ScubaZone n.49

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#PLASTICFREE di Massimo Boyer

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a plastica uccide, in tutte le sue forme. Tutti abbiamo visto le immagini dei sacchetti per la spesa estratti dallo stomaco delle tartarughe o delle balene. Le prime forse sono ingannate dall’aspetto di un sacchetto alla deriva, simile a una medusa. Le seconde lo ingoiano involontariamente, mentre spalancano una bocca enorme per ingoiare krill, o pesciolini, la loro preda normale. Ma le microplastiche sono ancora più subdole. Accumulandosi alla superficie dell’acqua finiscono in abbondanza nello stomaco dei filtratori, dalle piccole acciughe agli enormi squali balena, che amano nutrirsi vicino alla superficie, dove sanno che si concentrano le loro prede. Ma non solo: studi recenti confermano che organismi come i coralli ingoiano

volontariamente frammenti di microplastica, sui quali con l’immersione in acqua si sviluppano alghe e batteri, che danno a queste plastiche l’odore ed il sapore appetitoso del materiale organico. Infine vogliamo mostrarvi le immagini, tristi e grottesche, di animali come polpi e paguri che fanno di un contenitore di plastica la loro casa, rendendo anche difficile il compito a chi pulisce i fondali... sarebbe giusto togliere loro la casetta a cui si affidano per trovare protezione? Che possiamo fare concretamente per risolvere il problema? È un problema mondiale, quindi è giusto che sia approcciato a più livelli. A livello internazionale si dovrebbe sviluppare una strategia comune, con tanto di sanzioni per chi non la rispetta, volta ad eliminare completamente la dispersione di plastica nell’ambiente, coerentemente con

la risoluzione sull’inquinamento marino da parte dell’Assemblea delle Nazioni Unite per l’ambiente, finora disattesa. L’industria dal canto suo dovrebbe potenziare la ricerca, favorendo strategie sostenibili per eliminare l’uso eccessivo di plastica negli imballaggi, in tutti i prodotti monouso, cercando alternative rinnovabili. Infine, come privati cittadini questo è quello che ciascuno di noi può impegnarsi a fare, senza rimandare. Quando possibile scegli oggetti fatti con materiali alternativi alla plastica, biodegradabili o riciclati: il pettine o le mollette per stendere in legno, spugne per pulire in cellulosa, piatti in ceramica, ciotole, tazze e biberon in vetro, tovaglie in cotone, il filo interdentale in materiale biodegradabile anziché in nylon, tappetini per lo sport in fibra di bambù.

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Evita prodotti usa e getta: no a cannucce, a buste della spesa, all’acqua in bottiglia, a stoviglie e posate, cotton fioc ma anche penne e accendini; preferisci spazzolini o rasoi con testine intercambiabili. Conserva gli alimenti senza plastica: pellicole, bustine, contenitori in plastica hanno un ottimo sostituto il vetro, materiale inerte che, a differenza della plastica, non rilascia contaminanti. Evita saponi e prodotti cosmetici che contengano plastiche: se tra gli ingredienti leggi polyethylene, polypropylene o polyvinyl-chloride vuol dire che la plastica è uno degli ingredienti, magari aggiunta in forma di microparticelle sbiancanti o esfolianti. Compra a peso: acquista alimenti sfusi (frutta, verdura, formaggi, carne, pesce) e detersivi “alla spina” (in caso non siano disponibili, opta per le eco-ricariche), in modo da minimizzare il packaging. Fai la raccolta differenziata seguendo le regole del tuo comune: smaltisci correttamente tutti i tuoi rifiuti, portando in discarica quelli speciali.

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Attivati per sensibilizzare negozi, supermercati e il tuo comune per ridurre urgentemente la plastica inutile e promuovere la sostenibilità. Sii un cittadino responsabile, non gettare i rifiuti sulle spiagge e nell’ambiente (inclusi

i mozziconi di sigaretta) per evitare di inquinare e per garantire un futuro migliore a chi verrà dopo di noi. Ti pare poco? Impegnandoci tutti, ciascuno per i propri mezzi, possiamo ancora fare qualcosa.


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INTERVISTA A ELEONORA DE SABATA, PROGETTO CLEAN SEA LIFE. E per cominciare possiamo, ciascuno nel suo piccolo, prenderci cura del mare: ad esempio facendo più attenzione a come smaltiamo i nostri rifiuti, ripulendo dove qualcun altro ha sporcato e, soprattutto, usando meno plastica usa&getta, al mare come in città. È la ‘promessa al mare’ che ci chiede Clean Sea Life, il progetto co-finanziato dall’Unione Europea di cui è coordinatrice Eleonora de Sabata, che ha accettato di rispondere alle nostre domande. Giornalista e fotografa specializzata in argomenti marini, da trent’anni unisce approfondimento e divulgazione, la protezione dell’ambiente e la ricerca scientifica. Ha fondato un’associazione di conservazione e ricerca per lo studio di squali mediterranei, specie a rischio estinzione: MedSharks. Clean Sea Life coinvolge gli amanti del mare in una campagna straordinaria di pulizia di coste e fondali d’Italia. Migliaia di persone, circoli e operatori turistici

hanno già aderito e stanno cambiando il volto del mare. Eleonora, spiegaci cos’è il progetto Clean Sea Life e cosa ciascuno di noi, come cittadino e come subacqueo, può fare attivamente per il problema. Il progetto Clean Sea Life è un progetto di sensibilizzazione sui rifiuti marini, capitanato dal Parco Nazionale dell’Asinara con il supporto della Commissione Europea, che ha l’obiettivo di contrastare l’accumulo dei rifiuti marini lungo le coste italiane. Abbiamo creato un movimento di persone – subacquei, diportisti, pescatori, surfisti ma anche operatori balneari, bar e alberghi, studenti e insegnanti - impegnate attivamente nel difendere il Mediterraneo. In tre anni abbiamo organizzato insieme pulizie di spiagge, coste, fiumi, fondali e recuperato finora oltre 40 tonnellate di spazzatura dal mare; siamo andati nelle scuole, nei circoli, nei musei, nei cinema e abbiamo incontrato migliaia di persone in classe, in spiaggia, nei porti, in barca, in gommone. Il risultato è che oltre ventimila persone si sono impegnate a rispettare il mare: facendo più atten-

zione a come gestiamo i rifiuti, prendendo l’impegno a recuperare qualcosa ogni volta che andiamo in spiaggia o in mare, a riciclare meglio e di più e, soprattutto, a evitare il più possibile gli oggetti usa e getta. È la ‘promessa al mare’ di Clean Sea LIFE, tre accorgimenti semplici e importanti da diffondere a tutti - anche in città, visto che la gran parte dei rifiuti marini arriva dall’entroterra. I subacquei hanno risposto in modo straordinario alla nostra chiamata: oltre 120 diving e scuole subacquee hanno iniziato a organizzare regolarmente le pulizie dei fondali, cosa che magari prima facevano saltuariamente; diversi diving hanno installato filtri per dissetare tutti con l’acqua del rubinetto, con un risparmio di migliaia di bottiglie di plastica. E centinaia di istruttori hanno iniziato a diffondere il messaggio fra gli allievi, facendo capire che i sub sono gli unici a poter recuperare le cose dal fondo del mare, ed è nostra responsabilità recuperare quello che troviamo in mare – ovviamente sempre nel rispetto della sicurezza e delle proprie capacità. Abbiamo recuperato anche decine e decine di reti perdute:

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alcune ancora in pesca, altre destinate comunque a sbriciolarsi in una nuvola di microplastica. Questa delle reti è però un’operazione da lasciare solo ai subacquei di grande esperienza e che va pianificata solo dopo aver esaminato la vita che nel frattempo ha colonizzato l’attrezzo, sacrificando gli organismi più comuni o lasciando invece quegli spezzoni su cui si sono installati animali rari o protetti. Abbiamo parlato di rifiuti di plastica, ma da dove vengono i rifiuti che il mare restituisce alle nostre spiagge? Una parte viene dalla pesca e dalla navigazione, ma la stragrande maggioranza viene da terra: da discariche illegali, a causa di una cattiva gestione dei rifiuti, di incuria o disattenzione, spesso trascinati in mare da fiumi, anche grazie alle alluvioni che spazzano via tutto quanto si è accumulato sulle strade. La plastica è la frazione più importante dei rifiuti che troviamo in spiaggia o in mare aperto, mentre sul fondale si accumulano anche metalli e gomme, solitamente più pesanti. Cosa si trova tra questi rifiuti? Quali sono gli oggetti più comuni, e quali i più strani che hai trovato? Frigoriferi, asciugacapelli, un computer, televisioni, gabinetti, tavoli e poltrone… la lista è infinita. Gli oggetti più comuni sono invece pezzi e cassette di polistirolo, sacchetti di plastica, flaconi e bottiglie, ruote, cicche di sigaretta, bastoncini di cotton fioc. La metà è monouso e un terzo viene da attività turistiche e ricreative: puntali d’ombrellone, bicchieri e cannucce, mozziconi di sigaretta, bustine di gelati, lozioni solari, materassini, occhiali e giocattoli, esche per la pesca, quantità incredibili di giocattoli dimenticati in spiaggia e imballaggi alimentari. Nelle reti dei pescatori abbiamo trovato innumerevoli materassini, palloni e palloncini... tutti oggetti innocui, all’apparenza, il cui destino è di frantumarsi in una nuvola di frammenti di plastica – la microplastica. È la banalità del male! Spesso infatti basta solo un po’ più di attenzione da parte nostra: non abbandonare un sacchetto alla mercé di gatti o uccelli che possono sparpagliare il contenuto in spiaggia. Molti animali, tra cui uccelli e tartarughe, si soffocano o si procurano occlusioni intestinali ingerendo grossi pezzi di plastica. I pesci e in generale i mangiatori di plancton ingoiano grandi quantità di mi-

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croplastiche. Perché gli animali, di solito molto selettivi e schizzinosi, scambiano la plastica per cibo? Pare vengano ingannati dall’odore emesso dai microorganismi che colonizzano gli oggetti in mare. Uno degli oggetti più pericolosi per gli uccelli marini, per lo meno nei mari del sud dove è stata condotta una ricerca specifica, sono i palloncini – anche quelli cosiddetti biodegradabili, in lattice - perché aderiscono alle pareti dello stomaco, impedendo agli animali di assorbire il nutrimento. Il problema però non è solo l’ingestione: molti animali finiscono per imbrigliarsi in sacchi, cime, lenze, anelli galleggianti, rimanendovi intrappolati.

Le spiagge delle isole più remote e disabitate sono coperte di plastica, che i movimenti dell’oceano trasporta. Grossi agglomerati di plastica galleggiante, che sono stati paragonati a isole, si trovano al centro degli oceani, dove nessuno produce rifiuti. Cosa ci dice questo? Che il mare non ha confini, e la spazzatura in mare si sposta. Lo abbiamo visto da vicino in questi mesi: ricorderete forse il caso dei famigerati ‘dischetti di plastica’ che si sono dispersi in mare in seguito a un incidente al depuratore di Capaccio. Le segnalazioni dei nostri volontari, che ne hanno raccolti quasi 200.000, hanno coperto mezzo Mediterraneo. Detto questo, però, è bene ricordare che a parte


