papa, Re, Santo. Cercò e trovò la sua strada. “Ho cercato una professione in cui potesse essere tutto al tempo stesso”. Trovò nella filosofia la sua vocazione: “La filosofia pone i problemi assoluti, consente l’esercizio dell’essere, quello della ricerca dell’io… solo la filosofia porta uno sviluppo plenario della ragione di fronte ai problemi più grandi che si pongono all’uomo”. E Guitton divenne filosofo. La tesi del suo dottorato: Il tempo e l’eternità in Plotino e S.Agostino. Uno studio corposo di quattrocentoquarantacinque pagine. Insegnò filosofia in vari licei, all’Università di Montpellier, alla Sorbona. Scrittore fecondo spaziò con singolare abilità dalla filosofia alla saggistica, a temi di altissima spiritualità, all’ecumenismo, alla pittura e altre discipline. La formazione di Guitton fu curata da diversi maestri. Dalla madre Gabrielle Bertrand: “Solo Lei mi ha fatto capire che cosa è il sapere… da Lei imparai l’arte della riflessione che avrà molta importanza nella maniera di pensare l’universo e soprattutto l’universo della fede… mi ha insegnato la pietà”.Gli inculcò fin da bambino l’amore per la pittura. Il reverendo Voisin iniziò a curarlo spiritualmente. Con lui, il piccolo Jean cominciò a vivere l’ecumenismo, che fu la più grande passione della sua vita. Ne divenne uno strenuo combattente. Il suo sogno, che tutte le chiese cristiane nell’amore e nella reciproca comprensione si stringessero attorno alla romana Chiesa. Fece suo il pensiero di Lacordaire: “Io non cerco di convincere l’avversario del suo errore ma di unirmi a lui in una verità più alta”. Imparò così a lavorare per l’unità dei cristiani. Scrive Guitton: “sulla scia di Newman, padre Loisy faceva vedere che la Chiesa è lo sviluppo del Vangelo, allo stesso modo che la quercia è lo sviluppo della ghianda... I cristiani hanno interpretato in modo diverso il messaggio di Cristo e vedendo che non potevano trovare un accordo si sono separati.

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In verità la mia esperienza ecumenica, deriva da due fonti: La prima influenzata da Padre Portal e dai lords Halifax; la seconda più segreta dall’avere studiato per più di dieci anni, quasi ogni giorno, la vita e il pensiero di Newman. A vent’anni ho fatto la staffetta tra lord Halifax, il cardinale Mercier e Padre Portal, in occasione delle conversazioni di Malines”. Queste conversazioni e quante altre avvenute in Francia e altrove tra eminenti personalità religiose e laiche cristiane corroborarono in Guitton una sua precisa convinzione che l’unità delle chiese cristiane, seppure faticosa, fosse un obiettivo da porsi con la convinzione prima o poi di raggiungerla. Il 22 agosto del 1959 Guitton consegnò a Giovanni XXIII il suo libro “L’Eglise et l’Evangeile” che preparava lo spirito del Concilio. Il Papa: Che ne pensano i francesi del mio Concilio? E Guitton: Santo Padre, con questo appello all’unità dei cristiani lei solleva in Francia una speranza piena di entusiasmo. Già, un concilio “un vero parlamento della Chiesa… Non è attraverso le dispute che suggeriremo agli altri di unirsi a noi, l’unica maniera, è quella di pulire il volto della Chiesa cattolica, affinché appaia come un modello. Un modello che sia bello, che sia giovane … un modello da imitare. Vorrei fa nascere la Chiesa in tutti i suoi settori, vorrei che rinunzi a ciò che non è essenziale, per purificarsi, per ringiovanire”. Così il Papa. Giovanni XXIII con il quale Guitton aveva certamente discusso di questi argomenti a Parigi al tempo della sua nunziatura, lo volle uditore, unico laico, alla prima sessione del Vaticano II. Paolo VI, suo grande amico ed estimatore, nella seconda sessione conciliare lo volle Relatore sull’ecumenismo vissuto da un laico. Il 3 dicembre del 1963, l’accademico di Francia, alla presenza del Papa, pronunciò il suo intervento di cui riportiamo alcuni passi. “Sono quarantatre anni da quando ho inteso la chiamata ecumenica per mezzo di un religioso francese, Padre Portal. Dal tempo delle conversazioni di Malines, io fui discepolo del venerato cardinale Mercier e di lord Halifax; poi amico dell’abate Couturier. Lo spirito e il testamento di questi precursori vorrei esporre, indicando come io concepisco la vocazione ecumenica come verità, come via, come vita. Questa vocazione si basa sulla meditazione dei motivi che Gesù da del proprio sacrificio nel vangelo di San Giovanni, sulla certezza che questa volontà di Cristo è efficace e che noi dobbiamo cooperare ad essa con tutto l’essere nostro. Ma al pari di ogni impresa sublime, l’ecumenismo è un equilibrio difficile, esposto a due opposti errori. Il primo è l’ecumenismo del minimum, certamente il più grave, che si limita a quanto è comune a tutti i cristiani, o che prepara una nuova superchiesa che sarebbe la sintesi delle chiese storiche… l’errore contrario è l’ecumenismo del maximum, è l’immobilismo che consiste nel pensare che la Chiesa cattolica debba limitarsi ad attendere il ritorno e la sottomissione delle chiese che hanno rotto il patto dell’unità.…l’ecumenismo esige due sacrifici complementari. Allo sforzo eroico che i cat90


tolici esigono dai loro fratelli separati, i cattolici debbono rispondere con uno sforzo umile, magnanimo, doloroso, di purificazione, per cancellare dal volto della Chiesa le rughe che ne offuscano l’eterna giovinezza… il sangue che opera l’unità non può essere versato da un soltanto delle parti… essere cattolico significa avere due ansie, come dire, quasi perpendicolari, e che si intersecano all’altezza del cuore: l’ansia dell’unità dell’unico gregge, di un solo pastore, l’ansia della diversità desiderosa che ogni pecorelle sia diversa all’altra, che tutte le legittime varietà siano adunate nella Chiesa perché questa abbia una vita più abbondante”. La cultura critico-religiosa di Guitton fu influenzata da Padre Plazenet, Padre Teilhard de Chadin, Padre Pouget, Padre Lagrange. Pouget a proposito della critica biblica: “La vera difesa della religione è la critica. La critica biblica non è per la Chiesa una prova temibile che rischia di farla vacillare? Chiese Guitton al Maestro. Pouget… “vacillamento salutare… se i cristiani non avviano una critica costruttiva ed obiettiva, gli scienziati atei avranno campo libero. Nelle scritture bisogna distinguere quello che appartiene alla storia, alla testimonianza, quello che riguarda l’allegoria, il mito, il simbolo”…. “Dalla oscurità della sua cella Pouget poneva le pietre che messe insieme, sarebbero servite come testate al Vaticano II (don Norbert Calmels). “Illuminare lo studio della Bibbia attraverso una conoscenza scientifica dell’ambiente umano in cui è stata vissuta, parlata e scritta questo ci proponevamo” (Guitton). Un gruppo di “carbonari” amorevolmente indicava alla Chiesa l’approccio critico allo studio dei testi sacri, che originariamente non condiviso da Roma, costò a molti studiosi, sospetti, condanne. Guitton aveva imparato che “bisogna accettare la sfida della critica… non bisogna rifiutare le scoperte della scienza”. Unità delle chiese, rapporto scienza e fede nella ricerca della verità, furono importanti e salutari problemi che avrebbero trovato proficua eco, dopo decenni, nel Vaticano II. Quei problemi Guitton, convinto che “l’opera della critica non oscura i dati della fede anzi li illustra”, li propose al cardinale Tisserand, al Segretario di Stato di Pio XI, cardinale Eugenio Pacelli, poi Papa Pio XII. Pio XI aveva risposto al suo Segretario: “Siamo troppo vecchi, metteremo questo appunto nel cassetto e sarà compito del nostro successore”. Pio XII con l’enciclica Divino Afflante Spiritu (1943) sanciva la possibilità di poter studiare scientificamente le Sacre Scritture. I “carbonari” che con Guitton lavoravano per un ammodernamento del pensiero della Chiesa incominciavano ad assaporare qualche risultato positivo. Su di loro aveva certamente esercitato notevole influenza il pensiero di J. H. Newman, certo un innovatore su vari fronti. Questi, Pastore anglicano, convertitosi al cattolicesimo, poi cardinale della santa romana Chiesa promotore dell’unità delle chiese cristiane, dette altresì un forte impulso alla riqua91


lificazione del laicato cattolico. Inizialmente la sua opera suscitò perplessità a Roma; riabilitato, Leone XIII lo creò cardinale nel 1879. “Senza un popolo cristiano, senza il laicato, la fede cristiana corre grandi rischi”. (Newman) Al cardinale inglese convertito, Guitton dedicò alcune sue opere: S.Agostino e Newman; da Newman a Paolo VI; La filosofia di Newman. Chi è Guitton Un personaggio complesso, sopratutto un credente. Crede in Dio Perché credere in Dio? si chiede. “Credere non è conoscere Dio… non è vedere, non è sapere, è agire nel buio non nella luce… Dio è allora il fondamento della ragione? Si certamente. Mi sembra che vi sia un rapporto circolare tra Dio e la ragione, per un filosofo come me è questa che ne prova l’esistenza… più si usa la ragione, più ci si avvicina all’Essere infinito, all’Onnipotente. La mia ragione mi porta a Lui, Egli a sua volta rischiara la mia ragione, in me ci sono due esseri: il credente e il non credente che dialogano costantemente”. Guitton raziocinando pone senza soste domande… non si sente solo in ciò, ha un buon compagno in Tommaso. Ma il dubbio non è poi un omaggio alla nostra libertà? Guitton credente è un Guitton che ad ogni istante fa un atto di libertà, strozzando il Guitton che dubita.( Jean Guitton - Francesca Pini (Mondadori1998). In “Che cosa credo” Guitton si esalta come uomo di fede e di ragione. Con Anselmo crede in Dio come “Ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore”. Crede con Pascal che “l’ateismo, segno di profondità di spirito, ma solo fino a un certo punto… fino al punto che dopo averlo provato, gustato, consumato ci si accorge chiaramente e distintamente che l’ateismo è impensabile”. E poi: “Dio non è il prodotto della fede ed ho provato ammirevole il fatto che il cattolicesimo abbia continuamente professato la capacità della ragione di giungere fino a Dio”. Esprime il suo credo in Gesù quando tra l’altro afferma: “Se un po’ di critica ci allontana dalla storicità di Gesù, la critica della critica, e cioè la critica nella sua pienezza ci riconduce a Lui. Il vangelo poi di S. Giovanni che appariva come una specie di midrash teologico, una specie di opera della sola fede, oggi diverse interpretazioni sostengono che in questo vangelo c’è tradizione storica molto antica”. Crede nella Chiesa cattolica La Chiesa di Guitton è una, è la Chiesa cattolica romana. 92


“Una Chiesa divina ma profondamente umana. La Chiesa è vecchia di duemila anni, anche se nel suo ultimo Concilio ha dimostrato la sua grande modernità sapendo cambiare pelle. Essa è dunque allo stesso tempo molto vecchia e tutta nuova ed è proprio questo che fa la sua bellezza”. Ci piace ricordarlo come laico, come laico “sospetto”. “Sospetto” lo definì l’Osservatore romano quando Guitton nella sua opera “La Vierge Marie” spogliandosi della sua veste di credente, nella sua nudità laica, come conviene al filosofo, ha voluto speculare sulla più particolare delle creature umane. Scrisse che solo in un secondo annuncio (Gesù avrebbe avuto tre anni) l’angelo rivelò a Maria la divinità del suo figlio. E la Chiesa? Una eresia! Minacciato di essere messo all’indice, obbedendo ritrattò.”Se io non fossi convinto che il cattolicesimo è la Verità, non vedo come potrei restarvi un giorno di più”. E vi resta nella sua Chiesa, obbedisce, la ama, la serve, ma ragionevolmente. Nella composizione della controversia gli vennero in soccorso tali Mons. Montini e il cardinale Roncalli. Fa sapere N. Camels in “Rencontres avec J. Guitton” che Paolo VI disse: “Non immaginavo che un intellettuale come J. Guitton sarebbe riuscito a giustificare la devozione mariana con argomentazioni filosofiche. Questo libro mi ha aiutato a sviluppare nella mia mente il pensiero della Vergine di cui avevo culto. È il libro più bello pubblicato su Maria nella nostra epoca dopo la lettera di Newman al dott. Pousey”. Guitton filosofo Ebbe come maestro Bergson della corrente filosofica dello Spiritualismo con Boutroux e Blondel. La sua più famosa opera: “L’evoluzione creatrice”. Renè Poirier, filosofo alla Sorbona di Guitton filosofo scrive: “Propone delle idee e le accompagna verso una verità comune. Non cerca tanto di arbitrare i disaccordi quanto di aiutare a pensare… ci si domanda se le sue formule tutte sfumate e come dialogate rappresentino il suo pensiero o quello dell’avversario… la sua filosofia rivela un profondo ottimismo… è il contrario di Sartre cui non perdona il suo straordinario pessimismo e di avere preteso dai giovani di scegliere Dio e l’uomo sostenendo che scegliere Dio significasse negare la libertà creatrice dell’uomo”. “Il suo pensiero stimolante che porta anche il laico ad interrogarsi sulla dialettica tra religione e scienza, Guitton porta argomenti originali che spiazzano tutti gli integralismi perché ripropongono il grande tema che percorre l’intera tradizione occidentale del confronto tra procedura scientifica e bisogno umano dell’assoluto. Il suo merito principale è di avere saputo cogliere quali implicazioni, anche ideologiche possono celarsi tra le pieghe apparentemente neutre della ricerca scientifica”. 93


Fu senza dubbio, così è stato scritto, un pensiero forte del 900. Alla mente speculativa di Guitton non sfugge il cimentarsi su Dio e la scienza. Lo fa con Grichka e Igor Bogdanov. Scrive: “ nel mio libro Dio e la Scienza cerco di dimostrare che le ultime scoperte, da cinquanta anni a questa parte, ci avvicinano sempre di più alle idee proposte, presunte, insegnate dai profeti ebraici e dalla Rivelazione”. Attraverso il Metarealismo cerca l’armonia tra i due componenti il binomio. “Lo spirito e la materia formano una sola e unica realtà, il Creatore di questo universo materia-spirito è trascendente, la realtà in se non è conoscibile. Scienza e fede sono le leve che ci fanno vedere Dio”. Nel codice cosmico da scoprire, vi è una impenetrabile barriera di là dalla quale non c’è il nulla. E ancora: “ la materia che interroghiamo ha un’anima, ci consente di leggervi dentro e questa lettura ci porta molto in alto, ci dà la Verità, l’Assoluto, Dio… è venuto il momento di aprire nuove vie ad un sapere profondo, di creare di là dalle apparenze meccanicistiche della scienza, la traccia quasi metafisica di qualcosa altro, vicino e strano insieme, potente e misterioso, scientifico e inspiegabile: qualcosa come Dio. È proprio questo che abbiamo mirato nel nostro libro”. Ed Heinz Pagel pare annuire: “ credo che l’universo sia un messaggio formulato in un codice segreto, un codice cosmico e che il compito dell’uomo di scienza consista nel decifrare questo codice”. Chi ha composto questo codice? Guitton gli risponde: “Raggiunta la frontiera estrema della materia, è qui che incomincia il terreno dello spirito… Se l’enigma di questo codice cosmico ci è stato imposto dal suo autore, i nostri tentativi di decifrarlo non costituiscono forse una sorta di trama, di specchio sempre più lucido nel quale l’autore del messaggio rinnova la conoscenza che ha di se stesso?”. Nel “Silenzio universale” si rivela Profeta. “Come Newman alla fine del XIX secolo, ma in misura maggiore, prevedo un confronto finale tra le posizioni estreme dell’affermazione e della negazione. Vedremo scomparire le posizioni intermedie, prudenti, borghesi e presentarsi a faccia a faccia dialettica contro dialettica, ateismo e cristianesimo, un umanesimo ateo e un umanesimo autentico… il secolo XXI o sarà religioso o non sarà affatto… non attraverso la fede, ma attraverso un esame razionale delle convergenze il futuro sarà favorevole al cattolicesimo… il cattolicesimo ben compreso e ringiovanito, come ha fatto l’ultimo Concilio presenta all’era nucleare la sola possibilità reale di unire le solitudini e le moltitudini e di raccogliere come sperava Martha Robin l’umanità intera all’amore eterno e nell’unità”.

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Scrittore indefesso Guitton scrisse di tutto. Tra i tanti ci piace riportare alcuni giudizi. “Tutta la sua arte è fatta di mezze tinte, di confidenze mormorate, di annotazioni fissate a mezza voce ai marini del mistero del silenzio. Attinge dallo stesso tesoro secondo le parole fissate dal Vangelo cose nuove e cose antiche. Se alle volte parla in parabole è per farci capire meglio un’idea che potrebbe sembrare troppo astratta, troppo distante dalla realtà familiare gli uomini d’oggi”. (Louis Chaigue) “È lui le cui convinzioni religiose sono di pietra, è aperto a tutte le controversie. Ascolta, annota, capisce, usa, si arricchisce ed arricchisce. In mezzo a questa letteratura contemporanea che si stende come una inondazione di acqua sporca, l’opera di Guitton ci richiama alla realtà di questa creatura divinamente privilegiata che è l’uomo”. (Wladimir d’Omerson, accademico di Francia). Il suo stile “appropriazione e pienezza”. (Francois Mauriac) “Lascia un’opera considerevole, meravigliosamente scritta, fine, limpida. La sua linea fu chiara, la verità è liberale, la spiritualità maestra e il personalismo cristiano”. (Le Monde) Amò la pittura, che coltivò con talento sollecitato dalla madre ma anche da Papa Paolo VI. La sua pittura passa “dall’ordine profano intriso di religiosità, all’ordine sacro, dall’ordine dell’esercizio a quello dell’ovazione”. “Quando dipingo sento il sole nel cuore… dipingere è una festa perpetua, un riposo, la luce di un giorno che vedo sorgere e tramontare con calma”. La pittura per Lui è anche preghiera! Il 21 marzo del 1999 è il giorno della sua nascita in cielo. Aveva 98 anni. Paolo VI, suo grande ammiratore e amico gli aveva inviato la sua benedizione tramite il segretario particolare Mons. Pasquale Macchi. Giovanni Palo II tramite il cardinale Arcivescovo di Parigi, Mons. Lusinger gli indirizzò questo messaggio: “Saluto la memoria di colui che si è impegnato in modo convincente a rendere conto del mistero divino, con i suoi scritti e le sue opere pittoriche, attingendo la propria forza dalla meditazione del Vangelo. Mi ricordo con emozione la sua partecipazione attiva al Concilio Vaticano II, nel corso del quale ha espresso il suo grande amore per la Chiesa. Per tutta la sua vita, questo testimone della fede e filosofo cristiano ha messo la propria riflessione intellettuale esigente ed illuminata al servizio della Rivelazione…chiedo a Cristo di accogliere nella sua eternità colui che lo ha sempre cercato”. Lusinghieri i giudizi sulla sua vita e le sue opere da eminenti personalità cattoliche e non, della cultura e delle arti. Il filosofo Guardini: “Jean Guitton fu soprattutto un uomo libero, un pensatore forte, un 95


cattolico autentico, un umanista profondo e uno scrittore limpido. Nel suo cuore aveva una sola certezza, essere sempre pronti a rispondere a chiunque ti chieda ragione della speranza che è in te”. Giulio Giorello, filosofo laico, rispondendo a più interrogativi: “Il suo è un pensiero stimolante che porta anche il laico a interrogarsi sulla dialettica tra religione e scienza… il suo merito principale è di avere saputo cogliere quali implicazioni, anche ideologiche, possono celarsi tra le pieghe apparentemente neutre della ricerca scientifica. Sono stato affascinato dalla volontà di comunicare che percorre tutta la sua opera e dal suo bisogno di ripensare tutto, incluso ciò che viene dato per scontato... ha contribuito a smussare le contrapposizioni laico-cattoliche, credente- agnostico”… Alla domanda quale Dio trova in Guitton? Giorello risponde: “Per lui vale lo stesso problema che tormentava Newton, il Dio cui ci conduce la fisica non può essere solo l’anima del mondo. È il Signore degli eserciti, il Dio invocato da Abramo, Isacco e Giacobbe”. Problematico sarebbe continuare a riferire il pensiero di quanti lo conobbero e stimarono la sua grandiosa opera. Riposa con sua moglie nella cappella di famiglia a Deveix. Lunga la sua corsa verso l’eternità che anche in questa terra aveva avuto il privilegio di vedere, vedere al di là, tanto al di là. Nota. Nella stesura del nostro lavoro ci è stato di valido contributo l’opera: L’infinito in fondo al cuore di F. Pini. Mondadori 1998. Conferenza al Serra club di Livorno anno sociale 2004-2005.

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La Vergine di J. M. Guitton Una o due le annunciazioni? Il filosofo rischiò la condanna della Chiesa

La fecondità di ingegno di Guitton sembra non conoscere limiti. Credente di indiscussa fede, il filosofo del Concilio non rinuncia a dissertare su temi impegnativi del Credo cristiano. “In me ci sono due esseri: Il credente e il non credente che dialogano continuamente”. Si pone il problema di Dio Colui “di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore” e dice con Bergson: “Dio non è il prodotto della fede. Nello studio del cosmo vi è la prova inconfutabile della sua trascendenza”. E concorda con Heiz Pagels “credo che l’universo sia un messaggio formulato in codice segreto, il codice cosmico”. Quanta conformità con il pensiero galileiano! Già perché Galilei “studia le pietre per cercare le impronte del Creatore” (Zichichi). E con Dio, disserta su Gesù. Si pone il problema della sua esistenza e conclude “Se un pò di critica ci allontana dalla storicità di Gesù, la critica della critica, cioè la critica nella sua pienezza ci conduce a Lui”. E non poteva mancare nella sua mente speculativa un approfondito studio su Maria Vergine, la Madre di Cristo, l’Immacolata, l’Assunta. Quanto amore e interesse ha Guitton per Maria! Egli si spoglia della veste di credente e nella sua nudità laica, come conviene ad un filosofo, specula sulla più particolare creatura umana. L’annunciazione: una secondo gli scritti evangelici, duplice secondo Guitton! Egli ritenne che solo in una seconda annunciazione (Gesù avrebbe avuto circa tre anni) l’Angelo avrebbe rivelato a Maria la divinità del suo figlio: Dio fatto uomo. E la Chiesa? Una eresia. Scrive Guitton: “Ricevetti allora una lettera del Vaticano nella quale mi si chiedeva di strappare la pagina del libro in cui avevo fatto questa affermazione. Poiché mi è stato chiesto, ho fatto un’edizione priva di quella pagina. Sì ho obbedito, ma come obbedisco sempre, con l’idea che fosse piuttosto stupido, ma che tuttavia, bisognava farlo. Studiare la Vergine Maria per me significa analizzarla come ho fatto con Platone, Cartesio, Heideger, Bergson”.

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I valori di credente e di speculatore trovano in Guitton una coabitazione mirabile. Nella composizione della controversia tra la Chiesa e il filosofo non mancò il soccorso di tale monsignor Montini, poi Paolo VI. Ancora Guitton: “Mi confidò che gli avevo rivelato una Vergine Maria, naturalmente dal punto di vista filosofico, non da quello religioso… la sua amicizia con lui era dovuta al mio libro, che egli apprezzava molto”. Un’amicizia ricca di frutti. La “Vierge Marie”, (Aubier editios Montaigne Paris) vede la luce nel 1949. “Un petit livre” scrive l’autore, dedicato a “nos freres protestants, anglicans et ortodoxes afin de Cana abate l’heure de l’union”. “La Vierge Marie” non è certo un piccolo libro, ma un’opera monumentale. Guitton trova ancora un’occasione per dare ulteriore contributo all’ecumenismo cristiano. Lui, il più autorevole laico francese, che spese la sua vita per l’unione tra cristiani! Il capitolo del suo libro che attiene l’Annunciazione, lo studio dell’evento miracoloso che segna l’inizio del cammino umano di Dio che si fa uomo, è vivisezionato con grande cura. Mentre inviamo al testo citato per quanti volessero saperne di più, ci piace riportarne alcuni passi. “Come dobbiamo rappresentare la realtà storica di questo episodio che si propagò attraverso gli Ave, una preghiera senza limiti, una specie di respiro che dalla terra si innalza verso il cielo?” Come sono andate le cose, in realtà nell’anima della Vergine? È stata dunque Lei a riconoscere chi era quell’Angelo ed annotarne le parole. Potrebbe essersi trattato di un’estasi tutta interiore e queste parole essere state pronunciate senza che nessuna visione le abbia accompagnate? L’Angelo le disse che era stata benedetta fra tutte le donne… Ella era turbata non potendo comprendere ciò che realmente significava sottomettersi a quell’onore. Ella concepirà un figlio a cui darà il nome Gesù che vuol dire Salvatore. L’Angelo indicò il Messia, come Egli era conosciuto agli Ebrei. Figlio di Davide e al tempo stesso figlio dell’Altissimo ma non figlio nel senso in cui oggi la Chiesa dice che Gesù è Figlio di Dio. L’Angelo non orienta il pensiero in quel senso; il Messia della sua rivelazione non sembra essere uguale a Dio Consustanziale, ma una creatura privilegiata, condotta a regnare sulla casa di Davide per sempre. Ella comprese che sarebbe stata la Madre del Messia. Non pensava che il Messia sarebbe nato da una vergine. Non conosceva quella tradizione… E tuttavia sente con chiarezza che il progetto di Dio si compirà, che il suo desiderio era rispettato. Come avverrà perché io non conosco uomo? Non ci sarà in questa generazione concorso umano… il frutto sembra venire da un soffio di Dio. Ella dirà soltanto: che ciò avvenga, che ciò sia fatto! come se Ella volesse far comprendere che inserisce la sua volontà nel progetto di Dio, oggi di gioia e domani di sofferenza. Fiat è la parola di accettazione, al di là della gioia e del dolore. Che ciò mi sia fatto! Che 98


ciò avvenga! Non è facile immaginare una scena al tempo stesso più divina, più umana. L’Angelo si allontanò. Tutto tornò come prima, la campagna, il cielo con le sue nuvole sparse. I rumori familiari. E senza dubbio Giuseppe che passava e guardava la Vergine”. Lo stralcio ora riportato ci disegna il filosofare di Guitton. È l’intero libro che raccomandiamo di leggere. L’Autore con amore e passione lascia vivere e direi godere uno dei più straordinari eventi miracolosi del cristianesimo: Dio che si fa uomo nel grembo di una vergine trattato da un filosofo che per nulla si lascia intimorire dalla sua fede. Risalta la sua figura che, convinto credente, non rinuncia ad una religiosa ricerca laica, come si conviene ad un filosofo del suo rango. Vive e fa vivere un mondo incomprensibile senza la fede, scrutato a sua volta dalla ragione. Fedelissimo credente sa ubbidire alla sua Chiesa “se io non fossi convinto che il cattolicesimo sia la verità ’non vedo come potrei restarvi un giorno di più”. E vi resta nella sua Chiesa, l’ama; per essa e per la sua unità, lotta non ciecamente ma ragionevolmente. Pubblicato nel “il serrano” n.113 2008

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Due Papi alla scuola di J. M. Guitton

Un efficace impulso all’indizione del Vaticano II è venuto dalla Francia ad opera del filosofo cattolico J. M. Guitton. Si ritenne allora che la Chiesa percepisse la necessità di un “aggiornamento” alle esigenze dei tempi. Le speranze tante, quella dell’unificazione delle Chiese cristiane, fortemente sentita. Giovanni XXIII e Paolo VI su quel tema si trovarono certamente in perfetta sintonia con il filosofo francese, che fin da giovane, per il suo profondo convincimento ecumenico partecipò, divenendone poi animatore, a molti incontri tra intellettuali e religiosi in terra di Francia. I primi pour-parler di carattere “carbonaro” ebbero luogo nella casa paterna di Guitton e poi in quella di tale sig. Oliver. Con loro un professore israelita Andrè Wormser, un professore di storia Paul Aury protestante, l’abate Voisin e tale Paulovitch, serbo ortodosso. “Parteciparvi mi procurava una gioia clandestina” scrive Guitton. Alle riunioni “carbonare” seguirono quelle alla luce del sole con le settimane sociali, la settimana degli scrittori cattolici, che si ritiene siano stati il seme, la speranza che un Concilio potesse dire parole nuove per il cammino della Chiesa nel mondo e per l’ecumenismo in particolare. E la speranza divenne realtà quando Papa Giovanni indisse il Vaticano II. Guitton felice esclamò “Il Concilio è stato la sorpresa, il coronamento, la gioia della mia vita… avevo la sensazione di un’esperienza dedicata a preparargli la via senza però avere mai avuto il presentimento che sarebbe avvenuto”. Con l’indizione del Concilio, Giovanni XXIII mise in moto una poderosa macchina dai complessi ingranaggi, convinto che le difficoltà sarebbero state superate. Laddove non avrebbero potuto gli uomini sarebbe venuta in soccorso la Provvidenza alla quale Lui si era ciecamente affidato. Quanta e quale fede! Al Concilio volle invitare Guitton quale osservatore, allora unico laico a parteciparvi. Passandogli vicino durante la prima sessione il Papa gli sussurrò: “Il mio cuore è con il tuo spirito”. Alla domanda della giornalista che ne ha raccolto le memorie, se avesse avuto una qualche influenza su Papa Giovanni, Guitton risponde: “Penso di averne avuta”. L’immenso fardello del Concilio passò ad altro grande Papa, amico di Guitton, Paolo VI. Una frequentazione di ben 27 anni! Una profonda stima! 100


Una grande amicizia! Numerosi i loro incontri a Milano, a Roma, a Castel Gandolfo. Il filosofo fu invitato a partecipare alla prosecuzione del Concilio, questa volta quale relatore, con l’incarico di esporre la sua esperienza laica sull’ecumenismo. “Lei è il mio firmamento Guitton” gli dice il Papa. Paolo VI fu influenzato in alcune sue scelte da Guitton? Il filosofo: “Ero consigliere ascoltato”. Uomo, Pontefice ancora da scoprire Paolo VI! Dal suo testamento sul Concilio leggiamo: “Si provveda ad eseguire fedelmente le prescrizioni sull’ecumenismo, si prosegua l’opera di avvicinamento con i Fratelli separati, con molta comprensione, con molta pazienza, con grande amore, ma senza deflettere dalla vera dottrina cattolica”. Poco prima di “chiudere gli occhi su questa terra dolorosa, drammatica e magnifica” chiese al suo segretario: “Leggimi qualche pagina del catechismo di Guitton”. Quale considerazione! Certamente il filosofo era stato la sua luce. Pubblicato in “Toscana oggi” del 16,12, 2001.

