Quattrocolonne n° 3 (15-28 febbraio 2014)

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Quattro Qcolonne

SGRT notizie

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in A.P.

70% regime libero

– ANNO XXIII n° 3 15 febbrAIO 2014 –

AUT.Dr/CbPA/CeNTrO1 – VALIDA DAL 27/04/07

Il 7% della spesa viene buttata senza passare dai fornelli

Cattive abitudiNi

teNdeNze

Cibo, siamo veri spreconi Cento chili di troppo: questa la cifra pro capite che gettiamo ogni anno nel cestino

ricci, un sindaco a portata di click Nato iL 7 LugLio 1964, Laurea iN

deL

iNgegNeria e siNdaCo

gli umbri costretti a fare più attenzione, con un occhio al portafoglio. Nonostante questo ogni famiglia spende 480 euro all’anno in alimenti inutili. ecco i consigli delle associazioni dei consumatori di giuLio, rossiNi, viLLa

a pagg.

di assisi daL 2006. CLaudio riCCi è iL

patrimoNi sottratti

raffaello torna a Foligno Dopo due secoli il monastero di Sant’Anna ritrova la “sua” Madonna

4-5

Famiglia

genitori di nome e di fatto

A

chille era il Pelìde, cioè figlio di Peleo. Allo stesso modo, Ulisse veniva chiamato Laerziade, mentre Agamennone e Menelao erano gli Atridi, dal nome del padre Atreo. Già nell’Iliade, poema omerico scritto intorno all’VIII secolo a.C., è presente quella tradizione di riconoscere i figli con il nome del padre, una tradizione che racchiude in sé una visione della famiglia in grado di attraversare i secoli, ma che poche settimane fa si è scontrata con la decisione della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo. I giudici hanno dato una strigliata all’Italia, riconoscendo il diritto della madre di dare il proprio cognome ai figli, come era stato richiesto da una coppia milanese nel 1999. Fino a pochi anni fa, il cognome materno veniva dato solo quando non c’era nei paraggi un uomo disposto a riconoscere il figlio; la mancanza del nome del padre diventava quasi un marchio d’infamia. Adesso, invece, i genitori possono scegliere se darli entrambi o solo uno. Alcuni uomini hanno alzato la voce, quasi si sentissero privati di un pezzo di paternità. A queste persone andrebbe spiegato che fare il genitore non significa solamente tramandare un cognome, ma crescere i propri figli e fare parte della loro vita. Così come la donna sta faticosamente conquistando un nuovo ruolo all’interno della società, uscendo dalle mura domestiche dentro le quali era stata rinchiusa, così l’uomo dovrebbe rinunciare al proprio ruolo di padre padrone, esplorando nuovi spazi e prendendo nuove responsabilità nell’educazione dei figli e nella crescita della prole. Un modo nuovo per essere genitori non solo di nome ma anche di fatto.

La madoNNa

di

FoLigNo

NeL moNastero di

saNt’aNNa

una sosta speciale, di ritorno dalla mostra di milano, per la madonna di Foligno di raffaello che è ora nel luogo, il monastero di sant’anna, che l’ha ospitata dal 1565 al 1797. L’opera che si trova nei musei vaticani è stata esposta al pubblico dal 18 al 26

giuLia sabeLLa

gennaio. tantissima l’emozione degli umbri e dei folignati il giorno dell’inaugurazione. a salutare il dipinto si è levato il canto delle suore del monastero, per un evento che non è solo cultura ma anche devozione raviart a pag.7

saNità

mestieri

persoNaggi

L’eccellenza in corsia: Il Pronto soccorso del Santa Maria della Misericordia

La storia di un liutaio che a Corciano trasforma il legno in opere d’arte

Giovanna Vignola, la “Grande bellezza” di una piccola donna alla corte di Sorrentino

Frigeri

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3

marzi

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spiNeLLi

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primo CittadiNo più

“soCiaL”

deLL’umbria

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ell’era di internet e dei politici che fanno a gara sui social network, il sindaco di Assisi, Claudio Ricci, è uno di quelli che rientrano a pieno titolo nella categoria “smanettoni”. Non si offenda il sindaco, di questi tempi è un complimento. Ricci è uno che ci sa fare, che ha capito l’importanza di usare la tastiera come un grande megafono. Un esempio? Quando, poche settimane fa, un turista con un cinguettio su Twitter si è lamentato per la scortesia e per i prezzi alti nella città di San Francesco, non si aspettava di certo che il sindaco, sempre sul web, gli avrebbe risposto: «Torna come mio ospite personale e, viste le circostanze, mi offro anche come guida turistica». Il fortunato, non sapendo di avere a che fare con un tipo così, ha incassato il colpo e forse coglierà l’occasione per tornare ad Assisi per un fine settimana pagato. Questo simpatico botta e risposta la dice lunga su quanto Ricci, che qualche giorno fa ha addirittura invitato Barack Obama nella sua città, è al passo con i tempi. Profilo Facebook, Twitter a gogò. Un canale Youtube, il “Ricci Channel” (non una emittente dagli ascolti colossali ma almeno ci prova) e poi Google+, a chiudere “Second Life”, dove l’avatar digitale del sindaco (in foto) è fin troppo vicino alla realtà con tanto di fascia tricolore, occhiali da vista e pelata. Se hai uno smartphone, per intenderci un cellulare di ultima generazione, e segui la vita politica umbra, non puoi non avere una applicazione dedicata proprio a lui. Si chiama “Ricci” e si tratta di una “app” all’avanguardia. In termini di comunicazione, il primo cittadino di Assisi è anni luce avanti a tanti sindaci che credono che “feisbuc” sia una cittadina russa con la quale stringere magari gemellaggio. È vero, qualcuno potrebbe L’avatar di obiettare che sono molti i politi- CLaudio riCCi ci umbri che scorrazzano sui social network. Una metà di loro però lo fa male, ha una pagina compilata da qualche addetto stampa e senza neanche la foto di profilo. L’altra metà commette un errore tanto grave quanto banale: usa internet senza interazione con le altre persone, solo come vetrina personale. Ricci invece no: commenta, risponde, condivide, parla ma soprattutto ascolta. La tastiera la sa usare, il cervello pure. Intendiamoci, quello di Ricci non è un esercizio filantropico ma una astuzia politica. Ogni internauta, sia esso “amico” su Facebook o seguace su Twitter, è anche cittadino e quindi un potenziale elettore, un voto, magari può fare anche pubblicità indiretta. Sarà che prima di dedicarsi alla politica Ricci era un ingegnere con il pallino per la tecnologia. Sarà che per sopravvivere a importanti cariche quali la presidenza dei siti italiani Unesco e responsabile nazionale Anci nel settore del turismo, bisogna stare sul “pezzo” e sempre connessi. Sta di fatto che Ricci sul “pezzo” ci sta davvero. Nel 2015 si candiderà alle elezioni regionali. Le pagine dei quotidiani raccontano che il sindaco è ancora alla ricerca di una coalizione che lo soddisfi a pieno. Un alleato sicuro però c’è già: la tecnologia, almeno lei, dopo il voto non tradisce. NiCoLa meCheLLi


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Nel 2014 non aumenteranno i ticket sanitari per i cittadini, al via la struttura di Narni-Amelia e un nuovo reparto ad Orvieto

umbria in corsia, ospedali virtuosi T I nosocomi della regione sono promossi, il Santa Maria della Misericordia di Perugia e l’Alto Chiascio di Branca tra i primi dieci in Italia

ra le prime della classe ci sono anche Emilia Romagna e Veneto: sono le tre regioni che faranno da punto di riferimento per la definizione dei costi standard. E infatti non sarà ridotta la quota spettante all’Umbria nel riparto del Fondo Sanitario Nazionale. Lo Stato investe 110 miliardi all’anno nel settore sanitario, circa il 12% del Pil. Certo, bisogna fare una spending review all’interno delle strutture sanitarie e trasformare in risorse le infrastrutture, il personale e la ricerca biomedica. Queste le linee guida del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, in visita all’ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia, uno dei due nosocomi umbri tra le dieci eccellenze italiane, insieme all’Alto Chiascio di Branca (Gubbio). Secondo i dati degli ultimi mesi, dunque, la Regione Umbria è un esempio virtuoso di buona gestione e qualità nelle cure sanitarie. Inoltre, i precari del settore e i ricercatori in biomedica possono guardare con serenità al futuro: i loro contratti saranno prorogati fino al 2016. I sindacati stimano che il provvedimento, in Umbria, riguardi circa 500 persone. Nel Dap (documento annuale di programmazione della giunta regionale) relativo al biennio 2014 - 2016, presentato

il 14 gennaio dall’assessore regionale Fabrizio Bracco, sono contenute novità nell’ambito dei dipartimenti interaziendali: saranno attivati quello neurochirurgico e quello cardiochirurgico, in convenzione con l’Università. Non ci saranno aumenti dei ticket sanitari, grazie ai 2 miliardi di risorse in più che saranno destinati dallo Stato, così come ha confermato Emilio Duca, direttore regionale della sanità umbra. L’unico problema resta la possibile chiusura degli ospedali con meno di 120 posti letto. In Italia ce ne sono 222, anche se saranno conservati quelli che garantiscono servizi psichiatrici di diagnosi e cura, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e i centri “post acuti”. In Umbria i nosocomi minacciati di chiusura o accorpamento sono quelli di Spoleto, Assisi, Norcia,

Castiglione del Lago, Città della Pieve e Umbertide. Quelli di Narni e Amelia verranno trasferiti in una struttura più ampia, che si specializzerà nella riabilitazione ed è ora in costruzione. Proprio alcuni giorni fa sono stati sbloccati i fondi dalla Regione. E il 18 dicembre è stato inaugurato, al Santa Maria della Stella di Orvieto, il nuovo reparto di Terapia intensiva. Per restare in vita gli ospedali dovranno riconvertirsi o accorparsi seguendo le direttive della riforma del sistema sanitario umbro. Città delle Pieve è destinato a specializzarsi nel settore dei disturbi alimentari, all’ospedale di Media Valle del Tevere di Pantalla, a Todi, invece c’è il rischio della soppressione del punto nascita per il basso numero di parti annui (500). aLessaNdra boreLLa

118 CeNtraLiNo uNiCo Nella foto a destra, il ministro Lorenzin chiede delucidazioni sul funzionamento del centralino del Pronto soccorso dell’ospedale di Perugia, una sala operativa unica e regionale che accorpa al capoluogo anche Terni e Foligno. Il progetto, presentato dal direttore sanitario Walter Orlandi a luglio 2013, permette di gestire il malato nella intera rete ospedaliera, trasportando il paziente non nell’ospedale più vicino, ma in quello più appropriato per la sua patologia.

