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antologia letteratura

casa editrice SEI restyling 2010


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sezione III OBIETTIVI 1a Comprendere le caratteristiche del romanzo come genere letterario. 1b Conoscere le linee essenziali di storia letteraria che determinano la nascita del genere. 1c Saper riconoscere le principali caratteristiche e le linee di sviluppo del romanzo romantico nelle sue diverse tipologie. 1d Saper individuare nel romanzo le principali categorie narratologiche, retoriche e stilistiche studiate. 2a Conoscere le caratteristiche strutturali e di sviluppo del romanzo realista.

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Nascita e sviluppo del romanzo moderno La parabola del Realismo Il romanzo: disgregazione e ricomposizione Il ritorno alla realtĂ

2b Avere una visione d’insieme di Madame Bovary, riconoscendone i temi principali. 2c Saper individuare nel romanzo le principali categorie narratologiche, retoriche e stilistiche studiate. 3a Conoscere le cause contestuali e letterarie, che hanno determinato una svolta nel romanzo del primo Novecento. 3b Saper individuare nel romanzo le principali categorie narratologiche, retoriche e stilistiche studiate. 4a Conoscere le caratteristiche essenziali e lo sviluppo del romanzo nel dopoguerra. 4b Avere una visione d’insieme di Se questo è un uomo, riconoscendone i temi principali. 4c Saper individuare nel romanzo le principali categorie narratologiche, retoriche e stilistiche studiate. Confrontare linguaggi diversi: letterario, iconico, filmico.


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romanzo Italo Cremona (1905-1979), Inverno, 1940, particolari. Il pittore Italo Cremona fu anche un raffinato intellettuale e scrittore, autore di romanzi, racconti e saggi.

ROMANZO E EPOPEA

ROMANZO E NOVELLA

Il filosofo tedesco Friedrich Hegel (1770-1831) riteneva che il romanzo si sia contrapposto a partire più o meno dal Settecento al racconto epico, come un nuovo genere di narrazione. Secondo le parole del filosofo il romanzo sarebbe «la moderna epopea borghese» improntata a una narrazione molteplice, frammentaria, soggettiva, in uno stile quotidiano, e sarebbe dunque l’esatto opposto del racconto epico (a cui abbiamo dedicato il volume C) caratterizzato da una narrazione in sé conclusa, impersonale, oggettiva, in uno stile sublime. Per la verità, sebbene molto diffusa, quella di Hegel è una tra le numerose teorie sulla nascita del romanzo. In tempi molto più recenti, per esempio, il critico russo Michail Bachtin (1895-1975) ha contrapposto l’epica come narrazione monolitica, statica, chiusa in un passato assoluto, al romanzo come narrazione a più voci, dinamica e aperta. In ambito inglese vige invece la distinzione tra romance, intesa come narrazione piena di sorprese e colpi di scena, e novel, narrazione di fatti della vita quotidiana. Mentre in inglese tale distinzione tra narrazione realistica e racconto fantastico si mantiene anche nel linguaggio, in italiano (come in francese e in tedesco) si usa un unico termine, romanzo, per designare le narrazioni lunghe (“novella”, come abbiamo visto a p. 175, si usa invece per designare una narrazione breve). A sua volta il romanzo si articola in una serie di sottogeneri, alcuni dei quali avremo modo di vedere nelle pagine seguenti.


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1 Nascita e sviluppo

del romanzo

A questo punto scoprirono trenta o quaranta mulini a vento che si trovano in quella campagna, e non appena don Chisciotte li vide, disse al suo scudiero: – La fortuna va incamminando le nostre cose assai meglio di quanto potremmo desiderarlo, perché guarda lì, amico Sancho Panza, che ci si mostrano trenta e più smisurati giganti, con i quali ho intenzione di azzuffarmi e di ucciderli tutti, così con le loro spoglie cominceremo ad arricchirci, che questa è buona guerra, ed è fare un servizio a Dio togliere questa mala semenza dalla faccia della terra. – Che giganti? – disse Sancho Panza. – Quelli che vedi là – rispose il suo padrone – dalle smisurate braccia; e ce n’è alcuni che arrivano ad averle lunghe due leghe. – Badi la signoria vostra – osservò Sancho – che quelli che si vedono là non son giganti ma mulini a vento, e ciò che in essi paiono le braccia, son le pale che girate dal vento fanno andare la pietra del mulino. – Si vede bene – disse don Chisciotte – che non te n’intendi d’avventure; quelli sono giganti; e se hai paura, levati di qua, e mettiti a pregare, mentre io entrerò con essi in aspra e disugual tenzone. M. de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, Einaudi, Torino 1994


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William Hogarth (1697-1764), Il contratto, 1743 ca., particolare. Primo episodio della serie Il matrimonio alla moda.

Il padre dello sposo, un nobile squattrinato, ha davanti ha sé la dote con cui ha mercanteggiato il titolo del figlio e, accanto, l’albero genealogico della sua famiglia; di fronte, il padre della ragazza, un ricco mercante, esamina accuratamente il contratto nuziale; i novelli sposi, incuranti uno dell’altra, si voltano le spalle. Hogarth fu un maestro nella rappresentazione in chiave satirica di temi contemporanei, che egli stesso dichiarò di voler trattare

alla stregua di rappresentazioni teatrali, dove «il quadro è il palcoscenico e i personaggi sono gli attori». Per il loro dinamismo, la pregnanza drammatica, la vivacità di notazioni e la ricchezza di sfumature psicologiche, le sue opere conquistarono il pubblico contemporaneo e ancor oggi mantengono inalterato il loro fascino, oltre a costituire una insostituibile fonte documentaria sulla vita dell’epoca.


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Un genere

nuovo

IL ROMANZO MODERNO ROMANZO il termine deriva dal francese medioevale romanz, che significa “testo scritto in lingua romanza”, cioè volgare, la lingua del popolo contrapposta al latino dotto. PARODIA ne abbiamo già parlato a p. 225. E` la versione caricaturale di un’opera d’arte. Il Don Chisciotte, per esempio, costituisce la caricatura della letteratura cavalleresca.

Attraverso la trasformazione di generi e forme già presenti nella letteratura italiana del XV secolo (tra cui il poema cavalleresco che veniva indicato proprio con il termine, romance, romanzo) il genere letterario “romanzo” assunse una fisionomia moderna nella Spagna dei primi decenni del XVI secolo. In Spagna la prima forma di questo genere narrativo fu quella del romanzo picaresco, che deriva il suo nome dal termine pícaro, “imbroglione”, un individuo vagabondo e furfante, ai margini della società, protagonista di vicende spesso comiche e crudamente realistiche. L’esempio più noto di romanzo picaresco è l’anonima Vida de Lazarillo de Tormes Vedi Appendice (Vita di Lazarillo de Tormes), che risale al 1554, opera che stravolge gli schemi della letteratura cavalleresca, facendone una parodia. Lo stesso ribaltamento ironico del romanzo cavalleresco è alla base di uno dei maggiori capolavori della narrativa spagnola,il Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes Vedi Appendice , pubblicato in due parti, tra il 1605 e il 1615, che risente dell’influenza sia del romanzo cavalleresco sia di quello picaresco, pur non essendo classificabile in nessuno dei due generi: si tratta di un punto di svolta rispetto alla produzione precedente, sia per gli aspetti formali sia per i contenuti sia per i toni. Con il Don Chisciotte nasce dunque un genere nuovo, il romanzo moderno, appunto, destinato a un notevole sviluppo nei due secoli successivi, al di fuori dei confini spagnoli. Prima di questa data non è possibile parlare di romanzo come di un genere vero e proprio, anche se la questione degli inizi del romanzo moderno e dei suoi rapporti di continuità con le forme romanzesche precedenti è uno dei problemi più dibattuti dagli studiosi.

Il Don Chisciotte, il primo romanzo moderno A differenza delle forme narrative precedenti, che avevano l’intento di offrire divertimento o fornire insegnamenti morali, il Don Chisciotte si pone il problema se, in qualche modo, la letteratura possa aiutare a comprendere la realtà e se da essa si possano desumere dei valori a cui fare riferimento nella propria esistenza. Cervantes aveva di mira la società spagnola a lui contemporanea, in cui persistevano istituzioni e convenzioni decisamente superate. Il protagonista del suo romanzo è un allucinato cavaliere idealista, che scambia realtà e fantasia e insegue sogni di gloria e di eroismo cavallereschi – desunti dalle opere di cavalleria di cui è un appassionato lettore – sempre frustrati. Ma la realtà sbeffeggia in ogni modo il cavaliere e lo sopraffà quanto più egli cerca di adeguarsi a un modello ideale e


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a un sistema di valori ben definito. Lo scudiero di Don Chisciotte, il contadino Sancho Panza, con la sua semplicità e la sua concretezza, fa in qualche modo da stampella al suo signore, per non perdere del tutto il contatto con il mondo. La conclusione è pessimistica, in quanto non esiste per Cervantes una verità – come quella che anima Don Chisciotte – capace di dominare la realtà. Ma, nonostante lo scontro tra l’immaginario letterario, folle e anacronistico, e la concretezza della realtà storica, c’è anche un risvolto positivo: l’uomo non può vivere senza effettuare una sua ricerca della verità e non è un caso che alla fine Don Chisciotte rinsavisca e rinneghi tutte le imprese compiute prima di morire.

CHE COS’E` UN ROMANZO Se ci poniamo la domanda: “che cos’è un romanzo” la risposta ci sembra per certi versi quasi ovvia, trattandosi di un genere che tuttora rappresenta l’oggetto di lettura di un vasto pubblico e che con ogni probabilità ci è familiare. D’altro canto, tuttavia, la risposta appare più problematica di quanto non appaia a prima vista. Proviamo a fissare alcune idee:

1 comunque vogliano risolvere gli studiosi il problema della nascita del romanzo e dei

EPOPEA dal greco épos, “parola, poesia” e poiéin, “fare”, narrazione in versi di imprese eroiche o leggendarie.

suoi legami con le forme precedenti, si può dire che il romanzo parla del complesso dei rapporti tra l’uomo e il suo mondo (le forme brevi di narrativa, invece, si limitano in genere a focalizzarne un aspetto particolare) in un modo nuovo rispetto ai generi letterari che lo hanno preceduto. Per esempio, questo avveniva già nei romanzi cavallereschi del Cinquecento (romances), ma se nell’epopea l’eroe si affida al rigore delle norme morali a cui aderisce, con il Don Chisciotte – come abbiamo visto – si definisce una frattura fra il protagonista e l’ambiente. Possiamo dunque dire che il romanzo moderno, nato nel Seicento e sviluppatosi nel Settecento, è il primo genere letterario a interrogarsi sul rapporto tra l’uomo e il suo ambiente, abbandonando ogni riferimento mitologico o leggendario;

2 in base alla nostra esperienza possiamo dire che: si presenta come una forma letteraria in prosa, di maggiore estensione rispetto a mito, fiaba, favola, novella e racconto; l’intreccio è più complesso rispetto alle forme brevi della narrativa e le pause descrittive o riflessive sono più numerose; è una forma “aperta”, cioè non sottoposta a particolari regole formali; è una forma atta ad accogliere in sé una grande varietà di temi e situazioni: la storia narrata (che in genere ha un inizio, uno sviluppo e una conclusione) può essere verosimile o inverosimile; lo spazio e il tempo in cui è ambientata possono essere realistici o no, determinati o no; i protagonisti, di norma, sono personaggi comuni, che vivono vicende verosimili della quotidianità, in cui il pubblico dei lettori può identificarsi, e ricevono una caratterizzazione approfondita. Detto questo, dobbiamo tenere conto che il romanzo è il regno della libertà e che ogni narratore si dà regole proprie, sfuggendo a schemi precostituiti. All’interno della grande “famiglia” del romanzo, è consuetudine fare dei raggruppamenti interni, più circoscritti, in rapporto al contenuto: si distinguono così – come già per la narrazione breve (vedi a p. 175) – vari sottogeneri che nelle pagine successive, di volta in volta, incontreremo.