Paolo VI e Jean Marie Guitton

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L’Eucarestia presenza reale di Cristo

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6. Chiesa e società in cammino Assisi 2004 IX Congresso nazionale del Serra

“Il serrano: consapevolezza e azione in un progetto culturale per le vocazioni” Nell’offrire un contributo al tema congressuale, ci sembra utile un breve riferimento al pensiero della Chiesa sulla cultura. Non potendo riportare la vasta documentazione espressa nei tempi, citeremo alcuni passi della Costituzione pastorale del Concilio Vaticano II sulla Chiesa nel mondo contemporaneo da Gaudium et Spes nella quale vengono magistralmente presi in esame i nuovi stili di vita che condizionano la cultura moderna, i rapporti tra fede e cultura, il diritto di ciascuno alla cultura, ad una cultura integrale, la difficoltà di coniugare cultura ed insegnamento cristiano. “Con il termine di cultura si vogliono indicare tutti quei mezzi con i quali l’uomo affina ed esplica le sue molteplici doti di anima e di corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro rende più umana la vita sociale sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni; infine, con l’andare del tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le gran di esperienze e aspirazioni spirituali, affinché possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il genere umano”. Gaudium et Spes cap.II, 53) Vivere questo modo di essere cultura è compito di ciascun cristiano. Come è stato giustamente proposto, un progetto culturale per le vocazioni esige, anzitutto consapevolezza che riteniamo voglia dire piena coscienza di appartenere al corpo mistico della Chiesa. Tutta la vita di un cristiano è fatta di vocazioni, ovverossia di chiamate di Dio. La vocazione cristiana “È la chiamata madre del cristiano, significativa di appartenenza al popolo di Dio, è espressione della Grazia, è “unica e irripetibile, mediante la quale ogni cristiano nella comunità del popolo di Dio costruisce il corpo di Cristo. (Redentor hominis IV, 21.) “Questo dono, pur essendo una personale vocazione ed una forma di partecipazione all’opera salvifica della Chiesa, costruisce la Chiesa e le comunità fraterne nelle varie sfere 103


dell’esistenza umana sulla terra.” “Questo dono trova la sua piena realizzazione nella donazione senza riserve di tutta la propria persona, in spirito di amore sponsale al Cristo, a tutti coloro uomini e donna, che a Lui sono totalmente consacrati secondo i consigli evangelici” (ivi). Dunque una vocazione che implica un servizio di donazione, di carità, di amore a somiglianza del servizio di Cristo che non è venuto per essere servito, ma per servire, come ci ricorda l’evangelista. (Mt 20,28 ). Le illuminanti parole di Giovanni Paolo II ci indicano la fondamentalità di questa vocazione principe. La vocazione sacerdotale Frutto della Grazia è altresì la sublimazione dell’impegno dell’eletto che diventa l’alter Christus. Egli rinnova il sacrificio eucaristico, fonte di tutta la vita cristiana, predica il Vangelo, esercita il ministero della riconciliazione. A questa vocazione è particolarmente legata l’opera del serrano. Far comprendere la bellezza del sacerdozio, aiutare i giovani a raggiungerlo, creare le condizioni ambientali nella società perché la voce della chiamata venga meglio udita ed accettata, aiutare i sacerdoti nel loro esercizio ministeriale. È questa la peculiarità dell’essere serrano. Egli si affianca in questa opera con sentita determinazione a tutta la comunità cristiana, alle parrocchie, alle famiglie. Così il Concilio Vaticano II: “Il dovere di dare incremento alle vocazioni sacerdotali spetta a tutta la comunità cristiana, a tale riguardo il massimo contributo viene offerto tanto dalle famiglie, se animate da spirito, di carità e di pietà costituiscono come il primo seminario, quanto dalle parrocchie ella cui vita fiorente entrano a far parte gli stessi adolescenti”. (Optatam totius n.2). Numerose sono le attività serrane nei club, in ambito nazionale internazionale che tendono in mille maniere a favorire la vocazione sacerdotale. Il contributo del Serra italiano indubbiamente si distingue in questa opera, ne sono prove gli ampi riconoscimenti a propri associati chiamati a primarie responsabilità nella direzione della benemerita istituzione in ambito internazionale. La vocazione laicale “Col nome di laici si intendono tutti i fedeli ad esclusione dei membri dell’ordine sacro e dello stato religioso sancito dalla Chiesa, i fedeli cioè, che dopo essere stati incorporati a Cristo col battesimo e costituiti popolo di Dio e nella loro misura resi partecipi dell’ufficio 104


sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano… L’indole secolare è propria e peculiare dei laici… per la loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio”. (Lumen gentium cap.IV, 30). In stati e condizioni diverse i laici sono i primi attori nel’opera salvifica che esercita la Chiesa. È loro compito evangelizzare la società occupandosi elle attività temporali per scrivere la legge divina nella vita della città terrena. “I laici che la loro vocazione specifica pone in mezzo al mondo e alla guida dei più svariati compiti temporali, devono esercitare con ciò stesso un’arma singolare di evangelizzazione. Il loro compito primario e immediato non è l’istituzione e lo sviluppo della comunità ecclesiale che è il ruolo specifico dei Pastori, ma è la messa in atto di tutte le possibilità cristiane ed evangeliche nascoste, ma già presenti ed operanti nella realtà del mondo”. Il campo proprio della loro attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell’economia, della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli strumenti della comunicazione sociale e anche le altre realtà particolarmente aperte all’evangelizzazione, quale l’amore, la famiglia, l’educazione dei bambini e degli adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza. Più ci saranno dei laici penetrati di spirito evangelico, responsabili di dover sviluppare tutta la loro capacità cristiana spesso tenuta nascosta, tanto più queste realtà senza nulla perdere e sacrificare del loro coefficiente umano, ma manifestando una dimensione trascendente spesso sconosciuta, si troveranno al servizio dell’edificazione di Dio e quindi della salvezza in Gesù Cristo”. (Paolo VI Evangeli nuntiandi). Sulla vocazione e missione dei laici nella Chiesa profonde riflessioni sono espresse nella Christifidelis laici di Giovanni Paolo II). La dottrina citata e quant’altra in proposito per indirizzare i cattolici a servire l’uomo, prima e fondamentale via della Chiesa. La vocazione politica Trattasi dell’impegno del cristiano in un settore non marginale della vita, oggi particolarmente incoraggiato dalla dottrina sociale della Chiesa. Settore in verità che ha suscitato e suscita non pochi contrasti tra quanti vogliono inquinare la politica di egoistici contenuti ideologici e che non vedono certamente di buon grado l’interesse della Chiesa nel proporre indirizzi in difesa dei valori inalienabili dell’Uomo, valori antropologici, valori che discendono dal suo essere creatura di Dio. Parole forti si leggono nella Gaudium et Spes. “Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, anzi verso Dio stesso, mette in pericolo la propria salvezza eterna” (cap IV, 43). “Tutti i cristiani debbono prendere coscienza della propria speciale vocazione nella comu105


nità politica: essi devono essere di esempio sviluppando in sé stessi il senso della responsabilità e la dedizione al bene comune, così da mostrare con i fatti come possono armonizzarsi l’autorità e la libertà, l’iniziativa personale e la solidarietà di tutto il corpo sociale, l’opportuna unità e la proficua diversità. Devono ammettere la legittima molteplicità e la diversità delle opzioni temporali e rispettare cittadini che, anche in gruppi, difendono in maniera onesta il loro punto di vista. La Chiesa stima degni di lode e di considerazione l’opera di coloro che per servire gli uomini si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità. Tutti i cristiani devono prendere coscienza della propria specifica vocazione nella comunità politica…operando guidati dalla coscienza cristiana… e dallo spirito evangelico” (cap I, 75). La Chiesa reclama a chiare note la necessità dell’impegno politico del cristiano “I fedeli laici non possono affatto abdicare…alla molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa amministrativa e culturale destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune” (Christifidelis laici (cap 3,42 ). E non sono solo questi gli indirizzi espressi dalla Chiesa per Progetti culturali vocazionali suggeriti per coloro che cristiani intendono attivamente operare nella società ai vari livelli che la costituiscono. Un progetto culturale vocazionale non può non vedere i pilastri su cui operare: L’Uomo: “la sola creatura che Dio abbia voluto per se stesso…la prima e fondamentale via della Chiesa”. La Famiglia nutrice di ogni progetto culturale educativo vocazionale. È in essa che deve nascere l’humus per seri progetti culturali vocazionali da trasferire alla società afflitta da profondi mali. Difettano nelle nostre famiglie i diritti-doveri di servizio alla vita, a cominciare dalla trasmissione della stessa; i diritti doveri di educare i figli ai valori prioritari della vita: quelli religiosi, sociali, politici; i sentimenti di comunità e sviluppo della società, quelli dell’amore e della solidarietà, della libertà, della giustizia, della verità; il riconoscersi figli di Dio. Non mancano quanti vivendo per Cristo e la Chiesa possono plasmare cristianamente famiglia e società. Nessun progetto culturale vocazionale può sperare in uno sbocco felice se quanti intendono prodigarsi per raggiungere questo ambizioso obiettivo non analizzano e comprendono la società di oggi, la famiglia su nucleo fondamentale, la persona umana, con i loro errori, i loro bisogni, le loro speranze; se non si comprende e segue l’insegnamento della sua Chiesa testimone e curatrice della sua opera. Se nella sostanza, non si polarizza mente e cuore al Vangelo per evangelizzarci e evangelizzare. Questo è il binomio vincente di ogni progetto culturale per le vocazioni, tutte le vocazioni. Pubblicato nel “il serrano” Atti IX Congresso Assisi 7-8-9 Maggio 2004.

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Serrani in convegno

Acculturarci e pregare insieme: I Serrani testimoni nella società a sostegno delle vocazioni: capire il cambiamento della società… le sfide del nostro tempo a una visione cristiana della vita… modalità e mezzi per affrontarli… testimoniare Cristo. Temi stimolanti che arricchiscono le nostre intelligenze, tendono a rafforzare la nostra identità serrana, tracciano i sentieri da percorrere, indicandoci i mezzi da utilizzare. Le difficoltà culturali e sociali sono tante, ma non debbono annebbiare il pensiero e fermare la nostra opera. Questa esige anzitutto un supporto: pregare, saper pregare, per scongiurare Dio che ci venga in soccorso, ci aiuti a riflettere anzitutto su l’uomo, la realtà che lo circonda, il tempo nel quale vive l’uomo. “La prima e fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso, via che inevitabilmente passa attraverso il mistero dell’incarnazione e della redenzione” (Redentor hominis cap.3,14.) L’uomo oggi Accanto ad immagini fortunatamente diverse e sono tante, egli è drogato di edonismo, agnosticismo, ateismo, secolarismo e di tanti altri ISMI, che gli annebbiano l’intelligenza occultandone la Verità. Non si rende conto che la Ragione, grande dono di Dio, senza l’illuminazione della Fede è poca cosa. La fiducia smisurata della Ragione, l’assoggettamento di ogni espressione umana alla logica, al calcolo, avulsa da motivazioni di Fede, all’origine dell’eterno refrain di contrapposizione tra fede e ragione che ha distinto il tempo dell’illuminismo, della modernità’, vive ancora con gli alti e bassi, elevando e riducendo la sua forza espressiva, fino a raggiungere oggi deformazioni che ci mostrano l’uomo solo, debole, triste, senza speranza, contro Dio, senza Dio. Il tempo nel quale viviamo è quello della povertà dell’essere, della mancanza di anelito verso il mistero. L’uomo ancor più di prima dà l’impressione di non avere più bisogno di nessuno per capire, spiegare, dominare l’universo si sente al centro di tutto, la misura di tutto. La famiglia Mostra la sua malferma salute, tende a scardinarsi, lontana dalla cultura cristiana che ne è

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stata il fondamento da secoli. A ciò contribuendo l’insana politica delle Istituzioni in nome di una falsa valorizzazione antropologica. Questo è lo scenario che in ordine temporale abbiamo ai nostri occhi, il cui approfondito studio è prioritario per permetterci di mettere in essere la nostra opera di promozione delle vocazioni cristiane e sacerdotali in particolare. I nostri club Invecchiano, abbiamo bisogno di giovani che spesso ci voltano le spalle. I giovani sfidano la vita consacrata ci suggerisce Amedeo Cencini grande educatore e acuto psicologo ci dà una non edificante rappresentazione della gioventù. Un appiattimento generale… Un giovane piuttosto dimesso, che non conosce i grandi entusiasmi, le grandi passioni! “La perdita del mistero, una gioventù senza grandi aspirazioni e senza alti ideali, dalla cultura debole; una caduta del desiderio, una crisi della bellezza e del senso estetico, un triste innamoramento di sé che raggiunge il narcisismo”! Se questa è la rappresentazione della gioventù oggi, ma fortunatamente non è tutta così, ci sembra di avere centrato almeno un motivo di carenza vocazionale. Non sono comunque questi i connotati del giovane che possano favorire i nostri progetti, e fare di un giovane, un ministro di Dio. “Quella del ruolo sacerdotale è una chiamata di dedizione esclusiva, è un invito di amore che sottrae da altre possibilità di amore”. (Vittorio Andreoli, 20.02.08. in Avvenire). E quindi i problemi che arrovellano la nostra mente. Quali strade sono da percorrere per invogliare i giovani alla vocazione? Perché a fronte della ricchezza interiore di quanti si prodigano in tante espressioni di bene al servizio della chiesa non si sentono di percorrere l’ultimo tratto, quello verso il ministero? Perché taluni, intrapreso quel percorso, non raggiungono l’ordinazione sacerdotale? C’è qualcosa che uccide i loro sogni, si interroga l’illustre educatore? Perché poi non pochi consacrati lasciano il sacerdozio? Gli sforzi dei Serrani sono immani eppure le vocazioni non sono corrispondenti al loro fare, alle loro preghiere. Ci siamo chiesti se non sappiamo pregare per strappare a Cristo il dono delle vocazioni. Se non sappiamo cogliere il senso di quanto sta accadendo nel mondo. Se non riusciamo a capire del perché la nostra società tende a vivere senza Dio o contro Dio, stracciando i valori essenziali della vita. Ci siamo dimenticati, noi cristiani, i fermenti conciliari che ci hanno indirizzato a capire e vivere il Cristianesimo? Ci sfugge a una compiuta analisi della società, onde mirare i nostri sforzi per proficuamente 108


capire il tempo in cui viviamo, l’ambiente, l’uomo, i giovani, noi. Come individuare, promuovere, coltivare l‘humus dal quale possano scaturire le vocazioni? Come tendere a un’inversione di rotta per diffondere la cultura del cristianesimo, l’incanto di credere, di sperare, per una città terrena migliore che non sappia fare a meno del ministero sacerdotale, momento di congiunzione tra l’uomo e Dio? Non c’è Chiesa laddove non c’è Eucaristia. Non c’è società sana laddove non esistono ministri di Dio che vivono e diffondono i valori antropologici che scaturiscono dal cristianesimo. Dove troveremo la forza per un immane lavoro che ci vuole protagonisti e moderni apostoli? È problematico dirsi ed essere cristiani. Siamo in grado di mobilitarci per una vasta rievangelizzazione raccomandandoci a Dio che è solo sapiente con Cristo? P.S. A commento del Convegno serrano di Collevalenza 6-8 giugno 2008.

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Il Vangelo scuola di umanità

Nel deserto del mondo, il Vangelo è come la manna biblica: viene dal cielo, soddisfa ogni necessità di vita. Da venti secoli nutre l’umanità e da venti secoli non si riesce a esserne sazi. La parola di Dio è sempre viva, siamo noi i sordi che abbiamo bisogno di risentirla. I mali del mondo grandi e piccoli che siano, dagli insegnamenti del Vangelo, che è vera vita, trovano certamente la loro soluzione. Strani e perversi sono gli eventi che viviamo: contro la vita, contro la famiglia, contro la religione, contro Dio. Negare Dio, la religione, non è più un fatto insolito. L’Amore poi, appare fortemente intimidito e l’odio domina nelle società. Il cristianesimo appare sempre meno incidere nella storia dell’umanità. I cristiani spesso appaiono incapaci di reagire, di testimoniare la loro fede. Senza impegnare la vita, credere non è credere. Nel messaggio evangelico, è diffuso il seme della nostra cultura perché ricco di quel patrimonio umanistico a favore dell’uomo, impensabile prima dell’avvento del cristianesimo. Il Vangelo è la buona novella per tutti. Come non nutrirci di questo antidoto del male? La necessità di una riproposizione del Vangelo in relazione al vertiginoso svolgersi dei tempi, ai profondi cambiamenti della società ha suggerito alla Chiesa di promuovere una nuova evangelizzazione. Ed è recente la costituzione del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione promossa da Benedetto XVI. Questa volontà trova le sue radici nel discorso programmatico del Concilio Vaticano pronunciato da Giovanni XXIII (Gaudet Mater Ecclesia). Come ci ricorda il Presidente di quel Consiglio (Osservatore romano 15 Ottobre 2011), Mons. R. Fisichella, la Chiesa cattolica Mater et Magistra, sente la necessità di una rinnovata ed efficace riproposizione del Vangelo. E questo in perfetta sintonia, come ci ricorda Fisichella, con quanto espresso anche nella Lumen Gentium, nella Gaudium et Spes, documenti di rilievo del Vaticano II. Alle intenzioni di Giovanni XXIII fa eco Paolo VI con la Evangeli Nuntiandi. Questo grande Papa ancora tutto da capire si è espresso con forti parole: La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come

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lo fu anche di altre. Da qui la necessità di acculturare la società con il Vangelo per intenderne il tesoro dei principi contenuti. Fonte “di nuove energie di un nuovo ordine di cose” per un mondo migliore per società più giuste. Dicembre 2011

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CRISTO IL PEDAGOGO Così lo definì Clemente d’Alessandria

“Dio trovò l’uomo in una terra deserta, in una landa di ululati solitari. Lo circondò, lo elevò, lo custodì come le pupille del suo occhio. Come un’aquila che veglia la sua nidiata, che vola verso i suoi nati, egli spiegò le ali e lo prese, lo sollevò sulle sue ali. Il Signore, lui solo lo ha guidato, non c’era con lui alcun dio straniero” (Dt 32, 1012). Ad Abramo, vecchio di 99 anni, gli apparve il Signore e gli disse: Io sono Iddio onnipotente, cammina alla mia presenza e sii perfetto. Stabilirò il mio patto fra me e te e ti moltiplicherò in modo stragrande (Gen. 17). Legame solidissimo che il Figlio Gesù Cristo continuerà. Amorevolmente guardano, seguono, nel cammino terreno la più amata creatura: l’uomo. “È nella chiesa che continua l’opera di Cristo Maestro: O allievi della divina pedagogia, orsù completiamo la bellezza del volto della chiesa e corriamo, noi piccoli verso la Madre buona diventando ascoltatori del logos, glorifichiamo il divino piano provvidenziale, grazie al quale l’uomo viene sia educato dalla pedagogia divina che santificato in quanto bambino di Dio; è cittadino dei cieli, mentre viene educato sulla terra, riceve lassù per Padre colui che in terra impara a conoscere” (Clemente Alessandrino). Dio educa alla vita, attraverso Cristo, il suo braccio operativo. Lui è l’educatore, il maestro! Così ai suoi discepoli: “Non vi fate chiamare maestri, perché uno solo è il maestro vostro, il Cristo”. Lui è il rivelatore di Dio, Lui è la più alta espressione d’amore, da trasmettere all’uomo per l’uomo. Lui è il maestro a cui avere fede, perché Lui solo ha parole alle quali credere. Lui è la via, la verità, la vita! Le sue credenziali: “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e coloro ai quali il Figlio l’ha voluto rivelare”. “Gesù la luce che illumina ogni uomo”. “Nessuno ha mai parlato come quest’Uomo” “Sulla tua bocca non c’è inganno” Chi può capire capisca (Mt.19,12) Dove i discepoli di ieri, di oggi e di domani apprendono i suoi insegnamenti? 112


Dalla sua vita terrena, dalla sua sacrifica missione nel mondo riportati nel Vangelo, Magna Charta del Cristianesimo. E prima ancora nelle Sacre Scritture che Egli avalla. “Non può essere sciolta la Scrittura”. “Questo avvenne perché si adempissero le Scritture”. “Non sono venuto a scioglierle ma a completare”. Parla di Dio, degli Angeli, dell’uomo, del creato, dell’anima immortale, della vita e della morte, della carne che risusciterà, grazie alla sua immolazione, del peccato, delle virtù. Se nel Vecchio Testamento Dio parla a mezzo dei Profeti, nel Nuovo parla attraverso il suo Figlio, inviato perché l’uomo, la sua creatura, sia salva, viva la vita eterna. “Aprirò la mia bocca in parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo” (Mt. 13.34.) “Egli parlò loro di molte cose in parabole”. Scelse il modo più semplice, perché di facile comprensione, sì da essere certo che la materia del suo insegnamento potesse essere compresa e senza equivoco alcuno. Tante le lezioni: Il seminatore: La stupenda generosità di Dio. (Mt 13.1,9) Il figliol prodigo: L’amore del Padre (Lc 15.11,32) Gli operai della vigna (Mt.20.1,15) Il buon samaritano: L’amore che salva (Lc 14.29,36) Il servitore spietato: Le condizioni del perdono (Mt.18.23,35) I vignaioli perfidi: Le attese di Dio (Mt 21.33.45) La torre incompiuta: Saggezza umana e Grazia divina (Lc 14.28.33) Le Vergini sagge e le Vergini stolte: Il pericolo di arrivare tardi (Mt 25.1.13.) I dieci talenti: Responsabilità. (Mt 25. 14,30) Il fattore infedele. (Lc 16.1,8) La zizzania: La fatica di crescere insieme.(Mt 13.24,30) Il ricco Epulone: Responsabilità e pericolo della ricchezza. (Lc 16.19,31) Il granello di senapa e il lievito: L’impegno di crescere.(Mt 13.31,35) La vite e i tralci: Una comunione di vita. (Gv 15.1,8 ) Il ricco stolto: La vera ricchezza (Lc 12.13.21) Il fariseo e il pubblicano: Come si entra nel tempio (Lc 18.9,14) Quante altre parabole sono fonte di impareggiabile insegnamento per la vita terrena e quella celeste! Quelle citate sono commentate in modo magistrale in “E cominciò a parlare loro in parabole” di Ezio Morosi (Ed. Borla 2000). Ma perché in parabole? E così Gesù ai discepoli: “Perché a voi è stato concesso di conoscere il mistero del Regno dei cieli, mentre ad essi non è dato, parlo loro in parabole, perché vedano senza riuscire a vedere e ascoltino senza riuscire ad ascoltare né capire. 113


Così si compie per loro la profezia di Isaia”… (Mt 13,10). La più grande lezione del Maestro: Obbedire alla legge dell’amore. Sì, amore per Dio, per il prossimo, persino per il nemico. L’insegnamento viene da Chi è l’espressione più alta dell’Amore. Amore sommamente vero perché ha una caratterizzazione divina. Amore, originato dal Padre al quale obbedisce di immolarsi per la salvezza dell’uomo. Lui, Dio! “In questo sta l’amore non che noi abbiamo amato Dio, ma che Lui ha amato noi e che ha mandato il suo Figlio, quale vittima ad espiazione per i nostri peccati… se Dio ha amato così anche noi dobbiamo amare gli uni gli altri… Noi amiamo perché Egli ci ha amato per primo… chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da Lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello” (Giovanni I lettera 4,7-21). E l’uomo deve rispondere a Dio con una sola parola: Amore! È l’Amore che educa, modella la vita dell’uomo a Dio e al prossimo. Ecco, la sua celebrazione. “Ora rimangono dunque queste tre cose: Fede, Speranza, Carità, ma di tutte più grande è la Carità (Paolo, Corinzi 1,13). Carità che è amore a Dio e al prossimo; Speranza che è fiducia in Dio; Fede che è certezza in Dio, nella Rivelazione, nella Chiesa. “Se io parlassi tutte le lingue degli uomini e degli Angeli, ma non avessi la carità, sarei come un bronzo che suona o un cembalo che squilla. La carità è paziente, la carità è benigna. La carità non si vanga, non si gonfia di orgoglio, non manca di rispetto. Essa non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male che riceve. Non gode dell’ingiustizia, si compiace invece della verità. Essa tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (Paolo 1° lettera ai Corinzi). “Nella carità si nasconde il mistero della preghiera, della conoscenza personale di Gesù… una preghiera semplice, che tende soltanto a toccare il cuore del Maestro. E così si apre il proprio cuore, si impara in Lui la stessa sua bontà, il suo amore”. L’eros di Dio per l’uomo è insieme totalmente agape. Non soltanto perché viene donato del tutto gratuitamente, senza alcun merito precedente, ma anche perché è amore che perdona, che si mostra con l’eucaristia, il pane che trasforma il nostro essere per avvicinarsi a Dio. Amore di Dio e amore del prossimo sono inseparabili, sono un unico comandamento”. (Deus caritas est Benedetto XVI, lettera enciclica 25 dic. 2005). Oh, se la giustizia fosse la misura intrinseca di ogni politica! La carità nella verità come ci insegna Benedetto XVI è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera. 114


“Per questo stretto collegamento con la verità, la carità può essere riconosciuta come espressione autentica di umanità e come elemento di fondamentale importanza nelle relazioni umane, anche di natura pubblica. Volere il bene comune e adoperarsi per esso è esigenza di giustizia e di carità. La fedeltà all’uomo esige la fedeltà alla verità… garanzia di libertà e della possibilità di uno sviluppo umano integrale”. (Caritas in Veritate) Nell’enciclica di Benedetto XVI e in altre, ad iniziare dalla Rerum Novarum di Papa Leone XIII, si trovano la chiave di risoluzione dei tanti problemi che affliggono la società di ogni tempo. La Caritas cristiana è indissolubilmente legata alla speranza. Chi non ha sperato? Chi non spera? Chi non si è disperato? Ma di quale speranza parliamo? Vi è una speranza che diciamo esistenziale: lo stato d’animo di una persona che vive una fiduciosa attesa per il raggiungimento di un bene che ritiene di poter ottenere. La tensione verso una meta! Vi è una speranza che ci piace pensarla con la lettera maiuscola: La Speranza cristiana polarizzazione della mente verso il Creatore. È speranza viva che ha come ragion d’essere Cristo Risorto. O la speranza è una virtù teologale o non è una virtù (J. Paiper.) La speranza, virtù teologale è celebrata da Apostoli, Santi, Teologi, Pensatori di tutti i tempi. Paolo cesellatore della speranza Dalla lettera ai Romani. “Poiché è nella speranza che noi siamo stati salvati! Ora, una speranza che si vede non è più speranza; infatti ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza”. (v. 24-25) E agli Efesini: “Prima dell’incontro con Cristo erano senza speranza e senza Dio nel mondo”. (Ef 2.12) E ai Tessalonicesi: “Voi non dovete affliggervi come gli altri che non hanno speranza”. (1.Ts 4.13) Pietro l’apostolo della speranza Nella prima lettera, dove si rivolge ai pellegrini e dispersi nel Ponto, nella Galazia, nell’Asia e nella Betania scrive: “Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo che nella sua grande misericordia con la resurrezione di Gesù Cristo ci ha rigenerati ad una speranza viva, ad un’eredità incorruttibile, immacolata e immarcescibile. Essa è conservata nei cieli per voi, che siete custoditi dalla potenza di Dio nella fede, per 115


la vostra salvezza prossima a rivelarsi negli ultimi giorni”. Si vive in quelle parole l’essenza della speranza cristiana ossia la peculiarità escatologica. Non è questo il luogo, e noi non abbiamo la possibilità di poter sia pur tratteggiare il pensiero nella storia di quanti dall’antichità ad oggi si sono impegnati a descrivere la speranza cristiana. Citeremo quanto sul tema è più vicino a noi nel pensiero della Chiesa e del mondo laico. In “comunicare il vangelo in un mondo che cambia”, l’episcopato cattolico scrive: “A tutti vogliamo recare una parola di speranza. Non è cosa facile, oggi, la speranza. Non ci aiuta il suo progressivo ridimensionamento: è offuscato se non addirittura scomparso nella nostra cultura, l’orizzonte escatologico, l’idea che la storia abbia una sua direzione, che sia incamminata verso una pienezza di vita che va al di là di essa. Tale eclissi si manifesta a volte negli stessi ambienti ecclesiastici, se è vero che a fatica si trovano le parole per parlare delle ultime realtà e della vita eterna”. Ancora una volta la Chiesa rivolge il pressante invito ai cattolici di vivere, testimoniare, annunciare la vera speranza, la sola che ci porta alla salvezza. Trattasi chiaramente della speranza escatologica, che vive sovente assopita nella mente di quanti hanno ricevuto la grazia del battesimo. Nella Lumen Gentium (n. 35) la Chiesa rivolgendosi ai laici: “Essi si mostrino figli della promessa, se forti nella fede e nella speranza mettono a profitto il tempo presente e con pazienza aspettano la gloria futura. E questa speranza non la nascondano nell’interno del loro animo, ma con una continua conversione e lotta contro i dominatori di questo mondo tenebroso e contro gli spiriti maligni, la esprimano anche attraverso le strutture della vita secolare”. Maria sorgente di speranza “La Madre di Gesù, come in cielo glorificata ormai nel corpo e nell’anima… così sulla terra brilla ora innanzi al peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore”. (Gaudium et spes 68) “E quale persona potrebbe più di Maria essere per noi stella di speranza-lei che con il suo sì aprì a Dio stesso la porta del nostro mondo; lei che diventò la vivente Arca dell’Alleanza, in cui Dio si fece carne, divenne uno di noi, piantò la sua tenda in mezzo a noi” (Spe Salvi n.49.) In Ecclesia in Europa, Giovanni Paolo II, al capitolo primo si legge: Gesù Cristo è nostra speranza. Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo e il Vivente. (Ap I, 17-18) E poi un grido di allarme. 116


