RUNA BIANCA maggio 2012

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RunaBianca

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EDIT

RIALE

LA RIVOLUZIONE DI MAGGIO

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Il mese di Maggio ai tempi dei romani era chiamato MAIUS, e dedicato a MAJA dea della vegetazione e madre di Mercurio. Per i Celti invece era “GIAMONIOS” ( tempo dei germogli)..quindi era un mese sempre legato alla “rinascita”, della vita che riprende rigogliosa dopo i freddi ed i geli invernali. Ci piace pensare che anche noi seguendo i cicli stagionali in questo mese di Maggio siamo stati in grado di produrre una mole di informazioni e di articoli sui piu’ svariati argomenti in maniera ...”esplosiva”...come la natura di adesso! La prima grossa novità è sicuramente quella che vede la RunaBianca ed Estrema Team (di cui abbiam parlato nel numero passato) all’avanguardia della ricerca “sul campo”. Su richiesta della trasmissione “mistero” di Italia1, ci siam recati a Chiusdino (PI) alla ricerca della tomba di San Galgano e della sua spada nella roccia. Tomba che conterrebbe i resti del Santo che son stati smarriti da oltre 800 anni e di cui si conosce solo la testa ( conservata nella chiesa di Chiusdino). Ebbene, con le nostre attrezzature di ri-

cerca geologica non invasiva, abbiamo individuato una tomba al centro del “pronao” della Rotonda di San Galgano, e vi invitiamo dunque a leggere con molta attenzione il resoconto (quasi in diretta) della nostra scoperta. Ma la Runa Bianca è il megafono di tanti ricercatori indipendenti ...ed ognuno ha la sua scoperta e la sua storia da raccontarci. Luigi Bavagnoli, ci parla del suo ritrovamento del cosiddetto “spartito del Diavolo”. Uno spartito di cui si vociferava da tempo, scritto al contrario con diverse chiavi di lettura, che si dice scritto direttamente dal diavolo o su sua dettatura. Ma la ricerca si può anche fare su internet con un adeguato motore di ricerca. Si è voluto portare quindi alla vostra attenzione le potenzialità del motore interno di ricerca del sito www.antikitera. net, che con le sue 11,400 news, costituisce l’archivio più vasto esistente in italia su argomenti trattati anche da questa rivista. Solo a titolo esemplificativo si è voluto inserire la parola STONEHENGE e si son ricavate 126 pagine che ci raccontano del celeberrimo cerchio di pietre se non tutto, sicuramente cose poco

note e diverse da quello che raccontano in inghilterra ai turisti. Ma non possiamo parlare di tutto quello che troverete su queste pagine... il loro anche semplice accenno è sicuramente riduttivo. Gli argomenti trattati però spaziano dal fenomeno delle scie chimiche, ai terremoti, dal controllo mondiale delle banche ai “mandala” che possiamo studiare all’interno dei nostri stessi occhi. Dai misteri massonici della casa in cui Herman Hesse ha scritto Siddharta, ai simbolismi della croce, ma molto molto altro ancora. In questo numero però abbiamo anche l’ingresso di un personaggio storico per la ricerca ufologica italiana che non possiamo passare sotto silenzio: Roberto Pinotti, che ci ha inviato un pezzo tratto dal suo celeberrimo (ed introvabile) libro: OLTRE. Una sintesi del meglio della ricerca ufologica che si è svolta in italia. Un invito quindi a...prendere con se una bevanda dissetante, un pò di tempo da dedicare a voi stessi, mettetevi comodi...e ...buona lettura ! V.Di Gregorio

Voglio trasmettere da queste pagine un saluto ed un augurio al mio più caro amico che in questi giorni ha subito l’asportazione della milza a causa di un tumore, e sta lottando per la vita. Pur essendogli vicino fisicamente voglio trasmettergli la mia convinzione che il peggio è passato e che i prossimi giorni saranno giorni di calma e tranquillità. So che non riuscirà a leggere queste mie note, ma so anche che le percepirà nella sua mente..come ha sempre fatto in tutti i bellissimi momenti passati insieme. In queste pagine si è parlato spesso di fenomeni “misteriosi”....ma si è parlato molto poco di quel fenomeno misterioso ma capace di cambiarti la vita che è l’incontro tra un cane ed un uomo. Un’incontro avvenuto per la prima volta nella notte dei tempi tra un uomo ed un lupo, che dopo essersi guardati negli occhi han capito che sarebbero entrambi vissuti meglio come amici che come cacciatore e preda. Uno slancio coraggioso di amore che ha superato il tempo e che anche oggi ci fa capire come in fondo l’uomo è un animale tra animali e sicuramente è quello meno “altruista”. Chi non ama un animale non solo non può amare un altro essere umano, ma non sa neanche cos’è il VERO amore, puro, incrollabile, eterno, totale. Si perchè il mio amico malato è il mio “cucciolo” da 60 kg. Forza Friz...sei e rimarrai l’unico ed il migliore.


In Questo Numero Il Dio Alieno della Bibbia (parte 10)

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3 - Estrema Team

Ritrovata la Tomba di San Galgano

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4 - Giuseppe Sgubbi

Il Quintario, sua funzione e come rintracciarlo

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5 - Vally Aries

Il Mandala dell’Iride

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6 - Simone Leoni

Intervista ai Ghost Hunter di Roma

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7 - Giuliano Scolesi

Atlantide esiste ancora

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8 - Paolo Rinaldini

Giona, il Profeta della Colomba

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9 - S. B.Brocchi

Gli enigmi massonici del giardino di Palazzo Camuzzi

38

10 - V. Di Gregorio

Stonehenge, Le verità Scomode

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11 - Ludovico Polastri

Banche le Padrone del Mondo

48

12 - Marisa Grande

Teoria della Dinamica Elettromagnetica

50

13 - Gioia Chon

Contact Improvisation e Crescita personale

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14 - Luigi Bavagnoli

Lo Spartito del Diavolo

58

15 - Susanna Volterri

Conte Dracula, si rilassi...

62

16 - Ezio Sarcinella

L’Itinerario di Sigerico

66

18 - Samuele Venturini

Filamenti Bianchi Polimerici

70

19 - Biagio Russo

L’enigma dei Sumeri

76

20 - Giusy Zitoli

Razza Umana 2012 - disastro sociale e spirituale

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21 - Roberto Pinotti

Le Frontiere dell’Esobiologia

84

22 - Pascual Aristar

Neoalchimia - Nuovimetalli

88

23 - G. F. Carpeoro

La Croce Laica di Cartesio

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Per ogni questione o richiesta, si prega contattare lo staff editoriale. La Runa Bianca è una rivista nata per diffondere al piu’ vasto numero di persone possibile le ricerche di noi italiani nel mondo. La riproduzione o la pubblicazione in toto o parziale degli articoli o immagini contenute in questo numero sono coperte da copyright. Può essere possibile la pubblicazione solo su richiesta espressa allo staff redazionale ( agli indirizzi mail suindicati ) e solo dopo specifica autorizzazione scritta della Runa Bianca. La Runa Bianca non si assume la responsabilità sui testi o immagini pubblicate sulla rivista, delegando la stessa ai rispettivi autori.

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2 - Biglino Mauro

Editorial Staff: Astore Lilly, V. Di Gregorio, De Salvia Francesca Direttore responsabile : - Vincenzo Di Gregorio Revisione Testi : - Francesca De Salvia Graphic Design : - Vincenzo Di Gregorio Contatti : redazione@runabianca.it lilly@runabianca.it v.digregorio@runabianca.it Website : www.runabianca.it Assoc. Runa Bianca : Via Per Bologna 2 - 23828 Perledo ( Lecco ) IVA/ Cod.Fisc : 03374340135

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Il sentiero che conduce all’UNO

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1 - Astore Antinea Lilly


UNO L

o spirito umano si ferma talvolta nello scorrere della sua vita terrena, per volgersi pensoso verso l’aldilà.

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Abbandonando per un’istante le sue abituali preoccupazioni, interroga con animo inquieto l’infinito intorno a lui... Che cosa conterrà? Cosa accadrà a coloro che lasciano questa terra al termine di una vita in cui, a volte, la somma degli istanti lieti spesso non riesce a compensarne i tormenti, le preoccupazioni, la fatica e il dolore? In molti, approfondendo questo pensiero, si chiedono da cosa sia costituito il principio intelligente che si manifesta nell’essere umano... L’anima o soffio vitale, quale sia la sua natura, se sia preesistente alla formazione del corpo, oppure se venga creata insieme ad esso, se scompaia o sopravviva alla morte fisica. Questi dilemmi esistenziali possono essere penetrati attraverso la comprensione del ruolo dell’uomo nell’immensa evoluzione cosmica. La manifestazione del cosmo Non esiste spettacolo più affascinante di quello di una notte stellata per far provare allo spirito umano l’impressione dell’infinito... le sue profondità, in cui brillano migliaia di stelle, risvegliano nell’anima il senso dell’immensità dello spazio senza limiti. Ci sono note a grandi linee le distribuzioni delle galassie, queste enormi masse raggruppanti ciascuna miliardi di stelle in attività o spente che si muovono nell’infinito. Il nostro sistema solare, con i suoi 9 pianeti, tra i quali la nostra Terra, appartiene ad uno di questi gruppi (la Via Lattea) che, sulla base delle più recenti stime, riunisce quasi un centinaio di miliardi di stelle; infinite

analoghe galassie sono distribuite nello spazio, ad enormi distanze le une dalle altre. Immaginiamo ora di staccarci dalla terra e di lanciarci nello spazio, viaggiando alla velocità della luce in linea retta ed in una direzione qualsiasi: dopo miliardi di anni, durante i quali abbiamo continuato a correre a velocità inimmaginabile per noi uomini, non ci saremmo probabilmente neppure avvicinati ai limiti dello spazio del nostro universo. Tale estensione sfugge alla nostra piena comprensione, tuttavia forse la velocissima visione d’insieme di questo spazio infinito ci avrà permesso comunque di immaginare come in questo infinito tempo i vari mondi siano nati e scomparsi in un susseguirsi di creazione, evoluzione e morte. Ma qual’è l’origine dell’universo? Se consideriamo le indicazioni che sono contenute nei testi sacri, vediamo che la Genesi cita “Ora la terra risultò essere informe e vuota e c’erano tenebre sulla superficie delle acque dell’abisso; e la forza attiva di Dio si muoveva sulla superficie delle acque.” Le antiche scritture vediche si dilungano maggiormente nella descrizione del caos primitivo. Leggiamo nell’”Inno della Creazione”: “In quel momento non vi era né l’esistente, né il non-esistente. Non vi era aria, né il cielo che è al di là. Che cosa conteneva? Dove? Chi proteggeva? C’era l’acqua, profonda?

insondabile,

In quel momento non vi era né la morte né l’immortalità. Non vi era segno della notte, né del giorno. L’Uno respirava, senza respiro,

Lilly Antinea Astore

IL SENTIERO CHE CONDUCE ALL'


con il suo stesso potere. Oltre a quello non vi era nient’altro. In principio vi era oscurità nascosta da oscurità; indistinguibile, tutto questo era acqua. Ciò che era nascosto dal vuoto, l’Uno, venendo in essere, sorse attraverso il potere dell’ardore. In principio il desiderio venne prima di tutto, INNO ALLA CREAZIONE (dal Rig Veda) Il famoso inno X, 129 del Rig Veda sul principio della creazione

che fu il primo seme della mente. I saggi che cercavano nei loro cuori con saggezza scoprirono il legame dell’esistente con il non-esistente. che cosa c’era al di sotto e che cosa c’era al di sopra? C’erano portatori di semi, c’erano poteri; vi era energia al di sotto, e impulso al di sopra. Chi lo sa veramente? Chi può qui dichiarare

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La loro corda fu estesa attraverso:

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da dove è stata prodotta, da dove viene la creazione?

chi allora sa da dove ciò è sorto? Da dove questa creazione sia sorta, se lui l’ha fondata oppure no: lui che la sorveglia nel più alto dei cieli, lui solo lo sa, o forse non lo sa”. Quindi i testi sacri sono concordi nell’indicare lo stato caotico ed oscuro dello spazio prima dell’apparire dei mondi. Nessuna forma definita, ma una confusa mescolanza di fluidi, di vapori, agitati da masse liquide in movimento nell’immensità tenebrosa. Ma si staglia nello scenario l’Idea Divina: “Lo spirito di Dio si muoveva sulle acque”, dice la Bibbia. “L’Uno, l’Assoluto era testimone di tutto”, proclamano i Veda. Così l’ordine si stabilì nel caos oscuro, i mondi presero forma e a poco a poco la luce brillò in un chiarore celeste, che si irradiò in tutto l’universo. Gli insegnamenti Esoterici si accordano con questa tesi e spiegano come all’origine, fin dall’eternità, esistesse solo l’Essere Supremo, l’Assoluto, inconcepibile e immutabile: “Io sono ciò che sono”. La sua presenza riempiva l’infinito!

The Cat’s Eye Nebula

Non siamo in grado di poter con-

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Dalla creazione di questo universo gli Dei vennero successivamente:


L’Essere Supremo è per essenza la perfezione suprema, al di fuori della quale non vi è nulla di così perfetto... ma per quale ragione questo essere di totale perfezione sentì la necessità di Manifestarsi creando in sé un mondo delle forme?

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Quale bisogno ha potuto condurre l’Assoluto ad esprimersi nelle forme? Perché la perfezione si è abbassata a livelli inferiori a sé stessa? Interrogativi a cui il nostro attuale grado di evoluzione spirituale non può di sicuro rispondere... ma in fondo mi chiedo se sia davvero necessario cercare nella Manifestazione un “fine”, un motivo qualsiasi. Non potrebbe trattarsi piuttosto di una funzione inerente alla natura dell’Assoluto, una delle sue maniere di “essere” una delle leggi stesse della sua esistenza? Si parte da una constatazione: in natura esiste la ritmica successione degli opposti, luce e ombra, giorno e notte, attività e riposo. Questi ritmi sono generali e presiedono al funzionamento del cosmo intero: “ciò che è in alto equivale a ciò che è in basso”, diceva Ermete Trismegisto. Il microcosmo riflette il macrocosmo, il sonno la veglia, l’inspirazione e l’espirazione sono funzioni della vita fisica, ed allo stesso modo essi regolano tutta la vita universale, e quindi anche nella Manifestazione il periodo di attività, il risveglio dell’infinito Divino, succede al periodo del riposo del sonno. Questa “legge di alternanza” condiziona l’esistenza dell’Assoluto tanto nel suo insieme, quanto in ciascuna delle sue parti. Per ora dobbiamo limitarci a questa constatazione di fatto: la Manifestazione riempie l’universo e supera i limiti di percezione dei nostri sensi e dei nostri strumenti... essa è ineffabile. La nostra intelligenza, la nostra scienza si sforza ogni giorno di più di penetrarne la potenza e la misteriosa profondità, e le conoscenze sinora acquisite denotano l’esistenza di una forza incommensurabile, infinita, ma anche ordinata, razionale che dirige e regola il cosmo. I mondi e gli esseri che lo popolano seguono leggi immutabili che tendono inevitabilmente all’unione. Lo scopo finale dell’evoluzione è in-

Innanzitutto è evidente che se anche per un solo istante estremamente breve fosse esistito solamente il nulla, allora il nulla sarebbe esistito per sempre, poiché nessuna esistenza può emanare dalla non esistenza. Il Niente non produce che sé stesso. In altri termini, il nulla non può produrre qualcosa. E non è possibile concepire il niente, neppure come vuoto. Il niente è l’assenza stessa del vuoto, di qualsiasi spazio. Esso non può essere concepito, dunque l’Essere eterno esisteva impassibile, immutabile, in quanto l’Assoluto costituiva un tutto unico con l’infinito incommensurabile. Tutto ciò che esiste, ogni intelligenza, ogni forma materiale proviene da quello che esisteva in quell’istante. Se ne deve dedurre che questa esistenza, questo Essere era composto di Spirito, fonte di ogni intelligenza e di Sostanza che attraverso successive trasformazioni è all’origine di qualsiasi materia, dalla più rarefatta (materia radiante) fino alla più densa (la materia fisica terrestre). Evidentemente, poiché niente può essere tratto dal niente, tutto il manifestarsi del cosmo non può che provenire da elementi esistenti dall’eternità. L’Essere, Spirito-Sostanza è dunque alla base di tutto ciò che esiste. Esso è l’unico vero sostrato di ogni fenomeno, di ogni forma. Con una geniale intuizione il filosofo Spinoza ha proclamato lo stesso principio: “Dio è il solo essere, la sola sostanza. Tutto ciò che esiste non è altro che modi ed attributi divini”. E’ indispensabile usare il termine “Spirito-Sostanza”, perché non è possibile concepire lo spirito isolato, senza un supporto: esso deve necessariamente essere intimamente associato ad un elemento, che assicuri e permetta il suo funzionamento. Qual’è la natura di questo elemento, la cui sottigliezza sorpassa qualsiasi immaginazione?

dharma chackra mandala

Per quanto possiamo giudicare dal punto di vista limitato della nostra percezione ed esperienza, l’essenza della natura divina è una condizione di Omogeneità e di Unità.

fatti il ritorno e l’unione con l’Uno, con l’Assoluto. Per avere un’idea più chiara di questo concetto, si deve pensare a ciò che poteva essere la natura e lo stato dello spazio assoluto, prima di qualsivoglia manifestazione.

Possiamo coglierlo come una vibrazione che mantiene la coesione. Immaginiamo la prima comparsa della Manifestazione; nell’infinito Spirito-Sostanza come ebbe origine? Forse, un moto vorticoso si produsse in uno o più punti della massa in stato di vibrazione costante ed uniforme, quindi intervenne una condensazione della sostanza e, di conseguenza, si modificarono così le caratteristiche della vibrazione. Origine e finalità dell’uomo Quando la vita animò delle forme nel

corpi eterici

cepire l’Essere Supremo, l’Assoluto, senza una forma definita, senza nessuna delle dimensioni che siamo abituati ad attribuire ad un corpo animato, non possiamo concepire, con i normali parametri umani, che possa esistere una forza così incommensurabile che riempie l’infinito della sua sostanza.


I piani dell’evoluzione umana Secondo gli insegnamenti esoterici l’essere umano è costituito da differenti involucri che costituiscono l’insieme del nostro essere. Noi siamo attivi mediante molteplici corpi, sui diversi piani dell’universo, e con l’accentuarsi della nostra evoluzione diveniamo coscienti su questi piani. Essi sono: 3 1. Il corpo fisico organico della vita terrestre: parte visibile e materiale del nostro Micro-cosmo, è anche il veicolo che ci permette di esistere e di avere la consapevolezza di esistere. 3 2. Il corpo eterico: legame intermedio tra il corpo fisico e gli al-

3 2. Il corpo mentale: sede dell’intelligenza e dei pensieri, è l’intermediario tra i corpi inferiori e quelli superiori. Se la sua energia è elevata ed equilibrata, la persona avrà una mente lucida e pronta all’apprendimento. 3 3. Il corpo causale: sede del pensiero astratto. Ci mette in rapporto con il mondo delle cause. La sua esistenza è del tutto legata a quella delle vite passate, ed è in pratica una sorta di involucro che contiene le profonde acquisizioni dell’essere, o per meglio dire le predisposizioni e le capacità contro le quali o verso le quali bisognerà tendere per procedere nel percorso evolutivo che porterà all’unione con il divino. Questo corpo è in altre parole la base della attuale esistenza, il risultato di tutto ciò che è stato compiuto dallo spirito nella sua lunga vita, l’archivio della stessa esistenza dell’individuo. 3 4. Il corpo Buddhico: sede della spiritualità. Rappresenta il corpo dei saggi, dei maestri e degli illuminati. E’ la risultante di una straordinaria ed ineguagliabile energia d’amore, d’abnegazione e di volontà. 3 5. Il corpo Atmico: elemento spirituale emanazione del divino, spiritosostanza. E’ il completo sviluppo di quella scintilla divina che ogni essere possiede sin dalla nascita

Per semplificare possiamo dire che i primi 5 corpi si compenetrano, pur rimanendo distinti. La natura delle loro vibrazioni, le loro frequenze di vibrazione sono differenti e li separano. L’uomo poco evoluto è cosciente solamente dei primi 4 corpi, e cioè del corpo fisico, di quello eterico, dell’astrale e del mentale, che soddisfano i suoi bisogni naturali e le necessità della vita fisica, come il

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Il fine di tale acquisizione è quello di permettere all’io superiore emanato dall’assoluto di ritornarvi con una coscienza completa, totale di ciò che esiste nell’infinito e per ottenere ciò egli deve possedere, “ un’intelligenza universale” che lo renda cosciente di tutte le parti dell’infinito, della sua unione con tutta la vita che riempie tale infinito. A questo livello l’Io superiore sarà pervenuto ad uno stato d’identità con l’Assoluto e sarà con Lui una cosa sola. Per arrivare a questa evoluzione l’ego, cioè l’io che anima il corpo umano, deve necessariamente avvicinarsi al suo io superiore, (spirito puro) di cui esso è emanazione; nello stesso tempo egli si allontana così dalla materialità. Questo avvicinamento ed allontanamento è il fine ultimo dell’essere umano.

3 1. Il corpo astrale: sede della sensibilità, delle emozioni, dei desideri. Perciò è molto instabile, in quanto varia appunto in relazione allo stato d’animo del momento. Può distaccarsi facilmente dal Corpo Fisico soprattutto durante il sonno notturno, permettendo così la sua ricarica.