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qualche caso isolato, gran parte della spazzatura che troviamo sulle spiagge italiane è nostra: quindi è da noi che deve partire il cambiamento. La plastica è un materiale estremamente longevo, potremmo dire eterno. Ma è stato ed è utilizzato ampiamente per oggetti “usa e getta”, “monouso”. Non ti sembra che ci sia un grossolano errore di fondo? Scherzando noi diciamo che la plastica, come un diamante, è per sempre. L’errore di fondo è proprio questo: la plastica è un materiale fantastico, leggero, resistente, impermeabile, duraturo che è assurdo utilizzare solo per pochi secondi. La plastica è l’invenzione che ha rivoluzionato in meglio le nostre vite: gli imballaggi aiutano i cibi a durare di più, la leggerezza e resistenza dei componenti in plastica consente ad auto e aerei di consumare meno, negli ospedali l’usa&getta evita di contrarre malattie contagiose. Ma usare stoviglie di plastica a casa o al bar solo per la comodità di non lavarle, è un controsenso. E non basta sostituire la plastica con la cosiddetta ‘bioplastica’ biodegradabile e compostabile: è proprio la cultura del monouso che dobbiamo superare, cercando di produrre meno rifiuti possibile. Per mille motivi: perché anche gli oggetti in ‘bioplastica’ vanno prodotti (magari all’estero, magari deforestando il Brasile o l’Asia), trasportati, smaltiti; perché comunque questi oggetti si biodegradano velocemente solo negli impianti industriali, ma se finiscono nell’ambiente ci mettono mesi se non anni a frammentarsi e nel frattempo, meccanicamente, pongono comunque un problema agli animali. Perché gran parte dei nostri im-

pianti di trattamento dell’umido non sono ancora attrezzati a smaltire questi oggetti, che quindi vengono separati e buttati nell’indifferenziato. Insomma: nessun paese al mondo è in grado di gestire la mole di rifiuti che stiamo generando, e la cosa migliore che possiamo fare – è produrne di meno. Dobbiamo, tutti, iniziare a far più caso, e a ridurre, i rifiuti inutili che generiamo nella vita di tutti i giorni. A partire da cose banali come i mozziconi di sigaretta gettati a terra (di plastica, e intrisi di sostanze tossiche), ai palloncini liberati in aria per feste di ogni tipo, alla miriade di bottigliette d’acqua che acquistiamo ogni anno, sostituendole invece con la borraccia e l’acqua di rubinetto. Piccoli gesti che contano: sapete che ogni italiano in media beve 200 litri di acqua minerale l’anno? Sono l’equivalente di 400 bottigliette a testa, moltiplicato per decine di milioni… Sarà questo il focus della nostra partecipazione all’Eudi Show 2020, in cui avremo come lo scorso anno un grande stand grazie al supporto di Assosub. In estate abbiamo lanciato la campagna #spazzamare e regaleremo alcune borracce a chi ci porterà una foto delle proprie attività di pulizia di spiagge e fondali! Certo non riusciremo da soli ad arrestare il fiume di plastica che pervade le nostre vite e che è tracimato in mare. Il problema è così complesso che va aggredito da tanti fronti: quello legislativo, quello di gestione dei rifiuti, quello industriale… ma è indubbio che come consumatori anche noi possiamo avere un ruolo di peso. Clean Sea LIFE, poi, cerca di aiutare le autorità ad affrontare questa piaga con leggi e ordinanze che limitino l’immissione di nuovi rifiuti: abbiamo ad esempio contri-

buito a bandire la microplastica nei cosmetici in Italia. Recentemente Clean Sea Life si è distinta per l’attività di ‘pesca di rifiuti’, coinvolgendo i pescatori e le autorità locali di quattro porti italiani (Porto Torres, Manfredonia, Rimini e San Benedetto del Tronto) nella gestione dei rifiuti raccolti dalle reti. Il progetto ha mobilitato l’intera flotta a strascico sambenedettese nell’iniziativa “a pesca di Plastica”, che a partire da maggio 2019 ha sbarcato circa 24 tonnellate di rifiuti strappati ai fondali adriatici: abbiamo condiviso questa esperienza con il Parlamento per la legge Salva Mare che consentirà ai pescatori ma anche ai subacquei a conferire a terra i rifiuti che raccogliamo sott’acqua o fra le onde. E infine abbiamo convinto già tre Comuni a bandire il lancio dei palloncini, uno degli oggetti più sottovalutati ma più letali fra quelli che galleggiano in mare. Il nostro motto è: tutti insieme per un mare pulito! Partner del progetto sono: il Parco Nazionale dell’Asinara, capofila, con CoNISMa, le associazioni Fondazione Cetacea, Legambiente e MedSharks, MPNetwork. Il progetto è presente sul web all’indirizzo www.cleansealife.it e sui social Facebook, Twitter, Instagram e Youtube @CleanSeaLife

Le fotografie a corredo dell’articolo sono: foto a pagina 9 di Giovanni Pitone (“Plastic Sea” ABISSI Città di Venezia 2014); foto a pagina 10 di Massimo Boyer; foto a pagina 11 di Marco Gargiulo (“Plastic Sea” ABISSI Città di Venezia 2014); foto a pagina 12 e 13 per gentile concessione del progetto CleanSeaLife

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I VIAGGI NATURALISTICI DI MASSIMO BOYER

DESTINAZIONE LEMBEH

di Massimo Boyer

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osa succede se nello stretto di Lembeh (Sulawesi, Indonesia) si incontra Massimo Boyer, il noto fotografo sub e biologo marino, con la sua attrezzatura fotografica (custodia Leo3 wi Easydive, braccetti Carbonarm, flash Sea&Sea, mirrorless Sony α7 III) alla testa di un gruppo di fotosub, con l’organizzazione di Nosytour e la partecipazione di Easydive? Beh, è facile, avete incrociato il workshop di fotografia naturalistica per la serie “i Viaggi Naturalistici di Massimo Boyer”. Arrivati or-

mai al quinto anno di programmazione, i viaggi di Massimo Boyer hanno visitato Bangka, le Maldive e il Sudan in crociera, Cabilao, e quest’anno lo stretto di Lembeh.

LO SCOPO Perché partecipare ai viaggi naturalistici di Massimo Boyer e Nosytour? La fotografia è ormai diventata un mezzo di condivisione, oltre che il miglior sistema per raccontare l’ambiente visitato e i fenomeni osservati, e i suoi segreti sono svelati da un famoso fotografo naturalista e divulgatore. Prendendo par-

te ai viaggi naturalistici si impara come riprodurre ed interpretare al meglio la realtà, secondo la sensibilità di ciascuno, producendo fotografie belle ed espressive. Anche per chi non fa foto l’opportunità è unica per imparare qualcosa di più sull’ecologia del posto, sulle dinamiche della vita. Perché, e ne siamo convinti, viaggiare significa anche capire, per godere appieno della nuova esperienza.

IL SITO Lo stretto di Lembeh, con andamento da nord a sud tra l’omonima isola e la

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sfondo nero o sfondo naturale: questi i principali temi fotografici del workshop. Oltre alle interazioni tra specie diverse, nel regno della biodiversità, dove fenomeni di simbiosi, parassitismo, predazione sono all’ordine del giorno. Altri temi accessori sono stati: l’utilizzo di manufatti umani da parte di animali selvatici, fotografare il comportamento, la diffusione di specie non native.

L’ORGANIZZAZIONE Dal 2015 Kudalaut e Nosytour collaborano all’organizzazione di queste spedizioni, selezionando con attenzione le strutture più adatte, barche e resort. Il viaggio 2019 ha avuto come teatro il White Sands Beach Resort by Eco Divers, un resort che (rarità per Lembeh) sorge sull’unica spiaggia che ha una prevalenza di sabbia bianca, di origine corallina, indice di un reef in salute. Il resort è stato aperto quest’anno da Andrea Bensi, offre uno scenario da favola, un ottimo ristorante che realizza una sapiente fusione tra la cucina locale e quella internazionale. Andrea e il suo staff, che ringraziamo in blocco, si sono prodigati per assicurare il successo del workshop.

EASYDIVE

costa di Sulawesi, presenta alcune caratteristiche che ne fanno un ambiente unico. Intanto è uno stretto, con fondali bassi ma comunicanti, specie a Nord, con le grandi profondità della scarpata continentale. Le acque sono sempre calme. Il sedimento predominante è di sabbia nera, di origine vulcanica. A Lembeh una comunità biologica unica alterna elementi della fauna costiera con elementi della fauna profonda, che qui trovano acque fresche e sempre calme, ricche di nutrienti, quindi condizioni ideali. Ottobre è forse il periodo migliore in assoluto per vedere Lembeh: i venti da

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sud provocano risalita di acque profonde da nord, e apporto di nutrienti e di larve dall’oceano: la temperatura dell’acqua può essere leggermente più bassa, ma le forme di vita presenti sono al loro meglio. Lembeh è il paradiso per la macrofotografia: dai cavallucci pigmei, ai polpi imitatori, agli antennaridi pelosi, questo è il posto migliore per vedere ogni sorta di strana creatura, e per fotografarla con cura e attenzione per l’ambiente, appoggiandosi su un fondale sabbioso e curando l’ambientazione e l’illuminazione. Ambientazione e illuminazione, prevalenza della luce ambiente o dei flash,

La dinamica casa italiana produttrice di custodie, sponsor del programma, ha messo a disposizione una custodia Diveshot completa di illuminatore e braccino. La Diveshot, custodia rivoluzionaria per concezione, può ospitare praticamente ogni smartphone, dagli i-phone ai Samsung, LG, Huawei e virtualmente tutti i sistemi Android. Il punto di partenza è che ormai lo smartphone è diventato la macchina fotografica che ognuno porta sempre con sé, e che consente una pronta e ampia condivisione dei nostri ricordi, che in un tempo ormai lontano erano custoditi in scatolette e caricatori di diapositive, e mostrati solo agli amici intimi in serate interminabili. Adesso appena finita l’immersione si può condividere direttamente, e grazie alla app Diveshot il vostro smartphone in custodia diventa capace di operazioni, con tempi e diaframmi, che chi è abituato alla routine del point and shot neppure sospettava... anche chi sa già fotografare ha di che divertirsi! La Diveshot al workshop ha riscosso il successo che meritava, diventando pro-


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tagonista assoluta quando ha permesso di catturare rarità come il mitico polpo ad anelli blu, o come un pesce lucertola in azione da predatore, grazie anche alla bravura e alla prontezza di chi la gestiva (non sottovalutiamo mai il ruolo del fotografo).

CORAL EYE Per me il viaggio naturalistico ha avuto un prolungamento con la settimana trascorsa al Coral Eye, all’isola di Bangka. Il resort, gestito da Marco e Ilaria, ora affiancati da Marco e Anna, già sede della prima edizione dei viaggi naturalistici, rappresenta per il sottoscritto una tappa quasi obbligata, alla ricerca di relax, di un clima amichevole, di amici attenti all’ambiente marino, e di soggetti fotografici importanti. Cavallucci marini, gamberetti di Coleman, antennaridi, pesci fantasma, seppie flamboyant, murene e tanti altri soggetti si sono alternati davanti alle lenti del mio 90 mm macro o del 12-24 mm, sempre Sony. Questo mentre gli ospiti del resort portavano avanti i loro progetti, fossero questi di una semplice vacanza o di un soggiorno di ricerca.

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POVERO MARE NOSTRUM di Francesco Turano

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bbiamo un solo mare. Abitiamo un pianeta fatto d’acqua dove la vita è possibile grazie all’acqua. Un mondo dove oltre agli animali e ai vegetali vive la specie umana. Faccio sempre fatica a scrivere poche righe di un argomento sul quale non basterebbe una vita per discutere. Il mare è il nostro mondo, questo è un fatto, ma ultimamente lo abbiamo confuso con un pozzo pieno di risorse (ormai poche) dal quale prendere senza regole. L’uomo sa bene oramai (o dovrebbe sapere) che senza un criterio nessuna risorsa può essere sfruttata ad oltranza, ed è giunto il momento di tornare indietro nel tempo, riconquistare il rapporto perso con

la terra, e quindi con l’acqua, di cui siamo parte; serve riacquisire la consapevolezza che è necessario, quanto urgente, un nuovo equilibrio. I subacquei, sempre pochi nonostante la tecnologia consenta oggi cose incredibili, hanno la fortuna di vivere un ambiente unico, il più ricco del pianeta terra: l’ambiente sommerso. L’opportunità di immergersi e conoscere la vita nel mare è una cosa grandiosa. Consapevoli di ciò, non limitiamoci a considerare l’attività subacquea solo uno svago, ma cerchiamo di diventare attori protagonisti per la divulgazione della conoscenza, per far sapere a tutti cosa accade sott’acqua, come soffre oggi il mare e cosa è giusto cercare di fare al più presto, per salvare il salvabile.