Le chiese in Europa, spesso tentate da un offuscamento della speranza… lo smarrimento della memoria e dell’eredità cristiane accompagnato, da una sorta di agnosticismo pratico e di indifferentismo religioso… paura nell’affrontare il futuro…vuoto interiore che attanaglia molte persone e la perdita del significato della vita... il tentativo di far prevalere un’antropologia senza Dio e senza Cristo che ha portato a considerare l’uomo il centro assoluto della realtà, facendogli così artificiosamente occupare il posto di Dio e dimenticando che non è l’uomo che fa Dio ma Dio che fa l’uomo… l’uomo non può vivere senza speranza, la sua vita sarebbe votata all’insignificanza e diventerebbe insopportabile. E un momento di consolazione: “Non mancano segnali che aprono alla speranza”. Ancora nella lettera enciclica Spe Salvi di Benedetto XVI: “La vera grande speranza dell’uomo, che resiste nonostante tutte le delusioni, può essere solo Dio. Noi abbiamo bisogno della speranza più piccola o più grande che giorno per giorno, ci mantengono in cammino. Ma senza la grande speranza, che deve superare tutto il resto, esse non bastano. Questa grande speranza è solo Dio, che abbraccia l’universo e che può donarci ciò che, da soli non possiamo raggiungere. Dio è il fondamento della speranza”. E ci ricorda la lettera agli Ebrei di Paolo (11 cap) la connessione tra fede e speranza. “La fede è l’hypostasis delle cose che si sperano, prova delle cose che non si vedono... sostanza delle cose che si sperano”. E non poteva mancare una citazione sulla speranza del pensiero di Newman, ritenuto il suo “un messaggio che non ha perso niente della sua freschezza”. “La speranza cristiana trascende tutti gli ideali del mondo, tutti i desideri umani. È una virtù divina. La fiducia in Cristo è la sua ancora e il suo solido fondamento. Guardate in alto, e vedete, come è naturale, una grande montagna da scalare; dite, è mai possibile che noi possiamo trovare un sentiero in mezzo a questi enormi ostacoli? Non dite così miei cari fratelli, guardate in alto con speranza, fidatevi di Lui che vi chiama a proseguire. Un mondo che si deve creare da sé la sua giustizia è un mondo senza speranza”. E raccomanda di pregare perché la preghiera fortifica la speranza tra le tribolazioni della vita. A commento della Spe salvi tra l’altro scrive l’illustre teologo Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto: “Il discorso sulla speranza cristiana, il Papa lo coniuga con un’analisi attenta dei processi della modernità, in cui c’è rispetto per la scienza, la tecnica e le filosofie del progresso. Quello che il Papa mette in luce, a mio avviso, è l’incompletezza di queste proposte. La fede nel progresso, l’ideologia della scienza, lo scientismo hanno mostrato i loro limiti nelle vicende degli ultimi due secoli. Il cumulo di violenza prodotto dai totalitarismi, dalle guerre e dalla stessa scienza quando non si è autoregolamentata quando cioè si sono separate etica e scienza, dimostra come c’è bisogno di un riferimento etico assoluto. Non è un no alla scienza ma allo scientismo”. 117


Ci piace citare tra i tanti cantori della speranza: Gabriel Marcel, filosofo della speranza; Giorgio La Pira, testimone e seminatore della speranza; Spes contra spem il suo motto, ostentando il quale compì imprese impossibili per la pace nel mondo; J. Moltman: Speranza “aurora dell’attesa, un giorno che colora ogni cosa della sua luce”. Dante, il divin poeta, che tratta da grande teologo le virtù teologali. Nel Paradiso, ottavo cielo, dove con Maria si trovano le anime trionfanti illuminate dalla luce di Cristo, viene esaminato sulle tre virtù teologali ad opera di San Pietro sulla fede; di San Giacomo Maggiore sulla speranza; di San Giovanni sulla carità’. E poi Charles Peguy, il poeta della speranza che con la bellezza dei suoi versi canta la più piccola, la più grande delle virtù teologali. Dal portico del mistero della seconda virtù, intesse un mirabile colloquio con Dio, gli impone il suo pensiero quando scrive: La fede che preferisco, dice Dio è la speranza. La fede non mi stupisce La carità non mi stupisce Ma la speranza, dice Dio, ecco quello che mi stupisce. Me stesso. Questo è stupefacente. Quello che mi stupisce, dice Dio, è la speranza. Non me ne capacito. Questa piccola speranza che ha l’aria di non essere nulla. Questa bambina speranza. E non si fa attenzione, il popolo cristiano non fa attenzione che alle due sorelle grandi. La prima e l’ultima. E non vede quasi quella che è nel mezzo. La piccola, quella che ancora va a scuola. E che cammina. Persa nelle gonne delle sue sorelle. La fede vede quello che è. La speranza vede quello che sarà. La carità ama quello che é. Saggi di infinita bellezza di credente e di affascinante poeta. La speranza teologale: Lo sguardo verso Colui che della speranza è la sorgente. Come è lontana la speranza da Nietzche! Come è lontana da Brecht quando afferma: Non vi lasciate illudere che è poco la vita, 118


bevetela a gran sorsi… Che cosa vi può spaventare? Morirete come tutte le bestie e non c’è niente dopo. Come è lontana da Heideger: “alla fine dell’essere come tale non ne è più nulla”. Come noi cristiani siamo lontani da questo mondo! Noi, figli e testimoni del Risorto! “La speranza è il marchio del cristiano”. (Kiekegaard) “La speranza elemento intrinseco della struttura della vita, della dinamica dello spirito umano”. (E. From) La speranza è certezza perché è costituita da un filo diretto da un lato da Dio dall’altro l’uomo. Liberiamo la speranza dai tanti lacci che tendono a soffocarla, celebriamola! Il mondo sarà diverso! Celebriamola alla maniera del cardinale Francois Xavier Nguen Van Thuan che la visse in un duro isolamento carcerario per ben 9 anni tramandandocela in acute riflessioni nei suoi libri: Il cammino della speranza; Il cammino della speranza alla luce della Parola di Dio e del Concilio Vaticano 2°; I pellegrini del cammino della speranza. “Il tuo amore, Signore, sia su di noi, in Te speriamo”. Se la speranza proietta il cristiano verso il futuro, è la virtù del movimento che porta a Dio e qualifica più distintamente ed incisivamente gli eventi dell’uomo sulla terra. “La Fede è fondamento delle cose che si sperano”. La speranza apre il sentiero della carità, la sua assenza l’annichilisce. Unitamente alla fede, doni di Dio, costituiscono il veicolo verso la vita eterna. L’Uomo peregrino sulla terra non può conseguire la perfezione che lo porta alla salvezza senza credere, senza fede. Sì la fede è dono, da coltivare, da meritare. È credere in Dio, Cristo, Figlio del Padre, nella sua incarnazione, morte, resurrezione, ascensione, nel mistero dell’Eucaristia, nella sua chiesa. Con la speranza e la carità, la fede perfeziona l’uomo, lo avvicina a Dio. Il monaco eremita Giovanni detto Climaco dalla parola greca klimakos che vuol dire scala vissuto intorno al 600 tra le montagne del Sinai, nella sua opera La scala, cammino di avvicinamento a Dio, colloca “la trinità” delle tre virtù all’ultimo scalino, il più vicino a Dio al quale Giovanni fa dire: Questa scala t’insegni la disposizione delle virtù. Io sto sulla cima di questa scala, come disse quel mio grande iniziato (San Paolo): Ora rimangono dunque queste tre cose: fede, speranza e carità, ma di tutte più grande è la carità . (1 Cor. 13,13.) Allo stesso scopo tendono le Virtù cardinali. Sono virtù umane, morali, la prudenza, la giustizia, la fortezza, la temperanza. Prudenza, “retta norma dell’azione”. 119


Giustizia, “costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che loro è dovuto”. Fortezza, “fermezza e costanza nella ricerca del bene” Temperanza, “vivere con sobrietà, giustizia e pietà”. “Le virtù umane si radicano nelle virtù teologali, le quali rendono le facoltà dell’uomo idonee alla partecipazione alla natura divina.” (S. Agostino) Quanti insegnamenti ci vengono dal Maestro, dalle Sacre Scritture, dalla sua Chiesa! E l’uomo ne fa tesoro? Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra? (Lc.18,8) Questo interrogativo non vorremo mai porcelo! Maria, madre di fede, speranza e carità ci soccorra! Nessuna creatura al mondo credette, sperò, amò quanto Lei! La Chiesa Comunione di santi perché battezzati, paziente rifugio dei peccatori perché Madre, Maestra, perché accompagnatrice dell’uomo verso Dio, ci assista amorevolmente nel nostro cammino. Non possono essere vani gli insegnamenti che ci profonde nell’arco dei secoli! Insegnamenti che vengono da Cristo che l’ha fondata, che ha le sue espressioni nell’opera evangelizzatrice di Santi, di Martiri, di Papi, di Vescovi, di preti santi, di laici santi. Opera evangelizzatrice che cura la crescita e lo sviluppo del cristianesimo nei valori che attengono il mistero, ma anche in quelli riferiti alla persona umana, creatura di Dio: valori e sacralità dell’anima, valori antropologici, nel suo passaggio terreno. Feconda da sempre questa azione della chiesa, che si è resa più pressante in un’epoca nella quale il mondo tende a vivere senza Dio, anzi contro Dio. A questo impegno è da riferire l’opera di una nuova evangelizzazione (Giovanni Paolo II) che la chiesa conduce da tempo. Già Giovanni XXIII con l’indizione del Concilio Vaticano II aveva intuito, che la Chiesa si sarebbe dovuta interrogare sul suo ruolo nella società. Far conoscere il vangelo, nella veste più consona ai tempi. Ribadire la difesa dei diritti naturali fondamentali etici come il rispetto della vita, la libertà, la giustizia, la solidarietà. Far maturare la coscienza morale nella società. Nuova evangelizzazione non è solo credere in Dio, in Cristo, nella Chiesa. È anche “sfida educativa”. Scrive il card. Camillo Ruini. “Consideriamo l’educazione un processo umano globale… che il fine dell’educazione non sia quello di creare buoni cittadini, o buoni cattolici, o altro ancora, ma uomini veri appassionati della vita”. Trattasi di educazione esistenziale, alla luce del vangelo in conformità all’esperienza cristiana. Con l’istituzione del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione ad opera di Benedetto XVI, il Papa vuole che si mettano in essere “vigore di nuove energie, un nuovo ordine di cose”, di guardare al presente che ha comportato nuove situazioni e nuovi modi di vivere, ed ha aperto nuove vie all’apostolato cattolico”. I germi di 120


questa rinnovata missione evangelica si registrano negli atti del Vaticano II, trovano profonda eco nella Evangeli Nuntiandi di Paolo VI (1975). Perché questo sentito e profondo impegno della Chiesa verso l’uomo, verso la società cristiana e non? Cristo e la Chiesa si spendono da sempre per la salvezza dell’uomo, per il suo bene integrale nella vita terrena, perché egli non perda la visione della patria celeste, di Dio che lo ha creato, di Cristo, che lo ha redento, della Chiesa che gli esprime sempre tutto il suo amore. Giugno 2012

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Il pericolo degli …ismi

Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla di definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio IO e le sue voglie. Molti gli articoli di giornali, riviste, i libri che si occupano di quelli che io dico gli ISMI. Così intendo: il relativismo, il nichilismo, il soggettivismo, il pirronismo, il pluralismo e quanti altri. Si registra oggi un forte indebolimento nell’ambito della semantica e della verità, che sembra convertire i valori a “semplici prodotti dell’emotività e la nozione accantonata per fare spazio alla pura e semplice attualità” così scrive Giovanni Paolo II in Fides et Ratio. Nell’omelia “pro eligendo Pontefice” (era da poco mancato Giovanni Paolo II) il cardinale Ratzinger aveva detto: “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero”. La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde, gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al liberismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Avere una fede chiara, secondo il credo della Chiesa, viene etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina, appare come unico atteggiamento all’altezza dei tempi moderni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi invece abbiamo un’altra misura: Il figlio di Dio, il vero UOMO. È la figura del nuovo umanesimo”. Alla definizione di relativismo ratzingeriano, non sono mancate critiche sia sul versante logico che su quello filosofico. É stato anche scritto che il cardinale Ratzinger nella sostanza, a causa del relativismo imperante, fosse preoccupato e con Lui tutta la Chiesa, della caduta della spiritualità nel nostro tempo e con essa dei valori prioritari antropologici che si riflettono sulla quotidianità del vivere. E questo non può non essere vero. Il futuro Pontefice ne delineò anche il rimedio, in quella circostanza, e accompagnò quel grido con un’ esortazione: Occorre diventare “adulti” nella fede per non essere sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina” (lettera di S. Paolo agli Efesini). A questa deriva il cristiano non deve approdare. 122


Per difendersi dagli …ismi non si dovrà rimanere fanciulli nella fede. Rimanere tali non ci farà conoscere mai la verità perché avremo perduto la via maestra, la sola che può condurci verso l’assoluto. Gli …ismi ci occultano la verità. Mutuo da Giovanni Paolo II. “L’uomo, colui che cerca la verità. Quel desiderio di verità senza il quale non si è uomini... Una volta che si è tolta la verità all’uomo, è pura illusione pretendere renderlo libero. Verità e libertà o si coniugano insieme o insieme miseramente periscono”. Di recente poi, hanno assunto rilievo diverse dottrine che tendono a svalutare perfino quelle verità che l’uomo era certo di avere raggiunto. La legittima pluralità di posizioni ha ceduto il posto a un indifferenziato pluralismo, fondato sull’assunto che tutte le posizioni si equivalgono. È questo il sintomo più diffuso della sfiducia nella verità che è dato verificare nel contesto contemporaneo. I molti …ismi sono un pericolo per il cristianesimo, la cristianità, l’uomo e i suoi valori prioritari, la civiltà. Tutta l’umanità. È d’obbligo dei cristiani credere fermamente nella propria identità per crescere nella fede, unico antidoto volto a contrastare gli ...ismi Pubblicato nel “Il serrano” n. 106, 2007

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Per una nuova democrazia La sfida dei cattolici

Su iniziativa della CEI nel celebrare la 44 a settimana sociale (Bologna 7-10 ottobre 2004) è stato trattato il tema: Democrazia, Nuovi scenari, Nuovi poteri. L’importante assise ha offerto ai cattolici italiani una grande occasione per riflettere sul mondo che cambia nel suo assetto politico e sociale; mutata la convivenza civile alla luce dei progressi della scienza, della tecnologia, dell’economia, con le grandi emigrazioni e i nuovi rapporti internazionali. La CEI ha lanciato una sfida al mondo moderno, ai governanti, ai politici, e soprattutto ai laici cristiani. Come promuovere e difendere i valori della democrazia in un’epoca di così grandi cambiamenti? Quali sono i modi e gli strumenti più adeguati per realizzare democrazie fondate su una visione egualitaria nei rapporti sociali, nei diritti civili e politici? L’obiettivo da conseguire, in una visione globale delle problematiche sociali da risolvere è la rifondazione del concetto di democrazia. Il conferimento ad essa cioè di un significato nuovo, vivo, completo, che nel suo essere sia foriero dei valori di libertà, di giustizia, di amore, intesi nel significato più profondo delle parole come quelle suggerite dal Vangelo. “Non ridurre la questione della democrazia a semplice questione del sistema politico, perché è necessario abbinare ad essa l’etica nella sua dimensione sostanziale e non formale “. E al nostro orecchio si sentono i numerosi richiami della chiesa ai laici attraverso molti documenti dottrinari e largamente espressi in varie encicliche: come Lumen Gentium, Gaudium et spes, Cristifidelis laici, dalle quali riproponiamo alcune espressioni. “Il messaggio cristiano lungi dal distogliere gli uomini dal compito di edificare il mondo, lungi dall’incitarli a disinteressarsi dei propri simili, li impegna piuttosto a tutto ciò con un obbligo ancora più stringente”.

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“Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, anzi verso Dio stesso, mette in pericolo la propria salvezza eterna… tutti i cristiani devono prendere coscienza della propria specifica vocazione nella comunità politica…operando guidati dalla coscienza cristiana e dallo spirito evangelico… i laici cristiani…proprio in questi momenti devono testimoniare con orgoglio la loro fiducia in Dio Signore della storia il loro amore per l’Italia attraverso una presenza unitaria e coerente e un esercizio onesto e disinteressato nel campo sociale e politico sempre aperto a sincere collaborazioni con tutte le forze sane della nazione”. Chiari questi messaggi per i cristiani che vogliono dire: testimonianza della propria fede nella storia contribuendo affinché la democrazia sia vera, rispettosa cioè dei valori della persona umana. Democrazia e valori, democrazia e sistemi di potere, democrazia scienza e tecnica, democrazia e economia, la questione istituzionale temi sui quali si invita a riflettere prima che i guasti del mondo moderno si aggravino e diventino irreparabili. Non è più rinviabile la sensibilizzazione del mondo cattolico ad operare nel comune vivere ad ogni livello sociale e istituzionale. Il nostro operare che trae linfa dal Vangelo e dalla dottrina sociale della chiesa non può non essere salutare per la società. Non c’è soluzione alla questione sociale al di fuori del Vangelo (Giov. Paolo II in Centesimus annus). Questo il messaggio inviato da Giovanni Paolo II ai partecipanti: “La democrazia è strettamente congiunta con lo stato di diritto e con una concezione globale della persona. Un’autentica democrazia esige che si verifichino le condizioni necessarie per la promozione delle singole persone mediante l’educazione di strutture di partecipazione e di corresponsabilità. In Italia la democrazia e la libertà politica appaiono ormai felicemente consolidate e penetrate nella coscienza collettiva… a nessuno sfuggano però i rischi e le minacce che possono derivare da certe correnti filosofiche, visioni antropologiche o concezioni politiche non esenti da preconcetti ideologici. Se l’azione politica non si confronta con una superiore istanza etica, illuminata a sua volta da una visione integrale dell’uomo e della società, finisce per essere asservita a fini inadeguati, se non illeciti; il messaggio evangelico offre la centralità della persona come ancoraggio sovra ideologico, a cui tutti possono fare riferimento. La riflessione del sistema democratico oggi non può limitarsi a considerare solamente gli ordinamenti politici e istituzionali, ma deve allargare il proprio oriz125


zonte ai problemi dello sviluppo, della scienza, della tecnologia dell’economia, della finanza, della globalizzazione, delle organizzazioni internazionali della comunicazione per elaborare un modello di democrazia autentico e completo”. Che dire di più per una vera democrazia? Pensiero rivolto a tutti, ai laici cristiani in modo particolare. È un’urgenza storica la missione evangelizzatrice della chiesa per una vera democrazia. Significativi sono i riferimenti a filosofi e politici cristiani come Maritain, Mounier, De Gasperi, Sturzo, La Pira, che nella loro elaborazione politica si sono ispirati al Vangelo e ai documenti della dottrina sociale della Chiesa. Ci piace citare un pensiero di Luigi Sturzo. “La politica è per sé un bene: il far politica è, in genere, un atto di amore per la collettività; tante volte può essere anche un dovere per il cittadino. Il fare una buona o cattiva politica dal punto di vista soggettivo di colui che la fa dipende dalla rettitudine dell’intenzione, dalla bontà dei fini da raggiungere e dai mezzi onesti che si impiegano all’uopo. Il successo e il vantaggio reale possono anche mancare, ma la sostanza etica della bontà di una tale politica rimane. Così ragionano i cristiani di ogni tempo e di ogni paese. E con questo spirito l’amore del prossimo in politica deve stare di casa, non deve essere escluso come un estraneo né mandato via facendolo saltare dalla finestra come un intruso. E l’amore del prossimo non consiste né nelle parole, né nelle moine, ma nelle opere e nella verità”. Per Luigi Sturzo la politica è un’arte che riescono a esercitare solo pochi artisti, mentre altri si accontentano di essere artigiani e molti si riducono a essere mestieranti. A questi grandi spiriti, è da associare, riteniamo, il nome di un prete della resistenza toscana, deportato nei lager, Roberto Angeli. In una sua nota I cattolici e la politica (supplemento di Fides del n.12Livorno 1945) così conclude: “La risposta al problema che ci siamo posti è ormai chiara: la chiesa ha la missione di permeare di Cristo la civiltà e la storia e la società. Il cattolico ha il dovere di combattere per concretizzare le parole di Gesù nella vita umana: in altre parole, per compiere davvero sulla terra il regno di Dio; e il dovere gli è imposto dalla sua fede in Dio che lo crea paladino e difensore dei doni avuti dal Creatore, dal precetto universale di amore che lo vuole cavaliere degli oppressi, dal suo carattere di membro della chiesa che egli deve difendere, dalle parole di Gesù Cristo che egli deve applicare alla vita umana”. 126


Se non faremo così, altri che pur non possiedono la verità totale come noi si impossesseranno dello spirito del Vangelo e agiranno al di fuori e contro la chiesa. E noi, di fronte a Dio e alla nostra coscienza e di fronte al giudizio severo della storia, saremo responsabili di avere tradito Cristo.”. Don Roberto Angeli, prete, sociologo, partigiano del Vangelo, seppe con inenarrabili sacrifici, che gli minarono la salute, tenere testa confutando un’ideologia razzista che si prese gioco della vita e della dignità della persona umana. Raccomando agli amici Serrani di leggere e rileggere il suo diario: Vangeli nei lager. “I fedeli laici non possono tacere è loro dovere lavorare per il giusto ordine sociale per una antropologia illuminata dalla fede e dalla ragione l’assenteismo sociale peccato di omissione”. Card. Angelo Bagnasco in “Buona politica per il bene comune” Todi 17.10.2011). Si ripetono gli incontri dell’associazionismo laico alfine di contribuire alla “buona politica” nel nostro paese. Le decisioni, difficili, travagliate, sono ancora lontane. Dicembre 2011

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Laicità positiva

Il Presidente della Repubblica francese Nicola Sarkozy nel discorso di benvenuto in terra di Francia a Benedetto XVI, pellegrino in viaggio verso Lourdes, (settembre 2008) conferì alla parola laicità la qualificazione positiva. L’espressione è soprattutto riferita al rapporto Chiesa e Stato. Prende così vigore il tormentone di lunga vita: la speculazione filosofica–religiosa-politica, su laici-laicisti; Atei-non Atei; Fede-Ragione; Chiesa-Stato. Il rapporto Chiesa-Stato, Cristo lo definì già duemila anni orsono con le parole: Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio (Mc.12). Merita attenzione questa nuova qualificazione di laicità perché nel mare della confusione un qualche chiarimento lo porta. “Una laicità che rispetta, una laicità che riunisce, una laicità che dialoghi. E non una laicità che esclude e che denuncia… è legittimo per la democrazia, rispettoso della laicità, dialogare con le religioni. Queste e in particolare la religione cristiana, con la quale condividiamo una lunga storia, sono patrimonio di riflessione e di pensiero non solo su Dio, ma anche sull’uomo e sulla società”. Laicità positiva, laicità aperta, è un invito alla tolleranza, un invito al rispetto… È una sfida. La laicità positiva di Sarkozy è un pressante invito al dialogo. L’auspicio di un dialogo”sereno e positivo di una comprensione più aperta, lasciano trasparire una mediazione in una Francia laica dalla forte tradizione cristiana, ma anche un invito alle democrazie di poter governare nell’interesse del bene comune, della difesa dei valori antropologici, così come vuole la Chiesa cattolica”. Benedetto XVI risponde al suo interlocutore: “Una riflessione sul vero significato e sull’importanza della laicità divenuta necessaria… È fondamentale, infatti, da una parte, insistere nella distinzione tra l’ambito politico e quello religioso alfine di tutelare sia la libertà religiosa dei cittadini che la responsabilità dello Stato verso di essi e d’altra parte prendere una più chiara coscienza della funzione insostituibile della religione per la formazione delle coscienze e del contributo che essa può apportare insieme ad altre istanze, alla creazione di un consenso etico di fondo nella società”. In queste parole è chiaramente espressa la funzione sociale della Chiesa, l’invito a non temerla e la netta distinzione tra potere politico e potere religioso. 128


E poi tra Fede e Ragione, il Papa precisa: “Mai Dio domanda all’uomo di fare sacrificio della sua Ragione. Mai la Ragione entra in conflitto con la Fede”. Nelle parole di Cristo, nella dottrina della Chiesa, nelle affermazioni in Francia del Papa due le conferme emergenti: Mai conflittualità tra Chiesa e Stato nella faticosa opera di elevazione della persona umana. Che la “nuova laicità” se tende a questo sia la benvenuta! Nel Vangelo è ampiamente scritta la grammatica della laicità e della buona politica. Questa non è “buona” se non sposa “la carità di cui Gesù Cristo si è fatto testimone con la sua vita terrena, soprattutto con la sua morte e Resurrezione; è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera”. (Benedetto XVI in Caritas in Veritate). Egli rivendica la pubblica dimensione del cristianesimo dichiarandolo fondamento portante della politica in ordine spirituale, etico e culturale. Sprona altresì i cristiani a partecipare alla vita politica delle istituzioni ad ogni livello. Questa opera di grande respiro teologico e sociale viene in soccorso al pensiero e all’agire della politica e colloca il cristianesimo, che è Amore, nella dimensione pubblica in modo magistrale, senza per questo volerla sopraffare, anzi riconoscendola quale motore essenziale nella messa in essere di una sana politica. Al bando, oggi e ci auguriamo sempre, certi concetti illuministici di contrapposizione tra religioso e civile. I temi: Testimoni di Cristo nella comunità politica e la nuova generazione dei cattolici impegnati sono stati oggetto di proficuo dibattito, sulla presenza dei cattolici nella politica, celebrati nella riunione XXIV del Pontificio Consiglio presieduta dal cardinale Stanislaw Rylko (maggio 20-22/2010). La funzione del laico cattolico in politica è stata ancora illuminata dagli interventi del card. Camillo Ruini, da Lorenzo Ornaghi, rettore della cattolica, da Andrea Riccardi, storico. Mons. Rino Fisichella riferendosi al politico cattolico scrive: “Avere giurato sulla Costituzione non potrebbe mai impedire a un cristiano di essere ugualmente fedele al Vangelo, questo, infatti, è all’origine di ogni espressione di genuina laicità. Il cristianesimo… patrimonio di ricchezze naturali ha donato identità a interi popoli per millenni, agendo come fattore di aggregazione e socializzazione”. Politici, cristiani e non, non sono nemici se vivono ed esprimono il loro impegno nella Carità che é Verità. L’uomo è figlio di un’evoluzione cosmica od è espressione regale di natura trascendente? È sul riconoscimento di questa che si macera la cultura cosi detta laica (laicista?) e la scienza. L’accettazione che l’uomo non è un capriccio del cosmo, bensì ha origine dalla volontà del Creatore, che incarna quei valori da Lui conferiti è il vero motivo, ancora oggi di incessan129


te frizione tra teologia e scienza. La scienza, la tecnologia avanzata, in forza di un esasperato razionalismo ritiene la persona non un soggetto dagli inalienabili diritti che gli derivano dalle sue origini, dai suoi valori antropologici, ma spesso di essere ritenuto uno strumento, da manipolare a piacimento. E questo la Chiesa non può non condannare e interviene per il suo Bene, nella politica degli Stati, senza di ciò costituire interferenza, ma pieno diritto. Ci piace riportare una frase di Carlo Cardia: “Abbiamo una concezione provinciale, che si basa sulla netta cesura tra sfera civile e sfera della fede. È il retaggio illuministico ormai superato”. Laicità positiva, si deve coniugare come ricerca, esercizio di un atto di carità che vuol dire amore, giustizia, equità, libertà, rispetto dei diritti altrui, cura e difesa dei valori antropologici della persona, alfine di un esercizio della politica che è arte volta al Bene comune dell’uomo, nella sua interezza di anima e di corpo. Gesù nel Vangelo ci ha dettato l’arte del vivere. Urge tornare al Vangelo anche fonte di ispirazione politica, economica, sociale, CartaMagna di Giustizia e Carità’. Pubblicato ne “Il Centro” periodico politico culturale anno 2010.

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Bioetica ed Eutanasia

Tema complesso nel quale si intrecciano mistero, amore, scienza, tecnica, ma anche inganni. Etica della vita e Eutanasia ci fanno pensare, ci pongono davanti ai problemi particolarmente acuti oggi, dell’albore di una vita e del suo tramonto. Quest’ultimo, il più discusso. La bioetica è la disciplina che studia i comportamenti delle persone e della società che attengono i problemi morali, sociali, demografici, della ricerca scientifica, dell’operato dell’uomo sull’equilibrio della natura. Tratta dei diritti fondamentali dell’uomo che scaturiscono dall’essere persona al di là da ogni credo. Peculiari per i cristiani le problematiche che attengono l’uomo, creatura di Dio, via della chiesa. I problemi bioetici non possono nutrirsi e risolversi con approcci ideologico-politici. La scelta culturale antropologica è il passaggio obbligato particolarmente in questi ultimi decenni, dati i notevoli progressi scientifici e tecnologici, acquisiti dal sapere umano, portatori sì di enormi benefici, ma anche di soluzioni nefaste. È questo il sentire della Chiesa che raccomanda la trattazione dei problemi della persona considerandone la sua origine divina. Si tende ad appannare i valori, la dignità della persona collocandola in un concetto personalistico per il quale ad esempio l’embrione non è persona e come tale privo di dignità di vivere, oggetto di studio, quando non spazzatura. Con l’embrione, il feto, il disabile, l’incapace, giovane e anziano che sia, per certa scienza (ma questo è scientismo) sono esseri umani ma non persone. Quanta aberrazione in questo sentire! Distinguere l’essere umano da essere persona, è un’aberrazione scientifica e ideologica! L’Eutanasia che attiene il comportamento della scienza e dell’uomo quando la vita di una persona che sta per spegnersi è in grave sofferenza, non può che avere un solo significato: La buona morte, o fine di un’esistenza, secondo natura. Il compito di quanti, medici e non, sono deputati ad assistere la vita che si spegne, è spendersi perché ciò avvenga nell’assoluto rispetto di quei valori che quella vita hanno sorretto nella sua vicenda umana. Non vuol dire infierire, non vuol dire “staccare la spina”. 131


Quando al capezzale di un paziente si pongono degli interrogativi forti: se continuare accanitamente a conservare o a spegnere la vita, per la sofferenza di cui è afflitta, con l’ausilio della scienza, allora la complessità dei problemi è grande. Questi, noi cristiani, dobbiamo ritenere insolubili se non si fa riferimento al mistero. La fede, la ragione, la scienza, l’avanzata tecnologia, debbono riconoscere la loro complementarietà, nell’aiutarci a risolvere i gravosi problemi sui quali abbiamo posto solo una breve considerazione. La legge in Italia, è contraria all’eutanasia come la si vuole lasciare intendere oggi. È Dio il Signore della vita e della morte! Si lasci al suo amore e alla sua misericordia il destino delle sue creature. Si rimane sconcertati poi quando come riferisce lo Journal of medical ethics si sta rafforzando l’interesse di alcuni per i quali i pazienti in stato vegetativo permanente sono a tutti gli effetti morti. È quanto dire anche oggetto di esperimenti! A tal proposito raccolgo il pensiero di un medico che si prende cura dei pazienti in stato vegetativo: E se accade il miracolo? Se”un capo si gira al sentire la tua voce, uno sguardo incomincia a seguirti?”. Scienza, tecnologia, morale, ragione, non possono non avere un rapporto solidale, non possono ledere i valori e la dignità della persona in qualunque condizione essa si trovi, se sana, se malata, se nel penoso stato di non poter vivere una vita razionale”. Nemici della vera scienza stanno sempre di più diventando politica, scientismo, relativismo, nichilismo ed una certa violenta tecnologia che non vuole conoscere limiti, in questo mondo e non porsi problemi metafisici. Sono fattori che minano la società, la famiglia, la morale, la dignità dell’uomo, la sua stessa sopravvivenza. L’uomo che crede nei valori prioritari della persona, viepiù minacciati e i cristiani si accorgono di quanto succede intorno a loro? Il dovere di cristiani ci impone di difendere l’uomo perché creatura di Dio, perché persona. Due pensieri desidero esprimervi: Il primo: La modernità tende a trasformare la persona in individuo portando l’uomo fuori dalla verità procurandogli i più gravi problemi esistenziali. Il secondo: Di fronte ai dilemmi posti dallo sviluppo scientifico, di fronte alle terribili scelte poste dalle biotecnologie non dimenticare la massima di Immanuel Kant: Considerate l’uomo sempre come fine e non come mezzo.