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L’essere umano, dalla sua comparsa sulla terra, ha subito un’evoluzione fisica ed intellettiva. Questo perché egli è costituito, oltre che da un corpo fisico, anche da un elemento spirituale. Tale elemento spirituale può provenire, come abbiamo già detto, solamente dall’essenza spirituale dell’Assoluto (Spirito-Sostanza), e costituisce necessariamente la parte cosciente, direttrice nel complesso umano. Emanazione dello spirito divino, particella divina assegnata ad un organismo fisico, costituisce l’Io superiore che è l’essenza reale dell’uomo distinta dall’Assoluto; essa occupa un piano inferiore e proietta verso i livelli inferiori un fascio di vibrazioni che costituisce l’ego che anima, il corpo fisico. In questo modo, le esperienze raccolte dall’ego per mezzo del corpo fisico ai livelli inferiori giungono all’io superiore, che acquista pertanto una coscienza sempre più ampia della natura e della possibilità dell’universo.

tri elementi dell’essere umano. E’ la colonna portante energetica di tutti i processi chimici e fisici tipici del nostro organismo, presiede a tutte le sensazioni fisiche ed è un indicatore della vitalità fisica e delle riserve energetiche del corpo. Nel momento in cui si produce un dolore fisico si producono degli squilibri nell’aura eterica.

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cosmo, ciò avvenne certamente in numerosi mondi nell’immenso universo.


vestire, il mangiare e le emozioni violente. Le molteplici esperienze, che mettono alla prova l’essere umano nella successione delle vite, risvegliano nell’io inferiore desideri, aspirazioni che vanno oltre il mero godimento materiale.

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Le esperienze, l’acquisizione di nuove conoscenze conducono lo spirito umano a meditare sulle grandi leggi spirituali che reggono l’evoluzione, leggi di amore e di unità. Solo in questo modo si può provocare il risveglio dei corpi sottili, quali il corpo causale e il buddhico, che rispondono alle vibrazioni dei pensieri elevati. L’essere umano diventa in tal modo sempre più cosciente dei suoi corpi superiori: padroneggiando man mano le vibrazioni inferiori. Le emozioni, i desideri dell’astrale si trasformano in aspirazioni verso la purezza spirituale, verso un’unione sempre più intima con il Divino. L’uomo potrà così risolvere, in poche vite, le conseguenze dei suoi passati errori, astenendosi da tutto ciò che lo farebbe ricadere nel mondo fisico. Liberatosi da ogni incarnazione egli potrà proseguire la sua evoluzione verso l’assoluto, divenuto così cosciente della totalità del cosmo, centrato nel suo settimo corpo, l’Atma, il puro spirito. L’essere pervenuto alla suprema vibrazione si identificherà con la sua Sorgente, l’Assoluto. La sua evoluzione sarà terminata. Ma questa evoluzione richiede una quantità di tempo considerevole per poter condurre l’uomo incosciente delle verità spirituali ad eliminare ogni desiderio materiale per realizzare la luminosa purezza della Vita Divina. C’è da rilevare che il progresso evolutivo-spirituale diventa importante solo quando il pensiero dell’uomo si volge verso l’ideale divino. Cicli dell’esistenza La credenza della reincarnazione, molto viva nei popoli di oriente sin dalla più lontana antichità, si è persa di vista in occidente. La reincarnazione può spiegare le facoltà innate, le predisposizioni o la precocità di alcuni geni, come ad esempio Mozart con le sue composizioni scritte a quattro anni o Descartes, che nella sua adolescenza stupiva il mondo scientifico con le sue scoperte matematiche. E’ ragionevole pensare che “Non si conosce se non ciò che si è già appreso?“ Si nasce con le conoscenze acquisite in precedenti esistenze... sarebbe una logica spiegazione per certe

attitudini innate. Analogamente l’ineguaglianza negli esseri delle condizioni sociali, di quelle fisiche, delle facoltà intellettive e morali, i successi o gli insuccessi nelle azioni intraprese suscitano in tutti noi spesso sentimenti di rivolta contro apparenti ingiustizie subite... ma la “legge del Karma” (dal sanscrito karman, azione) spiega tutto se si pensa che atti precedenti in vite anteriori siano all’origine di tali conseguenze. Secondo questa legge tutto ciò avviene perché l’evoluzione dell’essere umano si dispiega per un tempo indeterminato attraverso molteplici incarnazioni, su mondi diversi, in forme differenti. Le esperienze vissute devono però essere complete e variate perché possa avvenire l’acquisizione di conoscenze totali, affinché possano man mano condurre lo spirito verso la conoscenza totale del Divino. Quando la coscienza ha acquisito consapevolezza di questa unione con il divino dell’essere umano finalmente evoluto, quando cioè gli attributi divini sono diventati i suoi, solo allora vi è una completa identità a livello di perfezione totale. Per comprendere meglio questa estensione di coscienza e di facoltà, pensiamo ad esempio ad un uomo che viva esclusivamente nella sua città. Egli ha una concezione chiara della sua casa, della città, delle cose che lo circondano e che gli sono abituali, queste immagini sono più o meno distinte nel suo pensiero, egli le comprende, ne è cosciente, ma non lo è invece di tutto ciò che è al di fuori della sua città, del suo mondo... tutto viene percepito dal suo spirito solo vagamente, la sua coscienza è infatti limitata alla sua casa, alla sua città. Supponiamo che egli parta per un viaggio e che attraversi altre nazioni, altre città, ritornato nella sua casa egli potrà rivedere e ripercorrere nella sua mente tutti i luoghi visitati, perché le scene vissute sono ormai scritte nella sua memoria. Potrà essere trasportato così nei luoghi che ha visitato, avrà insomma coscienza di un ampliamento del suo orizzonte, della sua esperienza, della sua comprensione; e così, allo stesso modo, lo spirito umano nel corso delle molteplici incarnazioni in mondi diversi potrà prendere contatto con la vita di tutto l’universo. La sua conoscenza si estenderà a tutto ciò che esiste nell’universo e la sua coscienza dell’infinito sarà totale, e si potrà allora identificare conseguentemente con quella del Divino. L’io materiale avrà rigettato qualsiasi aggancio materiale, eliminato ogni legame umano, rimarrà solo l’essere spirituale con le sue purissime vibrazioni, ora in perfetta armonia con quelle divine. E’ certo che Tutto ciò ci può sconvolgere se ci soffermiamo a pensare


Ogni atto, ogni pensiero, ogni parola contrari all’evoluzione e tutto ciò che può originare una barriera sia pur minima diviene un ostacolo al congiungimento con il divino. Durante le sue successive incarnazioni, l’uomo soggetto alle conseguenze delle sue azioni precedenti verrà messo, a causa di un determinismo creato quindi da lui, in presenza di circostanze che gli permetteranno di ripagare le ingiustizie commesse o di pagare i debiti di sofferenza da lui stesso originati. Questa è la legge di azione e reazione, ineluttabile e che il misticismo orientale chiama appunto Karma. Biografia: Lilly Antinea Astore È una studiosa eclettica con teressi in svariati campi che spaziano dalle scienze di confine, all’esoterismo, dall’archeoastronomia, all’arte ed all’ufologia. È cavaliere dell’ Ordine Mistico Rosacrociano. A soli 15 anni intraprende il suo percorso di ricerca partecipando con un’innovativa relazione sul tema del “Rinnovamento“, alle conferenze presso le Università di Bologna e di Camerino, organizzate da Massimo Inardi, Peter Kolosimo, Roul Bocci ed il Conte Pelliccione di Poli. Il campo esoterico collabora con il “Centro Studi” di Lecce di Franco Maria Rosa dalla quale apprende ed approfondisce le Medicine Olistiche. In campo culturale è Rappresentante internazionale della “Synergetic-Art”, movimento artistico-culturale fondato da Marisa Grande, che si prefigge come obbiettivo finale la ricomposizione globale, una conoscenza collettiva, coniugando tra loro nuovi ed antichi saperi ed annullando i rigidi settorialismi accademici. Nell’ambito ufologico ha parte cipato per anni a numerosi simposi e convegni del settore e collaborato con l’associazione no-profit : Rete-Ufo, dedita allo studio dell’ extraterrestrialismo. Dal 1990 è creatrice e conduttrice del programma radiofonico “DIMENSIONEX: Indagini nel Mistero” . Un programma radiofonico che affronta in maniera sinergica numerose e controverse tematiche per lo più ignorate dalla scienza ufficiale e dall’informazione generalista e che la consacra tra le principali divulgatrici in Italia delle tematiche legate al mistero, all’esoterismo, all’ufologia e all’archeo astronomia. Attualmente fa parte della redazione della Runa Bianca.

Così, con i suoi pensieri ed i suoi atti, l’uomo crea un determinismo che definisce il suo futuro destino, il bene ed il male delle vite che verranno e con il dharma, ossia con la legge universale, la giustizia, egli può eseguire il suo riscatto e terminare il ciclo delle vite terrene. Una volta che l’essere umano avrà interamente compreso questa legge potrà riuscire ad astenersi da gesti che potrebbero generare una reazione dolorosa; egli accetta nello stesso tempo di cancellare il passato accettando le sofferenze meritate. Quando il passato sarà annullato, il nuovo karma prima attenuato e poi ridotto al nulla, niente lo tratterrà più nelle basse incarnazioni fisiche e, passando attraverso incarnazioni eteree sempre più luminose e pure, potrà procedere nell’evoluzione verso l’identità con l’ UNO, con il Divino.

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Nella serenità della giustizia divina non può permanere alcuno squilibrio. L’ordine deve essere ristabilito e i debiti contratti, pagati: e così l’assassino sarà ucciso o dovrà salvare la vita… i pregiudizi, compensati o subiti a sua volta da chi li ha causati, i cattivi sentimenti ricadranno su chi li ha perpetrati.

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Cicli dell’esistenza

all’immensità del compito e all’enormità del tempo necessario per realizzarlo, ma occorre aggiungere che l’evoluzione spirituale è lentissima nella sua fase iniziale, cioè quella in cui lo spirito umano è ancora ignaro del fine a cui tendere, quando ancora si lascia trascinare dagli istinti verso la materia e verso il soddisfacimento dei bisogni più elementari. Ma quando finalmente, attraverso le esperienze e le sofferenze, egli si volge con il pensiero verso obiettivi più elevati ed orienta i suoi desideri verso la vita spirituale… inizia finalmente a comprendere i grandi principi che dirigono e dominano l’evoluzione del cosmo. Così, dopo aver annullato l’egoismo e lo spirito di dominio con una consapevole rinuncia verso tutti i desideri materiali, annullando le soddisfazioni delle umane passioni, occorrerà ancora che non rimanga alle proprie spalle alcun errore, nessun pregiudizio morale o materiale verso altri che non sia stato riparato. I nostri egoismi, il nostro orgoglio, la nostra vanità, le nostre grandi o piccole ambizioni, le nostre violenze, anche se superate e vinte hanno purtroppo provocato intorno a noi sofferenze e rancori; tutto ciò frena ancora la nostra evoluzione spirituale e tutto quindi deve essere riparato, appianato.


Mauro Biglino

dalle traduzioni letterali della Bibbia ricaviamo che non ci hanno raccontato tutto e nemmeno il vero (10)

N

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ell’articolo precedente abbiamo iniziato ad esaminare i possibili sistemi di comunicazione attraverso i quali Yahwèh parlava in particolare con il suo portavoce Mosè. Abbiamo terminato con una considerazione alcune domande: abbiamo compreso che nella Bibbia quel presunto “Dio” ha la necessità di comunicare “verbalmente” con Mosè; usa la voce, si esprime in una lingua a lui comprensibile e lo fa attraverso un apparato la cui fabbricazione doveva seguire regole precise. E allora noi ci chiediamo: a Perché tanta precisione?

a In caso contrario non avrebbe funzionato? a Perché “Dio” avrebbe dovuto servirsi di uno strumento per sentire la voce del suo interlocutore e per impartire i suoi ordini? a Com’è possibile che l’ente supremo abbia necessità di un apparecchio fisico? a Si trattava di un vero e proprio sistema ricevente e trasmittente? Non abbiamo risposte certe ma con certezza possiamo invece dire che un contatto di tipo psichico/ spirituale/medianico non richiederebbe e non giustificherebbe tanta precisione meccanica, anzi la subirebbe certamente come un ostacolo. Infatti è proprio “Dio” stesso a dire che parla a Mosè (Nm 12,8) “faccia a faccia e non per enigmi e che Mosè ne vede chiaramente la forma”. Dunque i due parlavano di persona e Mosè vede con i suoi occhi il suo Elohìm! Il rabbino Moshe Levine nel suo lavoro Le Tabernacle ( Ed Ed. Soncino, 1968) afferma che l’Arca, in base al racconto biblico, è assimilabile a un condensatore elettrico costituito da due armature (l’oro dentro e fuori) separate da un dielettrico (il legno interno). Come abbiamo visto era infatti costituita di tre elementi:

a una lamina interna d’oro puro, che sappiamo essere un ottimo conduttore; a uno strato intermedio di acacia, il cui legno funge da isolante, resiste all’umidità e garantisce una lunga durata nel tempo; a un altro strato d’oro come rivestimento esterno. Gli appartenenti alla tribù di Levi erano gli unici autorizzati a provvedere al trasporto dell’Arca: passavano due stanghe dorate negli anelli e dal bordo al suolo la conduzione poteva avvenire per presa di terra naturale, scaricandosi senza pericolo.

Moshe Levine - Le Tabernacle ( Ed Ed. Soncino, 1968)

Non è difficile pensare che un tale condensatore sarebbe stato in grado di accumulare anche notevoli quantità di energia statica i cui utilizzi potevano essere diversi: da ricetrasmittente ad arma fino ad essere impiegata, secondo alcuni, nella distruzione delle mura di Gerico. Data la natura particolarmente pericolosa dell’Arca e delle sue funzioni Yahwèh aveva previsto anche regole precise proteggere la vita di coloro che le si avvicinavano. In Es: 28,36 si dice ad esempio cosa dovesse essere posto sul capo di Aronne le cui funzioni lo portavano quotidianamente a contatto con quell’oggetto: una lamina d’oro puro che doveva esser fissata con un cordone di porpora alla parte anteriore del copricapo. Le vesti dovevano coprire da capo ai piedi, senza lasciare scoperta alcuna parte del corpo di coloro che entravano nella dimora: la testa e le braccia - ritenute evidentemente parti sensibili in quanto più esposte - dovevano essere unte con olio che aveva la funzione di proteggere la pelle e di indicare anche all’esterno che chi era dentro si stava muovendo regolarmente. Il manto che veniva indossato introducendo la testa nell’apertura centrale doveva avere cuciti sul bordo dei melograni e dei campanellini

Nella fotografia si vede una ricostruzione di come poteva essere costituita l’Arca dell’Alleanza:tre elementi così ripartiti;una struttura interna in oro puro,che è un ottimo conduttore di elettricità; uno strato intermedio in legno d’acacia(ottimo isolante),e un altro strato di oro come rivestimento esterno.


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Era dunque indubbiamente “carica“ di energia. Se riteniamo plausibile questa descrizione delle funzionalità dell’Arca, le ali dei due cherubini farebbero pensare a due elettrodi aventi la funzione di scaricare l’elettricità statica accumulata dal condensatore oppure ad antenne del sistema trasmittente. Non vi sono ovviamente certezze, ma la descrizione che abbiamo dell’intera struttura induce ancora una volta a non poter assolutamente considerare i cherubini degli esseri spirituali, dotati di personalità propria e di tutte le caratteristiche elaborate dalla tradizione religiosa.. Una possibile chiave di lettura I Cherubini descritti connessi con l’Arca hanno delle caratteristiche sostanziali: a le ali dei cherubini non servono per volare, ma solo per coprire; a non sono mai citate le ruote, che invece rappresentano un elemento importante negli incontri di Ezechiele con il [kevòd], con tutte le manifestazioni che sempre accompagnano il suo arrivo e con la descrizione che lui stesso fornisce dei cherubini (si veda IL DIO ALIENO DELLA BIBBIA). Esaminiamo ciò che avveniva quando Mosè e Aronne colloquiavano con il loro Elohìm: scopriremo che entravano in campo altri strumenti e una particolare operatività.

L’insieme della ritualità prevedeva che gli addetti al servizio vestissero abiti particolari, di cui ci limitiamo qui a citare due accessori che sono strettamente correlati all’ipotesi relativa all’accumulo di energia e alla comunicazione che diremmo tecnologica: F`A [efòd] e svO [choscèn], “pettorale”. Esodo 28,6 e segg. descrive questi oggetti che la tradizione religiosa ha sempre voluto considerare come un elemento puramente ornamentale, al punto da forzare anche la traduzione di alcuni vocaboli per supportare questa tesi: ne vedremo un esempio. Ciò che interessa rilevare è un particolare di notevole importanza che introduce le funzione di questo insieme di accessori. Nelle versioni tradizionali si definiscono sempre i vari particolari dell’[efòd] come frutto di “lavoro artistico”, traducendo con questa espressione l’insieme dei due termini usati dall’autore biblico BvO Hv_Y [maasé choscèv], che significano invece letteralmente “lavoro di un assemblante, opera di un pensante”; [choscèv] è infatti il participio del verbo [chascàv] il cui significato è “combinare, mettere assieme, pensare, progettare”: con questi due accessori e l’aggettivo che li definisce la Bibbia ci pone chiaramente di fronte al lavoro di un tecnico e non a quello di un artista! a Ma se la valenza era di ordine puramente estetico, perché era necessario il lavoro di un progettista-assemblatore? a Perché si richiedeva precisione tecnica? Evidentemente

perché

E se ci chiediamo quale fosse la funzionalità attesa e prodotta da un progetto tanto meticoloso, troviamo la risposta nella descrizione pratica che abbiamo in 1Sam 23 e 30. In 1Sam 23,6 e segg. Davide sta combattendo contro i Filistei; dopo avere liberato l’abitato di Keila vi si installa e viene raggiunto da Eviatàr nella cui mano, dice il testo, “era sceso l’[efòd]”. Apprendiamo quindi che Eviatàr era uno dei ‘sacerdoti’ autorizzati a portare e usare quello strumento che, in qualche modo non meglio identificato, gli viene consegnato in quell’occasione. Presto se ne scoprirà l’utilità. Saul, rivale di Davide per il trono di Giuda, decide di porre l’assedio a Keila pensando di catturare con facilità l’esercito avversario (versetto 8) comandato da Davide e composto da circa 600 armati. Davide viene informato di quanto sta avvenendo e dice al sacerdote Eviatàr (versetti 9-10): “avvicina lo-[efòd]”

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In Gs 3,4 si raccomanda al popolo di tenersi alla distanza, decisamente notevole, di 2000 cubiti, cioè circa un chilometro.

Quando entrava nel tabernacolo, la colonna di nube scendeva, si poneva all’ingresso della tenda e da quel momento i due iniziavano a parlare faccia a faccia.

l’[efòd] e il pettorale non dovevano essere ornamenti atti ad abbellire: dovevano funzionare!

Questa richiesta apparentemente strana ci consente di fare delle considerazioni molto interessanti di cui diremo.

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Le conseguenze e gli effetti di un utilizzo improprio o maldestro erano dunque molto rischiosi: li sperimentò a sue spese il povero Uzzà, che osò toccarla durante un trasporto e morì fulminato; Davide ne fu talmente colpito e terrorizzato che non volle trasferire l’Arca presso di sé, ma la fece portare in casa di Obed-Edom di Gat (2Sam 6,2-11).

A ogni tappa della marcia nel deserto, Mosè installava il tabernacolo a una certa distanza dall’accampamento: era una parte della cosiddetta “tenda del convegno”, la struttura in cui ci si recava per consultare l’Elohìm.

(continua) Biografia : Mauro Biglino

Realizza prodotti multimediali di carattere storico, culturale e didattico per importanti case editrici italiane, collabora con varie riviste, studioso di storia delle religioni, è traduttore di ebraico antico per conto delle Edizioni San Paolo: dalla Bibbia stuttgartensia (Codice di Leningrado) ha tradotto 23 libri dell’Antico Testamento di cui 17 già pubblicati. Da 30 anni si occupa dei testi sacri nella convinzione che solo la conoscenza e l’analisi diretta di ciò che hanno scritto gli antichi redattori possa aiutare a comprendere veramente il pensiero reli gioso formulato dall’umanità nella sua storia. Tra i suoi libri ricordiamo: Resurrezione reincarnazione. Favole consolatorie o realtà? Una ricerca per liberi pensatori (Uno Editori, 2009), Chiesa romana cattolica e massoneria. Realmente così diverse? Una ricerca per liberi pensatori (Uno Editori, 2009), Il libro che cambierà per sempre le nostre idee sulla Bibbia (Uno Editori, 2010) e...

Il Dio Alieno della Bibbia Uno Editori, 2011

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che, col loro tintinnio, segnalavano che l’officiante stava per entrare o uscire e che, una volta all’interno, si stava regolarmene muovendo e dunque non era in pericolo (Es 28,35): “.. quando entrerà nel luogo santo e ne uscirà, si udrà il suono: così egli non morrà.”