L’impegno del singolo è oggi importante più che mai e solo una corretta educazione dei giovani e un’inversione di tendenza può tutelare la specie umana e il suo futuro. In un mondo in cui si parla sempre di più di inquinamento, cambiamenti climatici, pesca indiscriminata, abusivismi d’ogni sorta, troviamo uno spazio anche noi, subacquei, per un impegno rivolto alla salvaguardia degli ambienti marini. Siete tutti invitati a contribuire per creare una forza positiva: usiamo internet sfruttandone le reali potenzialità, che ci consentono di comunicare come mai è stato possibile. Alcuni anni fa, in un tempo non molto lontano, esistevano poi i pescatori, uomini che vivevano il mare prelevandone razionalmente e periodicamente i frutti e vi-

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vendone lo spirito; erano uomini di mare, amavano il mare e i pesci, rispettavano ciò che per loro era fonte di sostentamento e di vita. Oggi non è più cosi. La sferzata dell’inquinamento ambientale, le moderne attrezzature da pesca, il prelievo scriteriato e senza limiti hanno, tutti insieme, inferto un duro colpo al mare ed ai suoi abitanti. Sono pochi i pescatori che ancora lavorano come si deve e in molti casi si assiste a una pesca per nulla in equilibrio con l’ambiente. E la tecnologia favorisce lo sterminio. Un meccanismo perverso si è fatto strada da solo e, come sempre, l’uomo rimane vittima di se stesso. Quel che presento è un quadro triste, non piacevole. Ma non è una visione

pessimistica della realtà, bensì solo una semplice osservazione dei fatti che ormai tutti i giorni abbiamo sotto gli occhi; e le foto potrebbero anche parlare da sole, senza alcun commento. Ma sentimenti e parole servono per sottolineare qualcosa di molto importante. Che sentimento vi suscita osservare dei pesci morti da poco galleggiare in superficie all’interno di un porto dove resistono le ultime marinerie dedite alla pesca con le reti, tramagli e altro, pesci “commercialmente inutili” ma morti ugualmente? Cosa si prova vedendo sui banchi dei mercati pesci fino a poco tempo fa considerati non commestibili, messi in vendita come se lo fossero, e pesci congelati e

d’allevamento che superano in numero quelli freschi locali? Sono certamente scene che si commentano da sole, ma è fondamentale parlarne perché siamo distratti. Fotografare, riprendere e interpretare quel che accade per trasmettere la drammaticità di un momento che passa inosservato è determinante. Interpretazione e ricerca fotografica, quindi, per porre sotto gli occhi di tutti quel che a volte succede a nostra insaputa, quel che a volte il mare nasconde sotto la sua sempre bella superficie ma che a volte l’uomo incurante porta a galla e “schiaffa” sotto gli occhi di tutti. Oggi siamo tutti distratti e superficiali e lavoriamo schiavi dei computer e della monotonia quotidiana, non trovando tempo e occhi per guadarci intorno; di conseguenza non vediamo quasi mai ciò che accade realmente, limitandoci a consumare pesce (per non dire altro) senza farci troppe domande. Tornando con la testa sott’acqua, possiamo toccare con mano una realtà fatta di rifiuti abbandonati sui fondali, residui di plastica e altri materiali non biodegradabili, attrezzature da pesca perse per sempre e giacenti su sabbia o roccia, tutto a testimonianza di cosa siamo capaci di fare sulle terre emerse, deturpando un mondo, quello sommerso, che non vediamo, non conosciamo, ma soprattutto non amiamo. Dovremmo rieducarci ad amare e a considerare il nostro pianeta come la nostra casa. Sott’acqua ogni scena vissuta scatena grande slancio emotivo, appaga e coinvolge, in un susseguirsi di esperienze sempre nuove. In un’epoca che viene definita Antropocene ci rendiamo conto facilmente, anche durante un’immersione, di quanto l’uomo ha modificato i paesaggi sommersi, alterandone le caratteristiche. Le fotografie di questo articolo sono un piccolissimo esempio di cosa si può osservare sui fondali marini a profondità limitate. E anche se il mare è capace di fare miracoli nel trasformare le malefatte umane attraverso la colonizzazione di molti dei rifiuti e dei relitti umani, attraverso l’attecchimento della vita anche sui substrati dove sembrerebbe impossibile che ciò avvenga (plastica inclusa), questo non deve illuderci o farci credere che il mare possa comunque sopravvivere a prescindere dalle nostre azioni. Siamo diventati troppi sul pianeta e, complice la tecnologia, non abbiamo altra possibilità che invertire la marcia. Ne saremo capaci?

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EMERGENZA PLASTICA

METE SUBACQUE CON SEA SHEPHERD E Y-40 PER UN MARE PIÙ PULITO di Renato La Grassa

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na delle emergenze ambientali più gravi della nostra epoca è rappresentata dall’inquinamento dei mari, letteralmente invasi dalla plastica. Questo tipo di inquinamento determina preoccupanti contraccolpi alla biodiversità e rappresenta una pericolosa minaccia per la sopravvivenza di alcune specie ittiche, oggi a forte rischio di estinzione,

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compromettendo sempre più la capacità dell’oceano di fornire cibo, con danni enormi per l’intera comunità internazionale, specialmente per i Paesi più poveri del mondo. Dinanzi a uno scenario di tali proporzioni, ci si domanda se siamo giunti ad un punto di non ritorno o se sussistano le condizioni per una inversione di rotta, praticabile solo attraverso l’adozione di iniziative politiche internazionali indi-

spensabili per concordare ed attuare le misure necessarie a contenere i problemi dell’ambiente e a combattere i cambiamenti climatici, vero flagello per vaste zone del pianeta. In questa direzione si sta muovendo l’Unione Europea che, seppure con molte difficoltà dovute agli interessi delle grandi multinazionali produttrici di plastiche, porta avanti i suoi sforzi a favore di oceani puliti e gestiti in modo sostenibile,


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ammettendo inoltre l’urgenza con cui si deve agire per mettere fine alla pesca illegale e sviluppare un’economia che crei posti di lavoro basati soprattutto sulla ricerca e sulla sostenibilità ambientale. Anche noi, nel nostro piccolo, possiamo impegnarci a difendere la salute dei mari semplicemente cambiando i nostri stili di vita. Ad esempio, acquistando prodotti con meno imballaggi, borse in stoffa, scegliere il vetro al posto della plastica, adottare la raccolta differenziata, recuperare oggetti usati limitando l’acquisto di quelli nuovi, con conseguente diminuzione dei rifuti.

METE SUBACQUE, Tour Operator leader nel settore dei viaggi subacquei, è da sempre molto sensibile ai problemi incombenti del nostro pianeta e in particolare alla salute dei nostri oceani e dei loro delicati equilibri naturali. Ricerca costantemente nel mercato strutture logistiche “plastic free” attente anche alla salvaguardia dell’ambiente, come il Gangga Island Resort and Spa, della catena alberghiera indonesiana Lotus Hotel, situato sulla punta di una piccola isola al largo della costa di Manado, nel Nord Sulawesi in Indonesia. Un resort che offre un’esperienza subacquea a 5

stelle PADI, il cui fabbisogno di energia termica ed elettrica, garantito in precedenza grazie all’uso di motori diesel, viene oggi soddisfatto da un complesso impianto tecnologico alimentato da energia solare. Mete Subacque, inoltre, è stato ben lieto e orgoglioso di sponsorizzare la prima edizione del Sea Shepherd Trophy, un evento a scopo di beneficenza organizzato da Y-40 in cui atleti, personaggi dello spettacolo e amanti dell’acqua si sono immersi con i campioni di apnea sfidandosi nella più veloce gara subacquea nella piscina più profonda del mondo in sella ai velocissimi scooter Seabob. L’incasso, reso possibile grazie alla sponsorizzazione di 6 aziende ciascuna delle quali ha dato il nome alla relativa squadra, è stato devoluto a favore di Sea Shepherd, l’organizzazione senza fini di lucro che da oltre 40 anni usa tattiche di azione diretta e di informazione per proteggere la vita marina, portando a conoscenza della massa problemi come la pesca illegale, la caccia alle balene, alle orche, alle foche e l’inquinamento. Sea Shepherd è conosciuta non solo per le attività dirette dei suoi equipaggi che attraversano gli oceani a bordo delle sue navi in difesa del mare e dei suoi ecosistemi marini, ma anche grazie all’impegno di migliaia di volontari, che con l’impegno quotidiano svolto in terraferma garantiscono molte delle risorse necessarie quali cibo e carburante per le navi. Con il Progetto Scuole, inoltre, attua una campagna di sensibilizzazione verso le nuove generazioni spiegando loro l’importanza di uno stile di vita più attento e consapevole, indispensabili alla salvaguardia del pianeta e di tutte le creature che lo abitano. Inoltre, aderendo al progetto ha contribuito al sostentamento del costo carburante garantendo così a Sea Shepherd 2 giorni/ barca per ostacolare il bracconaggio. Fra i tanti apneisti di fama internazionale che hanno partecipato alle gare ricordiamo Livia Bregonzio campionessa mondiale di apnea, Paolo Fontana campione italiano di apnea, Samo Jeranko vice-campione del mondo di apnea, Mirela Kardasevic campionessa del mondo di apnea, Lidija Lijic campionessa del mondo di apnea, Mike Maric campione del mondo di apnea, Vitomir Maricic campione croato di apnea, Erica Barbon campionessa Europea Apnea Speed, Antonio Mogavero campione italiano di apnea, Umberto

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ALBATROS TOP BOAT

TRA ECOSOSTENIBILITÀ E CULTURA di Francesca Miccoli

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lbatros Top Boat a bordo del M/Y Conte Max e del M/Y Duca di York, offre diversi itinerari fra gli atolli Maldiviani che sposino l’interesse e la passione per la biologia marina dei partecipanti, con la loro curiosità per culture e costumi tanto diversi da quelli europei, sempre nel massimo rispetto di ambiente, tradizioni e popolazioni autoctone. Di pari passo ai tragitti volti alla ricerca e osservazione di fauna marina unica e indimenticabile, uniamo destinazioni di assoluto interesse culturale, spesso neglette se non addirittura ignorate dalla gran parte degli operatori.

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La pesca, una delle prime risorse della popolazione locale, è ancora gestita in maniera sostenibile, e le stesse barche da crociera riescono a sostentarsi pescando, assicurandosi che per ogni lenza ci sia un amo solo, in modo da tenere le catture in equilibrio costante, evitando l’overfishing. Noi di Albatros Top Boat siamo particolarmente sensibili all’argomento, e mai consentiamo che si attuino sulle nostre barche i sistemi di pesca diversi da traina o bolentino, o comunque nulla di più intrusivo di una singola lenza. In osservanza dell’ambiente, a bordo abbiamo anche una selezione di prodotti del tutto naturali per la pulizia delle barche e personale di staff e ospiti. Ci

procuriamo saponi sostenibili dall’India, saponi di cui dotiamo cabine e ambienti delle nostre imbarcazioni affinché il nostro impatto sul mare sia quanto più neutro possibile. Tutto quando in dotazione dai detergenti agli oli per massaggi è strettamente passato al vaglio delle commissioni di eco-sostenibilità. Non adoperiamo cannucce in plastica a bordo, i nostri cocktail sono gustati dal bicchiere o con materiale compostabile. A tavola le bevande sono servite esclusivamente in brocche di vetro, e in barca sono presenti dispenser per l’acqua dai quali gli ospiti attingono riempiendo le borracce in alluminio in dotazione a ciascuno, onde evitare la produzione di rifiuti



NO TRASH TRIANGLE INITIATIVE

di Anna Clerici

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o-trash Triangle è un’iniziativa nata in Indonesia in risposta alla sempre più alta quantità di plastica presente negli oceani. Nata sull’isola di Bangka nel Nord Sulawesi e supportata localmente da Coral Eye, diving resort e centro di ricerca di proprietà del biologo marino milanese Marco Segre Reinach, ha come obbiettivo principale quello di creare un modello sostenibile di gestione dei rifiuti che possa essere esteso ad altre isole ed aiutare così a preservarne i diversi ecosistemi. L’isola di Bangka si trova nel cuore del “Coral Triangle”, l’area con la più ricca biodiversità marina di tutto il pianeta: qui infatti vive il 76% delle specie di coralli, il 75% delle specie di mangrovie, 6 delle

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SUBACQUEA RESPONSABILE IN MAR ROSSO di Ornella Ditel (foto di apertura di Valentina Cucchiara Liquid Jungle Media)

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inizio di un nuovo anno è per molti un momento di riflessione importante, in cui si analizzano i successi e gli insuccessi dei 12 mesi appena trascorsi e si guarda con eccitazione e ottimismo al nuovo periodo che comincia. Come confermano i dati sulle presenze estive e di Natale e Capodanno 2019, Sharm El Sheikh, è tornata a essere la meta preferita dai sub italiani in vacanza, durante tutto l’anno. Il ritorno a Sharm è naturalmente un segnale positivo per gli operatori turistici e per l’indotto, ma comporta anche la necessità di fermarsi a riflettere sull’impatto

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umano che numeri importanti hanno sulle risorse naturali uniche al mondo presenti in questa destinazione. La responsabilità ambientale implicata nel proprio lavoro è chiara al Camel Dive Club & Hotel. “Già a metà degli anni Ottanta, quando il fondatore e tuttora proprietario egiziano Hesham Gabr muoveva i suoi primi passi nel turismo subacqueo, l’attenzione all’ambiente è sempre stata prioritaria”, ci dice Simone Pelucchi, responsabile del centro sub da più di vent’anni. Non stupisce quindi che il Camel, assieme ad altri tre diving di Sharm, sia stato tra i 4 centri pilota per l’attuazione dell’iniziativa globale Green Fins in Egitto, il

cui obiettivo è la divulgazione di standard di comportamento ambientale a protezione delle barriere coralline. L’Egittto è il primo Paese africano e l’undicesimo al mondo ad adottare lo standard Green Fins, che gode del prezioso supporto dalle Nazioni Unite. Gli operatori che aderisono al programma Green Fins possono contare su una rete di consulenti esperti che non solo valutano le misure pro-ambiente in atto, ma forniscono suggerimenti pratici e puntuali su come operare per ridurre l’impatto umano delle attività sub e snorkeling. Quali sono gli aspetti più critici del turismo sub rispetto all’ambiente in Mar Rosso?