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Giustizia e Carità: binomio impossibile?

Dice Nietzsche: Solo colui che è veramente Signore istituisce la giustizia, cioè sottopone le cose alla sua maniera. A distanza di tempo gli risponde il cardinale Ratzinger (1991 Svolta per l’Europa): “La crisi della giustizia, perdita dell’evidenza tra giusto e ingiusto …senza trascendenza non c’è fondazione del diritto… giustizia e carità sono due aspetti inseparabili dell’impegno morale del cristiano. Il cristiano è chiamato a cercare sempre la giustizia, ma porta in sé la spinta dell’amore che va oltre la stessa giustizia”. Non c’è giustizia senza carità. Non c’è carità senza giustizia. Giustizia è il derivato di una perfetta corrispondenza tra uomo e Dio? È il derivato ciceroniano del unicuique suum tribuere? Maceranti interrogativi! Nel discorso al parlamento italiano Giovanni Paolo II disse: Giustizia è la misura minima della carità, il retaggio di diritti umani universali, radicati nella natura umana, nei quali si rispecchiano le esigenze oggettive di una legge morale universale. Nella XIII assemblea plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze sociali, Benedetto XVI ha detto: “La giustizia è lo scopo e quindi la misura di ogni politica, giustizia e carità sono i due aspetti inseparabili dell’impegno sociale del cristiano”. La magistrale lettera enciclica Deus caritas est costituisce l’apoteosi descrittiva dell’amore di Dio per l’uomo. Dio è amore, chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora il lui. Amore è il pieno significato di caritas. Fuggiamo dall’intrattenerci sulla prima parte dell’enciclica, di alto contenuto teologico, per far cenno all’opera dottrinaria della chiesa volta a stimolare l’uomo a dare risposta all’amore di Dio, per concretizzarlo nel mondo, perché regni carità, amore e giustizia. Dal n. 26 dell’enciclica, in tema di Giustizia e Carità, mutuo alcune riflessioni che con133


sentono di porci davanti al nostro interrogativo: Giustizia e carità binomio impossibile? Solo in riferimento ai tempi moderni leggiamo con: Papa Leone XIII (1891) Rerum novarum; con PIO XI (1931) Quadragesimo anno; con Giovanni XXIII (1961) Mater et magistra; con PAOLO VI (1967) Populorum progressio; con Giovanni Paolo II (1981) Laborem exercens (1987); Sollecitudo rei socialis (1987); Centesimus annus (1991). Questi tra i documenti ufficiali recenti più noti, ma numerosi sono quelli elaborati dal Vaticano II, dalla Cei, dai laici cattolici. Tutti volti a dare risposta all’interrogativo postoci. Scrive Benedetto XVI: “La dottrina sociale della chiesa è diventata un’indicazione fondamentale che prepara orientamenti voluti ben al di là dei confini di essa; questi orientamenti di fronte al progredire dello sviluppo devono essere affrontati nel dialogo con tutti coloro che si preoccupano seriamente dell’uomo e del suo mondo.” “Che cosa è la giustizia, come realizzare la giustizia “ si chiede il Pontefice. E si dà una risposta: “Il giusto ordine della società e dello Stato tra le cose tra gli uomini”. E ancora: “Un mondo che si deve creare da sé la giustizia è un mondo senza speranza”. “Questo è un problema che riguarda la ragione pratica; ma per potere operare rettamente, la ragione deve sempre di molto essere purificata, perché il suo accecamento etico, derivante dal prevalere dell’interesse e del potere che abbagliano, è un pericolo mai totalmente eliminabile”. È la fede che consente alla ragione di realizzare la giustizia! Essa “permette alla ragione di svolgere in modo migliore il suo compito e di vedere meglio ciò che le è proprio”. Qui si colloca la dottrina sociale che non vuole rivendicare poteri sullo Stato… “vuole semplicemente contribuire… a recare il proprio aiuto per far sì che ciò che è giusto possa, qui e ora essere riconosciuto e poi anche realizzarlo… la società giusta è opera della politica”, ma ad essa non può mancare l’essenziale sostegno di quanto è amore, di quanto è caritas, di quanto provvidenzialmente emana da Dio. 134


La carità cristiana Carità cristiana è imitare Cristo, espressione di incondizionata donazione espressa nella Redenzione dell’uomo. Quella “carità tutto copre, tutto spera, tutto sopporta ( Paolo 1 Cor.13,7)”. E con Paolo viverla condividendo la sua espressione: “se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova” (1 Cor 13,3). “La carità che ama e serve la persona non può mai essere disgiunta dalla giustizia: e l’una e l’altra, ciascuna a suo modo, esigono il pieno riconoscimento effettivo dai diritti della persona alla quale è ordinata la società con tutte le sue strutture e istituzioni” (Dives in misericordia). Al laicato cattolico spetta il compito di assecondare quei principi perché carità e giustizia siano obiettivi coniugabili e non più miraggi. È “l’amore sociale” che bisogna conquistare, perché trionfi la “civiltà dell’amore” la sola che porta allo sviluppo integrale della persona. Pubblicato nel “il serrano”: 1 dic. 2011 category mondo cattolico

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Famiglia e società

“Famiglia prima e vitale cellula della società”. “L’avvenire dell’umanità passa attraverso la famiglia”. “Famiglia cristiana al servizio dell’uomo”. “Famiglia diventa ciò che sei”. (Giov. Paolo II, Familiaris consortio) La donna e l’uomo che si uniscono in matrimonio nel vivere il loro legame cristiano. rispettano anzitutto due canoni fondamentali: la verità e la dignità della persona. La verità implica la consapevolezza che la vita è dono di Dio, la dignità esprime conformità e rispetto della propria origine. Diverse e anomale sono altri tipi di unioni. Femminilità e mascolinità sono tra loro complementari non solo dal punto di vista fisico e psichico, ma ontologico. E soltanto grazie alla dualità del maschile e del femminile che l’umano si realizza appieno. (Giov. Paolo II, Alle donne.) Matrimonio e famiglia, oggi. “Ora la prima e originaria espressione della dimensione sociale della persona è la coppia e la famiglia”. La coppia e la famiglia costituiscono il primo spazio per l’impegno sociale dei fedeli laici” (Christifidelis laici 40)”. “Il bene della persona e della società umana e cristiana è strettamente connesso con una felice situazione della comunità coniugale e familiare… però non dappertutto la dignità di questa istituzione brilla con identica chiarezza poiché è oscurata dalla poligamia, dalla piaga del divorzio, dal così detto libero amore e da altre deformazioni...” (Gaudium et Spes cap. I,47). “Non mancano segni di preoccupante degradazione di alcuni valori fondamentali: un’errata concezione tra coniugi fra di loro; le gravi ambiguità circa il rapporto di autorità fra genitori e figli; le difficoltà concrete che la famiglia spesso esperimenta nella trasmissione dei valori, divorzi, la piaga dell’aborto, l’instaurarsi di una vera e propria mentalità contraccettiva”. (Familiaris Consortio 6). La sessualità oggi, non vissuta come valore, è l’elemento più comune che informi l’egoismo della persona, degradandola a oggetto di piacere. 136


L’unione matrimoniale sacramentale, non è certo esente da espressioni egoistiche. Queste segnano il tradimento di quel cemento amoroso che è Dono, che è Grazia essenziale per alimentare l’Amore comandamento di Dio. Nella vita di coppia, anche nelle unioni sacramentali e ancor di più in quelle anomale, sovente la vita è scandita da sterili intese, quando non dominata da bieco egoismo. Non è estranea al malessere della società, oggi, la dissennata opera di una certa cultura contro Dio, che mira a misconoscerlo; come lo è ritenere la religione un fatto squisitamente privato e non anche un momento di coesione sociale salutare per la famiglia e la società. È pura follia ritenere ingerenza della Chiesa nella vita del paese, se la sua azione è volta a difendere la persona, vuoi per i diritti antropologici che le sono propri, vuoi perché è creatura di Dio. I Cattolici di fronte alle drammatiche problematiche della società come si comportano? Quanti coerentemente ai principi che professano sanno che spetta loro “esprimersi in forma di intervento politico: le famiglie devono adoperarsi affinché le leggi e le istituzioni dello Stato non solo non offendano, ma difendano e sostengano i diritti e doveri della famiglia”. (Familiaris Consortio n.44) Tra i diritti da difendere in ordine primario è l’educazione che spetta anzitutto alla famiglia, poi alla scuola e alla società che devono operare in conformità agli indirizzi e ai valori che nascono nel focolare domestico. ...”Tocca ai laici agire direttamente nelle strutture pubbliche in coerenza con la fede e la morale cristiana, certo nel dialogo con le altrui opinioni. Senza confondersi con la realtà politica, la Chiesa e le comunità locali hanno il dovere primario di richiamare il compito dei cristiani di mettersi al servizio, sul modello del loro Signore, per la edificazione di un ordine sociale e civile rispettoso e promotore dell’uomo”. “La Famiglia è una scuola di umanità più completa e più ricca. Perché però possa attingere la pienezza della sua vita e del suo compito,è necessaria un’amorevole apertura vicendevole di animo tra coniugi e la consultazione reciproca ed una continua collaborazione tra i genitori nella educazione dei figli”. (Gaudium et spes n. 52). Una mirabile sintesi sulla missione evangelizzatrice dei laici è espressa nell’Evangeli Nuntiandi del Venerabile Papa Paolo VI che così si esprimeva: “Il campo proprio della loro attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell’economia così pure della cultura delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli strumenti dell’educazione sociale; ed anche di altre realtà particolarmente aperte all’evangelizzazione, quali l’amore, la famiglia, l’educazione dei bambini e degli adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza”… Non si può essere sordi. 137


La Costituzione italiana sostanzia l’unione familiare negli articoli 29, 30, 31 e ne significa il fondamento nell’unione tra uomo e donna, che i cristiani vogliono sacramentale. Questo non vuol dire condannare situazioni particolari di convivenza. Occorre venire incontro a quelle persone, comprenderle, aiutarle, sempre, particolarmente se il loro rapporto è vissuto nei sentimenti di sincero amore, quale si addice tra persone. Occorre credere fermamente nella famiglia, nucleo fondamentale della società! Alle sfide rivolte all’istituto della famiglia, nella stagione della modernità e della post-modernità, la Chiesa sempre “mater et magistra” con numerosi interventi dottrinari, risponde sollecitando l’inculturazione ai valori che l’unione coniugale racchiude. Sono valori antropologici e soprattutto evangelici, che vogliono i coniugi continuatori dell’opera creatrice di Dio. La salute della famiglia è la salute della società. Ai Serrani ancora un pezzo della vigna da coltivare. Nota a commento del: Tema del X congresso nazionale del Serra: “La famiglia una vocazione per tutte le vocazioni”. Loreto 2 - 4 giugno 2006.

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La parrocchia tra cristianesimo e cristianità

L’istituzione della parrocchia, anche se non così propriamente detta, risale al IV-V secolo. La sua definizione giuridica si ascrive al Concilio tridentino che ne disegnò l’assetto tuttora in essere. La storia della parrocchia ha vissuto i travagli segnati da quelli della Chiesa e dell’umanità. Nel mezzo della società civile, avamposto della Fede, è lo specchio della Chiesa. “La parrocchia offre un luminoso esempio di apostolato comunitario, fondendo insieme tutte le differenze umane che vi si trovano ed inerendole nell’universalità della chiesa. Si abituino i laici a lavorare nella parrocchia intimamente uniti ai loro sacerdoti, ad esporre alla comunità della Chiesa i propri problemi e quelli del mondo e le questiono che riguardano la salvezza degli uomini, perché siano esaminati e risolti con il concorso di tutti; a dare secondo le proprie possibilità il proprio contributo ad ogni iniziativa apostolica e missionaria della propria famiglia ecclesiastica”. (Conc. Ecum. Vat. II. Apostolicam actuasitatem). Di essa, in una nota CEI si legge: “Forma storica privilegiata della localizzazione della Chiesa particolare; spazio domestico di testimonianza dell’amore di Dio; centro di spiritualità, di comunione, di servizio… la parrocchia spazio domestico di testimonianza dell’amore di Dio dove viva deve essere la sollecitudine verso i più deboli e gli ultimi”. Struttura e funzioni di questa antica istituzione della Chiesa, sono magistralmente espresse da Giovanni Paolo II:…” la parrocchia non è principalmente una struttura, un territorio, un edificio, è piuttosto la famiglia di Dio, come una fraternità animata dallo spirito di unità, è una casa famiglia, fraterna e accogliente, è la comunità dei fedeli..comunità eucaristica, fondata su di una realtà teologica …comunità di fede, comunità organica costituita da ministri e da altri cristiani”… (Christifidelis laici 27). Lo si voglia o no la parrocchia resta un punto capitale di riferimento per il popolo cristiano e anche per i non praticanti. (Giovanni Paolo II) La parrocchia casa di tutti. Nella comunicazione del Vangelo, in un mondo che cambia, la parrocchia sveli il suo volto missionario conferitole da Cristo. Nel porgersi alla società, nel vertiginoso svolgersi dei tempi, la parrocchia dovrà sempre di più acquisire, maggiore identità, maggiore vitalità. I Presbiteri che in essa operano sono principalmente deputati alle attività che attengono la sfera ministeriale e i sacramenti anzitutto il culto, l’evangelizzazione, la catechesi. 139


Ai laici il maggior compito di curare la cultura cristiana che ispirandosi al Vangelo è cultura antropologica che ha come interesse l’uomo, i suoi diritti naturali, i suoi doveri, il suo sviluppo religioso, spirituale, civico, materiale, politico. Trattasi di cultura di vita, di libertà, di amore per il bene comune fondamento del vivere civile. Per questi principi la Chiesa non solo invita, ma obbliga, attraverso la sua vasta e puntuale dottrina i laici cattolici a occuparsi di politica-servizio, donazione di sé per gli altri. Non è certo scandaloso nell’ambito della parrocchia luogo soprattutto di culto e di evangelizzazione vedere il sito di una sensibilizzazione ed elaborazione politica nello spirito evangelico. Cristianesimo e cristianità, intesa questa come cultura cristiana, debbono coabitare nella casa comune. Questo in un clima di rispettoso dialogo con le altre culture che vuole il cristiano sempre attento all’ascolto. I Serrani non sono certo estranei a questi compiti. Comunione di Presbiteri e di Laici nell’intento di promuovere, difendere i valori antropologici dell’uomo creatura cara a Dio e alla Chiesa. Comunione di Presbiteri e Laici nel far germogliare e crescere le vocazioni sacerdotali! L’inaridimento religioso, indotto dal secolarismo dominante nel nostro contesto sociale ha bisogno della luce del Vangelo. In questo compito non possono mancare tutti i cristiani, tutti i Serrani. Anno 2008

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La parabola della mercede Laici e Serrani prendere il largo

Questa nota ci è stata ispirata da due fonti: La parabola della mercede agli operai (Mt 1.16); La Christifidelis laici, esortazione apostolica di Giovanni Paolo II sulla “vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo”. La prima recita: il regno dei cieli simile ad un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. (Mt 20,1-2). Poi uscì verso le nove, vide altri che stavano nella piazza a far nulla disse loro: Andate anche voi nella mia vigna e vi pagherò ciò che è giusto. (Mt 20,3-4). Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre del pomeriggio e fece altrettanto. (Mt 20,5). Un’ora prima della fine della giornata uscì un’altra volta e trovò altri impalati nella piazza e disse loro: Perché siete stati qui tutta la giornata in ozio. (Mt 20, 6) Gli risposero: perché nessuno ci ha assoldati. Disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. (Mt. 20,7) Quando fu sera il padrone della vigna disse al suo fattore: chiama gli operai e da loro la paga incominciando dagli ultimi fino ai primi (Mt 20-8). Venne distribuita la mercede uguale per tutti, senza tener conto di quanti avevano lavorato tutta la giornata. Alla comprensibile ribellione di questi fu risposto loro: “Così gli ultimi potranno passare a primi e i primi ultimi” (Mt 20, 16). Le immagini: Dio, il regno dei cieli, il padrone, la vigna, gli operai. Gli operai tutti: il popolo di Dio. Impressiona quel particolare padrone la cui tenacia non è mai paga di reclutare gli operai che profondamente ama e pensa alla loro salvazione. Immenso è l’amore di Dio! Chi può rimanere nell’ozio dopo tali pressanti inviti e non precipitarsi nella vigna a lavorare per il Regno di Dio? Tutti, Laici e Serrani, questi con peculiarità di lavoro! Gli uni e gli altri impegnati a faticare nella vigna ad ogni latitudine.

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I laici chi sono? Nella esortazione apostolica di Giovanni Paolo II Christifidelis laici è scritta una esauriente e articolata risposta su chi sono i laici e i compiti che debbono svolgere nella Chiesa e ad essa rimandiamo. Già prima è indicata la loro posizione di avanguardia: “I fedeli e più precisamente i laici, si trovano nella linea più avanzata della vita della Chiesa; per loro la Chiesa è il principio vitale della società umana. Perciò essi, specialmente essi, debbono avere una sempre più chiara consapevolezza, non soltanto di appartenere alla Chiesa, ma di essere chiesa, vale a dire la comunità dei fedeli sulla terra sotto la condotta del Capo comune, il Papa, e dei Vescovi in comunione con lui. Essi sono la chiesa”… ( Dai discorsi ai nuovi cardinali 20 febbraio 1946. (Pio XII) “I laici, che la loro vocazione specifica pone in mezzo al mondo e alla guida dei più svariati compiti temporali, devono esercitare con ciò stesso una forma singolare di evangelizzazione. Il loro compito primario e immediato non è l’istituzione e lo sviluppo della comunità ecclesiale che è il ruolo specifico dei Pastori ma è la messa in atto di tutte le possibilità cristiane ed evangeliche nascoste, ma già presenti e e operanti nella realtà del mondo. Il campo proprio della loro attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell’economia così pure della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale degli strumenti della comunicazione sociale; ed anche delle altre realtà particolarmente aperte all’evangelizzazione, quali l’amore, la famiglia, l’educazione dei bambini e degli adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza”... Evangeli Nuntiandi (Paolo VI). E da Lumen Gentium Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Concilio Vaticano II: “I laici vivono uno stato peculiare qualificante detto di “indole secolare” che è così specificato: l’indole secolare del fedele laico non è quindi da definirsi soltanto in senso sociologico, ma sopratutto in senso teologico….perché essi partecipino all’opera della creazione liberino la creazione dall’influsso del peccato e santifichino se stessi nel matrimonio o nella vita celibe, nella famiglia, nella professione e nelle varie attività sociali”. Tutto ciò vuol dire servire l’uomo prima e fondamentale via della Chiesa. Alla missione profetica dei laici non possono mancare i Serrani laici con peculiari impegni rivolti ai Sacerdoti continuatori dell’opera di incarnazione che si consuma attraverso il rinnovamento della redenzione mediata dalla consacrazione di un pezzo di pane. La vigna è enormemente grande, pochi sono gli operai, il terreno è difficile da coltivare. Amici Serrani penetriamo ogni giorno di più nella società, perché è lì che dobbiamo consumare la nostra “indole” il comandamento affidatoci da Dio e dalla Chiesa. Pubblicato nel “il serrano” n. 108, 2007

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Il Relativismo

Il Relativismo, che ha avuto il suo primo pensatore in Protagora (V secolo a. C) è una concezione sbagliata e unilaterale della relazione quando questa viene incentrata sull’iniziativa e sull’arbitrio del soggetto. Giovanni Paolo II ci insegna che trattasi di un’insidia fiorente nei nostri tempi quando “ci si accontenta di verità parziali e provvisorie”. Il relativismo conoscitivo e morale, non può non trovare nella Chiesa una ferma condanna perché l’uomo è alla ricerca della verità, nel suo valore assoluto. Se così è, si può capire perché il relativismo vuol dire lesione della dignità dell’uomo in quanto gli contesta il suo pieno diritto di cercare di conoscere la verità. La Chiesa non può accettare la limitazione della sua conoscenza perché é proprio della persona cercarla. “La V maiuscola della Verità non può scriversi al minuscolo, perché così si rifiuta quel desiderio della verità senza il quale non si è uomini... “l’uomo colui che cerca la Verità… una volta che si è tolta la verità all’uomo, è pura illusione pretendere di renderlo libero… verità e libertà o si coniugano insieme o insieme miseramente periscono”. (K. Wojtyla). “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero. La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde, gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al liberismo, dal collettivismo all’individualismo radicale; dell’ateismo a un vago misticismo religioso, dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Avere una fede chiara, secondo il credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi moderni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”… Noi invece abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. È la figura del vero umanesimo” (Ratzinger, pro eligendo Pontefice). È scritto in Fides et Ratio: “La filosofia moderna dimenticando di orientare la sua indagine sull’essere, ha concentrato la propria ricerca sulla conoscenza umana. Invece di fare leva sulla capacità che l’uomo ha di conoscere la verità, ha preferito sottolinearne i limiti e i condizionamenti. Ne sono derivate varie forme di agnosticismo e di relativismo, che hanno portato la ricerca filosofica a smarrirsi nelle sabbie mobili di un generale scetticismo. Di

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recente, poi, hanno assunto rilievo diverse dottrine che tendono a svalutare perfino quelle verità che l’uomo era certo di avere raggiunto. La legittima pluralità di posizioni ha ceduto il posto a un indifferenziato pluralismo, fondato sull’assunto che tutte le posizioni si equivalgono: è questo uno dei sintomi più diffusi della sfiducia nella verità che è dato verificare nel contesto contemporaneo”. Raion Panikkar, edulcora questo concetto e ritiene il “pluralismo, un’ennesima forma di relativismo agnostico mostrando che è possibile parlare di verità anche senza ridurre tutta la realtà a un unico punto di vista”. Certo il filosofare, arte sublime del ragionare, ha potenzialità infinite di procurarci dottrina, ma anche di intorbidirci le idee possedute . I tanti… Ismi, vecchi e nuovi, proiezioni anche delle nefaste ideologie del secolo passato, rovinose per la civiltà, ci suggeriscono che bisogna capire di più, sapere di più, per renderci più responsabili e consapevoli della nostra identità di cristiani e di Serrani.

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7. Scienza e fede Le stigmate tra scienza e fede

In tema di Stigmate e non solo, due ferrati contendenti Ragione e Fede si scontrano, a tratti sembrano intendersi; in verità non trovano la giusta via per una solida duratura pacificazione. Entrambe sono portatori di verità costituendo un binomio che da sempre tormentano il pensiero degli uomini. Perché questa mancata intesa? Se lo sono chiesti in tanti, uomini di fede, scienziati. Appassionati dell’argomento, ci siamo voluti affacciare al tema, porgervelo pur con le sue lacune dettate dalle nostre, e dai limiti che la Ragione ha nel conoscere pienamente la Verità. La parola stigmata la riserveremo all’ambito mistico ritenendo la sua origine, di verosimile natura sovrannaturale, presente in soggetti canonizzati, senza che essa costituisse motivazione principale per gli onori degli altari, come ci suggerisce la prudenza della Chiesa. In diverso ordine, questi particolari segni impressi nel corpo di talune persone, le diremo pseudo stigmate. Tra queste annoveriamo quelle ferite che si provocano persone, autonomamente, in buona fede, quale volontà di co-sofferenza con Cristo. Cristina da Spoleto deceduta nel 1458 si bucava i piedi in memoria della Passione del Salvatore. Le citazioni sarebbero moltissime. Stigmata, nel significato generico, vuol dire marchio. Nell’antichità ne furono portatori schiavi, soldati, malfattori, appartenenti a tribù e clan. Agli albori del cristianesimo i neofiti si segnarono con figure zoomorfiche, agnello, pesce, ma anche con croce, a indicare l’appartenenza a Cristo. Per i cristiani, nella Chiesa latina, i segni che si indicano come stigmate hanno un riferimento cristologico. Il primo ed autorevole cenno di stigmata lo troviamo in Paolo di Tarso che nella lettera ai Galati scrisse: “Io porto già le stigmate di Gesù nel mio corpo, sono stato crocifisso con Cristo e non

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sono più io che vivo ma Cristo vive in me”. Su queste parole, numerosi sono stati gli studi critici. Chi ritiene che nel corpo di Paolo vi fossero segni riferibili a vere e proprie stigmate. Altri che indicherebbero le sofferenze vissute nella sua infaticabile opera di evangelizzazione. Le stigmate, riferite ai mistici cristiani hanno sollevato problematiche infinite: Insorgenza, ubicazione, durata, divenire, sfuggono a ogni esauriente interpretazione dottrinaria. Per teologi e scienziati un terreno di feroci ed interminabili discussioni. Dal secolo XIII al XIX sarebbero 400 circa i casi documentati (documentati non significa riconosciuti di origine sovrannaturale). I portatori appartengono in genere a Ordini religiosi; molti canonizzati sono soggetti di forte spiritualità. Ci si chiede: Perché certe localizzazioni? Perché queste ferite non tendono a guarigione? Perché non si infettano? Perché non emanano odore sgradevole come le comuni ferite cronicizzatesi? Perché, si dice, possono emanare profumi? Perché nel durare decenni non minano la salute di chi le porta? Perché possono scomparire e ricomparire? Perché il loro sanguinamento, spesso profuso, non è solito significativamente alterare la crasi ematica? Perché guariscono senza segni cicatriziali, evento impossibile a spiegarsi secondo i canoni della medicina? Perché possono scomparire prima della morte? o dopo la morte? Chi governa questi interrogativi che la mente umana non riesce a darsi una ragione? Dopo l’espressione paolina il termine di stigmata appare all’inizio del secolo XIII quando frate Elia da Cortona rivolgendosi ai frati dell’Ordine francescano in una lettera sulla morte di Francesco (Ottobre 1224) scriveva: “Ed ora vi annuncio una grande gioia, uno straordinario miracolo. Non si è mai udito al mondo un portento simile, fuorché nel figlio di Dio che è il Signore Crocifisso. Qualche tempo prima di morire il fratello e Padre nostro apparve crocifisso, portando nel suo corpo le cinque piaghe, che sono veramente le stimmate di Cristo”. San Francesco si ritiene essere stato il primo stigmatizzato. Lo studio delle manifestazioni stigmatiche, più o meno rigoroso, ha avuto inizio verso la fine del secolo XIX. Sull’apparire di queste ferite la scienza medica ha molto speculato, un posto preminente spetta alle indagini che si sono incentrate sul contributo del sistema nervoso. Le teorie psichiatriche, psicogenetiche e ancora più recentemente quelle di psico-neuro-immunologia hanno avuto molto credito. 146


Addentrarsi nella fisiologia e patologia del sistema nervoso è arduo per tutti. Ne vorrei rimanere molto lontano, significherebbe però negare il giusto spazio alla Ragione e non presentarvi quel dialogo tra Fede e Ragione che è il nostro tema. Non è poi giusta convinzione che l’una e l’altra debbano convivere per la ricerca della verità vera? Questo è il pensiero della Chiesa cattolica che ai due dedica tanta dottrina. È sufficiente ricordare l’enciclica di Giovanni Paolo II Fides et Ratio. Gli studi del sistema nervoso hanno fatto passi giganteschi, strutture e funzioni tutte però sono ancora da scoprire. È nella psichiatria e scienze affini che dobbiamo attingere notizie per la trattazione del nostro tema. E iniziamo il faticoso cammino. Isteria e stigmate Non mi attardo sul significato di isteria, nei suoi sintomi principali noti a tutti. Si esprimono con agitazione, tic, espressioni muscolari del viso, degli arti, ammiccamenti. Lo stigmatizzato è un isterico? Al noto studioso francese Charcot, capostipite della scuola psichiatrica della Salpetriére il nostro primo riferimento. Della complessa sindrome isterica che nel tempo ha subito variazioni patogenetiche (malattia? disturbo funzionale?) nonché sintomatologiche, sarebbero portatori, mistici e non. Pier Janet (1859-1947), psicologo di quella scuola, sostenne l’isteria essere disturbo della coscienza. Egli si interessò della fenomenologia psico-fisica del mistico e ritenne le stigmate espressione del seguente processo mentale: Restringimento del campo della coscienza su di un contenuto mentale- Idea fissa - (la passione di Cristo nel mistico); una tensione psichica così forte da riuscire a stampare nel proprio corpo i segni di quell’idea fissa. (Ideoplastia), termine pare coniato nel 1860 da Durand du Groy. Questa determinerebbe un’attivazione di complessi processi fisiologici, biologici, organici che possono produrre ferite. Nel caso dei mistici le ferite tipiche della Passione, in quelle zone del corpo che rispecchiano la topografia della crocifissione come è da tempo rappresentata. Peraltro è da dire: la crocifissione attinente gli arti superiori non avveniva conficcando i chiodi al palmo delle mani ma in una parte finale del radio e dell’ulna detto spazio di Destot. Questa zona 147


solamente poteva garantire la tenuta del corpo del crocifisso e non il palmo della mano. Una conferma di ciò verrebbe anche dalla figura dell’uomo crocifisso che mostra la Sindone. In essa il pollice non è visibile, perché flesso, a causa del danno del nervo che scorre in quello spazio dove è stato conficcato il chiodo. Che l’idea fissa possa tradursi in un danno organico, racchiude mille problemi che vogliono come attori, fattori psicologici stressanti di un certo tipo e di una certa intensità, in soggetti particolari, determinanti in ultima analisi disturbi nutrizionali zonali e morte dei tessuti. Nel complesso evento della conversione psicosomatica (idea fissa-lesioni tessutali), svolge ruolo determinante la personalità del soggetto, che può essere isterico. Per la psicosomatica moderna peraltro, il trasferimento dal cervello al corpo, di un conflitto del pensiero può essere espressione fisiologica di un particolare condizionamento, anche in soggetto normale. Se negli studi sperimentali possono correre, senza intralcio alcuno, nell’ambito della mistica, risultati sperimentali, debbono segnare il passo. Lo scientismo spiccato, forse aberrante segno della Ragione, non è in grado contrariamente a quanto si possa ritenere, di sostituirsi al sovrannaturale. Molte stigmatizzazioni hanno luogo durante quello stato particolare che viene detto estasi. Le stigmate, come capacità naturale di una somatizzazione latente attivata in particolari condizioni emozionali, indotte da stati di coscienza particolari, come l’estasi? Tanti dei nostri Santi hanno vissuto questo particolare momento. Stigmate e pseudo stigmate, entrambe espressione ideoplastica che agirebbe sul corpo, senza interventi esterni? Siamo di fronte ad interrogativi maceranti. Un fenomeno assimilabile in qualche modo a queste lesioni sono talune espressioni dermografiche. Una parola, un segno, possono apparire nel corpo in condizioni di suggestione ipnotica in soggetti particolari. Nei soggetti che noi cattolici riteniamo veri stigmatizzati, per cause esterne (sovrannaturali?), questo fenomeno può precedere la conclamata stigmatizzazione. Molti gli esempi in stimmatizzati canonizzati, tra i quali S. Pio da Pietrelcina. Secondo alcuni studiosi (tra gli altri Lebeault), in persone in trance ipnotica, toccati con un ferro freddo, avvertiti dall’operatore di adoperare un ferro caldo, possono apparire vescichette come da ustione. Capacità dunque della trance ipnotica di procurare ferite? Altro fenomeno: in soggetti in preda ad idea fissa-ideoplastica si può registrare ematidrosi, ovverosia una sudorazione di sangue? Questo evento si sarebbe verificato anche in Cloretta Robertson, una giovane negra, di religione non cattolica, portatrice di stigmate fino dall’età di nove anni. Ma vi è anche un esempio evangelico. 148