SAN GALGANO

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na spada conficcata nella roccia richiama immediatamente la leggenda di Re Artu’ e della tavola rotonda. Troppi film, cartoni animati, libri ce lo inducono a fare. Ma in Toscana, e per l’esattezza : a Montesiepi ( frazione di Chiusdino ), chi si recasse all’interno di una cappella rotonda vedrebbe l’elsa di una splendida spada medievale uscire da un blocco di pietra. Quando si approfondiscono i dati storici ..ci si accorge che di re artù non si hanno tracce ma di colui che ha inserito quella spada nella roccia si ha una discreta docuGalgano Guidotmentazione. ti, figlio di Guido e Dionisia e nato a Il suo nome è : Galgano Guidotti, Chiusdino (Siena) figlio di Guido e Dionisia e nacque nel lontano 1148. a Chiusdino ( Siena ) nel lontano Si dedica ad ere1148. Gli storici ci narrano come mitaggio e penicostui nella sua prima fase della tenza, alla ricerca vita si dette alla ricerca del piacedi quella pace che re, dato anche dalla sua posizione solo una vita asceprivilegiata di “cavaliere”. tica può dare.... I suoi genitori non erano dei nobili, arrivato a Montema sicuramente sufficientemente siepi, (una piccola ricchi da dare al loro figlio i vanaltura nei dintorni taggi di una vita agiata. Col pasdel suo paese nasare del tempo però Galgano sentì tale, Chiusdino)... l’inutilità di quella vita ed un bel come segno tangiorno gli venne in sogno l’arcangibile della sua vogelo Gabriele. Tralasciamo i detlontà di cambiare tagli di quel sogno ( riportati detradicalmente vita, tagliatamente negli scritti del suo prese la sua spada processo di beatificazione, molto e la conficcò per simili ..TROPPO...per molti dettagli terra... trasformanche ritroviamo nella leggenda di done di fatto l’elsa Re Artu’ )...quello che si sa è che nel simbolo cristiadopo quel sogno Galgano cambia no della croce. radicalmente la sua vita. Morì l’anno dopo, Si dedica ad un eremitaggio e nel 1181, all’età di penitenza alla ricerca di quella 33 anni. Nel 1185 pace che solo una vita ascetica fu dichiarato Sanpoteva dare. Chiude gli occhi e to da Papa Lucio lascia che sia il suo cavallo a deIII. terminare quale sarebbe stato il luogo scelto per la fase finale della Il suo corpo non sua vita. Ad un certo momento il è mai stato trovacavallo si fermo’, rifiutandosi di proto............................ seguire...era arrivato a Montesiepi, una piccola altura nei dintorni del SINO A OGGI suo paese natale : Chiusdino. Lì, in cima a quella collinetta, come segno tangibile della sua volontà di cambiare radicalmente vita, prese la sua spada e la conficcò per terra..trasformando di fatto l’elsa di quella spada nel simbolo cristiano della croce. Un’arma che poteva dare la morte, diventava così il simbolo inerte di pace cristiana. La sua conversione fu definitiva e totale preferendo vivere di stenti. Muore infatti l’anno dopo, nel 1181, all’età di 33 anni. Nel 1185 fu dichiarato Santo da Papa Lucio III. Negli anni successivi alla sua morte sul suo

Vincenzo Di Gregorio

Abbiamo ritrovata la tomba Di


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Testa di San Galgano nel reliquiario a Chiusdino

Estrema Team : Andrea Fabbri, Marco Zecca RunaBianca : Lilly Astore, Vincenzo Di Gregorio Mistero : Daniele Bossari, Ade Capone Storico: Adriano Crescenzi

Componenti Estrema Team Spedizione a Chiusdino Aprile 2012

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eremo venne costruita una chiesetta, nota come la Rotonda ( per la sua caratteristica forma )..ad imitazione della cappella che fu costruita in terra santa sul sacro sepolcro. La leggenda di questa sua “impresa” fu sicuramente veicolata dalla famosa via Francigena che passava lì vicino e che collegava i fedeli che si recavano a visitare i luoghi santi di gerusalemme ..da Canterbury al porto di Brindisi. In quel periodo eravamo in piene “Sante Corciate” ed il gesto di San Galgano di trasformare una spada in una croce, non poteva non essere visto come un gesto più “Cristiano” di quello che il papa Leone III induceva a fare a tanti altri cavalieri che sguainavano la loro spada per uccidere tanti “infedeli”. Un gesto di evidente protesta che giustamente fece il giro del mondo cristiano e di cui se ne parlò molto... tanto da essere ripreso da Chrètien de Troyes ed utilizzato come “sfondo” al suo poema “parsifal” che fece nascere la leggenda di Re Artù e della tavola rotonda. Per inciso uno dei cavalieri di Artù era un certo GALWAN, che assomiglia molto al “nostro” Galgano. Ma che fine han fatto i resti di San Galgano ? Molti li stan cercando da molti secoli. Si narra però che il corpo di San Galgano fu “sepolto accanto alla spada”, ma il punto preciso è stato dimenticato. Da indagini storiche risulta che quando furono effettuati dei lavori di ristrutturazione della chiesa vicino alla spada venne trovata una cassetta in piombo con delle ossa recante una scritta che attribuiva quelle ossa al Santo, ma si ignora che fine han fatto quelle ossa. Sicuramente non son state distrutte, ma conservate come reliquie preziose e RISEPOLTE vicino alla chiesa a lui dedicata...ma dove ? Tutto ciò che rimane di quel santo è il suo cranio, la sua spada e le leggende arturiane che hanno avuto origine dalle sue gesta. Nel 2001 vi sono stati dei tentativi di indagare su questo mistero con delle attrezzature sofisticate quali il georadar. Luigi Garlaschelli fece da coordinatore di quel gruppo di studio e scandagliò tutto il pavimento della chiesa con scansioni tra loro parallele ed ortogonali di un passo da 50 cm. I dati raccolti in quell’occasione determinarono che intorno alla roccia da cui esce la spada non vi era altro che sabbia e roccia. Mentre sul lato nord della cappella, vicino al muro, vi era una cavità riempita di terra delle dimensioni “giuste” ( 2 metri x 1 ) ..che gli fecero affermare come potessero essersi imbattuti nella tomba da tanto tempo cerca-


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ta. Purtroppo questa interpretazione è da scartare in quanto inesatta. La RunaBianca recentemente ha stretto una collaborazione con un gruppo di professionisti nel campo della ricerca che operano sia in italia che all’estero, che annovera tra le proprie file i migliori tecnici e professionisti presenti nel campo delle ricerche “operative”, confederandoli sotto un’unica “entità”, lasciando alle rispettive organizzazioni di provenienza le proprie autonomie e specificità. www.estremateam.org L’ “Estrema Team” recentemente è stata chiamata dalla troupe della trasmissione “mistero” ( Italia1 ) per investigare su San Galgano, i suoi resti e sulla posizione della sua tomba, e ci siam recati a Chiusdino insieme a Lilly Astore ( runabianca ), Andrea Fabbri ( presidente E.T. ) e Marco Zecca ( segretario E.T ) con le nostre attrezzature composte da termocamere, macchine all’infrarosso vicino e due tipi di georadar. ( Uno dei quali della ditta IDS è considerato dagli addetti ai lavori come il miglior georadar sinora disponibile in commercio ). Con questa apparecchiatura di ultima generazione abbiamo scandagliato sia la parte esterna che quella interna, rinvenendo una serie di sepolture “non monumentali” davanti al sagrato della chiesa. ( Per sepolture “monumentali” si intendono quelle sepolture che hanno intorno al corpo un “monumento”, che può essere anche delle semplici pietre messe in circolo, o anche sarcofaghi o delle lastre di marmo come copertura ). Le tombe che si vedono nel giardino del sagrato son poste tutte una profondità intorno al metro, indicando come vi sia stato nei secoli continui lavori di sistemazione del piazzale che ha portato a rialzare il livello di calpestio di varie decine di centimetri rispetto a quello “originale” del 1200. Abbiamo anche verificato la presunta “tomba” individuata dalla precedente spedizione di Garlaschelli sul lato nord della cappella altro non era che un passaggio realizzato a mezzo di alcuni gradini, ad un locale che si trovava all’esterno ( da noi individuato durante il passaggio della zona adiacente ai muri della chiesa ) e che aveva una copertura con tetto a falda ben ancora visibile sulla facciata della “Rotonda”. Questo locale, evidentemente era utilizzato da personale addetto alla manutenzione della chiesa e che per comodità si era creato un accesso diretto sulla parete nord della stessa. Chiesto alla gente del posto che ancora si ricordava, venne demolito ai primi del ‘900 ed il vano chiuso con terra e sassi e sopra vi fu posta nuova pavimentazione. Quindi la tomba di San Galgano non poteva essere quella. A fine giornata quando ormai si pensava che quelle indagini si sarebbero conlcuse con un nulla di fatto... LA SCOPERTA. Uscendo dalla chiesa sul pavimento del “pronao” ( zona antistante l’ingresso della Rotonda e protetta da copertura ) il nostro georadar individua una lapide “spezzata” in tre parti posta a circa 30/40 cm sotto l’attuale pavimento ( in ghiaia e cemento ). Non speravamo in tanto, e dopo il primo momento di incredulità siamo ripassati piu’ e più volte su quel tratto di pavimentazione incrociando le passate per avere più dati da elaborare e da interpretare. La troupe di Italia1 ha seguito in diretta questa emozionante scoperta riprendendo alcuni commenti a caldo e sostenendoci nel continuare a verificare. Le immagini successivamente elaborate ( e che pubblichiamo in questo articolo in anteprima mondiale ) non lasciano alcun dubbio. In posizione perfettamente in asse con l’ingresso della chiesa di San Galgano al centro esatto del pronao, vi è una lastra di pietra di dimensioni concrue per una sepoltura ( mt. 2 x 1 ) spezzata in più parti dello spessore di alcuni centimetri.

Particolare del tetto di copertura del locale che si trovava all’esterno

Pianta CHIESA della Rotonda di San Galgano con indicati: 1- Locale esterno ( colore azzurro ) 2- Presunta tomba rilievo 2001, mentre era un vano di accesso al locale esterno (colore giallo ) 3- Probabile tomba di San Galgano rilievo del 2012 ( colore rosso )

Altare con riproduzione lignea della spada nella roccia.


Nessuno può sostenere con certezza che QUESTA sia la tomba di San Galgano, ma le probabilità che lo sia son molto elevate. Infatti basta fare questo tipo di considerazioni. Dalla costruzione della chiesa nessuno è stato sepolto al suo interno e le indagini fatte col georadr del 2001 e quelle nostre del 2012 confermano puntualmente questo dato. Vi furono invece molte sepolture all’esterno di gente che devota al santo chiese e ottenne di essere sepolti nelle vicinanze della sua chiesa. Ma nessuno di questi ebbe l’ardire di chiedere ( ed ottenere ) di essere sepolto all’interno della Rotonda, in quanto avrebbe sminuito l’importanza della sacra reliquia costituita dalla Spada confitta nella roccia. Per rispetto quindi tutti chiesero di essere sepolti all’esterno...tutti tranne UNO. Costui invece fu sepolto nel “pronao” che se non è all’interno della chiesa è in un punto che fa parte strategicamente della chiesa stessa. La via di mezzo tra l’interno e l’esterno. Punto di “obbligato passaggio” per accedere alla parte interna e sacra della chiesa stessa. Chiunque si volesse recare a far visita alla sacra reliquia conservata all’interno della Rotonda di Montesiepi, non poteva che passare sopra a quella sepoltura. Magari in epoche passate sulla lastra vi erano delle iscrizioni ed oggetto essa stessa di devozione. Poi il tempo, i vari lavori di ristrutturazione della chiesa, o magari la pietas popolare indussero a ricoprirla di terra e a dimenticarne la sua stessa esistenza...sino alla sua riscoperta casuale determinata dal crollo e alla sua distruzione. Certo che è quantomeno curioso che di San Galgano si conservi solo la testa e non l’intero

Tecnica del Georadar in archeologia

Il metodo comunemente chiamato georadar (noto in campo internazionale con il termine anglosassone di ground probing radar - GPR), è un sistema di indagine del sottosuolo, a piccole profondità, basato sulla riflessione delle onde elettromagnetiche con frequenza compresa tra 10 e 2000 MHz. Questo metodo rappresenta la vera novità nel campo delle prospezioni geofisiche in archeologia. Se utilizzato correttamente nelle condizioni ambientali opportune, è in grado di mostrare la stratigrafia della parte di terreno investigato.

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Il metodo è relativamente giovane (circa 25 anni) ed operativamente consiste nell’invio nel terreno di impulsi elettromagnetici ad alta frequenza e nella misura del tempo impiegato dal segnale a ritornare al ricevitore dopo essere stato riflesso da eventuali discontinuità intercettate durante il suo percorso. Tali riflessioni sono causate in generale dal cambiamento delle proprietà elettriche del sottosuolo, dalla variazione del contenuto d’acqua, da cambiamenti litostratigrafici. In particolare, nel caso della prospezione per scopi archeologici, le riflessioni possono essere prodotte da strutture, da vuoti presenti nel terreno (ipogei, cunicoli, ecc.), da elementi metallici e superfici di contatto tra strati differenti.

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Il georadar, una volta valutata le caratteristiche elettriche del mezzo attraversato dall’impulso elettromagnetico è in grado di “vedere” la forma dell’oggetto, il suo spessore e valutare la profondità alla quale esso si trova, con una precisione e attendibilità generalmente maggiore di quella degli altri metodi.

Lo strumento Il sistema è costituito da un’unità centrale che genera il segnale e da due o piu’ antenne che lo trasmettono e ricevono. La visualizzazione dei tracciati avviene attraverso uno schermo del computer che fa parte dell’unità centrale. Nel modello della IDS utilizzato il computer memorizza i dati per una successiva elaborazione, e nel contempo visualizza in tempo reale quello che sta “vedendo” la macchina sotto il suolo.

corpo. Una giustificazione di questo fatto atipico potrebbe essere quella che l’intero corpo era conservato in QUELLA sepoltura, e che il crollo accidentale abbia distrutto quasi tutte le ossa spezzandole e lasciando solo la testa intatta. La testa infatti di San Galgano era stata rinvenuta nel XV secolo e trasferita a Siena per proteggerla dalle compagnie militari che imperversavano in quel periodo in zona. Solo recentemente, esattamente il 24 aprile del 1977, i chiusdinesi poterono rientrare in possesso della sacra reliquia restituita dall’arcivescovo di Siena ( Mario Ismaele Castellano ). La nostra scoperta quindi suggerisce come la rottura della tomba, e la scoperta dei resti del Santo ( testa compresa ) sia avvenuta intorno al XV secolo. Per oltre un secolo la tomba rotta sia stata lasciata in sito con una leggera copertura per poter camminarci sopra al fine di accedere alla cappella...e ivi dimenticata. Nel 1694, riscopertola durante

dei lavori di manutenzione del pavimento, constatato che vi erano solo sabbia mista ad ossa umane, sia stata definitivamente inglobata col pavimento del Pronao. Sin qui la nostra ricerca. Ma il testimone adesso passa a chi può verificarne la congruità delle deduzioni scavando fisicamente in quella parte della chiesa e verificare quanto sopra scritto. Solo in quel momento si potra avere la certezza che quella sepoltura sia proprio la sepoltura di San Galgano. In quella sepoltura vi saranno sicuramente dei resti di ossa che potrebbero essere analizzati con le moderni tecniche del DNA e confrontati con quelli della “testa” del Santo di cui si hanno ampie e documentate tracce negli archivi storici. Se quelle analisi determinassero che le ossa appartengono allo stesso individuo...il cerchio si chiuderebbe e gli abitanti di Chiusdino potrebbero avere finalmente la tomba del loro santo patrono a cui rivolgere i giusti onori e la loro santa venerazione.

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Le scansioni trasversali ci indicano anche come la detta lastra sia anche inclinata rispetto al livello dell’attuale pavimentazione. Dando un’occhiata a tutto l’insieme dei dati da noi raccolti possiamo affermare come qualcuno in passato abbia “sfondato” questa tomba che era coperta con una lastra di pietra non sufficientemente robusta. Non si sa se quindi fu voluta o casuale la sua scoperta e successiva rottura della lastra, o se attualmente sotto la stessa vi siano le ossa umane del santo. Sta di fatto che ricerche effettuate da storici presso l’Archivio di Stato di Firenze han rinvenuto le cronache di uno scavo che ebbe luogo nel 1694, durante il quale fu scoperto un recesso sepolcrale circondato da mattoni, che conteneva “terra mescolata a ossa umane”. Nei testi non si descrive la localizzazione di questa sepoltura, ma le immagini delle scanzioni del nostro georadar sono congrue con questa descrizione. C’è quindi da ipotizzare come nel 1694 vi furono dei lavori di sistemazione della cappella che portarono dei carichi pesanti a passare sopra quella porzione di terreno su cui giaceva la sepoltura. La sua localizzazione ( antistante alla porta della chiesa ) obbligava a passarci sopra. In quell’operazione la lastra non ha retto al peso spezzandosi in piu’ parti. Chi fece questo, se ne accorse, esaminò i resti conservati nella sepoltura ( definendoli terra mescolata a ossa umane ) e decise di lasciare tutto sul posto limitandosi a ricoprire il tutto con 30 cm di ghiaia misto a calce... di fatto portando il livello del pavimento a quello della parte interna della chiesa. Le scansioni fatte all’interno infatti rivelano come la pavimentazione “vecchia” non sia mai stata eliminata. I lavori di ristrutturazione successivi si son limitati a sovrappore una nuova pavimentazione, alzando di fatto di quasi 30 cm il livello del pavimento.


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Sezione Longitudinale

Sezione Trasversale


Probabile localizzazione sepoltura di San Galgano

to rettilineo molto marcato, e la parte soprastante che appare come “rotta” in più parti. Il fatto però che i due elementi siano tra di loro paralleli, ci da la sicurezza di stare esaminando un manufatto sicuramente artificiale, in netto contrasto con le curve casuali e varie del terreno circostante (determinate da forte presenza di roccia). Il fatto che sia la parte superiore che inferiore siano NON parallele al pavimento di calpestio, ci induce a ritenere che l’oggetto sia stato prima deposto nello scasso appositamente realizzato, in una fase successiva sia stato prelevato ed in un terzo momento risotterrato. In quest’ultima fase la cura della deposizione è stata molto approssimativa e l’oggetto è stato deposto “inclinato”, molto probabilmente a causa di un pò di terriccio che si era deposto sul fondo e che non era stato asportato. Tutto questo quadro indica che coloro che per ultimi hanno deposto l’oggetto nello scavo, non l’abbiano fatto con la cura necessaria e che quindi non ritenessero “prezioso” l’oggetto in questione. Se stiamo parlando della famosa sepoltura di San Galgano, è quindi probabile che i resti del Santo ritenuti “importanti” siano stati prelevati e che l’oggetto scoperto col georadar sia solo la sepoltura priva del suo contenuto.

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- è sostenuto da due muretti laterali. I detti muretti possono anche essere delle semplici pietre senza legame poste ai lati dell’oggetto in esame. Ma le maggiori informazioni le possiamo trarre dallo studio della sezione longitudinale. La stessa è stata effettuata partendo dalla porta della chiesa procedendo verso l’esterno. Appare immediatamente come in prossimità della porta della chiesa vi sia un metro circa di strati geologici intatti (nella figura rappresentati da quelle linee parallele). Detti strati sono bruscamente interrotti da un “taglio netto” evidentemente prodotto da uno SCAVO fatto per deporre l’oggetto in studio. Gli strati geologici costituiti da roccia infatti proseguono sotto l’oggetto, facendoci capire come lo stesso sia stato posto a contatto con la roccia e successivamente lo scasso sia stato riempito con materiale sciolto, come terra mista a sassi di piccole dimensioni (nella figura evidenziate come una massa di colore grigiastro uniforme). Gli ultimi 10 cm si vede una presenza di materiale più grossolano, che fa parte evidentemente del sottofondo dell’attuale pavimentazione. Ma ritorniamo alla forma dell’oggetto. Possiamo notare come vi sia una netta differenza tra la parte sottostante che presenta un’andamen-

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L’anomalia più significativa riscontrata durante una campagna di studio svolta nell’Aprile del 2012 nella chiesa di San Galgano a Chiusdino, è sicuramente quella individuata nel pavimento posto all’ingresso della chiesa. Sono state effettuate scansioni sia trasversali che longitudinali con un georadar dotato di due tipi di antenne: una a 250 mghz e l’altra di 750 mghz. La prima è particolarmente adatta per gli strati geologici e la seconda per catturare i particolari più fini. Entrambe le antenne hanno confermato la presenza di un “oggetto” di forma rettangolare e di dimensioni mt. 2 x 1 ca. che si presenta posto in maniera non parallela alla superficie di calpestio. Definiremo questa “anomalia” col termine di OGGETTO, perchè senza poter scavare è impossibile affermare che si tratti di una sepoltura. Se si osserva la sezione trasversale possiamo vedere come l’oggetto sia costituito da due elementi: una copertura e un “contenitore” che rilascia al georadar un’immagine bianca, che indica una sicura presenza di ARIA. Quindi solo osservando questa immagine siamo in grado di stabilire che: - vi sia un oggetto posto a circa 30 cm sotto il pavimento, - è inclinato, - contiene aria al suo interno,

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RELAZIONE SULL’ANOMALIA RISCONTRATA NELLA CHIESA DI SAN GALGANO


Sgubbi Giuseppe

IL QUINTARIO SUA FUNZIONE E COME RINTRACCIARLO

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a centuriazione romana (centuratio o castramentatio) era il sistema con cui i romani organizzavano il territorio agricolo, basato sullo schema che già adottavano nei Castra o nella fondazione di nuove città. Si caratterizzava per la regolare disposizione, secondo un reticoli ortogonale, di strade, canali e apprezzamenti agricoli destinati all’assegnazione a nuovi coloni. I romani cominciarono ad utilizzare la centuriazione in relazione alla fondazione, nel IV secolo a.c., di nuove colonie nell’ager sabinus (per esempio Terracina). Lo sviluppo delle caratteristiche geometriche ed operative che sarebbero divenute quelle classiche si ebbe con la fondazione delle colonie nella pianura padana, a partire da Ariminum (Rimini) nel 268 a.C. La legge agraria di Tiberio Gracco del 133 a.C. che prevedeva la privatizzazione dell’ager publicus, dette un grande impulso alle divisioni di terre effettuate con la centuriazione. In seguito la centuriazione fu utilizzata sia nei casi di bonifiche e di fondazione di nuove colonie, sia nell’assegnazione di terre ai veterani delle tante guerre civili tra la fine della Repubblica e l’inizio dell’Impero. La diffusione delle centuriazioni fu capillare in tutta Italia ed anche in alcune provincie. Principi fondativi L’ager centuriatus veniva tracciato dall’agrimensore che, analogamente agli insediamenti, individuava un umbilicus agri da cui, mediante una groma, tracciava due assi stradali perpendicolari tra loro: il primo generalmente in direzione estovest, chiamato “decumano massimo” (decumanus maximus), il secondo in direzione nord-sud, detto “cardo massimo” (cardo maximus). Tuttavia

per ragioni pratiche, l’orientamento degli assi non sempre coincideva con i quattro punti cardinali: spesso seguiva invece la conformazione orografica dei luoghi, anche per assecondare la pendenza del terreno e favorire il deflusso dell’acqua piovana lungo le canalizzazioni di bonifica che venivano tracciati (centuriazione di Florentia). Altre volte si basava sull’orientamento di vie di comunicazione preesistenti (centuriazioni lungo la via Emilia) o altre caratteristiche geomorfologiche. Talvolta, risultavano essere il prolungamento del cardo e del decumano massimo di una città, la quale veniva dunque a trovarsi in corrispondenza dell’umbilicus. la centuriazione è tipica di terreni pianeggianti, tuttavia sono state documentate anche centuariazioni collinari. Caratteristiche geometriche Giova segnalare che le strade romane di una certa importanza avevano un “miles” ogni Miglio romano che era quasi il doppio di 710,40 mt, ovvero 1480 metri. Questo perchè il miglio romano era determinato da mille passi, che per la statura media dei romani di allora misurava 1,48 metri. Per gli antichi romani però il passus era inteso come la distanza tra il punto di distacco e quello di appoggio di uno stesso piede durante il cammino, quindi il doppio rispetto all’accezione moderna. Le superfici quadrate risultanti da questa ulteriore divisione erano le “centurie”. La sistemazione dei terreni era successiva al completamento stradale. Ogni centuria era suddivisa in 10 strisce, sempre con linee parallele ai cardini e ai decumani, alla distanza tra loro di 2 actus (71,04 m) formando 100 superfici di quadrate di circa 0,5 ha chiamate heredia (centum heredia = centuria).