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dove e Come mi Curo

Il nuovo portale è online da pochi mesi e fornisce graduatorie di eccellenza riguardo alle strutture sanitarie più adatte, a seconda del problema di salute, per ogni regione e provincia d’Italia. La qualità di ogni struttura è espressa attraverso un colore che indica il punteggio raggiunto. Verde, giallo, rosso. La fonte dei dati è il “Programma nazionale valutazione esiti”, gestito dall’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali per conto del Ministero della Salute. Per sapere dove le future mamme sono maggiormente tutelate nel parto, ad esempio, sono presi in considerazione due indicatori: la proporzione dei tagli cesarei e il numero di parti effettuati annualmente (quando è elevato, è una garanzia di sicurezza). Il valore medio nazionale per la proporzione dei parti con taglio cesareo è di 26,27%. E l’accordo Stato Regioni del 16 dicembre 2010 fissa in almeno 1000 nascite all’anno lo standard cui tendere. Semaforo verde, attualmente, per i parti cesarei, al S. M. di Terni e al S. G. Battista di Foligno. A Terni, l’indicatore, rispetto alla media nazionale, è 10,85% e i parti annui sono 1110. A Foligno l’indicatore è 17,08% e i parti sono 1230. All’ospedale di Perugia il semaforo verde è relativo a numerose cure, in particolare agli interventi chirurgici per i tumori maligni a colon, esofago, tumori del sangue e del sistema endocrino, dell’apparato riproduttivo maschile e femminile, della pelle, del rene, e tumori pediatrici. aL.b.

medici, è boom di obiettori di coscienza

resce il numero di obiettori di coscienza in Umbria. Il personale medico che non pratica nessuna C’è un elevato forma di interruzione di gravidanza sfiora in media il 70 %. Nello specifico, alla fine del 2011 gli ostetrico-ginecologi obiettori erano pari al 65,6%, gli anestesisti il 70,2%. Mentre per il personale non medico – che comprende gli infermieri professionali – la percentuale si assesta al 72,7%. L’ospedale di Foligno e quello di Spoleto vantano il numero più alto di ostetrico-ginecologi obiettori (il 77,8%). In Italia, fino al 1978, l’aborto era considerato un reato. Fu l’introduzione della legge 194, confermata dal referendum del 1981, a consentire alle donne di interrompere la gravidanza entro le prime dodici settimane. Quella stessa norma permette al personale medico di esercitare l’obiezione di coscienza, che è quindi tutelata dallo Stato. Tuttavia l’aumento degli obiettori ha determinato una dilatazione dei tempi di attesa per le donne che decidono di interrompere la gravidanza. Le sale operatorie sono spesso occupate da interventi più urgenti e il personale che acconsente a praticare l’aborto si conta sulle dita delle mani. Circa la metà delle pazienti che hanno effettuato un aborto nell’azienda ospedaliera di Perugia ha atteso più di 28 giorni. Un’attesa che complica una situazione di per sé già delicata, non solo per la paziente, ma anche per chi deve effettuare l’intervento chirurgico. Abbiamo ascoltato il parere di due medici: il ginecologo Giorgio Epicoco, che lavora all’ospedale di Perugia, e Marina Toschi, gineco-

purtroppo la vita non è sempre quella che noi vogliamo. Tanto più nella situazione econonumero di dottori che scelgono di non praticare l’aborto: in media, quasi il 70% mica e lavorativa in cui si trovano oggi le giovani donne italiane che molto spesso hanno una biologia con tempi ben diversi da quella che impone il sistema sociale. Io credo che una donna debba avere il diritto di scegliere. Chiunque abbia un atteggiamento culturale, legato ad una religione è giustissimo che agisca liberamente. Quello che non deve fare è pretendere che questo valga per tutti». L’aumento degli obiettori secondo la Toschi dipende dalla nuove leve: «Le giovani ginecologhe escono dalle università e fanno obiezione di coscienza. Perché? Non hanno vissuto la battaglia di quel tempo, sanno che chi non fa obiezione è relegato in un angolo e considerato un poco di buono. Le giovani generazioni non si sono volute occupare di questa cosa. Sono indifferenti». dott. giorgio epiCoCo, ospedaLe di perugia dott.ssa mariNa tosChi, CoNsuLtorio asL N. 2 Il tema è complesso, specie in Umbria, dove loga al Consultorio della Asl umbra numero 2. centinaia di vite». Epicoco non voterebbe di non sembra ma c’è tanto da dire. Ad esempio, Il dottor Epicoco non è diventato subito un nuovo la legge 194: «Lo Stato con quella legge in pochi sanno che in tutta la provincia di Peobiettore di coscienza: «Fino al 1992 io ho fat- avrebbe dovuto impegnarsi a favorire la mater- rugia non esiste una struttura dove una donna to centinaia di aborti, sono un abortista pentito. nità, invece ha solo favorito l’aborto. Ad ogni può richiedere l’aborto medico (la pillola Ritengo che la mia posizione di medico non modo, il punto non è se la legge deve esserci o RU486, che oltre ad essere molto meno invapossa essere quella di eliminare una vita, piutto- meno, il punto è se lo stato deve tutelare la ma- dente rispetto all’intervento chirurgico, ha il sto quella di aiutare le vite. La legge 194 l’ho ap- ternità o no. Lo Stato in questo momento fa sì vantaggio di ridurre notevolmente i costi per il plicata con grande sofferenza, non sono mai che un figlio sia un costo. Invece è una ricchez- sistema sanitario). In Umbria solo due ospedastato d’accordo con l’aborto. Ho sollevato za». li – Narni e Orvieto – prestano questo servizio. Marina Toschi, che lavora al Consultorio da un’obiezione per motivi di coscienza ma prinL’aborto medico è regolato da un protocollo cipalmente per ragioni religiose. I figli non so- 33 anni e che ha visto passare in quelle stanze scientifico nazionale che rimanda alle singole reno “nostri”, io non posso condizionare la loro il 35% circa delle donne che volevano abortire, gioni. L’Umbria, a differenza di altre regioni coesistenza. Se la madre di Oskar Schindler aves- replica: «Sarebbe bene che un’evenienza come me l’Emilia Romagna o il Piemonte, non ha mai se deciso di interrompere la gravidanza, 3500 un aborto non ci fosse mai, perché è una brut- deliberato il protocollo necessario. miCheLa maNCiNi ebrei non si sarebbero salvati. Una vita cambia tissima scelta quella in cui si trova un donna, ma


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Una struttura veloce ed efficiente, nonostante le difficoltà: dal personale sotto pressione alla piaga degli accessi impropri

pronto soccorso da codice verde C L’attesa dei pazienti e il rapporto di fiducia con i dottori. Il direttore Mario Capruzzi: «Qui vive un’umanità profonda»