VIAGGI È facile pensare subito, per esempio, agli scarichi delle imbarcazioni, alle procedure di ormeggio, alla quantità di subacquei o snorkelisti affidati ad ogni guida, ma c’è molto di più. “Durante le sessioni formative che hanno anche coinvolto gli equipaggi delle barche, oltre che le guide e il Team logistico, abbiamo imparato, per esempio, il valore di scegliere prodotti naturali per la pulizia delle imbarcazioni, ma anche l’importanza di informare i nostri ospiti su come scegliere e applicare la crema solare, per minimizzare il danno sulla barriera corallina”, prosegue Simone. Per una struttura come il Camel, che oltre al centro sub include nei suoi ambienti un hotel per subacquei, ristoranti e bar, le responsabilità ambientali sono certamente superiori rispetto a un operatore subacqueo standard. È rincuorante, quindi, notare come gli ultimi due anni sono stati senza alcun dubbio il periodo più importante per l’introduzione di misure responsabili in questa storica struttura del Mar Rosso. Dopo il successo nel 2018 della campagna “STOP ALLE CANNUCCE DI PLASTICA”, infatti, da un anno il ristorante Pomodoro, la gelateria e il famoso Camel Bar hanno anche smesso di servire cucchiaini di plastica con i gelati. Questo sforzo ecologico risparmierà all’ambiente circa 200.000 cucchiani di plastica in quattro anni. Sempre nell’anno appena concluso, al Camel hanno smesso di utilizzare sacchetti e contenitori di plastica per il cibo da asporto ed è stato introdotto un sistema di riutilizzo delle bottiglie di plastica durante le escursioni in barca. Scelte operative attente all’ambiente hanno generalmente costi superiori per le aziende, e questo è particolarmente vero in Egitto, un Paese in cui non esistono ancora fornitori di materiali ecologici come in altre zone del mondo. Ecco perchè diventa ancora più importante scegliere anche in base all’impatto ambientale che la nostra vacanza avrà, non solo sulla base di offerte speciali o promozioni varie. Soprattutto quando viaggiamo per immergerci o per onorare un’altra passione che ha a che fare con le risorse naturali, è importante riflettere su ciò che possiamo fare e NON fare, nel nostro piccolo, non solo per consentire alle generazioni future di ammirare la stessa bellezza, ma soprattutto per imparare a

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WHITE SANDS BEACH LEMBEH BY ECO DIVERS, UN’OASI PLASTIC FREE IN SULAWESI di Andrea Piasentin

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hite Sands Beach Lembeh by Eco Divers è un piccolo resort sull’Isola di Lembeh (Sulawesi, Est Indonesia) proprio sul mitico Stretto di Lembeh che dispone, come dice il nome, di ben 160 metri di spiaggia di sabbia bianca: nel bel mezzo di un’area vulcanica, e questo ne fa un resort unico! L’Indonesia purtroppo, come si sa, è tra i Paesi che contribuiscono maggiormente all’inquinamento da plastica. Il Sulawesi non fa eccezione, ma la lun-

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ga esperienza della proprietà del White Sands Beach, in parte italiana, da sempre attenta all’ecologia e all’ambiente, ha consentito di ridurre drasticamente l’uso della plastica monouso fin dal 2010 (durante la gestione dei precedenti resort in zona) e di eliminarla completamente in questa nuova location inaugurata nel 2018. Bottiglie, bicchieri “usa e getta”, sacchetti di plastica e cannucce (che prima o dopo finiscono negli oceani), sono scomparsi completamente e si continua incessantemente a ricercare soluzioni a impatto zero per la quotidianità, come

l’utilizzo di prodotti alternativi e contenitori riutilizzabili in materiali differenti dalla plastica. Un esempio concreto è la borraccia in acciaio INOX di cui, dal 2018, i proprietari del White Sands omaggiano tutti i clienti: ricaricandola ai distributori d’acqua a disposizione 24h al ristorante del resort o sulle barche diving, gli ospiti evitano completamente la plastica monouso senza trascurare l’igiene che è garantita dalla bottiglia personale. Fin dalla sua apertura nel giugno scorso, il White Sands Beach, resort a proprietà e gestione Italiana, è membro della


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“Lembeh Foundation”, un’organizzazione benefica indonesiana che lavora a fianco delle comunità locali dell’isola di Lembeh per fornire soluzioni economicamente sostenibili per la gestione dei rifiuti con una particolare attenzione per l’impatto ambientale. Fondata nel 2018, ha come mission il miglioramento della qualità della vita della popolazione locale pur proteggendo e preservando gli incredibili ambienti naturali e marini. Gli obiettivi principali della Fondazione sono ridurre i rifiuti in plastica, fornire istruzione e benefici economici migliorando, nel contempo, la salute e la sostenibilità delle comunità locali. Attualmente gli sforzi si stanno concentrando su due grandi progetti: una “Bank Sampah” (banca dei rifiuti) con la relativa iniziativa pilota “Funplastic” e la costruzione del centro di apprendimento “Green Library”. La banca dei rifiuti fornisce agli abitanti un luogo dove conferire i loro rifiuti in plastica, ordinati e puliti, in cambio di denaro. Le materie plastiche raccolte vengono triturate e compresse in blocchi che verranno utilizzati per una moltitudine di scopi, mentre la “Green Library”, in fase di completamento, consentirà ai bambini della comunità di frequentare la scuola e conoscere l’ambiente e l’importanza della sua conservazione attraverso una varietà di risorse tra cui i “Green Books”. Accanto a questi due grandi progetti, la Fondazione promuove, durante tutto il corso dell’anno, beach e underwater cleanup e seminari per insegnare alla popolazione come riconvertire i rifiuti di plastica in articoli vendibili.

Nosytour collabora con il White Sands Beach Resort fin dalla sua apertura, proponendo interessanti pacchetti di viaggio adatti sia ai subacquei, che rimarranno sbalorditi dalle rare creature marine

che popolano lo Stretto di Lembeh, sia per gli accompagnatori che potranno godere dell’unica spiaggia bianca della zona e della possibilità di effettuare un ottimo snorkeling direttamente da riva.

Per maggiori informazioni: NOSYTOUR - Diving Travel Concept Tel. 011/360.934 www.nosytour.it . info@nosytour.it

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illuminatori per la subacquea

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PATRIS, IL RELITTO A VAPORE DELLE CICLADI di Andrea “Murdock” Alpini (foto di Alexandre Legrix)

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n’occhiata di sole mi accieca in questo momento, eppure fino a cinque minuti fa la pioggia era battente. Beoufort 6, Beoufort 7, Beoufort 5... “Come sono le previsioni domani?”, “Sempre peggio!”. Ci si trova al Diving alle ore 8.30 per un aggiornamento di giornata, si monta, si smonta, si aspetta l’appuntamento delle 18 per il nuovo bollettino metereologico che, però, non migliora mai. Cresce l’attesa, crescono le onde e anche la tensione, a tratti davvero palpabile. Colpa di nessuno, il vento è sovrano nelle Cicladi. Sono quattro giorni che il team patisce l’impossibilità di uscire in mare. I due giorni precedenti sono stati caratterizzati dal-

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lo sconforto totale nel vedere la suddetta scala passare da giallo ad arancione, poi a rosso, finché per un attimo è comparso perfino il viola. Fortunatamente il team è affiatato e nascono idee strambe che a volte prendono piede, come quella che abbiamo portato a compimento oggi. Due giorni fa, nel mezzo della tempesta, alcuni di noi si sono recati qualche chilometro a Sud rispetto alla nostra base alla ricerca di un relitto esplorabile partendo da terra. Abbiamo dapprima cercato il possibile punto di impatto con la secca: essendo il mare formato, è stato facile individuare la schiuma bianca delle onde che frange di continuo sul cappello del reef. Successivamente abbiamo trovato le coordinate GPS del punto in cui gia-

ce il relitto e infine abbiamo eseguito la mappatura dei punti di accesso per poter entrare, ma soprattutto uscire dall’acqua in sicurezza, date le condizioni sostenute del mare. Ieri le condizioni erano impraticabili, oggi ci aspettavamo parecchia corrente e così è stato, ma almeno abbiamo avuto l’occasione di rientrare in acqua dopo qualche giorno di fermo forzato. L’immersione è effettuabile di norma con una barca d’appoggio, ma date le attuali e particolari condizioni climatiche quest’ipotesi è stata scartata ancor prima di essere proposta. Il relitto del brigantino Patris è affondato nel 1868 durante una notte nebbiosa. La nave, con scafo in ferro e sistema propulsivo misto a vela e vapore, urtò una secca


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semi affiorante durante la navigazione. A quel tempo l’imbarcazione era registrata secondo la proprietà della Compagnia di Navigazione a Vapore Ellenica, dopo essere stata requisita alcuni anni prima al Re Otto, sovrano di Grecia che fu costretto alla fuga dal suo Paese. Il relitto ha notevole valenza storica dato che è stata la prima imbarcazione non a vela ad arrivare sull’isola di Kea. Il Patris era in grado di navigare grazie a due alberi velici e a un sistema di caldaie a carbone che, producendo vapore, mettevano in moto le due possenti ruote a pale. Gli scooter sono pronti, le stage anche. Abbiamo allestito con cura una cima cui clippare le attrezzature per favorire il nostro ingresso in acqua. Il team naviga a quota progressiva tra i -9m e i -15m per circa 450m da riva, direzione 230 gradi Nord. Prendendo i riferimenti sul fondo e procedendo con calma impieghiamo circa 10 minuti prima di imbatterci nella secca alla nostra sinistra. La prima immagine che ho del Patris è la prua, coricata a sinistra con il ponte di coperta inclinato di 90 gradi. Lo scafo poggia sul fondale roccioso. Il tagliamare non è particolarmente affilato e il pun-

to di raccordo con la chiglia è piegato in una vela che ricorda la pinna dorsale dei mammiferi marini in cattività. La composizione è suggestiva. La profondità è di circa 35 metri in questo punto, oltre si intravede sullo sfondo il secondo troncone del relitto, distante circa 20 metri e disposto ortogonalmente al primo.

La parte prodiera dello scafo è un reticolo ferroso colonizzato da spugne che variano dalla tonalità dell’azzurro alle gamme dei gialli e rossi. Ciò che rimane è lo scheletro della nave e con attenzione vi si può passare attraverso. Mi dirigo verso la parte poppiera che è la più profonda, riservando alla prua la visita successiva.

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Lasciandosi il primo troncone alle spalle e volgendosi verso il mare aperto, si impatta visivamente con la grande ruota a pale della murata di dritta. È imponente, raffinata, esile nella struttura per essere idrodinamica, ma possente nella forma. Guardando attentamente si vede l’albero di connessione con la pala di sinistra; quest’ultima era coricata sul fondo, oggi non è più presente poiché è stata recuperata ed esposta al museo locale come reperto alla memoria navale dell’isola. Qui la profondità tocca i -54m. La corrente spinge trasversalmente e, se presa nel giusto modo, allontana velocemente ma con pacatezza dal relitto, il che permette di ottenere sguardi d’insieme davvero unici. Al centro nave, proprio tra le due pale, in corrispondenza della caldaia, si trova quel che resta dell’antico fumaiolo che nostalgicamente anneriva i villaggi al suo passaggio. Il ponte di coperta è diviso su due livelli scostanti circa un 1,5m di quota l’uno dall’altro. Il perimetro dello scafo è punteggiato dai semi archi dei cala scialuppe. Proseguendo verso poppa si approccia lo scafo adagiato sulla parte rocciosa della base della secca. La

forma stretta e un po’ tozza corrisponde agli schemi progettuali dell’epoca. Il timone è anch’esso un po’ sgraziato e inclinato di 45 gradi; non è presente l’elica, ovviamente. Gli ultimi 10 minuti di fondo li trascorro dentro la prua che, attraversandola, mi regala qualche scorcio di blu cobalto guardando verso l’esterno. Arrivo fino all’estremità ultima: nonostante lo sca-

fo nella sua interezza sia disposto su due livelli, lo si può aggirare agilmente anche con due stage e uno scooter. Sopra di me vedo un grosso winch, l’ultimo segno che resta della tecnologia velica di cui era equipaggiato il Patris. È passata un’ora da quando abbiamo lasciato terra e ci attende poco meno dello stesso tempo da trascorrere in decompressione.