Ogni heredium era suddiviso a metà nell’asse sud-nord costituendo due iugeri (jugerum, da jugum, 2523 m², quantità di terreno che poteva essere arata in un giorno da un paio di buoi). Ancora oggi, in alcune zone d’Italia il paesaggio della pianura è determinato dagli esiti della centuriazione romana, con la persistenza degli elementi rettilinei (viabilità, canali di scolo, divisione di proprietà) sopravvissuti all’evoluzione territoriale e spesso elementi fondativi nell’urbanizzazione, quanto meno fino al XX secolo, quando la pressione antropica della crescita urbana e delle infrastrutture hanno cancellato molte delle tracce sparse nella campagna agricola. Tuttavia osservando le cartine militari (IGM) o qualche foto aerea è ancora molto evidente le tracce delle centuriazioni sulle nostre campagne. Al punto che alcuni le chiamano: “Campagne Orientate”. In ordine di larghezza queste sono le strade tracciate dagli agrimensori romani: 1° Decumano Massimo metri 12 ; 2° Cardine Massimo metri 6 ; 3° Quintario metri 3,50 ; 4° “strade centuriali” metri 2,30 Queste strade, eccetto il Quintario, sono state ampiamente descritte e commentate dagli studiosi di agrimensura, mentre invece il Quintario, da quello che mi risulta, è ancora quasi un “oggetto misterioso”, infatti dalla stragrande maggioranza di loro non è citato, e quei pochi che l’hanno citato lo hanno fatto solo per confermarne l’esistenza. Più volte, ma senza grandi approfondimenti, ho segnalato la grande utilità del rintracciamento dei quintari, con questo articolo intendo spiegare bene il mio punto di vista. Anzitutto una indispensabile premessa: quello che dirò


(1) strato roccioso (2) robusta massicciata (3) piccole pietre (rudus) (4)sabbia e pietrisco (nucleus) (5) carreggiata o lastricato (6) Marciapiedi

L’agrimensore si posizionava nell’umbilicus con lo sguardo rivolto verso ovest e definiva il territorio: col nome ultra ciò che vedeva davanti, citra quanto aveva alle spalle, dextera quello che vedeva alla sua destra e sinistra quello che vedeva alla sua sinistra. Successivamente venivano tracciati da una parte e dall’altra degli assi iniziali i cardini e i decumani secondari (limites quintarii). Erano assi stradali posti paralleli ad intervalli di 100 actus (circa 3,5 km). Il territorio risultava così suddiviso in superfici quadrate chiamate saltus. La rete stradale veniva ulteriormente infittita con altre strade parallele ai cardini già tracciati ad una distanza tra loro di 20 actus (710,40 m). Fatto questo tracciavano, parallelamente ai Decumani ed ai Cardini, altre strade, le così dette “centuriali”. Conseguentemente a questa pratica venivano a formarsi dei quadrati, le così dette centurie, in questo caso 20x20 actus, cioè circa 50 ettari di superficie. Per ragioni non sempre conosciute, a volte le misurazioni in actus erano diverse; 21x20, 24x20 ecc, in tal caso non ne uscivano dei quadrati, ma dei rettangoli, ma per il tema qui trattato la situazione non cambia. A questo punto entra in “scena” il problema Quintari. Ogni 5 strade, sia nel verso dei Decumani che nel verso dei Cardini, veniva tracciata una strada leggermente più larga detta appunto Quintario. Per quale ragione questa quinta strada rivestiva una grande importanza? Quintari dovevano essere sia il Decumano che il Cardine massimo, lungo i Quin-

tari dovevano essere eretti i vici, i pagi ed i santuari, il confine dell’ager doveva essere segnato da un quintario. Questi primi dati ci dicono quanto sia importante rintracciare i quintari, rintracciarli correttamente significa dare un grosso contributo non solo ai problemi di confine, ma in particolare favorire la ricerca di molti agglomerati dell’epoca. L’utilità non riguarda solo il periodo romano, riguarda anche il periodo medioevale ed altomedioevale, infatti lungo i quintari, e solo lungo tale vie, sono state successivamente erette le pievi, le parrocchie ed i castelli, non solo, molti confini attuali di comune sono ancora segnati dai quintari. Si potrebbe affermare, e non sarebbe una esagerazione, che i quintari sono più importanti dei Decumani e dei Cardini Massimi. Fatta presente l’importanza, occorre pure far presente con che “regola” o con che “schema” questi Quintari venivano tracciati, in caso contrario difficilmente possono essere rintracciati. Purtroppo, per tracciare i Quintari venivano usati due “schemi”, uno formava quadrati di 16 centurie e l’altro 25. Prima di analizzarli occorre fare una importante precisazione: nei catasti romani i Cardini ed i Decumani Massimi erano indicati solo con le loro iniziali, CM e DM, e non numerati. Le strade dette “centuriali” venivano indicate con la dicitura cardini oppure decumani e progressivamente numerati, primo, secondo, terzo, ecc. I quintari venivano numerati progressivamente e citati col loro nome, primo quintario, secondo quintario, ecc. Naturalmente, al riguardo di queste ultime strade, per distinguerle dalle altre consimili, veniva pure aggiunto la parola “sinistro”, se sulla sinistra del cardine o decumano massimo, oppure “destro” se si trovava sulla destra. Schema che formava un Saltus di 25 centurie: giustamente, come abbiamo detto, il cardine oppure il decumano massimo non doveva essere indicato con un numero perciò, escludendo queste ultime e dovendo la nu-

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corrisponde esattamente alla situazione della parte occidentale della centuriazione faentina (Faenza), ovviamente,per trarne delle conclusioni definitive, occorre fare il confronto con altre zone centuriate.

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(7)canali di scolo per acqua

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costruzione strada romana ricostruzione centuriazioni Centuriazioni a IMOLA (Bo) costruzione città di Parma lotti di una centuria

Sezione di una strada romana


Unità romana

Latino

Piede

SI Decimale

dito

digitus

1/16

1,8525 cm

palmo

palmus

1/4

7,41 cm

piede

pes

1

29,64 cm

cubito (gomito)

cubitus

1 -1/2

44,46 cm

passo semplice

gradus

2 -1/2

0,741 mt

pertica

pertica

10

2,964 mt

atto (arpento)

actus

120

35,568 mt

stadio

stadium

625

185,25 mt

miglio

miliarius

5000

1.482 mt

lega

leuga

7500

2.223 mt

il Piede Romano è definito come 16/28 del cubito di NIPPUR. Il valore teorico del Cubito di Nippur è 518 616 Micrometri; di conseguenza il piede romano e di 29,64 cm

solitamente il bastone verticale o era infisso al suolo o fissato ad un ceppo marmoreo in dotazione dell’agrimensore.

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merazione interessare solo le altre strade, diventavano giustamente quintari, la numero 5, la 10, la 15 ecc. Schema che formava un Saltus di 16 centurie. Purtroppo non sempre veniva usato il corretto schema prima indicato, qualche volta si commetteva l’errore di iniziare la numerazione delle strade includendo, oltre al cardine o decumano massimo, anche i quintari, al seguito di questo errore finivano per venire considerati quintari la numero 5, la numero 9, la numero 13 ecc. Al seguito di questo errore venivano formati dei “saltus” di 16 centurie. Nella centuriazione faentina è stato usato l’erroneo schema che formava 16 centurie. Il Legnazzi, (1885- 1886), nell’intento di elaborare la centuriazione fra Imola e Faenza, ignorando l’errore commesso dagli agrimensori in questa zona, sbagliò completamente la sistemazione dei quintari, infatti non considerò quintario il cardine massimo faentino ed il cardine massimo imolese. Al seguito di queste note appare evidente che per la utilissima ricerca dei quintari, occorre tener conto dei possibili errori commessi. Come rintracciare i quintari Iniziano questo non facile compito analizzando quel poco che ci hanno tramandato i gromatici, per vedere se è possibile trarne qualche utile indicazione: Igino Gromatico ci fa sapere che dalla sistemazione dei quintari doveva scaturire un saltus quadrato di 25 centurie, cinque centurie per ogni lato. Da Frontino apprendiamo che per una insieme di ragioni, forse per errore, sono scaturiti anche dei saltus di 16 centurie, perciò un quintario ogni quattro centurie. Esistono anche altre proposte ed altri esempi, ma da quello che ho potuto constatare, nella stragrande maggioranza delle centuriazioni sono stati usati le indicazioni di Igino, oppure gli “errori” segnalati da Frontino. Sono fermamente convinto che il saltus corretto sia quello consigliato da Igino, non solo perché il significato della parola quintario significa uno ogni 5 centurie, ma anche perché solo con tale saltus è possibile effettuare una corretta variazione della

centuriazione. Cerchiamo ora di dare una risposta ad una importante domanda: considerato che l’apparato stradale romano aveva come punto di partenza e di riferimento il decumano massimo ed il cardine massimo, il conteggio delle strade per poi tracciare il quintario, da dove iniziava? A parere degli agrimensori e dei pochissimi studiosi che si sono interessati di questo problema, il conteggio doveva iniziare con l’inclusione del cardine o decumano massimo, cioè contare anche quello. In apparenza, doveva essere una operazione facile, ma evidentemente non lo era, più spesso di quello che si crede e per ragioni che non conosciamo, come i fatti dimostrano, l’operazione deve avere incontrato delle enormi difficoltà. Difficoltà giustamente evidenziate da Igino Gromatico, questi, sicuramente uno dei più preparati agrimensori di epoca romana, si chiede e chiede, se la prima linea alla destra del cardine o decumano massimo debba essere chiamata prima, oppure seconda. Considerato che anche Igino consiglia l’inclusione, la domanda appare superflua e troppo ovvia la a risposta, se il conteggio doveva iniziare dalla prima strada, la linea successiva doveva essere considerata la seconda. Invece, come già detto, forse per regole poco chiare, spesso venivano commessi errori. Prima di iniziare il conteggio delle strade, scopo rintracciare i quintari, occorre rispondere ad una altra precisa domanda: in epoca romana le strade come erano classificate e contrassegnate? La nomenclatura attuale delle strade la conosciamo bene, ogni strada è contrassegnata da iniziali. Una A ed un numero, per le autostrade. SS con un numero, per le statali. SP con un numero e con un nome, per le provinciali. SC senza alcun numero( in verità occorreva), ma con un nome, per le comunali. In tale maniera si riesce facilmente a distinguere le strade dalla più grande alla più piccola. Ma la situazione in epoca romana non è altrettanto chiara. Pur senza aver fatto particolari approfondimenti, mi risulta che le consolari erano contrassegnate con un nome, Emilia, Flaminia ecc. I decumani ed i cardini massimi , venivano individuati con le semplici

iniziali, DM (decumano massimo), e KM ( cardine massimo). Le strade centuriali , cioè quelle che delimitavano le centurie, venivano contrassegnate con la iniziale K, se cardine, e con la iniziale D, se decumani, seguite da un numero, e con la dicitura destra oppure sinistra a seconda della loro posizione rispetto ai cardini e decumani massimi. A parere di qualche studioso, queste ultime strade non venivano numerate, in quanto non avevano alcuna funzione. Effettivamente, le centurie venivano contrassegnate con un numero, senza aver bisogno di nominare le strade che le delimitavano, ma , considerato che se Igino ha sentito il bisogno di chiedere come deve essere chiamata una di quelle strade, significa che , per ragioni che non conosciamo, vi era la necessità di distinguere le une dalle altre. L’incertezza rimane, una incertezza che riguarda particolarmente i quintari, considerato che queste erano strade di grande traffico, aventi pure funzioni postali e catastali, vi sono buone ragioni per credere che oltre al nome quintario, nome dato a questo tipo di strada, venisse pure numerato, sia per essere distinto dagli altri quintari, sia che per essere facilmente localizzato. Più avanti, nel corso delle “indagini preliminari” dovrò volutamente omettere di sottolineare anche la necessita di consultare anche ciò che altri hanno scritto al riguardo della locale centuriazione, eppure la grande utilità è fin troppo evidente, ma attenzione, al riguardo della sistemazione dei quintari, alcuni scritti potrebbero essere fuorvianti. Porto un esempio illuminante: ho sotto agli occhi il contributo del padovano Legnazzi, riguardante la centuriazione fra Imola e Faenza. Questi , fermamente convinto che tale centuriazione fosse stata tracciata come nel padovano, cioè con lo schema Igino, (tracciamento padovano comunque meritevole di essere verificato), fece in modo che dalla sistemazione dei quintari, scaturissero dei saltus di 25 centurie. Questi, non essendosi reso conto che in detta zona la centuriazione era stata invece tracciata con l’erroneo schema Frontino, commise, seppur in-


volontariamente, una lunga fila di errori. Mi sorprende una cosa, nonostante che da anni faccio presente agli studiosi che la carta Legnazzi è inaffidabile, una inaffidabilità ampiamente documentata, la totalità degli studiosi della attuale centuriazione continua a riportare tale carta, come esempio di “centuriazione romagnola”. Questo per dire che occorre evitare di partire ” col piede sbagliato”.

Fig.1 Area centuriata con cardine e decumano massimo

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Pur tenendo conto che ogni area è “una storia a sé”, le indicazioni che seguiranno, se seguite con attenzione, permettono, come più volte è accaduto, di rintracciare i quintari, con una certa facilità.

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Per prima cosa, dovremo fare alcune indagini preliminari, valide per ogni area centuriata. Avendo trovato alcune tracce di centuriazione, ricostruiamola tutta, per una area abbastanza grande, più o meno come doveva o poteva essere, sia per il verso dei cardini (Sud- Nord), che per il verso dei decumani ( Est-Ovest). Fig.1

CARDINE MASSIMO

DECUMANO MASSIMO

Area centuriata con cardine e decumano massimo Al seguito di questa indispensabile operazione, disponiamo di una mappa a forma di scacchiera della zona che vogliamo indagare, che, fra l’altro, ci da la possibilità di fare una importante verifica, rendersi conto con quale tipo di centurie è stata tracciata tale centuriazione. La più comune era quella di centurie da 20x 20 actus, cioè di circa 705 metri di lato, ma a volte sono state usate centurie diverse, in tal caso occorre controllare che la lunghezza dei lati abbiano una corrispondenza con gli actus, se così non fosse, la centuriazione potrebbe anche non essere romana. Ad ogni modo, per procedere occorre verificare con esattezza quale tipo di centuria è stata usata. Due utili controlli: dopo aver controllato se alcune strade tuttora praticabili, corrispondono alle maglie della centuriazione, si controlli pure se in alcune di queste si trovano allineati edifici religiosi, (pievi, parrocchie, santuari), oppure edifici civili, ( castelli, agglomerati piccoli e grandi), in quanto in tal caso potremmo aver

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esempi di tecniche di misurazioni a mezzo della “groma”.


già individuato un quintario, ma per sincerarsene occorre, oltre naturalmente al conteggio che sarà spiegato, fare uno scavo in detta strada, se la larghezza è attorno ai 4 metri, potremmo dire che siamo stati “baciati dalla fortuna” in quanto faciliterebbe il proseguo della ricerca. Dovremo pure darci da fare, per rintracciare il cardine ed il decumano massimo, impresa non facile, il più delle volte queste due strade si incrociavano al centro del forum romano, ma non sempre, in alcuni casi, per svariate ragioni, si incrociavano fuori dal centro urbano, ma occorre rintracciali. Il rintracciarli è una operazione praticamente indispensabile. Sperando in un esito positivo.

6 5

1

4 3 2 1

1 21 3 4

1

5 6 7

Come individuare correntemente i quintari se la centuriazione è stata traccia con lo schema Iginio Gromatico

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Saltus di Igino Gromatico (fig.2) Iniziamo dal cardine o decumano massimo. Punto di riferimento di queste strade è quello di effettuare la sistemazione dei quintari e di iniziare l’eventuale numerazione delle strade, come a suo tempo fu il punto di riferimento per iniziare la centuriazione. L’individuazione dei quintari è abbastanza facile, dopo 5 centurie troveremo il primo quintario, dopo altre 5 il secondo, e cosi via. Così facendo vengono a formarsi dei saltus di 25 centurie. Più problematico il conteggio e la numerazione sia delle strade centuriali che dei quintari. A mio parere, contrariamente alle indicazioni dei gromatici, e della totalità degli studiosi, il conteggio NON deve iniziare dal Cardine o decumano massimo, se proprio vogliamo dare un numero a questa strada, metteremo uno zero. Conseguentemente la prima strada centuriale avrà il numero uno ed altrettanto il primo quintario. Qualcuno potrebbe giustamente chiedere la ragione per cui il conteggio non deve iniziare dal Cardine e decumano massimo. Domanda pertinente, una ragione c’è, se fosse quello l’inizio, ci troveremmo nella paradossale situazione, che ad una unica linea corrisponderebbe ben tre strade: il cardine o decumano massimo, un quintario ed una strada centuriate. Essendo tutte e tre incorporate in una unica linea, come potranno essere citate in una mappa? Nell’impossibilità ci citarle tutte e tre, sicuramente sarà citata solo la più importante , cioè il cardine o il decumano massimo, e delle altre due che ne facciamo? Le lasciamo lì, facendo confusione? Oppure le cancelliamo? Sono fermamente convinto che alcuni agrimensori romani si saranno resi conto che seguendo alla lettera le indicazioni di Igino, cioè iniziare il conteggio sia dei quintari che delle strade centuriali, includendo il cardine o decumano massimo, avrebbero creato una confusione interpretativa, confusione che col metodo sopra indicato, veniva eliminata.

Fig.2

8

3

7 6 5

2

Saltus di Igino Gromatico

4 3

2

32 4

2

5 6 7

6 5 2 4 3 2 2 3 4 2 5 6 Fig.3

Saltus Frontino

Il metodo è praticamente perfetto, le strade centuriali ci sono tutte, e tutte progressivamente numerate, altrettanto i quintari. Di fronte a questo tipo di centuriazione, Igino troverebbe la risposta al suo interrogativo, anzi non l’avrebbe neanche formulata.

