Il Serrano n.126

Per sostenere le vocazioni sacerdotali

Poste Italiane - Spedizione in abbonamento postale art. 2 comma 20/c L. 662/96 - DCB Sicilia 2003 In caso di mancato recapito rinviare all’Ufficio Poste e Telecomunicazioni di Palermo C.M.P. detentore del conto per restituire al mittente che s’impegna a pagare la relativa tassa

Organo dell’Associazione Serra International Italia • Rivista trimestrale • n.126 Giugno 2012

Congresso di Bari, il Serra costruisce il futuro

editoriale

Giugno 2012

Per sostenere le vocazioni sacerdotali

Poste Italiane - Spedizione in abbonamento postale art. 2 comma 20/c L. 662/96 - DCB Sicilia 2003 In caso di mancato recapito rinviare all’Ufficio Poste e Telecomunicazioni di Palermo C.M.P. detentore del conto per restituire al mittente che s’impegna a pagare la relativa tassa

sommario

Organo dell’Associazione Serra International Italia • Rivista trimestrale • n.126

Congresso di Bari, Il Serra costruisce il futuro

® 3 Il Serra si mette in gioco di Donato Viti

PERIODICO TRIMESTRALE N. 126 ASSOCIAZIONE SERRA INTERNATIONAL ITALIA

II trimestre - giugno 2012 (XXXVI) Registrato presso il Tribunale di Palermo n. 1/2005 del 14 gennaio 2005 Iscrizione al Roc n. 21819 del 16/01/2012 Spedizione Abbonamento Postale Gr. IV Pubblicità inferiore 50%

Direttore responsabile Mimmo Muolo

vita della chiesa

Redazione Renato Vadalà Via Principe di Belmonte, 78 - 90139 Palermo E-mail: ilserrano@serraclubitalia.it

® 4 La Famiglia, risorsa per la società di Stefania Careddu

® 6 Solo la fede ci salverà dalla crisi di Domenico delle Foglie

Comitato di Direzione Donato Viti, Presidente del CNIS Maria L. Coppola, V. Presidente del C.N.I.S. Vera Pulvirenti, V. Presidente del C.N.I.S. Dino Rocchi, V. Presidente del C.N.I.S. Mauro Tangerini, V. Presidente del C.N.I.S. Trustee italiani di Serra International

le interviste

® 8 Il Card. Sarajva: «La Vocazione non ha età» di Salvatore Izzo vita del serra

Redattori distrettuali (si veda il «Bellringers»)

® 10 Riflessioni per un nuovo tratto di strada di Maria Luisa Coppola

Hanno inoltre collaborato a questo numero:

speciale congresso

® 12 Un Partner come Dio educa alla vita? di Maria Gemma Sarteschi

® 13 Un Serra più unito per far maturare le Vocazioni

Salvatore La Spina Alberto Alfano Elsa Soletta Emanuele Costa

Paola Coen Stella Laudadio Renato Rubino Enrico Mori

di Vittorio Dabizzi

® 14 Vincenzo Di Bella: un esempio per il servizio serrano di Francesco Baratta

® 15 La comunicazione: strumento operativo del Serra di Benito Piovesan

® 16 Serra International, movimento di testimonianza di Cesare Gambardella

® 18 È dell’Istrice il nuovo Presidente di Serra Italia di Vittorio Dabizzi

® 19 Le relazioni: Fede e Vocazione tra dono e conquista di Fra Francesco Neri I passaggi interiori della Vocazione cristiana di Rosanna Virgili Il coraggio di educare alla vita di Giuseppe Savagnone Il “buon samaritano” nel tempo della crisi di Antonio Incampo Responsabilità dell’accoglienza nella relazione di cura di Lucio Romano dai club e distretti

® 28 Notizie ed iniziative in dialogo

® 34 Lettere al Direttore In copertina: Bari, la Cattedrale (foto Porzia)

Norme essenziali per redattori e collaboratori

1. Inviare il materiale per la stampa entro e non oltre il 30 Agosto 2012.

2. Inviare i contributi all’e-mail sotto indicata.

3. Inviare foto molto chiare con soggetti inquadrati da vicino.

I redattori distrettuali, i collaboratori ed i Vice Presidenti di Club responsabili delle comunicazioni sono pregati di attivarsi per l’inoltro di brevi cronache relative alle attività svolte dai Club e dai Distretti alla Segreteria di redazione E-mail: ilserrano@serraclubitalia.it

Gli articoli pubblicati esprimono il pensiero dei rispettivi autori e non rispecchiano necessariamente la linea editoriale della testata.

La Direzione si riserva di pubblicare in tutto o in parte le foto, gli articoli e i servizi pervenuti, secondo le esigenze di spazio. Il materiale, anche se non pubblicato, non sarà restituito.

Stampa Luxograph s.r.l. - Palermo tel. fax 091 546543 (e-mail: info@luxograph.it)

editoriale

Il Serra si mette in gioco di Donato Viti Cari Amici Serrani, a conclusione del mio mandato di Presidente nazionale, mi corre l’obbligo di rivolgere a voi tutti indistintamente il mio ringraziamento per l’amicizia che in ogni occasione mi avete riservato. Quando ho iniziato due anni fa il mio incarico, non avrei immaginato quanti chilometri avrei fatto: da Lugano a Catania, da Palermo a L’Aquila, da Napoli a Grosseto, da Roma a Contursi (Sa), e da Viareggio a Palermo, attraverso la nostra bella realtà che, ne sono certo, è assai più promettente di quanto si pensi. Farà parte sempre della mia vita l’emozionante incontro con Sua Santità Benedetto XVI a Roma, quando ho avuto il privilegio di baciargli la mano e di rappresentargli il nostro Movimento Serra Italia, affidando alla Sua protezione la nostra missione di laici a favore delle vocazioni. In quei momenti ero lì per tutti Voi e ho sentito di essere parte di ognuno di Voi. Se il mio piccolo servizio alla Madre Chiesa è stato utile non so, ma che io l’abbia svolto con amore, questo ve lo posso assicurare. E del resto, se non per Amore per quale altra ragione avrei accettato un incarico prestigioso ma da svolgere a tempo pieno?

“Rispondere all’Amore si può” è stato il tema annuale prescelto dal CNV, un postulato indiscutibile per ogni Serrano che si pone all’ascolto della Parola di Dio; in questo percorso di mutua amicizia con i sacerdoti, con i seminaristi si trova la ragione del nostro impegno, per il quale si è pronti a sperimentare nuovi linguaggi, nuove alleanze mirate ad una conoscenza più specifica della Bellezza della chiamata. Quali strumenti oggi possediamo per comunicare alla società civile, agli operatori ecclesiali la missione serrana, è sotto l’occhio di tutti: un periodico aggiornato e dialettico, un portale che sempre più si attesta come portale delle vocazioni, un’informazione interna assicurata dalle news mensili. In qualche club ho riportato la concordia, ben consapevole che nelle difficoltà si presta volentieri la collaborazione, in altri ho favorito l’ingresso di nuovi soci, nella convinzione che la sinergia con altri movimenti può favorire la ripresa del discorso aggregativo. Certo, non sono mancate le difficoltà, anche le delusioni, ma fanno parte di una società che sempre più si allontana da Dio e non ne cerca le ragioni, in cui l’impegno volontario e gratuito a favore dei giovani in cammino sacerdotale è considerato un bisogno personale e non una scelta di vita da testimoniare con fermezza. In virtù di questa opinione diffusa, ci apprestiamo a vivere il Congresso nazionale a Bari, per discutere con relatori qualificati nei diversi ambiti della cultura, il delicato e complesso tema della nostra testimonianza di fede. Il Serra si mette in gioco e si apre al dibattito con la società civile, si interroga sulla validità del proprio operato nella grande famiglia della Chiesa e vuol far conoscere ad un vasto pubblico, anche non strettamente serrano, il fine, l’obiettivo della nostra scelta di vita. Mi auguro che i dibattiti programmati nel Congresso, che coincidono con la giornata mondiale di santificazione sacerdotale per proseguire poi nella giornata dedicata al Cuore Immacolato di Maria, risultino un’occasione per riscaldare i nostri propositi ed infiammare i nostri cuori, che ritrovino l’entusiasmo e la volontà di far vivere al Serra Italia una nuova promessa primavera. Chiediamo insieme a Maria di intercedere per noi e di ottenerci una fede irradiante, una speranza viva e una carità operosa per essere “aperti con Maria alle sorprese del Signore“. Grazie della vostra Amicizia che ha molto arricchito il mio cuore.

Foto ecojournal.it

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rima di tutto la famiglia. Quella fondata sul matrimonio tra uomo e donna e aperta alla vita, quella che deve essere tutelata dallo Stato, quella che può aiutare la società a diventare migliore.

Dal VII Incontro Mondiale delle Famiglie (IMF), che dal 30 maggio al 3 giugno ha radunato a Milano centinaia di migliaia di persone provenienti da 153 Paesi, si è levata forte la voce di Benedetto XVI a favore di un’istituzione sulla quale l’attenzione è spesso più strumentale che reale. La famiglia “va riscoperta quale patrimonio principale dell’umanità, coefficiente e segno di una vera e stabile cultura in favore dell’uomo”, ha detto il Papa. È infatti compito dell’uomo e della donna “collaborare con Dio per trasformare il mondo, attraverso il lavoro, la scienza e la tecnica”.

“Nelle moderne teorie economiche prevale spesso una concezione utilitaristica del lavoro, della produzione e del mercato”, ha rilevato il Pontefice nell’omelia della Messa conclusiva celebrata al Parco Nord di Bresso davanti ad un milione di fedeli, sottolineando che “il progetto di Dio e la stessa esperienza

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vita della chiesa mostrano che non è la logica unilaterale dell’utile proprio e del massimo profitto quella che può concorrere ad uno sviluppo armonico, al bene della famiglia e ad edificare una società più giusta, perché porta con sé concorrenza esasperata, forti disuguaglianze, degrado dell’ambiente, corsa ai consumi, disagio nelle famiglie”.

Secondo Papa Ratzinger “la mentalità utilitaristica tende ad estendersi anche alle relazioni interpersonali e familiari, riducendole a convergenze precarie di interessi individuali e minando la solidità del tessuto sociale”. É invece l’amore gratuito che può risollevare le sorti di un mondo ripiegato su se stesso e sempre meno avvezzo a guardare verso l’alto. “L’amore – ha ricordato il Papa – è ciò che fa della persona umana l’autentica immagine di Dio”. E l’amore coniugale “è fecondo” per la coppia, “nella procreazione, generosa e responsabile, dei figli, nella cura premurosa per essi e nell’educazione attenta e sapiente”, ma anche per la società, “perché il vissuto familiare è la prima e insostituibile scuola delle virtù sociali, come il rispetto delle persone, la gratuità, la fiducia, la responsabilità, la solidarietà, la cooperazione”.

di Stefania Careddu

Per questo, la famiglia va valorizzata, sostenuta e occorre lavorare perché si riesca effettivamente a conciliarne le esigenze con il lavoro, lasciando un tempo adeguato alla festa. “Famiglia, lavoro, festa: tre doni di Dio, tre dimensioni della nostra esistenza – ha insistito – che devono trovare un armonico equilibrio”.

Per il Pontefice, infatti, “armonizzare i tempi del lavoro e le esigenze della famiglia, la professione e la maternità, il lavoro e la festa, è importante per costruire una società dal volto umano”. Conciliare questi tre mondi appare dunque strategico per il presente, ma soprattutto per costruire quel futuro da consegnare alle nuove generazioni.

Proprio i giovani ed i bambini hanno avuto un ruolo da protagonisti all’IMF: in 900, ad esempio, hanno preso parte al Congresso dei ragazzi che si è svolto a FieraMilano City nei giorni precedenti alla visita del Papa (in contemporanea con il Congresso internazionale teologico-pastorale che ha coinvolto 111 relatori di 26 nazioni). A loro il Papa ha chiesto di non essere “pigri, ma impegnati, in particolare nello studio” e di essere “disponibili e generosi verso gli altri”.

“Tendete ad alti ideali, siate santi”, è stato l’invito rivolto agli 80 mila presenti allo stadio di San Siro per l’incontro con i cresimandi.

Lo sventolio delle bandiere e degli striscioni, il susseguirsi di cori e applausi, così come la colorata e gioiosa mobilitazione di grandi e piccoli pennellano un quadro festoso, restituendo un’immagine autentica e bella delle famiglie del mondo. Che vanno avanti, nonostante le difficoltà e la crisi. Che lottano per barcamenarsi tra sacrifici ed esigenze. Che non perdono la speranza anche quando tutto sembra girare nel verso sbagliato.

All’IMF di Milano non è mancato quel concreto realismo che sempre contraddistingue le grandi kermesse cattoliche e così le tematiche attuali – dalla crisi economica alla mancanza del lavoro, dalla sofferenza dei divorziati risposati alla necessità di una politica che mantenga le promesse fatte senza dimenticare la tragedia del terremoto in Emilia – sono emerse in tutta la loro importanza e, forse, nella drammaticità delle loro conseguenze. “La vostra vocazione non è facile da vivere, specialmente oggi”, ha riconosciuto il Pontefice ricordando però che “quella dell’amore è una realtà meravigliosa, l’unica forza che può veramente trasformare il mondo”. E il calore, l’entusiasmo, la fede delle famiglie che hanno invaso Milano e gremito l’area di Bresso ne sono la testimonianza più bella.

5 Foto tempo.it

vita della chiesa

Solo la fede ci salverà dalla crisi di Domenico Delle Foglie

“A

una crisi epocale si deve rispondere con un cambiamento altrettanto epocale, di mente anzitutto, che invece è la più lenta a lasciarsi modificare. Forse è vero che ancora non c’è ovunque la percezione di quanto sia grave la situazione attuale. Il mito della crescita progressiva e inarrestabile è entrato definitivamente in crisi: il debito accumulato stava divorando già le risorse destinate ai figli e troppe popolazioni nel mondo restavano escluse dai processi di sviluppo, senza essere disposte ad un’interminabile subordinazione. Il sistema della comunicazione globale intanto faceva il suo corso, stimolando confronti e accentuando le competizioni. Si doveva cambiare. Si deve cambiare. Di qui l’iniziativa governativa di messa in salvo del Paese, in grado di scongiurare il peggio”.

E ancora: “Non è più l’ora di ricambi di facciata o di mediocri tatticismi spacciati per visioni politiche.

Di pari passo al lavoro sulla dimensione etica, urgono le iniziative che portino crescita e assorbano disagio sociale. C’è bisogno di lavoro, lavoro, lavoro”.

Chi ha pronunciato queste parole così impegnative? Un grande banchiere internazionale? Un leader sindacale o un capo di Stato? Voglio darvi un aiutino con poche altre parole: “C’è un urgente bisogno che si torni a parlare e a vivere di speranza, una speranza affidabile… la nostra missione è missione di speranza”. Ora dovrebbe essere più facile rispondere. A parlare è un vescovo, anzi il presidente dei vescovi italiani, il cardinale Angelo Bagnasco nella sua prolusione all’assemblea generale di maggio. Il suo intervento, fra quanti pronunciati dinanzi ai confratelli, forse è quello più segnato da un’impronta sociale.

Complici anche la crisi economica che investe il Paese, le vicende legate al rinascente terrorismo (vedi il ferimento a Genova del manager Ansaldo) e il ritor-

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no dello stragismo (la bomba di Brindisi che è costata la vita a Melissa Bassi e il ferimento di altri giovanissimi studenti).