hi scuote la testa, chi legge un libro, chi si addormenta per un istante. Chi si lamenta, chi sbadiglia, chi scambia due chiacchiere con il vicino. Chi smorza la noia in un sorriso. Sembra la sala di attesa di una stazione, c’è persino il monitor con numeri ed orari. Se non fosse che la cera brilla sul pavimento e il personale non viene a chiederti il biglietto. Anzi, ti tratta con ogni premura. Siamo nella prima membrana del pronto soccorso di Perugia: l’area di “triage” (smistamento) dove vengono valutate le condizioni cliniche dei pazienti, prima di dare loro un codice convenzionale di priorità di ingresso. Lo schermo non riporta i treni in partenza, ma le visite in corso. I codici rossi e i gialli più gravi non passano qui, accedono direttamente alla sala d’emergenza. Gli altri, verdi e bianchi, tutti in coda ad aspettare: i tempi variano a seconda dei giorni e delle circostanze, non c’è una regola precisa. Sono comunque bassi, visto che l’Umbria è tra le prime cinque regioni d’Italia per rapidità di intervento (stando all’ultimo rapporto Agenas, agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), malgrado l’inevitabile intasamento che a volte si viene a creare. «Quando ho iniziato a lavorare al pronto soccorso, nel 1980, gli accessi erano circa ventimila all’anno – afferma il dottor Giancarlo Giovannetti – ora sono quadruplicati e il personale è solo raddoppiato». In effetti ci sono 19 medici a fronte di una media di quasi settantamila visite all’anno, che fanno 190 interventi quotidiani, oltretutto non spalmati nell’arco della giornata, ma concentrati soprattutto tra il pomeriggio e la tarda serata. E in alcuni periodi dell’anno (l’estate con il caldo torrido) o della settimana (gli incidenti e le risse del sabato sera). La mattina la situazione è piuttosto tranquilla, capita di incontrare bambini e ragazzi dottori accompagnati dai e infermieri genitori. Come Paola Pasquali e Barbasono bravi ra Sellari: i figli hane gentili, però no avuto due piccoli incidenti a scuola, lavorano niente di grave cotroppo munque. «Medici ed infermieri sono bravi e gentili – racconta Paola – il problema è che sono sotto organico, lavorano troppo e non reggono questi ritmi forsennati». Un altro problema è quello dei “furbetti”, che anche qui non mancano: «Siamo munite di pazienza – dice Barbara – ma c’è gente che viene qui senza un vero motivo bloccando tutto». Personale stressato e visite improprie, sono questi i due mali principali del pronto soccorso. «Inoltre molti vengono indirizzati qui dal proprio medico di base – sostiene Giovannetti – per patologie che dovrebbero gestire loro in prima battuta». Del resto, questo può essere un escamotage per ottenere una visita immediata eludendo così le lunghe liste d’attesa dei reparti specializzati. Ma c’è anche chi, residente fuori regione, non ha il medico curante e non può fare altrimenti. Come Andrea Cittadino, 21 anni, calabrese. «Mi sono svegliato con il collo bloccato e ho stretto i denti per guidare – racconta – ora aspetto il mio turno proprio davanti alla porta, perché di lato non riuscirei nemmeno a vederla». Ha un codice bianco, ma non dovrà pazientare molto, viene chiamato dopo appena venti minuti. Lo stesso discorso vale per Orban Cornel, 50 anni. Viene dalla Romania, ha avuto un piccolo incidente stradale ed è un po’ spaesato: non è mai stato in un pronto soccorso. «Per stare più tranquillo ho preso una mattina libera». Non servirà, perché anche lui entra a stretto giro di posta.

Passano le ore e cresce l’afflusso: i pazienti in attesa sono una ventina e chi entra ora sa di non poter contare sulla stessa rapidità di ingresso. C’è stato un incidente stradale a Bettolle e sfrecciano due barelle. Due codici rossi. Cala una cappa di silenzio, i telefoni squillano, alcuni pazienti cercano di informarsi sulla gravità della cosa. Senza successo. Passano i minuti e nessuno parla. Poi si cambia di nuovo umore, volare da uno stato d’animo all’altro è inevitabile, l’altalena emotiva è l’essenza stessa del pronto soccorso. Non si può stare sempre in tensione. Si raduna un gruppetto di medici e di infermieri: la visita del ministro della sanità, Beatrice Lorenzin, turba persino l’attività ordinaria della struttura. Due anziani si avvicinano curiosi e ci scherzano su: «Sta arrivando la Lollobrigida?». «Non esattamente – risponde un dottore nascondendo il sorriso sotto alla barba – rimettetevi seduti». Proprio la massiccia presenza di anziani riflette un cambiamento dell’utente tipo: «Con il progressivo invecchiamento della popolazione – spiega il caposala Nicola Ramacciati – ci sono sempre meno interventi legati a traumi e un numero crescente di medicina interna». Eppure a guardare bene le statistiche, gli accessi totali sono in leggero calo, in media del 5% all’anno, un dato che conferma le proiezioni nazionali ed è, con ogni probabilità, legato alla crisi economica. Infatti, analizzando il trend dell’ultimo triennio, si vede un leggero aumento dei codici gialli e rossi; i verdi sono stabili, mentre crollano i bianchi, gli unici a pagamento con C’è uno scarto la tariffa unica tra la razionalità regionale fissata a 25 euro. del medico Non è mai e la percezione una bella notizia quando la del paziente gente taglia sui servizi sanitari, ma il fulcro della questione è che molti codici bianchi non dovrebbero nemmeno venire qui, tanto è lieve l’entità del problema. «Gli accessi impropri vanno eliminati alla radice – ribadisce il direttore del pronto soccorso, Mario Capruzzi – ed è da superare il concetto stesso di guardia medica, puntando su un’assistenza diffusa, attraverso poliambulatori sempre aperti, anche il fine settimana». In questo modo si alleggerirebbe la pressione sui pronto soccorso regionali che tornerebbero a svolgere unicamente la loro funzione primaria. Un ruolo imprescindibile e da tutelare. Perché in fondo lavorare qui è un po’ più duro rispetto a qualsiasi altro reparto, proprio per la continua carica di pressione che va gestita. Allora spesso ci si isola dal mondo, frapponendo una cortina divisoria: «Lavorare al pronto soccorso è come prendere lezioni di misantropia», scriveva il romanziere inglese Ian McEwan nel libro “Sabato”, dopo aver studiato per due anni i vari reparti del “National Hospital” di Londra. «Su questa affermazione non sono d’accordo – sorride il direttore – qui, ogni giorno, emerge un’umanità profonda, malgrado la difficoltà delle relazioni psicologiche da instaurare». Perché chi arriva non è mai tranquillo e c’è un alto numero di varianti da tenere sotto controllo, perché c’è uno scarto tra la razionalità del medico e la percezione emotiva del paziente. Perché, in passato, ci sono stati episodi di violenza e tentata aggressione al personale. «Sì, per tutte queste ragioni e per molte altre, è davvero dura. Eppure sono 36 anni che faccio il mestiere più bello del mondo».

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Numeri e statistiche: tempi da record Questi i dati dell’anno appena concluso. Per un totale di 66.199 visite: – Codici rossi - 550 – Codici gialli - 4.327 – Codici verdi - 33.595 – Codici bianchi - 26.974 La media è di 190 interventi al giorno (8 ogni ora) di cui il 2% di emergenza, il 12% di urgenza e la restante parte di accessi a medio-bassa criticità, che spesso congestionano l’attività. Si registra una diminuzione complessiva del 5% su base annua. Nonostante persista il problema degli accessi impropri, sono in calo i codici bianchi(gli unici a pagamento) per la

crisi economica. C’è una diminuzione degli interventi traumatistici e una crescita di quelli internetistici, a causa del progressivo invecchiamento della popolazione. Veniamo ai tempi di attesa media, tra i più bassi d’Italia: 6,1 minuti per i codici gialli, 19.5 per i codici verdi e 58.9 per i codici bianchi. Il DEA (Dipartimento di Emergenza ed Accettazione) di Perugia, è l’unico in regione dotato di schermo per monitorare l’andamento delle visite.

FederiCo Frigeri


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dal carrello alla pattumiera, il triste destino del cibo Una famiglia umbra getta in media il 7% della spesa alimentare, ma con la crisi si fa più attenzione. Garofalo (Adoc): «Bastano piccoli accorgimenti, come comprare solo il necessario»

U

n pomeriggio qualsiasi all’Ipercoop di Collestrada alla periferia di Perugia. Gli scaffali sono pieni di tutto quello che si può immaginare e molto più di quello che siamo in grado di consumare. A passeggiare nel reparto frigo o in quello della frutta e della verdura, lo spettacolo è sempre lo stesso. Uomini e donne che spingono davanti a sé i carrelli con la spesa per la settimana. E fin qui non ci sarebbe nulla di male, se non fosse che il 7% degli alimenti che una famiglia umbra acquista finiscono dritti nella pattumiera, dopo una permanenza più o meno lunga in frigo, dove vengono prontamente dimenticati. Secondo le stime dell’Adoc (Associazione difesa e orientamento dei consumatori) ogni anno se ne vanno così circa 480 euro per nucleo familiare. Un dato che fa pensare in un periodo di crisi come quello attuale, soprattutto se si considera che è l’equivalente di un mese di spesa per una famiglia composta da tre persone. Dati della Gesenu alla mano, solo nel primo trimestre del 2013 ogni umbro ha prodotto 29 chilogrammi di organico. Ma il problema non finisce ai confini della nostra regione. Sono le pattumiere di tutto il mondo, o meglio: dei paesi occidentali, a straripare di cibo. La bellezza dei numeri sta nel fatto che non sanno mentire, e quelli dello spreco alimentare sono da capogiro. Secondo l’ultimo rapporto della Fao, in un anno vengono gettati 1,3 miliardi di tonnellate di ali-

menti, per un costo di 550 miliardi di euro. In Europa lo spreco pro-capite si aggira intorno ai 180 chili, 108 in Italia. Solo provare a immaginare lo spazio fisico che tutto questo cibo potrebbe occupare è un’impresa impossibile. Eppure c’era un tempo, alla fine dei conti non così lontano, in cui le nostre nonne quel pane un po’ indurito rimasto sul tavolo della cucina non l’avrebbero buttato, piuttosto ci avrebbero preparato delle polpette. Un tempo in cui gettare via del cibo era un sacrilegio. Cosa è cambiato? Da quando gli italiani, e gli umbri, hanno iniziato a sprecare? Luciano Giacché, professore di antropologia alimentare all’università di Perugia, non ha dubbi. «Lo spreco è iniziato quando l’offerta ha cominciato a essere superiore alla nostra capacità di consumare. Un tempo in Umbria la produzione alimentare era tutta incentrata sull’autoconsumo. Con l’applicazione delle tecniche industriali, invece, il cibo ha finito con il trasformarsi in una merce. E come tale risponde alle leggi del mercato». Insomma, un’inondazione di prodotti, che riempiono i carrelli per poi rimanere nelle nostre case ben oltre la data di scadenza. Ma torniamo al nostro affollato supermercato, dove la frutta luccica sotto le luci e la musica culla i clienti che stringono in mano la lista di quello che ritengono non possa mancare dalle loro dispense. Di questi tempi la spesa si fa veloce, un momento rubato e strizzato tra i mille impegni del-

Ormai il cibo è una merce

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in un supermercAtO.