Fig.4 Centuriazione con diverso orientamento

3

8


Anche in questo caso, l’individuazione è facile, ogni 4 centurie un quintario, percio saltus di 16 centurie. Che questa è la sistemazione dei quintari, non vi sono dubbi, l’ho potuto constatare nel corso delle mie ricerche, per quanto riguarda il conteggio e la numerazione delle strade, la situazione si fa complicata. Abbiamo già visto la confusione che si può creare iniziando il conteggio dal cardine e decumano massimo, considerato che in questo caso è stata usata tale pratica, non è facile ipotizzarne le conseguenze. Tentiamo una possibile ipotesi, considerato che il primo quintario e la prima strada centuriale, essendo incorporate ai cardini o decumani massimi, non possono essere visibilmente numerate, dovremo per forza numerare solo le successive, conseguentemente la prima strada centuriale che troveremo, dovrà essere contrassegnata col numero 2 , come pure con un 2 dovrà essere contrassegnato il primo quintario. Ipoteticamente questo sarebbe il modo per “limitare” i danni, ma rimangono molti interrogativi, che solo con il ritrovamento di un catasto, avente questo tipo di centuriazione, si potrà dare adeguate risposte. La centuriazione di Imola e Faenza è stata tracciata con questo schema, errori e confusione compresi. Tracce di tale centuriazione, sono state riscontrate anche altrove, Minturno, Terracina ed in alcune zone della Francia, ma a mio parere è più diffusa di quello che pensiamo. Pur senza spiegarne le ragioni, Frontino dice che questa è una centuriazione “sbagliata”, aveva ragione, la confusione è ed era evidente, due strade, pur essendo esistenti, non risultano nelle mappe, non solo, con tale schema venivano formati dei saltus di 16 centurie, un saltus che mal si prestava a creare un diverso orientamento centuriale. Centuriazione con diverso orientamento (fig.4) Se per una insieme di ragioni poteva esserci la necessita di cambiare l’orientamento della centuriazione, per esempio, a causa della non perfetta pendenza del terreno, oppure per creare un ben visibile confine di ager, si ricorreva alla pratica qui presentata. In questa maniera venivano risolti molti “problemi” fra cui il rovinare il minor numero di centurie, e fare in modo che le strade dei due ager continuassero a combaciare. Per far questo era indispensabile tracciare il confine con un quintario, (ecco un esempio dimostrante che i confini di ager venivano tracciati con dei quintari), e la centuriazione doveva essere stata tracciata con lo schema delle 25 centurie. Come ben dimostrato dal disegno,

Come è noto, quando si dice che i quintari , hanno pure il compito di delimitare i saltus, di 25, oppure 16 centurie, non sempre viene specificato la superficie di tali centurie, come pure non viene specificato se queste devono essere quadrate, oppure rettangolari, considerato che vi sono tracce di almeno una ventina di diverse centurie, i saltus delimitati dai quintari, potrebbero essere diversi nella forma e nella superficie. Come si può notare rintracciare i quintari non è una “impresa” facile, ma neanche impossibile. Il cercare di rintracciarli, indipendentemente dal risultato, è pur sempre un approfondimento che sicuramente migliora la conoscenza della propria centuriazione, perciò, una azione utile. Ultimissima curiosità, potrebbe anche accadere di trovare due quintari appaiati, cioè alla distanza di una sola centuria, ebbene in tal caso il problema si complica. Nel mio territorio ho trovato una situazione di questo tipo, ma penso di aver dato una esauriente spiegazione: esistenza in loco di una antichissima via, che per un certo periodo ha avuto anche funzioni transumanti, area interessata da antichissimi confini e da due percorsi di fiumi. Naturalmente, non è detto che in altri luoghi le ragioni siano identiche, occorre studiarle. Un appello agli studiosi. Sono fermamente interessato a conoscere le varie realtà locali, come pure sono interessato a conoscere i vostri commenti. POSTILLA Ad articolo ultimato e spedito ad alcuni “addetti ai lavori”, uno studioso di Pavia mi ha scritto rivolgendomi una serie di domande: ”per quale ragione, nel conteggio delle strade del saltus di 16 centurie, lei ha ipotizzato la possibile scomparsa di due strade, sia la prima centuriale, che il primo quintario? Quali le controindicazioni se nel conteggio venivano indicate entrambe le strade col numero uno, come infatti è stato fatto nel saltus da 25 centurie? Giustissime domande che giustamente meritano una risposta. Considerato che non vi sono fonti che spieghino il comportamento degli agrimensori, ho provato ad immaginarlo e per prima cosa mi sono fatto due domande: i quintari venivano tracciati subito, oppure in un secon-

Vi sono buone ragioni per credere che la numerazione venisse effettuata in un secondo tempo, mentre i quintari venivano tracciati subito. Tracciando subito i quintari, si saranno resi conto che creavano dei saltus da 16 centurie, ma non è detto che fosse considerato “un errore”. Conseguentemente: gli agrimensori esperti non includevano il cardine e decumano massimo. Subito od in seguito, numeravano progressivamente sia i quintari, che le strade centuriate, e vediamo la loro opera nei saltus da 25 centurie, Gli agrimensori con poca esperienza: hanno incluso il decumano e cardine massimo, hanno creato dei saltus da 16 centurie, conseguentemente hanno creato la confusione che constatiamo nei saltus da 16 centurie.

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Saltus Frontino (fig.3)

Una curiosità da tenere presente, da Varrone si apprende che esistevano pure dei saltus formati da quattro centurie, un quintario ogni due centurie, ebbene se queste quattro centurie venissero divise per 4, le centurie diventerebbero 16 , come il saltus di Frontino, ma in tal caso le centurie sarebbero più piccole.

do momento? La numerazione delle strade veniva effettuata subito, oppure in un secondo momento? La risposta alla prima domanda sembra ovvia, sicuramente i quintari saranno stati tracciati subito, anche perchè tale strada doveva essere più larga delle centuriali. Per la seconda domanda la riposta è dubbiosa, subito o dopo? Se fatta subito, potevano rendersi conto degli errori che stavano commettendo e rimediare, per rimedio si intende fare invece il saltus da 25 centurie e conteggio relativo, se fatta dopo, constatavano gli errori commessi, ma non vi era più la possibilità di rimediare.

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Come individuare correntemente i quintari se la centuriazione è stata tracciata con l’erroneo schema Frontino.

dopo 5 centurie di “apertura”, troveremo lo spazio esatto di una centuria, dopo dieci centurie lo spazio esatto di due centurie, dopo 15 centurie lo spazio esatto di tre centurie ecc. Con un saltus formato da 16 centurie questo non era possibile, infatti occorreva tagliare moltissime centurie.

La risposta che ho dato all’amico di Pavia è questa: se gli agrimensori avessero iniziato il conteggio non includendo, avrebbero di fatto costruito solo dei saltus da 25 centurie, perciò nessun problema. Purtroppo i fatti , cioè l’effettiva esistenza dei satus da 16 centurie, ci dicono che gli errori sono stati commessi e conseguentemente, come io ho ipotizzato, due strade, pur essendoci, risultano”scomparse”. Biografia: Sgubbi Giuseppe

Classe1938, archeologo dilettante; ha al suo attivo numerose pubblicazioni di carattere storico: Solarolo dalla preistoria ad oggi (1977); Storia della Beata Vergine della Salute (1979); Contributo sul corso antico del Santerno nel territorio Solarolese (1983); Il territorio Solarolese dalla più remota antichità all’anno mille (1992); Circe, Ulisse ed Enea inAdriatico? (2000). Alla ricerca del toponimo Quinto ove nel536 d.C fu ucciso il re dei Goti Teodato”Historia Stuttgart 2 (2005); Un enigma di Pieve Ponte il titolare S Procolo 2003; Il Sillaro confine della Romagna 2003; Circe Ulisse ed Enea in Adriatico?2000; Giurisdizione civile ed ecclesiastica di Imola e Faenza in epoca romana 2006; Evoluzione ed aspettative riguardanti l’abitato preistorico scoperto nel territorio solarolese 2007 Mail: joselfsgubbus@libero.it

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Vi sono molte tracce di questo tipo di centuriazione, cioè col saltus da 25 centurie, ma sono convinto che al seguito di una attenta indagine, constateremo che invece, più spesso di quello che crediamo, sia stato usato l’erroneo schema Frontino, cioè saltus di 16 centurie.


Vally Aries

Il mandala dell’iride

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l nostro viaggio attraverso il mandala oggi ci conduce ad approfondire un’altra sfaccettatura di questo universo: il mandala dell’iride. Come affermai nel precedente articolo, il mandala appartiene a tutte le culture, ed è stato in ognuna di esse considerato, sotto molti aspetti, un riferimento da sempre, non da ultimo nell’incessante ricerca dell’uomo di comprendere e svelare il grande mistero dell’origine, della creazione, dell’esistenza. Scienziati, filosofi e ricercatori hanno riservato grande interesse per il corpo umano; questa meravigliosa macchina biologica è stata oggetto di studi approfonditi, in quanto considerata la rappresentazione olografica dell’universo e quindi, osservata in tutte le sue peculiarità, diviene fonte di risposte tangibili nel percorso di ricerca per comprendere il grande mistero. Se noi cominciamo ad osservare con attenzione l’ambiente in cui viviamo, ci accorgiamo che siamo immersi letteralmente nei mandala, che possiamo definire anche naturali. Li ritroviamo nella corolla di un fiore, nella forma a spirale della conchiglia, nei cerchi concentrici creati da un sassolino lanciato in uno specchio d’acqua, e ancora nell’impronta lasciata dalle nostra dita, nell’iride degli occhi e in ogni cellula del nostro corpo; tutte le forme elencate sono simili tra di loro ma non uguali, questo perché ognuno di questi mandala naturali sono caratterizzati da quelle differenze ereditate genealogicamente dalla specie e che determinano la diversità nella specie. Facendo una ricerca sul termine iride, da Wikipedia estrapoliamo una serie di informazioni, che vi riporto qui di seguito: a Iride - membrana muscolare dell’occhio. a Iride - arcobaleno o, per estensione, insieme di colori disposti come quelli dell’arcobaleno. a Iride deriva dal greco e significa arcobaleno per la sua colorazione o aureola; viene considerata come un’aureola che circonda la pupilla, la sua pigmentazione conferisce all’occhio il colore che lo caratterizza. a Iride - dispositivo che serve a coprire lo Stargate in modo da evitare

intrusioni aliene esterne. a Secondo l’iridologia, l’iride sarebbe una speciale carta topografica che riprodurrebbe, nel suo piccolo, tutta la mappa del corpo umano, la sua anatomia, le sue funzioni: un minuscolo archivio in cui sarebbero trascritti la salute dei nostri organi e il benessere dell’anima. a Nella cultura egizia, l’occhio è per l’uomo ciò che il sole è nel sistema solare, da qui il culto per l’occhio di Horus. Nei papiri medici dell’antico Egitto (1500 a.C.) compaiono riferimenti all’analisi dell’occhio in relazione con le malattie. a Nella tradizione medica cinese l’osservazione dell’occhio e dell’iride era utilizzata in senso diagnostico, legando le varie zone dell’iride e della sclera agli elementi costitutivi dell’uomo secondo l’agopuntura. a In alcuni documenti mesopotamici risalenti al 669 a.C. si fa cenno alla presunta relazione esistente tra la variazione del colore dell’occhio con le malattie epatiche o con la vicinanza della morte. Ho trovato tutte queste informazioni, anche se generiche, molto interessanti ed utili per il nostro viaggio attraverso il mandala. La mia personale conclusione, riferita a queste definizioni o spiegazioni, è che dall’iride si possono ottenere una quantità incredibile d’informazioni che razionalmente non riusciamo a comprendere, ma che attraverso i segni o le forme simboliche rilevate ci consente di leggere ed interpretare la nostra storia personale, prendendo al contempo coscienza dell’eredità genealogica ricevuta dalla nostra specie. In particolare, mi ha colpito, la definizione: “dispositivo che serve a coprire lo Stargate (porta delle stelle)” Se consideriamo l’iride lo stargate o specchio dell’anima (come già avviene in molte culture), possiamo pensare che, attraverso la simbologia in esso contenuta, potremmo aprire uno spazio di comprensione alla nostra mente razionale/ conscia di cui non sospettavamo nemmeno l’esistenza. Ed inoltre, considerando la funzione dello specchio così come ci è nota, nel creare un mandala sulla base dei simboli dell’iride potremmo ottenere un mezzo per lo scambio dati (per rifrazione) con la nostra mente interiore o inconscia, ovve-

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Qui di seguito alcuni esempi dei lavori ottenuti nel corso del laboratorio:

Da qui nasce l’esperienza di approfondimento di questo aspetto del mandala: il Mandala dell’iride, strumento di comprensione profonda per ognuno di noi, un’opportunità di evoluzione nel cammino della ri-scoperta della nostra natura divina e creativa.

I dati rilevati al termine della sperimentazione furono i seguenti:

In collaborazione con un’amica iridologa decidemmo di strutturare un laboratorio sperimentale sul mandala dell’iride e, utilizzando la sua strumentazione (iridoscopio e una fotocamera ad alta definizione), venne fotografata l’iride di tutti e due gli occhi dei partecipanti.

1/3 del gruppo sviluppò una grafica più intuitiva, creando forme d’effetto sulla base delle macchie o segni rilevati. (Fig.3 e Fig.4)

Venne spiegata la procedura e i passaggi utili per la realizzazione del mandala, che possiamo brevemente riassumere come segue: 1°Passo: “L’ESPRESSIONE SENSORIALE” 2° Passo: “LA COMPRENSIONE” 3° Passo: “LA RIARMONIZZAZIONE” In sostanza, riprendendo la frase “l’occhio o l’iride è lo specchio dell’anima”, utilizzo questo specchio per riflettere e reindirizzare l’immagine rivisitata e corretta.

EMISFERO SINISTRO (razionale)

Tutto il gruppo, attraverso la colorazione, ha dato una nuova informazione a quel registro o memoria rilevata dall’iride.

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Le testimonianze rilasciate dai partecipanti nei mesi successivi all’esperimento hanno permesso una verifica dell’effetto prodotto dalla nuova informazione formulata e ha dato i seguenti risultati: Per alcuni ha determinato un cambiamento impercettibile ma sufficiente per riuscire, ad esempio, nella pratica reale e non fittizia del libero arbitrio… ovvero per poter scegliere coscientemente di vivere nella libertà o nella limitazione dei condizionamenti (che rimane comunque una crescita evolutiva). Per altri ha determinato un cambiamento esponenziale: liberi dai condizionamenti imposti da cultura e ambiente, hanno trovato la forza di rimodellare la propria vita attraverso scelte responsabili nette e decise come cambiare lavoro, chiudere una relazione, cambiare casa o città ecc. Questa esperienza è stata illuminante per tutti coloro che ne hanno fatto parte, un piccolo passo nel sentiero verso la comprensione della nostra essenza più pura, decantata nei tempi da maestri, profeti e luminari, e che è parte integrante del nostro essere umani.

EMISFERO DESTRO (emozionale)

a controlla la parte destra del corpo

a controlla la parte sinistra del corpo

a mente cosciente

a mente inconscia

a ragionamento consecutivo

a intuito immediato

a parola, scrittura

a musica, disegno, creatività

a analisi delle parti

a vista d’insieme, misticismo

a conosce spazio e tempo

a non conosce spazio e tempo

a si sente un io separato

a si sente parte del tutto

a non ha emozioni

a ama, odia, ride e piange

a causa le malattie

a può curare le malattie

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Ai partecipanti del laboratorio vennero trasmesse nozioni di base sul significato simbolico e archetipico attribuito alle forme o segni nei mandala nelle varie culture, e vennero invitati a realizzare un mandala prendendo spunto dalla foto della loro iride, seguendo le sensazioni intuitive che traevano nell’osservare la foto nella versione bianco/nero.

2/3 del gruppo espresse una grafica di ricalco dell’iride. (Fig.1 e Fig.2)

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Successivamente vennero stampate le foto delle iridi a colori e in bianco e nero, e consegnate ai legittimi proprietari. In questo frangente l’iride fotografata non venne utilizzata per la diagnostica tradizionale, perché l’intento era poter cogliere attraverso segni o forme un’informazione utile alla nostra ricerca.

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RunaBianca

ro stimolare l’interazione fra i nostri due emisferi:

Biografia : Vally Aries Nasce in provincia di Padova il 16 aprile 1957. Pur avendo conseguito studi con indirizzo commerciale/economico, la sua attitudine per l’arte la porta a svolgere varie esperienze in attività creative artistiche. Nel 2009 inizia la collaborazione al progetto Ponte di Luce, ed intraprende un percorso di ricerca personale sulla metafisica e sulle pratiche olistiche che le fà conseguire: Formazione sui mandala con approfondimento e ricerca personale sulle applicazioni trasversali; Formazione in Aromaterapia Alchemica; Formazione in Floriterapia (fiori di Bach); Master Reiki Usui Riohy Gakko; Facilitatore avanzato Psych-K; Facilitatore avanzato MO.V (modificazione vibrazionale); Facilitatore Metodo Angeli Umani. Oggi continua il suo lavoro di ricerca e divulgazione, ed opera nel settore olistico come consulente: di alchimia con i mandala facilitatore MO.V (modificazione vibrazionale Dna) operatore reiki.


intervista ai GHOST HUNTER di roma di Simone Leoni

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el folklore mondiale chi ha mai sentito parlare di case infestate da spettri, fenomeni come oggetti che fluttuano nell’aria, rumori di ignota provenienza e apparizioni di persone defunte? Credo che tutti i lettori abbiano sentito qualche storia di fantasmi direttamente o indirettamente. Ma c’è mai stato qualcuno che abbia studiato queste fenomenologie con attrezzature all’avanguardia? Inizialmente, a studiare questi fenomeni, o per meglio dire a divenire un cacciatore di fantasmi, fu Harry Price. Ma oggi? Chi si impegna a proseguire l’operato di Price? Ovviamente i Ghost Hunter, un gruppo di persone che applicano determinate apparecchiature che gli permettono di rivelare se un ambiente è decisamente infestato o meno da presenze di defunti. Di questi gruppi di ricercatori del paranormale ne esistono moltissimi, e oggi intervistiamo i ragazzi del GHR, ovvero Ghost Hunter di Roma: Daniele Cipriani che è il fondatore, Alessio Serenellini e Sandro Serafini. Buona lettura! 1. Simone Leoni - Ragazzi, spiegateci intanto come è nata questa vostra passione. Alessio - Ognuno di noi ha una sua personale esperienza per la quale si è avvicinato a questo particolare mondo. L’interesse e la curiosità sono stati la prima spinta verso la creazione di questo gruppo. Ognuno di noi, a suo modo, ha avuto un piccolo incontro con il mondo del paranormale. Ormai dedichiamo tutto il nostro tempo libero a quello che lentamente sembra stia diventando per noi una specie di secondo “lavoro”. Passateci il termine, in quanto lo vorremmo chiamare hobby, ma molto spesso ci prende molto più tempo di un semplice hobby. Sicuramente è un interesse che esula dal normale... ma, in fondo... c’è chi colleziona francobolli... Noi andiamo a caccia di fantasmi. 2. S.L. - Che modalità di criterio utilizzate nelle vostre ricerche? Se ovviamente potete dircelo. Alessio - Durante le nostre indagini cerchiamo di non lasciare nulla al caso e di svolgere ogni singola operazione con logica e criterio. Infatti nel nostro lavoro è molto facile cadere in errore. Confondere quella che potrebbe essere un’attività paranormale con un evento naturale o viceversa può risultare difficoltoso se non si seguono determinate procedure. Alcuni gruppi che fanno ghost hunting a volte si lasciano prendere troppo dall’entusiasmo e gridano al fantasma quando in realtà

potrebbe trattarsi di un soffio di vento. Fare Ghost Hunting significa metodologia, impegno e rigore. Noi durante le indagini monitoriamo e segnaliamo in maniera incrociata qualsiasi variazione dell’ambiente, in modo da poter, in fase di analisi, incrociare i risultati e verificare se si tratta o no di qualcosa di interessante e magari paranormale. 3. S.L. - E le apparecchiature? Di cosa vi servite per le indagini? Alessio - Durante un’indagine facciamo uso di una vasta gamma di strumenti, utilizziamo rilevatori di campo elettromagnetico, come il famoso K2. Per quanto riguarda la parte fotografica, usiamo una particolare macchinetta fotografica modificata per rilevare frequenze di luce UV ed IR ed una termo-camera per la temperatura, termoigrometri per l’umidità e monitoriamo l’ambiente registrandolo tramite un sistema di videocontrollo collegato ad otto telecamere sparse per il perimetro del luogo; in più, per quanto riguarda la registrazione di voci paranormali, ci avvaliamo di registratori digitali e a nastro. Inoltre facciamo uso di strumenti prototipali, creati da noi per ricercare nuove forme di comunicazione. 4. S.L. - Fino ad ora quante indagine sono andate a buon fine? Ovvero quante abitazioni, o ambienti sono di sicuro infestati? E quante abitazioni risultano essere false case infestate? Alessio - Dobbiamo dire che negli ultimi mesi siamo stati molto fortunati, abbiamo visitato alcuni luoghi dove la forte presenza di un’entità si è fatta sentire in più di un’occasione. Porto ad esempio il castello di Montebello, ormai famoso per la presenza del Fantasma di Azzurrina. In quell’oc-


Figura Antropomorfa rilevata sullo sfondo nero dell’abitazione

6. S.L. - Diteci la verità, una presenza l’avete mai vista durante le vostre indagini senza che l’abbiate visualizzata sulle vostre apparecchiature? E, se fosse positiva la vostra risposta, che sensazione avete avuto?

Rilevamento in contesto residenziale

Sandro - Eravamo nel corso di un indagine e, mentre gli altri colleghi (Daniele e Alessio) erano a controllare se il monitor riceveva segnali dalle telecamere che avevamo posizionato, due bagliori forti e intensi hanno colpito la mia attenzione a pochi metri da me. Purtroppo il fatto è successo fuori dall’occhio della telecamere, ma le stesse hanno avuto delle interferenze forti e l’immagine ha cambiato di poco l’inquadratura, a confermare che qualcosa di strano era veramente successo. Ancora a

Daniele - Le cause sembrerebbero essere di diversa natura. Si ipotizza che se un evento è tragico, o accompagnato da una forte emotività (ad esempio il suicidio, o la morte violenta) quella stessa emozione permei l’ambiente e rimanga in qualche modo intrappolata in esso. La presenza del medium quindi riattiverebbe quell’emozione che a sua volta provocherebbe un replay della scena stessa oltre i confini del tempo (ad esempio, il classico caso del fantasma che ogni anno alle 3.00 si getta dal balcone, ripetendo il gesto all’infinito). In altre circostanze sembrerebbe che la causa possa essere qualcosa di importante che non si è terminato in vita, o ancora più spesso, in base alla nostra esperienza, la volontà di comunicare qualcosa alle persone care... 8. S.L. - Secondo voi, l’ectoplasma è parte integrante di un infestazione di fantasmi, oppure è una cosa che appartiene solo alla sfera dei medium? Daniele - La letteratura sull’argomento e le numerose testimonianze che si susseguono dal passato ad oggi ci insegnano che l’ectoplasma altro non è che materiale organico che fuoriesce dagli orefizi dei medium durante la produzione di fantasmi. I fenomeni definiti di ideoplastia (il formare figure totali o parziali da parte del medium) sono un esempio di come vengano prodotte materializzazioni ectoplasmiche, Si tratta di un fenomeno che però non abbiamo mai riscontrato nei luoghi in cui ci siamo inbattuti, per cui ci sentiamo di poter affermare che, ad oggi, non esiste correlazione tra infestazione ed ectoplasma. 9. S.L. - Avete qualche foto di qualche entità da mostrare ai lettori? Sandro - Collegandosi al nostro sito c’è tantissimo materiale. Abbiamo la sezione indagini dove c’è tutto il materiale che i nostri cari lettori possono visionare: ogni indagine è corredata da tutte le informazioni disponibili, dai risultati di natura sia scritta che digitale. 10. S.L. - C’è un modo per capire se una foto di un possibile fantasma sia una montatura o una foto genuina?