Lo sguardo del cardinale si è così piegato sulle condizioni sociali del Paese, senza trascurare le responsabilità dei partiti e la necessità di portare a compimento le riforme. C’è quasi, nelle sue parole, la preoccupazione di mettere in sicurezza il Paese, facendo appello alla responsabilità di tutti e alla necessità di cambiare modelli di pensiero e stili di vita. Ma senza trascurare lo specifico dei cristiani che hanno il dovere di immettere nel corpo della società dosi massicce di speranza. Dove alimentarle e fecondarle? Il cardinale non ha dubbi: nella parrocchia, innanzitutto, il “grembo” adatto ad accogliere chi è alla ricerca di senso anche perché è in grado di donare un “flusso di calore”. Ma anche nello spazio largo della società, dove è urgente ricostruire la “cultura dei legami” che si esprime nella famiglia, nel vicinato, nell’amicizia, nei luoghi del lavoro. Come vivere queste relazioni? Riscoprendo la gratuità e il dono da mettere in campo anche sui fronti della politica, dell’economia e della finanza.

Una singolare costruzione di pensiero quella del cardinale. In questa occasione ha voluto come intrecciare le ragioni della crisi e la qualità della presenza dei cristiani. Quasi a voler indicare una strada: la crisi non prenderà il sopravvento se, come cristiani, sapre-

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vita della chiesa

mo ricostruire le nostre buone relazioni comunitarie, nelle parrocchie come nei movimenti. E magari torneremo a riconsiderare il Concilio Vaticano II per quello che è stato, ovvero “un autentico dono di Dio”.

E un invito a riprendere la strada tracciata dal Concilio è venuto dallo stesso Benedetto XVI, che ha Foto Pignata

accolto in udienza i vescovi italiani. Il Papa, convinto che “il cuore della crisi che ferisce l’Europa è crisi spirituale e morale”, ha invitato i vescovi, “nell’ottica non certo di un’inaccettabile ermeneutica della discontinuità e della rottura, ma di un’ermeneutica della continuità e della riforma, ad ascoltare il Concilio”. Anche in lui c’è la certezza che la Chiesa e i credenti possano contribuire, con la fedeltà al Vangelo, a indicare una strada per fuoriuscire dalla crisi globale.

Ricucendo anche gli strappi di quel “secolarismo che caratterizza le società di antica tradizione cristiana ed erode quel tessuto culturale che, fino ad un recente passato, era un riferimento unificante, capace di abbracciare l’intera esistenza umana e di scandirne i momenti più significativi, dalla nascita al passaggio alla vita eterna”.

Sposando le preoccupazioni di un popolo intero e sostenuto dalla missione affidatagli dal Papa, Bagnasco è convinto che solo attraverso un “gigantesco ripensamento culturale collettivo” che si nutra “del Vangelo che illumina il senso delle cose” è possibile tirarsi fuori, tutti insieme, dalla crisi che ci affligge.

Con quale spirito? Ecco detto: “Intendiamo in questi frangenti metterci a fianco dei concittadini e, se anche non fosse possibile convincerli su Gesù Cristo e la Chiesa, essere loro solidali e amici”. Perché la Chiesa che è in Italia ha un destino che è l’Italia stessa. E un popolo amico, quello italiano.

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Il Cardinale Sarajva Martins: «La Vocazione non ha età.

Il Signore chiama quando vuole» di Salvatore Izzo

“Non credete a chi vi dice che alla vostra età non si possa già avere la vocazione”.

Parlando a braccio nello Stadio Meazza, Benedetto XVI ha offerto questo suggerimento a 80 mila giovani che partecipavano alla “festa dei cresimandi” promossa dall’arcidiocesi di Milano. “Io stesso – ha confidato il Papa – non potrei dire se ho sentito la chiamata al momento della cresima, ma certo è stato quando ero un ragazzo come voi che ho iniziato a sentirla”. Entrato da ragazzo tra i Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria, il cardinale José Saraiva Martins, prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei Santi e Consulente episcopale di Serra International Italia, condivide e fa suo il suggerimento del Pontefice. Lo abbiamo intervistato alla vigilia del Congresso di Serra Italia, aperto dalla sua prolusione sul tema “Educare alla vita buona del Vangelo”.

Eminenza, davvero anche nel mondo di oggi la vocazione può nascere in un bambino?

La vocazione non ha età. Il Signore chiama quando vuole, anche nella giovane età.

Non si deve mettere un limite al Signore. L’età non c’entra: la vocazione alla santità, che riguarda tutti i cristiani, è propria anche dei bambini. Da prefetto delle cause dei santi ho portato a compimento la beatificazione di due bambini: i piccoli veggenti di Fatima Giacinta e Francesco Marto. È stato un evento storico, perché erano i primi bambini non martiri a essere elevati agli onori degli altari. Prima di loro, infatti, non rientrava nella prassi della Chiesa la canonizzazione di bambini: si pensava, in considerazione della loro età, che essi non avessero la capacità di praticare in grado eroico le virtù cristiane, prima condizione per la beatificazione. Ricordo che, nel loro caso, si verificò una cosa molto interessante: arrivarono a Roma migliaia di lettere da tutto il mondo – non solo da parte di semplici fedeli ma anche da vescovi e cardinali – che chiedevano la beatificazione dei pastorelli. Questa mole di richieste ha dato vita a una riflessione all’interno della Congregazione delle Cause dei Santi. Giovanni Paolo II ha nominato una commissione di esperti – teologi, psicologi, pedagoghi – per esaminare il problema. Dopo uno studio

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le interviste approfondito, si è giunti a una conclusione: i bambini sono in grado di praticare le virtù cristiane, naturalmente nel modo a loro possibile.

“Ci saranno santi fra i bambini!”, promise Pio X quando anticipò l’età per ricevere la prima comunione. Lui stesso è poi stato canonizzato, ma non immaginava che la via della santità si sarebbe aperta per una bimba pochi anni dopo e proprio a Roma...

Sì, è la vicenda di Nennolina, la piccola Antonietta Meo, sepolta nella Basilica romana di Santa Croce, dove è molto venerata. Stroncata il 3 luglio 1937 da un cancro alle ossa, tre mesi prima, ad appena 6 anni di età, si rivolgeva per iscritto a Gesù Eucaristia e chiedeva al Signore: “non partire più dal mio cuore, resta sempre, sempre con me.

Gesù, io ti amo tanto, io mi voglio abbandonare nelle tue braccia”. Oggi è in corso il processo di beatificazione.

Si può pensare che la chiusura dei seminari minori abbia contribuito alla crisi delle vocazioni?

I seminari minori hanno dato un frutto immenso: tanti sacerdoti santi, tanti apostoli sono stati chiamati da bambini. Ma il problema della crisi va molto oltre la questione dei seminari minori, sulla chiusura e riapertura dei quali i vescovi credo che non decidano per partito preso ma valutando la situazione concreta del loro territorio. La crisi delle vocazioni è legata invece al cambiamento sociale. La mancanza di vocazioni non dipende dall’età, lo abbiamo detto: Dio chiama i bambini e chiama i giovani.

In che senso la crisi delle vocazioni dipende dalle trasformazioni della società?

Prima le famiglie vivevano in uno spirito profondamente cristiano ed era normale che in un ambiente pieno di fede nascessero vocazioni. Oggi purtroppo le famiglie non sono invece in grado di dare vocazioni perché i genitori non vivono essi per primi il loro matrimonio come una vocazione. E il problema è legato anche al fatto che si fanno meno figli.

Se prima c’erano 3 o 4 figli, e oggi uno solo, in un certo senso si potrebbe dire che manca la materia prima...

All’Incontro Mondiale delle Famiglie di Milano il Pontefice ha raccontato come egli stesso sia nato in una casa dove c’era molta fede A Milano il Papa è stato splendido, ha fornito principi magnifici, ha fatto un riassunto completo di tutti i problemi delle famiglie di oggi ed ha messo in luce quelle domande che oggi sono molto avvertiti, a cominciare dalle sofferenze dei divorziati, ai quali ha detto che lui, il Successore di Pietro, e la Chiesa intera li sostengono nella loro fatica e dunque non devono sentirsi abbandonati. E ha parlato del ruolo delle chiese locali che ha incoraggiato affinché realizzino adeguate iniziative proprio in aiuto delle famiglie spezzate.

L’accoglienza dell’altro, il perdono, una certa creatività nella vita di coppia sono stati i consigli offerti agli sposi che magari con fatica cercano di restare fedeli ai loro impegni.

Da Prefetto della Congregazione delle cause dei santi ho seguito anche i processi di beatificazione delle due prime coppie salite all’onore degli altari: i genitori di Santa Teresina de Lisieux e quella dei coniugi Beltrame Quattrocchi. Nella storia bimillenaria della Chiesa sono state le due prime coppie in assoluto. E entrambe queste coppie hanno generato vocazioni e vite di consacrazione. Credo che mai come oggi le famiglie hanno bisogno di modelli: il matrimonio è una via alla santità, occorre far vedere al popolo di Dio che non è un impedimento ma uno stato. E dire con forza che i santi canonizzati sono solo una goccia nel mare di quella santità che possiamo chiamare anonima. Certamente è questo il punto essenziale che dobbiamo affrontare: il problema della cultura vocazionale. Il tema vero è la vocazione cristiana: occorre educare alla cultura vocazionale. Da parte sua, la Chiesa propone in ogni epoca modelli a cui tutti sono chiamati. Il Serra Club si inserisce in questo cammino con una sua specificità: ha come scopo proprio quello di favorire le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa attraverso questa dimensione educativa.

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vita del serra

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tema del prossimo anno sociale del Serra scaturisce dalle indicazioni che il S. Padre Benedetto XVI ha offerto con la Lettera apostolica Porta Fidei dell’11 ottobre 2011, con cui ha indetto un Anno della Fede. Esso avrà inizio l’11 ottobre 2012, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II e terminerà il 24 novembre 2013, Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo. L’obiettivo che ha sollecitato il Pontefice è quello di proporre agli uomini del nostro tempo «uno sguardo complessivo sul mondo e sul tempo, uno sguardo veramente libero, pacifico».

L’Anno della Fede sarà un’occasione propizia affinché tutti i fedeli comprendano più profondamente che il fondamento della Fede cristiana è l’incontro con un avvenimento, con una Persona, Gesù Cristo risorto, che dà alla vita un nuovo orizzonte.

Foto Pignata

Riflessioni per un nuovo tratto di strada

di Maria Luisa Coppola

La Fede, citando le parole di Benedetto XVI, è un dono che anche ai giorni nostri va riscoperto, coltivato e testimoniato. L’Anno della Fede, «sarà un momento di grazia e di impegno per una sempre più piena conversione a Dio» e «per annunciare Cristo a chi non lo conosce, oppure lo ha ridotto a semplice personaggio storico».

Il Serra International Italia, in comunione con le aggregazioni laicali, accoglie il fervido invito del S. Padre a riflettere sul dono ricevuto e a condividerlo, testimoniando l’esperienza della Grazia in virtù della quale noi Serrani abbiamo pronunciato l’Eccomi all’altare di Cristo, per sostenere in spirito di servizio e di umiltà la nobile causa delle vocazioni.

Il tema proposto all’attenzione dei clubs ha molteplici valenze, è tanto ricco di contenuti che i programmi possono spaziare dalla rilettura dei documenti del Concilio Vaticano II allo studio del Catechismo della Chiesa cattolica, dal dialogo con i non credenti a quello con gli appartenenti ad altre confessioni, dagli itinerari della cultura religiosa attraverso i linguaggi universali delle arti, ai pellegrinaggi nei luoghi dello spirito, in particolare dedicati al culto di Maria, madre di tutte le vocazioni. L’impegno è trovare in modo creativo e generoso i modi più adeguati per offrire la nostra testimonianza di Fede al servizio della Chiesa.

In particolare il tema in oggetto dà l’opportunità di sollecitare l’opinione pubblica sul significato della “chiamata” cui rispondono i nostri seminaristi “germogli” nella vigna del Signore, facendoci portavoce delle loro esperienze di vita, dei loro studi, della gioia con cui si preparano a diventare “araldi di Cristo”. La diffusione delle nostre attività nei singoli clubs e nei distretti, verrà assicurata dal nostro periodico “Il Serrano”, sempre più un giornale di opinione e di confronto sui grandi temi della Chiesa e dal portale che viene letto anche oltre i confini nazionali e ci permette di essere conosciuti rapidamente anche da chi geograficamente è lontano da noi.

Il nucleo fondamentale del tema è come ricercare la Fede: quella sopita, rituale se non occasionale che atta-

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vita del serra naglia l’uomo contemporaneo dirigendolo sempre più ad “una religione fai da te”, che esclude la figura del sacerdote come ministro di Dio, riducendolo talvolta solo amico e compagno di viaggio, ma non più figura di riferimento Ogni giorno di più, mi convinco che in fondo aveva ragione il S. Padre Giovanni Paolo I, quando diceva che «quelli che non credono in Dio combattono, spesso, non Dio, ma l’idea sbagliata che essi hanno di Dio». Molto spesso noi per primi, che ci diciamo cristiani, abbiamo alimentato con le nostre ipocrisie, con la nostra malafede, con l’abissale distanza che ci separa – inevitabilmente – dal nostro Cristo, il clima di diffusa negligenza dei valori cattolici, lasciando la Fede in un angolo del nostro cuore, talora predicandola ma difficilmente praticandola.

Questa diventi la sfida: rimettere al centro della nostra missione laica il ruolo del sacerdote, sostegno e guida della nostra vita spirituale, che accompagni il nostro percorso di crescita nella Fede, soprattutto dei giovani da orientare nelle scelte di vita, preservandoli dai guasti dell’odierna società.

La chiave di lettura della Fede è tutta nella parola incontro: «Anche l’uomo di oggi può sentire di nuovo il bisogno di recarsi come la Samaritana al pozzo per

ascoltare Gesù, che invita a credere in Lui e ad attingere alla sua sorgente, zampillante di acqua viva».

(Gv 4,14 - Porta fidei).

Poiché sapete quanto mi piace la poesia, prendo a prestito le parole del poeta K. Gibran per esprimere il mio sentimento di gioia, che condivido con voi tutti, augurandovi “Buon lavoro”!

Farò della mia anima uno scrigno per la tua anima, del mio cuore una dimora per la tua bellezza, del mio petto un sepolcro per le tue pene.

Ti amerò come le praterie amano la primavera, e vivrò in te la vita di un fiore sotto i raggi del sole.

Canterò il tuo nome come la valle canta l’eco delle campane; ascolterò il linguaggio della tua anima come la spiaggia ascolta la storia delle onde.

K. Gibran

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In vista del Congresso Nazionale di Bari il serrano pubblica qui di seguito alcune riflessioni di dirigenti di Serra Italia e gli estratti di alcune relazioni che verrano offerte ai congressisti il 15-16-17 giugno

Un Partner come Dio educa alla vita?

Ne discute il Serra a risposta per noi cristiani e serrani non può che essere affermativa in quanto siamo stati creati da Dio a sua immagine e somiglianza.Due aspetti fondamentali: il primo comporta che possiamo imparare noi stessi il modo in cui Dio ci educa, il secondo possiamo, perché immagine di Dio, comportarci anche con gli altri allo stesso modo. “Come Dio educa noi, così noi siamo chiamati ad educare noi stessi e gli altri”.

La Scrittura, soprattutto l’Antico Testamento, ci testimonia l’attenzione duplice di Dio: chiama ed educa. Egli trovò un popolo in una terra deserta, lo educò, ne ebbe cura, lo allevò, lo custodì.