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LA TOPOLINO ROSSA DELLA GABELLA di Roberto Antonini (Foto di Silvano Barboni)

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oncentrato e allo stesso tempo emozionato, configuro l’attrezzatura tecnica in modo minuzioso: stiamo per affrontare un tuffo che ci porterà su un relitto, mai visto prima, ma narrato durante le bevute post-immersione come una leggenda. Fino a qualche anno fa, ogni avventura vissuta e raccontata dai sommozzatori più esperti, lasciava noi subacquei neofiti alle prime esperienze esterrefatti ed incollati alla sedia del ta-

volino del bar, suscitando curiosità ed eccitazione, ma anche consapevolezza della difficoltà della missione, che forse mai saremmo stati in grado di affrontare emozionandoci a tal punto. Avete mai ascoltato un nonno raccontare una storia di avventure al proprio nipote con enfasi e camuffando la voce ipnotizzandolo così tanto da farlo sognare ad occhi aperti e catapultandololo nella scena come l’eroe protagonista? Allo stesso modo, quei subacquei, anche se notevolmente “facilitati” da dosi massicce di luppolo in forma

liquida, mi hanno permesso di tornare bambino, di desiderare e realizzare i miei sogni uno alla volta. E non è ancora finita: obiettivo di oggi è la Topolino Rossa della Gabella. Come descritto nel racconto del numero 42 “ La Giardinetta del Pinzone”, il Lago Maggiore e le sue strade tortuose a picco sulla costa sono state teatro di plurimi inseguimenti tra forze dell’ordine e contrabbandieri. Oggi mi trovo in località Gabella, zona residenziale del paesino di Maccagno sito sulla sponda Est del Lago Maggiore, ad una manciata

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di chilometri dal confine Italo-Svizzero. In prossimità del minuscolo porticciolo, adiacente ad un grazioso ristorante, attiriamo la curiosità dei turisti che d’estate invadono la piccola località, intenti a sorbire il loro aperitivo ghiacciato. Stiamo sistemando l’attrezzatura pesante, bibo e stages già configurati, vicino all’ entrata in acqua. Il parcheggio per le automobili dista qualche centinaio di metri ed è già un’impresa, nonostante il sole sia già tramontato, affrontare con la muta indossata il tragitto a piedi a causa del caldo torrido di una serata di fine luglio. Pronto per l’immersione, sono già sudato e affaticato in prossimità dell’attrezzatura riposta con cura. Il piccolo corridoio al confine della banchina è ricoperto di alghe e muschi che lo rendono impervio e scivoloso. Calate le stages in acqua, in precario equilibrio e caricato il bibo sulle spalle, ci aiutiamo tenendoci al muretto che delimita la piccola baia e con delicatezza ci lasciamo scivolare in acqua gonfiando il gav. Finalmente un po’ di fresco. Tocco in acqua bassa, infilo le pinne una alla volta, immergo il viso detergendomi il sudore che mi imperla la pelle: il sollievo è immediato, il respiro diventa più regolare e i battiti del

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cuore diminuiscono sensibilmente. Ancora qualche istante perché tutti siano pronti, segno di ok, torce accese e il “gruppo” scompare tra i flutti. La visibilità non è mai delle migliori d’estate, a maggior ragione nei pressi di un porto. Fortunatamente le barche sono quasi tutte private e ancorate di sera cosicché pescatori e subacquei

possano praticare il loro hobby. Pochi metri nella “nebbia” più totale al punto da rendere impercettibile la luce delle torce, proseguiamo lentamente seguendo la parete a pochi centimetri dalla maschera e, come d’incanto, la visuale si apre davanti a noi. La pinneggiata ora si fa più spedita e l’andatura rapida, dobbiamo trovare


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una grande pianta sommersa che ci darà il segnale per guadagnare al più presto la profondità stabilita. Detto fatto siamo nella giusta direzione. Troviamo l’albero sommerso completamente spoglio, ma ramificato in ogni direzione in modo tale da rendere così tetro l’ambiente che lo circonda, complice ancora della sospensione, da sembrare una scena tratta dal film di Dracula di Bram Stoker. Non una situazione facile da affrontare per gli stomaci più delicati, ma si sa che il lago nel suo essere lugubre e misterioso offre spesso situazioni analoghe: non è forse anche per questi aspetti che ci intriga?

Raggiungiamo la quota stabilita e poco dopo cominciamo a trovare parti dell’automobile fino ad arrivare dritti su di essa. Siamo alla profondità di 50 metri e la temperatura segna 7 gradi centigradi: una bella escursione termica rispetto ai 35 gradi del parcheggio. Di primo impatto rimango perplesso: posta sul fondale, in assetto di marcia, leggermente inclinata sul lato sinistro, l’automobile presenta solamente il telaio di colore rosso in parte invaso da un fondo limaccioso che ne copre quasi totalmente i mozzi delle ruote privi di pneumatici. Realizzo che il volo fuori strada debba essere stato notevole

e da un picco più alto rispetto a quello della Giardinetta del Pinzone: infatti, osservandola meglio noto che l’impatto sull’acqua sia avvenuto di muso: la carrozzeria sul lato destro anteriore è aperta come quando utilizziamo un apriscatole. Essa si presenta priva di carrozzeria nella parte superiore, quindi, è uno degli ultimi modelli costruiti nel 1952 ovvero la “500 C” con cappottina in tela. L’abitacolo è privo dei sedili, il cruscotto sprovvisto di ogni strumento persino del volante e del cambio. Il fango ricopre interamente il vano motore; è priva del cofano che si è spezzato cadendo poco distante dal relitto mentre la parte in cui era alloggiato il serbatoio della benzina è ancora intatto. Mancante della portiera destra, si nota invece la portiera sinistra leggermente aperta ed in buone condizioni come la parte posteriore rimasta intatta, compreso il baule dove verosimilmente veniva alloggiata la ruota di scorta. Rimaniamo ancora qualche minuto in contemplazione prima di iniziare la risalita. Nonostante mi aspettassi qualche “pezzo” in più da guardare e descrivere, mi persuado che essendo passato parecchio tempo dallo schianto e che le visite siano state numerose, molti reperti siano stati depredati e che il relitto sia stato depauperato dei suoi pezzi più affascinanti. Ho anche però la consapevolezza che rimarrà sempre un’immersione attraente ed è giusto che rimanga “leggendaria” come mi è stata raccontata, esattamente come rimarrà “mitica” una delle automobili più amate dagli Italiani.

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DIARIO DI UNA SIRENA di Mermaid Deepblue (foto di Pia Oyarzun - Made In Water)

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er quello che ricordo, non mi sono mai trovata particolarmente a mio agio in acqua. Quando ero bambina volevo diventare una sirena, ma le mie esperienze in acqua mi hanno sempre fatto credere che “di non essere portata per questo”. In acqua non ero mai rilassata, non riuscivo a stare a galla e mi sentivo in preda al panico. Quindi ho chiuso questo sogno nel cassetto e ho cercato quello che i miei genitori chiamano “un vero lavoro”.

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Un giorno ho avuto la possibilità di immergermi in un acquario con degli squali, senza gabbia. Sono rimasta così colpita da questi animali al punto che mi sono appassionata ad essi. Per diversi mesi ho fatto delle ricerche sugli squali e mi sono imbattuta in Hannah Fraser, la quale ha ballato sotto l’acqua con gli squali tigre. Aver visto lei come una sirena, ha riacceso in me il sogno d’infanzia che tenevo sopito dentro, e ho deciso di realizzarlo, ossia diventare una sirena.

Ho ordinato la mia prima coda da Finfolk e, nell’attesa che mi arrivasse (più di un anno!), ho iniziato ad allenarmi. Le prime prove in piscina con mia sorella sono state orribili: il cloro dell’acqua mi bruciava gli occhi. Ero lontanissima dall’immagine aggraziata di Ariel! Ma non mi sono arresa, ho continuato a spingere i miei confini psicologici e ho rapidamente raggiunto livelli di confidenza tali, che non mi sarei mai aspettata. Ho anche deciso, attraverso le mie foto, di voler aumentare la consapevolezza


IMMERSIONI per la difesa degli squali. Volevo mostrare al mondo che non è come ci racconta il film “Lo squalo”. Infatti, ogni anno 100 milioni di squali vengono uccisi per diversi motivi (abbattimento, creazione di medicine, cucina o atti di crudeltà) e questo sta causando un grave problema nei nostri oceani. Gli squali sono parte integrante dell’ecosistema, aiutano a regolarlo, meritano pertanto di essere rispettati e difesi, anche se sono dei predatori. Tutti adorano i leoni, che sono estremamente pericolosi, quindi perché non gli squali? In quel periodo, ho scoperto che era stato avvistato in Messico il più grande squalo bianco, una femmina. Veniva chiamata Deepblue. Ho deciso che il mio nome da sirena sarebbe stato un collegamento con quell’animale, proprio per riflettere sui miei obiettivi di conservazione: Mermaid Deepblue. Ho capito subito due cose, per interagire con gli squali avrei dovuto imparare le immersioni subacquee, e per fare la sirena dovevo avere un’apnea perfetta. Ho iniziato la mia formazione in apnea in una prima scuola, ma sfortunatamente sono rimasta bloccata per 2 anni a una profondità massima di 7 metri in apnea, per problemi di compensazione. Non volevo arrendermi, quindi ho contattato Steve Millard di Learn2Freedive. Lui ha capito immediatamente il mio problema e mi ha permesso di superare il livello AIDA 2 entro un fine settimana. Ero estasiata!! Allo stesso tempo ho sviluppato la mia esperienza con gli squali. Ho superato il mio Open Water PADI e ho fatto immersioni con gli squali. In seguito ho svolto la mia prima esperienza come modella con questi animali, con la talentuosa fotografa Pia Oyarzun. La sua professionalità e quella del suo team mi hanno permesso di ottenere risultati sorprendenti fin dalla prima serie di immagini. Sembravo di essere estremamente a mio agio in quel contesto, anche rispetto ad altri modelli con cui Pia ha lavorato. Quindi, dopo aver scoperto che posso fare qualcosa bene, ho deciso di continuare a farlo! Tuttavia, essere una sirena professionista non è solo un gioco o un hobby facile per chiunque, anzi, richiede un sacco di allenamento per essere aggraziati, ma anche per stare al sicuro. Le code da sirena in silicone pesano tra 10 kg e 14 kg, e

molte sirene tendono ad aggiungere pesi per poter nuotare più facilmente. Questo rende il ritorno in superficie più difficile, quindi è meglio non farsi prendere dal panico quando si ha bisogno di aria! Questa è anche un’attività che non si può mai praticare da solo a causa dei rischi di black out. Aggiungi il fatto che devi tenere gli occhi aperti in acqua contenente del cloro, trattenere il respiro, sembrare rilassata e sorridente, infine nuotare con grazia verso la finestra di un acquario con acque fredde. Insomma, questo vuol dire essere una sirena! In particolare, le mie sessioni di foto-

grafia in acque libere sono estremamente intense. Stando per circa 30 minuti sott’acqua a 10, 15 o 20 metri di profondità senza maschera, non riesco a vedere nulla. Il mare a volte è agitato e possono esserci bruschi sbalzi di temperatura, a cui sono molto sensibile poiché non indosso una muta. E, naturalmente, quando ci sono squali intorno io devo rimanere assolutamente calma e fare affidamento interamente sulla mia squadra per sapere se ci sono problemi. Comunque durante la mia ultima sessione fotografica con gli squali (quella con l’abito da sposa), ero molto più concen-

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IMMERSIONI trata su quelli che i miei amici chiamano “problemi da principessa”: infatti la mia corona si muoveva continuamente e io sistemavo costantemente il mio vestito e i miei capelli per sembrare carina! Sì, potevo distinguere delle ombre grigie che passavano, ma ero troppo occupata in altre cose per farmi prendere dal panico! Questa attività mi ha permesso di combinare tutto ciò che amo: danza, modellismo, conservazione dell’oceano e sport estremi. Le sessioni di meditazione e respirazione mi hanno dato una pace interiore e una forza che non avrei mai immaginato, permettendomi di essere più forte anche durante gli eventi difficili della mia vita. Spero che le mie foto possano riuscire a cambiare l’idea delle persone sugli squali e promuovere sia il loro rispetto che quello dell’oceano. Se vuoi scoprire di più sulle mie attività puoi seguirmi su Instagram: @mermaid_deepblue, o sulla mia pagina www.mermaiddeepblue.com. Sono disponibile per eventi di raccolta fondi, progetti fotografici o video e sarò sempre felice di trovare un buon motivo per viaggiare all’estero!