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Daniele - Purtroppo di incontestabile esiste ben poco nel nostro mondo. La ricerca da sempre si divide in 2 grandi branche. Semplificando molto: la prima, quella, spitirica tenta di dimostrare che esiste una vita cosciente dopo la morte, la seconda, quella parapsicologica, sostiene che ogni tipo di manifestazione è frutto di particolari capacità chiamate ESP, derivanti da un soggetto umano. Una sorta quindi di interazione tra uomo ed ambiente che provoca i fenomeni di infestazione. Una teoria sul multidimensionalismo è stata formulata al castello di Monetebello, dove è celebre la storia di Azzurrina, una bambina scomparsa in circostanze misteriose, in cui appunto alcuni hanno teorizzato una sorta di passaggio della bimba in un’altra dimensione. Secondo il nostro punto di vista (e non solo) una teoria non esclude le altre. Molti dei casi di infestazione da noi studiati avvengono in presenza di un agente, una persona che sembrerebbe attivare un “quid” che da luogo alle varie manifestazioni. In altre occasioni invece la manifestazione è oggettiva e sembra rispondere a delle domande che vengono poste, quindi svincolata dal primo esempio citato. Come in molte altre cose, la verità sta nel mezzo…

7. S.L. - Un’eventuale infestazione di queste presenze extracorporee da cosa potrebbe dipendere?

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5. S.L. - Secondo voi, queste apparizioni, possono dipendere da un eventuale collegamento tra questa dimensione ed un’altra, oppure siamo di fronte all’incontestabile realtà che dopo la morte c’è qualcos’altro?

Montebello, abbiamo udito delle voci che non si sono poi registrate nelle nostre apparecchiature... Il brivido c’è, ma misto alla gioia di aver di fronte un evento al quale pochi hanno assistito. Non ci sono parole per descriverlo appieno...

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casione abbiamo vissuto momenti veramente intensi. Ovviamente non in tutte le indagini si trovano tracce di attività paranormale, molte volte analizzando il materiale non abbiamo trovato nulla, ma non demordiamo: chi si addentra in questo tipo di indagini deve sapere che esistono difficoltà come questa.


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Analisi in post produzione di anomalie riscontrate in vari sopralluoghi


12. S.L. - Avete dei nuovi progetti? Se ci è concesso saperlo, quali sono? Sandro - Abbiamo tanti progetti in testa ma, come si suol dire, per scaramanzia cerchiamo di non parlarne. Non vogliamo che niente e nessuno distolga la nostra attenzione dal motivo per cui questo gruppo è nato, e per il momento viviamo con lo scopo di soddisfare continuamente la nostra sete di mistero. Tutto quello che verrà in più è chiaro che ci farà ancora più felici, anche se già così lo siamo. 13. S.L. - Secondo voi i Poltergeist sono di natura spiritica oppure no? Daniele - Ne esistono di natura spiritica e non. La traduzione della parola significa spirito chiassoso, ed in molte occasioni si tratta proprio di questo. Ovviamente siamo

Alessio - In genere le fenomenologie riscontrate sono diverse a seconda dei casi. Molto spesso alcune fenomenologie sono accompagnate da forti variazioni del campo elettromagnetico o da picchi improvvisi della temperatura. Quello che oggi sappiamo su come si verifichino alcune manifestazioni è ancora ben poco. C’è ancora tanto da studiare e ricercare per poter rispondere a queste domande. Quello che sappiamo è che questi eventi accadono realmente e a volte in risposta a qualcosa. Speriamo che, con l’andare avanti nella ricerca del Paranormale, potremo dare risposta a tutti questi quesiti. 15. S.L. - Cosa volete dire ai lettori della rivista? Daniele - Di non smettere mai di porsi domande, è quella la via della conoscenza, di non far sì che i dettami della scienza si contrappongano tra il nostro mondo e l’altro. Ancora grandi passi dovranno essere compiuti prima di risolvere il grande mistero della vita dopo la morte, ma tutti insieme, con tenacia e spiritico critico possiamo dare il nostro piccolo contributo. Se non si chiede, non si può ottenere una risposta. Biografia: Simone Leoni, della redazione del sitowww.terraincognitaweb.com si interessa ai grandi enigmi del Cristianesimo e della parapsicologia. é stato organizzatore di un convegno su Rennes Le Chateau presso l’hotel villa Maria a Roma, e relatore al convegno su questo tema svoltosi a Roma, presso la sala convegni Mitreo, 11 Settembre 2011. collabora con riviste del settore

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Sandro - I primi problemi che riscontriamo sono sempre e solo di natura tecnica. Spesso non è semplice adattare l’attrezzatura ai luoghi dove andiamo ad operare. Non sempre siamo in presenza di energia elettrica, e quindi dobbiamo sempre inventarci qualcosa per sbrogliare la situazione. Da non tralasciare anche i piccoli problemi tecnici dovuti a qualche telecamera che fa le bizze oppure a qualche problemino di collegamento che poi riusciamo sempre a risolvere. Di persone ostili ne sono capitate ben poche, anche in virtù del fatto che sono loro a contattare noi. Abbiamo gradevolmente trovato sempre simpatia e professionalità. In questo ci sentiamo fortunati.

14. S.L. - Durante le vostre ricerche avete mai notato qualche altra fenomenologia che sia accompagna ad una casa infestata da spettri?

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11. S.L. - Avete mai trovato ostacoli durante le vostre ricerche? C’è stato qualcuno a voi ostile?

lontani dallo spiritello dispettoso che film e racconti vogliono farci credere. Si tratta di casi in cui un’entità provoca fenomeni macroscopici, quali spostamenti di oggetti, rotture di vetri, scomparsa e ricomparsa di oggetti e così via. Esiste però anche una casistica ben definita di poltergeist aventi come agente una persona. Si tratta spesso di un adolescente con problemi, stress, ansia, e che in particolari condizioni scatena la propria rabbia, i propri sentimenti sull’ambiente, provocando un fenomeno psicocinetico che interagisce su oggetti e persone nella maniera già citata. Sono fenomeni che avvengono sporadicamente, spontanei, ma numerosi sono anche i casi in cui il fenomeno avviene in maniera ripetuta e ciclica nel tempo. In questo ultimo caso parliamo di sindrome RSPK (Recurrent Spontaneus Psychokynesis).

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Alessio - Certamente, con l’avvento della fotografia digitale, ritoccare una fotografia è diventato alla portata di tutti. Ergo, sono aumentate esponenzialmente le foto, chiamate in gergo, fake. Per smascherare un fake da una foto genuina esistono alcuni programmi che svolgono un’analisi dei dati digitali all’interno di una foto. In assenza di essi o nell’impossibilità di usarli, molto spesso si può riconoscere una montatura da alcuni particolari, come una forte incongruenza cromatica tra lo sfondo e l’oggetto incriminato nell’immagine, oppure prendendo in esame le rifrazioni della luce nella foto. In genere basta un pò di logica e intuito per smascherare una foto montata.


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Tuareg, i figli delle stelle Nomadi per natura, i Tuareg sono figli del vento e delle stelle. I Tuareg hanno una profonda conoscenza del cielo stellato: la volta celeste è per loro una sorta di mappa che li guida nei loro spostamenti e li aiuta a prevedere la stagione delle piogge. Seduti sulle dune, osservano il cielo che ha ispirato molte leggende e anche la creazione di molti gioielli, come le famose stelle tuareg, monili d’argento a forma di croce, diversi a seconda della tribù di appartenenza. Le origini dei Tuareg, gli antichi Targa, si perdono nei meandri del mistero. C’è chi dice discendano dall’antico Egitto (la croce tuareg che ricorre spesso nei loro gioielli ricorda il segno egizio ANKH, simbolo della vita e dell’eternità). Altri affermano che discendano, invece, dai mitici Garamanti, gli abitanti del Sahara citati da Erodoto, ed altri ancora dalla mitica Atlantide. Una antica canzone dei Tuareg cita addirittura le Pleiadi come origine della loro razza (secondo P. Benoit). I leggendari uomini blu, gli “ignoti del deserto”, guerrieri e predoni temutissimi, sono un popolo di stirpe berbera, prevalentemente nomade e presente in tutto il Sahel, Algeria, Libia, Mauritania, Mali e Niger. Sono i discendenti della più antica popolazione di bianchi che si sia stabilita in Africa, i Berberi. Definiti “Uomini blu” per via del colore indaco con il quale dipingono il loro turbante, detto taghelmust, che a sua volta tinge loro il viso, i discendenti dei berberi hanno mantenuto inalterata, o quasi, la purezza della razza, rimanendo fedeli a tradizioni e culture vecchie di secoli. Il nome Tuareg, al singolare Targhi, è stato dato loro dagli arabi e sta a significare “gli abbandonati da Dio”, per via della loro opposizione alla dottrina di Maometto. Convertiti all’Islam 1200 anni fa dagli arabi, i Tuareg si differenziano notevolmente dalle altre tribù Africane e dai Musulmani in molte cose: è l’uomo e non la donna a tenere il volto coperto, la loro altezza è superiore a quella di molte altre tribù dell’Africa, inferiore solo a quella dei Watussi, discendono da una razza bianca, quella dei Berberi, non sono soliti pregare cinque volte al giorno rivolti verso la Mecca, sono monogami, sono convinti che gli alberi e le pietre possiedano un’anima e realizzano amuleti per tenere lontani i “jinn”, gli spiriti maligni che abiterebbero il Sahara. Nel 1887 uscì il romanzo La Donna Eterna (She) di Harry Magden, mentre nel 1918 fu pubblicato L’Atlantide di Pierre Benoît,

Giuliano Scolesi

ATLANTIDE ESISTE ANCORA

che vinse il Gran premio dell’Académie française. Entrambi i romanzi si era ispirati ad una leggenda Tuareg, quella riguardante una misteriosa Regina, Tin Hinan, più conosciuta con il nome di Antinea, la quale in compagnia della sua ancella Takama attraversò il deserto per diventare la progenitrice degli attuali Tuareg. A rafforzare le narrazioni che asseriscono l’autenticità storica di Tin Hinan vi è un colossale monumento megalitico, situato nei pressi di Abalessa, che viene da tutti indicato come “la tomba di Tin Hinan”. Si tratta di uno di quei monumenti megalitici noti come édebni, formati dall’accumulo di massi che possono avere le forme più varie (a tumulo, a mezzaluna, ecc.), che per i Tuareg sarebbero le tombe degli Ijabbaren, popolazione di giganti dell’antichità. Alcune campagne di scavo, in particolare quella ad opera di M. Reygasse nel 1935, hanno cercato di investigare questa ipotesi. Il monumento è alquanto complesso, contenendo non meno di undici vani sotterranei circondati da una spessa muraglia. All’interno di una di queste stanze venne in effetti rinvenuta una tomba contenente uno scheletro di donna circondato da un ricco corredo funebre. L’analisi di tali resti ha dato questi esiti: “Spalle larghe; piedi piccoli; statura molto alta (tra 172 e 175 cm). Patologia: lesioni evidenti di artrosi lombare localizzate a destra e accompagnate da deformazioni delle vertebre lombari e dell’osso sacro”. Il dato interessante che emerge da questa analisi (in pratica, la donna sepolta doveva zoppicare) è la congruenza che si ha con le indicazioni di Ibn Khaldun, il quale afferma che la progenitrice degli Hawwara (cioè Ihawwaren, oggi Ihaggaren o Kel Ahaggar) era una certa Tiski “la zoppa”. Secondo i Tuareg Tin Hinan era l’ultima Regina di Atlantide e loro ne sono i discendenti; calcolando che la Regina Antinea fu seppellita nel ‘300, bisogna pensare che il Regno di Atlantide, seppur non in modo ufficiale, durò fino al quarto secolo, anche se si spostò dall’Atlantico all’Atlante Africano. La Catena montuosa dell’Atlante è un sistema montuoso dell’Africa nord-occidentale, diviso tra Marocco, Algeria e Tunisia. Il suo nome locale (berbero) è Adrar n Dern (“il Monte dei Monti”). Anche il nome Atlante, benché pervenuto tramite la mitologia greca, doveva essere in origine un toponimo locale (libico-berbero). Quando gli europei vennero a contatto con la civiltà dei Tuareg rimasero impressionati da molti tratti di questo popolo così misterioso e così fiero. Una caratteristica che colpì molto la fantasia fu il ruolo

UOMO TUAREG

DONNA BERBERA


I Berberi, gli Atlantidei Africani I Berberi sono una popolazione europoide dell’Africa del Nord (Tamazgha). Sembra che almeno fino all’età del Bronzo (circa 1200 a.C.) tra le popolazioni berbere fosse piuttosto diffusa la depigmentazione come carattere genetico, documentata anche da pitture rupestri del Tassili e in iscrizioni egiziane (vedi Popoli del Mare). La depigmentazione sopravvive in forma residuale ancora oggi particolarmente tra i berberi dell’Atlante in Marocco, che non raramente hanno occhi azzurri e capelli rossicci, come è anche testimoniato dagli spagnoli per i Guanci delle Canarie. Alcuni abitanti dell’Atlante Marocchino hanno dunque i caratteri propri degli abitanti di Atlantide che si riscontrano in molte culture. Una ulteriore prova che gli abitanti di Atlantide toccarono terra proprio in Marocco viene dai ritrovamenti di ruderi ad El-Arish, sulla Costa Marocchina, a sud di Tangeri; qui si trovano i ruderi di Lixus, dove gli antichi collocavano il favoloso giardino delle Esperidi, sede delle Figlie della Notte e dell’Oceano, pieno di pomi d’oro custoditi da un Drago. Il Drago, secondo alcuni, non è altro che una razza di Alieni chiamata Rettiliano, il Satana della Bibbia, mentre in questa mitologia appare anche la Gorgona che è stranamente presente in leggende al di qua ed al di là dell’Oceano Atlantico; sempre secondo alcuni anche dietro la Gorgona si nasconderebbe una razza aliena, quella del Ringhio o Alieno a 6 dita, praticamente il Diavolo della Bibbia. Le popolazioni stanziate a sud del Grande Atlante Sahariano non parlano più di Draghi ma di “Pietre” e “Torri volanti” e di “Spietate creature dalle cento braccia”, il cui ricor-

A proposito di Berberi, è clamoroso il documento venuto fuori nei primi anni ‘70 e pubblicato da Jimmy Guieu, ristampato nel Libro del Paranormale a tiratura limitata (Jimmy Guieu-1972 ed.Corrado Tedeschi), in cui una certa Lysianne Delsol dimostra di avere un documento incredibile custodito da generazioni dalla sua famiglia, che sarebbe nientemeno che la parte mancante della Bibbia scritta in prima persona da un autentico sacerdote Atlantideo di nome Jika, il quale parla degli Heliohim come i capostipiti degli Atlantidei e di Esseri con le ali chiamati gli dei venuti dalle stelle. Tale documento è certificato e firmato da Zeynouba Tahar, figlia del Principe Mohamed Tahar di Tunisia. Esso è talmente incredibile che meriterebbe un discorso a parte. Islanda, Atlantide esiste ancora Appare chiaro che una parte degli Atlantidei in fuga sia approdata sulle coste del Marocco, presumibilmente vicino a EL-Arishs a sud di Tangeri, mentre un’altra parte viaggiò verso le terre americane sia del nord che del sud; antiche leggende degli Indiani d’america parlano di “inviati divini di razza bianca venuti dall’oriente in un tempo molto lontano”. Una terza parte di Atlantidei raggiunse l’Islanda, o addirittura l’Islanda stessa era un isola di Atlantide, una sua appendice che si salvò dai terribili sconvolgimenti planetari del Grande Diluvio del 10.500 a.C., e questa colonia si trasferì poi in Egitto fondando l’Antico Egitto Predinastico che noi conosciamo. Le mura del Tempio di Medinet Habu recano iscrizioni che parlano delle ultime gesta degli Atlantidei, e narrano che essi venivano dalle “Terre degli Iperborei” del Mare del Nord. La tradizione centro-americana, secondo Churchward, dice che i Quetzal avevano la pelle bianca come il latte, gli occhi azzurri ed i capelli biondi e chiari, il che confermerebbe che gli scan-

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La lingua berbera o tamazight appartiene alla famiglia linguistica afroasiatica o camito-semitica. La sua estensione copre tutta l’Africa del Nord, dall’Oceano Atlantico fino all’Egitto occidentale; un tempo sembra che una varietà di berbero fosse parlata anche dai Guanci delle Isole Canarie. La lingua tamazight è stata duramente repressa negli anni passati dai paesi del Nordafrica che si proclamano “arabi” e procedono a sistematiche campagne di arabizzazione; e ancora oggi, in tali paesi, non esistono canali di diffusione scritta od orale prettamente berberi, o reti televisive berbere. Una rete televisiva satellitare in berbero è stata invece realizzata in Francia (“Berber TV”). Ultimamente sono nati due canali televisivi in lingua berbera rispettivamente in Marocco (Canale Tamazight) e Algeria (Tamazight TV).

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Quello che meraviglia è che la zona da cui proveniva quella che molti indicano come l’ultima Regina degli Atlantidei sembra essere la zona di approdo perfetta dopo una fuga dall’Atlantide situata nell’Atlantico, dove noi crediamo fosse situata. Evidentemente per millenni i discendenti di Atlantide, dopo essere sbarcati sulle coste orientali del Marocco, erano avanzati di pochi km. al suo interno e vi si erano stabiliti per ben 10.800 anni, prima che la Regina Antinea, forse esiliata dal Tafilet, raggiungesse la zona dell’Ahaggar da cui iniziò la civiltà dei Tuareg. Gli antichi Egizi conoscevano i thnw (nominati dal “Re Scorpione” di età predinastica, intorno al 3000 a.C.); da notare come il nome della tribù Thnw ricordi il nome Tin Hinan di Antinea: forse in lingua Atlantidea era una radice comune per indicare un luogo o una caratteristica propria di alcune persone, e questi Thnw sembrano essere gli attuali Berberi. Quindi, la Regina Antinea sembra provenire da quei luoghi.

do atavico terrorizza ancora tanto gli indigeni da indurli a non rivelare i luoghi nei quali si troverebbero le rovine popolate da questi esseri d’incubo, rovine che se venissero alla luce sarebbero forse di inestimabile valore archeologico. In realtà, per quanto si risalga indietro nel tempo, i Berberi sembrano avere popolato il Nordafrica fin dal Neolitico. Questo popolo è entrato nella storia già 5000 anni fa: popolazioni berbere sono infatti citate nei testi egiziani fin dal 3000 a.C.

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della donna in quella società. Contrariamente agli usi delle altre popolazioni islamiche, la società tuareg dava grande spazio alle donne, che non si velavano (a differenza degli uomini!), che avevano una libertà di costumi impensabile, e oltretutto erano titolari del diritto di trasmettere il potere ai capi supremi (amenukal) per via matrilineare. Da dove proveniva la Regina Tin Hinan o Antinea? Secondo molti studiosi Antinea giunse nell’Ahaggar provenendo dal Tafilalet (una regione del sud del Marocco).


dinavi ed in particolar modo gli Islandesi siano i discendenti diretti degli Atlantidei. L’Islanda è situata sulla frattura geologica del medio Atlantico ed il suo clima tuttora irrequieto potrebbe confermare che Atlantide aveva lo stesso clima ed affondò oltre che per lo slittamento dell’asse terrestre anche per cause locali; in essa infatti si trovano parecchi vulcani attivi, e circa il 10% della superficie è ricoperta da ghiacciai, per questo è chiamata anche Terra del ghiaccio e del fuoco. Inoltre ha parecchi geyser, e si trova in una zona di forti contrasti termici sia atmosferici (tra i tiepidi venti sudoccidentali e quelli freddissimi che scendono dalla Groenlandia) che marini. Inoltre il clima Islandese è inadatto all’agricoltura; esso rispecchia il clima di buona parte dell’intera Isola di Atlantide, che affondò in seguito al diluvio.