Nell’orto di Getsemani, poco prima della crocifissione GESÙ sudò profusamente sangue... “In preda all’angoscia, pregava più intensamente; il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra” ( Lc.22-43.) Esempio indiscusso del potere che il sistema nervoso ha nel “segnare” il corpo. È da precisare il caso di Madelein una signorina di 37 anni studiata da Pierre Janet di cui parla lo studioso nel suo volume “Dell’angoisse a l’extase”. Il caso è stato studiato per alcuni anni. Scrive Janet: “Dopo qualche mese di soggiorno nella clinica della Salpetrière, essa venne a mostrarmi una piccola lesione che si era sviluppata spontaneamente, a suo dire, sul dorso del suo piede destro e che sembrava persistere… diceva che dopo uno di questi sonni profondi con sentimento di felicità, essa aveva sentito forti dolori al piede, dopo notato sul dorso una piccola ampolla bianca (vescicola) che scoppiando qualche ora dopo, aveva provocato la piccola ulcerazione. Qualche giorno dopo lo stesso fenomeno apparve sull’altro piede… talvolta separati da lunghi periodi queste piccole bolle seguite da ulcerazione poco profonda apparvero sulla mano”. Queste stigmate, precisa l’Autore, sono apparse 17 volte in tre anni. Altro interrogativo. Stigmate e pseudo stigmate come espressione da stress? H. Seley, dimostrò come lo stress attraverso un’attivazione cortico-ipotalamico-ipofisaria-neurovegetativa con impegno di diversi organi e tessuti può provocare lesioni trofiche di questi. Questa patogenesi, non è agevolmente trasferibile in ambito mistico, perché le ferite non sono per nulla paragonabili a quelle del soggetto mistico, per la loro localizzazione soprattutto. La tesi di Seley è confortata dal fatto che uno stress può provocare ulcere dello stomaco. L’analogia di queste, in qualche modo rapportata alle lesioni riferite alle stimmate, non regge. Nel mare magnum della patogenesi delle stimmate e della pseudo stigmate, (ferite nei non mistici, per il nostro dire) il pensiero della World Healt Organisation International (1978) e della Psychiatric Association (1991), è: “Il disturbo psicogeno si esprime in termini sensitivo-motori e non comporta perciò alterazioni anatomiche dei tessuti”. Questa affermazione metterebbe KO gli studi sperimentali appena detti. Come si evince nell’ambito scientifico vi sono opinioni anche contrapposte. Un breve approfondimento nella nostra esposizione merita il tema ipnosi, stigmate, pseudo stigmate. L’ipnosi, secondo Janet, nella personalità isterica, può procurare automatismi e anche stigmate, in soggetti suggestionabili facilmente ma anche in individui normali, come abbiamo detto. L’ipnosi può essere eteroindotta o autoindotta a seguito di un forte monoideismo ideopla149


stico. Granone (1989) noto studioso di ipnosi moderna scrive: “un soggetto può cadere in trance per una crisi mistica, ma se compaiono le stimmate vuol dire che sono insorte immagini imperanti, occupanti la totalità della coscienza, si da creare fenomeni ideoplastici, creativi a livello fisiologico, organico e quindi auto ipnotici vi è una maggiore o minore permeabilità della ideoplasia verso determinate strutture organiche, sensoriali e psichiche, nonché viscerali per fattori costituzionali congeniti o acquisiti. Gli stati di estasi hanno punti di contatto con gli stati di trance ipnotica. Vi sarebbe dunque un accostamento fra trance ipnotica ed estasi, la prima da riferire genericamente ai soggetti isterici, la seconda verosimilmente ai soggetti mistici”. Ancora Granone: “Riteniamo che ognuno possa prodursi la sua autoipnosi positiva o negativa, facilitante una guarigione, o una malattia e che in ultima analisi sia LA FEDE con la sua forza ideoplastica a produrre il miracolo”. Quanto c’entra la Fede? Quanto la Ragione? E ancora Granone, non a caso, “poco prima di morire, quando si affievoliscono le forze vitali e con esse la potenzialità ideoplastica le stigmate scompaiono”. Su questo fenomeno ritorneremo tratteggiando il caso S. Pio. Nel pensiero di Granone si possono riscontrare riferimenti alle autoguarigioni, ai tracolli di una malattia, ma anche a guarigioni inspiegabili. A. Siani è convinto che un processo ideoplastico può essere motivo di guarigione. Vi sono tentativi scientifici che intenderebbero assimilare l’ipnosi all’estasi. Tentiamo qualche cenno differenziale che potrebbe darci forse criteri di distinzione tra stigmate e pseudostigmate, come offertici da Marianeschi. L’ipnosi è uno stato di coscienza creato artificialmente da un soggetto attivo e influenza un soggetto passivo suggestionabile (ipnosi etero indotta). L’estasi è uno stato spontaneo invincibile e indipendente da ogni tecnica suggestiva. In ipnosi profonda il soggetto è incosciente; al risveglio presenta amnesia e confusione mentale. In estasi il soggetto è cosciente anche se insensibile; cessata l’estasi ricorda l’esperienza ed è lucido. In ipnosi c’è dipendenza totale dall’ipnotizzatore ed è documentabile con una suggestionabilità di base. L’estatico ha una personalità non psicopatologica.(sempre?). In ipnosi sono frequenti sdoppiamenti di personalità. In estasi il soggetto mantiene il sentimento della continuità del proprio io. In ipnosi vi sono espressioni di verbosità ed elucubrazioni di tipo molto grossolano. In estasi sono possibili comunicazioni verbali, ma sono di alto valore intellettuale, morale, estetico, di fede. In ipnosi c’è restringimento del campo della coscienza. 150


In estasi la coscienza è ampliata, sa di profondo amore verso Dio e verso il prossimo. “La trance estatica è del tutto diversa da quella ipnotica” (Magnelli). Sul concetto di estasi scrive Plotino (203. d. C) filosofo, massimo esponente del neoplatonismo: “L’anima umana prigioniera del corpo si riscatta e torna a Dio attraverso un processo ascendente che muove dalla purificazione morale e culmina nell’estasi, vera e propria identificazione con l’Uno, nella quale ogni diversità e ogni distanza sono annullate”. Stupendo pensiero di un filosofo che oserei definire di cultura cristiana. Alcuni pareri, ci piace riferire, sulla genesi delle particolari ferite di cui diciamo. Serviranno, credo, a tormentarci ulteriormente. Benedetto XIV (1740-1758), tra i Papi più colti della storia del papato, nella sua opera (De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione) sostiene che alcuni fenomeni oggetto della nostra trattazione nei mistici possono avere una genesi naturale. Non tutto allora è opera della Grazia? Ugo Teodori, clinico fiorentino, cattolico, tra i più illustri cultori del sistema endocrinoneurovegetativo dei nostri tempi nel 1983 scrisse: “È noto che un’intensa emozione può determinare, tramite il sistema nervoso neurovegetativo, alterazioni del trofismo tessutale, comunque le stigmate non si sarebbero formate in S. Francesco se questi non le avesse volute”. (da un intervento commemorativo francescano in Assisi). E. Oietti: “Le stigmate sono lesioni da stress… l’intervento di Dio nella stigmatizzazione si limita a localizzare in determinati punti… un fenomeno che di per sé è fisiologico”. Carlo Sirtori (1994): “non c’è motivo di non credere alle stigmate. Una frustrazione, una pena sofferta possono determinare una piaga allo stomaco, una ulcera. Allo stesso modo possono determinare piaghe alle mani e ai piedi”. C’è da eccepire all’illustre scienziato che in sede sperimentale lo stress sì, può provocare ulcerazioni allo stomaco, ma non meno di 72 ore dall’evento stressante (Luces C 1997). Nel mistico le stigmate hanno origine immediata, anche se possono evolvere. Per contro Beaunis nei primi anni del 900 scrive: “la congestione cutanea rappresenta il massimo effetto che mi sia stato possibile far scaturire dalle forze della suggestione”. Paolo Arrigo Orlandi (I fenomeni fisici del misticismo - Gribaud 1996) scrive: “Le scienze psicologiche sono settoriali... le tecniche di indagine non possono giungere a conclusioni esaustive… impossibilità di ridurre l’esperienza mistica a oggetto delle scienze psicologiche… il fatto mistico sfugge alle classificazioni delle scienze umane”. E il gesuita Siwek: “l’isteria sembra essere una condizione necessaria per l’apparizione delle stimmate”. Ribadiamo il concetto: I mistici sono isterici? Di quale isterismo parliamo? Jean Guitton, illustre pensatore cattolico scrive: “I grandi mistici hanno avuto dei fenomeni 151


straordinari che la medicina, la psicologia, la psicoanalisi moderna, considerano come turbe isteriche. Ma la peculiarità del mistico è quella di trasformare la propria isteria in un mezzo di contatto con Dio. La maggior parte dei mistici ha rivelato grandi disturbi della personalità come appunto, Santa Teresa d’Avila … tutte le modalità dello stato mistico, in generale rientrano tra le malattie nervose”. Sono da interpretare le parole di Guitton. Ed io ci provo: per arte deve intendersi, nella persona eletta, il personale contributo, per grazia ricevuta da Dio, che permette di realizzare lo status che lo avvicina a Lui, fino a confondervisi? L’uomo con la sua corporeità è più somigliante a Cristo, che gli Angeli. E di arte, cioè di contributo personale, ancora si parla da insospettabili, anche da Santi. “Il grande mistico è colui che ha l’arte e la grazia ricevuta da Dio di sublimare tutto. Dio non concede nessuna grazia al corpo senza farla prima all’anima” (S. Giovanni della Croce, Fiamma viva d’amore. 1542-1591.) Siamo al punto di incontro tra teologia e psicofisiologia? E Gorres, filosofo (1800) precisa: “Se l’anima a seguito della compassione che ella esperimenta alla vista della sofferenza del Salvatore, ne riceve l’impronta, l’atto che l’assimila all’oggetto dei suoi desideri, si riflette egualmente al di fuori e il corpo prende parte a questa assimilazione, ed è così che causa le stigmate, ma solo per virtù dell’anima”. Tra mistici e non mistici, portatori di stigmate o di pseudo stigmate, chi fa la differenza è la personalità. Nel mistico, tutto è ardore verso Dio ed il prossimo fino alla convinzione di dover svolgere un ruolo di grande sofferenza per tutti gli uomini (coredenzione) fino ad annullare il proprio io. Ci piace riportare il pensiero di Tanquerey sull’identità mistica delle stigmate….”Sono piaghe che sanguinano, non guariscono, non si infettano, hanno carattere di eccezionalità biologica, comparsa e scomparsa; possono guarire senza cicatrici anche postmortem, sono accompagnate da sofferenza fisica e morale, si registrano in persone che praticano le più eroiche virtù e soprattutto amano Cristo. In tutti vi è un’assimilazione dell’anima al corpo di Cristo… è questa assimilazione che conferisce identità al mistico”. Alfine di apprezzare la differenza di quello che può essere il prodotto di un’estasi a fronte di una trance non mistica, della personalità del mistico e non, solo qualche esempio. La parola è ora ai nostri Santi. Ne citiamo alcuni. Da loro certamente verrà qualche chiarimento, dal loro modo di vivere quel particolare momento che diciamo di estasi. CATERINA DA SIENA (1347-1380) “Ho visto il Signore crocifisso che scendeva verso di me in una grande luce. Lo slancio della mia anima che voleva correre incontro al suo Creatore ha fatto sollevare il mio corpo. Allora ho visto scendere verso di me i segni delle sue santissime ferite, cinque raggi di 152


sangue diretti verso le mie mani, i miei piedi e il mio cuore, subito ho gridato: Signore che questi segni non siano visibili sul mio corpo”. VERONICA GIULIANI (1660-1727) Stigmatizzata per circa mezzo secolo e fin dall’età di 17 anni. Un diario scritto sotto obbedienza, circa 22.000 pagine! Il ricordo della sua crocifissione: “Quando io vidi quei segni esteriori, di molto piansi di cuore pregai il Signore che volesse nasconderli alla vista di tutte. Gesù io voglio amore per me e per tutti”. GEMMA GALGANI. Dal suo diario: Dalla descrizione della sua estasi del 1902: “Alle volte Gesù mi spaventa la tua severità, ma mi consola la tua piacevolezza… Quei dolori, quelle pene anziché affliggermi, mi recano una pace perfetta.” TERESA d’Avila portò, come lei descrisse: “Stigmate impresse nel cuore “In verità dopo la morte sul suo cuore, in seguito ad autopsia furono riscontrate ben cinque ferite, come da Lei descritte, che sarebbero state letali, se la loro origine fosse stata da cause non soprannaturali. Numerosa è la schiera di mistici da poter citare. È tempo di dedicare un po’ della nostra conversazione al gigante tra i mistici del secolo XX, il più celebrato: S. PIO da PIETRELCINA. È appena trascorso il 40° anno dalla sua morte (1968-2008), che coincide con la riesumazione del suo corpo. In Lui vivono la più esaltante conflittualità Ragione e Fede e le espressioni della più alta spiritualità del mistico. Lunga e sofferta la sua strada verso la santità cosparsa di inaudite sofferenze e umiliazioni. La sua fedeltà a Dio e alla Chiesa, ai suoi voti francescani, gli hanno permesso di salire il calvario fino alla più alta vetta della perfezione dell’anima. Il suo iter di perfezione è il modello più esplicativo per potere affermare che la stigmatizzazione è opera sovrannaturale? La personalità, estremamente complessa nelle sue componenti fisiche, psichiche e spirituali ci inducono a ritenere che certi eventi straordinari nella vita di talune persone sono opera di Dio. Che la Ragione non basta, che la scienza non basta alla acquisizione della Verità. S. PIO e le sue stigmate tra l’altro ci portano a citare il fenomeno della transverbazione (stigmatizzazione sine materia) di cui il Santo fu oggetto. Nel frate da Pietrelcina la stigmatizzazione permanente non apparve tutta insieme: I segni 153


iniziali circa un anno dopo la sua ordinazione sacerdotale (1910) all’incirca 8 anni prima del 21 agosto 1918. Godiamoci un po’ del suo diario. Alle dolci parole del suo Padre spirituale: Piuccio carissimo… figliuolo mio dimmi tutto e chiaramente e non per cenni… Così scrisse. 21 Agosto 1918: “Mi induce a manifestare ciò che avvenne dal giorno 5 sera a tutto il 6 del corrente mese. Io non valgo a dirvi ciò che avvenne in questo periodo di superlativo martirio. Me ne stavo confessando i nostri ragazzi la sera del 5 quando tutto di un tratto fui riempito di un estremo terrore alla vista di un personaggio celeste che mi si presenta dinanzi all’occhio della intelligenza. Teneva in mano una specie di arnese simile a una lunghissima lama di ferro con una punta bene affilata che sembrava da essa uscisse fuoco. Vedere tutto questo ed osservare questo personaggio scagliare con tutta violenza il suddetto arnese nell’anima, fu tutto una cosa sola. A stento emisi un lamento, mi sentivo morire, dissi al ragazzo che si fosse ritirato perché mi sentivo male e mi sentivo più la forza di continuare… Questo martirio continuò, senza interruzione fino al mattino del giorno 7. Cosa io soffrii in questo periodo sì luttuoso io non so dirlo…. Non è questa una nuova punizione inflittami dalla giustizia divina? Giudicatelo voi quanta verità sia contenuta in questo e se io non ho tutte le ragioni di temere e di essere in un’estrema angoscia”. Questa la prima descrizione della stigmatizzazione! E poi tante confidenze, ne citiamo alcune. 17 ottobre “Quel misterioso personaggio che mi impiagò tutto e non desiste dalla dura, aspra, acuta e penetrante operazione e non da tempo al tempo che venga rimarginare le piaghe antiche, che già su di queste viene ad aprire delle nuove con infinito strazio della povera vittima”. 18 novembre “Oh fiat quanto sei dolce ed amaro insieme. Tu ferisci e sani, impiaghi e guarisci, dai morte e nello stesso tempo dai anche la vita. Oh dolci tormenti! Perché siete così insoffribili e tanto cari insieme! Perché mentre siete tanto dolorose ed imbalsamate nell’istesso tempo lo spirito e lo preparate ancora a sottoporsi a colpi di notevoli prove?”. 29 gennaio 1919 “Padre mio, mi sento affogato nel pelago immenso dell’amore del diletto. Io vado facendo una continua indigestione. È pure dolce l’amarezza di questo amore e soave il suo peso; ma ciò non toglie che l’anima nel sentirne l’immenso trasporto, non ha come fare per portarne l’immenso peso, e mi sento annullato e conquiso. Il piccolo cuore si sente impossibilitato a contenere l’amore immenso… nel riversarsi che egli fa nel piccolo vaso della mia esistenza si soffre il martirio di non poterlo contenere: le pareti interne di questo cuore si sentono presso a poco scoppiare e mi meraviglio come questo non sia accaduto ancora. 154


Mi sento morire mio Dio! E voi vedete spegnere questa debole esistenza che tutta si strugge per voi, e intanto ve ne rimanete indifferente. Non ho ragione dunque di chiamarvi tiranno, crudele? Voi mi avete reso impaziente, mi avete conquiso, voi mi avete bruciato tutte le mie interiora, voi avete introdotto nel mio interno un fiume di fuoco. Come posso farne a meno di non lamentarmi, se voi stesso mi provocate e mettete a cimento la mia fragilità”. E ancora al suo Padre spirituale: “Vorrei per un solo istante scoprirvi il petto per farvi vedere la piaga che il dolcissimo Gesù amorosamente vi ha aperto in questo mio cuore! Esso finalmente ha trovato un amante che si è talmente invaghito di Lui... che mi fa ardere tutto del suo fuoco d’amore, che cosa è questo fuoco che mi investe tutto? Oh Gesù potessi amarti, potessi patire quanto vorrei farti contento e riparare in un certo modo alle ingratitudini degli uomini verso di Te “. Scrive Moretti. “Così parlano i mistici con Dio quando l’amore li fa impazzire!” Il linguaggio del mistico con Dio è il linguaggio dell’amore, dell’amicizia, un linguaggio di purezza e di altissima spiritualità, di amore per Dio… Il linguaggio ad un certo punto esprime la purificazione dell’anima umana. Quasi un colloquio tra pari il Creatore e il creato, il Padre ed il figlio. E Marianeschi “Nessun mistico ha avuto come lui coscienza di essere chiamato a partecipare in modo singolarmente attivo alla redenzione del genere umano e forse nessuno come lui ha saputo esprimere in modo più chiaro il mistero della chiamata cristiana a corredimere e lo spirito di ubbidienza che essa presuppone e in cui essa nasce”. Vi ho dato solo un brevissimo saggio di un linguaggio non comune, di una persona eletta, di un Santo. Non è certo questo il parlare di un psicopatico, di un isterico, di un ammalato di mente, di un mistificatore. La Ragione non basta a capire i missionari di Dio. Per una più agevole comprensione della personalità dello stimmatizzato, vorrei aggiungere qualche dato sulle Stimmate di Padre Pio. Descritte da molti Autori trattati in molte pubblicazioni mi soffermerò unicamente su talune peculiarità volte a distinguere questi segni con quelli che sperimentalmente la scienza può produrre. Le prime visite mediche sono state effettuate dal Dr. Luigi Romanelli. Referto del 1919: “Le lesioni che il Padre presenta sono ricoperte alle mani da una membrana rosso bruna, senza alcun punto sanguinante, niente edema e niente reazione infiammatoria nei tessuti circostanti. Ho la convinzione, anzi la certezza che quelle ferite non sono superficiali perché applicando il pollice nella palma della mano e l’indice sul dorso e facen155


do pressione, si ha la percezione esatta del vuoto esistente. Le lesioni ai piedi presentano caratteri identici a quelle delle mani. Al costato ho osservato un taglio netto, parallelo alle costole, lungo 7-8 centimetri… la ferita è molto sanguinante e il sangue è di tipo arterioso. Le lesioni del settembre 1918 a oggi conservano lo tesso aspetto”. Il Prof. Amico Bignami, Patologo medico di Roma, ateo, visitò Padre Pio nel luglio del ‘19. Diagnosticò le stigmate manifestazioni di uno stato morboso in parte artificiale. Padre Gemelli non visitò Padre Pio, ebbe con Lui un burrascoso incontro. Il rettore dell’Università cattolica di Milano, un luminare medico, definì il frate autolesionista. Dopo quella visita pare fosse iniziata la persecuzione della burocrazia vaticana. Il Prof. Francesco Lotti la mattina del 22 settembre del 1968, a meno di 24 ore dalla morte notò la scomparsa delle stigmate della mano destra. Scrive: Almeno alla mano sinistra ….la piaga era visibile ed ho potuto documentarlo con fotogramma di un film di 8mm. dico almeno perché era quella che io potevo riprendere dalla posizione in cui mi trovavo. E ancora il Lotti: “E quante volte ancora aiutandolo a riordinare la stanza rinvenni croste di sangue di tutte le dimensioni. Non era difficile per me vedere le pezzuole intrise di sangue che teneva sopra le ferite del costato. Però, per non essere visto, quando cambiava le pezzuole mi lasciava fuori dalla porta. Aspetta un momento”. Queste spesso le parole del frate. Al Lotti, amico del frate, studente all’Accademia di Modena Padre Pio aveva detto: “Figlio mio, questa non è la tua strada vedi là, indicandogli la montagna, là deve venire un grande ospedale e tu lavorerai lì”. E così fu. Oltre a quelle che possiamo definire caratteristiche, peculiarità, delle stigmate dei mistici di cui abbiamo avanti accennato, prospettando per esse una ragionevole identità, nel frate da Pietrelcina, le stimmate scomparvero alla conclusione della sua vita terrena. Il Prof. Giuseppe Sala, medico curante di Padre Pio, che assistette nell’agonia con alcuni confratelli, testimoniò con queste parole che le stimmate non erano più visibili sul cadavere. “Le mani, i piedi, il torace e ogni altra parte del corpo non mostravano rilievi di ferite, né cicatrici erano presenti là dove in vita avevano avute piaghe ben delimitate e visibili”. Le stigmate dunque erano scomparse senza lasciare segni cicatriziali. La scienza non spiega questo fenomeno. Le ferite transfosse, comunque profonde, di così elevata lesività se guariscono non possono non lasciare segni cicatriziali in tutta evidenza. E allora? La fede ci viene in soccorso. Padre Gerardo di Flumeri, vice postulatore della causa di canonizzazione suggerisce delle ipotesi. Ipotesi credenziale, formulata da Padre Fernando da Riese Pio X: “Le stimmate visibili Dio le aveva date a Padre Pio quale richiamo di attrazione e quale credenziale della missione grandissima che avrebbe dovuto compiere. Compiuta la missione Dio toglie i segni visibili che nei suoi inscrutabili disegni di misericordia avevano arrossato di sangue mani, 156


piedi, petto, del cappuccino pietrelcinese”. È altresì da riferire che Padre Pio nell’ottobre del 1919 scriveva al suo Padre spirituale: “Mi farà questa grazia Gesù … affinché per sua misericordia ritiri da me non lo strazio… ma questi segni esterni che mi sono di confusione e di un’umiliazione indescrivibile ed insostenibile”. Quanta umiltà! Quanto pudore! Dio ha ascoltato Padre Pio? Come non avrebbe potuto! Come non ritenere la soprannaturalità di quelle ferite se due rappresentanti di Cristo in terra così si erano espressi avallandole con sentimenti di autentica Fede corroborata dalla Ragione? Sentite! Papa Pio XII: “Io rappresento Cristo, Padre Pio lo vive Cristo”. Paolo VI: “Padre Pio rappresentante stampato delle stigmate di nostro Signore”. Queste stigmate, non sono opera umana; sono espressioni della Grazia? Altri fenomeni registrati in Padre Pio: Bilocazione, profumo emanato dal suo corpo, ed altro, sono fenomeni che un domani la scienza saprà spiegare? Che dire, nell’ambito della straordinarietà di certi fenomeni che appaiono in tanti innamorati di Dio come il vivere con una nutrizione assolutamente inadeguata all’esistenza? È il caso della stimmatizzata Marta Robin che sopravisse decenni con le ostie della comunione mattutina e un po’ d’acqua? Ma la Ragione non molla. E c’è chi si pone in ambito scientifico o forse è meglio dire scientista l’interrogativo che appare irrazionale conoscendo il nostro corpo: Vi sono energie alternative che consentono la vita, anomale espressioni della stessa in certe persone, al di fuori di quelle note? E a proposito della scomparsa delle stimmate La Ragione insinua: quando la potenzialità ideoplastica si affievolisce o scompare, come in caso di morte imminente, le stigmate possono scomparire (Granone). È tosta la Ragione, il suo travaglio non si arrende e continua a rigettare il concorso della FEDE, nella ricerca della Verità. Ci dice Giovanni Paolo II: “Non può prevalere il filosofare frutto di un umanesimo ateo che prospetta la fede come dannosa, alienante per lo sviluppo della piena razionalità….ovunque l’uomo scopre la presenza di un richiamo all’assoluto, lì gli si apre la dimensione metafisica del reale: nella verità, nella bellezza, nei valori morali, nella persona altrui, nell’essere se stesso in Dio”. Nel Metarealismo corrente di pensiero che tende a coniugare le frontiere tra Spirito e 157


Materia, ci suggerisce Guitton c’è il legame che stringe l’Uomo a DIO”. Scrive ancora il cattolicissimo pensatore francese: “Già nel cuore del medioevo S. Tommaso ebbe l’intuizione del metarealismo, della ricerca della Sostanza, di DIO, nelle pieghe della scienza, che nella ricerca di Dio attraverso la Fede, esalta la Ragione che a LUI conduce”. Lo stigmatizzato, mistico, innamorato di Dio, votato alla sofferenza redentrice come Gesù dopo la Rivelazione è espressione di teofania che ci dona un saggio del soprannaturale. “Credere non è sapere, non è comprendere, è aderire senza conoscere” (J. M.Guitton) Navigheremmo in un tunnel infinito se non accettassimo lo sposalizio tra Ragione e Fede. La luce è lì a portata di mano, ci attende, ci pone una condizione: La Ragione non basta. Occorre chiedere aiuto alla Fede, con l’una e l’altra i misteri si squarciano e la via all’acquisizione della Verità è agevolmente percorribile verso il Trascendente. Riflettiamo sulla Fides et Ratio (Giovanni Paolo II). È lì la chiave di comprensione della fine di un litigio? Ricordiamo le parole del grande Pontefice: “La fede e la ragione sono come due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità”. Se una di queste ali è malata, il tutto si ammala, si genera un vuoto che non porta alla VERITÀ. Il significato delle stigmate, se sono dono di Dio, ci piace ripeterlo, deve essere inquadrato sopratutto nella personalità di chi le porta per poter in qualche modo rendersi conto del loro significato e della loro possibile origine. Il pensiero della Chiesa a proposito della canonizzazione: “Nessun canonizzato è stato innalzato agli onori degli altari perché portatore di stigmate. La Chiesa “ha permesso che menzione delle stimmate fosse fatta nell’officio di diversi santi e beati e ha concesso anche messa e officio in onore delle stigmate di S. Francesco e di quelle di Santa Caterina, ma questo non comporta l’affermazione positiva della soprannaturalità delle stesse… “Per quel che riguarda S. PIO da Pietrelcina, il processo di canonizzazione ha appurato che non v’era alcun inganno nel fenomeno e niente più”. (Card. José Saraiva Martins Presidente della Congregazione delle Cause dei Santi, comunicazione personale). Circa l’urgenza di una nuova amicizia tra Fede e Ragione, ancora una citazione mi sia permessa: “La questione del dialogo tra fede e ragione investe la vita stessa dell’uomo… la fede non è una serie di dottrine separate, da apprendere a memoria, tanto meno un sentimento. È 158


invece un movimento di tutta l’esistenza umana. Questo è un punto molto chiaro, sia per Benedetto XVI che per Newmann; in una prospettiva più ampia, fede e ragione non possono entrare in conflitto, ma convergere spontaneamente verso una sola verità…Cosa può temere la scienza dal cristianesimo, che fin da principio si pone come religione del logos, della ragione creatrice aperta a tutto quello che è veramente razionale?”. (F. Morrone “L’urgenza di una nuova amicizia tra fede e ragione. (Incontro tra Fede e Ragione. Centro Internazionale amici di Newmann. 2008). E ancora il regnante Pontefice: “Una Ragione e si fa unica e suprema garante del senso e dell’interpretazione della vita, sconvolge la verità integrale sull’uomo e sul mondo. È il pericolo insito nel pensiero che si tiene nei termini della pura immanenza. Una Fede cieca, senza apertura alla sua intelligibilità, rovina la stessa immagine di Dio perché produce intolleranza e violenza nei rapporti personali e sociali”. Vi lascio con alcuni illuminanti pensieri, nel tentativo umano di trovare la Verità non solo nel travagliato tema delle stigmate. Due gli eccessi da evitare: escludere la ragione, ammettere solo la ragione. (Pascal) “Credi per comprendere e comprendi per credere”. (S. Agostino) “È il pensiero di San Tommaso che si è posto come obiettivo quello di conciliare la fede cristiana con la filosofia razionalistica di Aristotele. È stato il primo ad autorizzare l’armonia tra ciò che è creduto e ciò che è saputo, tra l’atto di fede e l’atto conoscitivo in una parola tra Dio e la scienza. ( J. M. Guitton ). Conferenza al Serra club anno sociale 2008-2009 Nota. Padre Pio e Agostino Gemelli In una recente pubblicazione di Francesco Castelli (Roma Studium 2011 Padre Pio e Santo Uffizio a seguito della recente apertura degli Archivi, assolve l’imputato Gemelli di essere stato il primo persecutore di Padre Pio. Nella vicenda Padre Pio, il Gemelli ha avuto un ruolo del tutto marginale. Nell’Osservatore romano in data 16 settembre 2011 ad opera dello stesso Autore si legge. “E in definitiva, un fatto importante è ormai chiaro: la fama di persecutore di padre Pio, che è stata attribuita per così lungo tempo alla figura e alla memoria di Agostino Gemelli, si dissolve oggi alla luce dei nuovi documenti e di una più fondata ricostruzione dei fatti storici”. 159