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IL PROGETTO SUL RELITTO DELLA NAVE OSPEDALE PO di Cesare Balzi (foto di Mauro Pazzi)

Un team di componenti della IANTD Expeditions, in collaborazione con la Federazione delle Attività Subacquee d’Albania, si è recato a Valona per organizzare una nuova spedizione di ricerca scientifica sul relitto della nave ospedale Po.

LA STORIA La nave ospedale PO, una delle ventidue navi bianche, utilizzata per rimpatriare ammalati, naufraghi e feriti nel corso della Seconda Guerra Mondiale, arrivò nella baia di Valona, la sera del 14 marzo 1941 e ormeggiò vicino alla costa, a un miglio dalla foce del rio Secco. In questo modo, l’indomani, sarebbe stato possibile trasferire a bordo i feriti che provenivano con ambulanze e camion dalle baracche dell’ospedale militare n.403, situato su una collina intorno a Valona. Per ordine del Comando Marina di Valona, la nave ospedale, dipinta di bianco, con fasce verdi sulle fiancate e grandi croci sui

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fumaioli, sempre illuminata e riconoscibile nell’oscurità, quella notte mantenne spenta l’illuminazione, poiché le sue luci avrebbero potuto far individuare agli aerei ricognitori inglesi le altre navi ormeggiate nella baia. Poco dopo le ventitré, cinque aerosiluranti Swordfish dell’815° Squadron della Royal Navy, decollati dall’aeroporto di Paramythia in Grecia, oltrepassarono indisturbati la catena montuosa della penisola del Karaburuni, sul versante occidentale della baia di Valona e raggiunsero il mare. L’aerosilurante inglese, al comando del tenente di vascello Michael Torrens-Spence, si abbassò a volo radente sulla superficie dell’acqua e sganciò un siluro che colpì la nave

ospedale sulla fiancata di dritta. In pochi minuti, la PO cominciò ad inclinarsi, così che venne dato l’ordine di abbandonare la nave e calare le scialuppe in mare. Delle duecentoquaranta persone imbarcate, persero la vita venti membri dell’equipaggio, quattro infermiere della Croce Rossa: Wanda Secchi, Emma Tramontani e Maria Federici, nel corso del naufragio, Maria Medaglia, dopo qualche mese, per setticemia, per aver ingerito acqua mista a nafta. L’allora trentenne crocerossina Edda Ciano Mussolini, figlia del Duce, si salvò raggiungendo, con un mezzo di fortuna, la spiaggia di Radhime. La chiglia della PO si adagiò su un fondale di 35 metri. Il piroscafo era talmente imponente che l’estremità dell’albero maestro affiorava dalla superficie per oltre un metro, indicando così con esattezza il punto del naufragio. Nei giorni seguenti tre unità militari e otto palombari lavorarono all’interno della nave, per effettuare il recupero delle salme. Da allora il relitto giace nella baia di Valona, a un miglio dalla costa.

LE PRECEDENTI IANTD EXPEDITIONS Il 31 luglio 2005, componenti della IANTD, a seguito dell’immersione d’identificazione del relitto della corazzata Regina Margherita affondata nel dicembre del 1916 nel canale di Saseno, individua il relitto di un’altra nave, adagiato sul fondo tra i 30 e 40 metri, all’interno della baia di Valona. Il relitto è in assetto di navigazione, quasi intatto. Alcune prime immersioni sui ponti ed all’interno di alcuni ambienti ne rilevano la


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sua funzione: è una nave ospedale della Seconda Guerra Mondiale, una delle cosiddette navi bianche che, allestite come veri e propri ospedali naviganti, avevano il compito di recuperare e riportare in Patria i militari feriti durante il conflitto: l’identificazione è immediata, si tratta della nave ospedale PO. Nell’agosto 2005, in concomitanza della spedizione sul relitto della corazzata Regina Margherita, viene eseguita una prima esplorazione subacquea ufficiale sul relitto della nave PO, condotta da Fabio Ruberti alla quale partecipano componenti delle IANTD Expeditions, specializzati nello studio, ricerca, identificazione ed esplorazione di relitti di navi di alta valenza storico, scientifico e culturale. A seguito della missione sulla nave ospedale PO del 2005, lo studio di questo relitto è proseguito con una Archaeological Survey Mission, in collaborazione con l’Istituto di Archeologia di Tirana, con lo scopo di studiare, esplorare e mappare il relitto, investigando sulla dinamica dell’affondamento. La spedizione avviene nel settembre 2007, nell’ambito della IANTD Expeditions sui relitti di altre due navi appartenenti al naviglio italiano: il trasporto truppe Re Umberto e il cacciatorpediniere

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Intrepido. L’attività di immersione e studio dei relitti vengono svolte con il patrocinio del Ministero della Cultura Albanese nel quadro di un accordo di collaborazione triennale con la IANTD Srl. Una terza missione di documentazione fotografica del relitto della Nave Ospedale PO, viene svolta a dicembre 2016, nel corso della IANTD Expeditions organizzata con il patrocinio del Ministero della Cultura della Repubblica d’Albania, in occasione del Centenario dell’affondamento del relitto della corazzata Regina Margherita.

LE MOTIVAZIONI DI UN NUOVO PROGETTO Nel quadro della promozione e cooperazione culturale internazionale, Cesare Balzi, IANTD Expeditions leader, Mauro Pazzi IANTD Photographer e Igli Pustina, Presidente della Federazione delle Attività Subacquee d’Albania, intendono intraprendere un nuovo un nuovo programma di esplorazione scientifica e descrizione cartografica-biologica sul relitto della nave ospedale PO. Sono presenti alcuni fattori fondamentali che spingono a realizzare un nuovo progetto, per la valorizzazione storica, culturale e subacquea della nave, quali: la presenza del relitto al cen-

tro della baia di Valona, su un fondale di 35 metri, è motivo di valorizzazione turistica; ben noto ai locali, e ad un’esigua porzione di subacquei, è un relitto totalmente sconosciuto al pubblico subacqueo; il relitto è in ottime condizioni e in assetto di navigazione e ciò ne permette un’esplorazione approfondita da parte di team di subacquei tecnici, fotografi e videoperatori subacquei; l’obiettivo di eseguire misurazioni e una copertura video-fotografica necessaria a una ricostruzione scientifica in 3D del relitto; misurazione e rilevazione del sito subacqueo, ricognizione esterna e rilevamento di reperti di particolare interesse, rappresentazione video e fotografica del relitto, mettendo in atto le migliori tecniche d’immersione associate a un lavoro di squadra; l’obiettivo di una campagna scientifica di rilievi, ripetuti nel tempo, dei valori chimico-fisico dell’acqua e del sedimento nell’area, con particolare riferimento a inquinanti e biotossine; l’obiettivo di eseguire un monitoraggio sulle condizioni di salute e di assorbimento dei gas dei subacquei partecipanti, al fine di studiare e perfezionare la decompressione effettuata con l’uso di miscele respiratorie iperossigenate; l’obiettivo di


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testare all’interno degli ambienti del relitto un innovativo sistema di navigazione strumentale e geo-localizzazione del subacqueo. La data del 14 marzo 2021, inoltre, sarà la ricorrenza degli ottant’anni della nave ospedale. Un’occasione per commemorare l’evento dell’affondamento e in concomitanza presentare al pubblico i risultati finali del progetto.

LA REALIZZAZIONE DI UN NUOVO PROGETTO Il progetto esecutivo sul relitto della nave ospedale PO, richiede la necessità di organizzare una serie di spedizioni esplorative subacquee, della durata di circa almeno dieci giorni ognuna, da parte di un selezionato gruppo di subacquei esperti, da fotografi e operatori video specializzati che esploreranno ripetutamente il relitto e alcuni ambienti sommersi. Tutte le spedizioni verranno inoltre documentate con foto e video anche nelle sue fasi organizzative logistiche esterne. Il programma delle immersioni scientifiche e documentaristiche si svilupperà attraverso l’attività di raccolta dati, rilievi e misurazioni. La complessità e le dimensioni del relitto della nave

ospedale PO (138 metri di lunghezza) e la quantità di ambienti costituiscono un elemento da tenere in considerazione nell’esplorazione e richiede un approccio complesso mediante anche l’utilizzo di tecniche subacquee che ne consentano la ricognizione in assoluta sicurezza. Le immersioni non avranno carattere ricreativo e ogni immersione sarà una missione con specifici ruoli e ad ogni partecipante sarà assegnato un compito che dovrà ottemperare. Indipendentemente dalla profondità, le immersioni saranno svolte con i protocolli delle immersioni tecniche seguendo i principi dell’analisi dei gas, della programmazione dei profili decompressi, della gestione delle scorte dei gas e delle pianificazioni pre immersione svolte attraverso la consultazione di foto e video acquisite nelle precedenti esperienze esplorative. A luglio dello scorso anno un team composto da Cesare Balzi, Francesco Grassi, Mauro Pazzi, in collaborazione con Igli Pustina, Presidente delle Attività Subacquee della Repubblica d’Albania si è recato a Valona per organizzare la parte logistina delle prossime spedizioni. Alle attività hanno

partecipato Ben Haxhiaj, videoperatore, Lace Hila della marina albanese e Artan Jazoi del parco marino del Karaburuni. La qualificazione e presentazione del progetto in partnership con altri Enti/Istituti costituisce un elemento fondamentale e prerequisito per la realizzazione del progetto. Oltre all’utilizzo del patrimonio informativo di altri Enti/Istituti, che costituiscono la base portante della struttura progettuale, la partnership è un elemento qualificante anche verso altri Enti/Istituzioni o persone che vorranno essere coinvolti nella realizzazione del progetto. Il progetto prevede il coinvolgimento di Istituzioni/Enti con l’invito a partecipare al programma in veste di promotori e sostenitori dell’iniziativa, da ricercare tra le Istituzioni pubbliche e gli Enti albanesi e italiane. L’elaborazione di un progetto con immersioni a carattere archeologico e scientifico sul relitto di una nave di così grande valore storico come la PO è un fatto di rilievo, non solo per gli sviluppi che essa potrà avere, ma anche per organizzare una adeguata tutela e conoscenza pubblica dell’importante reperto storico.

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Le secche più conosciute sono 8 in soli 1,5 miglia di mare ed hanno caratteristiche diverse tra loro in base alla profondità alla quale si trovano e alle correnti che le attraversano. Proprio la loro posizione geografica li rende un ambiente unico adatto agli amanti della biologia e fotografia

LA FONTANA Una delle più particolari, senza dubbio, è la sorgente di acqua dolce conosciuta da tutti come “la Fontana” o “Polla Rovereto”. Questa sorgente sommersa ha sempre attirato ricercatori e studiosi fin dal 1928 con lo scopo di captarla e por-

tarla in superficie. Da 36m di profondità una grossa falesia rocciosa si alza fino a 24m dalla superficie. Alla sua base si trova una cavità dalla quale esce un grosso getto di acqua dolce, accompagnato, lungo la dorsale della secca da sud a nord, da altre sorgenti più piccole, che sono state censite fino sotto costa. Questa mescolanza di acque salmastre e dolci dà origine ad un habitat molto particolare: visitando i fondali potrete ammirare grossi rami di gorgonie rosse (Paramuricea clavata), praterie di Parazoanthus axinellae e tantissime spugne dai colori e forme più incredibili. Nei numerosi anfratti della parete nel periodo giusto è frequente l’incontro con le aragoste, che trovano qui riparo dai numerosi predatori, con gli scorfani rossi, le cernie, fra nuvole di castagnole rosse. Negli anfratti più protetti stabilisce la sua tana il poderoso astice. L’immersione sulla Fontana rivela poi una caratteristica che la rende veramente particolare: l’acqua dolce che fuoriesce a contatto con l’acqua salata crea degli effetti visivi spettacolari, che offrono la possibilità di catturare immagini di rara bellezza.