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Offerte

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sOnO cOnsiderAte trA le principAli cAuse delO sprecO

la giornata. E, si sa, la fretta è cattiva consigliera. «A volte mi capita di dover buttare via cose da mangiare. È perché faccio sempre la spesa di fretta. Succede di calcolare male le quantità», dice Editta, 36 anni con una famiglia di tre persone. Alza le spalle per poi tornare a concentrarsi sugli scaffali davanti a lei, il carrello in attesa al suo fianco. E come lei anche Laura, che ammette:«Vivo da sola e spesso mi capita di dover buttare via tanta carne e tanto latte». Secondo Angelo Garofalo, presidente dell’Adoc Umbria, cercare le ragioni di questa tendenza allo spreco significa anche pensare che al giorno d’oggi i consumatori sono circondati da tutta una serie di trappole.

«Pensi alle confezioni. Il latte da mezzo litro non si trova più, è scomparso. Ci sono solo bottiglie da un litro e, se una persona,è sola è evidente che una parte del latte va sprecato. E la stessa cosa vale per altre confezioni, dall’insalata in poi. È raro trovarne su misura per una o due persone». Tutto ciò in un’epoca in cui il numero di pensionati e delle cosiddette famiglie mononucleari (ovvero quelle composte solo da una coppia) è aumentato sensibilmente. Senza contare le “insidie” della pubblicità. «Il prendi tre e paghi due è una delle ragioni per cui le famiglie sprecano così tanto cibo. Le offerte continue, che ci bombardano costantemente,

tanta gente che esce di casa e nemmeno controlla quello che manca. Non bisogna poi fare chissà che, basta semplicemente scrivere una lista della spesa per evitare di comprare cose che poi finiscono nella pattumiera». In effetti bastano dei piccoli accorgimenti. Per esempio nel “Vademecum contro gli sprechi” dell’Adoc, al punto uno si consiglia di comprare solo l’essenziale, mentre al punto sei si invita ad evitare le offerte promozionali illusorie come i 3x2. Per iniziare basterebbe ricordarsi di usare il proprio frigo in maniera intelligente, per esempio riponendo le verdure in basso per evitare che ammuffiscano, oppure rendersi conto che molti alimenti si conservano anche dopo la data di scadenza. Qualcosa sembra muoversi, anche se lentamente. Proprio il 5 febbraio si terrà la prima giornata nazionale contro lo spreco di cibo e a livello locale nascono iniziative di recupero e distribuzione degli alimenti in eccedenza o in via di scadenza a chi ne ha bisogno. Si tratta sia di iniziative ufficiali, come il progetto “Zero Waste”, nato con il sostegno della Regione, sia di iniziative prese dai singoli commercianti. È proprio partendo dalle piccole cose che forse sarà possibile cambiare questa nostra società dell’usa e getta.

con la crisi tornano di moda gli avanzi

cAterinA villA

i numeri e i costi dello spreco

meno rifiuti, più donazioni Le soluzioni dei supermercati per azzerare lo spreco

dati parlano chiaro: il 45% dello spreco ali- Centro Italia ha adottato delle politiche per mentare avviene all’interno delle mura abbattere questo fenomeno? domestiche. Il resto del cibo si perde però «Dal 2007 Coop Centro Italia porta avanti il lungo la filiera: ovvero durante il trasporto, lo progetto “Spreco Utile”, che prevede di donastoccaggio e nella fase della distribuzione. re i prodotti alimentari vicini alla scadenza o I supermercati diventano vetrine in cui gli scaf- con imballaggio danneggiato ad associazioni fali devono essere sempre pieni e i prodotti che li distribuiscono a persone bisognose. devono essere belli da vedere. Perché ciò sia Chiaramente, si tratta di beni perfettamente possibile, quanta frutta viene buttata? Quante commestibili e regolari sia sotto il profilo igiescatole di pasta la cui confenico che legale. Ogni anno zione è rovinata finiscono la Coop sigla convenzioni nel cestino? Per saperne di con associazioni radicate più abbiamo parlato con sul territorio che si impeRossana Brogi, responsabignano a rispettare il nostro le Marketing sociale e prostatuto. Tra queste abbiamozioni della Coop Centro mo Caritas sparse in tutto il Italia. territorio umbro e nel 2013 Quali sono i criteri che anche il Comune di Terni. seguite al momento di Ormai il progetto coinvolordinare i beni alimentari ge quasi tutti i nostri punti destinati alla vendita? vendita, su 68 negozi «I criteri con cui vengono hanno aderito in 56». Anche chi lAvOrA nei supermercAti eseguiti gli ordini si basano Quali sono i risultati che evitA di gettAre i prOdOtti su analisi giornaliere del avete raggiunto? venduto del singolo negozio, tenendo conto «Se nei primi anni donavamo solamente del periodo, della stagione, delle attività pro- generi alimentari a lunga scadenza come pasta, mozionali in corso, della corretta rotazione legumi, scatolame e latte, dal 2010 vengono delle merci per assicurare il massimo della fre- ridistribuiti anche frutta, verdura, formaggi e schezza e per ridurre al minimo i prodotti pane. La raccolta per questi beni è giornaliera: invenduti che arrivano a scadenza. In base a gli operatori delle Onlus arrivano a fine serata ciò i supermercati fanno l’ordine al magazzino e raccolgono mozzarelle, yogurt, carne ed altri di Castiglione del Lago, che li rifornisce. prodotti freschi. Un lavoro lungo, ma che dà le La sensibilità per il problema dello spreco ali- sue soddisfazioni. mentare si traduce poi in azioni pratiche. Per Nel 2013, grazie al progetto “Spreco Utile”, quanto riguarda la vendita di frutta e verdura, abbiamo buttato circa 86,484 chili di beni aliper esempio, la prassi è quella di mettere in mentari in meno. Sostenibilità ambientale cima alle cassette i prodotti la cui scadenza è quindi, ma non solo. Sono state circa 4.400 le più vicina». donazioni fatte alle associazioni che distribuiDiverse associazioni, tra cui Slow Food, scono i beni a persone in difficoltà economica denunciano la responsabilità dei super- tra cui immigrati ed anziani. ». nicOle di giuliO mercati nello spreco di alimenti. La Coop

fanno molto – dice Garofalo – Per non parlare delle strategie messe in atto dalla grande distribuzione. Ci ha mai fatto caso che il sale e lo zucchero sono sempre i più difficili da trovare? È perché chi ne ha bisogno è disposto a girarsi mezzo supermercato per scovarli». Eppure i chili di cibo che ogni umbro spreca in un anno non possono essere solo questione di ben congegnate “trappole commerciali”. C’entrano anche le cattive abitudini, dal momento che nella maggior parte dei casi si compra molto più di quello che serve. Addirittura la crisi fatica a incidere su questa mentalità che sembra essere capillarmente diffusa. I primi risultati sono comparsi recentemente. Secondo dati Adoc, cinque anni fa una famiglia umbra gettava il 13% della propria spesa alimentare, contro il 7% di oggi. «Con la crisi per forza si sta più attenti, dal momento che si ha meno disponibilità economica – commenta Garofalo – La gente ha ripreso a riciclare quello che ha in casa. È tornata in voga la frittata con gli spaghetti avanzati dal giorno prima. Mia madre me la preparava spesso quando ero bambino». Nel nostro supermercato Renato, 48 anni, si ferma accanto alle cassette di arance. «Ci eravamo abituati ad avere tanto, ma adesso ci si fa più attenzione. Per forza». La pensa così anche Federica, 33 anni. A casa sono in due e lei dice di fare di tutto per evitare di buttare via del cibo. «C’è

Il Umbria ogni famiglia spreca il 7% degli alimenti che compra

670 milioni di tonnellate di cibo gettato

nel mondo in un anno

Ai primi posti pane (18% della spesa) e verdura (16%)

Ogni italiano spreca 108 chili di cibo a testa ogni anno In un anno in Umbria si buttano nel cestino 480 euro

I

n Umbria ogni famiglia spreca il 7 percento di quello che compra. Ogni giorno 100 grammi di cibo finiscono nella spazzatura. «È anche una questione etica. La maggiore attenzione al risparmio in questo periodo di crisi ha aumentato la percezione sugli sprechi alimentari – osserva Antonio Picciotti, docente di Economia Aziendale all’università di Perugia – ma nelle case persistono comportamenti sbagliati, la gente non

sa come, dove e quanto conservare gli alimenti». Il professore sintetizza così i dati nazionali ed umbri, sostenendo che «occorre insegnare l’educazione alimentare, chiarire le etichette, cambiare i metodi di confezionamento dei prodotti». Il problema è globale e il prof. Picciotti sottolinea come l’allarme sia della Fao: «L’organizzazione mondiale per l’agricoltura ha affermato che, ogni anno, piu’ di 670 milioni di

In provincia di Perugia ogni abitante butta 100 gr di cibo al giorno tonnellate degli alimenti prodotti nel mondo, finisce nella spazzatura». Un dato che è condiviso da molti altri organismi, spiega il professore, che cita le analisi dell’Uk Institution of Mechanical engineers, secondo il quale ogni 24 ore tra il 30 e il 40 percento del cibo prodotto, pari a circa 1,5 miliardi di tonnellate, non finisce sulle tavole o nelle mense, ma direttamente tra i rifiuti, causando problemi seri all’ambiente.