Creazionismo ed Evoluzionismo Dio e Darwin: è tempo di dialogo

Creazionismo è la teologia della creazione che ascrive l’origine dell’universo a Dio come abbiamo appreso dalle Sacre Scritture. Il neo-creazionismo, corpo dottrinario oggi, esprime la posizione ideologica di quanti accanitamente si oppongono alla teoria evoluzionistica. L’evoluzionismo è il corpo dottrinario che richiamandosi alla teoria sull’evoluzione della specie di C. Darwin nega l’intervento metafisico nell’origine dell’universo, materia e spirito sono espressione monistica? È da dire che in tempi passati Basilio, Gregorio di Nissa, Agostino d’Ippona, personaggi di peso della nomenclatura cristiana e altri ritennero che Dio nel creare l’universo avesse messo in esso le capacità di modificarsi nel tempo. Nella sostanza che tutto non è stato fatto in quella faticosa settimana della creazione. E che di evoluzione, menti illuminate del Cristianesimo, ne hanno parlato. Darwin contro Dio? Dio o Darwin? Dio e Darwin? Da talune fonti del magistero della Chiesa cattolica rileviamo. Enciclica Humani generis ( Pio XII 1950) …”Il Magistero della Chiesa non proibisce… la dottrina dell’evoluzionismo, in quanto cioè essa fa ricerche sull’origine del corpo umano, che proverrebbe da materia organica preesistente (la fede cattolica ci obbliga a ritenere che le anime sono state create immediatamente da Dio). Però questo deve essere fatto in tale modo che le ragioni delle due opinioni, di quella favorevole e di quella contraria all’evoluzionismo siano ponderate e giudicate con la necessaria serietà, moderazione e misura purché tutti siano pronti a sottostare al giudizio della Chiesa, alla quale Cristo ha affidato l’ufficio a interpretare autenticamente la Sacra Scrittura e difendere i dogmi della fede. …I fedeli non possono abbracciare quella opinione i cui assertori ritengono che dopo Adamo siano esistiti qui sulla terra veri uomini che non hanno avuto origine, per generazio-

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ne naturale oppure che Adamo rappresenti l’insieme di molti genitori. Non pochi chiedono che la religione cattolica tenga massimo conto di quelle scienze (scienze positive). Il che è senza dubbio così lodevole, quando si tratta di fatti realmente dimostrati, ma bisogna andar cauti quando si tratta piuttosto di ipotesi, benché in qualche modo scientificamente dimostrate nelle quali si tocca la dottrina contenuta nella Sacra Scrittura o anche nella Tradizione. Se tale ipotesi vanno direttamente o indirettamente contro la dottrina ricevuta, non possono ammettersi in alcun modo”. Viene accettato il principio evoluzionistico invocando prudenza nel trattare la questione. Pio XII, è in linea con il pensiero sull’evoluzione espresso nella enciclica Providentissimus Deus (Leone XIII). Benedetto XVI (in Creazione ed Evoluzione 2007): “Io trovo importante sottolineare che la teoria dell’evoluzione implica questioni che devono essere assegnate alla filosofia e che esse stesse conducono oltre il campo della scienza… (sull’evoluzione) il processo in sé è razionale nonostante gli errori e la confusione in quanto esso passa attraverso uno stretto corridoio, scegliendo poche mutazioni positive e usando una bassa probabilità… ciò inevitabilmente conduce ad una domanda che va oltre ala scienza… dove arriva questa razionalità?... dalla ragione creativa di Dio.” Nel 2005, il 24 aprile, nell’omelia della messa, il cardinale Ratzinger aveva detto: “Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione”. Al di fuori delle più alte gerarchie della Chiesa sono tanti i contributi teologici e scientifici da poter citare, che non sono oggetto della nostra nota. Il compito da assumersi sarebbe molto gravoso. Ci limitiamo alla citazione del pensiero conciliativo riportato di BASTI, direttore del progetto STOQ (Science theology and the ontological quest), promosso dalla Pontificia Università lateranense (9-11 nov. ‘05). Ritenere che “il principio di evoluzione è contro il principio di creazione non sta né in cielo né in terra: è proprio un’affermazione falsa”. Fermo restando che le diversità tra Creazionismo ed Evoluzione permangono, occorre dire, che un sereno proficuo confronto si è instaurato, tra Chiesa e Scienza. Trattare di Dio e Darwin non è più scandaloso. Dagli atti del Simposio su “Fede cristiana e teoria dell’evoluzione (1985) Giovanni Paolo II “l’evoluzione infatti presuppone la creazione; la creazione si pone nella luce dell’evoluzione come un avvenimento che si estende nel tempo, come una creatio continua in cui Dio diventa visibile agli occhi del credente come Creatore del cielo e della terra”. Ancora Giovanni Paolo II. Nel 1996 in occasione della Rifondazione della Pontificia Accademia delle Scienze, a circa mezzo secolo dalla Humani generis: “La teoria dell’evoluzione non può essere considerata una mera ipotesi e precisa: …le teorie dell’evoluzione che considerano lo spirito come emergente dalle forze della materia viva o come un semplice epifenomeno di 161


questa materia sono incompatibili con la verità dell’uomo… È chiaro che la verità della fede sulla creazione è radicalmente opposta alle teorie della filosofia materialista, che considerano il cosmo il risultato di un’evoluzione della materia, riducibile al puro caso e alla pura necessità”. La teoria dell’evoluzione, campo talmente vasto ed ancora non compiutamente esplorato, non deve fermare la nostra mente ai concetti della primitiva contrapposizione tra creazionisti ed evoluzionisti, per un’esemplificazione che l’uomo ha origine dalla scimmia. La teoria dell’evoluzione o meglio delle evoluzioni è meritevole di interesse, per quegli aspetti che attengono l’indagine scientifica. I concetti di apertura tra le parti e i distinguo espressi dalla Chiesa devono essere bene intesi e impongono di essere critici con le posizioni oltranziste. In questi ultimi tempi le contrapposizioni sembrano essersi smorzate, fino al “Sì all’evoluzione, ma all’inizio c’è il progetto di Dio” come afferma l’illustre teologo Bruno Forte. Permangono forti divisioni tra i cosi detti Neo-creazionisti assolutamente contrari al Darwinismo e i Teisti-Evoluzionisti che dialogano con il Darwinismo. LA VERITÀ Un Creatore che consente di evolvere! Una Chiesa che dialoga con Darwin! Un universo in cammino voluto da Dio! DIO, CREATOR et EVOLUTOR! Possono essere questi i punti fermi per i cristiani. Creazionismo ed Evoluzionismo e quella congiunzione Dio e Darwin per quanto tempo ancora costituiranno un vero rompicapo? Che dire del lacerante interrogativo kantiano: O uomo da dove vieni? Troppo poco per essere opera di Dio, troppo per essere frutto del caso. Giugno 2007

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Lo stato vegetativo è vita Il caso di Eluana Englaro

Fiumi di parole, sono state versate sul mantenimento in vita o meno della disgraziata fanciulla. Scienza, bioetica, giurisprudenza, politica e quant’altro, si sono messi in gioco. Ci si consenta di sottolineare che il concetto di morte cerebrale come scientificamente inteso da alcuni decenni, fondato sopratutto sulla non reattività dell’organo alla moderna tecnologia, se ha potuto salvare molte vite umane, grazie agli espianti ed i trapianti di organi, riteniamo abbia pesantemente penalizzato quello di sistema simpatico (Winslow). Questi è anche denominato sistema nervoso autonomo, perché specialmente presiede alla maggior parte degli atti della vita organica o vegetativa, che si compiono nel canale alimentare e nei suoi annessi, negli apparati cardiaco-vascolare e genito-urinario e per distinguerlo dalla parte principale del sistema nervoso, detto della vita animale o di relazione, destinato alle funzioni per mezzo delle quali l’organismo entra in rapporto col mondo esterno… …da molti viene indicato col nome di sistema nervoso autonomo, perché gode nell’esercizio delle sue attività di fronte ai centri cerebro-spinali di una certa indipendenza, per quanto incompleta e subordinata a determinate condizioni”. (G. Chiarugi Anatomia dell’uomo-S.E.L). Questa citazione e le seguenti, vogliono ricordare il significato di taluni termini medici ad introduzione della nostra nota, sono rivolti ai soci serrani. Mi scusino i Colleghi. Il coma irreversibile è la morte cerebrale ovverosia l’irreversibile perdita delle attività cerebrali, rilevata clinicamente, dalla mancanza delle funzioni vitali e confortata da moderne e complicate indagini strumentali. Il coma reversibile è evenienza diversa, più benigna, nel quale è possibile il recupero delle funzioni vitali fino al ripristino della normalità. Lo stato vegetativo è una possibile evenienza del coma che può durare molti anni, essere permanente, a volte regredire. In questa grave patologia non vi è coscienza né consapevolezza propria e dell’ambiente. 163


Vi possono essere espressioni di vita autonoma; espressioni mimiche, movimenti tipo masticazione e deglutizione, movimenti non finalizzati; altre espressioni elementari, movimenti oculari quasi sempre non finalizzati, espressioni di ricezione a stimoli dolorosi; minime responsività a stimoli esterni. A questa condizione patologica apparteneva Eluana Englaro. La diagnosi e la terapia di questi stati patologici negli anni si sono arricchite di preziose nozioni grazie alle acquisizioni tecnico-scientifiche. Quanto ora riferito, per ricordarci che unitamente alla vita nobile, la diciamo tale perché governata dal sistema nervoso centrale, vi è un’altra vita, qualora si potessero scindere, che risponde alla denominazione di vita vegetativa non certo meno importante della prima. L’una e l’altra costituiscono la vita di pari dignità per le funzioni vitali che svolgono, che debbono ritenersi coordinate e complementari. Su questa materia le neuroscienze moderne iniziano a farci conoscere nozioni finora non immaginabili. Ciò dovrebbe suggerire a vasti settori scientifici medico, giurisprudenziale e politico, tanta cautela nelle decisioni da prendere particolarmente in un settore di estrema delicatezza quale è il momento in cui la vita di una persona, in qualunque stato si trovi, è destinata a spegnersi. Il recente caso della ventenne di Torino operata alle Molinette che si risveglia, ad un anno da uno stato vegetativo permanente, che si nutre e ubbidisce agli ordini dopo un delicato intervento chirurgico, pubblicato nel Journal of neurology neurosurgery and psichyatric, come riportato dal Corriere della Sera del 19 dicembre 08, ci dice qualcosa? Lo studio pubblicato su Lancet neurology (novembre 2008), autorevole rivista medica mondiale, informa che non è possibile escludere in uno stadio di vita vegetativa una qualche forma di consapevolezza di sé, magari non continua e non comunicabile e di particolari ed insondabili sensazioni dell’essere. (Avvenire 17.11.08.) L’indagine con fRM che ha dimostrato nel soggetto in stato vegetativo risposte di talune aree della corteccia cerebrale a stimoli esterni. (A. Owen, Science 2006 in Avvenire 17.11.08). Questi brevi cenni di studi in soggetti in stato vegetativo, tendono a dimostrare che in essi vi è un sia pur particolare stato di vita da rispettare e non da spegnere con la soppressione della alimentazione e della idratazione e peggio con la somministrazione di farmaci volti a favorire la fine. Noi cristiani, siamo per la vita, dono di Dio in tutte le espressioni anatomo-fisiologiche che nessuno ha il diritto di sopprimere. Si lasci a Lui ogni decisione e alla Scienza di curare la vita e non la morte. Si rispetti dunque anche la vita vegetativa perché è vita. Nel caso della giovane Eluana Englaro, a nulla sono valsi gli autorevoli pareri di insigni giuristi contrari alla non somministrazione di alimenti. 164


Ne ricordiamo alcuni. Antonio Baldassarre ex Presidente della Consulta: La decisione di sdoganare l’eutanasia in Italia (dicesi buona morte sospendere l’alimentazione in soggetto in stato vegetativo?). “È aberrante nella procedura e nel merito”. Massimo Vari ex Vice Presidente della Corte Costituzionale: la nostra è una Costituzione per la vita e non per la morte. E ancora. Il cardinale Javier Lozano Barragan, Presidente del Consiglio Pontificio della Salute: “Quando nutrizione e idratazione diventano inutili non vanno sprecati”… sospendere idratazione e alimentazione in un paziente in stato vegetativo peggiora il suo stato, e la terribile morte per fame e per sete è una mostruosità disumana e un assassinio”. Eluana Englaro è stata vittima di una mostruosità. Certo non è stata segno della carità cristiana nei suoi ultimi giorni di vita terrena, ma oggetto di quanti sono molto lontani dall’idea cristiana dell’uomo e del patrimonio etico insito nella sua stessa natura. Per fortuna di noi cristiani “La Fede ci aiuta a ritenere la vita umana bella e degna di essere vissuta in pienezza pur quando è fiaccata dal male”. (Benedetto XVI, giornata mondiale del malato 12.02.09). Forse che la cultura cristiana non è in grado ancora come lo è stato per secoli, di dare al mondo “la cultura della vita, a tutta la vita, compreso il momento del transito anche doloroso da questo mondo?”. Forse che la cultura cristiana non può ritenersi “religione civile che vada oltre i confini delle confessioni e rappresenti dei valori che possano sostenere l’intera società” (J. Ratzinger). Sopprimere la vita di una persona, anche se in stato vegetativo, irreversibile, è una scelta umana errata, non cristiana. La nostra CARTA MAGNA, che si occupa correttamente della salute dei cittadini, la nostra “civiltà laica” non hanno saputo contrastare l’opera di quanti dediti alla salvaguardia della vita non si sono resi disponibili a contrastare una morte non dignitosa, non umana? L’amore umano e cristiano pur di difficile comprensione ed attuazione intende la vita come dono da rispettare anche in situazioni dolorose quali lei (la vittima) e i suoi genitori hanno vissuto. È difficile riflettere sul mistero della vita e del dolore e soprattutto intenderli! Quante persone soffrono per gravi malattie invalidanti, o sono al di fuori di ogni espressione di relazione con il mondo esterno! Tutti dovrebbero essere oggetto del trattamento riservato a Eluana negli ultimi giorni della sua vita o essere curati ed amati da quanti come le suore di Lecco per i lunghi 17 anni hanno fatto? 165


Quanti soggetti ammalati, sofferenti, si dovrebbero sopprimere se il valore della vita fosse legato al vivere bene e in salute. I valori etici del cristianesimo sono espressioni di altra cultura che è fatta di umanità, di amore per i quali l’uomo non può decidere della vita dell’altro, perché essa è dono di Dio. AMORE è la risposta alla situazione di disagio, della sofferenza del grave dolore. La vita dell’uomo, deve essere vissuta con la sensibilità che essa ci appartiene, ma che è dono di Dio della quale Lui solo può disporre. Dopo la morte della povera Eluana, da volontà espresse attraverso i mass-media, da quanto accade nelle aule parlamentari e nella società, è lecito chiedersi se dietro taluni ideologismi e comportamenti ispirati non rispettosi della vita, in preda a gravi sofferenze o in condizioni di grave precarietà, c’è il disegno di contrastare i valori dell’uomo creatura di Dio e la volontà di colpire il nostro Credo con l’attacco mortale alla vita che sta per spegnersi? Se così fosse, lungi dal pensare a guerre sante, c’è l’obbligo imperante per ogni cristiano di pregare, parlare di carità, di amore, di vita, dono da rispettare, amare non sopprimere. Dio è via, carità e vita. I cristiani non possono non esserne testimoni, non possono non vigilare su queste verità. Invio a “il serrano” questa nota quando i lavori della commissione senatoriale sul fine-vita si sono inceppati. Se altro tempo di studio sul gravoso problema potrà significare la migliore legge parlamentare possibile, con tutti i distinguo su “la migliore” non si può non essere d’accordo. Ci preoccupa non poco il contrasto, alla luce del sole, esistente nel mondo cattolico, ad opera di teologi, filosofi della morale, giuristi, bioeticisti ed intellettuali di diversa estrazione. Una speranza sentiamo il bisogno di esprimere a conclusione: che la legislazione futura, di cui si parla, con tanto affanno e diversità di opinioni, decida sul tema della così detta “buona morte” nel segno della ragionevolezza, dell’umano, del civile che per noi vuol dire cristiano. Febbraio 2008 pubblicato nel “il serrano” sez. cultura

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Il Modernismo cattolico A cento anni dalla enciclica di Pio X Pascendi Dominici Gregis

Tra la fine dell’800 e i primi anni del 900, il mondo cattolico in alcuni paesi europei ed in Italia, fu attraversato da momenti drammatici. Si registrò un tentativo di adattamento del cristianesimo al pensiero moderno, ma anche di contrapposizione alla Chiesa. Il Modernismo ebbe diverse caratterizzazioni, spesso rispondenti ad opinioni e cultura degli esponenti più rappresentativi. In una semplicistica distinzione, si può qualificare il movimento: in radicale e moderato. Il modernismo radicale ebbe punte di massimo contrasto con la Chiesa perché mise in forse alcune fondamentali verità del cristianesimo. Quello moderato ebbe come obiettivi l’aggiornamento del pensiero della chiesa, come il riconoscimento del metodo scientifico e nella sostanza la vivificazione del dialogo tra fede e ragione. La Chiesa vide nel modernismo un concreto nemico da combattere. Non pochi dei principi allora sospetti o condannati, nel tempo furono accettati, frutto di un costruttivo confronto tra Ragione e Fede. Scopo di questa nota è di offrire motivazioni, stimoli per riflettere un periodo della storia della chiesa che pur nella sua drammaticità è da ritenere una tappa fondamentale di arricchimento, perché’ esprime la sua origine divina e umana, questa passibile di errori. PIO IX, 8 dicembre 1864, intervenne condannando le prime espressioni del modernismo con il Sillabo, documento di accompagnamento alla enciclica Quanta Cura (1864). Con il “Sillabus complectens praecipuos nostrae aetatis errores, “ovverosia l’elenco di ottanta proposizioni nel quale EGLI condannò le eresie riproposte nelle idee del tempo: gli errori relativi alla Chiesa e alla società civile, il comunismo, il socialismo, il liberalismo, l’indifferentismo ed altri. Leone XIII riscontrò un pericolo nelle opinioni dell’appena sorto modernismo, che nei primi momenti aveva preso di mira il campo degli studi biblici ed espresse il suo contrasto per mezzo della Provvidentissimus Deus (1893), con la quale difese la Sacra Scrittura contro gli errori del movimento. La contrapposizione al modernismo conobbe la punta di massima reazione con PIO X, 167


che la espresse con la Lamentabili Sane Exitu (3 luglio 1907). “L’errore moderno” fu confutato dettagliatamente dallo stesso Pontefice con la enciclica Pascendi Dominici Gregis dell’8 Settembre 1907. La Sacrorum Antistitum, (1910) costituì il compimento dottrinario antimodernista “compendio e veleno di tutte le eresie”. Con motu proprio in essa fu prescritto il giuramento antimodernista. Ci addentreremo nel cuore dell’argomento esprimendo i contenuti del movimento, sia pure in modo frammentario, attraverso la descrizione del pensiero dei suoi più noti esponenti. Il Modernismo nacque in Francia, questa è l’opinione più condivisa, ad opera di ALFRED FIRMIN LOISY (1857-1940). Sacerdote, teologo, esegeta; fu ritenuto il più dotto dei modernisti. Prima di essere condannato dalla Chiesa Loisy si era distinto nel difenderla contestando le opinioni di ALFRED von HARNACH protestante che sosteneva la storia della chiesa cattolica come una degenerazione del dettato evangelico (l’Evangele et la Eglise 1902). La sua difesa peraltro metteva in discussione le fondamenta della apologetica tradizionale. La Chiesa non fu d’accordo, mise il libro all’indice e scomunicò l’autore. Alla conclusione della sua tesi modernista scrisse che avrebbe voluto: “Una riforma essenziale dell’esegesi biblica, di tutta la teologia perfino del cattolicesimo in genere”. Dal punto di vista dogmatico intese: “Il pensiero cattolico come adattamento progressivo alle condizioni politiche, sociali e culturali”. Il suo distacco dalla Chiesa fu alla fine molto profondo e assolutamente inconciliabile come si apprende da Choses Passèes Hounry Paris 1913 p. 246: “Storicamente parlando io non ammettevo che Cristo avesse fondato la chiesa e i sacramenti, professavo che i dogmi si erano formati gradualmente e che non erano immutabili, lo stesso ammettevo per l’autorità ecclesiastica di cui facevo un ministero di educazione umana. Insinuavo con discrezione, ma effettivamente una riforma sostanziale dell’esegesi cattolica, della teologia ufficiale, del governo ecclesiastico in genere”. “Agli studi esegetici biblici, LOISY si dedicò con grande passione. Lavorò sul testo e le versioni dell’Antico Testamento, sul Pentateuco, sulla Genesi. Il suo lavoro fu inizialmente elogiato, dopo vennero le prime critiche e i primi sospetti sul suo metodo di indagine. Sembra sostenesse “la relatività storica delle verità biblica, il legame cioè tra il credente e le affermazioni degli autori ispirati con il contesto storico, sociale e dottrinale in cui vivevano. L’errore era nel metodo: nel porre il problema degli errori nella Bibbia esclusivamente da un punto di vista teologico (M. GUASCO)”. LUCIEN LABERTHONNIERE Sacerdote, Abate, Filosofo francese . (1862-1932). I suoi “Essais de philosophie religeuse” furono condannati dalla Chiesa. Ritenne la filosofia di Tommaso d’Acquino “mostruosa” e il tomismo, anticristiano. 168


In contrasto con la Aeterni Patris di Leone XIII. Nel suo filosofare vi è un cristianesimo molto vicino all’autodidattica protestante, escludendo la Chiesa e la gerarchia dalle sue funzioni. Dei suoi scritti scrive Nicola Abbagnano “che una qualsiasi verità non diviene nostra se non nella misura in cui noi stessi lavoriamo a crearla in noi. Questo presupposto è a base della dottrina che dal punto di vista filosofico egli chiama dogmatismo morale e dal punto di vista religioso metodo dell’immanenza. Da questo punto di vista la filosofia non è una scienza ma piuttosto lo sforzo cosciente e riflesso dello spirito umano per conoscere le ragioni ultime e il senso vero delle cose”. Nella Teoria dell’educazione sostenne che il ruolo della Chiesa è di organizzazione sociale volta a salvare l’umanità dal disorientamento morale e dalla negazione di Dio. Intorno agli anni 20 si distaccò dal modernismo. MAURICE BLONDEL (1861-1949) La sua opera più importante si intitola: L’azione saggio di una critica della vita e della scienza pratica. Tentò di dar vita a una corrente filosofica non conforme a quella tomista, cara al Papa, che insospettì la gerarchia ecclesiastica. Sostenitore di un cristianesimo attivo e pragmatico: “Restio ad accettare delle verità imposte dall’esterno tendeva a costruire un sistema filosofico fondato sull’immanenza, sull’itinerario cioè che l’uomo compie alla ricerca di una verità che soddisfi le sue aspirazioni profonde… porta l’uomo alla ricerca di una risposta proveniente dall’esterno, aprendosi così al soprannaturale”. Nel suo pensiero vi era la volontà di cogliere le istanze del pensiero moderno, senza scostarsi dal cattolicesimo pur avendo come presupposto della sua ricerca un esame di questi rigoroso nei suoi dogmi, nella sua essenza financo nella sua pratica letterale. Egli non volle abbandonare il suo credo, prediligendo però il confronto scientifico, il metodo della ricerca espressione moderna di quel momento storico. BLONDEL non è stato un padre nobile del modernismo, è stato certamente un’espressione di disagio, comune a tanti studiosi che non volevano abbandonare la loro fede religiosa pur non rifiutando sistematicamente gli apporti dei nuovi metodi scientifici (M. GUASCO)”. ALBERT LAGRANGE (1855-1938) Frate domenicano, fondatore a Gerusalemme nel 1890 della famosa scuola biblica. È ritenuto il padre dell’esegesi critica della Bibbia. Scrisse LAGRANGE: “Alcuni contestano anche l’esistenza storica di Gesù. Ho dedicato tutta la mia vita a unire il Gesù uomo al Gesù Dio con lo studio dei Vangeli. Vivo in Palestina per studiare attraverso gli scavi la vita di un UOMO chiamato GESÙ nel suo Vangelo. Le mie ricerche mi hanno convinto: GESÙ dimostra la sua esistenza attraverso il suo mo169


vimento”. Illuminare lo studio della Bibbia attraverso una conoscenza scientifica dell’ambiente umano in cui è stata vissuta, parlata, scritta fu il suo obiettivo di ricercatore. Ebbe notevoli contrapposizioni con diversi Ordini religiosi. Con i Gesuiti che rigettavano il metodo della critica storica e con i Francescani circa la dubbia autenticità di taluni santuari della Terra santa. Furono peraltro molti e gravi i contrasti avuti con la Chiesa. Accettare la critica della Bibbia scandalizzava allora i tradizionalisti del Vaticano. Si dovette attendere l’elezione a Papa di Eugenio Pacelli (1931) perché fosse autorizzata la pubblicazione dello studio di LAGRANGE: Commentaire sur la genese, che vide la luce quando lo studioso era morto. Finalmente la Chiesa permetteva lo studio scientifico dei testi sacri! Nel 1943 PIO XII a conferma emanava l’enciclica Divino Afflante Spiritu. Scrive GUITTON: “I protestanti e gli ortodossi salutarono questa enciclica come un’apertura di nuove vie all’esegesi; che si prolungheranno con il Concilio Vaticano II”. Come LAGRANGE, i padri POUGET e PORTAL modernisti, erano stati condannati da Pio X. Intorno alla fine degli anni 80, la Chiesa procedeva alla beatificazione del celebre frate domenicano. GEORGE TYRREL (1861-1909) Irlandese, sacerdote gesuita, prima calvinista convertitosi all’anglicanesimo. Fu espulso dai gesuiti nel 1906. In punto di morte gli fu somministrata l’estrema unzione, gli si rifiutò la sepoltura religiosa. Sostenne “il diritto in ogni epoca di adattare l’espressione storico-filosofica del Cristianesimo alle convinzioni contemporanee, mettendo così fine all’inutile conflitto tra scienza e fede che era solo uno spaventapasseri teologico”. Contrastò la decisione del Concilio Vaticano I sull’infallibilità del Papa. Nella Lettera confidenziale a un amico professore di Antropologia con la quale raggiunse notorietà, scrive: “La coscienziosa indagine storica intorno alle origini cristiane e intorno all’evoluzione ecclesiastica, vulnera in radice parecchi dei nostri principi fondamentali per tutto ciò che concerne i dogmi e le istituzioni”. Riconosce senza esitazione che il dominio del miracolo si restringe ogni giorno di più, data la possibilità sempre più vasta di ridurre le proporzioni a cause naturali constatabili… Elaborò una concezione soggettivistica della religione, individuandone l’essenza nel sentimento di dipendenza dell’assoluto, nella fede e nella preghiera. Per quanto attiene la dogmatica sostenne la necessità che la chiesa dovesse riscrivere i dogmi per coglierne nuovi aspetti in relazione ai tempi. Fraintese il concetto di evoluzione del dogma del cardinale Newmann per il quale l’evoluzione della dottrina non significava il suo superamento. Questi a ragione fu considerato 170


l’anello di unione tra cattolicesimo e pensiero moderno. Il modernista italiano BONAIUTI lo definisce “l’araldo più ardimentoso, più coerente, più intimamente pervaso di fede e di entusiasmo della causa modernista” e MAURILIO GUASCO “l’unico vero teologo del modernismo”. Il libretto “grigio” del modernismo teologico inglese fu definito una sua pubblicazione firmata con lo pseudonimo HILARRE BOURDON dal titolo: La Chiesa e il futuro . IL colore “rosso” apparteneva a LOISY, che indicava il pensiero di punta del modernismo di questo autore in riferimento particolarmente all’esegesi biblica. MAUDE PETRE (1863-1947) Alla morte di TYRREL, Maude Petre, una suora che abbandonò i voti continuò a diffondere il suo pensiero. Degno di citazione, perché costituì un punto di collegamento tra modernisti di varie nazionalità il barone FRIEDRICH von HUGEL (1852-1925.), “anello intermediario tra società inglese, tedesca, italiana fra le idee della filosofia dell’azione e quelle dell’immanenza storica”. Fu definito il “Vescovo laico del modernismo (Paul Sabatier)”. Al modernismo, innovatore del pensiero della chiesa cattolica, ma a essa legata, appartiene JOHN HENRY NEWMANN (1801-1890.) Fu il promotore del movimento di Oxford (1833) che tese a condurre l’anglicanesimo alla Chiesa di Roma. Anglicano, nel 1848 si convertì al cattolicesimo; nel 1879 gli fu conferita la berretta cardinalizia da Leone XIII. Nello sviluppo della dottrina cristiana affrontò e chiarì l’apparente contraddizione tra evoluzione storica e immutabilità della verità rivelata. Il dogma per Newmann si sviluppa, non evolve, non cambia la sua natura nel tempo. La chiesa può riscriverlo e riproporlo, fedele al loro significato originario, approfondirlo, presentarlo in relazione ai tempi. Questo adattamento dogmatico poté innescare fraintendimenti teologici. Ne specularono VON HUGEL, TYRREL ed altri per la formulazione di un modernismo teologico. Il pensiero di Newmann, ha costituito un punto di incontro tra cattolicesimo e pensiero moderno. Si dedicò all’unità delle chiese. Fu “ispiratore segreto” del Vaticano II. Appartenne a coloro che: “Sono alla ricerca di un preciso orientamento attraverso le incertezze del mondo moderno e anticipò riflessioni, orientamenti di pensiero che risuonarono abbondantemente” in quel Consesso. GIOVANNI PAOLO II scrisse di lodare DIO “per il dono del grande cardinale inglese”. 171