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EASYDIVE E LE CUSTODIE PLASTIC FREE di Massimo Boyer

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asydive non costruisce solo ottime custodie foto e video per reflex, mirrorless, smartphone e action cam, ma lo fa abbinando questo lavoro a una continua ricerca tecnica sui materiali, perché siano il meno inquinanti e più rispettosi possibile dell’ambiente, perché il mare e i suoi abitanti possano essere svelati al meglio

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anche attraverso le attrezzature per la fotografia e videoripresa subacquea limitando al massimo la produzione di rifiuti. “È una precisa scelta aziendale: produrre meno custodie ma di qualità superiore, capaci di adattarsi nel tempo, durare ed essere ecosostenibili” ci spiega Fabio Benvenuti, titolare dell’azienda. “Nel settore delle custodie subacquee non esiste uno specifico programma di riciclo

per la plastica utilizzata per la loro realizzazione: può essere solo destinata all’indifferenziata. Quando si cambia l’attrezzatura fotografica o di videoripresa, o la custodia è usurata, si finisce per produrre un rifiuto non riciclabile”. Entriamo così nella filosofia usa e getta, in gran parte responsabile dell’attuale inquinamento dei mari. La filosofia produttiva Easydive invece porta a ridurre l’impatto eliminando la


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produzione di un rifiuto. Le custodie in alluminio sono prodotti di alta qualità, destinati a durare, anche per tutta la vita, come i prodotti artigianali di una volta. Scegliere un prodotto di qualità, sostenibile da un punto di vista ambientale, adattabile e riutilizzabile può apparire

inizialmente una spesa maggiore ma si rivela un risparmio nel giro di poco tempo. Il low cost non è mai economico, né per le tasche, né per l’ambiente. “Le custodie di alluminio hanno notevoli vantaggi rispetto la plastica: sono più solide e resistenti, la qualità del mate-

riale è migliore, l’alluminio è riciclabile. Facciamo rapidamente 2 conti: una custodia di plastica, comparabile ad una nostra custodia, pesa all’incirca 2,5 kg. Per produrre 2,5 kg di plastica bisogna utilizzare circa 5 kg di petrolio, senza considerare le emissioni di CO2 durante la lavorazione. Una fotocamera si stima divenga obsoleta dopo 2-3 anni. La tecnologia avanza veloce, anche in termini di risoluzione delle immagini e dei video richiesta. In 10 anni si acquistano quindi mediamente 3 - 4 fotocamere le cui custodie finiscono per generare, approssimativamente, tra i 7 e gli 8 kg di rifiuto. Con Easydive non si genera alcun rifiuto e si risparmia: invece di 4 acquisti successivi se ne fa 1 iniziale di qualità. Con le nostre custodie universali subacquee cambi l’adattatore, aggiorni il firmware di riconoscimento e continui ad utilizzare la stessa custodia che hai comprato per la tua precedente attrezzatura senza alcun problema. La nostra assistenza post – vendita, infine, è sempre a disposizione per qualsiasi bisogno”. Insomma, una custodia Easydive è un prodotto che non diventerà mai un rifiuto non riciclabile. Ecco un motivo in più per comprare una custodia Easydive. Abbiamo a cuore il mare, la sua vita: #plasticfree.

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FOTOGRAFARE LA MODELLA IN PISCINA O IN MARE? di Cristian Umili

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opo anni di fotografia subacquea naturalistica può venire la tentazione di cimentarsi in qualcosa di nuovo ma sempre nel nostro amato ambiente liquido e allora perché non provare a fotografare una modella in acqua? Apparentemente è una cosa non difficile, forse più facile di fotografare un pesce

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che non può capire le nostre richieste, questo è vero, ma in acqua tutto è più difficoltoso. Quando si decide di eseguire questo genere di fotografie si deve avere in testa un’idea di ciò che vogliamo fare, se siamo all’inizio una buona cosa potrebbe essere mettere in una cartella delle fotografie in tema che ci piacciano sia per capire come ha fatto ma soprattut-

to per elaborare una nostra idea che poi andrà modificata in corso d’opera per farla adattare alla modella. Almeno che non si abbia una persona abituata a posare sott’acqua, semmai con gli occhi aperti dovremo adattarci un po’, perciò non siate troppo rigidi; pensate anche agli accessori che sono importantissimi in questo genere: vestiti, borse, scarpe, altri accessori.


FOTO/VIDEO SUB IN MARE O IN PISCINA? In Mare Scegliere come set fotografico il mare ha il vantaggio di essere gratuito e di poterci organizzare senza chiedere a nessuno in quanto possiamo fare base sulla spiaggia. La prima problematica è che dobbiamo trovare un luogo dove l’acqua non sia torbida altrimenti le immagini risulteranno non belle nitide; deve essere anche una zona in cui il moto ondoso sia ridotto o meglio assente, è molto faticoso lavorare con le onde anche se stiamo in un posto dove tocchiamo. Ricordiamoci che la modella non indosserà la muta e per questo dovremo scegliere un periodo in cui l’acqua sia abbastanza calda, ma in Italia questo comporta anche avere i bagnanti sia in mare che sulla spiaggia, perciò è meglio se potete organizzate durante la settimana o in luoghi un po’ più difficili da raggiungere. Il periodo della giornata migliore per scattare in mare è sicuFoto in basso - la luce del tardo pomeriggio in mare ci aiuta anche creare dei riflessi con la superficie del mare.

ramente la mattina presto oppure nel tardo pomeriggio, la luce in questi orari sarà più morbida e ci consente di avere un blu dell’acqua più intenso.

La piscina privata del B&B Villa Rosetta di Moneglia, con la particolarità di avere le pareti e il fondo della buca arrotondato. In Piscina

Foto in alto - In mare creare immagini Split non è facile perché spesso ci si trova attorniati da ombrelloni e bagnanti.

Sicuramente in piscina è più comodo, abbiamo un bordo vasca dove poter appoggiare l’attrezzatura e gli accessori e dove la modella può aggrapparsi per riposarsi un attimo. L’acqua è sicuramente limpida anche se dobbiamo considerare che dopo qualche ora si avranno capelli e pelle in sospensione nell’acqua, soprattutto se la piscina è piccola. In una piscina soprattutto se è privata avremo privacy e nessuno che entrerà per errore nella fotografia, inoltre si potrà approntare una postazione per

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Durante questi shooting non scordatevi le spille da balia, che servono per bloccare il vestito al meglio.

Custodia pronta a bordo piscina e la modella che testa il movimento del vestito in acqua

In questo caso avendo pareti di colore omogeneo (niente righe delle piastrelle) e pareti arrotondate non ho usato un fondale. l’eventuale trucco e parrucco se serve. Di contro in una piscina avremo dei bordi e non è facile renderli gradevoli in una fotografia soprattutto se sono presenti angoli netti, nel caso possiamo sempre mettere sott’acqua un telo per esempio di dimensioni 3x6metri come fondale fotografico. Se la piscina è all’aperto non scattate nelle ore centrali perché è diffici-

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le gestire i riflessi che l’acqua crea, molto meglio se si può nel tardo pomeriggio con luce più diffusa. Per quanto riguarda la parte di illuminazione si può operare come un vero e proprio set fotografico con 3 o più flash tra subacquei o esterni, posti a illuminare da sopra la superficie dell’acqua. Oppure si può optare per un uso dei flash per schia-

rire le ombre e ridare colore, però rimanendo mischiata con la luce ambiente. In mare è sicuramente più comodo lavorare mischiando luce ambiente e luce flash, anzi con i flash c’è da stare attenti, perché dovendosi muovere tanto possono spostarsi e illuminare troppa sospensione. In piscina invece possiamo lavorare come in un set, ma ci serve una buca abbastan-


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L’acqua calma permette di giocare molto bene con i riflessi. za profonda e larga per poter mettere la modella e far sì che lo stativo con il flash non entri in campo; negli scatti dell’articolo invece avendo a disposizione una piscina all’aperto al mattino ho optato per mischiare luce ambiente e luce flash. Per quando riguarda l’obiettivo, in mare ho optato per un 16mm fish eye su Nikon D800 perché volevo fare anche scatti mezzi in aria, mentre in piscina per avere linee dritte e lavorando solo sott’acqua ho optato per il 17-35mm a 17mm.

POST PRODUZIONE: Per sviluppare le immagini dell’articolo ho usato Lightroom che mi ha permesso di controllare i colori, saturarli, desaturarli o virarli, oltre ad applicare un crop dove era necessario. Nelle piscine troviamo nelle pareti sia dei fari di illuminazione che delle bocchette per il filtraggio, se si riesce è meglio nasconderle dietro al soggetto. Se non di riesce come in questo caso, avendo uno sfondo omogeneo è stato veloce toglierli con photoshop.

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PICCOLI, MOLTO PICCOLI, ANZI… PICCOLISSIMI di Claudio Ziraldo - www.ziraldo.net (Ricerca Tassonomica di Massimo Boyer e Alessandro Ziraldo)

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requentavamo con una certa assiduità il Sampaguita Dive Resort dell’amico Sergio Forti in località Moalboal, una municipalità delle Filippine, situata nella Provincia di Cebu, nella Regione del Visayas Centrale. Era il ritrovo di molti fotosub Italiani, appassionati di fotografia ed era gestito (ora purtroppo è chiuso) in maniera quasi familiare. I miei amici ed io ci accordavamo preventivamente per avere una barca autonoma (Foto di apertura: un gobide Pleurosicya micheli su una spugna – 105 mm macro – un flash. )

e così potevamo scegliere il sito di immersione e tornare magari più volte di seguito in un luogo dove avevamo incontrato qualcosa di particolarmente interessante. Come ho già segnalato più volte, questo tipo di operatività è uno dei “segreti” per mettere a pagliolo buone foto. Una mattina Sergio mi avvisa che a 32 metri su una piccola gorgonia nel reef di “Tongo Point”, il dive spot proprio davanti al Resort, una guida ha scovato un Hippocampus denise. Detto fatto ci organizziamo per fotografarlo, ma siamo in tre. Concordiamo di fare in questo modo: Mario, la guida, ci aspetterà sul posto e noi tre fotografi ci fermiamo a 10 metri e

scendiamo uno alla volta per un tempo massimo di dieci minuti a testa. Io decido di scendere per ultimo così magari posso fermarmi qualche minuto in più. Il Denise era talmente piccolo che il primo fotografo rinuncia e risale praticamente subito; anche il secondo rimane pochissimi minuti, quindi ho campo libero. Arrivo sulla gorgonia e Mario con la sua astina di acciaio mi mostra il cavalluccio, che è talmente piccolo da rendere davvero difficile ottenere qualche immagine apprezzabile; anche in considerazione della pessima abitudine di questi animali di girarsi dalla parte opposta quando si tenta di fotografarli.

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E così il tempo scorre, Mario mi fa cenno più volte che è ora di risalire, ma io non mollo e continuo a scattare; ad un certo punto la guida mi fa cenno che lui comunque se ne va, allora risalgo pure io. Finalmente guardo il computer e mi accorgo di avere accumulato 25 minuti di deco, mentre Mario ne deve “scontare” 35. E qui inizia la storia. Per far passare il tempo sbirciamo in tutti gli anfratti del reef e mi accorgo che sulle madrepore si vedono una sorta di guizzi che, guardando più attentamente, si rivelano essere gli spostamenti di piccoli pesci, mediamente della lunghezza di 1 centimetro. Eseguo qualche scatto e mi accorgo che più la geometria o il colore del substrato sono interessanti e più le foto risultano gradevoli. Da allora a questo tipo di riprese ho dedicato molte immersioni, cercando di imparare a conoscere le abitudini ed i comportamenti di questi piccoli abitanti del mare. Si tratta di pesci appartenenti a due famiglie Gobiidae e Tripterygiidae. I Gobidi (Gobiidae CUVIER, 1816) sono la più numerosa famiglia di pesci ossei,

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con oltre 2000 specie divise in 200 generi diversi. I membri di questa famiglia appartengono all’ordine Perciformes. Questi pesci sono diffusi nei mari di tutto il mondo e nelle acque dolci delle zone tropicali e temperate calde. Sono molto più frequenti nelle regioni tropicali, ma non mancano numerose

specie anche in acque fredde come quelle del mare del Nord o del mar Baltico, sono invece del tutto assenti dai mari polari. I Gobidi hanno per la gran parte uno stile di vita strettamente bentonico e si mantengono quasi sempre ad intimo contatto con il substrato. Tripterygiidae è una famiglia di pesci

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YS-D3 IL FLASH CHE TUTTI

I FOTOSUB ESPERTI ASPETTAVANO di Pino Tessera

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lash subacqueo dalle altissime prestazioni. Nulla è stato lasciato al caso per soddisfare le esigenze del fotografo subacqueo. Con il suo migliorato circuito elettronico, il nuovo flash arriva a un numero guida di 33. Inoltre, grazie ai nuovi circuiti elettronici che possono utilizzare condensatori di più alta capacità, se usato a NG 22, può lampeggiare nuovamente dopo 0,6 secondi, e se usato

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a N.G. 16 può lampeggiare continuativamente senza intervallo tra un lampo e l’altro. Specifiche complete YS-D3: • Numero Guida: 33, 24 con diffusore 100, 20 con diffusore 120. • Angolo di illuminazione: 80 ° x 80 ° (100 ° x 100 ° con diffusore 100 o 120 ° x 120 ° con diffusore 120). • Comandi: Modalità, Luce di puntamento, livello di luce. • Indicatore: Pronto / TTL flash.