Ma non tutte le notizie sono negative. Nel 2013, ci fa sapere la Coldiretti, più di tre miliardi di euro sono stati spesi per l’acquisto di prodotti “a chilometri zero”, con un contributo determinante al contenimento degli sprechi alimentari di circa il 30 percento, contributo dovuto soprattutto al fatto che i prodotti acquistati direttamente dal coltivatore durano più tempo. v.r.

le ricette di nonna silvana

D

Basta poco e un avanzo diventa un piatto gustoso

ona Flor trasformava le sue pietanze per pietanze gustose, riesce a far rifiorire un in un capolavoro di gusto e bellezza. pezzo di bollito convertendolo in polpette sucLe ricette della protagonista del cele- culente. «Il pane è sacro. Se avanza, lo gratto bre romanzo di Amado “Dona Flor e i suoi così lo posso usare per impanare carne o verdue mariti” non sono però tanto diverse da dura. Altre volte lo bagno con acqua e poi ci quelle della signora Silvana. Anche lei conosce faccio la panzanella, una pietanza tipica della bene i segreti della cucina. Silvana è nata a tradizione umbro-toscana. Prendo i pezzetti di Terni negli anni 30, ha vissuto la guerra e sa pane e li condisco con olio e sale e poi aggiunche cosa vuol dire sacrificio. Come la maggior go quello che ho in frigo come cetrioli, pomoparte dei figli della sua generazione, ignora dorini, cipolla, ma anche capperi e olive. Una invece la parola spreco. soluzione ottima per riutilizzare il pane duro è E se oggi si parla tanto di lotta allo spreco quello di bagnarlo con latte e poi usarlo come alimentare, forse, può essere base per la pizza. Con il riso facutile ascoltare i consigli di una cio la stessa cosa: aggiungo forpersona come Silvana, madre e maggio, uova e pane grattato e nonna di quattro nipoti. friggo tutto. Il risultato sono sucQuando le chiediamo se butta culenti supplì». Ci sono però degli mai gli avanzi, risponde senza ingredienti che in cucina non pospensarci : «Io non butto niente. sono mancare. «Gli odori – spieHo 83 anni, ero piccola quando ga Silvana – sono essenziali. c’era la guerra, erano tempi in cui Quando avanza del bollito, lo il pane era pochissimo e lo facecondisco con il prezzemolo, vamo in casa. Già a sei anni aggiungo delle patate e lo trasforavevo imparato a impastare e lA signOrA silvAnA Ai fOrnelli mo in spezzatino. La carne che infornare. Di certo oggi non lo avanza la mischio con un po’ di getto via, è peccato! Di carne se ne mangiava mortadella, poi con un impasto di uova e fariun etto alla settimana. Come potrei sprecarla?». na faccio gli agnolotti, delizie della tradizione Anche oggi che vive da sola, Silvana è molto che hanno un’origine povera». Per non parlare attenta nel momento in cui riempie il carrello dei dolci. «Il panettone duro che spesso rimadella spesa. «Ho la fortuna di vivere in centro a ne sulla tavola durante le vacanze di Natale è Terni quindi preferisco fare una piccola spesa un’ottima base. Preparo della crema e lo guargiornaliera. Non esco mai senza una nota con nisco. Diventa buonissimo. Durante l’anno la lista di ciò che mi serve». invece mischio caffè e burro e ci decoro i Creatività, pazienza ed esperienza fanno il biscotti secchi. Che meraviglia». nicOle di giuliO resto. Silvana trasforma il pane secco nella base

nel mio locale avanzi zero

O

«Comprare pochi prodotti freschi, ma di qualità»

rdine in cucina in abbondanza. Piani- La strategia per sprecare meno? ficazione quanto serve. Creatività al «La dicitura “consumare preferibilmente” momento giusto. È questa la ricetta significa che gli alimenti sono commestibili che usa Stefano Babucci, titolare di un ristoran- anche dopo il giorno indicato. Dobbiamo ricote di Perugia, per evitare di sprecare cibo in cu- minciare a fidarci dei nostri sensi: apriamo, cina. E secondo lui funziona. Nel suo locale, odoriamo, assaggiamo prima di buttare. avanzi zero. Spesso, non serve». Sprechi alimentari, come E i resti? risolvere questa emergenza? «Non tutti hanno voglia di «Prevenendo. Una regola per friggere bucce di patata, e c’è tutti: nel frigorifero mettete in chi odia mangiare gli avanzi. evidenza i prodotti con la data di Eppure la tradizione italiana scadenza più vicina. A ciascuna sarebbe piena di ricette per riucategoria alimentare spetta un tilizzare gli avanzi, come i timripiano. Frutta e verdura cruda balli di pasta. Con il pane del vanno nei cassetti, pesce e carne giorno prima ad esempio, poscruda al primo piano, cotta al siamo creare le minestre di secondo; affettati e formaggi più pane, le zuppe». lO chef stefAnO BABucci in alto; conserve aperte e uova Faccia l’esempio di un piatto ancora più su. Se hai tutto al suo posto eviti di che una famiglia può preparare con gli dimenticarti qualcosa, anticamera del farlo avanzi. andare a male». «Quando prepariamo il brodo per i nostri Prima ancora del frigorifero, come si fa bambini, versiamo in un tegame il sedano, le una spesa intelligente? carote, e i pomodori che abbiamo usato. Una «Con la lista, prendendo solo quello che ci volta frullati possono creare una salsa con cui serve, e calcolando le quantità necessarie. La condire un cous cous, oppure la pasta». stessa attenzione alle quantità va osservata in Lei ogni giorno sceglie il cibo e lo lavora, cucina, calcolando le dosi degli ingredienti quindi ha esperienza dello spreco, quanto prima di cucinare». usa e quanto scarta? Qual è l’errore da evitare? «Noi non buttiamo via niente, tranne gli «Mai fare la spesa a digiuno, né farsi trascina- avanzi. Le pietanze scivolano nella pattumiera re dalle promozioni. Spesso le famiglie che quando si cucina troppo e gli alimenti si stipafanno rifornimenti al supermercato di confe- no anziché conservarli. Se sai quanto comprazioni formato mega o 3x2, pensando di rispar- re e quanto cucinare, lo spreco non esiste». vAlentinA rOssini miare acquistano invece dei prodotti inutili».


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CULTURA

15 FEBBRAIO 2014

Una perugina d’adozione nel cast de “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, candidato agli Oscar come miglior film straniero

storia di una piccola grande attrice V Giovanna Vignola, affetta da acondroplasia, racconta il suo incontro col cinema. Un’altra vittoria personale nella sua vita “alla ribalta”

oce squillante, forte, sicura e risata «Più che altro è l’unico personaggio del film esplosiva. Questo colpisce di Giovanna che nella vita non ha trovato il fallimento ma il Vignola. Bastano pochi minuti per capi- successo, nonostante partisse svantaggiata e abre che la donna di successo che Giovanna inter- bia dovuto lottare più degli altri per raggiungepreta ne “La grande bellezza” è ricalcata su di lei, re dei risultati». sulla sua vera personalità. D’altronde, Paolo Sorrentino l’ha scelta proprio per questo. Non cercava un’attrice di mestiere per il ruolo che aveva scritto. Cercava una persona vera che, in qualche modo, interpretasse se stessa. E quando l’ha trovata non l’ha lasciata più andare. «Lo staff di Sorrentino ha contattato l’associazione “Acondroplasia - Insieme per crescere” di cui io sono referente in Umbria. Quando mi giovaNNa vigNoLa Nei paNNi di dadiNa Ne La graNde beLLezza hanno chiesto di andare a Roma in produzione io l’ho presa con molta È un po’ la storia della sua vita. «Infatti! Io sono stata sempre molto decisa e leggerezza. Non è stato un vero e proprio provino: Paolo Sorrentino mi ha fatto per lo più do- sicura di me. Non mi sono mai fatta bloccare mande su di me, sulla mia vita. E ha deciso su- dalla mia altezza. A diciotto anni ho preso la pabito di prendermi, ero io la sua “Dadina”. All’ini- tente, ho lasciato la mia famiglia ad Ascoli Piceno perché volevo frequentare zio ho rifiutato ma Paolo non l’università a Perugia; era il ha desistito e, alla fine, ho cemi riconosco 1978. Mi sono fin da subito duto». dadina. in sentita accolta. Qui ho trovato Come mai all’inizio non ha lavoro al Comune e ho conoaccettato? è una sciuto mio marito. La mia città «Innanzitutto perché non sodonna forte è Perugia e vivo alla grande!». no un’attrice e questa cosa un Il personaggio di Dadina, dipo’ mi spaventava. Inoltre avee di successo rettrice di un giornale e univo paura che Sorrentino avesse in mente un personaggio ridicolo e grottesco. ca, vera, confidente di Jep Gambardella – il Quando mi ha assicurato che, al contrario, ave- protagonista interpretato da Toni Servillo – va in mente tutt’altro, ho cambiato idea. In fon- ha sicuramente dato segnali positivi a chi, do, il film è stata un’ottima occasione per sensi- come lei, è affetto da acondroplasia. «Esattamente! Ed è la cosa che mi interessa di bilizzare il pubblico sull’acondroplasia, una malattia poco conosciuta e che, d’impatto, può cau- più. Non tutti hanno la forza e il carattere per afsare diffidenza negli altri. Anche per questo ho frontare gli sguardi della gente o le frasi dei bamdevoluto tutto il mio cachet alla ricerca sull’acon- bini che, nella loro innocente sincerità, possono essere molto crudeli. Io sono sempre stata indidroplasia». Invece Dadina, praticamente, è l’unico per- pendente. Ai tempi dell’università andavo in discoteca, per parlare agli sportelli pubblici prensonaggio positivo del film.