Il 22 gennaio del 1991 lo dichiarò Venerabile. Benedetto XVI, il 19 settembre del 2010 lo proclamò Beato. Il Modernismo cattolico italiano La sua data di nascita è attribuita a SALVATORE MINOCCHI (1869-1907), prete e biblista che nel gennaio del 1901 fondò “Studi religiosi”, rivista critica e storica promotrice della cultura religiosa in Italia. Ad essa collaborarono il barnabita GIOVANNI SEMERIA (1867-1931), padre GIOVANNI GENOCCHI (1890-1943), padre UMBERTO FRACASSINI (1862-1950), rettore del seminario di Perugia, don ERNESTO BONAIUTI (1881-1946), professore nel seminario dell’Apollinare. Questi è riconosciuto come la persona più autorevole del modernismo italiano. Considerato come movimento di importazione dall’estero, addirittura secondo don Giuseppe De Luca “viveva molto di rigovernature con tinte accese dell’anticlericalismo di piazza”. Annoverò più preti spretati che non idee travolgenti, studi originali; riuscì a “disturbare il laicato, beatamente ignaro di religione e sorpreso di tanto chiasso e strepito in sagrestia”. Il programma dei modernisti apparso a Roma nel 1907, attribuito nella gran parte a Ernesto Bonaiuti, costituì la risposta all’enciclica Pascendi. Scrive Bonaiuti “fino ad oggi si è voluto riformare Roma senza Roma. Bisogna riformare Roma con Roma; fare che la riforma passi attraverso le mani di coloro i quali devono essere riformati, questo il vero ed infallibile metodo, ma è difficile. Trasformare il cattolicesimo dall’interno. Il culto esteriore durerà sempre con la gerarchia, ma la chiesa in quanto maestra dei sacramenti e dei suoi ordini modificherà la gerarchia e il culto secondo i tempi; essa renderà quella più semplice, più liberale, più spirituale e per quella via essa diventerà un protestantesimo ortodosso, graduale e non violento, aggressivo, rivoluzionario, insubordinato, un protestantesimo che non distruggerà la continuità apostolica del ministero ecclesiastico né l’essenza stessa del culto”. Un durissimo attacco alla Chiesa romana! Con il programma dei Modernisti e con Le lettere di un prete modernista Bonaiuti rappresenta la personificazione del modernismo italiano e il più radicale esponente. Come il Modernismo internazionale anche quello italiano fu contraddistinto dal pensiero dei suoi maggiori esponenti non sempre concordi, per le diverse caratterizzazioni, in ragione delle culture e degli intendimenti dei diversi esponenti. Il Modernismo fu per taluni un momento di “guerra civile” del cattolicesimo e per altri un sincero tentativo di ammodernamento teso a fare condividere dalla Chiesa ad esempio il metodo scientifico che avanzava, interessando molte discipline. Seguiamo per un momento il pensiero del gesuita Padre LA ROSA per capire da chi è 172


stata scritta la Pascendi Dominici gregis emanata l’8 settembre 1907. In un primo tempo si pensò che egli fosse l’estensore; si appurò dopo che a formulare il documento furono il cardinale GIUSEPPE CALASANZIO e tale padre J. B. LEMINS. LA ROSA ritenne che alla base del modernismo vi fosse un contenuto filosofico del tipo agnostico. Elemento questo da combattere prioritariamente. L’agnosticismo come è noto nega alla ragione la possibilità di conoscere altro che sia al di fuori del percepibile, quindi la non conoscenza di Dio e di quanto credibile attraverso la fede. Combattere l’agnosticismo fu l’arma più appuntita contro il modernismo nel contesto filosofico - teologico. Unitamente all’agnosticismo si tese a combattere il soggettivismo, lo scetticismo, l’immanentismo che secondo il gesuita costituivano i pilastri del documento. La CIVILTÀ CATTOLICA organo di stampa dei Gesuiti si pose in prima linea nel combattere il modernismo difendendo e divulgando i documenti della Santa Sede. È da ricordare che la lotta al modernismo, comprese i campi della teologia, della storia dell’esegesi, della dogmatica, dell’apologetica etc. Scrive recentemente GIOVANNI SALE S.I. in Civiltà cattolica (6-10.2007) che “dalla dottrina di Padre La Rosa gli estensori della Pascendi mutuarono i punti di contrapposizione alla dottrina modernistica che possono essere riassunti nel modernismo filosofico, nel modernismo teologico, nel modernismo apologetico, nel modernismo storico o esegetico. Scarsa attenzione fu data al modernismo politico-sociale che dopo la promulgazione della Pascendi ebbe uno sviluppo notevole ma non uniforme”. A proposito del modernismo politico merita citazione un suo autorevole esponente, don ROMOLO MURRI (1870-1944). Egli tentò di conciliare i valori del cattolicesimo con quelli della democrazia moderna rispondendo all’enciclica Pascendi con un suo libro: La filosofia nuova e l’enciclica contro il Modernismo. Scrive di lui M. GUASCO: “Murri tentava per la prima volta di presentare il cammino verso il rinnovamento culturale, teologico, biblico e anche politico come un unicum da raccogliere e convogliare in un disegno unificante”. Fu tra i promotori della FUCI, della Democrazia cristiana, della Lega democratica nazionale. Collaborò con don Luigi Sturzo. PIO X vietò l’adesione alla Lega democratica e con l’enciclica Pieni L’animo (1906) “condannò lo spirito di insubordinazione e di indipendenza, che si manifesta qua e là in mezzo al clero”. Nel suo il Messaggio cristiano e la storia ritiene che “la Chiesa cattolica è uscita fuori dalla storia e non ha più parole di vita”, ma si preoccupa di distinguere “tra la chiesa spirituale intesa come società di Dio con gli uomini, mediatore il Cristo e l’istituzione”. Sostiene che nulla gli poteva essere imputato dal punto di vista dell’ortodossia dottrinale. Ebbe contrasti con la gerarchia ecclesiastica: fu sospeso a divinis e poi scomunicato. Fu deputato considerato tra i primi leader del Partito Radicale. 173


Nel 1943 PIO XII ne revocò la scomunica. Fu ammesso ai sacramenti alla vigilia della morte, il 12 marzo 1944. Fra i modernisti italiani è da citare A. FOGAZZARO. Il suo romanzo Il Santo, volto a diffondere le idee moderniste, veniva regalato ai seminaristi e ai giovani sacerdoti, fu messo all’indice da PIO X (1906). Avvicinandoci alla fine della trattazione Modernismo, antimodernismo, necessariamente frammentaria e incompleta, riteniamo utile operare una breve sintesi su talune e principali questioni nodali di quel complesso evento. ESEGESI BIBLICA I contenuti filosofici dei modernisti sui quali si fonda la lettura dell’esegesi biblica sfociano nell’agnosticismo, nell’immanentismo, nel positivismo incompatibili con il carattere soprannaturale del testo biblico. Allora per la Chiesa l’esegesi biblica scientifica non era compatibile con quella teologica. Il problema a tutt’oggi irrisolto trova ampia citazione nei documenti pontificii Fides et Ratio Giovanni Paolo II e nel pronunciamento di Benedetto XVI, cento anni dopo, con il suo “Gesù di Nazaret” nel quale afferma: “La fede illumina l’esegesi scientifica”. LA RIVELAZIONE Altro elemento di forte contrasto. La Rivelazione dai modernisti è intesa come “una esperienza puramente interiore, non sembra differenziarsi dalla coscienza umana, ma si identifica con essa. Sentimento religioso, fede e rivelazione, sostanzialmente vengono a coincidere. Questo porta a ritenere il cristianesimo, come tutte le altre religioni… un prodotto della natura umana” (CORRADO PIZZIOLO). La Rivelazione per la Chiesa invece “è un’auto comunicazione di Dio stesso all’uomo, culminata in Gesù Cristo (Dei Verbum)”. La costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione, uno dei documenti più importanti del Vaticano II, (Paolo VI il 18.11 1965) è La parola di Dio del vecchio e del nuovo testamento. (Approvato da 2344 Vescovi con 6 contrari). IL DOGMA Altro punto di forte contrapposizione tra Modernismo e dottrina cattolica. Per i Modernisti “il dogma è il sentimento religioso che fa emergere Dio nella coscienza, ma lo fa emergere in forma indistinta e confusa. Occorre allora l’interveto dell’intelletto che lo elabora in forme concettuali. Le formazioni che ne derivano costituiscono appunto i dogmi i quali sono dei semplici simboli o strumenti concettuali. Essi servono ai credenti come norma pratica in funzione della propria esperienza religiosa. Quando viene meno la loro efficacia in ordine alla vita del credente, devono essere necessariamente modificati in 174


vista di un’efficienza rinnovata” (C. PIZZAIOLO) Per la Chiesa cattolica il dogma deriva dalla rivelazione di Dio donde la sua infallibilità. Non tutti, ma buona parte dei problemi chiamati in causa dai Modernisti erano problemi reali: “Il rapporto tra fede e storia, tra fede e scienza, tra coscienza umana e rivelazione di Dio, tra linguaggio umano del dogma e verità soprannaturale che lo esprime”. La Chiesa peraltro doveva intervenire perché tematiche così importanti non degenerassero a scapito della Fede. Una parte di essi, perché ruotano tra FEDE e RAGIONE, costituiscono ancora un eterno rompicapo specie per quanti non accettano che l’una e l’altra sono destinati a collaborare, ad intendersi per far sì che l’uomo possa attraverso la fede vedere quanto i suoi soli sensi non gli consentono di percepire. Nella complessità del problema c’è chi ancora oggi si chiede che cosa è il MODERNISMO? La risposta di CORRADO PIZZIOLO: “Possiamo definirlo una crisi di crescita nell’organismo della Chiesa cattolica… da più parti venne avvertita l’urgenza di superare la grave frattura che era venuta progressivamente a crearsi tra il pensiero cattolico e la cultura moderna e… che sembrava rendere non più comunicabile al mondo moderno la fede cristiana. Molti intellettuali cattolici si sentirono perciò chiamati ad un’opera di conciliazione tra le conquiste della modernità e la tradizione cattolica. Di conseguenza si misero volonterosamente all’opera… lo sforzo di dialogare con la nuova sensibilità filosofica e scientifica dell’epoca moderna… approdò in una certa misura a compromettere l’identità della fede cristiana”. E quindi la reazione della Chiesa cattolica con i suoi mezzi e soprattutto con la sua dottrina.

ALCUNE RIFLESSIONI RECENTI J. MARITAINE: “Oggi nei confronti della febbre neomodernista molto contagiosa almeno nei circoli degli intellettuali, il MODERNISMO (condannato) di PIO X non era altro che un modesto raffreddore”. E. POULAT: “Tempo di salute pubblica, in un clima di stato di assedio… guerra civile all’interno della Chiesa.” Se è vero che furono stroncate anche voci profetiche che si appellavano ad un aggiornamento culturale della chiesa, vi furono anche forti minacce ai principi fondamentali della fede. SI PUÒ PARLARE DI ATTUALITÀ DEL MODERNISMO? Molte problematiche sollevate nel periodo modernistico non hanno trovato ancora oggi soluzione e si presentano sotto altre vesti. 175


È il pensiero di PAOLO VI (1972) espresso nell’udienza generale di mercoledì 19 gennaio (vedi Insegnamenti di Paolo VI (vol. Poliglotta vaticano, Città del Vaticano 1973 p. 56) sull’attualità del modernismo che “sotto altri aspetti il modernismo è di attualità”. Il riferimento che la Pascendi costituisce per l’enciclica Humani Generis di Pio XII, per la Fides Et Ratio di GIOVANNI PAOLO II e ancora più di recente per il Gesù di Nazareth di BENEDETTO XVI, consentono di confermare l’attualità della fenomenologia modernistica espressa in vari e insidiosi modi. Certo sulle modalità condotte nel difendere i valori fondamentali della fede c’è da poter discutere. Se fu “bieco potere ecclesiastico (che) stroncò senza pietà le voci profetiche che si appellavano ad un rinnovamento della Chiesa o una forte e decisa reazione in difesa da azioni in parte in buona fede in parte certamente da combattere perché contrarie ai fondamenti della fede e all’ortodossia della Chiesa”. Instaurare omnia in Christo comunque fu il comandamento di PIO X nel combattere Il MODERNISMO. Giusta difesa? Reazione abnorme? Reazione che ha ritardato l’aggiornamento scientifico, culturale della gerarchia ecclesiastica? In ogni interrogativo vi è certamente parte della verità. Lo studio critico dei Vangeli è stata la scintilla dalla quale è partito il modernismo. Studio agognato dalla allora cultura moderna ed avversata dalla Chiesa. Oggi non è così. Abbiamo appreso anche ultimamente dal Gesù di Nazareth di Benedetto XVI che “il metodo storico è e rimane una dimensione irrinunciabile del lavoro esegetico”. Scrive Klemens Stock, tra i più autorevoli esperti dei Vangeli sinottici: “Il Papa prende le distanze da alcune teorie ultimamente in voga: non accetta che il vero Gesù storico sia visto come un grande maestro e moralista, un contadino galileo, un filosofo itinerante, un rivoluzionario e così via. Il Papa, come a bilanciare questa tendenza, riparte dai Padri della chiesa e dalla loro esegesi. Chiede dunque al lettore di entrare più nel profondo, che è poi il messaggio centrale del libro. Riconosce in Gesù il figlio di Dio. Ma non solo. Scoprire il Lui il rapporto particolare con il Padre nella cui volontà e conoscenza si rivela il Gesù vero, quello trasmesso dai Vangeli”. Questo modo di vedere oggi il Cristo storico, dal Cristo Dio, a suo tempo, avrebbe potuto spegnere la scintilla e lo stesso MODERNISMO, se da questa è partito? A celebrare i 100 anni dalla promulgazione (8 settembre 1907-8 settembre 2007).dell’enciclica Pascendi Dominici Gregis, per quanto siamo a conoscenza sono apparsi due articoli in ricordo dell’importante evento, come scrive Sandro Magister vaticanista (Crismon, il forum cattolico italiano, 08.09 .07). In “Civiltà cattolica” ad opera di Padre Giovanni Sale S.I. (6 ottobre 2007-anno 158) e in Avvenire ad opera del teologo Corrado Pizzaiolo. È peraltro da ricordare che il 29 settembre 2007 con il titolo “Pascendi Domici gregis: Attualità dell’antimodernismo di S. Pio” presso la Pontificia Università di S. Tommaso 176


è stato celebrato da Storici e Teologi un importante convegno. Hanno dato il loro contributo lo storico ROBERTO DE MATTEI, docente di storia del Cristianesimo dell’Università di Cassino e dell’Università europea di Roma; il filosofo GIOVANNI TURCO dell’Università di Udine; di padre GIOVANNI CAVALCOLI docente alla Facoltà teologica Emilia-Romagna. Moderatore del Convegno è stato padre ELVIO FONTANA Segretario della SITA (Soc. Int. Tommaso d’Acquino). Riportiamo alcune brevi riflessioni degli Oratori. ROBERTO DE MATTEI “L’inizio del secolo XX si caratterizza per una grande accelerazione del progresso tecnologico e sociale. Modernismo e progressivismo sono le parole chiave del pensiero dell’epoca che inizia a permeare il mondo cattolico, anche grazie a notevoli mezzi finanziari”. …”.La Pascendi pubblicata in un’epoca in cui il cattolicesimo aveva già, oltre ai nemici dichiarati, molti avversari occulti che operavano al suo interno. Costoro ovviamente erano i più subdoli e pericolosi, avendo una conoscenza diretta delle Chiesa. Il loro obiettivo era quello di trasformare la Chiesa da dentro lasciandone intatto l’involucro strutturale”. “A distanza di un secolo la Pascendi Domini Gregis con la sua condanna al modernismo quale “sintesi di tutte le eresie” è ancora attualissima ed è auspicabile che i cattolici la riscoprano per contrastare il modernismo attuale, ben più nocivo di quello del passato, sia per i mezzi intellettuali più perfidi e sopraffini, sia perché ripete un errore che è stato già condannato”. La Pascendi “si configura come l’apice della visione integralmente cattolica ed evangelica del Pontefice, che non poteva ammettere che parte del clero subordinasse, il dogma al pensiero umano, la verità della Rivelazione al criticismo storicista e in ultima analisi la Chiesa alle pretese del mondo della storia”. GIOVANNI TURCO “Le conseguenze più deteriori del modernismo sono l’attribuzione di un medesimo valore a tutte le religioni, la riduzione della carità a filantropia, la riduzione della Ragione a Doxa (opinione) fino ad arrivare in ultima analisi all’indifferentismo assiologico e all’agnosticismo. La ragione umana, al contrario, è capace di riconoscere doveri dell’uomo verso Dio”. “La strada da seguire è ben diversa e implica un ritorno alla metafisica, ovvero all’incontro libero e liberante tra intelligenza e realtà, sulla scia di S. Tommaso... lo stesso relativismo attuale discende direttamente dal modernismo filosofico che, racchiudendo l’uomo in sé stesso gli preclude ogni adesione al vero e alla realtà”. Dobbiamo allora chiederci, viviamo i tempi di un neo-modernismo? Se sì, la nostra società si allontana sempre più da Dio. Se sì, dobbiamo concordare con Paolo VI che nel 1972 disse: “Il Fumo di Satana ormai 177


è entrato nel Tempio di Dio”. GIOVANNI CAVALCOLI “Papa PIO X intuì quanto le dottrine moderniste fossero ispirate dalla superbia del demonio”. “Oggi il modernismo è ben più pervasivo di cento anni, avendo contagiato anche una parte della Curia cardinalizia e dell’Episcopato. Il clero dovrebbe, al contrario, regolare il suo agire sulla base dell’umile affidamento a Cristo e al magistero, non certo sulla base del successo facile o del rispetto umano”. MONS. LUIGI NEGRI Vescovo di S. Marino e Montefeltro ha concluso i lavori. “San PIO X ha dimostrato come tutte quelle correnti vicine al razionalismo e al modernismo portano inevitabilmente all’ateismo. Esse rappresentano un impietoso tentativo di eliminare Dio dalla considerazione della vita e della società. Se si elimina il divino, l’uomo diventa oggetto di manipolazione in tutti i sensi”. “I totalitarismi non sono stati incidenti di percorso ma consapevoli e deliberate costruzioni di società senza Dio”. “A tutto ciò si contrappone la Dottrina Sociale della Chiesa che, da circa un secolo e mezzo, pone al centro della dignità della persona umana, la priorità della famiglia, la libertà scolastica, secondo i principi della sussidiarietà che il modernismo nega, attribuendolo allo Stato un ruolo privilegiato, non a caso il totalitarismo rimpiazzò l’Europa delle nazioni con l’Europa degli Stati”. “Oggi ci troviamo di fronte ad una battaglia epocale tra una concezione autentica ed una concezione razionalistica e massonica della Chiesa. Parimenti c’è un ecumenismo giusto, quello che affianca al dialogo la missione e un ecumenismo d’accatto che contrappone dialogo e missione”. “All’inizio del secolo attuale, nell’anno giubilare è stata pubblicata la dichiarazione Dominus Jesus che indica chiaramente nella Chiesa la fonte della verità: auspichiamo che al pari del Sillabo e della Pascendi, la Dominus fra cento anni possa essere ricordata come il documento magisteriale che ha impedito la dissoluzione del cattolicesimo nel mondo”. Viviamo oggi il pericolo di “una catastrofe antropologica” (Guardini); di una società atea voluta dall’attuale MODERNITÀ infelice filiazione del MODERNISMO che noi laici dobbiamo contrastare come concettualmente ha voluto la Pascendi per frenare la dissoluzione della Chiesa magari correggendo taluni metodi e recitando qualche mea culpa. Facciamo memoria di quanto ha scritto il filosofo AUGUSTO DEL NOCE: “La storia del XX secolo non potrebbe essere intesa che come un processo verso il culmine della MODERNITÀ coincidente con la piena secolarizzazione, tale da escludere ogni richiamo alla trascendenza religiosa”. Scrive RINO CAMILLERI (il Giornale 09.01.08): Il MODERNISMO “mise la coscien178


za al centro di tutto. E fece della fede non più l’assenso dell’intelletto alla verità rivelata da Dio ma un cieco sentimento religioso”. Riferendosi ad una mancata celebrazione del centenario della famosa enciclica: “ci sarebbe ogni motivo per un ampio dibattito, dal momento che il modernismo scomunicato cent’anni fa, ha conquistato gran parte del clero (e dei vescovi) con il nuovo nome di progressismo”. E aggiunge “ La trasformazione del vecchio modernismo nel progressismo odierno si ebbe al tempo del Concilio vaticano II; soprattutto dopo, quando il cosi detto spirito del concilio convertì molto clero a “quell’ermeneutica della rottura” che l’attuale pontefice non si stanca di condannare: Il Vaticano II, dice in sostanza Benedetto XVI, va letto in continuità con tutta la tradizione precedente, e non costituisce affatto una rottura con il cattolicesimo definito sprezzantemente pacelliano preconciliare”. Ma già negli anni 40 il Modernismo era riemerso con la cosi detta “Nouvelle teologie” che ebbe tra i suoi ispiratori MAURICE BLONDEL, condannata da PIO XII con l’enciclica Humani Generis del 1950. MODERNISMO e ANTIMODERNISMO sono momenti della storia della Chiesa cattolica che non debbono essere archiviati dalla memoria dei cattolici. Noi, pur non avendo titolo, ma solo passione storica di quel tempo, che non tanto nascostamente sotto forme diverse si presenta anche ai giorni nostri, costituendo un pericolo per la vita della Chiesa ci siamo presi l’onere di studiarlo per noi, ma anche per gli amici del mio club che ho servito per due anni sociali, in qualità di Presidente. Serrani, il tempo in cui viviamo esige un alto grado di attenzione verso quanto sta avvenendo nella nostra società! La modernità che in esso si fa sempre più manifesta, non è per noi, perché in essa tende a dominare un sedicente umanesimo senza Dio o contro Dio. Un neo-modernismo, tra di noi e al di fuori, inquina il tessuto sociale secolare e non. La secolarizzazione che vuole fare a meno del trascendente ci sfida in una lotta che non dobbiamo accettare ma contrastare, forti della Fede e della cultura che dal CRISTIANESIMO trae la sua linfa vitale. Allerta dunque! Non vi posso infine nascondere il mio travaglio quando mi attardo sul tema MODERNISMO-ANTIMODERNISMO e penso al collegamento che questo binomio ha con il Vaticano II. Su questo argomento, ma anche su quello che vi ho appena accennato, ben altri oratori dovrebbero intrattenerci. JEAN GUITTON amico di due Papi, Giovanni XXIII e particolarmente di Paolo VI, uditore prima e protagonista poi del Vaticano II per esplicito invito dei due successori di Pietro sul modernismo scrive: “quando leggo i documenti concernenti il modernismo, tale come è stato definito da San. PIO X e che li confronto con i documenti del Vaticano II, io non posso lasciare di restare sconcertato, perché quello che è stato condannato come 179


eresia nel 1906 è stato proclamato ormai come dovendo essere la dottrina e il metodo della chiesa, detto d’altro modo i modernisti nel 1906 mi paiono come precursori, miei maestri hanno fatto parte di loro i miei genitori mi hanno insegnato il modernismo”. (Portrait du Pere Lagrange, Editions Robert Laffont 1992, pag. 55-56). Il Vaticano II certamente è lontano da quello che furono il pensiero e l’opera di S. PIO X sul Modernismo. Ma anche quei tempi sono molto lontani da noi! E occorre dire che per questo nessun addebito va addossato alla Chiesa! Gli uomini che la rappresentano appartengono alla natura umana, comune a tutti noi mortali e come tali non sempre infallibili! I tempi mutano e i rimedi propri o no mutano con questi. La storia di ieri non è quella di oggi e questa non sarà quella di domani! E gli stessi rimedi, cambiano. La storia del Cristianesimo è storia di Dio materializzata da Cristo e dalla Chiesa, ma è anche opera dell’uomo libero nelle sue azioni non certo infallibile. Che ne sarebbe della nostra libertà se non fosse cosi? È la storia nostra, della gerarchia e dei laici, non immuni da errori. Essa deve essere inquadrata nel suo tempo. I giudizi sempre espressi con la massima temperanza! Amici Serrani, non manchiamo di raggiungere quella ricchezza spirituale di essere “adulti nella Fede “ per non essere sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina (S. Paolo lettera agli Efesini), per CRISTO, PER LA NOSTRA CHIESA, PER LA NOSTRA SOCIETÀ PER LA NOSTRA SALVEZZA. Conferenza al Serra club, 19 maggio 2008. Nota: Padre Louis Pillo (poi cardinale) è stato tra estensori della Pascendi. (Filippo Rizzi) Avvenire 1 dic. 2011, 12-17.

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La Sindone e S. Pio da Pietrelcina

“La nostra fede non si fonda sulla Sindone, bensì sui Vangeli. Ma ciò che colpisce e commuove i cuori davanti alla Sindone è il constatare che in quel misterioso lino c’è un’immagine di un uomo crocifisso che corrisponde, con una precisione di particolari impressionante, al Gesù sofferente e crocifisso descritto nei Vangeli”. (card. Severino Poletti). Espressioni di doverosa cautela, anche se le ultime e tormentate indagini scientifiche tenderebbero a ritenere che in quel lino è espresso il corpo del Cristo crocifisso. È possibile relazionare i segni della sofferenza della Passione del Cristo a quella di San Pio? Da quel lenzuolo trae motivo la nostra nota. Padre Pio aveva chiesto a Gesù di soffrire come Lui. Ed è verosimile ritenere che la richiesta sia stata accolta alfine di perfezionare la sua sofferenza a quella di Cristo che lo aveva chiamato a una vita di dolore, perché assumesse la dignità di corredentore. L’iter della santità di Padre Pio é costellato di tanti segni, razionalmente inspiegabili, la sua sofferenza può essere coniugata alle immani sofferenze del Crocifisso. La flagellazione, oltre cento colpi di “flagrum” evidenziano nettamente nella Sindone, lo strazio infinito del tipo di morte sulla croce, la trafittura del costato, la fissazione dei chiodi, nei piedi e nelle mani, uno strazio infinito! Diamo la parola al Santo: … “ciò che più mi martirizza sono quei forti ed acuti dolori al torace… in certi momenti sembrano che vogliono proprio spezzarmi la schiena e il petto!”. “Non sono più io che vivo, vive in me Cristo”. “Sono stato fatto degno di soffrire con Gesù e come Gesù”. E Gesù gli dice: “Figlio mio, non credere che la mia agonia sia stata di tre ore, no sarò in agonia fino alla fine del mondo”. Le sofferenze di Cristo crocifisso impresse in un lenzuolo, richiamano alla nostra mente quelle del Santo cappuccino che Egli ha voluto in questa vita per dire agli uomini, ancora una volta, il grande dolore sofferto per redimerli. Aprile 2010, anno della Ostensione.

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La Sindone

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8. Serra day Sul sacro colle anno sociale 2006-2007

In una riunione del distretto 71 ho proposto che i Serrani dei distretti 71 e 171 celebrassero il Serra day annuale insieme, presso il Santuario della Madonna delle Grazie di Montenero in Livorno per rivolgere a Maria, MADRE delle VOCAZIONI una forte e corale preghiera perché le nostre diocesi potessero avere tante e sante vocazioni sacerdotali. A tale scopo Domenica 29 aprile 2007 i Serrani dei club di Pisa, Cascina, San Miniato, Massa Carrara, Pontremoli, Lucca, Prato, Arezzo, Grosseto, Montepulciano, Assisi e Livorno in gran numero, oltre cento, si sono riuniti in devoto e filiale pellegrinaggio al santuario della Madonna delle Grazie. Alla speciale assise erano presenti il Presidente del Consiglio Nazionale del Serra Benito Piovesan, il Presidente internazionale eletto Cesare Gambardella, il Rappresentante del Serra presso la Santa Sede Giovanni Novelli, il Presidente della Fondazione Internazionale “Beato Junipero Serra” Romano Pellicciarini, il Governatore del Distretto 71 Marrico Alderighi. La particolare giornata di preghiera è iniziata con la celebrazione della Santa Messa dell’Amministratore diocesano Mons. Paolo Raz-

L’A. con Mons. Diego Coletti

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zauti. I convenuti si sono portati poi nella sala delle conferenze dove con la guida del Priore Dom Ildebrando Cascavilla hanno ascoltato e meditato sul messaggio del Santo Padre per la 44° Giornata di preghiera per le vocazioni. Particolare l’emozione dei presenti nell’ascoltare le parole di Papa Benedetto XVI rivolto al mondo dei cattolici, da Piazza San Pietro: “Tutti i fedeli sono esortati a pregare in modo particolare per le vocazioni al sacerdozio ed alla vita consacrata. Nel cuore della Chiesa Comunione c’è l’eucaristia: le differenti vocazioni attingono da questo sommo Sacramento la forza spirituale per edificare costantemente nella carità l’unico Corpo ecclesiale”. Dopo avere consumato, in grande allegria, una fraterna agape con la presenza dei monaci del santuario, i convenuti si sono recati in Chiesa per la recita dei Vespri e un ultimo affettuoso, orante sguardo alla miracolosa e venerata immagine della Vergine. Come ad implorarla ancora ad ascoltare la nostra pressante preghiera.

Gruppo di serrani con Mons. Paolo Razzauti

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Sul sacro colle anno sociale 2007-2008

Pregare, pregare, saper pregare, i Serrani lo sanno di dover pregare la Madonna delle Grazie per ottenere sante vocazioni sacerdotali. E ancora una volta il13 aprile 2008 ci siamo recati per celebrare il Serra day sul sacro colle. Come l’anno precedente un raduno festoso e insieme devoto al cospetto del quadro miracoloso della Madonna. Prima della Santa Messa celebrata dal Vicario vescovile mons. Paolo Razzauti abbiamo ascoltato la sua conferenza: “Il seme della vocazione il più piccolo e insieme il più grande di tutti i semi “. Il conferenziere ha centrato il suo dire sull’importanza della coltivazione del seme di ogni vocazione cristiana. Una dotta riflessione articolata su: Il Signore della vita, la vocazione della vita, la vocazione nel Vecchio Testamento, la vocazione nel Nuovo Testamento, la chiamata di Maria. “Eccomi sono la serva del Signore…è la risposta di Maria, la chiamata a essere Figlia e Madre, Donna al servizio dell’Umanità”. È da lei, dice l’oratore, dobbiamo essere capaci di prendere l’esempio per vivere al meglio la nostra vocazione, soprattutto con la speranza di viverla nella logica del servizio e per il bene della società e della Chiesa e soprattutto a gloria del Padre. Il termine vocazione e più in generale l’atto del chiamare, fanno riferimento al processo che descrive la condizione dell’uomo invitato a dialogare con il Creatore, e in conseguenza di tale relazione a scegliere di vivere secondo un progetto di felicità e di salvezza. Da tempo i club Serra, sentono il bisogno di chiedere con forza alla Madonna delle Grazie di farsi interprete verso suo Figlio del bisogno che le nostre diocesi hanno di tanti e santi sacerdoti. Perché nonostante le tante preghiere non siamo ascoltati? Perché i nostri seminari non brulicano di giovani seminaristi? Non lo sappiamo pregare? Forse sì. E allora chi ci può venire incontro se non sua Madre? Convinti della sua forza e della nostra estrema debolezza eccoci ancora una volta a scalare il sacro colle dove la bellissima icona di Maria con il Bambino, veneratissima dal popolo toscano, perché dispensatrice di grazie, ci siamo recati a pregarla, a scongiurarla perché si 185


facesse Lei, interprete, delle nostre necessità. È grande la necessità che laici ricevano la chiamata a diventare apostoli della fede. È straordinariamente grande ricevere la chiamata di essere presbiteri, apostoli della Fede e Ministri di Dio. Durante la S. Messa, nel silenzio più profondo dell’animo abbiamo urlato alla Madonna delle Grazie: Advocata nostra ora pro nobis. Ammirare la sua dolcezza di Madre con in braccio il Bambino sentivamo riempire i nostri animi di tenerezza e di gioia e tanta speranza, mentre Lei sembrava dirci: Pregate, sappiate pregare, io sono con voi, mio Figlio vi esaudirà. Ci sembrò volerci consolare abbozzando un sorriso, il tenero sorriso della Madre. Davanti all’altare principale, dove Cristo prigioniero d’amore sosta notte e giorno per quanti vogliono nella Grazia, cibarsi della sua carne, dove la Madonna con il Bambino nei momenti di solitudine sono i soli a fargli compagnia, due nuovi soci sono diventati Serrani, apostoli, missionari, alla faticosa ricerca di vocazioni. Nel lasciare il Santuario.l’ultimo sguardo, ancora una preghiera. Gli occhi un po’ tumidi lasciavano trasparire tanta emozione! E ancora quanta speranza! Advocata nostra ora pro nobis!