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Il romanzo nell’Ottocento NARRATIVA E PUBBLICO BORGHESE Dopo l’esperienza del Don Chisciotte, il genere trovò ampio sviluppo nell’Inghilterra del Settecento, mentre in Italia, ove pure si era conosciuta la grande fioritura dell’epica cavalleresca, il genere romanzo si affermerà più tardi: bisognerà aspettare infatti il secolo XIX. Questo ritardo è dovuto a vari motivi: il maggior peso, nel nostro paese, della tradizione classica; la mancanza dell’unità nazionale e di un uso letterario della lingua vicino all’uso parlato; l’esiguità della classe borghese e la scarsa alfabetizzazione; l’arretratezza dell’industria editoriale. La narrativa conobbe invece un grande slancio nell’Inghilterra del Settecento per le più avanzate condizioni sia politiche, sia economiche e sociali: la “gloriosa rivoluzione” del 1689 aveva creato la prima monarchia parlamentare della storia instaurando le condizioni per lo svolgersi di una stabile vita istituzionale; la rivoluzione industriale del secolo successivo, con lo sviluppo delle manifatture, dell’iniziativa individuale e dei commerci, aveva prodotto profonde trasformazioni nei sistemi di vita e dell’organizzazione del lavoro, con l’affermazione di una borghesia dinamica e intraprendente, aperta alle nuove manifestazioni del pensiero e dotata di spirito pratico e atteggiamento concreto e realista. È questo il pubblico ideale del nuovo genere letterario, un pubblico più ampio rispetto a quello delle corti e delle accademie, privo di una cultura specialistica e classicistica, ma dotato di una certa istruzione, grazie all’alfabetizzazione e alla diffusione delle iniziative editoriali. In Inghilterra, infatti, sorsero prima che nel resto d’Europa un giornalismo e un’industria editoriale moderni. Nel 1704 fu fondato da Daniel Defoe Vedi a p. 493 il periodico “The Review”, mentre Richard Steele Vedi Appendice e Joseph Addison Vedi Appendice iniziarono nel 1709 la pubblicazione del “The Tatler” (Il chiacchierone) e nel 1711, dopo la chiusura di questo per motivi politici, del “The Spectator” (Lo spettatore), che divulgava principi etici e filosofici con tono garbatamente ironico: essi favorirono il dibattito delle idee e avvicinarono alla lettura un vasto pubblico, della cui ampiezza è indice il successo delle cosiddette “biblioteche circolanti” (la prima fu fondata a Londra nel 1740), che consentirono a prezzi modici il prestito a domicilio dei libri. Al centro del romanzo, che ha ormai piena dignità di genere letterario, è appunto il


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nuovo pubblico borghese con i suoi modi di vita e i suoi valori, con la rappresentazione dei problemi concreti e delle difficoltà della vita quotidiana, ma anche delle doti specifiche di questo ceto, come la laboriosità, l’intraprendenza, il desiderio di conoscenza, la capacità di costruirsi il proprio destino facendo affidamento sulle proprie risorse. William Hogarth (1697-1764), Il tête à tête, 1743, particolare, secondo episodio della serie Il matrimonio alla moda. È una delle migliori caratterizzazioni dell’artista di una situazione psicologica e sociale.

Il romanzo inglese del Settecento AUTOBIOGRAFIA è la narrazione della propria vita fatta da uno scrittore che parla in prima persona, quando ha raggiunto l’età matura e può dare un’interpretazione complessiva della propria esistenza. ROMANZO EPISTOLARE è un romanzo basato sullo scambio di lettere fra personaggi, che danno al lettore l’idea di punti di vista diversi sugli avvenimenti raccontati.

Nel Settecento, dunque, il romanzo diviene il genere letterario dominante. Grazie alle sue caratteristiche (personaggi ben individuati anagraficamente, vicende verosimili o addirittura ispirate alla cronaca contemporanea, calate in un contesto storico e sociale realisticamente disegnato con spazi urbani o di provincia ben riconoscibili e credibili ambienti interni) dava ai lettori la sensazione di vicende reali vissute da uomini come loro, che parlavano un linguaggio semplice e concreto, adeguato alla loro condizione socio-culturale e comprensibile alla maggioranza del pubblico. Spesso raccontato in prima persona, in forma di autobiografia (o meglio, di pseudo-autobiografia) o di romanzo epistolare, come la Pamela (1740) di Samuel Richardson Vedi Appendice per accentuare la sensazione dell’esperienza diretta dei fatti, con l’adozione di un punto di vista che coincide con quello dell’io narrante, il romanzo borghese si articola in tipologie diverse: romanzo di viaggi e d’avventura, gotico, di costume, sentimentale, filosofico, erotico, satirico (di quest’ultimo l’esempio più illustre è costituito da I viaggi di Gulliver (1719) di Jonathan Swift Vedi Appendice . In una così grande varietà, soffermeremo la nostra attenzione solo su alcune delle principali linee di tendenza, esaminandone gli esempi più significativi.

IL ROMANZO DI AVVENTURA D. Defoe Vedi a p. 493 , con il suo Robinson Crusoe (1719) è unanimamente considerato il fondatore del romanzo d’avventura, oltre ad essere riconosciuto come uno dei padri del romanzo inglese.


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William Turner (1775-1851), Il naufragio, 1805, particolare.

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In questo genere di testo narrativo, gli elementi spaziali e temporali rivestono particolare importanza: – lo spazio è prevalentemente costituito da luoghi aperti, inconsueti e ostili, campo ideale per far risaltare il coraggio, l’intraprendenza, lo sprezzo del pericolo del protagonista; – l’ambientazione temporale è indispensabile quando la vicenda avventurosa si lega strettamente a determinate circostanze storiche: in tal caso sono sistematicamente indicati, con estrema precisione, sia il tempo della storia sia la distanza narrativa (cioè lo spazio di tempo che intercorre tra i fatti narrati e l’epoca della narrazione). Nel romanzo d’avventura è in genere riscontrabile il canonico schema narrativo: – una situazione iniziale: una partenza dell’eroe determinata dalla sua irrequietudine, curiosità, intraprendenza, o da elementi perturbatori esterni; – le peripezie dell’eroe, che lo mettono spesso in pericolo di vita; – il superamento delle difficoltà e il nuovo equilibrio, con presumibile lieto fine.

ROMANZO DI FORMAZIONE è un genere che ha come tema centrale l’evoluzione del protagonista verso la maturità dell’età adulta, raccontandone emozioni, sentimenti, progetti e il suo inserimento nella società. Il più noto romanzo di formazione è Gli anni di noviziato di Wilhelm Meister di Goethe (vedi Appendice).

Le vicende sono dinamiche e avvincenti, con un ritmo della narrazione accelerato: perciò prevalgono le sequenze narrative, con sommari ed ellissi, si alternano a quelle dialogate; – scarse le sequenze riflessive, mentre quelle descrittive servono a creare l’atmosfera; – spesso l’azione principale viene interrotta per creare attese nel lettore. La tipologia dei personaggi dipende dai temi e dalle situazioni, ma nei loro ruoli si possono in genere riconoscere quelli canonici della fiaba: un eroe, un antagonista, un aiutante, un oppositore, un oggetto del desiderio e così via. – La caratterizzazione dei personaggi mette in rilievo le doti positive del protagonista (forza, coraggio, prestanza fisica ecc.) e quelle negative dell’antagonista (fisiche o morali, o entrambe). A partire da questa tipologia dell’eroe il romanzo inglese e quello francese svilupperanno quello che in area tedesca nasce come romanzo di formazione. Il narratore può essere esterno, palese o nascosto, oppure interno, testimone o protagonista; può essere onnisciente, ignorare ciò che pensano i personaggi o adottare il punto di vista di questo o quel personaggio. L’adozione di una focalizzazione interna permette di seguire la vicenda da un punto di vista particolare, vivendo con maggiore coinvolgimento le emozioni dell’evento avventuroso, e rende più facile ritardare alcune informazioni per riservare al finale il colpo di scena.


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IL ROMANZO GOTICO ROMANZO GOTICO da “gotico”, cioè “del tempo dei Goti” aveva originariamente un senso dispregiativo, alludendo alla collocazione delle vicende nel “barbaro” Medioevo.

All’incirca negli stessi anni sorge in Inghilterra il cosiddetto romanzo gotico detto anche “nero” perché narra terrificanti storie di violenza e morte ambientate in scenari orridi e sinistri, di cui è iniziatore Horace Walpole Vedi Appendice , autore del primo di questi romanzi, Il castello di Otranto (1764). Dopo l’opera di Walpole, il genere conoscerà un revival alla fine del secolo, con Il monaco (1796) di Matthew Lewis Vedi a p. 499 , che raggiungerà il successo non ancora maggiorenne e le opere di Ann Radcliffe Vedi Appendice . Si tratta di un genere di facile consumo e di evasione, che tuttavia esercitò un certo fascino sulla narrativa successiva, costruito in base a “ingredienti” precostituiti, scelti opportunamente tra quelli che possono suscitare emozioni violente, terrore, suspense, e combinati in modo meccanico e senza scrupoli di verosimiglianza: è incentrato su vicende a forti tinte, cupe e terrificanti, spesso collocate nel Medioevo o nel Rinascimento italiano – il che assumeva, per il pubblico inglese, una coloritura esotica –, ma con scarsa accuratezza storica.

TOPOS la parola, che in greco significa “luogo”, si usa in letteratura per indicare un motivo ricorrente nella tradizione letteraria, che si carica in genere di significati simbolici.

Un topos; cioè un’immagine o situazione ricorrente, del romanzo gotico è l’ambientazione spaziale in un castello, labirintico e in rovina, con passaggi segreti, camere di tortura, trabocchetti; oppure in un monastero, con cripte e sotterranei, celle oscure e corridoi tortuosi; e ancora cimiteri, dirupi scoscesi, orridi paesaggi notturni ove si aggirano personaggi spaventosi: scheletri, vampiri, fantasmi e presenze diaboliche e si verificano vicende terrificanti: delitti misteriosi, avvelenamenti e torture, scene di violenza, incesti, messe nere, riti satanici. Come si vede, un armamentario terrificante che avrà immensa fortuna nella letteratura dell’horror. Il narratore è esterno e onnisciente. Il sistema dei personaggi principali appare abbastanza rigido e semplificato, riducendosi a uno schema tripartito: – l’eroina, perseguitata e innocente; – il malvagio e sadico antagonista; – il giovane che l’ama e ne determina la salvezza.

Caspar David Friedrich (1774-1840), Abbazia nel bosco di querce, 1809 ca., particolare. Friedrich affida a un particolare aspetto del paesaggio l’espressione di contenuti religiosi e simbolici. L’osservazione minuziosa della natura si accompagna a un lucido controllo del colore e soprattutto della luce, con una puntuale rispondenza tra una particolare ora del giorno e una determinata situazione psicologica.


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Daniel Defoe

L’arte di sopravvivere la storia i personaggi il tempo lo spazio il narratore e la focalizzazione le tecniche espressive la lingua e lo stile

L’OPERA Il protagonista, Robinson, della media borghesia inglese, a diciotto anni, spinto da curiosità e desiderio di avventura, decide di lasciare la famiglia e di andare in giro per mare. Dopo un primo naufragio, fatto prigioniero da un pirata, fugge in Brasile, dove si arricchisce con l’acquisto di una piantagione. Imbarcatosi nuovamente per la Guinea, naufraga una seconda volta presso le coste dell’America e finisce su un’isola deserta alla foce del fiume Orinoco. Qui, invece di farsi prendere dallo sconforto, si organizza poco a poco prima la sopravvivenza, quindi un’esistenza decorosa recuperando materiali dalla nave, costruendosi una casa-magazzino, fabbricando oggetti, coltivando la terra, allevando bestiame. Dopo venticinque anni di solitudine, approda sull’isola un gruppo di cannibali a cui sottrae un uomo destinato a un banchetto rituale; lo chiama Venerdì e ne fa il suo compagno e fedele servitore. Quando sono trascorsi ventotto anni dall’arrivo di Robinson nell’isola, giunge nei pressi di questa una nave inglese il cui equipaggio si è ammutinato; liberati il comandante e gli ufficiali, Robinson può finalmente ritornare in patria. Dopo aver sistemato i suoi affari in Inghilterra, torna in Brasile dove scopre di essere diventato ricco grazie all’oculata amministrazione della piantagione da parte del suo socio. Dopo alcuni anni, torna sull’isola del naufragio e cerca di colonizzarla.

genere

Romanzo avventura tratto da Robinson Crusoe anno 1719 luogo Inghilterra

IL TESTO Nel brano che segue si descrive lo stato d’animo di Robinson che, arrivato faticosamente a nuoto sull’isola dopo il naufragio, si scopre unico superstite e privo di ogni mezzo. Subito però si evidenziano la sua capacità di reagire alla sventura e il suo spirito d’iniziativa nella scelta del luogo dove trascorrere la notte, nella ricerca di ciò che può essergli più utile nell’immediato, nella costruzione della zattera.