«I

o non ho partecipato per divertirmi o per la curiosità di andare in televisione. Ho partecipato perché era un’opportunità per realizzare il mio sogno, quello di aprire una pasticceria». Madalina Pometescu, 27 anni, origini romene ma residente a Marsciano da quando aveva dieci anni, è la vincitrice dell’ultima edizione di “Bake Off Italia - Dolci in forno”, talent show presentato da Benedetta Parodi e trasmesso dal canale Real Time, che vede scontrarsi tra loro pasticceri amatoriali. Madalina ha trionfato in finale grazie a una mousse ai tre cioccolati, che le ha permesso di battere l’ultima concorrente rimasta in gara, Lucia. «Non mi aspettavo certo di vincere – ammette – ero sicura di arrivare seconda. Però la fiducia nei miei mezzi era cresciuta nel corso delle puntate, mi ero accorta di essere una delle migliori quindi un po’ ci speravo». Quella per i dolci è una passione che ha da sempre, anche se ha iniziato a cucinare solo da pochi anni: «Mangiare i dolci mi è sempre piaciuto, sin da quando ero piccola, solo che non avevo mai preparato niente. Poi tre anni fa la mia bambina mi ha chiesto di farle un dolce. Ho provato con una crostata, ho visto che mi piaceva, e da lì non mi sono più fermata». L’amore per la cucina è cresciuto con il tem-

do una pedana, quando salgo in ascensore uso mio marito sentirmela dire nel film è stato quauna matita per premere i tasti, sul pullman chie- si uno shock, non riuscivano a credere alle loro do a qualcuno di timbrarmi il biglietto. Non mi orecchie. Giusto per farti capire quanto il termifaccio fermare da niente! Vivo alla ribalne “nana” fosse quasi un tabù per ta! (Ed esplode in una risata ndr). Un me». mio conoscente di Perugia, acondroplaQual è stata la scena che l’ha sico anche lui, si era sempre rifiutato di emozionata di più? uscire. A parte andare a lavoro non fa«Quella in cui Dadina rimane soceva nient’altro perché si vergognava. la dopo la festa a casa di Jep. Si adDa quando ha visto il film sta sempre dormenta e si sveglia quando la fein giro! Questo mi rende molto orgosta è finita e tutti sono andati via. gliosa». Nessuno, neanche i suoi amici, l’ha Com’è stato recitare in un film ciraspettata o avvertita. Eppure lei non La LoCaNdiNa de condata da tanti personaggi famosi? si offende né si arrabbia. È una perLa graNde beLLezza «Mamma mia! È stato stranissimo… sona candida e buona. Mi ha fatto ma mi sono trovata molto bene con tutti, tutti mi molta tenerezza. Io stessa e i miei amici, a vedercoccolavano. Mi sentivo una principessa. Devo la, ci siamo commossi». dire che gran parte del merito è di Sorrentino che La grande bellezza, dopo aver vinto il Golha un grande tatto. Mi ha voluta sul set prima che den globe, è candidata all’Oscar come miiniziassero le riprese, in modo tale che mi am- glior film straniero. La notte della premiabientassi e conoscessi tutti prima che si inizias- zione si avvicina. Andrà a Los Angeles? se a girare». Com’è stato rivedersi sul grande schermo? «All’inizio mi sentivo straniata e quasi infastidita. Poi, invece, mi è piaciuto». All’inizio del film c’è una scena in cui Jep Gambardella fa una battuta sulla sua statura e lei risponde dicendo, col sorriso: «sono una nana! Perché non si dovrebbe dire?». Com’è andata nella realtà? È una cosa che lei dice davvero, nella vita reale, con tanta giovaNNa vigNoLa suL set deL FiLm naturalezza? «Mi piacerebbe molto andare, più che altro per «Assolutamente no! È stato difficilissimo girare quella scena! All’inizio mi sono rifiutata. Ho continuare a dare visibilità alla mia malattia e aldetto al regista: «No Paolo, io non la dico. Non l’associazione. Se Sorrentino mi vorrà al suo mi esce». Ma Paolo non voleva sentire ragioni. fianco, sarò felicissima di esserci». Pensa di recitare ancora? Era convinto che fos«No, non sono un’attrice. E poi non se una parola essenziaQuesto film penso che potrei interpretare un altro le da dire. E bisognava dirla in quel modo, per dà un messaggio personaggio così profondo e significativo come Dadina. Io ho accettato questo esorcizzarla. L’ho propositivo a chi ruolo perché ero certa che potesse essevata un sacco di volte. è affetto da re d’esempio a chi è affetto dalla mia maAlla fine ci sono riulattia e ai loro familiari. Quindi, reciterei scita e devo dire che acondroplasia ancora soltanto se mi offrissero un altro Paolo aveva ragione, ruolo capace di dimostrare che una persona mi sono sentita liberata». E da allora usa di più la parola “nana” rife- acondroplasica può vivere una vita normalissima e avere anche successo. Come tutti gli altri». rita a se stessa? «Sicuramente più di prima. Per i miei amici e aNtoNeLLa spiNeLLi

Madalina ha vinto il talent show “Bake Off Italia” e ora aprirà la sua pasticceria

il sogno diventa reality

madaLiNa pometesCu,

viNCitriCe deL taLeNt show

po, fino a diventare qualcosa di più: «Un anno fa ero ancora senza un lavoro fisso, allora mi sono detta “basta, così non può andare” e ho deciso di far diventare la mia passione un vero e proprio lavoro. Mi sono iscritta al corso base dell’Università dei Sapori

“bake oFF itaLia”

(centro di formazione promosso dalla Confcommercio di Perugia, ndr) dove ho imparato le basi della preparazione dei dolci e soprattutto ad utilizzare i macchinari delle cucine professionali. Se non avessi vinto “Bake Off Italia” avrei fatto altri corsi».

Grazie al successo del talent show Madalina sembra ora lanciata nel mondo della cucina, non solo come pasticcera ma anche come autrice. Sì perché la vittoria le dà l’opportunità di pubblicare un libro di ricette tutto suo, che uscirà a breve: «Credo che sarà nelle librerie intorno alla metà di febbraio. Ci sto ancora lavorando, voglio che sia accessibile a tutti, con ricette semplici rivisitate da me. D’altronde quella di modificare i dolci è una mia abitudine, non faccio mai una torta uguale all’altra». Se si parla di dolci in Umbria non si può non pensare ad Eurochocolate, la manifestazione tutta centrata sul cioccolato che ogni anno porta a Perugia migliaia di visitatori. Sembra che il patron dell’evento, Eugenio Guarducci, voglia proporre a Madalina una collaborazione per l’edizione di quest’anno: «In realtà questa notizia l’ho letta solo sui giornali – ride la diretta interessata – finora non mi ha contattata nessuno». Sta invece valutando la possibilità di tornare all’Università dei Sapori, questa volta come docente. Tanta celebrità non sembra pesarle: «Mi è capitato che mi riconoscessero a Marsciano ma anche a Milano. Non mi dà fastidio, mi godo questo momento». E il pensiero torna alla sua pasticceria, «il mio sogno che diventerà realtà». LoreNzo grighi


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CULTURA

Cinquemila persone al giorno per il ritorno del quadro dai Musei Vaticani. Appassionati d’arte ma anche tanti devoti

Foligno ritrova la sua madonna

La pala d’altare di Raffaello esposta per una settimana al monastero di Sant’Anna, il luogo che l’ha custodita per due secoli