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9. NATALE 2007 Il primo con il Vescovo Simone Giusti

Una ricorrenza che ci ricorda, il mistero dell’incarnazione di Dio che si fa uomo per amore, alla quale dobbiamo ispirarci perché in noi vivano sentimenti di pace, di amore, di carità, di speranza cristiana. “Un Dio-uomo; un uomo - Dio, catena che lega l’eterno al temporale”. Eccellenza! È da pochi giorni che Ella siede sulla cattedra episcopale istituita nel 1806 con la bolla Militantis Ecclesiae, dal Pontefice Pio VII. L’aspettavamo e da tempo. Ci sembrò a un certo momento che il S. Padre si fosse dimenticato di noi uomini di poca fede! L’attesa è stata lunga, in verità. In città si sentiva il bisogno dell’Ordinario vescovile, al punto che l’autorevole esponente della nostra Chiesa il Vescovo A. Ablondi, dimissionario, si rivolse pubblicamente al Santo Padre con la invocazione: Mandaci il Vescovo! Finalmente giunge la buona novella: Un prete di Cascine di Buti, Vescovo di Livorno. Che la Provvidenza vedesse e così acutamente in territorio vicino, non ce lo aspettavamo. Le recenti esperienze ci inducevano altrove. Le vie del Signore sono infinite! L’amore della città, tanto capace di amare, Ella lo ha percepito durante la cerimonia della sua consacrazione, nella maestosa cattedrale di Pisa. Mille e più livornesi con tutte le Autorità Le hanno dato il benvenuto! E poi quell’enorme striscione “LIVORNO PRESENTE” Le ha detto tutto quello di cui il cuore di una città è capace di esprimere: Amore, fratellanza, solidarietà, tolleranza, schiettezza, religiosità. Ed ancora tanto affetto e tanta gioia espressi domenica 2 dicembre nella chiesa-cattedrale. Mancherei se sottacessi che la nostra gente dalle tante virtù, ha bisogno di incamminarsi più speditamente verso un più confidenziale ed amorevole colloquio con Dio:

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L’A. con Mons. Simone Giusti.

Più fede, più fede ci vuole tra noi! Eccellenza! Ella conosce il Serra sparso in tutto il mondo. Il movimento porta il nome di un umile frate francescano (1713-1784), JUNIERO SERRA originario di Maiorca che fondò diverse missioni nell’Alta California, nel Nord America, nel Messico. Fu un civilizzatore e soprattutto un evangelizzatore. Uno sparuto gruppo di statunitensi ha voluto dare il suo nome al movimento, in onore di un frate, dalla malferma salute, che si era prodigato per la civilizzazione e l’evangelizzazione di quelle terre. Gli Stati Uniti lo hanno inserito tra gli Eroi della Nazione. S.S.Giovanni Paolo II lo ha beatificato nel 1988. Noi Serrani preghiamo perché la Chiesa proceda presto alla sua canonizzazione. In nome del Beato, i Serrani che per istituzione sono impegnati nella Chiesa a favorire le vocazioni cristiane in genere e quelle presbiteriali in particolare, hanno il compito di evan-

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gelizzarsi per evangelizzare. Preparare altresì il terreno nella società, la vigna evangelica, perché CHI ne ha il potere lasci cadere, marcire e maturare il seme delle vocazioni cristiane. Siamo cosci che abbiamo altresì “Il compito immediato di operare per un giusto ordine nella società” come ci suggerisce l’Esortazione apostolica Christifidelis laici. Il Serra livornese ha servito la propria associazione con persone di prestigio che hanno occupato cariche di notevole rilievo come quella di Presidente nazionale, internazionale e di Rappresentante in Vaticano dell’Associazione, nella persona di Giovanni Novelli nostro amato socio, recentemente scomparso. Abbiamo anche avuto Presidente nazionale il nostro socio Ammiraglio Alfredo Brauzzi. L’Ing. Romano Pellicciarini occupa ad oggi importanti incarichi internazionali. Abbiamo qualcosa da chiederLe, Eccellenza. I Serrani livornesi desiderano da Lei, essere ispirati ed aiutati nel servizio alla Chiesa. Le chiediamo di aiutarci a crescere nella fede e, nel rispetto di tutte le altre, nella nostra cultura, suggestionati e convinti del pensiero di Paolo VI che “la rottura tra Vangelo e la cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca.” Che cosa Le offriamo. Il nostro affetto, anzitutto. Eccellenza! La sua barca è solida, il timoniere è giovane ed eccellente; noi vorremo aiutarla a remare nel nostro bel mare, calmo in superficie, ma non privo di turbolenze, nel suo profondo. Queste, meritano faticose riflessioni. È nostra speranza che Chiesa, Istituzioni e Società possano camminare insieme, faticare insieme, per un globale futuro migliore della nostra popolazione. Un futuro, come Lei ha sottolineato nella sua omelia-programma, che riconosca una solida base, nella promozione integrale della persona. Come chiaramente scrive Benedetto XVI nella sua enciclica Deus caritas est: “La fede cristiana ha considerato l’uomo sempre come essere uni-duale, nel quale spirito e materia si compenetrano a vicenda sperimentando proprio così ambedue una nuova nobiltà”. Auguri di buon Natale a Lei, ai nostri soci, alla nostra città. NATALE 2007. Pubblicato nel “il Serra” periodico del Serra Club Livorno n. 1 dic. 2007.

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Incontro con Mons. Simone Giusti Neo-Vescovo di Livorno. Sede Vescovile

Eccellenza, Ci eravamo appena conosciuti in tre fugaci occasioni: Nel Duomo di Pisa per la Sua consacrazione, nel Duomo di Livorno per la presa di possesso della cattedra episcopale della nostra diocesi e in occasione della cena per gli auguri di Natale. Ma non avevamo ancora avuta la possibilità di parlare di noi. Questo incontro in casa sua ce lo consente. Perché siamo qui. Desideriamo darLe ancora il benvenuto tra noi; chiederLe di aiutarci a crescere nella fede, ma anche per parlare, delle strategie del come svolgere il nostro lavoro le cui finalità è di tendere alla nascita e alla crescita delle vocazioni cristiane, sono a Lei ben note. Le abbiamo fatto cenno, che operiamo in un terreno dove la nostra cultura vive in sofferenza, dove una particolare laicità scoraggia persino le possibilità nostre che sembrano trovare un freno per potersi esprimere. A noi sembra che nella nostra città e oltre i suoi confini viva come suggeriva Paolo VI “la rottura tra Vangelo e la cultura senza dubbio il dramma della nostra epoca”. Le vocazioni che sono dono di Dio, necessitano della nostra preghiera e del nostro lavoro. A Livorno (di essa ci limitiamo a parlare) per la scarsità delle vocazioni presbiteriali c’è qualcosa che non funziona e i riferimenti causali, molto semplicisticamente pensiamo, di poterli individuare in tre motivi: I Cristiani cattolici, laici e consacrati: Non sappiamo pregare, non adoperiamo i giusti mezzi di lavoro, non lavoriamo quanto dovuto? Nella sostanza noi Serrani, siamo in difetto su due fronti: nell’evangelizzarci e nell’evangelizzare? Ci siamo chiesti tra l’altro, se nella nostra diocesi, si potesse ottenere un maggior numero di vocazioni presbiteriali attraverso una migliore coordinazione del lavoro di tutti i gruppi laici, si da conseguire una maggiore compattezza propositiva e persuasiva. Nei due anni della nostra presidenza abbiamo interpretata la nostra attività ispirandoci alla speranza cristiana ritenendo che da essa si sprigiona un inimmaginabile potenziale operativo anzitutto di Fede e richiamandoci a Paolo di Tarso, di cui questo anno ricorre il bimillenario della nascita, che noi celebreremo per ricordare che battezzati in Cristo ci siamo

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rivestiti di Cristo per interrogarci se e come portiamo quella veste. Con l’intendimento di farci meglio conoscere e di penetrare nel tessuto sociale della nostra società onde tendere a preparare il terreno perché il Grande Seminatore si degni di far lì calare il seme vocazionale, ci siamo inventati programmi rivolti ad una migliore conoscenza dei problemi, ad una più efficace penetrazione nella società onde far conoscere la nostra identità di servizio alla chiesa locale, non ultimo a tendere noi stessi ad essere degni rappresentanti del cristianesimo e della cultura cristiana. Speriamo che il motto con il quale abbiamo specificato la nostra azione, rilevato dal Vangelo di Luca (5,4) nel quale Gesù suggerisce a Pietro di non farsi vincere dallo sconforto e di insistere nella pesca con le parole: “Prendi il largo e calate le vostre reti per la pesca” ci accompagni e ci sproni nella nostra fatica. Confidiamo nei suoi consigli operativi motivo principale per il quale siamo venuti qua, questa mattina. Un’azione anche da Lei ispirata, è quello che Le chiediamo. Ci auguriamo di avere da Lei, ispirazioni e motivazioni più mirate di quelle suggerite dalle nostre possibilità, nella speranza che la sua, la nostra chiesa, possa vivere e crescere. Evento questo non facile da conseguire per il clima, per l’aria, che respiriamo qui e nel nostro paese, dove con tanta gente che vive la fede del Cristianesimo ve ne è altrettanta che ci ricorda avversione su di essa antica e recente. Ci rattrista non poco la scarsità delle vocazioni sacerdotali. Ci rattrista e non poco vedere il nostro seminario con una presenza così sparuta di seminaristi. Con Lei vorremmo impiegare tutte le nostre forze per vedere un qualche mutamento di rotta. Con Lei vorremmo pregare, saper pregare perché Dio per intercessione del nostro Beato Junipero Serra si degni di inviare a questa diocesi tanti e santi sacerdoti. Febbraio 2008

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S.E. Simone Giusti, Vescovo della diocesi di Livorno

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10. Due Lutti A Giovanni Novelli Presidente …. Arrivederci!

Il Serra International, nel mondo, nel nostro paese, nella sua città è in lutto. Il 14 luglio 2007, Chi è Signore della vita e della morte, ha chiamato a sé Giovanni Novelli. Noi Serrani, non ci ribelliamo a questo evento, ma non possiamo non accusare la perdita di colui che è stato la punta di diamante del nostro club. Il vuoto che sentiamo attorno a noi ha il sapore di un baratro. Ci conforta la certezza che Giovanni è vicino a Chi lo ha voluto a sé, dopo una vita operosa, spesa con amore in tanti interessi. Egli visse strettamente fedele all’insegnamento evangelico” chi ha ricevuto molto, molto dovrà dare. Il prestito dovrà essere restituito con interesse”. Giovanni Novelli, il Presidente di sempre, ha ricevuto molto da Dio. Ed egli si è speso molto, certamente restituendo molti interessi. Si è speso generosamente ed efficacemente nell’ambito della sua professione e della cultura che predilesse. Al Serra, a tutti i livelli di responsabilità, ai quali è stato chiamato, ha dato tutto: amore, passione, cultura, saggezza, umanità. Lavorò indefessamente perché il Serra si dilatasse non solo in Italia, ma anche nel mondo. La sua opera, apprezzata da tutti, lo ha portato ad occupare le cariche prestigiose di Presidente nazionale, di Presidente internazionale e di Rappresentante del Serra presso la Santa Sede, dopo essere stato Presidente del Club di Livorno e Governatore del Distretto 71. Personalmente lo ricordo con affetto, stima, devozione, ammirazione e riconoscenza. Per due volte mi ha voluto Presidente del club. Carica, molto impegnativa solo se si guarda, a quello che Giovanni è stato per il suo club. Che dire! Altri lo celebreranno più compiutamente avendolo conosciuto prima e meglio di me. Lavorando per il Serra ho cercato di interpretare il suo pensiero da tradurre in azione, sentendomi in dovere di consultarlo sempre sulle decisioni da prendere. Così come ho fatto per il primo mio mandato, solo cinque giorni prima che morisse, gli ho voluto accennare alla bozza del programma che stavo preparando per l’incipiente attività 193


dell’anno sociale (2007-2008) attinente il mio secondo mandato. Pur sofferente, man mano che parlavo, seguiva con attenzione la mia esposizione, faceva segni di consenso. Alla fine del colloquio con voce flebile, con tanta espressività nel suo viso, dal quale traspariva molta sofferenza sopportata cristianamente mi disse: I giovani ci vogliono, i giovani nel nostro club! Il problema più acuto sentito da lui e noi tutti. I suoi suggerimenti espressi sempre con molto garbo, mi sono sforzato e mi sforzerò di interpretare al meglio. I suoi cenni discreti, ma anche i suoi silenzi, mi saranno preziosi per meglio operare per la vita del club. Pensare, sentire, interrogare Giovanni Novelli anche se non è più con noi è d’obbligo per tutti i Serrani, specie per chi è chiamato a cariche direttive. Non è facile no, se non si è dotati come lui, se non si sa faticare come lui, se non si ha la sua passione, se non si sanno spendere i propri doni come lui ha fatto. Giovanni, Portare sulla carta ricordi ed emozioni non è agevole! Da dove sei, certamente vicino alla Luce, guarda le mie, le nostre miserie, scongiura Iddio con te guardi il nostro club e tutti quelli seminati nei cinque continenti per indirizzarli, fortificarli perché raggiungano il loro obiettivo: che il mondo abbia tante vocazioni presbiteriali. Io, noi ti interrogheremo sempre, come se ti avessimo accanto. Il nostro orecchio è teso per ascoltare come quando eri in vita i tuoi pareri, i tuoi consigli e magari leggere sempre nei tuoi silenzi. Arrivederci Giovanni! Luglio 2007 Pubblicato nel “il serrano” supplemento al n.108, 2007.

I Club Serra e Lyons commemorano il loro socio

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Ad Alfredo Brauzzi Arrivederci Alfredo!

Ancora un grave lutto ha colpito il Serra di Livorno: L’Ammiraglio Alfredo Brauzzi si è spento il 12 febbraio lasciando un grande lutto tra i suoi familiari e tutti i Serrani. Spirito sincero, innovatore ed umile, ha profuso tante energie per la vita del club con grande convinzione e spirito di servizio. Non gli è sfuggita occasione per esprimere i suoi convincimenti volti ad operare per il meglio nel tendere a realizzare le motivazioni associative. Non posso sottacere a conferma della sua ricca umanità, un personale ricordo: Quando sarai Presidente, vorrò essere il tuo Segretario. Così è stato. Collaboratore fecondo, ricco di idee, puntuale nel servizio è stato per me ed il club una colonna insostituibile. Grazie Alfredo, per tutto il servizio reso al club. A Te che sei vicino alla luce del Padre, unitamente a Giovanni, guardiamo come a due grandi icone per avere avute le giuste ispirazioni nella nostra opera di promozione delle vocazioni cristiane. Il Movimento serrano tutto, non vi dimenticherà. Rivolgo un caldo invito a tutti i Serrani, leggendomi, di pregare per Te e Giovanni perché possiate godere la pienezza della luce del Signore. Numerosi gli incarichi ricoperti dall’Ammiraglio Brauzzi nell’ambito serrano. Presidente del club di Livorno negli anni 85-87; Governatore del distretto 71 negli anni 92-93; Presidente del CNIS negli anni 95-97. Insignito nell’anno 2002-2003 dell’AWARD quale OUTSTANDING per gli speciali contributi dati al Serra; Membro della Commissione nomine internazionali anni 1999 e 2000. Ha incorporato il Serra club di Montepulciano e quello di Pontremoli. Ha regolamentato il premio “ I racconti del Serra e i rapporti tra Consiglio nazionale del Serra e la Fondazione Beato Junipero Serra”. Ha compilato i manuali del Presidente di club e Governatori dei distretti. Ha partecipato alle Convenzioni internazionali di Roma 1983: di Cleveland 1990; di Minnneapolis 1996; di Dallas 1997; di Glasgow 1999 e quelle del Serra di Spagna e Toledo e Salamanca. È stato Grande Ufficiale dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro e Delegato di tale Ordi-

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ne per la Provincia di Livorno. Alfredo, quanto bene hai fatto al club, alla società, all’Arma prestigiosa che hai servito, all’Ordine Equestre del Santo Sepolcro è testimoniato dalla folla che ha voluto assistere al tuo commiato da questa terra. I Serrani ti danno il loro arrivederci con tanta tristezza mitigata dai sentimenti della nostra speranza, la speranza cristiana. Pubblicato nel “il serrano” n.110, 2008

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11. Lettera a un amico

A proposito di “Religioni e Politica nel mondo globale. Le ragioni di un dialogo”. Caro Enrico, Dal mio “buon ritiro” in Castiglioncello, tra l’azzurro del mare del “quercetano” e il verde della collina, nel vivere un chiaro senso di pace, un pizzico di amarcord mi porta indietro nel tempo. Ci proponevamo allora un progetto di società che assumesse una qualche impronta della cultura cristiana. Tendere a un progetto così impegnativo e non esserne testimoni è stata pura fantasia! Dirsi cristiani è cosa diversa dall’esserlo! Anche per questo il crollo di un’ideologia organizzata in partito? Ne è seguito il disimpegno del mio servizio. Tu invece continui a fare politica-cultura, animando con il tuo “CENTRO” dibattiti di ampio respiro. È dell’ultimo che ti vorrei dire qualcosa. Del libro del senatore Vannino Chiti, un “progressista”, come ama dirsi, dal titolo: Religioni e politica nel mondo globale, le ragioni di un dialogo. Consumata competenza nel porgere, da parte dell’Autore. Un rammarico! Per un tema di così alto interesse, svolto da un politico di prestigio per gli alti incarichi istituzionali che ricopre, ad ascoltarlo, mi aspettavo un nutrito uditorio. I progressisti locali, pochi. Chiti a me è apparso un politico che vede al di là e molto in alto. Mi è sembrato di sentire, saldo nelle proprie idee, la convinzione, la necessità di una forte virata di una certa politica di ieri, anche grazie agli insegnamenti dei due Maestri ai quali dedica il suo lavoro. Egli ha messo onestamente e criticamente in luce la profonda voragine sulla funzione delle religioni nella società, ritenute oppio della persona da un’ideologia vetero-progressista e quella espressa dall’oratore. Nella sostanza ci dice: 197


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Per una società più giusta è essenziale conferire alle religioni un ruolo sociale. L’inculturazione delle religioni è necessaria al progresso della persona.

Vorremmo aggiungere che se si tratta della religione cristiana l’obiettivo da conseguire è più vicino. Il politico progressista, crediamo abbia preso in mano la chiave giusta per instaurare una politica volta a favore della persona e della società, proponendo di servirsi delle religioni, conferendo loro una chiara ed insostituibile funzione sociale. La possibilità, anzi la certezza con ciò di far si che attraverso le religioni si possa approdare all’acquisizione per la persona dei valori religiosi, antropologici, politici, atti a scongiurare la consunzione della nostra società che si pasce di un pericoloso e imperante relativismo. Religioni e politica, ragioni di un dialogo ci fanno vivere i temi: Chiesa e Stato, Fede e Ragione, Scienza e Fede, Credenti e non. E vengo a qualcosa altro che in verità fa parte di quanto sopra espresso. LA LAICITÀ Ritorno su questo argomento, già oggetto di una mia riflessione nel tuo periodico. Il senso di questa parola, oggi mitigato, è stato contrapposto a religione e chiesa. Se si fosse creduto al significato che al termine ha conferito la chiesa cattolica e soprattutto alle parole dell’evangelista: “Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”, incomprensioni tra istituzioni diverse, ma complementari per la promozione della persona, si sarebbero evitate. Il tema laicità fa parte del dialogo, auspicato da Chiti, tra religioni e politica. Quale laicità? Di quella targata “positiva” della quale ci piace ricordare ancora una volta hanno ampiamente trattato Benedetto XVI e il Presidente della Repubblica di Francia, Nicolas Sarkozy, il 12 settembre del 2008. “Laicità nuova dialogo sereno e positivo comprensione più aperta tra religione e politica” tra Chiesa e Stato, laicità sfida! Questi i termini espressi. Benedetto XVI: “Una nuova riflessione sul vero significato e sull’importanza della laicità è divenuta necessaria. È fondamentale, infatti, da una parte insistere sulla distinzione tra l’ambito politico e quello religioso, alfine di tutelare sia la libertà religiosa dei cittadini che la responsabilità dello Stato verso di essi e dall’altra parte, prendere una chiara coscienza della funzione insostituibile della religione per la formazione della coscienza e del contributo che essa 198


può apportare, insieme ad altre istanze, alla creazione di un consenso etico di fondo della società”. E il Presidente Sarkozy tra l’altro: “ È legittimo per la democrazia e rispettosa della laicità dialogare con le religioni… e in particolare la religione cristiana… faccio appello ancora una volta a una laicità positiva, una laicità che rispetta, una laicità che riunisce, una laicità che dialoga e non una laicità che escluda e che denunci”. Fondamentale questo dialogo, tra ambito religioso e quello politico, a così alto livello che anticipa e conferma il pensiero chitiano evocante a gran voce nella politica, finalmente principi e strategie volte al progresso dell’umanità, al di sopra delle ideologie di parte. C’era bisogno e da tempo che un autorevole uomo politico progressista si ergesse a paladino di un dialogo, di una collaborazione ritenuti improponibili nel passato a causa di una politica miope e faziosa. Stimiamo il Chiti. Un politico che sa unire, permeato, dall’illuminante pensiero ecumenico, religioso e politico di un Vescovo, Pastore di tutti, credenti e non, quale è stato a Livorno e nella Chiesa tutta, Alberto Ablondi, al quale dedica il suo lavoro. Agosto 2011 Per il dott. Enrico Dello Sbarba Presidente Associazione Culturale “il CENTRO”. Pubblicato nel “Il Centro” periodico politico culturale n. 114 anno XI.

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Livorno: Sede vescovile e seminario Gavi

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12. Benedetto XVI lascia la cattedra di Pietro “In piena coscienza e libertà” “Dio mi chiama a salire sul monte”

Vicario di Cristo dalle ore 17,50 del 19 aprile 2005 alle ore 20 del 28 febbraio 2013. Il mondo si interroga. Quali i motivi? Molte illazioni. I “media” si smarriscono: età, salute, scandali, intrighi. Satana ha invasa la chiesa? Non tutto è dato sapere ora e nel futuro. Mi sento “un nano” per tracciare un sia pur pallido quadro sulla vita, le opere e il servizio prestati alla Chiesa di J. Ratzinger. Non credo di esimermi a tracciare una breve nota mentre sono in procinto di consegnare alla stampa la mia “poca cosa”: Vivere del Serra. Le parole pronunciate al Concistoro dell’11 febbraio: “Dopo avere ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio sono pervenuto alla certezza che le forze per l’età avanzata non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”. Come tutti i Grandi della chiesa con tenacia si distingue per la ricerca della Verità. IL suo motto episcopale: Cooperatores Veritatis. Teologo insigne, si è speso per la cultura e lo sviluppo della Fede. Fede e Ragione personificate in Gerusalemme e Atene, ha continuato l’opera intrapresa dal suo indimenticabile predecessore, Giovanni Paolo II autore della famosa enciclica Fides et Ratio. Forte il suo impegno per l’ecumenismo, il recupero della tradizione liturgica, sostenitore dell’ermeneutica della continuità nell’interpretazione del Vaticano 2°. Cultore ed educatore dell’antropologia cristiana, strenuo difensore dei valori non negoziabili della persona.

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Contrastò la dittatura del Relativismo, male della società moderna, nemico della Verità alla quale tende in libertà l’uomo con la Ragione sostenuta dalla Fede. Amò e coltivò la musica che “serve ad elevare la mente verso Dio” che ringrazia per “avermi posto accanto la musica quasi come compagna di viaggio che sempre mi ha offerto conforto e gioia”. Ci lascia preziose encicliche: Deus caritas est, Spe salvi, Caritas in Veritate. Sue le Esortazioni apostoliche: Sacramentum caritatis, Verbum Domini, Africae munus, Ecclesia in Medio Oriente. Studiò Gesù storico con vari libri di successo: Gesù di Nazareth, Luce del mondo, L’infanzia di Gesù. Tra le altre sue pubblicazioni citiamo: Svolta per l’Europa, Il sale della terra, La mia vita, Rapporto sulla Fede, Introduzione allo spirito della liturgia, Dio e il mondo, La comunione nella chiesa, Il Dio vicino, Europa, La rivoluzione di Dio, Testimoni del messaggio cristiano. Quest’ultimo è la raccolta di studi sui Padri della chiesa e i primi scrittori cristiani. Profondo ed illuminante lo studio e la cultura della Patristica dalla quale ha estratto molti insegnamenti espressi nella catechesi, volti al suo fermo intento di educare alla formazione cristiana necessaria per una nuova evangelizzazione. Rimarrà in noi impressa la figura di un Papa, dal grande profilo intellettuale, dall’intensa fede in Cristo e nella sua chiesa, umile e coraggioso. Si nasconderà al mondo, noi lo vedremo con l’occhio della mente, in preghiera, sulla cima del monte, più vicino a Dio, alla sua chiesa, a noi, nella preghiera. La musica lo accompagnerà, noi potremo sentirne l’eco, quale invito alla preghiera in una comunione di spiriti in elevazione verso Dio. 28 Febbraio 2013, ore 20 fine del Pontificato.

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INDICE

Pag. Dedica

5

Presentazione

7

Due parole al lettore

9

Brevi di storia del serra internazionale

11

Il Serra club a Livorno

12

Trentesimo del club a Livorno

13

Duc in altum

15

Il programma 2006-2007; 2007-2008

20

Servi del club

23

1. Il Teologo che dava del tu al creatore: J. H. Newman J. H. Newman: il tormento di un’anima in viaggio verso la luce

29

Confessore e penitente convertito

44

Newman a Livorno

47

J. H. Newman lume sulla cittĂ

50

Il laico in J.H. Newman

57

Il primato di Dio nella vita e negli scritti del Beato J. H. Newman

60

2. Due Papi Paolo VI e Humanae Vitae

63

Giovanni Paolo I: una meteora nel firmamento della chiesa.

67

203


3. Il parroco del mondo Giovanni. Marie Vianney: Curato d’Ars

71

Ricchezza e Povertà del sacerdote. Un’icona G. M. Vianney

77

4. Un frate tutto obbedienza Icilio Felici e bisaccia eroica

83

5. Maestro di due Papi Jean Marie Guitton - Un laico al servizio della Chiesa

89

La Vergine di Guitton

97

Due Papi alla scuola di Guitton

100

6. Chiesa e Società in cammino Assisi 2004 IX Congresso nazionale del Serra

103

Serrani in convegno

107

Il Vangelo scuola di umanità

110

Cristo il pedagogo

112

Il pericolo degli ...ismi

122

Per una nuova democrazia: la sfida dei cattolici.

124

Laicità positiva

128

Bioetica e Eutanasia

131

Giustizia e Carità: binomio impossibile?

133

Famiglia e Società

136

La parrocchia tra cristianesimo e cristianità

139

La parabola della mercede: laici e serrani prendere il largo.

141

Il Relativismo

143

204


7. Scienza e Fede Le stimmate tra scienza e fede

145

Creazionismo e Evoluzionismo - Dio e Darwin è tempo di dialogo.

160

Lo stato vegetativo è vita - Il caso di Eluana Englaro

163

Il modernismo cattolico - Acento anni dall’enciclica Pascendi Dominici Gregis

167

La Sindone e S. Pio da Pietrelcina

181

8. Serra day Sul sacro colle anno sociale 2006-2007

183

Sul sacro colle anno sociale 2007-2008.

185

9. Natale 2007 Il primo con il Vescovo Simone Giusti

187

Incontro con Mons. Simone Giusti

190

10. Due lutti A Giovanni Novelli

193

A Alfredo Brauzzi

195

11. Lettera a un amico

197

12. Benedetto XVI lascia la cattedra di Pietro

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Aprile 2013 Impaginazione e stampa: Ed. Il Quadrifoglio, Via C. Pisacane 7, tel. 0586/814033 - L I V O R N O

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Mi è stato chiesto di sintetizzare alcune informazioni sulla mia vita. In breve posso dire di aver avuto la fortuna di fare tante esperienze formative, in luoghi diversi. A Catania la laurea in medicina e chirurgia; a Livorno la mia vita familiare e le prime esperienze professionali; a Vienna e Barcellona il perfezionamento nella giovane branca specialistica di angiologia; a Genova il diploma di specializzazione in angiologia e a Pisa quello in cardiologia. I miei studi si sono indirizzati a tanti interessanti rami della medicina, prevalenti la semiologia, la fisiopatologia, e terapia angiologica. Conseguita la libera docenza in semeiotica medica, ho insegnato questa disciplina presso l’Istituto di Patologia medica e di Clinica medica dell’Università di Pisa. Mi sono occupato di politica sanitaria per gli anziani, per il mondo del lavoro, per la devianza giovanile, per la prevenzione dell’aterosclerosi. Socio onorario della società italiana di flebologia e già membro della direzione della società italiana di patologia vascolare. Ho avuto l’opportunità di poter concretizzare conoscenze e competenze in incarichi istituzionali quali la vicepresidenza del Consiglio di amministrazione degli Spedali Riuniti di Livorno; sono stato eletto al Consiglio del Comune di Livorno per tre legislature. Suggestiva l’esperienza quale membro del Consiglio Superiore della Sanità. Nel cuore ho sempre avuto il desiderio di capire e approfondire alcune problematiche della dottrina religiosa e della nostra fede, in tal senso si realizzano alcune riflessioni, maturate anche da Serrano, che propongo alla lettura dei soci dei Club Serra chiedendo comprensione per le carenze e soprattutto condivisione per le motivazioni espresse con le due parole loro rivolte. Paolo Mirenda 207



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