amminavo su e giù per la spiaggia, levando le mani al cielo come assorto in tutto il mio essere a contemplare la mia salvezza; e compivo mille gesti e movimenti che non posso descrivere, mentre pensavo che tutti i miei compagni erano annegati, che nessun altro si era salvato all’infuori di me; e infatti non li rividi mai più, né vidi altra traccia di loro all’infuori di tre cappelli, un berretto e due scarpe scompagnate. Il mio sguardo cadde sulla nave arenata in un momento in cui la spuma e gli spruzzi dei marosi erano così alti che a stento mi riusciva di scorgerla e mi parve così lontana che mi venne fatto di domandarmi: «Signore Iddio, com’è possibile ch’io sia riuscito a raggiungere la riva?» Dopo aver riconfortato il mio spirito meditando sull’aspetto consolante della mia situazione, cominciai a guardarmi attorno per vedere in che razza di luogo fossi capitato e che cosa, innanzitutto, dovessi fare; e subito sentii che la mia consolazione veniva meno, perché la mia salvezza era avvenuta in condizioni tremende: ero bagnato fradicio, non avevo vestiti per cambiarmi, niente da mangiare e da bere per ristorarmi; né vedevo di fronte a me alcuna prospettiva se non quella di morire di fame o morire sbranato dalle belve feroci; e ciò che in particolare mi in-

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Daniel Defoe nacque a Londra nel 1660 da una quietava era il fatto di esser sprovvifamiglia della piccola borghesia, ma successiva1 sto di un’arma purchessia per dar la mente nobilitò il cognome aggiungendovi il “De”, caccia a qualche animale e ucciderlo poi riconosciutogli dalla Consulta Araldica. Conclusi gli studi al College di Stoke Newington, inonde nutrirmi, o per difendermi traprese varie attività commerciali, viaggiando in dagli animali che avessero voluto ucdiversi paesi d’Europa. Dopo aver fatto bancarotta nel commercio ed essere stato anche incarcerato cidermi per cibarsi di me. Insomma, e messo alla gogna per un libretto satirico intitonon avevo indosso altro che un collato Il metodo più sbrigativo per farla finita con i tello, una pipa e una scatola con un dissidenti, si dedicò al giornalismo fondando, nel 1704, un periodico politico ed economico, “The Review”, e partecipò tupo’ di tabacco. Questi erano tutti i multuosamente alla vita politica esercitando anche l’attività di agente semiei beni e il constatarlo mi scongreto per il governo. Intorno ai sessant’anni si ritirò a vita privata, dedicandosi fino alla morte, avvenuta nel 1731, alla produzione letteraria, che volse al punto che per un poco presi considerò in un’ottica di mercato (spinto anche dalla necessità di pagare i a correre qua e là, quasi fossi impazdebiti accumulati), come una qualunque attività commerciale. Oltre a Vita zito. Poi, mentre la notte calava su di e avventure di Robinson Crusoe e ai pochi fortunati seguiti, pubblicò varie opere a ritmo vorticoso: poesie e romanzi, libelli polemici e saggi. Ricorme, col cuore oppresso dall’angoscia diamo nel 1720 Le memorie di un cavaliere e Il capitano Singleton, nel cominciai a meditare sulla sorte che 1722 Il colonnello Jack, Moll Flanders e una rievocazione della peste che imperversò a Londra nel 1655 dal titolo Diario dell’anno della peste. Al sucmi attendeva se quella terra fosse cesso di Moll Flanders seguì, nel 1724, quello di Lady Roxana, opere che stata popolata da bestie fameliche, fanno di Defoe l’iniziatore del romanzo inglese di costume. poiché infatti sapevo che son solite uscire nottetempo dalle loro tane in cerca di preda. L’unico rimedio che mi venne in mente fu quello di arrampicarmi su un albero dalle fittissime fronde, simile a un abete spinoso, che cresceva lì vicino e di trascorrervi la notte meditando su quale morte mi attendesse il giorno dopo, giacché non vedevo alcuna probabilità di sopravvivere. Percorsi circa mezzo miglio all’interno in cerca d’acqua dolce da bere ed ebbi la grandissima gioia di trovarla: così, dopo aver bevuto ed essermi messo in bocca un po’ di tabacco per alleviare il morso della fame, tornai all’albero, vi salii e cercai di sistemarmici in modo da non cadere se per caso mi fossi addormentato: poi mi tagliai un corto bastone, a guisa di2 mazza, per avere uno strumento di difesa e presi possesso del mio alloggio. Sopraffatto dalla fatica caddi in un sonno profondo e dormii come ben pochi, suppongo avrebbero dormito in condizioni analoghe alle mie, attingendo al sonno il maggior ristoro che mi abbia dato in qualsiasi circostanza. Quando mi svegliai era pieno giorno; il cielo era sereno e la tempesta si era placata, cosicché il mare non appariva più gonfio e scatenato come prima. Ma ciò che maggiormente mi sorprese fu il constatare che durante la notte l’alta marea aveva disincagliato la nave dal banco di sabbia, lasciandola vagare alla deriva e sospingendola verso lo scoglio di cui dicevo poc’anzi: lo stesso contro il quale ero stato proiettato dalle onde e mi aveva ammaccato le ossa. In pratica, si trovava alla distanza di circa un miglio dal punto della costa in cui mi trovavo io, cosicché, vedendo che la nave si teneva ancora ritta in superficie, pensai di tornare a bordo per vedere se mi fosse riuscito di portare in salvo almeno le cose che avrebbero potuto servirmi. 1. un’arma purchessia: Sceso dall’albero che mi era servito da alloggio, volsi attorno lo sguardo e la una qualsiasi arma. prima cosa che vidi fu la barca, che si trovava lungo la spiaggia, là dove il mare e 2. a guisa di: in forma di. 3. miglia: unità di misura il vento ve l’avevano abbandonata, a circa due miglia,3 sulla mia destra. Mi avviai terrestre inglese e che lungo la spiaggia nel proposito di raggiungerla, ma a un certo punto mi trovai americana corrisponde a 1609,3 davanti a un braccio di mare della larghezza di circa mezzo miglio, che separava metri.


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4. ambascia: angoscia, smarrimento. 5. orbato: privato. 6. ne feci il periplo: vi girai intorno. 7. castello di prua: parte sopraelevata rispetto al ponte nella parte anteriore di una nave. 8. carena: la parte dello scafo della nave che resta sommersa. 9. stiva: la parte inferiore dello scafo della nave, destinata al carico. 10. cassero: la parte superiore di una nave mercantile destinata ad alloggio di ufficiali e passeggeri. 11. di sciupato e di indenne: di danneggiato e di integro. 12. cambusa: la parte della nave dove si conservano i generi alimentari. 13. gallette: biscotti di pasta di pane di forma schiacciata. 14. impellenza: urgenza. 15. pennoni: le travi orientabili che sostengono le vele. 16. alberi di gabbia: la gabbia è la vela quadrata sovrapposta alla vela principale.

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la barca da me. Decisi pertanto di tornare sui miei passi, perché al momento mi premeva piuttosto raggiungere la nave, dove speravo di trovar qualcosa per soddisfare le mie immediate necessità. Poco dopo mezzogiorno il mare era molto calmo e la marea così bassa che potei accostarmi alla nave fino a distarne non più di un quarto di miglio; e questa circostanza valse a ridestare la mia ambascia,4 perché compresi che se fossimo rimasti a bordo ci saremmo salvati tutti ed io non avrei patito la suprema, atroce disgrazia di trovarmi totalmente orbato5 di ogni conforto e compagnia, come invece mi trovavo. Questa considerazione fece sgorgare nuove lacrime dai miei occhi, ma piangere non serviva e quindi decisi di raggiungere la nave, se appena fosse stato possibile; pertanto mi liberai degli abiti, giacché faceva terribilmente caldo e mi gettai in acqua. Quando però arrivai sotto la nave, mi resi conto di dover affrontare una difficoltà di gran lunga maggiore: quella, cioè, di salire a bordo, perché essendosi arenata ed emergendo quasi tutta fuori dall’acqua, non c’era nulla a portata di mano cui potessi aggrapparmi. Due volte ne feci il periplo6 a nuoto e la seconda volta mi accorsi, stupito di non averlo notato prima, di un pezzo di corda che pendeva dalle catene dell’ancora; ed era così basso che, sia pure con grande sforzo, riuscii ad afferrarlo e servirmene per issarmi fino al castello di prua.7 Qui ebbi modo di constatare che la nave aveva la carena8 sfondata e la stiva9 colma d’acqua, ma che si era incagliata su un banco di sabbia molto compatta, o piuttosto di terra, di modo che la poppa emergeva sollevata sopra il banco, mentre la prua era inclinata fin quasi a sfiorare il livello dell’acqua. Di conseguenza il cassero10 era emerso e tutto ciò che vi si trovava era asciutto. È logico, pertanto, che per prima cosa io mi preoccupassi di guardarmi attorno e accertare che cosa ci fosse di sciupato e di indenne.11 E per prima cosa vidi che tutte le provviste della nave erano intatte e che l’acqua non le aveva danneggiate, e siccome non disdegnavo l’idea di mangiare, andai nella cambusa12 e mi riempii le tasche di gallette13 e le mangiai mentre ero impegnato in altre faccende, poiché non avevo tempo da perdere. Nella cabina principale trovai anche del rum e ne bevvi una generosa sorsata, perché avevo bisogno di darmi coraggio e affrontare tutto quello che mi aspettava. Ora l’unica cosa di cui avevo bisogno era un’imbarcazione, per rifornirmi di una quantità di cose che, lo prevedevo, mi sarebbero state di grandissima utilità. Ma era inutile che me ne stessi con le mani in mano, in attesa di ciò che non potevo avere e l’impellenza14 estrema mi aguzzò l’ingegno. Sulla nave avevamo un certo numero di pennoni15 di riserva, uno o due alberi di gabbia16 e certi grandi pali di legno. Decisi di cominciare da questi e come meglio potei m’ingegnai (erano pesantissimi) a gettarli in mare legandoli l’uno all’altro con una fune perché la corrente non li disperdesse. Dopo di che mi calai lungo il fianco della nave, li tirai verso di me e li unii alle due estremità quanto più saldamente potevo per formare una specie di zattera; e dopo averci posato sopra, in senso trasversale, due o tre brevi assi di legno, constatai che potevo camminarci sopra senza difficoltà, ma che non avrebbe potuto reggere un grosso peso perché il legname era troppo leggero. Mi misi dunque al lavoro e con la sega da carpentiere tagliai in tre pezzi uno degli alberi di gabbia di riserva e con grande fatica riuscii ad aggiungerli alla zattera; ma la speranza di provvedermi del necessario mi stimolava a fare più di quanto non sarei stato in grado di fare in circostanze normali. da Robinson Crusoe, Garzanti, Milano 1976


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STRUMENTI DI LETTURA La storia La storia di Robinson si svolge secondo un percorso tipico del cosiddetto “romanzo di formazione” (vedi a p. 490): inizia con l’allontanamento dall’ambiente familiare del giovane Robinson in cerca di fortuna; procede seguendo un percorso irto di difficoltà che il protagonista supera grazie al suo spirito di iniziativa, al suo ingegno pratico e all’uso della ragione; prosegue con il ritorno in patria dove Robinson scopre di essere diventato ricco grazie a un socio in affari; si conclude con il ritorno nell’isola, dove intraprende un’azione di colonizzazione al fine di portarvi la civiltà. Come si vede questo tipo di romanzo presenta un protagonista (l’eroe) giovane,

i luoghi lontani e misteriosi. Al termine della vicenda il protagonista tornerà sull’isola portandovi la civiltà. Questo tipo di finale costituisce una sorta di giustifi-

cazione morale dell’espansionismo coloniale inglese: l’autore in questo modo presenta il colonialismo, infatti, non nelle sue finalità di dominazione commerciale ed economica, ma come un’azione civilizzatrice nei confronti di mondi “primitivi” cui finalmente è data l’occasione per uscire dal loro stato di arretratezza.

inesperto della vita, che riceverà la sua formazione dal superamento di tutti gli ostacoli che troverà lungo la propria strada . Al termine della vicenda egli ha compiuto la sua formazione e ha acquisito un patrimonio di valori che lo mettono a sua volta in grado di svolgere una funzione educativa (in questo caso civilizzando l’isola).

Il personaggio Robinson incarna alla perfezione i valori borghesi della società del suo tempo: intraprendenza, industriosità, fiducia nelle proprie forze, ma anche moralità e fede in Dio. Egli è un perfetto eroe moderno che non fonda la sua superiorità sulla nobiltà di nascita e non intraprende una ricerca per la fede o per la donna amata, in cerca di gloria e di onore, ma lotta per la sopravvivenza materiale e per una vita dignitosa, basandosi sulle proprie risorse individuali. Robinson non solo rappresenta un nuovo modello umano, il perfetto eroe borghese: egli è diventato cioè un modello esemplare nell’immaginazione di intere generazioni di lettori.