L

a Madonna di Foligno è tornata a casa. solo per un quarto d’ora. Non c’è neanche il targa dedicatoria al centro del dipinto, rimasta La pala d’altare di Raffaello, datata attor- tempo di pregare per bene», dice una delle tante vuota nel corso dei secoli. La tavola, la prima pala d’altare romana di Raffaello, rimase a no al 1512, è stata esposta per una setti- signore in fila a via dei Monasteri. Roma qualche anno fino a quando una mana nel monastero di Sant’Anna, nipote di Sigismondo, la badessa Anna il luogo che l’ha custodita dal 1565 Conti, lo fece trasferire nel suo convenal 1797, prima del ratto delle truppe to, Sant’Anna a Foligno, appunto. napoleoniche che l’hanno portata a L’iconografia è ispirata a un episodio Parigi e delle trattative con i Musei narrato nella Legenda Aurea, il testo Vaticani, dove il quadro ha la sua agiografico medievale per eccellenza. normale collocazione. Per Foligno Secondo il racconto la Madonna sarebun successo da cinquemila visitatobe apparsa all’imperatore Augusto, ri al giorno, naturale seguito dei davanti al disco solare, circondata dagli 240.000 visitatori che avevano già angeli e con il Bambino. Ottaviano, potuto ammirare il quadro a Milano impressionato dalla visione avrebbe in autunno, grazie ad un accordo di riconosciuto la grandezza di Gesù, partenariato tra l’Eni e i musei del rinunciando così a farsi venerare come Papa. un dio. Questa rappresentazione di I folignati hanno fatto ore di fila, Maria domina la parte alta della tavola, anche sotto la pioggia, per ammiramentre a sinistra ci sono San Giovanni re la “loro” Madonna, a gruppi di Battista e San Francesco e, a destra, il venticinque persone alla volta. «La committente, sul quale si appoggia San sentono loro e la sentono come una Girolamo, considerato il primo segretacosa che gli è stata rubata», spiega rio pontificio della storia. Sullo sfondo, Cinzia Manfredini, organizzatrice un centro abitato. dell’evento. «Già nel 2004, quando «La città che si vede sullo sfondo è il quadro era stato prestato per una Foligno, luogo d’origine del committenmostra a Dresda, la cittadinanza te», spiega il direttore dei Musei aveva raccolto una petizione di dieVaticani, il professor Antonio Paolucci: cimila firme per farla tornare a «insieme al cielo è la cosa più bella di Foligno. Sono molto attaccati al quella pala. Queste nuvole che diventadipinto. Materiale promozionale e no volti di cherubini. Queste nuvole cataloghi stanno andando a ruba». azzurre e grigio-viola, che sono uno dei Gino, che ha scoperto l’esistenza cieli più belli d’Italia che siano mai stati del quadro grazie a questa mostra dipinti. E poi il paesaggio straordinariane ha presi due. Per lui l’evento è mente ricco di luci e di colori. E’ il un’occasione per promuovere il “madoNNa CoN iL bambiNo e saNti giovaNNi, FraNCesCo, giroLamo e iL doNatore s igismoNdo de’ CoNti, detta “La madoNNa di FoLigNo”, raFFaeLLo, 1512 “momento veneziano” di Raffaello, turismo nella sua città: «sta venendo quando attraverso Lorenzo Lotto e molta gente anche da fuori e questo aumenterà l’indotto per tutta Foligno». Per Eppure il quadro di Raffaello non era stato Sebastiano Del Piombo conosce Giorgione e la molti il ritorno della grande pala d’altare – quasi commissionato per Foligno. Sigismondo De’ veneziana civiltà del colore. E’ il momento stilidue metri d’altezza – non è tuttavia una que- Conti, segretario di Papa Giulio II Della stico che possiamo ammirare nella “stanza di stione economica e anche l’aspetto culturale, Rovere, lo aveva commissionato come ex-voto Eliodoro” in Vaticano. E’ stato emozionante che era stato preponderante a Milano, è margi- per l’altare maggiore della chiesa di cui aveva il riportare la Madonna nel posto che era suo e la nale. Spesso chi è andato a vedere la Madonna patronato, Santa Maria in Aracoeli in risposta della popolazione è stata veramente di Raffaello, lo ha fatto per motivi devozionali, Campidoglio. Sigismondo morì prima del com- commovente» miCheLe raviart spirituali. «Possiamo stare davanti al quadro pletamento dell’opera – come testimonia la

a roma si celebrano i tesori umbri

I reperti della tomba etrusca dei Cacni, sottratti al mercato clandestino, in mostra alle Scuderie del Quirinale

È

una lunga storia quella che ha condotto 23 urne etrusche provenienti da Perugia alla mostra “La memoria ritrovata” allestita alle Scuderie del Quirinale. Rimaste a “riposare in pace” per più di duemila anni, protette da una camera ipogea nascosta nel terreno, hanno poi vagato per undici anni passando dalle mani dei tombaroli a quelle dei collezionisti. Ma andiamo con ordine. È il 2003 quando un’impresa edile perugina inizia gli scavi per costruire una palazzina ad Elce, nei pressi dell’Onaosi. uNa deLLe 23 urNe FuNerarie. Durante i lavo- suL marmo traCCe di verNiCe dorata ri si imbattono in una tomba, ricchissima. All’interno della camera ipogea, che viene distrutta, ci sono 23 urne in travertino bianco umbro, molte delle

quali con tracce di vernici colorate e decorate ormai distrutta ma i lavori non sono stati vani: con altorilievi e fregi. Oltre alle urne, decine di accanto alla tomba dei Cacni ne viene trovata preziosi reperti: utensili in ceramica e rari un’altra più piccola ma intatta. Al suo interno il oggetti in bronzo. corredo funerario e 6 urne, più semplici La tomba, a quanto si deduce dalle iscriziorispetto a quelle dei Cacni. Accanto alle ni sulle urne, appartiene ai membri di una due camere ipogee ne è poi emersa famiglia aristocratica: i Cacni. Gli opeuna terza, questa volta però vuota. rai non sanno che si tratta della più Ritrovamenti, questi, che importante scoperta etrusca degli danno indizi sulla topografia ultimi trent’anni, dopo il ritrovaperugina del periodo ellenimento della tomba dei Cutu, stico, tra il III e il II secolo sempre a Perugia. Tuttavia, a.C. Un momento storico intuiscono il grande valore del importantissimo nella storia ritrovamento e decidono di non di Perugia, che fa da spardenunciarne la scoperta e optatiacque tra il periodo etrusco re per il mercato nero. Alcune e quello romano. Allora, delle urne vengono lasciate al l’attuale quartiere di Elce era sicuro sottoterra, le altre sono affidauna sorta di piccola necropoli te ad un “esperto” del settore, specializzato fuori dalle mura della città. nella vendita illegale di opere d’arte. Adesso, finalmente, il tesoL’eLmo iN broNzo Ed è proprio seguendo le sue tracro che ha rischiato di scomce che i carabinieri – nel giugno del 2013 – arri- parire per sempre nelle mani di pochi colleziovano a ricostruire tutta la storia ritrovando, una nisti è visibile a tutti. Fino al 16 marzo sarà dopo l’altra, tutte le urne. esposto alle Scuderie del Quirinale per poi torLa sovrintendenza ai beni archeologici nare a riposare nel suo luogo di origine: dell’Umbria si mette, così, a lavoro. La camera Perugia. ipogea dalla quale provenivano i reperti è aNtoNeLLa spiNeLLi

un patrimonio sparso nel mondo

S

e tornassero indietro non basterebbe l’intero Palazzo dei Priori per ospitarle tutte. Sono le opere d’arte umbre sparse per il mondo, un’enorme collezione disseminata tra Metropolitan di New York, Hermitage di San Pietroburgo, Musée de beaux arts di Lione e tanti altri. Impossibile avere numeri precisi, ma si parla di migliaia di capolavori dell’arte della regione che nel corso dei secoli hanno lasciato i luoghi nei quali erano stati creati per non fare più ritorno. Laura Teza, professoressa di Storia dell’arte moderna all’Università di Perugia, spiega: «Dietro le vicende di quelle opere c’è tutta la storia d’Ita“Lo sposaLizio deLLa vergiNe” di raFFaeLLo lia. Un passato doloroso, condizionato dalla scarsa attenzione del nostro Paese per la conservazione dei tesori d’arte nei loro luoghi originari». La Pala d’altare di Raffaello, che ha fatto temporaneamente ritorno a Foligno, è solo l’ultimo nome di una lunga lista. Altri esempi? La “Visitazione della Vergine” di Domenico Alfani, una “Madonna con Bambino e i santi Quattro coronati” di Giannicola di Paolo, lo “Sposalizio mistico di santa Caterina” di Orazio Alfani. Tutti esposti al Louvre di Parigi. Ancora: lo “Sposalizio della Vergine” del Perugino, finito al museo di Caen in Normandia, una “Vergine assunta da San Filippo Neri”, esposta a Lione, un “San Bartolomeo” del Perugino, che ha sorvolato l’oceano per armoLte opere veNNero rivare negli Stati Uniti portate iN FraNCia nel museo di Birminda NapoLeoNe gham, in Alabama. Si potrebbe continuare a lungo. Gran parte di queste opere d’arte hanno lasciato l’Umbria durante la campagna d’Italia di Napoleone, che fece razzia dei capolavori che trovò in tutta la penisola. «Si trattò di un bottino di guerra, una cosa normale per quei tempi. Molte opere tornarono il Italia dopo la disfatta di Waterloo grazie ad Antonio Canova, ma si fermarono nella Pinacoteca Vaticana, dove si trovano tuttora» continua la professoressa Teza. Non si può però parlare di “furti”: «Quasi tutte queste opere, direi almeno il 90 percento, sono state portate via in maniera legale. Il fatto è che l’Italia si è dotata so“madoNNa CoN bambiNo e lo in tempi relativameni saNti Quattro CoroNati” te recenti, nel 1939, di di giaNNiCoLa di paoLo una legislazione in materia». Oggi l’esproprio può essere concesso solo in seguito all’approvazione della soprintendenza, che però ha le mani legate per quanto riguarda le opere che sono state portate fuori dall’Italia prima del ’49. I dipinti umbri, tranne qualche breve periodo di “villeggiatura” nelle proprie città natali, sembrano dunque destinati a rimanere confinati fuori dalla regione ancora per molto tempo. LoreNzo grighi


La storia

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15 FEBBRAIO 2014 da

siNistra verso destra:

aNgeLo terraCiNa piperNo;

e sua mogLie

eLvira

moNsigNor giovaNNi battista moNtiNi 1963 papa CoN iL Nome di paoLo vi; diveNuto suCCessivameNte, NeL

uN soLdato deLLa brigata ebraiCa paLestiNese, Che Liberò La Città di

assieme aLLa sua FamigLia;

todi,

piazza di todi dove La terraCiNa trasCorse La prima

uNa veduta deLLa FamigLia

Notte prima di essere ospitata NeLLa Casa deL sigNor

LeopoLdo marri.