Certo l’attenzione di Dio è rivolta a tutto il popolo, ma per salvare tutto il popolo egli dovrà salvare ogni persona singolarmente. E Dio, almeno nella Scrittura, si rivolge al singolo indi- di Maria Gemma viduo, lo chiama individualmente soprattutto al momento in cui affida a questi una missione Sarteschi Mencarini a favore della collettività.

Oggi dobbiamo riprendere questa duplice attenzione nell’educare i nostri ragazzi.

Non è sufficiente educare la singola persona, occorre che le singole persone imparino a vivere in gruppo (a vivere come un popolo).

Dio educa nel rispetto della libertà dell’uomo. Si rivolge a lui con un “Se vuoi ….” Il verbo dovere è usato come conseguenza di una scelta che l’uomo ha già fatto.

“Se vuoi… allora devi….”

I giovani non sono così sciocchi da non rendersi conto di chi li seduce, li corrompe,li illude ma hanno bisogno di una spinta da parte degli adulti per spiccare loro il volo.

La spinta è il nostro lavorare “come squadra”, il nostro ottimismo che ci fa scorgere il cigno che è in loro e non il brutto anatroccolo. Le difficoltà nell’educare oggi nascono sicuramente anche dagli stili di vita che il marketing impone ai ragazzi che crea in loro forti desideri e a noi tante incertezze.

Ma non dobbiamo arrenderci. Dobbiamo essere vivi e vitali per rispondere loro con freschezza.

In un’epoca in cui l’apparire è diventato più importante dell’essere, non sappiamo più “chi siamo, in cosa crediamo.

Il nostro è il tempo “si dice” dell’emergenza educativa vale a dire della ripresa critica dei grandi temi dell’uomo per passare dalla qualità delle cose alla qualità della vita.

Dice Don Bosco: l’educazione è cosa del cuore …. Chi sa di essere amato, ama, e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani….

Se l’educazione è cosa del cuore, cominciamo (non è mai troppo tardi) a dilatare bene il nostro e i giovani ci seguiranno.

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Un Serra più unito per far maturare le Vocazioni ella mia lunga frequentazione del Serra a livello nazionale, sempre si è identificato la distribuzione geografica dei club dividendoli per Distretti, seguiti dal rispettivo numero di appartenenza e tuttalpiù si poteva parlare dei club appartenenti ai Paesi dell’Est. Oggi, tutto questo è cambiato nell’evolversi dei tempi.

Dalle notizie che ci giungono, e dall’attivismo dei vari club con le loro iniziative,sembra che il baricentro serrano si sia spostato da Roma in giù e che il suo sviluppo avvenga grazie ad interventi positivi Credo invece che nelle diocesi che appartengono all’altra parte d’Italia, il Serra continui ad esistere e a portare avanti gli intenti e gli scopi che lo contraddistinguono tra le altre associazioni vicine alla Chiesa cattolica.

Un consiglio che potrei dare a quanti si apprestano a guidare il nostro Movimento è quello di leggere con attenzione la Prima lettera ai Corinzi di S. Paolo e da essa prendere spunto per la futura programmazione a livello generale e scendere nel particolare.

In quel territorio italiano definito come Nord, ci sono club attivi alcuni da oltre trent’anni, altri da venti e venticinque anni, con programmi di tutto rispetto, forse invecchiati come i loro soci, forse basati su troppi momenti di preghiera. Ma perché non tentare di ringiovanire e di svecchiare la pianta vecchia perché germogli la nuova ? Non sappiamo forse che le preghiere senza le opere sono vane ? E allora cominciamo ad operare aiutando chi non è in grado di farlo da solo!

Cosa abbiamo dato a chi bisognava di aiuto? Si sono condivise le esperienze ?

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Abbiamo lasciato che soci inesperti fossero mal gestiti da altri che non conoscevano il vero scopo serrano?

Sarebbe bene aiutare i club a trovare elementi nuovi da portare nella associazione e collaborare a stilare dei programmi atti ad interessare e coinvolgere il maggior di numero delle persone in quelle Vittorio Dabizzi realtà in cui si trovano ad operare, con autonomia, ma riscoprendo il senso e le finalità del Movimento, col perseguire una medesima modalità di azione.

Soprattutto dobbiamo convincerci che non abbiamo da far fronte comune ad un ateismo nazional – popolare, ma piuttosto lavorare in una società che ha fatto dell’anticlericalismo il nuovo stile di vita.

Il nostro impegno è quello di portare avanti il sostegno incondizionato ai sacerdoti e a coloro che hanno risposto ad una particolare chiamata evangelica, essere testimoni e non campioni di proselitismo a favore della fede cattolica.

Benedetto XVI nello scorso anno 2011, ha dato vita ad un movimento, ponendolo sotto la guida del Card.

Ravasi, denominato “la corte dei gentili” ,che dovrebbe cercare di raccogliere le persone atee disponibili ad un colloquio religioso.

Il Cortile dei Gentili era uno spazio sulla spianata del Tempio di Gerusalemme per coloro che non condividevano la fede di Israele; in quel luogo potevano incontrare persone di varie fedi, parlare con degli scribi, discutere di fede e di filosofia, pregare il Dio ignoto, ma non entrare nel Tempio.

Dobbiamo ritrovare l’unione e la coesione per lavorare insieme per il medesimo scopo, aiutando chi rimane indietro a recuperare il passo, essere incisivi, presenti e attivi nella società, secondo il soffio dello Spirito come dice S. Paolo agli Efesini: “un solo Signore, una sola Fede, un solo Battesimo, un solo Dio che è Padre di tutti, perché uno solo è lo Spirito che soffia ed opera in tutti”.

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Vincenzo Di Bella: un esempio per il servizio serrano incenzo, anzi Enzo per tutti noi, é certamente ora tra gli angeli del Paradiso. Abbiamo trascorso insieme nel Serra tanti anni, almeno tre decenni, in un afflato, in un desiderio ardente di servire la Chiesa, le Vocazioni religiose e sacerdotali Nei frequenti incontri con Vincenzo veniva tra noi rinnovata e rinsaldata un’amicizia fraterna, sempre più forte, che costituiva linfa vitale per immergerci, con entusiasmo e gioia, nel servizio alla Chiesa e ai suoi sacerdoti, ai suoi seminaristi e religiosi, cuore pulsante della nostra Chiesa cattolica.

Ero attratto dall’amico Vincenzo per la passione, la determinazione, la concretezza con cui mi parlava dell’impegno che, liberamente, c’eravamo assunti, noi Serrani, tanto che egli era veramente credibile.

Secondo me, ovunque Vincenzo s’è trovato nella sua vita terrena per ragioni di residenza o di lavoro, ha sempre manifestato, con spiazzante naturalezza la ricerca della santità, quale sposo affettuoso di Graziella e padre di Dorino e Alfio e quale credente nell’ambiente del lavoro, dell’associazione di servizio (il Lions Club), della politica, nella ricerca del Bene comune, e in seno all’aggregazione ecclesiale, il Serra Club.

Credo quindi, fermamente, che la sua costante ricerca della santità sia passata attraverso la concreta condizione laicale nelle sue ordinarie espressioni. Enzo sapeva porsi in ascolto di Dio e del suo tempo, privilegiando l’incontro e l’ascolto dei giovani con l’intento

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di indirizzarli alla vocazione a cui personalmente molti di loro erano chiamati.

Mi diceva Enzo: “la santità non è dei religiosi, o solo dei religiosi, la santità è una vocazione universale e quindi a questa noi Serrani dobbiamo tendere”.

Vincenzo Di Bella prima a Pegli, di poi a Napoli e poi ancora nella Francesco Baratta lontana Hong Kong e in Cina ha vissuto il suo impegno professionale e culturale dentro a questioni che oggi urgono in modo speciale quali la globalizzazione e la cattolicità della Chiesa universale.

Ha lavorato nel suo Paese, ma ha capito prima di altri che il suo Paese era il mondo spostando con coraggio i suoi impegni professionali a Hong Kong e in Cina, testimoniando anche fin laggiù i valori della famiglia, del lavoro dell’impegno nel sociale e, quale credente, la fedeltà alla sua chiesa mediante l’aggregazione laicale in cui egli ha creduto per tutta la vita, il Serra International.

Nel suo Paese ha dato vita con altri amici già nel 1970, al Serra Club Pegli; ne è stato presidente per tre anni plasmando quello stile di profetico servizio che, dopo oltre quaranta anni lo fa distinguere tra i club italiani. È stato governatore nell’anno 1976-77.

Vincenzo ha scritto sei libri con contenuti ispirati, profondamente vocazionali, indirizzati a tutti i giovani del mondo.

Ne cito due: “I giovani e la fede in Dio, un dialogo per una ricerca”, 1999, e l’altro libro più recente: “ Lo sai che hai un padre?” 2007.

A Hong Kong e in Cina, dove si trovava per ragioni di lavoro ha fatto tutto quanto, e molto di più. Ha fatto costruire una chiesa in provincia di Hebei nelle vicinanze di Pechino, aiutando con tutte le sue forze la chiesa cinese e i suoi seminaristi. Soprattutto ha realizzato un suo sogno: ha coltivato con amore e determinazione il terreno dove era scesa una vocazione, assumendone la paterna protezione.

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La comunicazione: strumento operativo del Serra avorire e sostenere le vocazioni al sacerdozio ministeriale sono gli obiettivi contenuti nella prima finalità di Serra International. È evidente che si tratta di obiettivi differenti, uniti in un sol punto perchè i destinatari sono gli stessi: i sacerdoti.

Quando si parla di sostenere le vocazioni sacerdotali non si può certo considerare un intervento di mera “assistenza sociale”, ma un impegno più profondo e duraturo nel tempo, che presuppone innanzitutto una stima, una familiarità ed una amicizia che leghi negli anni serrani e sacerdoti e che consenta ai primi di offrire ai secondi sostegno morale e materiale, anche basato sulla propria umanità, esperienza e professionalità. A questo scopo, campo privilegiato dell’attività serrana è il seminario, terreno particolarmente favorevole a porre in di Benito Piovesan essere rapporti profondi e duraturi nel tempo con giovani sacerdoti.

Favorire le vocazioni sacerdotali costituisce un impegno molto più severo, peraltro privo della gratificazione di constatare il raggiungimento di un qualsiasi risultato. Non si tratta più di operare su singole persone, ma su categorie sociali: le cosiddette “agenzie educative”. L’esperienza insegna che raramente la vocazione sacerdotale è legata ad una qualche folgorazione, ma normalmente emerge in ragazzi cresciuti in famiglie che vivono il cristianesimo o in ragazzi inseriti in movimenti religiosi. È quindi l’ambiente che favorisce l’ascolto della “chiamata”. Percorso obbligato è ricordare, nella quotidianità, alla società i principi cristiani e la corretta scala dei valori. La Chiesa italiana si è data come programma per l’attuale decennio la Sfida Educativa, presentata così dal Card Ruini nella prefazione al rapporto-proposta sull’educazione: “Ci muove la speranza di suscitare un dibattito, che abbia il punto di vista dei cattolici come uno dei suoi riferimenti e che sappia incontrare l’interesse di un pubblico il più ampio possibile“. Da non tralasciare inoltre l’Anno della Fede, che il Santo Padre ha indetto tra l’ottobre 2012 e il novembre 2013 per “affrontare la profonda crisi della fede che ha toccato molte persone“.

I Serra Club non sono associazioni cattoliche diocesane e quindi sono liberi di percorrere strade originali per trasmettere un proprio messaggio, mirante a raggiungere soprattutto ambienti ai quali il mondo cattolico non arriva o arriva in modo marginale. Due sono i principi da rispettare: efficienza e penetrazione.

Efficienza, nel senso che i messaggi siano accetti ed Foto Pignata invitino alla discussione o almeno alla riflessione (e qui il C.N.I.S., attraverso la Commissione Cultura, dovrebbe essere l’elemento trainante per tutto il Serra nazionale); penetrazione, nel senso che i messaggi possano circolare ed arrivare alla più amplia platea di persone. Ovviamente detta circolazione avviene attraverso la comunicazione. Accanto alla tradizionale carta stampata e alla parola si è sviluppato un nuovo strumento, internet, che a sua volta si evolve in modo rapido e dimostra sempre più la sua efficienza.

Alcuni esempi: sito web, uno spazio telematico nel quale un soggetto può dire chi esso sia; chat, sistema di comunicazione in tempo reale che consente uno scambio di messaggi tra più utenti collegati simultaneamente; forum, sistema che consente a più utenti di comunicare senza la necessità di essere collegati

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simultaneamente; social network, ambiente web in cui gli utenti possono connettersi, comunicare e condividere informazioni in modo personale. L’importanza dei sistemi di comunicazione web aumenta giorno per giorno, tanto che su tali mezzi si è articolata buona parte della campagna elettorale che permise ad Obama di diventare Presidente degli Stati Uniti. Non sono poi strumenti tanto astrusi, considerato che alcuni Serrani hanno già costituito la loro community tematica in ambiente web ed hanno invitato altri a parteciparvi.

Il panorama sopra esposto invita ogni Serrano a porsi alcune domande: come interpreto personalmente le finalità del Serra?; quanto sono disposto a collaborare con altri per promuovere le finalità statutarie?; ritengo che l’attività e l’organizzazione attuale sia adeguata all’impegnativo compito che abbiamo abbracciato?; cosa possiamo fare per migliorare la nostra organizzazione al fine di essere più efficienti?; quanto la mission serrana conta per me rispetto all’attuale realtà associativa?.

Quanto sopra esposto non vuol essere certo una critica alla politica associativa e ai nostri dirigenti passati e futuri, ma l’occasione del rinnovo del Consiglio Nazionale è una ghiotta occasione per una riflessione personale su come ognuno di noi vorrebbe che il Serra si sviluppasse. Nessuna organizzazione può rimanere immutata nel tempo, altrimenti regredisce sul panorama nazionale.

Il mondo cattolico presenta un vasto spettro di associazioni che, nel tempo, hanno onorato il proprio carisma.

La maggior parte di esse, escludendo quelle di assistenza e di cooperazione sociale, sono ora in crisi, e molte sopravvivono a sé stesse, intendendo con tale concetto che vivono solo per giustificare la loro formale presenza nel panorama associativo.

Il Serra per la sua mission, per la sua struttura, per la sua organizzazione, deve essere sempre adeguato al tempo in cui vive, specie in questa fase storica di rivoluzione comunicativa, che sta modificando molti panorami, anche politici.

Serra International: movimento di testimonianza redo che anche i Club Serra più attivi e meglio organizzati raramente programmino incontri volti a riflettere sulle finalità del nostro movimento e su cosa voglia dire essere serrani.

Leggendo la programmazione di molti club ci rendiamo conto che, al di là di qualche conferenza sia pure istruttiva, ma tuttavia spesso lontana da quelle che sono le nostre finalità, l’unico impegno dei soci è limitato ad incontri di preghiera. Non vorrei essere frainteso: infatti ritengo la preghiera fondamentale per un cattolico perchè, come diceva Giovanni Paolo II “la preghiera può smuovere il cuore di Dio”. Ma mi chiedo che motivo avessero i fondatori di Serra International di creare un Club Service con una complessa organizzazione costituita da Club, Presidenti, Consigli Direttivi, Distretti, Governatori, Board Internazionale, ecc. solo per indurre dei cattolici, che in quanto tali sanno già di dovere pregare, ad inserire nelle loro preghiere quella per le vocazioni.