Lo spazio L’ambientazione è caratterizzata da luoghi aperti come il mare o potenzialmente ostili come l’isola non ancora raggiunta dalla civiltà. Questo tipo di ambientazione, in luoghi esotici e lontani, risponde al gusto dell’epoca poiché l’espansione marittima inglese, insieme a tutti i racconti e le leggende che vi avevano fatto seguito, aveva suscitato nel pubblico inglese grande interesse e curiosità per tutte le condizioni di vita “primitive” e per

Il narratore e la focalizzazione Il romanzo è raccontato in prima persona dal protagonista. Nel brano letto egli scrive al passato annotando fedelmente la propria esperienza di naufrago. Questa modalità di scrittura conferisce alla narrazione la veridicità propria della testimonianza diretta , contribuendo ad aumentare il coinvolgimento del lettore. Inoltre l’uso del passato autorizza il lettore a ritenere che la vicenda narrata appartenga al passato e che il racconto, nel suo svolgersi, possa riservare delle sorprese in relazione al presente.

La lingua e lo stile Defoe non era un letterato di professione, ma si dedicò alla narrativa tardi, dopo aver esercitato per buona parte della vita attività commerciali e poi giornalistiche. A ciò si deve il suo modo di esprimersi concreto e immediato.

Martin Johnson Heade (1819-1904), L’avvicinarsi della tempesta, 1860, particolare. Il pittore americano Martin J. Heade, durante la sua vita errabonda, ritrasse innumerevoli scorci della natura del suo paese, la cui primitiva bellezza è spesso caratterizzata dall’assoluta assenza di figure umane.


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SEZIONE III - IL ROMANZO

LE SS IC O

di ffi co ltà

LABORATORIO Comprensione

1 Quali sono i primi pensieri di Robinson quando prende atto della situazione in cui si trova? 2 Quali sono gli unici beni di cui è in possesso? 3 Che riflessioni fa sulla propria condizione? 4 Cosa si chiede sulla terra in cui è arrivato? di ffi co ltà

Laboratorio

nascita e sviluppo del romanzo moderno

Analisi Il personaggio

Vedi a p. 24

1 Com’è presentato il personaggio di Robinson nel brano letto? In modo diretto In modo indiretto 2 Soffermati sulla caratterizzazione del personaggio, sottolineando nel testo: dove compare la sua capacità di lottare e risolvere i problemi razionalmente; dove emergono il suo carattere concreto e la sua mentalità pratica; dove si nota la sua religiosità.

Lo spazio

Vedi a p. 156

3 Come definiresti lo spazio in cui si muove Robinson? Ostile Familiare Esotico Rasserenante 4 C’è una relazione fra lo stato d’animo del protagonista (la sopraggiunta calma) e lo spazio che lo circonda? Motiva la tua risposta.

Il narratore e la focalizzazione

Vedi a p. 24

5 In quale persona è narrata la storia? 6 Il narratore è:

esterno

7 La focalizzazione è:

zero

Prima

interno testimone esterna

Terza interno protagonista

interna fissa

interna variabile

La lingua e lo stile 8 Come definiresti la descrizione che Robinson fa del suo stato d’animo nei primi due capoversi? Scegli tra i seguenti gli aggettivi che ti paiono più adatti: pacata enfatica lamentosa reboante misurata Argomenta la tua risposta facendo riferimento ai righi del testo.


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tit, sottocapitolo o autore

9 Osserva i righi 50-51, dove si parla delle condizioni del cielo e del mare, elementi che hanno sempre stimolato nei letterati descrizioni poetiche e ricche di aggettivi. Come li vede Robinson? Che tipo di aggettivazione adopera? Scarsa Abbondante Esornativa Strettamente funzionale al concetto da esprimere

I valori della società borghese Come si è già visto il successo dell’opera è dovuto in buona parte alla figura dell’eroe borghese che Robinson incarna e alla capacità del romanzo di indurre una identificazione del lettore in tale figura.

Testo e contesto 1 Riassumi Vedi a p. 156 ducile a 300.

di ffi co ltà

1 Elenca i valori borghesi che emergono dalla lettura del brano facendo riferimento ai righi relativi.

il brano letto in 600 parole e poi, successivamente, ri-

2 Scrivi un breve testo Vedi a p. 24 in cui esponi la visione della vita, il carattere e la disposizione intellettuale, i valori morali e religiosi del personaggio di Robinson.

Produzione 3 Prova a modificare il personaggio: al posto dell’angoscia composta di Robinson, un protagonista annientato dalla disperazione. E`sempre Robinson a raccontarsi in prima persona e al passato Vedi a p. 24 , ma con uno stato d’animo sconvolto e un linguaggio ricco di enfasi. Riscrivi in questo senso dal rigo 7 al rigo 44.

Valorizzazione dell’eccellenze 1 Riassumi Vedi a p. 156 ducile a 300.

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Laboratorio

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il brano letto in 600 parole e poi, successivamente, ri-


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SEZIONE III - IL ROMANZO

LE SS IC O

LABORATORIO Ripercorriamo il testo Robinson, camminando sulla spiaggia e meditando sulla sua salvezza, prende atto della sua disperata situazione. Con spirito pratico risolve i problemi immediati, cioè il bisogno d’acqua potabile e la necessità di un sonno ristoratore.

di ffi co ltà

Il giorno dopo, rinfrancato, riesce a raggiungere la nave naufragata e a trovare delle soluzioni per organizzare la sua sopravvivenza.

Comprensione

1 Quali sono i primi pensieri di Robinson quando prende atto della situazione in cui si trova? 2 Quali sono gli unici beni di cui è in possesso? 3 Che riflessioni fa sulla propria condizione? 4 Cosa si chiede sulla terra in cui è arrivato? di ffi co ltà

Laboratorio

nascita e sviluppo del romanzo moderno

Analisi Il personaggio

Vedi a p. 24

1 Com’è presentato il personaggio di Robinson nel brano letto? In modo diretto In modo indiretto 2 Soffermati sulla caratterizzazione del personaggio, sottolineando nel testo: dove compare la sua capacità di lottare e risolvere i problemi razionalmente; dove emergono il suo carattere concreto e la sua mentalità pratica; dove si nota la sua religiosità.

Lo spazio

Vedi a p. 156

3 Come definiresti lo spazio in cui si muove Robinson? Ostile Familiare Esotico Rasserenante 4 C’è una relazione fra lo stato d’animo del protagonista (la sopraggiunta calma) e lo spazio che lo circonda? Motiva la tua risposta.

Il narratore e la focalizzazione

Vedi a p. 24

5 In quale persona è narrata la storia? 6 Il narratore è:

esterno

7 La focalizzazione è:

zero

Prima

interno testimone esterna

Terza interno protagonista

interna fissa

interna variabile


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La lingua e lo stile

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tit, sottocapitolo o autore Vedi a p. 24

8 Come definiresti la descrizione che Robinson fa del suo stato d’animo nei primi due capoversi? Scegli tra i seguenti gli aggettivi che ti paiono più adatti: pacata enfatica lamentosa reboante misurata Argomenta la tua risposta facendo riferimento ai righi del testo. 9 Osserva i righi 50-51, dove si parla delle condizioni del cielo e del mare, elementi che hanno sempre stimolato nei letterati descrizioni poetiche e ricche di aggettivi. Come li vede Robinson? Che tipo di aggettivazione adopera? Scarsa Abbondante Esornativa Strettamente funzionale al concetto da esprimere

Testo e contesto

di ffi co ltà

Laboratorio

CAPITOLO UNO

I valori della società borghese Come si è già visto il successo dell’opera è dovuto in buona parte alla figura dell’eroe borghese che Robinson incarna e alla capacità del romanzo di indurre una identificazione del lettore in tale figura. 1 Elenca i valori borghesi che emergono dalla lettura del brano facendo riferimento ai righi relativi.

Produzione 1 Riassumi Vedi a p. 156 ducile a 300.

il brano letto in 600 parole e poi, successivamente, ri-

2 Scrivi un breve testo Vedi a p. 24 in cui esponi la visione della vita, il carattere e la disposizione intellettuale, i valori morali e religiosi del personaggio di Robinson. 3 Prova a modificare il personaggio: al posto dell’angoscia composta di Robinson, un protagonista annientato dalla disperazione. E`sempre Robinson a raccontarsi in prima persona e al passato Vedi a p. 24 , ma con uno stato d’animo sconvolto e un linguaggio ricco di enfasi. Riscrivi in questo senso dal rigo 7 al rigo 44.


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SEZIONE III - IL ROMANZO

nascita e sviluppo del romanzo moderno

APPROFONDIMENTO

Romanticismo Il Romanticismo è un vasto movimento culturale diffuso in tutta Europa tra la fine del secolo XVIII e la metà circa del XIX. Il termine romantic fu usato dapprima in Inghilterra verso la metà del Seicento per indicare in senso spregiativo gli aspetti fantastici e irrazionali dei romanzi cavallereschi e pastorali, mentre nel Settecento in Francia la parola romantique fu usata come sinonimo di “pittoresco” e per indicare l’indefinito stato d’animo che un certo paesaggio può suscitare. Nella cultura tedesca il termine assunse un significato totalmente positivo, identificando una concezione artistica nuova, libera dall’autorità dei classici, spontanea, in grado di unire sentimento e riflessione. Alle origini del Romanticismo c’è il movimento dello Sturm und Drang (tempesta e assalto), nato nel 1798 in Germania, che si poneva come obiettivo esplicito la rivolta contro la ragione che aveva dominato il precedente periodo illuminista, privilegiando sentimento, immaginazione e fantasia. Dal rifiuto della cultura illuminista scaturì la ricerca di un modo di sentire e immaginare la realtà più vicino agli uomini del tempo. Il trapasso da una visione illuministica e razionale dell’uomo, considerato come un essere inserito nell’universo e sottoposto a leggi fisiche costanti, all’idea tipicamente romantica per cui ogni individuo ha caratteristiche psicologiche uniche e specifiche, irriducibili a leggi universali e costanti, dà origine a una concezione radicalmente nuova dell’esistenza: del singolo uomo venne sottolineato soprattutto l’aspetto irrazionale ed emotivo, attribuendo grande importanza alle passioni irrefrenabili, a volte malinconiche, a volte drammatiche del suo animo, e alla sua attività fantastica e immaginativa, ritenuta l’unico strumento capace di proiettarlo oltre i limiti della realtà contingente. Dal confronto tra la finitezza della propria condizione e l’infinità dell’universo, cui il romantico sentiva comunque di appartenere, scaturì una forte consapevolezza della infelicità umana, che si accompagnava a un profondo sentimento della natura, intesa talvolta come lo specchio in cui i travagliati stati d’animo del singolo trovavano corrispondenza, talvolta come la forza ostile che lo escludeva ed estraniava. Bisogna infine considerare che, a causa della situazione internazionale creatasi dopo il Congresso di Vienna (1814), la manifestazione di idee politiche divenne per molti romantici un modo per affermare la propria autonomia dal potere, soprattutto quando il contesto in cui essi vivevano risentiva dell’oppressione e della mancanza di libertà, come accadeva in Italia e in Germania: così lo spirito patriottico radicalizzò ulteriormente la contrapposizione tra singolo e società che nasceva dalla convinzione di molti intellettuali di essere unici ed eccezionali e, di conseguenza, di non potersi uniformare all’ordine costituito.


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François-René de Chateaubriand

Il “male oscuro” del protagonista la storia i personaggi il tempo lo spazio il narratore e la focalizzazione le tecniche espressive la lingua e lo stile

L’OPERA

513 genere

Romanzo tratto da Iliade (libro I, vv. 1-52)

anno ???? luogo Stati Uniti

Il romanzo venne pubblicato per la prima volta all’interno del Genio del Cristianesimo come un episodio della storia dei Natchez, la tribù della Louisiana nella quale è accolto René nel primo romanzo, Atala. L’opera apparve in seguito separatamente, con Atala, nel 1805. Un giovane francese, René, per cercare la solitudine si rifugia presso la tribù dei Natchez nella Louisiana, dove incontra un vecchio indiano, Chactas, che diventa suo padre adottivo, e un missionario, il reverendo Soue¨l. Quando gli giunge la notizia della morte della sorella, René racconta a Chactas la sua storia. Dopo un’infanzia segnata da un’eccitata sensibilità in compagnia della sorella Amelia, il giovane si allontana da casa e vaga di terra in terra, senza trovare rimedio alla sua insoddisfazione. Tornato a casa, ritrova la sorella che, anch’ella tormentata da un oscuro malessere, decide di ritirarsi in convento. Durante la monacazione, René scopre l’inconfessabile passione di Amelia per lui e si trasferisce in America per trovare pace nella natura incontaminata. Consolato da Chactas e incitato dal reverendo Soue¨l ad abbandonare l’egocentrismo ed essere utile ai propri simili, il giovane troverà la morte nel massacro dei Natchez.