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Atlantide esiste ancora, o meglio, una sua parte, forse un tempo una sua Isola o una sua appendice: si chiama Islanda, nel Mare del Nord. Così come i discendenti degli Atlantidei. Sono i Berberi con fisionomia Europeide, i Tuareg, discendenti diretti dei Berberi, una tribù situata in America centrale, anch’essa formata da persone addirittura albine, e gli Islandesi stessi si possono definire i discendenti diretti degli abitanti del favoloso continente scomparso tra i flutti. Gli Egiziani moderni invece non hanno sangue Atlantideo, anche se la loro civiltà antica è strettamente collegata ad Atlantide, così come quella di alcuni Baschi e di alcuni Bulgari. Infine tra le popolazioni Italiane strettamente collegate agli Atlantidei scampati al disastro da citare quella dei Nuragici, Giganti vissuti millenni or sono e ben più vecchi di quello che ci dice la scienza ufficiale. Atlantide esiste ancora, non è più nell’Oceano Atlantico, dove regnò per 13.900 anni secondo Manetone, il prete e storico egizio autore di un papiro. Manetone definiva questo periodo come “il regno dei saggi di Atlantide”; esiste ancora, ma le persone che portano dentro di sè i geni ed il sangue della stirpe originaria scomparsa adesso vivono sparsi per il mondo, a dimostrare attraverso i loro caratteri somatici immutabili che il diluvio ha cancellato la loro patria di origine ma non la memoria fisica e spirituale del continente entrato nel mito. Che aspetto avevano gli Atlantidei? Che aspetto avevano gli Atlantidei, il favoloso e leggendario popolo che viveva su una gigantesca isola nell’Atlantico, la quale sprofondò per la caduta di un Asteroide il 4 Giugno 8496a.c. alle 20 in punto? Molti hanno provato a ricostruire le loro fattezze e i loro visi in base ad alcuni documenti rinvenuti in diverse parti del mondo, più che altro basandosi su descrizioni confuse e fumose derivanti da iscrizioni di popoli ormai non più esistenti: Maya, Inca, Toltechi, Aztechi, ecc. Io proverò a creare una elaborazione grafica dell’aspetto non degli Atlantidei originali, ma dei loro discendenti, i quali fuggirono da Atlantide in Scandinavia ed in Sassonia, e da li poi andarono a colonizzare buona parte del mondo; per fare questo mi servirò di una antica leggenda Maya, e se è vero che ogni leggenda è in realtà una cosa vera e successa in tempi passati e lontani, il cui ricordo tramandatosi oralmente o in scritti con il passare

dei secoli da un contorno di mitologia ad una cosa reale, allora possiamo considerare i miti e le leggende come fatti reali ma che il corso del tempo trasforma leggermente e da ad essi connotati mitologici. Sentiamo cosa dice la leggenda Maya: “Gli Dei Bianchi vennero in tempi immemorabili dall’oriente [...] gigantesche navi straniere vennero sul mare alla costa, navi con ali di cigno [...] ed era come se enormi serpenti strisciassero sull’acqua, tanto erano luminosi i fianchi di quelle navi. Quando le imbarcazioni toccarono la riva vi discesero uomini biondi, dalla pelle chiara e dagli occhi azzurri. Portavano abiti di stoffa nera, aperti davanti, con una scollatura rotonda, maniche larghe e corte. Sulla fronte gli stranieri avevano un diadema a forma di serpente”. Interessante notare che la descrizione di questi Esseri, che in seguito trasferirono le loro usanze prima in Scandinavia e poi in Egitto e presso i Maya, era simile a quella degli Spagnoli Conquistadores che il 22 Aprile del 1519 sbarcarono presso gli Inca e li sterminarono. Gli Inca gli chiamarono Viracocha, cioè il Grande Dio Bianco, ma la loro fiducia fu mal ripagata; questo per dire che il vestito nero, il copricapo nero, il mantello nero, unito ai capelli biondi, la pelle chiara e gli occhi azzurri erano una caratteristica degli Atlantidei. Con questo aspetto furono visti dai numerosi popoli che ne tramandarono le leggende, e con questo aspetto furono attesi con pazienza per secoli a rispettare la promessa degli Dei Bianchi che ritornano a portare via i popoli a cui hanno insegnato le Arti e la Scienza perduta. Prima di mostrare l’elaborazione ottenuta, soffermiamoci sul fatto che gli Atlantidei fuggirono in fretta e furia dalla loro Isola/Continente per stabilirsi in Scandinavia ed in Sassonia; ad esempio la città di Helgoland, una piccola isoletta della Germania, era chiamata Atland in tempi antichi; inoltre a Medinet Habu in Egitto, in una iscrizione collocata nel tempio omonimo, si possono leggere le gesta degli ultimi giorni degli Atlantidei prima di scendere in Egitto e fondare la predinastia Egizia: si parla di uomini con pelle e capelli chiari venuti dal mare del nord, i favolosi Iperborei, chiaro indizio che sia gli Scandinavi che i Sassoni sono di origine Atlantidea. Partendo dal pressupposto che gli Atlantidei fuggirono verso la Scandinavia e dopo, in epoche successive, colonizzarono anche l’Egitto, Creta e parte del Tirreno, e l’America centro meridionale, vediamo se alcune imbarcazioni dei loro discendenti corrispondono alla descrizione contenuta nella leggenda Maya. Il favoloso Drakkar Il drakkar è un’imbarcazione usata in tempi passati principalmente dai vichinghi e dai sassoni per scopi militari durante il Medioevo, per compiere viaggi esplorativi in Islanda e Groenlandia. Lo sviluppo del design tipico di queste navi fu il risultato di un’evoluzione durata secoli, che giunse alla forma più comunemente conosciuta intorno al nono secolo ma che fa presumibilmente risalire l’origine di questo tipo di imbarcazione a molti secoli addietro. Il drakkar è caratterizzato da una forma lunga (in media, attorno ai

PLANIMETRIA ISLANDA

RICOSTRUZIONE NAVE “DRAKKAR”


25 metri), stretta e slanciata, e da un pescaggio particolarmente poco profondo. Queste caratteristiche conferiscono all’imbarcazione una grande velocità e le consentono di navigare in acque di un solo metro di profondità, permettendo di avvicinarsi molto alla riva, e rendendo così gli sbarchi velocissimi.

ATLANTIDEI

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RICOSTRUZIONE DI

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“Navi con ali di Cigno, era come se enormi serpenti strisciassero sull’acqua, tanto erano luminosi e fianchi di quelle navi”; navi con ali di Cigno, cioè velocissime e perfettamente in equilibrio sulla superficie dell’acqua, e anche molto aggraziate a vedersi. Immaginiamoci una di queste imbarcazioni di oltre 20 metri con a prua, cioè davanti, un’enorme testa di serpente che scivola sull’acqua, perfettamente immobile ed in equilibrio e soprattutto silenziosissima; immaginiamoci la gran luminosità causata dagli scudi dei Vichingi, ex Atlantidei, e del sole che riflette su di essi, posti ai bordi dello scafo, o per confondere il nemico, o per evitare e respingere eventuali lance e frecce.

POSSIBILE LOCALIZZAZIONE DI ATLANTIDE

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Esistono tre tipi di drakkar: lo Snekke (snekkja), la nave di Roskilde, ed infine la nave Dragone, quella che interessa a noi. Le Navi Dragone, celebri navi vichinghe, erano particolarmente elaborate ed eleganti, ed erano usate dai vichinghi per andare i-viking, termine col quale si indicava l’attività della razzia e del saccheggio. La prua era tipicamente modellata a forma di bestie spaventose quali draghi e serpenti. Questa caratteristica adempiva al doppio scopo di proteggere la nave dai mostri marini della mitologia norrena e di terrorizzare i nemici dei vichinghi e gli sventurati abitanti dei villaggi costieri.

Fonti: www.turisanda.it, thuareg.com, tuareg gli uomini liberi, Wikipedia.org, Non è Terrestre di P.Kolosimo-1972, La Donna Eterna (She) di Harry Magden-1867, L’Atlantide di Pierre Benoît-1918, Il Libro del Paranormale di Jimmy Guieu-1972, ed.Corrado Tedeschi.

Biografia : Giuliano Scolesi Nato a Monte Argentario nel 1965. Inizia a interes- sarsi al mistero fin da piccolo, autodidatta, ha let- to centinaia di libri e migliaia di articoli su Enigmi legati ad Antiche Civiltà. Esperto di Fenomeni Ufo, Antichi Miti, Oopart, Profezie e Misteri di ogni ge- nere. I suoi lavori sono stati pubblicati da vari siti internet. Elaboratore grafico per hobby ha rico- struito graficamente diverse razze aliene avvistate nel mondo, fotografo del paranormale esperto di Energia e tutto ciò ad essa correlato. MAPPA DI PIRI REIS


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Paolo Rinaldini

GIONA Il Profeta della Colomba L

a colomba mi riporta alla mente Noè. All’epoca del diluvio, Elohim (dio) ripensa a Noè: «E fece passare un vento sulla terra e le acque si calmarono» (Ge 8,1). Grazie a ciò, il vetusto patriarca fa uscire dall’arca un corvo, e dell’uccello in seguito non si sa più nulla, non viene più citato o nominato. Il corvo, dal mio punto di vista, incarna la «morte alchemica», la Nigredo (Fase al Nero), indizio che il mondo, la società, o la cultura fino ad allora conosciuti cessano d’esistere. Noè non s’arrende e invia, al posto del corvo sparito, una colomba. Il termine «colomba», in lingua semitica, si traduce in ionah (Giona). Sappiamo che ella plana sulle acque alla ricerca della terra ferma, che altro non è che il «visibile», il «tangibile», quello che in ebraico ritroviamo con il termine «asciutto». La «colomba» viene liberata dalle mani di Noè, identica cosa avverrà nel Libro di Giona per Giona. Jonas, latino, è un nome che con il tempo è stato “italianizzato” in Giona, tuttavia deriva dall’appellativo originale ebraico Ionah, «Colomba». Contro la nave cui s’imbarca Giona si scatena una tempesta, e tutti sono propensi a immaginare che sia stato lui stesso a generarla, poiché in conflitto con dio, per cui i «salati», i marinai, si sentono costretti, per salvarsi, a gettarlo fuori dall’imbarcazione. Come Noè con la colomba. Tuttavia, cosa rappresenta la colomba per l’iconografia classica? Una messaggera! Essa va dove l’uomo fisico, il corpo, non può andare. Il racconto nella Genesi viene così esposto da Mosè: «Mandò (Noè) fuori la colomba per vedere se le acque erano diminuite dalla superficie del suolo. Ma la colomba non trovò un luogo dove posare la pianta del piede, e tornò a lui nell’arca perché sulla superficie di tutta la terra c’era acqua, ed egli stese la mano e la prese, e la riportò con se nell’arca. Aspettò ancora sette giorni e rimandò la colomba dall’arca. La colomba tornò a lui verso sera portando nel becco una foglia di verde uli-

vo; Noè si accorse che le acque sulla terra erano diminuite. Aspettò sette altri giorni ancora e rimandò la colomba che non tornò più a lui» (Ge 8,8-12). La colomba di Noè ha evidenti punti in comune con Giona, dato che anch’essa viene consegnata al suo «destino». Ma la prima volta i tempi non sono ancora quelli giusti, indi l’uccello torna sull’arca. L’arca è tutto ciò che la colomba conosce, l’unica cosa certa in un mare sconfinato d’incertezze. Come la nave per i marinai nel Libro di Giona. La colomba noetica non si nasconde, non rimane nei cieli in attesa che l’evento si compia, ma torna, al pari di un agnello, all’ovile, da dove è partita. Lo stesso fa Giona per scampare al proprio «destino», alla propria natura: va dalla parte opposta, torna indietro, ma il concetto resta pur sempre il medesimo. La colomba non viene trattata in malo modo da Noè, che non è punitivo nei suoi confronti, anzi attende sette giorni, un ciclo di creazione, una Genesi intera, per inviarla di nuovo all’esterno. «Aveva Elohim nel settimo giorno completato l’opera sua che aveva fatto, così nel settimo giorno cessò da tutta la sua opera che aveva compiuto» (Ge 2,2). Nel testo originale ebraico del Libro di Giona compare spesso il termine «sopra», che nel mio saggio Giona, come una Colomba nella pancia di una Balena, ho tradotto più volte con «veli». Questo poiché quello che ci sta «sopra» ci copre, ci vela. Per cui, necessitiamo di svelare. Il «sopra» può venire inteso come la «volta celeste», poiché essendo la fede ebraica, e di conseguenza anche quella cristiana, una religione uranica, il Cielo incarna il demiurgo, la parte nascosta del creatore, quella che la scienza definisce, con poca fantasia, Energia Oscura, che compone il 70% dell’intero universo. Questa idea, riportata da Giovanni e da Tommaso, mi ricorda Platone nel suo Timeo, ossia il concetto che l’uomo si rapporta all’UNO, così come lo descrive anche Plotino nelle Enneadi. Il primo capostipite di questo pensiero va


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certamente ricercato in Egitto, in Ermete il Trimegisto, il Tre volte Grande, «Tris Megas». Egli è la sorgente di questo principio, e il fatto che Gesù e i suoi illustri Apostoli fossero al corrente di ciò ci rende noto che essi conoscevano la filosofia egizia, per cui il concetto di UNO, portato in seguito avanti dagli Gnostici, che per la Chiesa divennero infedeli e perciò perseguitati. Gesù riferì: «Colui che cerca troverà, e a colui che bussa sarà aperto» (Mt 7,7-8; Lc 11,9-10). L’uomo cerca sempre, come una colomba, di volare «sopra», «oltre la cortina del cielo», e in tutta la sua esistenza non si è mai trattenuto nel farlo, fin dai tempi della Torre di Babele. Attraverso di essa, l’umanità pretendeva di raggiungere il cielo, il «sopra», ma lo faceva nel modo sbagliato (o così ci è stato insegnato). Ma poi ha compreso. Il messaggero che permette all’uomo di svelare ciò che lo vela, è la colomba. Quando Giovanni il Battista, sulle sponde del Giordano, amministra il battesimo a Gesù, dio fa comparire nei cieli, per l’occasioni dischiusi, una colomba, la sua messaggera. La colomba incarnava lo Spirito Santo. In tutti i Vangeli canonici, leggiamo: «Ed egli vide lo Spirito di Dio scender come una colomba» (Mt 3,16), «… e lo Spirito scendere su di lui in somiglianza di colomba» (Mc 1,10), «… e lo Spirito Santo scese su di lui in forma corporea, a guisa di colomba» (Lc 3,22), «… ho veduto lo Spirito scendere dal cielo, a guisa di colomba» (Gv 1,32). Ma cos’è mai lo «Spirito» se non l’essenza più affine all’elemento plasmatore demiurgico? A dio? L’uomo, con il tempo, ha compreso che la colomba era apportatrice di un messaggio, e ne ha saputo fare “buon uso”, nell’iconografia classica. Ogni qual volta l’umanità si trovava di fronte a un evento che poteva sconvolgerla e che avrebbe messo in discussione tutto ciò in cui credeva, in quell’occasione compariva, volutamente, una «colomba». Fu una colomba, nella fattispecie un «colombo», a scoprire il Nuovo Mondo. Cristoforo Colombo è colui che consegna all’umanità, in particolar modo alla Chiesa, il Nuovo Mondo, come una colomba lo fece per Noè. Ed è sempre una colomba a consegnare il Nuovo Mondo, lo spazio all’umanità, attraverso gli shuttlers Columbus. Tutto ciò è esplicativo. Non soltanto, ma ciò accade persino nella letteratura: in essa sussistono un’infinità di colombe o colombi, che dal nulla compaiono nei romanzi come ambasciatori di novità. Un colombo salverà Pinocchio dalla dispe-


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razione della morte. In Giona troviamo tradotto: «Buona è la morte più della mia vita». Se interpretiamo il passo alla lettera diviene: «E ora Signore prendi ti prego la mia vita (alito di vita) da me, perché buona la morte mia della vita mia». Egli chiede di morire, proprio come Pinocchio al cospetto della lapide della bambina dai capelli turchini (Fata Turchina). E vorrei ricordare Colombina, che darà il via al teatro goldoniano. Dobbiamo comprendere però che non sempre la colomba viene ascoltata. San Francesco, prima di rivolgersi nuovamente agli uomini, fece parola con gli uccelli. Dimostrazione che «Nessuno è profeta in patria» (Mt 13,57, Mc 6,4, Lc 4,24, Gv 4,44). A Gesù, quando egli si recherà a Nazareth, città cui viveva, dopo il suo lungo pellegrinare sotto le vesti di Messia, verrà fatto notare dai suoi paesani: «il Messia? Ma non è egli il figlio del falegname?» (Mt 13,53-58). Essi lo bollano come il figlio del falegname, poiché per loro lui non equivarrà mai al Messia, segno che il pregiudizio è duro a morire. La colomba è colei che scardina tale pregiudizio, infliggendo all’umanità l’obbligata speranza a un Nuovo Mondo. Obbligata, poiché evento inderogabile, che l’umanità, che lo voglia o no, deve accettare. Chi è pronto al cambiamento farà parte del Nuovo Mondo, gli altri correranno il rischio di capitolare. Con l’avvento del diluvio la terra mutò il suo volto, che l’umanità lo volesse o no! Con la scoperta dell’America il mondo cambiò, che l’umanità lo volesse o no! Con le missioni nello spazio, la nostra concezione muterà, che lo vogliamo o no! «Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Mt 19,19 e 22,39, Mc12,31, Lc 10,27), questo è il motto messo in bocca a Giona, poiché egli è mandato a liberare i suoi “nemici”, e non i suoi simili o amici. Egli non sarà profeta in patria. In patria egli non sarà neppure ascoltato. Questo dio lo sapeva, ed è perciò che il profeta viene mandato a Ninive, capitale dell’Assiria, acerrima nemica dei figli d’Israele. I niniviti lo sapranno ascoltare, ascolteranno Giona come mai avrebbero fatto i suoi compagni o compaesani, e giungeranno a meritarsi di vivere ancora, a differenza di Sodoma e

Gomorra, che capitoleranno. Le due bibliche città si rifiuteranno di cambiare, d’ascoltare le «colombe», i messaggi che giungevano dal cielo, e difatti finiranno con lo scomparire. Durante la scoperta dell’America, i commercianti che hanno saputo vedere oltre si sono messi al passo con i tempi e hanno approfittato delle nuove rotte commerciali; chi invece ha eluso tale possibilità, ritenendosi un conservatore, è finito in disgrazia. Per cui, conviene essere un conservatore o un progressista? Se avete ancora dei dubbi sfogliate il Vangelo di Giovanni: «La luce è venuta nel mondo, e gli uomini hanno amato le tenebre più della luce… perché chiunque fa cose malvagie odia la luce, e non viene alla luce, affinché le sue opere non siano scoperte. Ma chi mette in pratica la verità viene alla luce, affinché le sue opere siano manifeste» (3,19-21). In quelle poche righe vengono riassunti dei concetti millenari e moderni, e il passo si conclude con Gesù che dice: «Perché sono state fatte in dio», ossia sono messaggi divini, naturali... Il concetto qui esposto non è un passo bacchettone, che distingue ciò che è male da ciò che è bene, il bravo dal cattivo, tutt’altro! La colomba è apportatrice di luce, verità, perché pura e viene dal cielo. Saperla ascoltare equivale a salvarci, ossia a riconoscere noi stessi, a non essere una maschera che vive nel buio, perché coloro che indossano una maschera non vogliono che la propria faccia, sé stessi, si presenti dinanzi alla luce, poiché hanno qualcosa da nascondere. Questo qualcosa da nascondere può essere la propria opinione, otturata dal rischio di perdere le proprie deleterie certezze (che possono essere un lavoro angustiante, un compagno insopportabile, ecc…). Chi non sa ascoltare la colomba finirà con il deteriorare, perché essa oramai ha scardinato gli stereotipi, e coloro che ne rimangono attaccati finiranno per terminare nell’oblio del nulla, per poi, in ritardo, mettersi al pari con gli altri. Perché il messaggio della colomba è chiaro, in esso non v’è nulla da interpretare. Coloro che si fanno detentori del pensiero della colomba sono coloro che non vogliono cambiare; un esempio: com’è che nei Vangeli la parola del Cristo

viene sempre fraintesa e interpretata a secondo del tornaconto? E com’è possibile che nonostante ci siano in giro per il globo infinità di letture e testi mossi dalla miracolosa voglia di conoscere sé stessi, tutti continuino ancora a non capire niente di sé? «Simon Pietro disse loro (ai discepoli): “Maria (Maddalena) si allontani di mezzo a noi, perché le donne non sono degne della vita!”. Gesù disse: “Ecco, io la trarrò a me in modo da fare anche di lei un maschio, affinché anch’essa possa diventare uno spirito vivo simile a voi maschi. Perché ogni donna che diventerà maschio entrerà nel Regno dei Cieli”» (To 114). In questo passo Tommaso ha già indicato la «perfezione», ossia l’annullamento dei contrari (maschi e femmina, alto e basso, esterno e interno, maschile e femminile), che costituiscono l’aspetto fenomenico di una creazione perfetta così com’è! Attraverso la loro assimilazione si ricostituisce l’Adam, l’«umanità», quella priva delle tuniche di pelle, del corpo materiale. Il ritorno all’androgino, all’anthropos celeste, all’Adamo, che era perfetto nella sua interezza, ma lo è altrettanto nella sua divisione. Ricorda Aristofane, così come lo narra Socrate in Simposio, che esisteva un essere al pari degli dei, l’uomo-donna, l’androgino. Purtroppo (sciaguratamente aggiungerei), sussiste nella cultura lo stereotipo della donna incomprensibilmente succube, e per far comprendere all’umanità il concetto d’uguaglianza Tommaso è costretto a rapportare la donna all’uomo. Ma questo è quello che noi pensiamo, o meglio ciò che ci è stato insegnato. In realtà egli intende dire che la donna deve ricercare il suo maschile, come l’uomo il suo femminile, parti integranti di noi stessi. Ecco perché compare come messaggera/o la colomba, femminile, però in ebraico tale termine acquisisce una valenza anomala. Nella lingua dei profeti, per il plurale, viene utilizzata la desinenza im per le parole maschili, di contro oth per quelle femminili. Ad esempio, la parola ish, «uomo», essendo maschile diviene anashim, «uomini», mentre sefirah, «sfera», femminile, si tramuta nel plurale in sefiroth, «sfere». Ionah, «colomba», è un termine femminile ma al plurale muta la desinenza e acquista il suffisso maschile im, pur restando femminile, e si trasforma in ionim, «colombi». Ionah è femminile ma trasfigura in maschile al plurale,


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ciò significa che in questo termine è racchiusa la «completez-

za dell’essere», come nel Tao. Giona è una Shekinah, quindi è «consapevole», poiché senza consapevolezza tutto resta teoria, astrazione. La pienezza della missione, la sua effettività, si compie soltanto se noi siamo consci che essa è dentro di noi. «Che l’Amore è tutto, ed è tutto ciò che conosciamo sull’Amore», Dickinson lo sapeva, e lo sapeva anche Giona. «Se… non conoscessi amore, sarei soltanto suonante rame o tonante cembalo. Se… senza l’amore non sarei niente. Potrei… ma senza l’amore non sarei niente. L’amore… gioisce con la verità… » (Paolo 1 Cor 13,1-6). Questi se… potrei… spetta a voi riempirli!