Su questo punto credo che un autorevole e, spero,

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definitivo pensiero ci è venuto in occasione del Convegno di Roma nel Novembre scorso in cui si sono celebrati i 70 anni di fondazione della Pontificia Opera per le Vocazioni Sacerdotali ed i 60 anni di affiliazione ad essa di Serra International. In quella occasione, in cui il Serra ha dato di una splendida testimonianza di Cesare Gambardella organizzazione e internazionalità partecipando con 81 serrani provenienti da tutti i continenti, hanno parlato del Serra il Santo Padre Benedetto XVI e, in chiusura, il Card. Grocholewski.

Da entrambi è stato sottolineato l’impegno di Serra International “non soltanto con la preghiera” ma anche con le opere e le iniziative nell’impegno sociale, nell’aiuto non solo materiale ma essenzialmente umano nei confronti dei giovani che si avviano al sacerdozio come scelta di vita.

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Una scelta certamente non facile oggi in una società piena di contraddizioni ed in cui la stessa Chiesa vive con difficoltà perché si trova a navigare contro corrente in un mare agitato.

Quali motivazioni per i giovani nell’attuale contesto socio-culturale possono far maturare un progetto di vita sacerdotale?

Serra International, fedele al suo carisma, deve sforzarsi di trovare modi e mezzi necessari per supportare i giovani, fornendo loro validi modelli e per non abbandonare i sacerdoti, specialmente quelli di recente ordinazione, nel labirinto della società contemporanea, nel caos di un mondo in continua e rapida evoluzione in cui è sempre più diffuso il conflitto tra fede e ragione.

Oggi regna più che mai una visione del rapporto con gli altri basato sull’egoismo piuttosto che sull’amore, regna l’assenza o la confusione dei valori, la disintegrazione della famiglia.

I membri del Serra con la propria testimonianza di uomini e donne che vivono in questa società possono e devono certamente distinguersi, manifestando apertamente con iniziative personali o organizzate dai club la propria fede.

Infatti la missione di salvezza affidata alla Chiesa coinvolge non solo la Gerarchia ma, in maniera importante, anche tutti i fedeli laici in virtù del loro stato battesimale.

E per noi, fedeli laici e serrani, il compito è più specifico; è urgente la necessità che la nostra attività in favore delle vocazioni parta dalla ricostruzione di una mentalità cristiana, costruita sulla fede e sostenuta da essa.

Dovremo anche in tutti gli ambiti, comprese le parrocchie, diffondere la convinzione che tutti i membri della

Chiesa, nessuno escluso, hanno la responsabilità di prendersi cura delle vocazioni.

Dobbiamo uscire dal chiuso dei nostri Club, dobbiamo operare nel terreno più difficile della società di oggi, lì dove la Chiesa, con le sue istituzioni, può avere maggiori difficoltà ad entrare, rispondendo così, come laici cattolici, a quanto ci chiede il Concilio Vaticano II e, come serrani, al nostro carisma.

Nei miei incontri con i serrani in cinque continenti ho avuto modo di riflettere constatando quanto profondo sia il loro impegno. La conferma è l’entusiasmo e l’apprezzamento per l’attività del Serra da parte di tutti i Vescovi incontrati nei vari Stati.

Ho potuto verificare come i serrani sappiano coniugare una fervente attività di preghiera comunitaria ad un impegno di testimonianza di vita cristiana, ad una collaborazione con i seminari, con le scuole cattoliche, con le parrocchie, con gli ospedali, con le attività della Caritas, con gli istituti che accolgono, anziani, ragazze madri, orfani, disabili.

Ed è questa testimonianza da parte di uomini e donne che vivono la loro vita secondo il Vangelo che può contribuire a ricreare quella cultura vocazionale che si è persa, facendo sì che il seme della vocazione venga accolto in un terreno dissodato e vi possa crescere e fiorire.

In Asia, in Africa, nell’America Latina i serrani mi hanno particolarmente colpito per il loro attaccamento al Serra, per il loro orgoglio di farne parte.

Ho capito, e vorrei che fosse chiaro a tutti, che la grande forza di Serra International sta nella sua Internazionalità, nel fatto che in tutto il mondo ogni Club, pur nella sua individualità legata alla diversa realtà in cui opera, si senta anello di una catena da cui può trarre forza, stimoli, idee.

Quella internazionalità che gli ha guadagnato il riconoscimento della Santa Sede e l’aggregazione alla Congregazione per l’Educazione Cattolica.

La «Casa del Serra”: centro di accoglienza per incontri e ritiri con trenta camere e gestito dal Serra Club di Montevideo (Uruguay)

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È dell’Istrice il nuovo Presidente di Serra Italia Il socio che assumerà l’incarico di Presidente Nazionale del Serra italiano per i prossimi due anni è l’avv. Antonio Ciacci del Serra club di Siena e guarda caso, proprio della Contrada Sovrana dell’Istrice, la cui sede è proprio a Camollia.

Nato a Montalcino (Si) il 22 dicembre 1952, Antonio Ciacci, sposato con Luana Bogi e padre di Maria Teresa, di professione avvocato, è fiero di essere un “cittin dell’Istrice”, la storica contrada, più volte vincitrice del famoso Palio di Siena e incoronata Sovrana; ha tutte le qualità senesi e toscane, per essere in grado di guidare il nostro Movimento per gli anni futuri e certamente, farà suo il motto Antonio Ciacci, nuovo Presidente, e Dino Viti della contrada “sol per difesa io pungo”.

Socio del club di Siena, dal 1989, presidente del club medesimo dal 2002 al 2004, Governatore del Distretto 171 nel 2007-2008, dal 2010 è stato componente del CNIS, quale coordinatore della Commissione Statuto e Regolamenti, l’avv. Ciacci ha unito l’impegno di serrano ad altri impegni che lo hanno distinto nella società senese: in particolare è stato Ministro dell’Ordine Francescano Secolare cappuccino, in quanto Terziario Francescano professo, distinguendosi soprattutto per l’impegno missionario in terre africane, come volontario nelle Missioni Cattoliche cappuccine in Tanzania.

La sua professionalità forense, esercitata da oltre 36 anni, come avvocato civilista presso il Foro di Siena, e la sua profonda fede cattolica, rendono il nostro nuovo Presidente Nazionale uomo di tutto rispetto e di alta considerazione morale, degno di assumere un incarico così importante in questo momento particolare.

Dopo questa presentazione breve e purtroppo insufficiente, l’augurio che un toscano può fargli è legato molto alla nostra terra e alla nostra civiltà.

La tua concittadina, Caterina Benincasa, anche se della Contrada dell’Oca, ti sappia ispirare per essere come lei diceva: “se sarete quello che dovrete essere, metterete a fuoco tutto il mondo”; sul suo esempio conduci il nostro Movimento a future e promettenti vittorie.

Abbi sempre davanti a te l’affresco del buon governo che campeggia nel Palazzo Pubblico di Siena e S. Bartolomeo, protettore della tua contrada, ti sappia guidare ad ottimi risultati.

Il giorno successivo alla tua presa di possesso, il 2 luglio, è la festa della Madonna di Provenzano: la Vergine che è patrona di Siena, nel cui onore si corre da secoli il Palio, ti protegga e ti aiuti nel tuo prossimo impegno.

Da parte nostra non mancherà il costante ricordo nella preghiera alla Vergine Maria e l’esortazione di S. Caterina : “orsù figliuoli dolcissimi, correte questo Palio e fate che solo sia uno quello che l’abbia”.

Vittorio Dabizzi

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Fede e vocazione tra dono e conquista di Francesco Neri Le sorgenti dell’esperienza di Dio L’esperienza spirituale umana ha raccolto alcune situazioni, nelle quali l’uomo percepisce che non esiste soltanto quello che si raggiunge con i sensi, ma che, nell’intimo e al di là di quanto si vede e si tocca, esiste qualcos’altro, esiste il mistero, esiste l’assoluto.

La prima di tali esperienze è l’incontro con l’essere e la bellezza. In fondo questo è il miracolo primordiale.

La seconda delle esperienza di apertura è l’impatto con il male. La parabola della creazione, infatti, e ancor più quella della storia, non sono senza contraddizioni.

La terza situazione di apertura è la lettura dei desideri. In ogni uomo albergano moltitudini di desideri, che sono la molla (consapevole o meno) delle sue azioni. Vi sono desideri che attengono alla sfera biologica, come il custodirsi e promuoversi nella vita fisica.

Vi è ancora una quarta esperienza di schiusura all’orizzonte dell’assoluto: quella della vocazione. In tutte le religioni, vi sono uomini e donne che, come risposta ad un cammino di ricerca spirituale o anche indipendentemente da questo, si sono accorti che non soltanto essi cercavano, ma che – prima ancora erano cercati, attesi, desiderati. Ne nasce un incontro, intorno al quale – come nell’esperienza dell’innamoramento – viene poi riorganizzata tutta l’esistenza della persona, che dalla chiamata rimane segnata indelebilmente.

Fede e vocazione come cammino Il libro dell’Esodo è l’archetipo del cammino che la fede e la preghiera devono attraversare. Israele proviene dalla Pasqua, dal passaggio del Mare Rosso, ch’è stata un esperienza di salvezza desiderata quanto inaspettata, un’esperienza in cui la presenza di Dio s’era potuta quasi corporalmente toccare.

Davanti a sé Israele ha la Terra promessa, luogo della benedizione e della pienezza della pace. Ma in mezzo c’è il deserto. Il deserto, nella Bibbia, è un luogo ambiguo. Nel deserto l’uomo è solo dinanzi a Dio, senza le mediazioni dei ruoli culturali e sociali. Nel deserto bisogna decidere in tempi rapidi ed ogni errore può costare la vita. Nel deserto si può fallire totalmente o conquistare qualcosa di nuovo e più grande. Tuttavia, nonostante la sua pericolosità, o anzi proprio per questo, è necessario che Israele affronti il deserto, così come sarà necessario che vi entri Gesù, sospinto dallo Spirito che il Padre gli ha donato nel battesimo (Mc 1,12). È così necessario che anche la nostra fede e la nostra preghiera affrontino il deserto della crisi dinanzi al silenzio Dio. In questo deserto, ci attendono tre esiti.

Il primo è l’ateismo. «Dio non c’è, o – se c’è – chissà dov’è, o è come se non ci fosse». Stare dinanzi al Mistero supera le nostre forze, attendere il giorno del Signore è superiore all’ampiezza della nostra pazienza, e si smette di pregare, cominciando a vivere come etsi Deus non daretur. Non è

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detto, infatti, che l’ateismo consista nella negazione esplicita dell’esistenza di Dio, o di qualcuno dei dogmi dei sette concilii ecumenici.

L’ateismo può anche tradursi in una vita in cui Dio, senza essere negato, non ha più nessun significato. Può essere un ateismo non dottrinale ma pratico, e tradursi nel dissolversi dell’orizzonte teologale come l’ambiente nel quale si compiono le scelte della nostra vita. «Ti si crede vivo, e invece sei morto» (Ap 3,1), vien detto all’angelo della Chiesa di Sardi.

Il secondo esito del deserto è peggiore: l’idolatria. Nella Bibbia è in fondo questo l’unico vero peccato: metter qualcosa che non sia Dio al posto che solo a Dio spetta, il primo posto. «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore con tutta la mente, con tutte le tue forze».

Nell’idolatra, il primo pensiero e il primo affetto non sono più Dio ma qualcosa d’altro. Non necessariamente deve trattarsi di qualcosa di illecito. L’idolo può essere anche qualcosa di lecito, anzi di buono e di molto spirituale: la teologia per il professore, la parrocchia per il parroco, il convento da restaurare per il frate…

Si smette di vivere per un obbiettivo per l’assoluto, e si dedica la vita ad un obbiettivo penultimo, che in quanto tale costituisce sempre un idolo. È quanto le nostre prime Costituzioni definivano «l’apostasia del cuore». Dietro un’apparenza di regolare osservanza e di partecipazione puntuale al coro, non pulsa più la ricerca dell’unione con il Dio vivente. Alla Chiesa di Laodicea viene scritto: «Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca» (Ap 3,15-16).

Rimane però possibile l’ultimo esito: la rinascita del desiderio di Dio. Dinanzi alla totale alterità di Dio, dinanzi alla sua radicale e insuperabile misteriosità, l’uomo non può che arrendersi nel silenzio e nell’adorazione: «Non come voglio io, ma come vuoi tu». La fede impara a pregare ringraziando per ogni goccia di bene e confidando che avrà valore anche ogni goccia di sofferenza. La fede impara a pregare chiedendo redenzione: «Fa’, o Dio, che almeno tutto questo serva a qualcosa e abbia un senso».

Fra Francesco Neri Ofm Nato nel 1959 , dopo un tempo di maturazione, nel 1985 è entrato nell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini e nel 1991 è stato ordinato sacerdote. Si è laureato nel 1983 in Giurisprudenza presso l’Università di Bari con una tesi in Diritto processuale civile. Entrato nell’Ordine dei Cappuccini, si è dedicato alla Teologia, fino a conseguire il dottorato nel 1998 all’Università Gregoriana di Roma. Tra i Frati Minori Cappuccini ha svolto il ministero di formatore nello Studentato Teologico di Bari (1994-2006). Già ministro provinciale dei Frati Minori Cappuccini. Direttore della Rivista «Italia francescana», organo dei Cappuccini italiani. Presso la Facoltà Teologica Pugliese è Vice Preside e insegna Teologia Dogmatica. Studioso di don Tonino Bello ha pubblicato tre volumi. Collabora con diverse testate di teologia.

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Le relazioni

I passaggi interiori della vocazione cristiana di Rosanna Virgili La figura di Gesù come maestro trova normalmente delle tipologie di riferimento nel mondo antico del bacino del Mediterraneo e nella cultura ellenistica, adattandosi, specialmente, al modello giudaico del rabbi. Con questo nome, infatti, i suoi discepoli lo chiamavano (cf. Gv 4,31). Ma il rapporto che Gesù stabilisce con i suoi, mostra una certa originalità rispetto anche a questo esempio, che si può valutare su tre livelli: le motivazioni, lo stile e le finalità.

Circa le motivazioni, l’originalità di Gesù sta nel fatto che esse siano legate non a dare una Scuola della Legge, ma ad aprire un orecchio di ascolto ai bisogni delle folle. Le “domande” che sono sulla bocca e nel desiderio della gente spingono Gesù a volersi mettere in sintonia, a com-muoversi, a rispondere, soccorrere, aiutare, pronunciare parole e compiere gesti di amore e salvezza. Per far questo Egli chiamerà degli uomini che siano compagni e ministri in questa passione, in questo compito e in questa diakonia.

Anche sul piano dello stile troviamo una forte originalità nel “gruppo” del rab Gesù. Il maestro nutre, innanzitutto, una grande stima e fiducia nei confronti dei suoi “amici”. Così li chiama e non “servi” (cf. Gv 15,14). Essi costituiscono la nuova famiglia di Gesù (cf. Mc 3,34), a loro Gesù dedica un affetto e una cura molti intensi. Riservata loro in esclusiva è la spiegazione delle parabole e il privilegio di comprenderle (cf. Mc 4,11). E Lui, il maestro e il Figlio di Dio non nasconde il bisogno che ha della loro vicinanza e del loro calore, non solo la notte dell’Abbandono, sul monte degli Ulivi (cf. Mc 14,32-42), ma anche nel lungo e doloroso viaggio verso Gerusalemme (cf. Mc 9-10) e in ogni momento della sua vita pubblica e missionaria.