IL BRANO Il brano che presentiamo è tratto dalla parte dell’opera in cui il protagonista René racconta in prima persona le sue vicissitudini a Chactas, il vecchio indiano della tribù dei Natchez, presso i quali il giovane ha trovato rifugio a conclusione delle sue peripezie. Dopo il deludente tentativo di stabilire un contatto con la società, René cerca rimedio alla propria inquietudine ritirandosi in campagna.

i trovai ben presto più solo nella mia patria di quel che fossi stato in una terra straniera. Per qualche tempo volli gettarmi in un mondo che non mi diceva niente e da cui non ero compreso. L’anima mia, che nessuna passione non aveva ancora logorata,1 cercava un oggetto a cui attaccarsi ma mi accorsi che davo più di quel che ricevevo. Non mi si chiedeva un linguaggio elevato, né un sentimento profondo. Non facevo altro che rimpicciolire la mia vita per metterla alla pari con la società. Trattato da per tutto come uno spirito romantico,2 vergognoso della parte che recitavo, sempre più disgustato delle cose e degli uomini, presi il partito3 di ritirarmi in un sobborgo, per vivervi totalmente ignorato. Trovai da principio abbastanza piacere in quella vita oscura e indipendente. Sconosciuto, mi confondevo tra la folla, vasto deserto di uomini! Sovente, seduto in una chiesa poco frequentata, passavo intiere ore in meditazione. Vedevo povere donne venir a prostrarsi davanti l’Altissimo, o peccatori inginocchiarsi al Tribunale della penitenza.4 Nessuno usciva da quei luoghi senza un viso più sereno e i sordi clamori che giungevano da fuori sembravano i flutti delle passioni e le tempeste del mondo che venivano a morire ai piedi del tempio

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1. logorata: consumata. 2. spirito romantico: vale a dire persona che si rapporta in modo angoscioso alla realtà, con uno struggente desiderio di infinito. 3. partito: decisione. 4. Tribunale della penitenza: sacramento della confessione.


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SEZIONE III - IL ROMANZO

nascita e sviluppo del romanzo moderno

François-René de Chateaubriand nacque nel 1768 a SaintMalo, in Bretagna, da una ricca famiglia aristocratica; trascorse un’infanzia solitaria, educato all’orgoglio di casta dal visconte suo padre, che lo avviò alla carriera militare. Nel 1791 compì un lungo viaggio in America «alla ricerca di nuovi orizzonti», come dirà egli stesso, e restò affascinato dai paesaggi selvaggi di quelle terre. Al ritorno in patria, di fronte agli eventi della Rivoluzione francese si unì alle forze borboniche e, dopo l’arresto del re Luigi XVI, emigrò con gli altri nobili oltre il Reno (luglio 1792), quindi riparò a Londra (1793-1800), dove pubblicò il Saggio storico sulle rivoluzioni (1797). Alla morte della madre in un carcere rivoluzionario (1798) e quindi della sorella, subì una profonda crisi che lo riavvicinò alla religione tradizionale. Scrisse così nel 1799 Il genio del cristianesimo, pubblicato nel 1802, apologia della fede cristiana, esaltata nei suoi riti e nelle sue manifestazioni artistiche, di cui fanno parte due brevi romanzi, René e Atala, che sono tra le prime manifestazioni del romanticismo francese. Rientrato in Francia nel 1802, fu nominato da Napoleone segretario di ambasciata a Roma. Nel 1806 si recò in Palestina, viaggio di cui poi scrisse il resoconto (Itinerario da Parigi a Gerusalemme, 1811); nel 1809 compose l’epopea in prosa I martiri e nel 1811 iniziò un’autobiografia, Le Memorie d’oltretomba. Dopo la sconfitta di Napoleone, per il suo schieramento filoborbonico ebbe incarichi e onori (ambasciatore a Berlino e Londra, pari di Francia), ma la sua fortuna politica declinò con l’ascesa di Luigi Filippo. Trascorse gli ultimi anni, fino alla morte nel 1848, in un sostanziale isolamento, confortato dagli studi.

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5. Poscia: poi. 6. cattedrale gotica: la cattedrale è la chiesa principale di una diocesi, sede vescovile; il gotico è uno stile artistico fiorito in Europa dal secolo XII. 7. risoluto di: deciso a. 8. chimera: sogno irrealizzabile.

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del Signore. Gran Dio, che vedesti in segreto colar le mie lagrime in quei sacri ritiri, tu sai quante volte mi gettai a’ tuoi piedi per supplicarti di scaricarmi del peso dell’esistenza, o di cambiare in me il vecchio uomo! Ah! chi non ha sentito qualche volta il bisogno di rigenerarsi, di ringiovanire alle acque del torrente, di ritemprare la sua anima alla fontana della vita! Chi non si sente qualche volta spossato dal peso della sua propria corruzione e incapace di fare alcunché di grande, di nobile, di giusto! Quando la sera era venuta, riprendendo la strada del mio ritiro, mi fermavo sui ponti per veder tramontare il sole. L’astro, infiammando i vapori della città, sembrava oscillare lentamente in un fluido d’oro, come il pendolo dell’orologio dei secoli. Poscia5 mi ritiravo con la notte, a traverso un labirinto di strade solitarie. Guardando i lumi accesi nelle case degli uomini, mi trasportavo col pensiero in mezzo alle scene di dolore e di gioia che essi rischiaravano e pensavo che, sotto tanti tetti abitati, io non avevo un amico. In mezzo alle mie riflessioni, l’ora batteva a colpi misurati sulla Torre della cattedrale gotica6 e andava ripetendosi su tutti i toni, sempre più lontano, di chiesa in chiesa. Ahimè! ogni ora, nel mondo, apre una tomba e fa versare lacrime! Quella vita, che m’aveva sulle prime sedotto, non tardò a diventarmi insopportabile. Quel ripetersi delle medesime idee mi stancava. Mi misi a scandagliare il mio cuore, a domandarmi che cosa desideravo. Non lo sapevo; ma a un tratto credetti che i boschi sarebbero la mia delizia. Eccomi in un subito risoluto di7 terminare in un esilio campestre un corso di vita appena cominciato e nel quale avevo già divorato dei secoli. Abbracciai questo progetto con l’ardore che metto in tutti i miei disegni; partii precipitosamente per seppellirmi in una capanna, come altra volta ero partito per fare il giro del mondo. Mi si accusa d’aver gusti incostanti, di non poter godere a lungo della medesima chimera,8 d’essere preda di una immaginazione che si affretta a giungere al fondo dei miei piaceri, come se si stancasse della loro durata; mi si accusa di sorpassar


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sempre la meta che posso toccare: ahimè! io cerco soltanto un bene sconosciuto il cui istinto m’insegue. È colpa mia se dappertutto trovo limiti, se ciò che è finito non ha alcun valore per me? Pure io sento che amo la monotonia dei sentimenti della vita e se avessi ancora la follia di credere nella felicità, la cercherei nell’abitudine. La solitudine assoluta, lo spettacolo della natura presto m’immersero in uno stato che quasi non è possibile descrivere. Senza parenti, senza amici, solo, per così dire, sulla terra, senz’aver ancora amato, ero oppresso da una sovrabbondanza di vita.9 Certe volte arrossivo subitamente e sentivo scorrere nel mio cuore come rivi10 di lava ardente: certe altre gettavo gridi involontari e le mie notti, sia che sognassi, sia che vegliassi, erano ugualmente agitate. Mi mancava qualche cosa, per riempire l’abisso della mia esistenza: discendevo nella valle, mi spingevo su per la montagna, invocando con tutta la forza dei miei desideri l’ideale oggetto d’una fiamma futura;11 l’abbracciavo nei venti, credevo udirlo nei gemiti del fiume: tutto era quell’immaginario fantasma, e gli astri nei cieli, e lo stesso principio della vita nell’universo. Pure quello stato di calma e d’inquietudine, d’indigenza12 e di ricchezza, non era senza attrattive: un giorno m’ero divertito a sfogliare una rama di salcio13 su d’un ruscello e ad unire una idea a ogni foglia che la corrente portava via. Un re che tema di perdere la corona per un’improvvisa rivoluzione non prova angosce più vive delle mie a ogni accidente che minacciava i frammenti del mio ramoscello.

8. Athelstane: il nobile sassone a cui Cedric aveva destinato in moglie la pupilla Rowena, amata da Ivanhoe. 9. fendente: colpo di spada vibrato verticalmente, sulla testa, dall’alto verso il basso.

APPROFONDIMENTO CINEMA Anno: 1966 Regia: Mario Monicelli Interpreti: Vittorio Gassman, Catherine Spaak, Gian Maria Volonté, Enrico Maria Salerno

L’armata Brancaleone l film propone in chiave ironica un Medioevo sgangherato e becero, specchio deformante della realtà contemporanea. Notevole l’operazione sul linguaggio degli sceneggiatori Age e Scarpelli, che inventarono una parlata “maccheronica”, mista di latino medioevale e italiano prevolgare, dagli irresistibili effetti comici.

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Vittorio Gassman (Brancaleone) e Gian Maria Volonté (Teofilatto dei Leonzi) in due scene del film.


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nascita e sviluppo del romanzo moderno

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genere di appartenenza Romanzo Storico

editore Società Editrice Internazionale

autore Alessandro Manzoni

città di edizione Torino anno di edizione 2006

La Bibbia LA TRAMA IN BREVE

Macrosequenza 2

Una storia di amore contrastato, di matrimonio impedito, di prepotenza di classe sociale. Due giovani popolani, Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, stanno per sposarsi, ma un giovane e arrogante signorotto ne impedisce il matrimonio per un banale capriccio di seduzione. In conseguenza di tale persecuzione, i due fidanzati saranno costretti a separarsi, fino a quando non si cre-eranno le condizioni che renderanno possibile il felice ricongiungimento. Questa, in estrema sintesi, è la trama del romanzo, che prende però vita, varietà e originalità nel complesso della sua struttura e del suo intreccio.

(capp. XI-XVII) In questa sezione vengono seguite le avventure e disavventure milanesi di Renzo. Il promesso sposo si trova coinvolto nei tumulti popolari che proprio in quei giorni turbano la vita della città, a causa della penuria di pane e dell’aumento dei prezzi. Scambiato e accusato ingiustamente di delittuose azioni, Renzo si trova perseguitato dalla polizia ed è costretto a fuggire affannosamente: oltrepasserà il confine con i territori della repubblica di Venezia, e si rifugerà dal cugino Bortolo, in un paese vicino a Bergamo. Qui troverà lavoro e resterà a lungo, scomparendo quasi dal racconto.

L’INTRECCIO

Cerniera 2

L’intera vicenda può essere suddivisa in quattro macrosequenze narrative, con delle sezioni di “cerniera” che le collegano:

(capp. XVIII-XIX) In questi capitoli si leggono i loschi maneggi e preparativi di don Rodrigo per riprendere la persecuzione di Lucia, e soprattutto il ritratto dell’imponente figura dell’Innominato, potente e scellerato brigante dalla forte e affascinante personalità.

Macrosequenza 1 (capp. I-IX) Novembre 1628, piccolo paese sul lago di Como, nei pressi di Lecco. Il matrimonio fra i “promessi sposi” Renzo e Lucia viene impedito con violenta intimidazione da don Rodrigo, signorotto del luogo. Dopo vari e vani tentativi di contrapporsi all’odioso divieto, con l’aiuto di Agnese, madre di Lucia, e del valente fra Cristoforo, i due giovani sono costretti a fuggire dalle loro case. I due giovani, giunti a Monza, si separano: Lucia troverà rifugio presso il monastero di clausura di quella città, mentre Renzo si avvia verso Milano.

Cerniera 1 (capp. IX-X) Si inserisce qui la vicenda biografica di Gertrude, la “monaca di Monza”, figura di potente e ambigua suora, nel convento dove Lucia è stata accolta con la madre.