La storia di Alberto e dei suoi cari, scampati alla persecuzione antisemita grazie alla generosità di una famiglia umbra

«zio Leopoldo rischiò la vita per noi» «C Partirono da Roma con dei documenti falsi a bordo di un camion. L’autista li lasciò a Todi dopo tre controlli delle SS

on la legge mussoliniana della difesa della razza, tutti gli ebrei furono cacciati dalle istituzioni, dalle scuole. Eravamo diventati cittadini non di serie B ma di infima serie». Inizia così l’intervista al signor Alberto Terracina, «italiano romano di religione ebraica» come ama definirsi. Lui conosce bene quali conseguenze hanno avuto le leggi razziali emanate nel 1938 perché proprio quei decreti e ciò che è accaduto dopo hanno avuto delle forti ripercussioni sulla sua famiglia. La sua storia ha un “lieto” fine se paragonata a quella di molti altri ebrei. Alberto Terracina, assieme al padre Angelo, alla mamma Elvira e a suo fratello Leo riuscirono infatti a sfuggire alle persecuzioni messe in atto nel 1943 dai nazi-fascisti. Originaria di Albano Laziale, la famiglia Terracina vantava un’amicizia con l’allora Monsignor Montini, successivamente divenuto Papa con il nome di Paolo VI, che «nel novembre del 1943 riuscì a farci avere documenti falsi cambiando il cognome da ‘Terracina’ a ‘Bonacina’ e con quelli ci fece salire su un camion diretto ad un monastero umbro, nessuno di noi sapeva quale in particolare». Durante il viaggio, il camion sul quale viaggiavano fu fermato ben tre volte dalle SS ma l’autista riuscì ad evitare il peggio. Spaventato, però, dal pericolo che stava correndo, decise di fermarsi a Todi e di far scendere i Terracina nella piazza principale dove trascorsero la notte. Il signor Alberto, che allora aveva due anni e mezzo, ricorda la generosità dei tuderti il mattino seguente «ci fu una gara di tutti i cittadini per portarci coperte e pasti caldi». In particolare, però, ci fu un uomo che si prodigò per la famiglia Terracina. Si tratta di Leopoldo Marri che decise di ospitare la famiglia Terracina a casa propria, «ci diede la camera dei suoi figli, fummo assistiti da

questa meravigliosa famiglia fino al giugno del 1944». A parte il signor Leopoldo, nessuno dei Marri era a conoscenza della vera identità dei Terracina, neanche la signora Ida, sua moglie e i figli Enrica e Luigi. «Non disse nulla, aveva pau-

a un medico. «A causa di una febbre alta, mia madre decise di farmi visitare dal dottor Orsini. Lui durante la visita, si accorse che ero circonciso e quindi di religione ebraica ma non disse nulla». I Terracina rimasero ospiti in casa Marri

aLberto terraCiNa NeLLa sua Casa romaNa

ra che potessero pregiudicare la nostra presenza e la loro sicurezza perché hanno rischiato molto». Il rischio infatti era alto. Degli anni passati a Todi il signor Alberto ricorda soprattutto la cucina della signora Ida e le frittelle che cucinava. Poi una piccolo particolare, «nella cattedrale di Todi, sulla strada c’è un piccolo anfratto e quando c’era la sirena di eventuali bombardamenti io scappavo e mi andavo a nascondere proprio lì». Oltre al signor Marri, o ‘zio Leopoldo’ come lo ha sempre chiamato il signor Alberto, i Terracina si sentono grati anche

fino al giungo del 1944 quando arrivò la brigata ebraica palestinese. «Fu davvero una grande sorpresa essere liberati da loro perché noi eravamo ebrei scampati alle persecuzioni nazi-fasciste ed eravamo liberati da altri ebrei provenienti dalla lontana Palestina». Una volta tornati a Roma, però, la vita per la famiglia Terracina non fu affatto facile. «Andammo subito a casa dei nonni materni e lì ci fu desolazione perché non trovammo più nessuno». Se da un lato, infatti, ci fu chi rischiò la vita per salvare gli ebrei, come il signor Marri, ci furono per-

I

l nome di Gino Bartali è da oggi scolpito nel «Giardino dei Giusti tra le Nazioni» a Yad Vashem, il memoriale ufficiale israeliano delle vittime dell’olocausto. A inaugurare l’inserimento di “Ginettaccio” nella lista di marmo con gli oltre 500 italiani che riscattarono l’onore del Paese, è stato il figlio Andrea. Bartali è tra quelli che ebbero il coraggio di dire no alla barbarie nazista. Gino, toscano burbero e schivo, ha salvato ottocento ebrei dai campi di concentramento nascondendo sotto il sellino e nella canna

shoah, bartali «giusto tra le nazioni» della bici documenti falsi. Fra il settembre ’43 e il giugno del ’44, l’eterno rivale di Fausto Coppi si è infatti

adoperato in favore dei rifugiati ebrei compiendo numerosi viaggi in bicicletta dalla stazione di Terontola-

Quattro Colonne

Anno XXIII numero 3 – 15 febbraio 2014

Periodico del Centro Italiano di Studi Superiori per la Formazione e l’Agg.to di Giornalismo Radiotelevisivo

Direttore responsabile: Antonio Socci

In redazione Laura Aguzzi – Cecilia Andrea Bacci – Carlotta Balena – Antonio Maria Bonanata – Alessandra Borella – Edoardo Cozza – Nicole Di Giulio – Giuseppe Di Matteo – Federico Frigeri – Lorenzo Maria Grighi – Manlio Grossi – Michela Mancini – Alessia Marzi – Nicola Mechelli – Alessandro Orfei – Antonello Paciolla – Lucina Meloni Paternesi – Michele Raviart – Valentina Rossini – Giulia Sabella – Luca Serafini – Antonella Spinelli – Sophie Tavernese – Caterina Villa

SGRT Notizie

Presidente: Nino Rizzo Nervo Direttore: Antonio Bagnardi Coordinatori didattici: Luca Garosi – Dario Biocca

sone che agirono in altro modo. Denunciarono la presenza di ebrei alle truppe nazi-fasciste, spinte probabilmente dal compenso che ricevevano. «Per ogni ebreo adulto segnalato e poi catturato si ricavavano 5 mila lire e 2 mila lire per ogni bambino». Per questo motivo, qualcuno segnalò la presenza dei nonni e degli zii materni del signor Alberto nella loro casa situata in viale in viale Trastevere, fuori quindi dal ghetto in cui avvenne il rastrellamento del 16 ottobre Spero che 1943. Nessuno di loro fece ritori giovani no, furono depossano portati ad Auschwitz e lì trorendersi conto varono la morte. «Noi tutto som- della ferocia che mato siamo stati fortunati ma è c’è stata contro una fortuna relagli ebrei tiva perché non abbiamo mai avuto la gioia di poter trascorrere del tempo con i nostri nonni, i nostri zii e i nostri cugini». La speranza di poter riabbracciare il resto della famiglia era forte a tal punto che la mamma del signor Alberto «tornò a vivere nella casa dei propri genitori proprio per aspettarli, con la speranza che qualcuno ritornasse». Speranza che si spense nel 1946 quando arrivò la comunicazione che nessuno era sopravvissuto. Oggi, a distanza di molti anni, il signor Alberto Terracina si impegna per portare la sua testimonianza in occasione delle varie cerimonie dedicate all’Olocausto perché vuole che «i giovani possano apprendere e rendersi conto della ferocia che c’è stata contro gli ebrei durante quegli anni».

Redazione degli allievi della Scuola a cura di Sandro Petrollini Registrazione al Tribunale di Perugia N. 7/93 del marzo 1993

maNLio grossi

Cortona fino ad Assisi trasportando fogli e foto nascosti affinché una stamperia segreta potesse falsificare i documenti necessari alla fuga dei perseguitati. Andrea Bartali racconta che il padre pronunciava sempre queste parole: «Il bene si fa ma non si dice e sfruttare le disgrazie degli altri per farsi belli è da vigliacchi». Racconti di altri tempi che danno la dimensione delle persone, dei protagonisti e della vita: com’era e come adesso è cambiata. NiCoLa meCheLLi

Segreteria: Villa Bonucci 06077 Ponte Felcino (PG) Tel. 075/5911211 Fax. 075/5911232 e-mail: sgrtv@sgrtv.it http://www.sgrtv.it Spedizione in a.p. art.2 comma 20/c legge 662/96 Filiale di Perugia Stampa: Graphic Masters - Perugia


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