Proprio la specialità di questo stile getta una luce, infine, sulle finalità della comunità apostolica di Gesù. Essa è diversa da quella delle scuole rabbiniche, rappresentata dalla memoria della Torah e dalla capacità di interpretarla, così come è diversa da quella delle scuole si ispirazione filosofica stoica, epicurea, o gnostica che possa essere, dove l’isolamento dal mondo e il raggiungimento di una particolare consapevolezza o illuminazione intellettuale costituiva lo scopo primario di ogni esercizio.

“Li chiamò perché stessero con Lui”. Perché non voleva stare solo. Perché aveva bisogno di amici e di relazioni. Perché potessero vivere e spezzare un legame di fraternità e di solidarietà tra loro e con le “folle” dell’intera umanità. Perché fossero anch’essi “adottati” come figli di Dio (cf. Rm 8,15).

Per dare segno di questa “vocazione”, Gesù lavò i piedi ai suoi Apostoli. Perché diventassero parte gli uni degli altri, sposando ciascuno la propria umanità, attraverso il corpo dell’altro (cf. Gv 13,317). Diventando, così, una cosa sola tra loro e con Gesù (cf. Gv17,21). “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).

La vocazione dei discepoli di Gesù è la vocazione cristiana ed essa consiste in questo cammino interiore. Qualcosa che solo la testimonianza della fede incarnata può tradurre in parole di missione che siano davvero credibili.

Rosanna Virgili vive a Roma, è laureata in Filosofia all’Università di Urbino, in Teologia alla Pontificia Università Lateranense e licenziata in Scienze Bibliche al Pontificio Istituto Biblico di Roma. Attualmente è Docente di Esegesi dell’Antico Testamento presso l’Istituto Teologico Marchigiano (Pontificia Università Lateranense) e l’Istituto Santa Cecilia di Roma. Tiene conferenze di carattere biblico in tutta Italia e collabora a diverse riviste fra cui Parola, Spirito e Vita, Rocca, Ricerche Storico Bibliche, ecc. Fra le sue pubblicazioni: Geremia, l’incendio e la speranza. La figura e il messaggio del profeta (Bologna 1998); Ezechiele. Il giorno dopo l’ultimo (Bologna 2000); Giustizia e fraternità. Beato oggi l’operatore di pace (Saronno 2002); Vostro giudice sarà la pace. Lectio divina su testi di Isaia (Milano 2006); Le stanze dell’amore (Assisi 2008); Eros, puro, amabile, dolce (Assisi 2009); Su la maschera! Usi e abusi da Ester alla chirurgia estetica (Assisi 2010).

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Le relazioni

Il coraggio di educare alla vita di Giuseppe Savagnone L’espressione “emergenza educativa” evoca, nell’immaginario collettivo, l’idea che la risposta dei nostri giovani ai messaggi educativi sia più problematica rispetto a quella dei loro coetanei di altre epoche. Ma è proprio vero che le cose stanno così? In realtà i giovani sono sempre stati trasgressivi e i nostri non lo sono probabilmente più degli altri.

E allora? La denunzia di un’“emergenza” riguardante l’educazione è semplicemente infondata, o almeno esagerata? Neanche questo probabilmente sarebbe vero. Che qualcosa di nuovo stia accadendo ai nostri giorni è innegabile. Ma non riguarda tanto le nuove generazioni, quanto gli adulti, gli educatori. Sono loro che non sanno, in questo momento, svolgere il loro ruolo educativo. In altre epoche la comunicazione da una generazione all’altra ha funzionato. Non si vuol dire con questo che si siano sempre trasmessi dei valori autentici. Ma la trasmissione, nel bene o nel male, c’è stata. La nostra è la prima generazione di adulti, forse, che spesso non sa più che cosa dire ai propri figli; che, se pure crede di aver qualcosa da dire, non sa più come dirlo; e che, anche quando sa che dire e come dirlo, non ha più la passione per provare a dirlo in modo convincente. In una parola, oggi manca non tanto la disponibilità a essere educati, quanto il coraggio di educare!

Dove recuperare questo coraggio? Savagnone propone di andare oltre Kant. Per tutto l’Ottocento e buona parte del Novecento, infatti, la morale è stata automaticamente identificata col senso del dovere e con l’osservanza di una serie di comandi e di divieti, al punto da rendere difficile perfino sospettare che essa potesse avere un altro significato. E in questa versione essa è stata nettamente contrapposta ai sentimenti, alle passioni, ai desideri, considerati pericolosi fattori di perturbamento rispetto al “tu devi” imposto dalla coscienza razionale. «Prima il dovere, poi il piacere», suona un detto che intere generazioni di genitori e insegnanti hanno ripetuto, fino ad oggi, ai loro figli e alunni.

L’«imperativo categorico» non ammette di porre sulla stessa linea l’obbligo di fare ciò che è giusto e l’aspirazione alla felicità che pure è presente nel cuore umano, ma li contrappone, subordinando il diritto di perseguire quest’ultima all’adempimento del dovere.

La stessa morale cristiana si è appiattita, per due secoli, su questo schema. I “dieci comandamenti” sono stati interpretati come “imperativi” kantiani, da rispettare a qualunque costo perché “giusti”, dimenticando che essi in ebraico e in greco sono chiamati «le dieci parole» (da dove l’italiano “Decalogo”), non “comandamenti”, e che, secondo gli esegeti, essi vanno letti alla luce dell’affermazione iniziale: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile» (Es 20,2), che non è un comando, ma un gioioso annuncio di liberazione. Da qui il senso di ciò che segue: non si tratta di doveri e di divieti, ma di un appello a vivere all’altezza di questa nuova libertà donata da Dio. Qualcuno vi ha visto perfino una promessa: ora che Dio lo ha liberato, finalmente non si dovrà vivere di illusioni, servendo altri dèi e adorando delle immagini; finalmente si potrà vivere da uomini e donne veri, stabilendo rapporti autentici con gli altri. Nulla che abbia che fare con una repressione, con un limite alla piena espansione umana, al contrario!

Come se non bastasse questo equivoco, ad esso se ne è aggiunto un altro, vale a dire la riduzione della morale cristiana a quella dell’AT. Quasi che il messaggio del NT non aggiungesse nulla alla precedente prospettiva e Gesù fosse venuto inutilmente! Ora, la magna charta del messaggio evangelico, enunciata da Cristo nelle Beatitudini, non è fondata sui comandi, neppure nella forma particolare che essi avevano nel Decalogo, ma sulla promessa della felicità («beati…, beati…, beati…»), intesa non come semplice piacere, ma come piena realizzazione di una vita degna di questo nome, appunto di una “vita buona”.

Analogamente, non si è abbastanza valorizzato il fatto che Gesù, a chi gli chiedeva quale fosse il comandamento più grande, non ha citato nessuno di quelli della Legge, bensì l’amore, che certo non è un dovere. Così, si è dato più peso alle regole e ai precetti che ne derivano, piuttosto che alla prospettiva essenziale aperta da Dio all’uomo, perché egli sia felice e la sua vita sia pienamente realizzata.

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I doveri, certo, ci sono pure, ma come risvolto dell’amore: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola» (Gv 14,23). Come un marito osserva il dovere della fedeltà non per rispetto delle regole, ma per amore della sua donna. Quanto è diversa la prospettiva!

Davanti alla morale del “dovere”, la cultura contemporanea reagisce con un senso di insofferenza che la porta a esaltare la trasgressione e i vizi come espressione di libertà e di vera fecondità. «Dai diamanti non nasce niente;/ dal letame nascono i fior», cantava Fabrizio De Andrè nella sua canzone Via del Campo. La virtù, intesa nel senso kantiano di obbedienza alle regole, è guardata con sospetto, come un sinonimo di quella repressione da cui Freud ci ha messo in guardia. Oggi sono i vizi a interessare, tanto che le pubblicazioni a loro riguardo si moltiplicano, esaltandone la valenza umana. E si dice a qualcuno che è virtuoso, ormai, solo per prenderlo in giro.

Nessuna meraviglia che i giovani non si riconoscano in questa visione morale. Ma in realtà i primi a non accettare più l’etica del dovere (e della proibizione) sono gli adulti. Che lo si esalti o lo demonizzi, è un fatto che il Sessantotto ha spazzato via molte certezze a questo riguardo. Le nuove generazioni non fanno che recepire un vuoto che non sono state loro a creare.

Davanti al fallimento sia dell’etica tradizionale del dovere che di quella dell’autenticità e delle preferenze, si pone il problema di trovare una terza via. Oggi forse essa può venire dal recupero, in atto soprattutto nella filosofia anglosassone, di una prospettiva morale più antica di quella kantiana e che ha le sue origini nel pensiero greco, soprattutto in quello aristotelico, anche se poi è stata accolta e sviluppata nella tradizione cristiana, specialmente da san Tommaso d’Aquino.

Alla base di questa prospettiva non ci sono regole da rispettare e obblighi da adempiere, ma la domanda fondamentale che ognuno di noi si pone: che cosa desidero veramente? Come vorrei che fosse la mia vita? Questo linguaggio sicuramente parla molto più direttamente agli uomini e alle donne del nostro tempo, specie ai giovani, assetati di un’autorealizzazione che è diventata forse il solo valore veramente indiscutibile ai loro occhi. La tradizione filosofica la chiamava “felicità”, l’unico bene, secondo Aristotele, che l’uomo desidera possedere per se stesso e non in quanto strumento per l’acquisizione di un bene ulteriore.

Ma ciò implica che si trovi qualcosa che può davvero garantire la nostra piena realizzazione e dunque renderci felici. Qualcosa che susciti in noi le energie spesso sopite del desiderio di vivere, abbagliandoci con la sua bellezza.

Il coraggio di educare alla vita è, in questo senso, il coraggio di vivere bene. Gesù può attirare tutti, credenti e non credenti, perché in lui vediamo il modello di una vita ben vissuta. Agli educatori cristiani del nostro tempo si può solo augurare di seguire le orme del «“maestro buono” (Mc 10,17), che ha detto e ha fatto, mostrando nella propria vita il suo insegnamento» (n.16).

Giuseppe Savagnone Ha maturato la propria visione di fede all’interno di un piccolo gruppo spontaneo di universitari e professionisti, la cui attuale denominazione è “Comunità Cristo Sapienza”, di cui è stato uno dei fondatori e continua ad essere un responsabile. Collabora ancora oggi attivamente alla pastorale giovanile nella sua parrocchia (S. Espedito) come responsabile di un gruppo di universitari. È docente della Scuola di formazione politica “Pedro Arrupe” e della Scuola superiore di specializzazione in bioetica e sessuologia dell’Istituto teologico S. Tommaso di Messina. Dal 1990 è direttore dell’Ufficio diocesano per la Pastorale della cultura di Palermoi.

Dal 1992 al 2002 ha diretto anche l’Ufficio regionale per la cultura, l’educazione, la scuola e l’Università, della CESi (Conferenza Episcopale Siciliana). Partecipa al Forum della CEI per il Progetto culturale. È stato coordinatore, insieme a Michele Pennisi, dell’area culturale nel primo Convegno delle Chiese di Sicilia del 1985. È stato relatore, insieme a Mons. Miglio, all’Assemblea dei cattolici toscani, indetta il 17 marzo 2012 dalla Conferenza Episcopale Toscana in vista della Settimana sociale dei cattolici toscani (maggio 2013). È stato invitato come esperto a tre Assemblea plenarie della CEI (ultima, quella tenutasi in Vaticano dal 25 al 29 maggio 2009, in cui è stato deciso di scegliere come tema degli Orientamenti pastorali 2010-2020 il problema educativo). Fa parte del comitato “Scienza & Vita”. Dal 1999 al 2002 è stato membro del Comitato Nazionale di Bioetica. Partecipa come relatore al Simposio internazionale di Scienze Umane organizzato in estate, ogni anno, dal CIAFIC (Centro de Investigaciones en Antropologia Filosofica y Cultural) a Mar del Plata. È editorialista dei quotidiani “Avvenire” ( su cui ha curato anche, dal 1997 al 1999 la rubrica settimanale di commento al vangelo domenicale) e “Giornale di Sicilia”, del settimanale dell’episcopato toscano “Toscana oggi” e di quello della diocesi di Alghero “Dialogo”. Ha collaborato anche con “L’Osservatore Romano”. Ha curato per la RAI due cicli di riflessioni al mattino. Ha partecipato più volte a trasmissioni di Sat (oggi Tv) 2000 - per cui ha tenuto, nella stagione 2004-2005, un ciclo di conversazioni sulla scuola – e al programma “A sua immagine” su Rai 1. Collabora con Radio Maria, di cui cura, insieme ad Ina Siviglia, la rubrica “Vangelo, cultura e vita”.

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Il “buon Samaritano” nel tempo della crisi di Antonio Incampo “La carità [caritas] è la sintesi di tutta la Legge”. Poggia qui la chiave di volta dell’enciclica Caritas in Veritate (2009). Per questo discuterò tre tesi: la carità è una virtù “rivelata” molto più della giustizia commutativa o distributiva di Aristotele; la carità è un dovere della ragion pratica universale, e non soltanto della Rivelazione; la carità è il modello di una nuova finanza e di un diritto responsabile nel tempo della crisi.

Il discorso evangelico non è né teologico, né metafisico. Ama, semmai, l’exemplum; annuncia l’universale nei nomi particolari. Il “buon Samaritano” si prende cura dello sconosciuto o straniero (magari nemico) spogliato e percosso dai briganti sulla via di Gerico. Per la giustizia tradizionale nulla sarebbe dovuto; per la carità, invece, no. La vita dell’altro è una condizione essenziale del nostro esserci.

L’argomento del Samaritano, se non entra direttamente (né vi potrebbe) nella teoria del diritto, dialoga sicuramente con i concetti giuridici fondamentali. Ne troviamo una traccia nell’art. 539 del Codice penale italiano con riferimento al reato di “omissione di soccorso”. E non solo nel codice italiano. Nei sistemi di Common Law si parla di “duty of active aid” o, più incisivamente, di “duty of rescue”.

2. L’idea “metafisica” di Kant Kant cita il caso di un tale al quale tutto va bene, sì che potrebbe benissimo aiutare chi versa in gravi difficoltà. La domanda è se vi sia un dovere a dividere i propri beni con chi è nel bisogno. La straordinarietà dell’argomento kantiano consiste nel ricondurre il “dovere di aiuto” nell’àmbito di una critica [Kritik] universale della ragione.

L’argomento è il seguente. Colui che sta bene di suo, grazie alle proprie sostanze, si trova a ragionare così: “Che me ne importa? L’altro sia felice quanto piace al Cielo o quanto può esserlo da solo; io non lo priverò di nulla, anzi neppure lo invidierò; ma non intendo dare alcun contributo al suo benessere e soccorrerlo nel suo bisogno”. La domanda è se questa massima possa valere come legge universale. Forse una legge del genere è pensabile, ma non è certamente desiderabile. Ogni uomo, infatti, che si trova nel bisogno desidera sempre l’amore e la simpatia altrui: “Anche se è possibile che esista una legge universale della natura conforme a quella massima, è però impossibile volere che tale principio abbia valore universale di legge della natura. Infatti, una volontà che prendesse partito per esso cadrebbe in contraddizione con se stessa, perché sono possibili i casi in cui quest’uomo potrebbe aver bisogno dell’amore e della simpatia altrui e in cui priverebbe se stesso di ogni speranza di ricevere l’aiuto desiderato, proprio in virtù della legge di natura istituita dalla sua volontà”.