Macrosequenza 3 (capp. XX-XXVII) Si segue la vicenda di Lucia, che con la complicità della monaca di Monza viene fatta rapire dall’Innominato, alleato di don Rodrigo. Ma qui interviene il fatto più stupefacente, dal punto di vista dell’ideologia morale del romanzo: la miracolosa conversione religiosa dell’Innominato, con l’intervento anche di Federigo Borromeo, cardinale di Milano. La più drammatica delle situazioni si trasforma in motivo di salvezza per Lucia, che troverà ospitalità presso la potente famiglia milanese di donna Prassede e don Ferrante, al sicuro dalle trame di don Rodrigo. Ma intanto un nuovo ostacolo si interpone fra lei e Renzo:


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durante la notte di terrore e di prigionia al castello dell’Innominato, Lucia ha fatto voto di castità.

I PERSONAGGI

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Lucia : diciott’anni, filatrice, fidanzata di

(capp. XXVIII-XXXII) Sono i capitoli “storici”: una lunga digressione, in forma prevalentemente saggistica, sui tre grandi avvenimenti e flagelli pubblici che devastarono in quegli anni, dal 1629 al 1630, l’intero territorio del nord Italia, e cioè la carestia, la guerra con il passaggio e il saccheggio delle truppe lanzichenecche e soprattutto l’epidemia di peste bubbonica.

Macrosequenza 4 (capp. XXXIII-XXXVIII) Approfittando della generale anarchia provocata dalla peste, Renzo ritorna a Milano per cercare Lucia. Si trova ad attraversare un mondo sconvolto dalla malattia, ma riesce a trovare la fidanzata, convalescente ma salva, e con l’aiuto di fra Cristoforo riuscirà anche a risolvere la questione del voto. Morto don Rodrigo di peste, i due giovani potranno finalmente celebrare al loro paese il sospirato matrimonio. Andranno infine a vivere in un paese vicino a Bergamo, dove nuove possibilità di lavoro garantiranno loro una serena vita familiare.

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Renzo: vent’anni, operaio tessile e contadino, fidanzato di Lucia; Renzo;

Agnese: madre di Lucia; Don Rodrigo: malvagio signorotto del paese; Don Abbondio: curato del paese, sessant’anni circa, pavido ed egoista;

Perpetua: domestica di don Abbondio; Padre Cristoforo: frate cappuccino, principale aiutante di Renzo e Lucia;

Monaca di Monza: ambigua figura di monaca; L’innominato: potente e violento brigante; Federigo Borromeo: cardinale di Milano, modello di alta spiritualità cristiana. Da una parte Renzo e Lucia, i protagonisti; dall’altra don Rodrigo, l’antagonista. Su questa triade di personaggi è costruito l’intero sistema dei personaggi del romanzo, disposti lungo questi due “poli”. ► Svolgono la funzione di aiutanti di Renzo e Lucia fra Cristoforo e il cardinale Federigo Borromeo, oltre ad Agnese e ad altri personaggi minori quali la famiglia del sarto, donna Prassede e la vedova mercantessa verso Lucia, e il cugino Bortolo rispetto a Renzo. ► Sul versante dei “cattivi” troviamo invece il

Compilare la Scheda di lettura di un libro ha l’obiettivo di fornire una visione d’insieme dell’opera, richiamandone i temi principali e le informazioni sui tempi, sui luoghi, sui personaggi ecc. Ne diamo qui un esempio già compilato per un romanzo in genere letto a scuola: la scansione può servire da modello per altri romanzi letti.


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La Bibbia LA TRAMA IN BREVE Una storia di amore contrastato, di matrimonio impedito, di prepotenza di classe sociale. Due giovani popolani, Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, stanno per sposarsi, ma un giovane e arrogante signorotto ne impedisce il matrimonio per un banale capriccio di seduzione. In conseguenza di tale persecuzione, i due fidanzati saranno costretti a separarsi, fino a quando non si cre-eranno le condizioni che renderanno possibile il felice ricongiungimento. Questa, in estrema sintesi, è la trama del romanzo, che prende però vita, varietà e originalità nel complesso della sua struttura e del suo intreccio.

L’INTRECCIO L’intera vicenda può essere suddivisa in quattro macrosequenze narrative, con delle sezioni di “cerniera” che le collegano:

Macrosequenza 1 (capp. I-IX) Novembre 1628, piccolo paese sul lago di Como, nei pressi di Lecco. Il matrimonio fra i “promessi sposi” Renzo e Lucia viene impedito con violenta intimidazione da don Rodrigo, signorotto del luogo. Dopo vari e vani tentativi di contrapporsi all’odioso divieto, con l’aiuto di Agnese, madre di Lucia, e del valente fra Cristoforo, i due giovani sono costretti a fuggire dalle loro case. I due giovani, giunti a Monza, si separano: Lucia troverà rifugio presso il monastero di clausura di quella città, mentre Renzo si avvia verso Milano.

Cerniera 1 (capp. IX-X) Si inserisce qui la vicenda biografica di Gertrude, la “monaca di Monza”, figura di potente e ambigua suora, nel convento dove Lucia è stata accolta con la madre.

Macrosequenza 2 (capp. XI-XVII) In questa sezione vengono seguite le avventure e disavventure milanesi di Renzo. Il promesso sposo si trova coinvolto nei tumulti po-

polari che proprio in quei giorni turbano la vita della città, a causa della penuria di pane e dell’aumento dei prezzi. Scambiato e accusato ingiustamente di delittuose azioni, Renzo si trova perseguitato dalla polizia ed è costretto a fuggire affannosamente: oltrepasserà il confine con i territori della repubblica di Venezia, e si rifugerà dal cugino Bortolo, in un paese vicino a Bergamo. Qui troverà lavoro e resterà a lungo, scomparendo quasi dal racconto.

Cerniera 2 (capp. XVIII-XIX) In questi capitoli si leggono i loschi maneggi e preparativi di don Rodrigo per riprendere la persecuzione di Lucia, e soprattutto il ritratto dell’imponente figura dell’Innominato, potente e scellerato brigante dalla forte e affascinante personalità.

Macrosequenza 3 (capp. XX-XXVII) Si segue la vicenda di Lucia, che con la complicità della monaca di Monza viene fatta rapire dall’Innominato, alleato di don Rodrigo. Ma qui interviene il fatto più stupefacente, dal punto di vista dell’ideologia morale del romanzo: la miracolosa conversione religiosa dell’Innominato, con l’intervento anche di Federigo Borromeo, cardinale di Milano. La più drammatica delle situazioni si trasforma in motivo di salvezza per Lucia, che troverà ospitalità presso la potente famiglia milanese di donna Prassede e don Ferrante, al sicuro dalle trame di don Rodrigo. Ma intanto un nuovo ostacolo si interpone fra lei e Renzo: durante la notte di terrore e di prigionia al castello dell’Innominato, Lucia ha fatto voto di castità.

Cerniera 3 (capp. XXVIII-XXXII) Sono i capitoli “storici”: una lunga digressione, in forma prevalentemente saggistica, sui tre grandi avvenimenti e flagelli pubblici che devastarono in quegli anni, dal 1629 al 1630, l’intero territorio del nord Italia, e cioè la carestia, la guerra con il passaggio e il sac-


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cheggio delle truppe lanzichenecche e soprattutto l’epidemia di peste bubbonica.

Macrosequenza 4 (capp. XXXIII-XXXVIII) Approfittando della generale anarchia provocata dalla peste, Renzo ritorna a Milano per cercare Lucia. Si trova ad attraversare un mondo sconvolto dalla malattia, ma riesce a trovare la fidanzata, convalescente ma salva, e con l’aiuto di fra Cristoforo riuscirà anche a risolvere la questione del voto. Morto don Rodrigo di peste, i due giovani potranno finalmente celebrare al loro paese il sospirato matrimonio. Andranno infine a vivere in un paese vicino a Bergamo, dove nuove possibilità di lavoro garantiranno loro una serena vita familiare.

I PERSONAGGI Renzo: vent’anni, operaio tessile e contadino, fidanzato di Lucia;

Lucia : diciott’anni, filatrice, fidanzata di Renzo;

Agnese: madre di Lucia; Don Rodrigo: malvagio signorotto del paese; Don Abbondio: curato del paese, sessant’anni circa, pavido ed egoista;

Perpetua: domestica di don Abbondio; Padre Cristoforo: frate cappuccino, principale

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aiutante di Renzo e Lucia;

Monaca di Monza: ambigua figura di monaca; L’innominato: potente e violento brigante; Federigo Borromeo: cardinale di Milano, modello di alta spiritualità cristiana. Da una parte Renzo e Lucia, i protagonisti; dall’altra don Rodrigo, l’antagonista. Su questa triade di personaggi è costruito l’intero sistema dei personaggi del romanzo, disposti lungo questi due “poli”. ► Svolgono la funzione di aiutanti di Renzo e Lucia fra Cristoforo e il cardinale Federigo Borromeo, oltre ad Agnese e ad altri personaggi minori quali la famiglia del sarto, donna Prassede e la vedova mercantessa verso Lucia, e il cugino Bortolo rispetto a Renzo. ► Sul versante dei “cattivi” troviamo invece il conte Attilio e il conte-zio come rappresentanti del potere familiare e politico, oltre a “satelliti” quali il Griso e Azzecca-garbugli. Funzione antagonista nei confronti dei due fidanzati è anche quella svolta da don Abbondio, con caratteristiche però molto particolari, se alla fine sarà proprio lui a celebrare con soddisfazione il sospirato matrimonio. Personaggi dalla valenza ambigua sono invece la monaca di Monza e l’Innominato, con esiti assai diversi. Gertrude si presenta

genere di appartenenza Romanzo Storico autore Alessandro Manzoni titolo I Promessi Sposi editore Società Editrice Internazionale città di edizione Torino anno di edizione 2006


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1. queste stradicciole: quelle che sono state descritte immediatamente prima, nella parte iniziale del romanzo. 2. bel bello: tranquillamente. 3. curato: sacerdote a cui è affidata la cura delle anime. 4. una di quelle terre... sopra: un paese che si affaccia sul braccio orientale del lago di Como. 5. casato: cognome. 6. manoscritto: quello da cui Manzoni finge di trascrivere la storia. 7. ufizio: le preghiere che i sacerdoti devono recitare nelle ore canoniche della giornata (dal latino officium = dovere). 8. salmo: uno dei canti sacri raccolti nel Vecchio Testamento, appunto nel Libro dei salmi. 9. breviario: il libro che contiene le preghiere quotidiane del sacerdote. 10. fessi: fenditure, spaccature nella roccia. 11. pezze: chiazze 12. squarcio: brano. 13. voltata: svolta. 14. foggia: forma. 15. cura: la casa del curato con la chiesa parrocchiale. 16. all’anche del passeggiero: ai fianchi del passante. 17. tabernacolo: cappellina con immagini sacre.

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VERIFICA FINALE

opo una iniziale descrizione del paesaggio (qui non riportata), entra in scena uno dei personaggi più importanti del romanzo: è don Abbondio, parroco di un paesino nei pressi di Lecco, la cui quotidiana passeggiata serale viene turbata da un incontro imprevisto: i «bravi» del signorotto locale, don Rodrigo, gli intimano con minacce di morte di non celebrare il matrimonio tra Renzo Tramaglino e Lucia Mondella. E`questo il “motore” che dà inizio alla vicenda.