• Temperatura colore: 5600K - Con diffusore: 5250K. • Numero dei lampi (a piena potenza): Ni-MH 150 lampi, alcaline ~ 150 lampi • Tempo di ricarica (a piena potenza): NiMH circa 1,5sec, alcalina circa 3 sec. • Utilizza solamente batterie AA x 4 (alcaline 1,5V e/o Ni-MH 1,2V. • Profondità di esercizio: 100m. • Dimensioni (LxAxP): 92 x 147 x 1111 millimetri. • Peso: circa 600g. (senza batterie) • Peso subacqueo: circa 40g (con batterie). Altre caratteristiche • Controllo esposizione: DS-TTL II, servo lampo TTL, regolazione manuale della potenza in 11 livelli: da N.G. 1 a 33. • Dotato di modalità di annullamento pre-flash. • Modalità servo-lampo. • Modalità autospegnimento. • Connessione con cavo a fibra ottica e/o cavo Synchro tipo N a 5 pin. • Valvola di sicurezza di sovrappressione. • Luce di puntamento a due potenze. • Segnale sonoro di pronto flash.



ROCK

IL NUOVISSIMO JACKET MARES di Angelo Daniele

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uesto jacket, frutto di accurati studi, sarà il compagno ideale per le vostre immersioni. Vediamo quali sono le sue caratteristiche.

IL SACCO

Il sacco del Rock è realizzato in robustissimo nylon Cordura 420, con rinforzi in

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Tyrpol su spallacci e tasche, per garantire una grande resistenza all’usura. Questa caratteristica è poi ulteriormente assicurata dall’utilizzo di un fascione ventrale regolabile, con altezza 100mm. Il massimo comfort in immersione è poi dato da un insieme di caratteristiche peculiari: • spallacci lunghi ed avvolgenti. • tasche con chiusura a cerniera, incli-

nate verso il basso, per una più facile accessibilità, e caratterizzate da un taglio anatomico, per offrire la minima resistenza all’avanzamento. • Gli spallacci, le tasche e le cuciture sono in materiale grigio chiaro, per un’alta visibilità, che garantisce migliore sicurezza. • Ma la caratteristica unica di questo jacket innovativo è il sistema di col-


ATTREZZATURA POSIZIONAMENTO DEGLI STRUMENTI All’interno della tasca destra vi è un anello di aggancio elastico. Le tasche, poi, presentano delle speciali aperture per il passaggio dell’octopus e del manometro o della console.

VALVOLE DI SCARICO Il jacket è provvisto di due valvole di scarico rapido e sovrapressione, una sulla spalla destra e una in basso a destra, oltre alla valvola di scarico del corrugato. Tutte le valvole sono “a profilo basso” per un minimo ingombro ed una minima resistenza all’avanzamento.

CINGHIE DI COLLEGAMENTO ALLA BOMBOLA Il Rock è corredato di due cinghie di collegamento alla bombola. Infatti, oltre alla classica cinghia centrale, vi è una seconda cinghia, collocata più in alto, per un posizionamento più stabile e sicuro.

GRUPPO DI COMANDO ERGO Questo conosciutissimo gruppo di comando è sinonimo, da anni, di buon funzionamento, ottima affdabilità e facilità di utilizzo. Il completamento ideale per un jacket di grandi prestazioni! legamento del sacco al fascione, di tipo “indipendente”, che permette al sacco di espandersi verso l’esterno, evitando così quei fastidiosi fenomeni di compressione toracica che si possono avere durante l’immersione e, soprattutto, in superficie, a jacket gonfio. Questo sistema garantisce, quindi, un comfort decisamente superiore.

LO SCHIENALINO Lo schienalino del Rock è monopiastra, molto robusto e imbottito, con protezione in Tyrpol, per un migliore comfort.

D-RING Il Rock è dotato di ben 6 D-Ring in acciaio inox, piegati e posizionati strategicamente, per un facile e sicuro utilizzo.

FIBBIE A SGANCIO RAPIDO Le fibbie sono in tecnopolimero ad alta resistenza. La fibbia ventrale è da 50mm, le fibbie sugli spallacci sono da 40mm. Il Rock è poi dotato, in aggiunta, di una fibbietta sternale, da 20mm, che incorpora uno speciale fischietto, per un ulteriore miglioramento della sicurezza.

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IL GRUPPO AQUA LUNG ANNUNCIA IL LANCIO DELL’EROGATORE ‘LEG3ND’ di Claudia Alpa

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qua Lung, da oltre 75 anni azienda leader nel design, nella produzione e nella distribuzione di attrezzature per la subacquea e per le attività acquatiche, è stata lieta di annunciarein gennaio il tanto atteso lancio della nuovissima versione dell’erogatore ammiraglia

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Legend 3 o ‘LEG3ND’. Il LEG3ND, completamente rinnovato, è adesso disponibile a livello globale presso i migliori negozi di subacquea di tutto il mondo. “L’erogatore ‘Legend 3’ è la versione interamente riprogettata della nostra celebre collezione Legend – è l’apice assoluto della tecnologia legata alla respirazione subacquea e l’ultimissima versione del

nostro erogatore più venduto e performante” ha dichiarato Laurent Boury, Vice President of International Diving per il Gruppo Aqua Lung. “In qualche modo il nostro team di Ricerca e Sviluppo in Aqua Lung France è stato in grado di superare nuovamente se stesso” ha continuato Boury. “Questa terza edizione del Legend è in assoluto




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Qual è il tuo obiettivo come artista? Le mie opere non si limitano all’aspetto artistico e creativo, ma riguardano la protezione dell’ambiente marino. A livello pratico, creano dei veri e propri reef artificiali, offrendo a coralli e ad altri organismi marini una superficie alternativa dove vivere, ed habitat dove poter rifugiarsi. Ad un livello più ampio, l’obiettivo è quello di sensibilizzare le persone agli habitat più fragili ed avvicinarle all’ambiente marino. È un mondo nascosto, spesso dimenticato. Attraverso il mio lavoro, voglio attirare l’attenzione sulle molte questioni che riguardano i nostri oceani, evidenziando la loro incredibile bellezza e fragilità.

L’oceano è questo incredibile spazio dove posso scollegarmi, un mondo silenzioso dove sono completamente solo nei miei pensieri.

della Malesia. Sono stato molto fortunato a poter vivere esperienze così speciali, che hanno lasciato un’impronta duratura nella mia mente e mi hanno spinto ad esplorare confini artistici e geografici. L’oceano è questo incredibile spazio dove posso scollegarmi, un mondo silenzioso dove sono completamente solo nei miei pensieri. È come attraversare una linea, migrare verso un altro mondo, un’altra realtà. Un posto davvero speciale.

Perché è importante lanciare l’allarme su come l’ambiente marino è trascurato dall’uomo? M’immergo da oltre 20 anni. Ho visto aree che erano un tempo incontaminate, barriere coralline magnifiche, piene di ogni sorta di vita. Spesso, quando ritorno in alcuni di questi stessi siti, li trovo completamente rovinati. Oggi le previsioni scientifiche sul futuro degli oceani sono estremamente pessimistiche. Sono molto preoccupato per questo. Vorrei tanto che i miei figli possano vivere quello che ho avuto modo di vivere io quando avevo la loro età. L’arte ha un ruolo nel sensibilizzare al rispetto per il mare? Penso che l’arte sia uno strumento chiave. Gli scienziati possono trasmettere

fatti e informazioni ma, come tutti sappiamo, gli esseri umani sono creature molto impulsive ed emotive. Sento che l’arte ha la capacità di arrivare veramente alle persone, alla loro sensibilità. Spero che attraverso questo tipo di connessione, le persone trovino le ragioni profonde per proteggere i nostri mari. Raccontaci del tuo progetto a Lanzarote Il Museo Atlántico si trova a 400 metri dalla costa di Las Coloradas, a 1214 metri di profondità. Si compone di 12 installazioni, con 300 opere sparse all’interno delle diverse zone. I visitatori scendono nel museo con una guida addestrata e vengono accompagnati in un tour sequenziale di ogni esposizione, prima di uscire e tornare in barca. Avevo già realizzato numerosi progetti in acque tropicali, soprattutto nei Caraibi, quindi stavolta ero interessato a lavorare in un ambiente diverso. Lanzarote è speciale, perché ha una lunga storia di arte legata all’ambiente, con diverse installazioni terrestri che si relazionano strettamente con l’ambiente. Insomma, un luogo ideale per realizzare il mio nuovo progetto.

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RELAX

Cosa hai provato quando il museo è stato completato e le persone hanno iniziato a visitarlo? È stata un’impresa enorme: i permessi, le indagini, la raccolta fondi, la politica... Così tanti elementi per pianificare il progetto e lanciarlo, senza contare la realizzazione effettiva delle opere. Ora che è finito, mi sento sollevato. Son contento di vedere sempre più subacquei che vengono a visitarlo, e noto il loro continuo apprezzamento. Ma quello che ho amato di più è stato vedere il sito colonizzato dai pesci e dagli organismi marini, la sua naturale integrazione con l’ambiente. Sappiamo che stai lavorando ad altri progetti. Cosa ti spinge a continuare quest’opera? Cerco sempre nuovi ambienti, nuovi concetti e modi diversi di parlare delle minacce che oggi riguardano i nostri oceani. Questa è la mia principale forza motrice, insieme alla voglia innata di affrontare le sfide e superarle. Cosa vorresti trasmettere alle persone con le tue opere? Tendiamo a dimenticare che noi stessi siamo parte naturale dell’ambiente. C’è

qualcosa di primordiale nell’essere ricoperti dalla vita marina e venire “riassorbiti” dal pianeta. Spero che le persone capiscano che siamo tanto dipendenti dall’ambiente, quanto l’ambiente dipende da noi. Purtroppo, questo rapporto non è sempre così equilibrato. La mia opera mira a proiettare una visione diversa della nostra vita. Penso che incorporare concetti moderni in un ambiente così dinamico, come quello subacqueo, ci permetta di ritrarci per un momento dalla nostra vita, e di guardare noi stessi in un contesto diverso. Nella tua conferenza al TED hai detto che dovremmo trattare l’oceano come un museo. Perché? Ho chiamato questi progetti “musei”, perché un museo ha un valore molto preciso. Quando mettiamo oggetti in un museo, tendiamo a considerarli preziosi, meritevoli di essere protetti ed apprezzati. Vorrei che la gente avesse lo stesso rapporto con il mare, un ambiente sommerso di incredibile ricchezza e bellezza, spesso dimenticato. Attribuendogli un valore simile a quello di un museo, spero che la relazione tra le persone ed il mare cambi,

in modo che l’oceano non sia più qualcosa che la gente teme, ma qualcosa da amare e rispettare. Quanto è importante la sicurezza nell’esplorazione del mondo subacqueo? È una considerazione vitale in tutti i miei progetti. Sono molto fortunato a poter decidere dove voglio installare le mie opere, cosi scelgo luoghi molto sicuri, di facile accesso e situati ad una profondità ragionevole. Questo mi permette di incoraggiare sempre più persone e nuovi subacquei ad esplorare il mondo sommerso, e a farlo in un ambiente molto controllato. In molti dei miei musei subacquei ci sono boe di discesa e di risalita, guardiani che controllano il sito e guide sub appositamente formate per godere del tour in tutta sicurezza. Che supporto ricevi dal DAN, sia come artista che come subacqueo? Lavorare in un ambiente marino ha sempre i suoi pericoli, e la mia insolita carriera di scultore subacqueo non fa eccezione. DAN mi garantisce sicurezza in ogni momento: poter contare su qualcuno in caso di emergenza è di inestimabile valore.



Imbarcatevi per un’affascinante odissea nell’Oceano Indiano

Foto Giuliano Vercelli

Crociere classiche e nel sud estremo

delle Maldive

Foto Luigi Carta

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96 E TOUR DIVING E SNORKELING: MALDIVE, SEYCHELLES, SRI LANKA, MADAGASCAR, OCEANO INDIANO CROCIERE zone






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