La legge morale è per Kant “incorporata” nelle viscere dell’uomo. Qui il pensiero filosofico sembra definitivamente annodarsi alla Rivelazione. Scrive Paolo nell’Epistola ai Romani (2, 14-15): “Quando i

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pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non avendo la legge, sono legge a se stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano, ora li difendono”.

3. La carità nel tempo della crisi La profonda recessione economica che ha investito negli ultimi mesi l’Europa con il pericolo di default di molti paesi (compreso il nostro), e ancor prima la grave crisi finanziaria esplosa nell’estate del 2007 con la questione dei mutui subprime e il fallimento della banca di investimento Lehman Brothers (oggi rischia anche la grande banca d’affari JP Morgan), diversamente dalle altre crisi che avevano finora colpito le economie emergenti nella periferia del sistema globale, si sono generate proprio al centro del sistema finanziario mondiale. Ad essere clamorosamente in difficoltà sono l’intero modello economico neoliberista e la sua politica. Una malattia ha sempre delle cause. Se è vero che i “derivati” non sono gli unici responsabili della malattia, ne sono sicuramente tra i fattori principali.

E allora quale modello? La vera sfida è fare entrare nei sistemi economici il valore del principio di “gratuità”, oserei dire la filosofia del “buon Samaritano”. Non è un ulteriore paradosso. Come sottolinea Benedetto XVI: “mentre ieri si poteva ritenere che prima bisognasse perseguire la giustizia e che la gratuità intervenisse dopo come un completamento, oggi bisogna dire che senza la gratuità non si riesce a realizzare nemmeno la giustizia”. Mi spiego. L’antitesi migliore alle risorse finanziarie speculative e a breve termine, è il valore della sostenibilità delle imprese a lungo termine, del loro servizio all’economia reale. In tal senso, le iniziative economiche verso i Paesi poveri rappresentano una strada colma di risultati tutti da scoprire. Si tratta di cose ben diverse dai processi di “delocalizzazione” delle imprese per lo sfruttamento di particolari condizioni di favore dei Paesi ospitanti, senza alcun senso di responsabilità nei confronti dei diritti dei lavoratori di tali Paesi, a vantaggio esclusivo degli azionisti non legati ad uno spazio specifico.

La carità può essere un fattore reale di sviluppo.

Antonio Incampo Professore ordinario di Filosofia del diritto all’Università di Bari. Già Direttore del Dipartimento di Diritto penale, Diritto processuale penale e Filosofia del diritto dell’Università di Bari, è attualmente Presidente dei Corsi di Laurea della II Facoltà di Giurisprudenza della stessa Università (sede di Taranto). È autore di numerosi saggi di filosofia della validità giuridica e semiotica del linguaggio normativo. Tra le sue opere principali: “Atto e funzione. Sistema di deontica materiale a priori”(Adriatica, Bari 1997); “Validità funzionale di norme”, con una prefazione [Vorwort] di Herbert Schambeck (Cacucci, Bari 2001); Insignito nel 1998 del “Wolfgang Reitterer Orden” della Presidenza della Repubblica d’Austria per meriti culturali.

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Responsabilità dell’accoglienza nella relazione di cura di Lucio Romano La vulnerabilità, cifra dell’esistenza umana, deve essere considerata nel sociale paradigma inclusivo o esclusivo? È questo l’interrogativo di fondo al quale dobbiamo dare una risposta ragionevole e credibile per ognuno.

Riconoscere che la vulnerabilità è condizione sostanziale dell’essere umano, in tutte le sue fasi di sviluppo dal concepimento alla morte naturale, richiama l’etica della responsabilità. La responsabilità ci interpella non solo per intersoggettività (essere con gli altri) ma ancor più in nome della reciprocità (essere per gli altri); ci obbliga ad assumere un impegno che consenta di trattare ogni essere umano da eguale e non egualmente; ci invita a dare una risposta a chi ci interpella indipendentemente da qualsiasi giudizio circa le sue condizioni esistenziali; ci richiede una presa in carico dell’altro nella consapevolezza della doverosità dell’impegno nel “rispondere di” soggetti deboli, fragili. Declinare la relazione umana in termini di responsabilità significa, come ricorda W.T. Reich, farsi carico della vulnerabilità come “condizione segnata dalla possibilità della violazione e del limite, spesso definita da gradi diversi di debolezza, dipendenza, mancanza di protezione.”

La responsabilità si fonda sull’accoglienza e offrire ospitalità – nella pienezza del termine – interpreta radicalmente l’impossibilità di ritenere l’altro straniero morale. La consapevolezza dell’amicizia morale tra eguali – inscritta nella comune-unione sociale nonché fondata sulla dimensione ontologica della finitezza e sulla dimensione ontica della malattia – apre alla relazione di cura.

Cura è attenzione, premura. È essere uno per l’altro, senza “dipendenza” o “dominio”. Cura è modalità costitutiva della relazionalità umana, è un affidarsi reciproco nella fragilità. Cura è arte morale, rappresentazione tangibile della “nostra identità fondamentale”. Rifiutare cura significa ridursi a soggetti irrelati, nella solitudine di monadi “senza porte e senza finestre”.

Risulta evidente il legame diretto e indissolubile tra vulnerabilità, cura e responsabilità, “in un vero e proprio circuito virtuoso di cura che è anche un circuito di responsabilità” (M. Gensabella Furnari). Il riconoscimento della vulnerabilità dell’altro non può rappresentare l’oppressione del più forte sul più debole o la soppressione – diretta o indiretta – del più fragile da parte del meno fragile, né tantomeno l’ostinazione o l’accanimento. “La vulnerabilità stabilisce una relazione asimmetrica tra il debole e il potente, nel senso che richiede l’impegno morale del più forte a proteggere il debole al di là di ogni condizione” (W.T. Reich).

Dalle riflessioni in ambito antropologico e bioetico emerge la questione sociale e politica. “La democrazia, come concezione politico-sociale e come ideale etico, si fonda sul riconoscimento dei diritti inviolabili di ognuno, indipendentemente da qualsiasi giudizio circa le sue condizioni esistenziali. […]

Fondamento della democrazia è la premura verso la realtà esistenziale di ogni essere umano, la quale presuppone il rispetto del diritto alla vita: da assistere secondo le potenzialità che ci offre la scienza, nella relazione di cura”, così riporta il Manifesto di Scienza e Vita (Scienza e cura della vita: educazione alla democrazia). Democrazia è riconoscere il più debole, tutelarlo e consentirgli di far parte – in piena dignità – della comunità sociale, in pienezza di diritti. Altrimenti la ratifica che il più forte prevalga sul più debole.

Nello storico discorso tenuto al Parlamento Federale (Berlino, 22 settembre 2011) Benedetto XVI ricorda che: “Servire il diritto e combattere il dominio dell’ingiustizia è e rimane il compito fondamentale del politico. In un momento storico in cui l’uomo ha acquistato un potere finora inimmaginabile, questo compito diventa particolarmente urgente. L’uomo è in grado di distruggere il mondo. Può manipolare se stesso. Può, per così dire, creare esseri umani ed escludere altri esseri umani dall’essere uomini. Come riconosciamo che cosa è giusto? Come possiamo distinguere tra il bene e il male, tra il vero diritto e il diritto solo apparente? […] Come si riconosce ciò che è giusto? […].

Contrariamente ad altre grandi religioni, il cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato, mai un ordinamento giuridico derivante da una rivelazione. Ha invece rimandato

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alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto – ha rimandato all’armonia tra ragione oggettiva e soggettiva, un’armonia che però presuppone l’essere ambedue le sfere fondate nella Ragione creatrice di Dio.[…] Il concetto positivista di natura e ragione, la visione positivista del mondo è nel suo insieme una parte grandiosa della conoscenza umana e della capacità umana, alla quale non dobbiamo assolutamente rinunciare. Ma essa stessa nel suo insieme non è una cultura che corrisponda e sia sufficiente all’essere uomini in tutta la sua ampiezza. Dove la ragione positivista si ritiene come la sola cultura sufficiente, relegando tutte le altre realtà culturali allo stato di sottoculture, essa riduce l’uomo, anzi, minaccia la sua umanità.”

Dire che ogni essere umano, dal concepimento al termine naturale, ha un suo intrinseco valore non negoziabile non è affermazione apodittica, ma si fonda per natura e ragione. Le stesse evidenze delle scienze biomediche rilevano l’unitarietà di un armonico processo biologico in cui ogni essere umano è tale fin dal concepimento e così in ogni fase del suo progressivo e costante sviluppo, senza salti o soluzioni di continuità. L’essere umano è titolare di dignità sua propria – per sua “natura” – e non può essere ridotto alla categoria del “qualcosa”: da soggetto a oggetto. Non può essere utilizzato come strumento in vista di un bene, privato o pubblico.

E sul tema dei valori irriducibili e non negoziabili vorrei riportare la riflessione del Card. Angelo Bagnasco, tratta dalla Lectio Magistralis al Seminario di Todi del 17 ottobre 2011: “Sono in gioco […] le sorgenti stesse dell’uomo: l’inizio e la fine della vita umana, il suo grembo naturale che è l’uomo e la donna nel matrimonio, la libertà religiosa ed educativa che è condizione indispensabile per porsi davanti al tempo e al destino. Proprio perché sono «sorgenti» dell’uomo, questi principi sono «chiamati non negoziabili». […] Senza un reale rispetto di questi valori primi, che costituiscono l’etica della vita, è illusorio pensare a un’etica sociale che vorrebbe promuovere l’uomo ma in realtà lo abbandona nei momenti di maggiore fragilità”.

Lucio Romano Dirigente ginecologo del Dipartimento Scienze Ostetrico Ginecologiche - Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Ha svolto dal 1981 al 1990 attività di ricerca presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR, Settore di specializzazione: Medicina Sperimentale). Docente di Ostetricia al Corso di Laurea Specialistica in Scienze Ostetriche. Dottorato di ricerca in Bioetica conseguito presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma; Master in Bioetica presso la Pontificia Università Lateranense; Perfezionamento in Bioetica, a indirizzo didattico-filosofico, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Componente: Comitato Etico Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Tor Vergata, Roma; Socio della Società Italiana per la Bioetica e i Comitati Etici (SIBCE). Componente: Comitato Scientifico de ‘I Quaderni di Scienza & Vita’; Comitato editoriale rivista ‘Studia Bioethica’. Direttore scientifico rivista ‘La Salute’. Consigliere nazionale Associazione Medici Cattolici Italiani. Autore di numerosi articoli in ambito ostetrico-ginecologico e bioetico, pubblicati su riviste specializzate. Giornalista pubblicista.

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Distretto 77

Congresso distrettuale

“La luce del Vangelo sul vissuto sociale” è stato il tema del convegno Distrettuale, tenutosi a Catania nei locali del Seminario Arcivescovile. Il Convegno è stato organizzato, al termine del suo mandato biennale dal Governatore del Distretto 77 dott. Salvatore La Spina al quale l’assemblea -a chiusura dei lavori- su proposta formulata dalla “Commissione nomine” dei Past Governatori, ha rinnovato l’incarico per l’anno 2012-2013, affiancandogli due Deputy: il dott. Cherubino Fiorini per la Sicilia e il dott. Dott. Pasquale Cama per la Calabria. Il tema del Convegno si è articolato su argomenti finalizzati a dare un contributo di idee per un rinnovamento etico, politico e sociale nella consapevolezza che la crisi, che in atto stiamo attraversando, affonda le sue radici in un degrado di valori, e nella convinzione che, dalla crisi, si esce solo recuperando i principi morali ed etici che sono alla base di ogni sviluppo del vivere comune. Il mondo infatti sta attraversando una fase di trasformazione che incide su tutte le variabili sociali, suscitando sfide educative che interpellano gli assetto economici, sociali e politici sopra citati. Tali sfide inducono a cercare, e trovare, risposte adeguate, nella responsabile certezza che, solo attraverso il dialogo, è possibile superare gli interessi di parte, ribadendo che la dignità della persona e la ricerca del “bene comune” devono essere, sempre, i fari della vita pubblica. Il nostro movimento laico -ancorato, per la sua formazione, ai principi del Vangelo- è profondamente convinto che la crisi che agita il nostro tempo, potrà essere affrontata e superata solo alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa, che trova la sua sorgente nel Vangelo.

Sotto tale luce, l’Arcivescovo Metropolita di Catania, Mons. Salvatore Gristina, ha affrontato la tematica di “linee fondamentali sull’accoglienza e l’integrazione negli orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per decennio 2010-2020”.Subito dopo, il Dott. Ivan Lo Bello, Vice Presidente Nazionale della Confindustria, si è soffermato sull’attuale crisi economica, politica e sociale, illustrando i principi di “Etica ed economia”. È intervenuto, poi, il rappresentante dell’Ordine dei Commercialisti ed Esperti Contabili di Catania, Dott.Salvatore Toscano che ha discusso su “I principi di deontologia nello svolgimento della professione di commercialista”. Moderatore dell’incontro è stato il dott.

Cesare Gambardella, Past President International del Serra. L’esposizione dei relatori è stata seguita da un appassionato dibattito sui diversi temi trattati. Ha concluso il Convegno l’intervento del Presidente Nazionale del CNIS, avv. Dino Viti che si è soffermato sulle caratteristiche del nostro Movimento e su riflessioni attinenti il tema del Convegno stesso.

Salvatore La Spina

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Acqui 690

Concorso scolastico

Il Serra Club di Acqui, per volere del Presidente Oldrado Poggio e di tutti i soci, ha indetto il concorso Scolastico tra gli alunni delle scuole primarie della diocesi aderendo al tema proposto dal Concorso Serra Nazionale: I componenti della giuria- sigg.re insegnanti Marenco Ida - Norese Elisabetta Rota Maria Grazia e Tardito Luigina- hanno analizzato i numerosi elaborati giunti ed hanno stilato la classifica dei premiati.

1° PREMIO (Euro 150) Classi 3aA- 3aB – 5a A – 5a B - Scuola Primaria Damilano IC Pertini - P.zza Bausola, 3 15076 OVADA (AL) - Insegnante NERVO Anna Maria. Il lavoro “CREAZIONE 2012” presentato su DVD dimostra ottima aderenza alla traccia proposta. I componenti del gruppo, con le loro rappresentazioni grafiche, essenziali e pertinenti, hanno sviluppato l’argomento partendo dalla storia della Creazione e presentando esempi significativi di persone ( soprattutto della realtà locale) che hanno fatto del Bene la loro ragione di vita. Belle e profonde le riflessioni, accompagnate da un sottofondo musicale adeguato.

2° PREMIO (Euro 100) Gruppo catechismo Classe 5a primaria - Parrocchia N. S. Assunta Chiesa Cattedrale 15011 Acqui Terme (AL) Nel CD musicale “DIO CI AMA”, il gruppo è riuscito a interpretare e a sviluppare il tema del concorso con un brano musicale piacevole ed orecchiabile. Il testo è particolarmente significativo e coglie bene il concetto del libero arbitrio che Dio Creatore ha concesso all’uomo.

Anche l’interpretazione, che alterna voci corali e voci soliste, è piacevole ed armonica.

3° PREMIO (Euro 100) Il lavoro su DVD “LA LIBERTA’ DI SCELTA” affronta l’argomento in maniera completa e articolata, con abbondanza di immagini e riflessioni significative.

Ogni bambino, a volte con la collaborazione della famiglia, ha sviluppato una parte del tema proposto, apportando il proprio contributo.

Buono il sottofondo musicale così come la rappresentazione grafica.