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genere Romanzo storico autore Alessandro Manzoni tratto da I Promessi Sposi anno 1840-42 luogo Italia

Don Abbondio e i bravi er una di queste stradicciole,1 tornava bel bello2 dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell’anno 1628, don Abbondio, curato3 d’una delle terre accennate di sopra:4 il nome di questa, né il casato5 del personaggio, non si trovan nel manoscritto,6 né a questo luogo né altrove. Diceva tranquillamente il suo ufizio,7 e talvolta, tra un salmo8 e l’altro, chiudeva il breviario,9 tenendovi dentro, per segno, l’indice della mano destra, e, messa poi questa nell’altra dietro la schiena, proseguiva il suo cammino, guardando a terra, e buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel sentiero: poi alzava il viso, e, girati oziosamente gli occhi all’intorno, li fissava alla parte d’un monte, dove la luce del sole già scomparso, scappando per i fessi10 del monte opposto, si dipingeva qua e là sui massi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze11 di porpora. Aperto poi di nuovo il breviario, e recitato un altro squarcio,12 giunse a una voltata13 della stradetta, dov’era solito d’alzar sempre gli occhi dal libro, e di guardarsi dinanzi: e così fece anche quel giorno. Dopo la voltata, la strada correva diritta, forse un sessanta passi, e poi si divideva in due viottole, a foggia14 d’un ipsilon: quella a destra saliva verso il monte, e menava alla cura:15 l’altra scendeva nella valle fino a un torrente; e da questa parte il muro non arrivava che all’anche del passeggero.16 I muri interni delle due viottole, in vece di riunirsi ad angolo, terminavano in un tabernacolo,17 sul quale eran dipinte certe figure lunghe, serpeggianti, che finivano in punta, e che, nell’intenzion dell’artista, e agli occhi degli abitanti del vicinato, volevan dire18 fiamme; e, alternate con le fiamme, cert’altre figure da non potersi descrivere, che volevan dire anime del purgatorio: anime e fiamme a color di mattone, sur un fondo bigiognolo,19 con qualche scalcinatura20 qua e là. Il curato, voltata la stradetta, e dirizzando, com’era solito, lo sguardo al tabernacolo, vide una cosa che non s’aspettava, e che non avrebbe voluto vedere. Due uomini stavano, l’uno dirimpetto all’altro, al confluente,21 per dir così, delle due viottole: un di costoro, a cavalcioni sul muricciolo basso, con una gamba spenzolata al di fuori, e l’altro piede posato sul terreno della strada; il compagno, in piedi, appoggiato al muro, con le braccia incrociate sul petto. L’abito, il portamento, e quello che, dal luogo ov’era giunto il curato, si poteva distinguer dell’aspetto, non lasciavan dubbio intorno alla lor

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condizione. Avevano entrambi intorno al capo una reticella verde, che cadeva sull’omero22 sinistro, terminata in una gran nappa,23 e dalla quale usciva sulla fronte un enorme ciuffo: due lunghi mustacchi24 arricciati in punta: una cintura lucida di cuoio, e a quella attaccate due pistole: un piccol corno ripieno di polvere,25 cascante sul petto, come una collana: un manico di coltellaccio che spuntava fuori d’un taschino degli ampi e gonfi calzoni: uno spadone, con una gran guardia26 traforata a lamine d’ottone, congegnate come in cifra,27 forbite28 e lucenti: a prima vista si davano a conoscere per individui della specie de’ bravi.29 Questa specie, ora del tutto perduta, era allora floridissima in Lombardia, e già molto antica. [...] Segue una citazione dettagliata di brani di “gride”, cioè decreti, emanate dai governatori del Milanese contro i bravi.

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18. volevan dire: rappresentavano. 19. bigiognolo: di colore incerto sul grigio. 20. scalcinatura: scrostatura dell’intonaco. 21. confluente: punto d’incontro. 22. omero: spalla. 23. nappa: unione di fili a mazzetto. 24. mustacchi: baffi. 25. polvere: da sparo. 26. guardia: parte dell’elsa di una spada sagomata a protezione della mano. 27. congegnate come in cifra: disposte in modo da formare un disegno. 28. forbite: pulite. 29. bravi: fuorilegge al servizio di un signore (probabilmente dal latino pravus = malvagio). 30. per ispiar: per osservare furtivamente. 31. gli sovvenne: si ricordò. 32. qualche vendicativo: qualcuno capace di vendicarsi. 33. nel collare... raccomodarlo: nel colletto rigido da ecclesiastico, come per sistemarlo. 34. più modesta: che si spingeva meno lontano. 35. schivare: sfuggire al. 36. compose: atteggiò. 37. quiete e ilarità: tranquillità e buonumore.

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Che i due descritti di sopra stessero ivi ad aspettar qualcheduno, era cosa troppo evidente; ma quel che più dispiacque a don Abbondio fu il dover accorgersi, per certi atti, che l’aspettato era lui. Perché, al suo apparire, coloro s’eran guardati in viso, alzando la testa, con un movimento dal quale si scorgeva che tutt’e due a un tratto avevan detto: è lui; quello che stava a cavalcioni s’era alzato, tirando la sua gamba sulla strada; l’altro s’era staccato dal muro; e tutt’e due gli s’avviavano incontro. Egli, tenendosi sempre il breviario aperto dinanzi, come se leggesse, spingeva lo sguardo in su, per ispiar30 le mosse di coloro; e, vedendoseli venir proprio incontro, fu assalito a un tratto da mille pensieri. Domandò subito in fretta a sé stesso, se, tra i bravi e lui, ci fosse qualche uscita di strada, a destra o a sinistra; e gli sovvenne31 subito di no. Fece un rapido esame, se avesse peccato contro qualche potente, contro qualche vendicativo;32 ma, anche in quel turbamento, il testimonio consolante della coscienza lo rassicurava alquanto: i bravi però s’avvicinavano, guardandolo fisso. Mise l’indice e il medio della mano sinistra nel collare, come per raccomodarlo;33 e, girando le due dita intorno al collo, volgeva intanto la faccia all’indietro, torcendo insieme la bocca, e guardando con la coda dell’occhio, fin dove poteva, se qualcheduno arrivasse; ma non vide nessuno. Diede un’occhiata, al di sopra del muricciolo, ne’ campi: nessuno; un’altra più modesta34 sulla strada dinanzi; nessuno, fuorché i bravi. Che fare? tornare indietro, non era a tempo: darla a gambe, era lo stesso che dire, inseguitemi, o peggio. Non potendo schivare35 il pericolo, vi corse incontro, perché i momenti di quell’incertezza erano allora così penosi per lui, che non desiderava altro che d’abbreviarli. Affrettò il passo, recitò un versetto a voce più alta, compose36 la faccia a tutta quella quiete e ilarità37 che poté, fece ogni sforzo per preparare un sorriso; quando si trovò a fronte dei due galantuomini, disse mentalmente: ci siamo; e si fermò su due piedi. «Signor curato», disse un di que’ due, piantandogli gli occhi in faccia. «Cosa comanda?» rispose subito don Abbondio, alzando i suoi dal libro, che gli restò spalancato nelle mani, come sur un leggio. «Lei ha intenzione,» proseguì l’altro, con l’atto minaccioso e iracondo di chi coglie un suo inferiore sull’intraprendere una ribalderia, «lei ha intenzione di maritar domani Renzo Tramaglino e Lucia Mondella!» «Cioè...» rispose, con voce tremolante, don Abbondio: «cioè. Lor signori son


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38. a un banco a riscotere: ad una banca a riscuotere. 39. del comune: della comunità. 40. a ciarle: a chiacchiere. 41. ci metterebbe in sacco: riuscirebbe ad imbrogliarci, ad avere la meglio su noi. 42. il primo oratore: colui che aveva parlato per primo. 43. nel forte: nel culmine. 44. di latino!: i bravi ironizzano sul fatto che Don Abbondio, essendo un uomo colto, perché sa il latino, dovrebbe essere in grado di prendere la decisione giusta. 45. proferendo: pronunciando. 46. messere: titolo di rispetto (= mio signore). 47. iscansarli: evitarli. 48. dargli udienza: prestargli ascolto. 49. aggranchiate: rattrappite. 50. naturale: indole. 51. che non avesse... corpo: in realtà covava

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uomini di mondo, e sanno benissimo come vanno queste faccende. Il povero curato non c’entra: fanno i loro pasticci tra loro, e poi... e poi, vengon da noi, come s’anderebbe a un banco a riscotere;38 e noi... noi siamo i servitori del comune.»39 «Or bene,» gli disse il bravo, all’orecchio, ma in tono solenne di comando, «questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai.» «Ma, signori miei,» replicò don Abbondio, con la voce mansueta e gentile di chi vuol persuadere un impaziente, «ma, signori miei, si degnino di mettersi ne’ miei panni. Se la cosa dipendesse da me,... vedon bene che a me non me ne vien nulla in tasca...» «Orsù,» interruppe il bravo, «se la cosa avesse a decidersi a ciarle,40 lei ci metterebbe in sacco.41 Noi non ne sappiamo, né vogliam saperne di più. Uomo avvertito... lei c’intende.» «Ma lor signori son troppo giusti, troppo ragionevoli...» «Ma,» interruppe questa volta l’altro compagnone, che non aveva parlato fin allora, «ma il matrimonio non si farà, o...» e qui una buona bestemmia, «o chi lo farà non se ne pentirà, perché non ne avrà tempo, e...» un’altra bestemmia. «Zitto, zitto,» riprese il primo oratore:42 «il signor curato è un uomo che sa il viver del mondo; e noi siam galantuomini, che non vogliam fargli del male, purché abbia giudizio. Signor curato, l’illustrissimo signor don Rodrigo nostro padrone la riverisce caramente.» Questo nome fu, nella mente di don Abbondio, come, nel forte43 d’un temporale notturno, un lampo che illumina momentaneamente e in confuso gli oggetti, e accresce il terrore. Fece, come per istinto, un grand’inchino, e disse: «se mi sapessero suggerire...» «Oh! suggerire a lei che sa di latino!»44 interruppe ancora il bravo, con un riso tra lo sguaiato e il feroce. «A lei tocca. E sopra tutto, non si lasci uscir parola su questo avviso che le abbiam dato per suo bene; altrimenti... ehm... sarebbe lo stesso che fare quel tal matrimonio. Via, che vuol che si dica in suo nome all’illustrissimo signor don Rodrigo?» «Il mio rispetto...» «Si spieghi meglio!» «... Disposto... disposto sempre all’ubbidienza.» E, proferendo45 queste parole, non sapeva nemmen lui se faceva una promessa, o un complimento. I bravi le presero, o mostraron di prenderle nel significato più serio. «Benissimo, e buona notte, messere»46 disse l’un d’essi, in atto di partir col compagno. Don Abbondio, che, pochi momenti prima, avrebbe dato un occhio per scansarli,47 allora avrebbe voluto prolungar la conversazione e le trattative. «Signori...» cominciò, chiudendo il libro con le due mani; ma quelli, senza più dargli udienza,48 presero la strada dond’era lui venuto, e s’allontanarono, cantando una canzonaccia che non voglio trascrivere. Il povero don Abbondio rimase un momento a bocca aperta, come incantato; poi prese quella delle due stradette che conduceva a casa sua, mettendo innanzi a stento una gamba dopo l’altra, che parevano aggranchiate.49 Come stesse di dentro, s’intenderà meglio, quando avrem detto qualche cosa del suo naturale,50 e de’ tempi in cui gli era toccato di vivere. Don Abbondio (il lettore se n’è già avveduto) non era nato con un cuor di leone. Ma, fin da’ primi suoi anni, aveva dovuto comprendere che la peggior condizione, a que’ tempi, era quella d’un animale senza artigli e senza zanne, e che pure non si


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sentisse inclinazione d’esser divorato. La forza legale non proteg-geva in alcun conto l’uomo tranquillo, inoffensivo, e che non avesse altri mezzi di far paura altrui. [...] Segue un breve passo in cui si ricorda che leggi e pene contro la violenza privata esistevano, ma erano a vantaggio solo di alcune classi privilegiate.

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anche lui sentimenti di amarezza e ribellione. 52. esacerbato: esasperato, reso più acuto. 53. finalmente: in fin dei conti. 54. cavarsi... fantastico: togliersi anche lui la voglia di essere un po’ lunatico. 55. rigido censore: severo critico. 56. torbido: losco, che celava qualcosa di poco chiaro. 57. declamava: inveiva. 58. soverchiatore: prepotente, violento. 59. comprarsi... contanti: cercar guai in gran quantità. 60. raddrizzar... cani: tentare imprese impossibili. 61. profane: che riguardano il mondo civile e non la sfera del sacro. 62. crocchio: gruppo di persone. 63. alieni dal risentirsi: incapaci di reagire. 64. sigillava: concludeva. 65. stia... panni: si occupi solo dei propri affari. 66. studio: attenzione. 67. sconcertato: turbato. 68. tumultuariamente: in modo tumultuoso. 69. una testa: un impulsivo. 70. non si fanno... travagli in che: non si preoccupano delle difficoltà in cui. 71. prenderla: prendersela.