4° PREMIO (Libro- Bibbia dei ragazzi) Zoccola Cristina - Gruppo catechismo Classe 5a primaria. Parrocchia N. S. Assunta Chiesa Cattedrale 15011 Acqui Terme (AL) Il disegno “IL BENE E IL MALE” rappresenta graficamente la libertà di scelta tra bene e male con semplicità, spontaneità e creatività.

Gli elaborati sono stati inviati tutti a Roma per partecipare anche al Concorso Nazionale.

Il 25 Aprile durante la giornata diocesana dei chierichetti si è svolta alla presenza del S.E. Mons. Micchiardi, e di numerosi sacerdoti delle varie parrocchie diocesane la premiazione dei ragazzi. Il Vescovo ha avuto parole di stima ed affetto per questa lodevole iniziativa serrana, che coinvolge i giovani e li aiuta a riflettere su temi impegnativi e profondi.

Venezia 578

Giubileo a Feltre

L’anno giubilare al Santuario dei Santi Vittore e Corona, presso Feltre, si è concluso lunedì 14 maggio. I due Santi vennero martirizzati in Siria durante la persecuzione di Aurelio nel 171 d.C.. I loro corpi furono portati prima a Cipro poi a Venezia da reduci di una crociata.

Il Serra Club di Venezia ha organizzato sabato 12 maggio un pellegrinaggio a detto santuario, situato in cima ad uno sperone del monte Miesna a quota 340 s.l.m., in località Anzù,. Il momento spirituale è stato completato dallo splendido panorama della vallata feltrina e dalla bellezza degli affreschi, nei quali si nota l’influenza di tre scuole trecentesche, quella di Giotto, quella di Bologna e quella di Tommaso da Modena. Il Rettore, don Sergio De Rosa, ha celebrato la Santa Messa davanti alla tomba dei Santi Martiri e poi ha illustrato ai Serrani la chiesa di antichissime origini.(1096-1101). Nel refettorio dell’attiguo convento, è stata offerta la possibilità di ammirare i magnifici dipinti e nel chiostro gli affreschi che ricordano i miracoli dei Santi Martiri avvenuti tra il 1200 e il 1400.

Paola Coen

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Il Serra e le famiglie dei seminaristi Mons. Rega, don Stefano come ama essere chiamato , Rettore del Seminario Vescovile di Aversa, non fa mai mancare l’ appuntamento annuale con le famiglie dei suoi ragazzi,seminaristi e studenti, nella cui valenza crede profondamente, e, visti i risultati di adesione e partecipazione, bisogna dargli ragione. Ha una natura accogliente, una mente aperta, crede nell' importanza del confronto cordiale e costruttivo e figuriamoci se non lo avverte appunto con le famiglie dei suoi allievi, i quali, trovano in Seminario un clima familiare nel quale coltivare e far crescere la vocazione.

Ogni anno ci si incontra con genitori, nonni, fratelli, senza i ragazzi, in un clima di accogliente fratellanza, ad ascoltare un momento di riflessione con guide qualificate del mondo ecclesiale, in tematiche di forte attinenza alla pastorale vocazionale, in primis, ma anche a quella familiare. Il Serra Club è sempre invitato e presente.

In genere ciò avviene in una ridente struttura d’ accoglienza della Diocesi aversana, in una località della verde Irpinia, Mugnano del Cardinale. Quest’ anno l’ incontro si è tenuto, invece, in Seminario per la concomitanza dell’ordinazione diaconale di due seminaristi nel pomeriggio.

Relatore Don Paolo Gentili, responsabile nazionale della Pastorale familiare, un simpatico sacerdote toscano dalla parola coinvolgente nella sua semplicità .Cita inizialmente il vasaio di Geremia(18,6) e il Siracide, “come argilla nelle mani del vasaio … così gli uomini nelle mani di Colui che li ha creati(33,13)” per aprire il discorso della formazione in un momento storico con evidenti fragilità nella famiglia e nella comunità cristiana.

Don Paolo traccia un’ analisi che, in estrema sintesi, parte dal calo preoccupante delle vocazioni, non solo presbiterali e di speciale consacrazione, ma anche dei matrimoni sacramentali, che trova le motivazioni anche nella scarsa fecondità delle famiglie e delle comunità cristiane: quando la famiglia non ha accompagnato la crescita e non c’è un’ adeguata comunità cristiana di riferimento è necessaria nei soggetti una lenta e delicata opera di ricostruzione di orizzonti valoriali solidi. Fermo restando il primato educativo familiare, l’auspicio è quello che la comunità cristiana sia una “Famiglia di famiglie” in modo tale da accompagnare i suoi figli alla scoperta affascinante del progetto di Dio su di loro. Il discorso scende un po’ più nel profondo quando don Paolo parla di “chiesa domestica”, dove la sacramentalità della coppia coniugale precede, è fondamento per la nascita di una comunità cristiana :”La Chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell’ intima unione con Dio e dell’ unità di tutto il genere umano”(LG1), e ancora “la sacramentalità della Chiesa rimane in particolare rapporto con il matrimonio, il sacramento più antico” citando importanti brani del Concilio Vaticano II, dove relazione sponsale uomo – donna e famiglia, piccola chiesa domestica, sono i cardini dell’ ecclesiologia di comunione, “intima comunità di vita e di amore” profumo della vita buona del Vangelo. Un percorso ricco di spunti di riflessione,con il richiamo all’ amore, quello sponsale, esigente, attraverso la “Lettera alle famiglie” di Giovanni Paolo II , dove viene detto:” La famiglia va dunque amata, sostenuta e resa protagonista attiva dell’ educazione non solo per i figli, ma per l’ intera comunità”, con il tema della sponsalità in questi ultimi anni molto sottolineato vista l’ insistenza per secoli sulla “verginità” quasi come via esclusiva di santità.

Don Paolo ha affrontato in seguito il tema della figliolanza come esperienza generativa e fondante per ogni persona umana notando, come emerge dai corsi per fidanzati che, benché il matrimonio sia un sacramento per adulti, sia nella crescita umana che nella fede, spesso s’ incontrano persone che, a dispetto dell’ età, non sono cresciute pienamente nei due aspetti. “Occorre – dice – una riscoperta del battesimo in chiave sponsale”. Un delicato passaggio “nel Mistero grande” che porta il divino in carne umana, citando le parole della Familiaris Consortio dove Giovanni Paolo II afferma:”Il matrimonio e la verginità sono i due modi di esprimere e di vivere l’ unico Mistero dell’ Alleanza di Dio per il suo popoli”. Il relatore conclude sottolineando come non ci sia competizione tra le due vocazioni, alla vita religiosa e al matrimonio, nel quale l’ eventuale anelito alla prima può portare comunque alla santificazione . Quindi dalla famiglia dipenderà l’ evangelizzazione del terzo millennio, come hanno detto gli ultimi Papi, e di conseguenza le scelte vocazionali.

E’ seguito un interessante dibattito, con interventi di alcuni genitori, che seguono il cammino vocazionale dei loro figli con affetto e trepidazione, consapevoli della grande responsabilità ma infinitamente grati al Signore per la fiducia riposta nelle loro famiglie. Da tutti i presenti, un concorde consenso sull’opportunità di incrementare gli spazi di incontro con gli educatori, gli amici serrani e quanti a vario titolo contribuiscono al sostegno umano e spirituale dei loro figli, “una famiglia delle famiglie”, appunto!

Alberto Alfano

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Latina 420

La religione nella società

Si chiude, con la riflessione su “Il ruolo della religione nella società civile”, il ciclo di conferenze relativo a “Cattolici, Chiesa, Stato, nell’Italia unita, nei 150 anni dell’Unità d’Italia”. È intervenuta come relatrice la prof.ssa Valentina Pelliccia,dell’Università Lateranense. Sede della conferenza, promossa congiuntamente dal Serra e dal M.E.I.C., è stata l’aula magna “S. Monica” della parrocchia di S. Rita a Latina.

La prof.ssa Maria Forte, docente di filosofia, ha introdotto al tema richiamando alcuni aspetti essenziali della relazione incentrati sulla dimensione metafisica nel pensiero di Aristotele, Nietzsche e Heiddegger. La Pelliccia analizza il tema accentuando l’importanza della relazione, che è il luogo eminente di incontro tra laici, presbiteri e società. Un itinerario essenziale per una cultura calata nella storia del tempo e del luogo. E si chiede: “Ma la religione rientra in un argomento della società e nella sfera della natura dell’uomo? Stando alla definizione di Aristotele, secondo cui l’uomo è un animale razionale, la relazione dell’uomo con Dio va riconosciuta non solo da riflessioni dettate per studi o per fede, ma anche sulla conoscenza e l’esperienza”. Da questo assunto si evince che l’uomo non può fermarsi alla sola raccolta dei dati per conoscere Dio, perché nell’esperienza è già coinvolta la nostra razionalità capace di cogliere le differenze e l’essenza delle cose attraverso l’intelletto. Viviamo nel mondo, ma non siamo del mondo (Heidegger), con immediatezza sappiamo che noi siamo qui perché c’è un prima e un dopo, cogliere sul piano fisico la causa significa cogliere una relazione da qualcuno che viene prima e determina il dopo. Dice Tommaso: “la causa prima di tutte le altre è causa dell’esistenza di tutte le cose, questo è Dio, causa ultima, essenza necessaria”. Dionigi l’Areopagita parte per la sua riflessione dall’alto della fonte che è Dio, e da Dio vede sgorgare i doni del bello, del vero, del bene. Ancora Tommaso scrive nella Summa Theologiae: è l’amore di Dio che crea e infonde la bontà nelle cose”. Aristotele definì il bene come ciò a cui tutte le cose tendono. La natura dell’uomo, essenzialmente religiosa, si pone il problema della vera religione e si apre alla relazione. La vera religione “è quella che corrisponde alle esigenze dell’uomo e trova nel bene comune la piena realizzazione”. Emmanuel Levinas ci ha insegnato che “essere-per-gli-altri è la struttura essenziale primaria della soggettività”. Oggi, all’interno della cultura dominante, assistiamo al culto dell’io, in cui tutti i desideri individuali diventano bisogni da soddisfare ad ogni costo. In questa situazione si finisce per negare ogni convergenza sociale e si diventa incapaci di elaborare un progetto politico finalizzato al bene comune.

Il Cristianesimo unisce civiltà e religione e mira alla terra e al cielo. La civiltà è la perfezione transitoria e media, la religione è la perfezione finale, immanente, la metanoia.

Stella Laudadio

Viterbo 433 Il Tau e l’Ordine degli Antoniani La sera del Aprile 2012 i Serrani viterbesi hanno potuto incontrare di nuovo, dopo dodici anni dalle “tre giornate” di manifestazioni dedicate alla Via Francigena, il Prof. Caucci Von Sauchen dell’Università di Perugia, studioso di vera eccellenza delle Vie Medievali di Fede. Questa volta il Professore ci ha intrattenuto sul tema: “Il sacro fuoco, il Tau e l’0rdine degli Antoniani”. Il centro della conferenza era naturalmente rappresentato da S. Antonio Abate, detto S.Antonio del Fuoco, fondatore del Monachesimo cristiano. Si deve alla penna del suo discepolo Atanasio, Vescovo di Alessandria d’Egitto tutto quanto sappiamo del Santo che nacque nella terra del Nilo a Qumana, nel 251, da ricchi genitori cristiani. Ben presto Antonio, rimasto orfano, si sentì attratto dal Vangelo, vendette tutti i suoi averi e si ritirò nel deserto della Tebaide in preghiera. Fu tormentato continuamente dal demonio che gl‘insinuava il tarlo dell’inutilità della vita da anacoreta e lo percuoteva fino a fargli perdere i sensi Antonio si ritirò poi per venti anni in un anfratto di montagna pregando, costruendo canestri e, poiché li accanto aveva una fonte di acqua, cibandosi di solo pane e acqua. Poi scese dalla montagna, avendo deciso di aiutare gli altri a liberarsi dal demonio. Si formò intorno a lui una comunità di eremiti che seguiva i suoi dettami. Nel 311 l’imperatore Massimino Daia prese a perseguitare i cristiani ed Antonio venne in loro soccorso, poi tornò al deserto dove morì a 106 anni il 17 gennaio 357. Circa 300 anni dopo, a seguito dell’occupazione dell’Egitto, le sue reliquie furono portate a Costantinopoli. Nell’XI secolo un nobile francese, Jocelin de Chateau Neuf, in un viaggio di fede in Terra Santa e Turchia ricevette in dono dall’imperatore di Costantinopoli le reliquie di S. Antonio Abate che 35 furono subito portate nel Delfinato di Francia a Vienne.

Nel XII secolo nell‘area del Mediterraneo e successivamente in tutta Europa si svilupparono varie epidemie fra le quali quella del “fuoco sacro”.

Le popolazioni, ignorandone il pericolo, si cibavano di frumento di segale avvelenato da un fungo parassita che sviluppava una malattia detta ergotismo la quale procurava un bruciore irresistibile in tutto il corpo. Un‘altra malattia con stessi sintomi di bruciore era l’herpes zoster anche detto “fuoco di S. Antonio”. La gente disperata invocava il santo del Sacro Fuoco e pensava che se S. Antonio riusciva a vincere le fiamme dell’inferno, sarebbe riuscito anche guarire il “fuoco sacro”. Sempre più persone si rivolgevano al santo anche organizzando dei pellegrinaggi.

In Italia la devozione popolare verso S. Antonio Abate è molto sentita, spe cialmente nei paesi e nelle campagne dove il 17 gennaio di ogni anno vengono benedetti gli animali domestici, si rappresentano sulle piazze brani della vita del Santo anche in versione dialettale, si accendono falò notturni (a Bagnaia, frazione di Viterbo, viene accesa una pira alta otto metri e trenta di diametro che brucia tutta la notte tra il 16 ed il 17 gennaio).

Attraverso i secoli famosi pittori, come Pisanello, Velasquez, Teniers il Giovane, Grunewald, Cezanne, Dall e molti altri ancora hanno voluto raffigurare aspetti della vita travagliata del Santo taumaturgico, che iniziò il lungo cammino del Monachesimo realizzatosi poi saldamente nella persona di S. Benedetto da Norcia vissuto, anche lui, come il Santo egiziano, negli anfratti delle montagne laziali meditando e scrivendo una perfetta regola di vita monastica.

La bella e vigorosa conferenza del Prof. Caucci è terminata con la proiezione di dipinti esposti nei vari musei del mondo nei quali si nota sempre un richiamo al “sacro fuoco”.

Elsa Soletta Vannucci

giugno 2012

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Brindisi 1041

Arte, tradizione e fede

“Sulle orme di Pietro e Paolo: Viaggio nella vita cristiana” era questo il tema del percorso vissuto attraverso un variegato e stimolante pellegrinaggio a Roma, nella fantastica e pia Città Eterna, organizzato dal Presidente del Club di Brindisi, dott. Angelo Pomes, con l’imprescindibile contributo di don Giuseppe Satriano, quale fondamentale guida spirituale.

Un mix di appuntamenti con la fede, con la storia, con le tradizioni, con l’arte, partendo proprio dalla vita dei Santi Pietro e Paolo, che hanno “scosso” positivamente, dal punto di vista spirituale e cognitivo, l’intero gruppo del Serra che ha preso parte all’iniziativa. E, da parte sua, l’intero gruppo si è lasciato scuotere liberamente, senza tentennamenti, senza se e in maniera totale da quanto visto, ascoltato (soprattutto!) e letto in quei tre giorni di puro e inebriante bagno nell’oceano dei veri sentimenti, delle vere passioni dello Spirito, del vero amore, della reale eternità, della smisurata pace e dell’incommensurabile bellezza di Dio. Una bellezza che, giorno dopo giorno, ora dopo ora, minuto dopo minuto, secondo dopo secondo, chilometro dopo chilometro, passo dopo passo assumeva diverse forme, diversi corpi, diverse sensazioni, ma che era riconducibile ad un’unica mano; quella mano tesa a tutti noi, con pazienza e con infinito amore e garbo, da Gesù, Nostro Signore, sin dalla Notte dei Tempi, dal tempo della sua Morte e della sua Resurrezione.

Una mano che ha ridato quella speranza necessaria per vivere gioiosamente la propria particolare vita, quella che gli è stata assegnata da Dio, sia nel mondo laico che in quello clericale.

E stata un’escalation di fortissime emozioni, come l’incredibile esperienza che ha inondato di autentiche cascate di amore il cuore di ogni fedele che ha intrapreso questo viaggio. L’incontro con le Suore della Carità di Madre Teresa di Calcutta. In particolare, con suor Elena, una donna che aveva in animo, da giovane, tutt’altro percorso per la sua vita. Ma importante è stata anche la visita alla “cella” di Madre Teresa di Calcutta. Lì, uno spazio non superiore a 3-4 metri quadrati, dove Madre Teresa si riposava ma pregava soprattutto per gli altri, per coloro che sono stati dimenticati dal mondo terreno e lasciati del tutto al proprio destino dai ritmi frenetici della vita moderna. Guidati, però, da Dio, attraverso le parole, le mani, l’amore e la fede di Madre Teresa, in un’altra dimensione, quella della speranza e dell’attesa. Ogni angolo della cella trasudava della testimonianza e della fede vera e propria di Madre Teresa. Una fede e una speranza che si sono materializzate poco dopo, durante la celebrazione della Santa Messa, officiata dal Don Satriano, nella casa dell’accoglienza.

Quella stretta di mano, nel segno della Pace, ci ha ridato vigore e la forza per andare avanti. Non sarà facile, ma la “pacca” sulla spalla ricevuta dal Signore aiuterà tutti, agevolando il compito di ognuno di noi. Quello di non aver paura di esternare, di divulgare la Parola di Dio. In tutta questa magia, ha avuto un diverso significato persino la visione di un’opera d’arte che tutto il mondo ci invidia: la Pietà di Michelangelo, all’interno della Basilica di San Pietro in Vaticano. Vista sotto altro aspetto e con l’ausilio delle affascinanti parole di Suor Rebecca, Missionaria della Divina Rivelazione (altro momento particolarmente e spiritualmente intenso l’incontro con il suo carisma), la “Pieta” si è rilevata per tutto il suo valore, non artistico, ma religioso. Maria, in quanto Immacolata, proprio per questo è rappresentata col il volto più giovanile di suo Figlio Gesù, a testimoniare il “senza peccato” e il momento del concepimento del Figlio. E poi il suo atteggiamento, soprattutto con la mano sinistra, quasi a invitare alla meditazione, nell’atto della consegna simbolica del Figlio a tutti noi. O il contatto tra un piede di Gesù Cristo morto, tra le sue braccia, con un mezzo tronco di Ulivo, a ricordare a tutti la Pace. Insomma, l’opera racchiude in sé tutto il “Mistero” umano, così come fu immaginato da Michelangelo, senza ricevere influenze o suggerimenti particolari dai suoi committenti. E’ questo il vero significato.

Ecco perché è ubicata nella Basilica più grande del Mondo.

E poi, seguendo il percorso intrapreso dal Serra Club, riflessioni importanti sono state fatte nell’avvicinarsi alla Tomba-Sepolcro di Pietro, alla Tomba-Sepolcro di Paolo, al martirio di uno e al martirio dell’altro. Inevitabili, a questo punto, anche l’incontro con la Carità delle suore Vincenziane nella Città del Vaticano, con Suor Paola in particolare, e con la visita del Dispensario Pediatrico sempre in Vaticano. Un altro atto di amore verso i bambini in difficoltà.

Renato Rubino

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il serrano n. 126

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Lugano 669

Al Sacro Monte di Varallo

Il Seminario Diocesano San Carlo, il Seminario Diocesano Missionario Redemptoris Mater e gli amici del Serra Club di Lugano si sono recati giovedì 17 maggio al Sacro Monte di Varallo. Il pellegrinaggio è stato guidato dal rettore del San Carlo don Willy Volonté e dal vicerettore don Tomasz Wojtal.

Una giornata intensa ed interessante che ha permesso di scoprire questo storico complesso religioso, una vera e propria “Terra Santa in miniatura”. Infatti, il Sacro Monte di Varallo e’ il più antico ed il più importante tra tutti i Sacri Monti, ideato dal Padre Francescano Bernardo Caimi nel lontano 1478, il quale, constatando la gravità della minaccia turca per i pellegrini che si recavano in Terra Santa, volle replicare i principali santuari della Palestina in una località dell’Occidente. Ecco allora la realizzazione, nei secoli seguenti, del Santuario e di ben 45 cappelle che attraverso immagini e più di 800 sculture di grande pregio artistico sviluppano la “Storia della Salvezza” lungo le tappe della vita di Cristo, toccando l’animo e i sentimenti del pellegrino.

Particolarmente significativo, per i visitatori ticinesi, il prendere coscienza della grande devozione di S. Carlo Borromeo che frequentemente si recava in ritiro al Sacro Monte di Varallo, l’ultima volta solo tre giorni prima della sua morte.

La giornata è trascorsa veloce, in spirito di grande allegria ma anche di profonda spiritualità condivisa in particolare nella celebrazione dell’Eucarestia nel giorno dell’Ascensione. Una vera e propria occasione per condividere la gioia dell’amicizia e la serenità della preghiera comune, offrendo in tal modo ai presenti una migliore conoscenza reciproca e incentivando l’impegno per nuove vocazioni.

Emanuele Costa

Pontremoli 827

Libro-intervista “Luce del mondo”

Il Serra Club ha organizzato sabato 19 maggio presso la Sala di Rappresentanza del Comune di Pontremoli una conferenza sul tema: Papa Ratzinger si racconta: il libro – intervista “LUCE DEL MONDO”. Il Presidente del Club, dopo il saluto agli intervenuti ha presentato il relatore Andrea Tornelli, vaticanista del “La Stampa” e scrittore, il quale, prendendo spunto dalla conversazione che Benedetto XVI ha avuto con il giornalista tedesco Peter Seewald nel 2010 a Castelgandolfo in cui il S. Padre parla delm rapporto tra Chiesa, fede e società contemporanea, ha fatto conoscere aspetti, a prima vista non molto noti, del Papa facendone risaltare la sua figura di Patore umile ed al servizio della Chiesa.

Dalla fiducia incondizionata nell’aiuto dello Spirito Santo per la scelta ricaduta su lui all’elezione al Soglio Pontificio alla dichiarazione, con voce tremante, durante il suo primo saluto dalla Loggia centrale della Basilica di S. Pietro “Dopo il grande Giovanni Paolo II, Dio ha eletto me, un semplice ed umile lavoratore nella vigna del Signore” ed ancora “Ricordati che non sei il successore dell’Imperatore Costantino, ma di un pescatore” come insegna nel “De Consideratione” S. Bernardo; dalle lacrime per l’incontro con le vittime degli abusi sessuali al famoso discorso tenuto alla “sua” Università di Ratisbona, dove nella lectio magistralis Papa ha citato un passo tratto da un antico libro che riportava il dialogo tra l’imperatore bizantino Manuele Paleologo e un eredutiopesiano tra Cristianesimo e Islam; nell’occasione il S. Padre pensa di parlare ancora da “professore”, avendo coconcepito e tenuto quel discorso come una lezione strettamente accademica, senza tenere conto che il discorso di un Papa viene considerato non dal punto di vista accademico ma politico.

Attraverso questi “esempi”, Andrea Tornelli” fa emergere la volontà del Papa di mettere sempre e comunque in primo piano non la sua figura ma la figura del Cristo.

La conferenza si è chiusa con la risposta a varie domande, che un pubblico numeroso ed attento ha rivolto al relatore su argomenti dim attuali quali il “caso Orlandi” e la “Fraternità Sacerdotale San Pio X”.

E. M.

giugno 2012

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in dialogo

Lettere al Direttore • Lettere al Direttore I valori non negoziabili L’articolo a pag. 10 e 11 del n.124 de IL SERRANO induce ad alcune riflessioni a proposito dei c.d. valori non negoziabili, cioè dei principi primi o fondamenti dell’etica e della morale cristiana cattolica peraltro condivisibili anche dai cosiddetti laici. È contraddittorio prospettarli come oggetto di un problema politico, perché quei valori proprio in quanto fondamenti della fede cristiana cattolica non possono divenire oggetto di transazione, categoria tipica della dinamica politica parlamentare. Pertanto la constatazione che fin dal ritorno della democrazia in Italia frequentemente i cosiddetti valori non negoziabili siano stati trattati come oggetto di un problema politico non trova altra plausibile ed adeguata spiegazione se non nella loro strumentalizzazione a fini di proselitismo politico – partitico, al punto da ridurre la loro condivisione a spartiacque di appartenenza ad un partito politico piuttosto che ad un altro. La misera mediocrità di tale strumentalizzazione emerge dalla comparazione con la profetica affermazione di Alcide De Gasperi secondo cui la Democrazia Cristiana era un partito di cattolici, non già il partito dei cattolici. Ciò nonostante la suddetta strumentalizzazione persiste tuttora, peraltro grottescamente se si considera che i cosiddetti valori non negoziabili non essendo passibili di compromessi, in sede politico – parlamentare non sono assoggettabili al criterio della maggioranza, che disciplina la formazione delle relative deliberazioni e, quindi, di volta in volta la tutela di quei valori non può che venir affidata alla coscienza dei singoli parlamentari con conseguenti differenziazioni trasversali ai diversi gruppi politici.

Aurelio Verger Caro Verger, grazie per la sua riflessione che pubblico, ma non condivido fino in fondo. È chiaro che i valori non negoziabili non possono essere oggetto di transazione politica, proprio per definizione. Ma il punto non è questo. Essi devono essere proposti a tutti, credenti e non, cattolici e laici, non perché sono valori della Chiesa, ma perché semplicemente sono valori umani, basati cioè su quello che viene definito il diritto naturale. Siamo in democrazia. E sappiamo bene che la democrazia si regge sulla regola della maggioranza. Allora – pur non pensando che la verità possa essere determinata a colpi di maggioranza – noi dobbiamo fare di tutto perché la maggioranza dei cittadini (e quindi anche quella dei partiti) si convinca che questi valori possono guidare le scelte economiche, politiche e sociali. È in fondo quello che San Pietro chiede ai cristiani di ogni tempo, quando scrive che bisogna essere sempre pronti a dare testimonianza della propria fede. Se non seguissimo questa strada, le alternative sarebbero due: o ritirarci nel privato lasciando che la convivenza civile si ispiri ad altri valori (per noi inaccettabili), oppure imporre i nostri valori con la forza. Naturalmente entrambe queste ipotesi sono pericolose, la seconda addirittura aberrante. E allora non resta che seguitare a riaffermare i valori non negoziabili, spiegando perché è bene che tali restino. Come stanno facendo il Papa e i vescovi. Prendiamo il loro esempio e uniamo le nostre voci alle loro.

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• notizie, • riflessioni, • approfondimenti il serrano n. 126

in dialogo

Lettere al Direttore • Lettere al Direttore Perché nel Serra diminuiscono i Soci Egr. Direttore.

Sono sempre consapevole che una rivista – come “Il serrano” – non sia di facile realizzazione per vari motivi che lei conosce bene.

Ad ogni modo, con tutta schiettezza come è mia abitudine confrontarmi con gli altri, queste sono le mie critiche alla stessa rivista. Scorrendo il sommario e leggendo con attenzione gli articoli ho notato – come è successo per tanti numeri precedenti – che le vere notizie serrane sono “schiacciate” nelle ultime pagine (collocate da pag. 24 a pag. 35) Si dà molta più importanza – anche se è giusto – alla vita della Chiesa e alla cultura cattolica. Ma così facendo viene sminuita quella che un tempo era la voce del Serra Italiano. Se voglio approfondire il tema vocazione posso leggere tranquillamente due riviste: “Vocazioni” e “Rogate ergo” di cui sono abbonato.

Mi dirà che mancano i collaboratori – presidenti e governatori – che diano un apporto costruttivo alla causa serrana ma gli stessi – ne sono sicuro – hanno tanto materiale da riempire parecchi volumi (es. gli atti dei Congressi interdistrettuali penso stiano prendendo la polvere invece contengono “perle” di saggezza molto utili per i nostri club, specialmente per quelli in sofferenza). Perché non utilizzare quindi uomini carichi di esperienza e i documenti che hanno contribuito al progresso del Serra?

La rivista è palestra per solo specialisti o è ancora “terreno” da coltivare da noi serrani?

Un rammarico e una sorpresa: il mio articolo “Un campanello di allarme per il Serra” non era specifico del mio club – Imperia 541 – comprendeva invece tutto il Serra Italiano. Andando a parlare nei club delle problematiche dei sacerdoti in difficoltà – realtà che molti serrani dovrebbero conoscere più in profondità – ho potuto costatare “de visu” come la cosiddetta crisi serrana sia estesa e preoccupante. Mettevo quindi in evidenza le cause e – per conto mio – gli eventuali rimedi. È stata anche omessa l’importante statistica del distretto 70- unica nel suo genere e non più ripetuta- sull’invecchiamento dei soci: un campanello d’allarme che per certi club del mio distretto è suonato invano. So che la redazione non può pubblicare tutto ed è costretta a tagliare qualcosa. Sarebbe stato carino se fossi stato informato. In conclusione l’articolo che ho scritto me lo sentivo dentro perché amo troppo il Serra e mi addolora vedere che il movimento perda “colpi”.

Spero che questa mia lettera venga pubblicata per intero. Grazie.

Cordiali saluti Giorgio Bregolin Caro Bregolin, trovo molto stimolante la sua lettera e come vede la pubblico integralmente. La Rivista, per come la intendo io, è un gioco di squadra in cui le diverse sensibilità e i diversi apporti devono essere composti in un tutto unitario e soprattutto ordinato. È questo principalmente il mio sforzo. Non intendo fare una rivista per specialisti (e tali non sono i colleghi ai quali di volta in volta chiedo gli articoli) e non voglio assolutamente ridurla a un bollettino delle sole, per quanto pregevoli, iniziative dei Club e dei Distretti. Tutto deve avere il suo giusto spazio. Anzi, aprire le nostre pagine ai grandi temi della vita della Chiesa e della società è quanto mai opportuno proprio per prevenire – a mio modo di vedere – la disaffezione che porta alla diminuzione dei soci. Il Serra non è qualcosa di esterno o distinto dalla Chiesa, è dentro la Chiesa e tanto più deve esserlo per produrre i propri frutti istituzionali. Dunque perché non dovremmo parlare dell’attualità ecclesiale e della cultura cattolica?

Faccio poi notare che nell’ultimo numero quasi la metà delle pagine erano dedicate al tema delle vocazioni e alla vita del Serra nelle sue diverse articolazioni territoriali. Altro che notizie schiacciate. Infine per quanto riguarda il tema da lei proposto, perché non farne oggetto di dibattito nei prossimi numeri? Il Serrano è a disposizione per ospitare tutti i contributi di idee.

VISITATE IL PORTALE: www.serraclubitalia.it ovvero com giugno 2012

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