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Non è però che non avesse anche lui il suo po’ di fiele in corpo;51 e quel continuo esercitar la pazienza, quel dar così spesso ragione agli altri, que’ tanti bocconi amari inghiottiti in silenzio, glielo avevano esacerbato52 a segno che, se non avesse, di tanto in tanto, potuto dargli un po’ di sfogo, la sua salute ne avrebbe certamente sofferto. Ma siccome v’eran poi finalmente53 al mondo, e vicino a lui, persone ch’egli conosceva ben bene per incapaci di far male, così poteva con quelle sfogare qualche volta il mal umore lungamente represso, e cavarsi anche lui la voglia d’essere un po’ fantastico,54 e di gridare a torto. Era poi un rigido censore55 degli uomini che non si regolavan come lui, quando però la censura potesse esercitarsi senza alcuno, anche lontano, pericolo. Il battuto era almeno un imprudente; l’ammazzato era sempre stato un uomo torbido.56 A chi, messosi a sostener le sue ragioni contro un potente, rimaneva col capo rotto, don Abbondio sapeva trovar sempre qualche torto; cosa non difficile, perché la ragione e il torto non si dividon mai con un taglio così netto, che ogni parte abbia soltanto dell’una o dell’altro. Sopra tutto poi, declamava57 contro que’ suoi confratelli che, a loro rischio, prendevan le parti d’un debole oppresso, contro un soverchiatore58 potente. Questo chiamava un comprarsi gl’impicci a contanti,59 un voler raddirizzar le gambe ai cani;60 diceva anche severamente, ch’era un mischiarsi nelle cose profane,61 a danno della dignità del sacro ministero. E contro questi predicava, sempre però a quattr’occhi, o in un piccolissimo crocchio,62 con tanto più di veemenza, quanto più essi eran conosciuti per alieni dal risentirsi,63 in cosa che li toccasse personalmente. Aveva poi una sua sentenza prediletta, con la quale sigillava64 sempre i discorsi su queste materie: che a un galantuomo, il qual badi a sé, e stia ne’ suoi panni,65 non accadon mai brutti incontri. Pensino ora i miei venticinque lettori che impressione dovesse fare sull’animo del poveretto, quello che s’è raccontato. Lo spavento di que’ visacci e di quelle parolacce, la minaccia d’un signore noto per non minacciare invano, un sistema di quieto vivere, ch’era costato tant’anni di studio66 e di pazienza, sconcertato67 in un punto, e un passo dal quale non si poteva veder come uscirne: tutti questi pensieri ronzavano tumultuariamente68 nel capo basso di don Abbondio. Se Renzo si potesse mandare in pace con un bel no, via; ma vorrà delle ragioni; e cosa ho da rispondergli, per amor del cielo? E, e, e, anche costui è una testa:69 un agnello se nessun lo tocca, ma se uno vuol contraddirgli... ih! E poi, e poi, perduto dietro a quella Lucia, innamorato come... Ragazzacci, che, per non saper che fare, s’innamorano, voglion maritarsi, e non pensano ad altro; non si fanno carico de’ travagli in che70 mettono un povero galantuomo. Oh povero me! vedete se quelle due figuracce dovevan proprio piantarsi sulla mia strada, e prenderla71 con me! Che c’entro io? Son io che voglio maritarmi? Perché non son andati piuttosto a parlare... Oh vedete un poco: gran destino è il mio, che le cose a proposito mi vengan sempre in mente un momento dopo l’occasione. Se avessi pensato di suggerir loro che andassero a portar la loro imbasciata... – da I Promessi Sposi, SEI, Torino 2006


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SEZIONE III - IL ROMANZO

nascita e sviluppo del romanzo moderno

Comprensione 1 Chi è don Abbondio e che cosa sta facendo nel momento in cui viene presentato? 2 Chi sono le due persone che vede e da che cosa don Abbondio si accorge che i due stanno aspettando lui? 3 Perché affretta il passo? 4 Qual è la “richiesta” fatta al curato? 5 Questi rifiuta o acconsente?

Analisi La storia e il tempo

Vedi a p. 6 e 46

1 La prima sequenza (righi 1-39), che è in buona parte narrativa, mostra don Abbondio nella sua quotidiana passeggiata serale. Al suo interno, però, non mancano elementi descrittivi. 1. Individua i passaggi narrativi, riportandoli con i relativi righi. Li definiresti: ellissi sommari scene 2. Individua ora i passaggi descrittivi, in cui il tempo della narrazione viene rallentato, riportandoli con i relativi righi. A tuo parere sono: analisi pause 2 Come definiresti la sequenza che va dal rigo 70 al rigo 110? 3 Dopo un altro passaggio narrativo (righi 111-120), l’azione s’interrompe per illustrare la società in cui viveva don Abbondio e il carattere del personaggio, fino al passaggio finale (righi 158-169) dove troviamo riportati i pensieri del curato. L’ordine dell’intreccio si discosta da quello della fabula? Sì No 4 Compaiono nel brano letto: analessi prolessi Nella risposta fai riferimento ai righi del testo. 5 Nel complesso come definiresti l’andamento narrativo del brano? Statico Dinamico Argomenta la tua risposta.

I personaggi

Vedi a p. 24

6 La presentazione di don Abbondio e dei bravi è: diretta indiretta mista 7 La caratterizzazione del curato è (è possibile più di una risposta): fisica anagrafica sociale morale altro .........................................


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8 Quella dei bravi è (è possibile più di una risposta): fisica anagrafica sociale morale

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LE SS IC O

9 In che consiste il “sistema” di don Abbondio? Ha un atteggiamento in genere sottomesso? Argomenta la tua risposta. È mite con tutti? Argomenta la tua risposta. Verso quali esponenti del clero si mostra particolarmente critico? In che consiste la “colpa” dei due fidanzati, nella sua ottica? 10 Definisci con aggettivi scelti tra quelli che seguono il carattere di don Abbondio e argomenta le tue scelte con precisi riferimenti al testo. Abitudinario Arrogante Debole Egoista Minaccioso Opportunista Pauroso Vile Violento Servile Mite Realista 11 I due bravi, pur proponendosi lo stesso scopo, in realtà applicano due comportamenti diversi. Come definiresti ciascuno di essi?

Testo e contesto La logica della sopraffazione In questo testo si parla di una società ingiusta in cui i malfattori spadroneggiano, mentre le leggi si rivelano inefficaci e chi detiene il potere non può o non vuole applicarle. Don Abbondio, un membro del clero, si sottomette ai violenti e, per giunta, critica i confratelli che assumono un atteggiamento opposto al suo. 1 Dopo aver annotato tutti i punti da cui emergono la viltà del personaggio e la sua ottica distorta dei fatti, esprimi sinteticamente il comportamento che ci si sarebbe aspettati da lui.


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VERSO LA TERZA PROVA

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SEZIONE III - IL ROMANZO

nascita e sviluppo del romanzo moderno

La terza prova

genere Romanzo storico autore Alessandro Manzoni tratto da I Promessi Sposi anno 1840-42 luogo Italia

Don Abbondio e i bravi er una di queste stradicciole,1 tornava bel bello2 dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell’anno 1628, don Abbondio, curato3 d’una delle terre accennate di sopra:4 il nome di questa, né il casato5 del personaggio, non si trovan nel manoscritto,6 né a questo luogo né altrove. Diceva tranquillamente il suo ufizio,7 e talvolta, tra un salmo8 e l’altro, chiudeva il breviario,9 tenendovi dentro, per segno, l’indice della mano destra, e, messa poi questa nell’altra dietro la schiena, proseguiva il suo cammino, guardando a terra, e buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel sentiero: poi alzava il viso, e, girati oziosamente gli occhi all’intorno, li fissava alla parte d’un monte, dove la luce del sole già scomparso, scappando per i fessi10 del monte opposto, si dipingeva qua e là sui massi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze11 di porpora. Aperto poi di nuovo il breviario, e recitato un altro squarcio,12 giunse a una voltata13 della stradetta, dov’era solito d’alzar sempre gli occhi dal libro, e di guardarsi dinanzi: e così fece anche quel giorno. Dopo la voltata, la strada correva diritta, forse un sessanta passi, e poi si divideva in due viottole, a foggia14 d’un ipsilon: quella a destra saliva verso il monte, e menava alla cura:15 l’altra scendeva nella valle fino a un torrente; e da questa parte il muro non arrivava che all’anche del passeggero.16 I muri interni delle due viottole, in vece di riunirsi ad angolo, terminavano in un tabernacolo,17 sul quale eran dipinte certe figure lunghe, serpeggianti, che finivano in punta, e che, nell’intenzion dell’artista, e agli occhi degli abitanti del vicinato, volevan dire18 fiamme; e, alternate con le fiamme, cert’altre figure da non potersi descrivere, che volevan dire anime del purgatorio: anime e fiamme a color di mattone, sur un fondo bigiognolo,19 con qualche scalcinatura20 qua e là. Il curato, voltata la stradetta, e dirizzando, com’era solito, lo sguardo al tabernacolo, vide una cosa che non s’aspettava, e che non avrebbe voluto vedere. Due uomini stavano, l’uno dirimpetto all’altro, al confluente,21 per dir così, delle due viottole: un di costoro, a cavalcioni sul muricciolo basso, con una gamba spenzolata al di fuori, e l’altro piede posato sul terreno della strada; il compagno, in piedi, appoggiato al muro, con le braccia incrociate sul petto. L’abito, il portamento, e quello che, dal luogo ov’era giunto il curato, si poteva distinguer dell’aspetto, non lasciavan dubbio intorno alla lor

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condizione. Avevano entrambi intorno al capo una reticella verde, che cadeva sull’omero22 sinistro, terminata in una gran nappa,23 e dalla quale usciva sulla fronte un enorme ciuffo: due lunghi mustacchi24 arricciati in punta: una cintura lucida di cuoio, e a quella attaccate due pistole: un piccol corno ripieno di polvere,25 cascante sul petto, come una collana: un manico di coltellaccio che spuntava fuori d’un taschino degli ampi e gonfi calzoni: uno spadone, con una gran guardia26 traforata a lamine d’ottone, congegnate come in cifra,27 forbite28 e lucenti: a prima vista si davano a conoscere per individui della specie de’ bravi.29 Questa specie, ora del tutto perduta, era allora floridissima in Lombardia, e già molto antica. [...] Segue una citazione dettagliata di brani di “gride”, cioè decreti, emanate dai governatori del Milanese contro i bravi.

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Che i due descritti di sopra stessero ivi ad aspettar qualcheduno, era cosa troppo evidente; ma quel che più dispiacque a don Abbondio fu il dover accorgersi, per certi atti, che l’aspettato era lui. Perché, al suo apparire, coloro s’eran guardati in viso, alzando la testa, con un movimento dal quale si scorgeva che tutt’e due a un tratto avevan detto: è lui; quello che stava a cavalcioni s’era alzato, tirando la sua gamba sulla strada; l’altro s’era staccato dal muro; e tutt’e due gli s’avviavano incontro. Egli, tenendosi sempre il breviario aperto dinanzi, come se leggesse, spingeva lo sguardo in su, per ispiar30 le mosse di coloro; e, vedendoseli venir proprio incontro, fu assalito a un tratto da mille pensieri. Domandò subito in fretta a sé stesso, se, tra i bravi e lui, ci fosse qualche uscita di strada, a destra o a sinistra; e gli sovvenne31 subito di no. Fece un rapido esame, se avesse peccato contro qualche potente, contro qualche vendicativo;32 ma, anche in quel turbamento, il testimonio consolante della coscienza lo rassicurava alquanto: i bravi però s’avvicinavano, guardandolo fisso. Mise l’indice e il medio della mano sinistra nel collare, come per raccomodarlo;33 e, girando le due dita intorno al collo, volgeva intanto la faccia all’indietro, torcendo insieme la bocca, e guardando con la coda dell’occhio, fin dove poteva, se qualcheduno arrivasse; ma non vide nessuno. Diede un’occhiata, al di sopra del muricciolo, ne’ campi: nessuno; un’altra più modesta34 sulla strada dinanzi; nessuno, fuorché i bravi. Che fare? tornare indietro, non era a tempo: darla a gambe, era lo stesso che dire, inseguitemi, o peggio. Non potendo schivare35 il pericolo, vi corse incontro, perché i momenti di quell’incertezza erano allora così penosi per lui, che non desiderava altro che d’abbreviarli. Affrettò il passo, recitò un versetto a voce più alta, compose36 la faccia a tutta quella quiete e ilarità37 che poté, fece ogni sforzo per preparare un sorriso; quando si trovò a fronte dei due galantuomini, disse mentalmente: ci siamo; e si fermò su due piedi. «Signor curato», disse un di que’ due, piantandogli gli occhi in faccia. «Cosa comanda?» rispose subito don Abbondio, alzando i suoi dal libro, che gli restò spalancato nelle mani, come sur un leggio. «Lei ha intenzione,» proseguì l’altro, con l’atto minaccioso e iracondo di chi coglie un suo inferiore sull’intraprendere una ribalderia, «lei ha intenzione di maritar domani Renzo Tramaglino e Lucia Mondella!» «Cioè...» rispose, con voce tremolante, don Abbondio: «cioè. Lor signori son


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