Biografia : Paolo Rinaldini Scrittore, giornalista freelance, Esegeta, esperto in Filosofia e Teosofia, studioso di Simboli e Archetipi, Ricercatore, Alchimista, Esoterista, Operatore Tuinà, Radioestesista. Tiene seminari e corsi, nonché sedute individuali. Scrive per differenti mensili e riviste, con cui collabora e tiene conferenze. Il suo sito web è www.paolorinaldini. com. Delle sue pubblicazioni ricordiamo: Giona, come una colomba nella pancia di una balena Anima Edizioni, 2011


Sebastiano B. Brocchi

gli enigmi massonici del giardino di Palazzo Camuzzi

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a persona che mi consegnò quella mappetta gialla non mi spiegò apertamente perché avesse scelto di affidarmi quei documenti riservati; anche se sospettavo che la cosa avesse qualche attinenza con la Massoneria. All’interno, decine di fotocopie rivelavano, con descrizioni, planimetrie e vecchi disegni, la curiosa storia progettistica e botanica di un giardino dell’Ottocento, a me ben noto. Si trattava dell’estroso, romantico e misterioso parco di Casa (Palazzo o Castello che dir si voglia) Camuzzi, sicuramente il più originale edificio del nucleo storico di Montagnola (Collina d’Oro), il mio paese natale. Ai più, il nome Palazzo Camuzzi dirà ben poco, ma se aggiungessi che si tratta della dimora in cui soggiornò per alcuni anni lo scrittore Hermann Hesse (1877-1962), e dove oggi si trova il museo a lui dedicato, sono convinto che ad alcuni di voi sovverrà il ricordo. Qui hanno visto la luce romanzi come “Siddharta”, “Il lupo della steppa” o “L’ultima estate di Klingsor”. Torno ad osservare il contenuto della mappetta gialla. Non sono un botanico né un architetto paesaggista, né, del resto, un biografo di Agostino Camuzzi, creatore sia del Castello sia del giardino: scorrendo le pagine, contemplando la bizzarra miscela di stili che rende questo palazzetto signorile un oggetto d’arte di raro carisma, cerco ancora di intuire quale sia il mio ruolo in questa storia. È vero, ho citato il Castello e il suo progettista in due dei miei libri, ma questo non basta. Ho ragione di credere che il motivo per cui mi sia stato affidato questo materiale sia che nel libro “Collina d’Oro Segreta” (2005) sono sono stato il primo autore ad ipotizzare esplicitamente un coinvolgimento del Camuzzi nella Massoneria. Probabilmente, la persona che mi ha sottoposto il dossier si aspettava che io vi scoprissi qualcosa di utile ad avvalorare questa tesi. Il nostro Agostino Camuzzi (1808-1870) visse in un periodo in cui la società segreta dei Liberi Muratori si imponeva, soprattutto negli ambienti nobili e alto borghesi, cominciando ad influenzare non solo la politica, ma anche l’arte e la cultura del tempo. Influenzare, certo, e talvolta determinare, ma mai in forma palese. La Massoneria è ma soprattutto era, in passato, una società segreta, e come tale la sua azione pubblica è raramente percepibile agli occhi dei profani. Se oggi l’appartenenza alla Massoneria è da molti rivelata senza troppe remore di riservatezza, un tempo, e con ciò intendo dire anche al tempo di Agostino Camuzzi, la situazione era ben diversa. Soprattutto se si considera che in certi paesi si arrivò persino a vietare la Massoneria, come avvenne in Russia dal 1822 al 1905. E proprio in Russia, in particolare a San Pietroburgo, crebbe, culturalmente parlando, Agostino Camuzzi di Montagnola, che seppe costruirsi una discreta fama come architetto degli Zar. Si capisce dunque che, se effettivamen-

te il Camuzzi fosse stato un Libero Muratore, avrebbe verosimilmente cercato di non rendere pubblica la notizia. Non ne avrebbe parlato, ad esempio, nel ricco epistolario che tenne con alcuni famigliari e compaesani nei periodi d’assenza dalla Svizzera (cfr. “Montagnola San Pietroburgo”, a cura di A. Mari Redaelli e Pia Todorovic Strahl); così come probabilmente non avrebbe lasciato altri documenti scritti a testimoniare la sua appartenenza alla confraternita. A chi volesse indagare i risvolti esoterici della vita di Agostino Camuzzi servirebbe a poco, perciò, condurre un’estenuante ricerca d’archivio o passare le proprie giornate in biblioteca. Servirebbe, piuttosto, cercare di leggere tra le righe, e tentare di carpire qualche rivelazione dalla pietra delle architetture lasciateci in eredità dal Camuzzi, e forse, come vedremo, persino dal verdeggiante labirinto di fronde del giardino da lui progettato. Forse, solo così si potranno raccogliere indizi utili, e sebbene questi, probabilmente, resteranno indizi fugaci e nulla di più, potrebbero nondimeno gettare nuova luce su un passato quanto mai intriso di zone d’ombra e misteri come fu quello della Collina d’Oro. Nel già citato testo “Montagnola San Pietroburgo” leggiamo, a proposito della famiglia Camuzzi di Collina d’Oro, che la sua storia “ha inizio il 20 aprile del 1624 quando con atto notarile avvenne la permuta di beni tra Ottavio Camuzzi e figli, di Lugano, e Sebastiano Gorini, pure di Lugano. I Camuzzi cedono al Gorini i beni ch’essi posseggono a Cagno d’Uggiate (Stato di Milano); il Gorini cede ai Camuzzi i suoi beni di Montagnola. Nel corso dei secoli XVII e XVIII la famiglia è stata illustrata da eccellenti stuccatori. […] Capostipite del ramo bergamasco degli stuccatori Camuzzi è Muzio, già noto per le sue opere nel Luganese, battezzato nel suo paese natio, ossia nella parrocchiale di Sant’Abbondio di Gentilino e Montagnola, il 26 ottobre 1717, sposatosi nella stessa chiesa il 16 febbraio 1744 con Domenica Antonia figlia di Erasmo Somazzi di Montagnola, morto il 14 novembre 1777 in domo propria e sepolto nella suddetta chiesa. Dal matrimonio Camuzzi-Somazzi nacquero 13 figli, tutti battezzati nella stessa chiesa di Sant’Abbondio, tra i quali Matteo, portato al fonte il 22 novembre 1759, sposatosi a Sorisole (Bergamo) con Giovanna Aguti, donde, nel 1808, il futuro architetto Agostino, attivo a San Pietroburgo dal 1828 al 1854, colui che diede alla casa di Montagnola l’aspetto che ancor oggi conserva”. Arriviamo così alla nascita del Palazzo, che sorse sul sito di un castelletto preesistente del quale non conosciamo la storia né l’aspetto. Mario Agliati nel suo “Storia e Storie della Collina d’Oro”, ci dà l’ottima descrizione della nuova dimora nobiliare e del parco adiacente. “S’appresenta dunque quasi d’improvviso, giallo-bruna nel sole di contro all’azzurro del cielo, e su quel giallo il colore più chiaro di mascheroni criniti, o di ornati vari. Già alla prima vista balza innanzi nella

Planimetria e vista aerea del Palazzo Camuzzi


Ora, come anticipato fin dal titolo del presente articolo, la mia analisi lascerà in secondo piano gli enigmi e i simbolismi massonici dell’edificio di Palazzo Camuzzi (sui quali non escludo di soffermarmi in un’eventuale futura trattazione), concentrandosi, invece, su quelli del giardino. Parliamo, sarà bene precisarlo, di un parco non visitabile dal pubblico poiché privato, sebbene non vi siano barriere fisiche a delimitarne in modo chiaro il perimetro. Il giardino, dall’accentuata verticalità, è idealmente diviso in tre fasce da altrettanti sentieri che lo tagliano in orizzontale. I tre livelli sono percorsi e collegati tra loro da diverse scale. In realtà, ad eccezione della scala principale in muratura, situata nel livello più alto (dove il giardino si collega al palazzo), le altre sono piuttosto degli scalini scavati nel terreno, in un’ambientazione che, più si scende, allontanandosi dalla casa, più si fa naturale e “incolta”, fino a sembrare selvatica nel livello più basso. Quest’ultimo livello lo definiremo il “primo”, di conseguenza “secondo” quello intermedio e “terzo” il più alto, come si trattassero dei piani di

Cominciamo dai tre livelli. Non solo la Massoneria, ma quasi tutte le antiche dottrine iniziatiche e l’Alchimia (da cui la Massoneria attinge a piene mani i suoi simboli), sono strutturate su tre grandi livelli di affinazione dell’individuo, che passa da Apprendista a Compagno, per diventare infine Maestro. La Grande Opera degli Alchimisti si svolgeva in tre fasi maggiori: la Nigredo od Opera al Nero, l’Albedo od Opera al Bianco, e la Rubedo od Opera al Rosso (sulla spiegazione delle quali mi sono spesso soffermato nei miei libri). Si tratta come detto di gradi di progressiva affinazione, purificazione e crescita dell’uomo-piombo che deve diventare oro. Questo spiega perché il “nostro” giardino si presenti oscuro e quasi impenetrabile nel primo e più basso livello: ci troviamo nella “selva oscura” dantesca, il principio dell’Iniziazione. Il giardino, come l’Iniziato, viene plasmato e ordinato nei livelli superiori, man mano che si sale, in cerca dell’armonia. L’idea che Agostino Camuzzi abbia voluto indicare, nella struttura del giardino, un modello dell’ascesa iniziatica, viene in qualche modo avvalorata dall’aver posto, nella parte più alta, come passaggio dal giardino al palazzo, la scala in muratura. Questa scala consta di trentatré scalini. Trentatré sono i gradi della Massoneria di Rito Scozzese Antico ed Accettato. Di Massoneria scozzese si hanno le prime tracce nel 1743, ma è il 31 maggio del 1801 che venne fondato il primo Supremo Consiglio a Charleston, negli Stati Uniti. La scala di trentatré gradi rappresenta il cammino del fratello Libero Muratore alla ricerca della “parola segreta”, ovvero l’insegnamento ultimo che il maestro leggendario Hiram (architetto del tempio di Salomone) si rifiutò di rivelare agli apprendisti che lo minacciarono e che in seguito lo uccisero. Parlando delle altre scale nel giardino, situate ai livelli inferiori e più precisamente là dove idealmente situeremmo il passaggio da Apprendista a Compagno, e da Compagno a Maestro, incontriamo una prima scala dritta, e successivamente una serie di sentieri e scale ricurve, che salgono con anse parallele, simili

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Gli elementi che abbiamo finora indicato potrebbero sembrare poca cosa per costruire una lettura simbolica, massonica addirittura, del giardino di Palazzo Camuzzi. Spero di riuscire a smentire questa prima impressione. In realtà, è necessario soltanto riordinare i pezzi del puzzle.

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Ma a guardar dal giardino in su (meglio se dal giardino ghiaioso, di sopra), ecco poi che il palazzo o castello acquista tutta la sua ampiezza, per di così, scenografica: e sopra il porticato-atrio s’innalza magro, con un altro orologio tondo fermo a quell’ora, una sorta di corpo centrale, che va su a un terrazzino, e poi su su a una torretta con una cupola sostenuta da esili colonnine di legno, con l’incrocio delle banderuole che segnano i punti cardinali, e una campanella, […] e di qua e di là quel corpo […] ecco che apre i suoi bracci, i suoi corpi laterali, che son quasi quinte, sormontate da frontoni triangolari, dai colmi però scalettati. E a guardar bene è tutto un susseguirsi per quelle facciate, oltreché di triangoli, di cerchi, di rombi, di ellissi, geometrie che si ripetono ma anche svariano, e non son più elementari […]; sicché il tutto acquista caratteri eclettici, compositi, si dà un neogotico, un neomedievale, e per entro gelidezze neoclassiche e stravaganze barocche. L’aura è da romanticismo, perché qui siamo intorno alla metà dell’Ottocento; e da romanticismo piuttosto nordico, perché proprio del mondo d’un uomo che visse e operò per buona parte della sua vita nel nord […] Agostino Camuzzi, l’architetto”.

un edificio. Scopriremo, in centro al giardino, tra il primo e il secondo livello, la volta di una piccola grotta, che fa da tetto al laghetto artificiale. Infine, se è vero che le piante costituiscono un mezzo privilegiato di comunicazione simbolica, tra le specie botaniche che fanno da cornice a questo luogo così suggestivo parleremo di cinque in particolare, ovvero del glicine (Wisteria sinensis), che avvolge tra le sue spire una vasta area del parco; del tasso o albero della morte (Taxus baccata), di cui si contano sette esemplari nel primo livello del giardino; dell’albero di Giuda (Cercis siliquastrum), più volte citato dallo stesso Hermann Hesse, che cresce nel secondo livello insieme alla magnolia (Magnolia grandiflora); e delle palme (Trachycarpus fortunei), che svettano nel terzo livello.

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costruzione una leziosità elegante, estrosa, fin a momenti scherzosa: e l’impressione più o men si conferma a considerar le cose da presso. Passiam per un breve androne o atrio, dal soffitto mosso da decorazioni a stucco, a mò di foglie e di fiori, e di fronte ecco un orologio ottocentesco […]; e oltre quel bel porticato siamo a dovere scender per una breve scaletta di sasso, che ci porta in un giardinetto ghiaioso a terrazza, e di poi, per altra scaletta, in un giardino quasi en negligé, un giardino-bosco digradante a terrazzi e quasi scosceso, dove i sentierini si fan largo a malapena tra intrichi d’alberi. E in un umidore diffuso e costante, col cielo che appena s’intravede a sprazzi, ecco sopra lo specchio verde-bruno d’un minuscolo laghetto attorcersi variamente un glicine possente, che s’attacca ad alberi e alberoni, gira per l’intrico di altri rami e tronchi, sorprendentemente ritorna e riparte, per finir chi sa dove, quasi divertendosi a menar l’occhio del visitatore dentro un oscuro laberinto […].


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ai serpenti del caduceo di Mercurio, o ai due flussi della Kundalini di tradizione orientale. Così, nella loggia massonica, “Mentre nella tavola dell’apprendista l’iniziazione avviene percorrendo in salita una scala diritta – come manifestazione della volontà iniziale, che succede a una proiezione – qui al fratello progredito si presenta ormai una via ricurva, nella forma di una scala a chiocciola, sulla quale non si sa più dove siano principio e fine. Qui, ora, giunge a compimento il lento e organico processo della maturazione spirituale” (da Alexander Roob, “Alchimia & Mistica”).

considerato il più antico degli alberi” (da P. Galiano, “I Templari e il Giardino Iniziatico”).

La grotta e la fonte d’acqua sono un altro epicentro simbolico del giardino, e questo non solo a Palazzo Camuzzi, ma in molte tradizioni spirituali, tra cui quella Sufi (cfr. ad esempio Aldo Strisciullo, “Architettura islamica, il giardino e le sue simbologie”, riflessioni.it). Da sempre la grotta e l’acqua sono viste come immagini del femminile e dell’utero materno, da cui la necessità di un regressus ad uterum; e indicano la necessità di recuperare il cuore, il centro del labirinto, del sé.

La magnolia, simbolo del “Centro, o, se si vuole, il punto primordiale che produsse il big-bang da cui poi si originò l’universo. Simbolicamente il Cuore di un maestoso albero sempreverde, dai vistosi fiori bianchi, in sintonia con il suo stato di Purezza, di Albero della Vita, di Albero Cosmico” (Menghini), indica che l’Iniziato si è liberato di ciò che adombrava il suo nucleo divino, e il suo spirito tornato all’Innocenza non è più turbato.

Il glicine, che serpeggia quasi onnipresente nel giardino, nel linguaggio dei fiori è simbolo di fratellanza. Nell’antica Cina, infatti, la crescita del glicine, saldamente avvinghiato al suo supporto, lo ha reso espressione di un profondo legame di amicizia. I Massoni hanno sempre celebrato il valore della fratellanza, basti pensare al ruolo avuto dai Liberi Muratori nell’imporsi degli ideali della Rivoluzione Francese, o nell’attribuzione del nome Philadelphia (Amore fraterno), tanto alla celebre metropoli statunitense della Pennsylvania, quanto all’omonima città calabrese. Così come il glicine unisce idealmente i livelli del giardino di Palazzo Camuzzi, così l’amore fraterno, superando i limiti della sfera parentale ed estendendosi all’umanità tutta, dovrebbe condurre le azioni di ogni uomo. Veniamo infine al tasso, all’albero di Giuda e alla palma, tre specie botaniche il cui significato è strettamente connesso alla morte e alla resurrezione. Nel primo livello del giardino, troviamo il tasso, chiamato anche albero della morte. Rappresenta la Nigredo, il Gabinetto di Riflessione nel Tempio massonico, la morte al mondo e l’ingresso nella Via iniziatica. Esso indica la fase detta della Melancolia, o Notte saturnina, la discesa nelle viscere della terra interiore. L’isolamento spirituale del pellegrino che si mette in cerca del significato della vita, e in questo senso è paragonabile ad una morte, un distacco definitivo da un certo livello di vita, l’ingresso in uno nuovo, la speranza di ritrovare l’essenza perduta oltre la corteccia del superfluo. “Il tasso (Menghini pag. 148), albero sempreverde con fogliame di colore scuro, ha fama di albero funerario, anche in quanto ad esso è associata fama di tossicità per uomini e quadrupedi, per cui Isidoro lo chiama “venenata arbor” (XVII 40); esso è noto come “albero della morte”, le Furie usavano fiaccole di legno di tasso e nel Macbeth le streghe adoperano rami di tasso per i loro decotti. Nel mondo celtico e irlandese in particolare il tasso è associato sia con l’idea della morte che con quella del guerriero e della sapienza, in quanto il legno di tasso era supporto per la scrittura ogamica (Chevalier-Gheerbrant sub voce): esso è

L’albero di Giuda, in quanto appartenente al gruppo delle acacie, è albero massonico per eccellenza. L’acacia, infatti, indica la seconda morte iniziatica, quella che conduce alla Maestria, alla Rubedo alchemica, la morte al Sé, l’ingresso nell’Unità del Tutto. Nel rituale di loggia, alla domanda “Siete voi un Maestro Massone?”, colui che ha conseguito la Maestria risponde: “Conosco l’acacia”.

Questa rinascita ad un grado più alto di umanità è rappresentata, nel giardino, dalla palma, albero della vittoria e della resurrezione. Non a caso, il nome greco della palma era phoenix, fenice. Colui il quale, oltrepassando le palme della resurrezione e avendo scalato i 33 gradini dell’iniziazione, accede al terrazzo superiore e dunque al palazzo, fa il suo ingresso in un cortile di forma trapezoidale, che soltanto se osservato dall’alto (da una planimetria o da una fotografia aerea), rivela il suo segreto: il trapezio, insieme al cerchio della cupola sulla torretta campanaria, completa quello che è uno dei simboli maggiori della Massoneria. Stiamo parlando della piramide tronca, sormontata dall’Occhio Onniveggente di Dio, il Grande Architetto dell’Universo. E forse è proprio questo il messaggio enigmatico del giardino di Palazzo Camuzzi, il quale, con questo percorso, sembra suggerire all’uomo la possibilità di ricongiungersi alla propria scintilla divina, dopo aver oltrepassato la selva, i sentieri, le ombre e le scale che conducono al cuore. Biografia: Sebastiano B. Brocchi Originario di Montagnola (Svizzera) e oggi residente in Francia, è nato il 18 marzo del 1987 da Mauro e Grazia. In terza liceo lascia gli studi per diventare scrittore e ricercatore autodidatta nel campo della storia dell’arte, della filosofia ermetica, della simbologia sacra e dell’alchimia interiore. Dal 2008 è autore di una rubrica di esoterismo sul noto portale culturale www.riflessioni.it, intitolata “Riflessioni sulla Simbologia”. Nel 2011 inizia la col laborazione con il portale “Ticino Mixed”, e con la rivista “Oltreconfine”, sulla quale cura la rubrica “Le sorgenti del mito”. Tra i suoi libri ricordiamo: Collina d’Oro Segreta (2005), Riflessioni sulla Grande Opera (2006), Favole Ermetiche (2009), e...

L’Oro di Polia Kimerik, 2011

Interni ed esterni del Palazzo Camuzzi


Herman Hesse

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Vincenzo Di Gregorio

s to N e h E N G E WWW.ANTIKITERA.NET

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Molti di voi (se interessati ai “misteri”) si saranno, almeno una volta nella vita, imbattuti nel portale di Antikitera. net.

RunaBianca

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l E v e r i tA ' s c o m o D E

E’ stato da me fondato nel lontano 2002 insieme ad un gruppo di amici, al fine di creare una finestra aperta a tutte le NEWS degli argomenti che ci interessavano... allora come oggi! Un portale vero e proprio che ha nel tempo “archiviato” ogni notizia, ordinandola per argomento e genere... di fatto negli anni è diventato l’archivio dati italiano più grosso esistente nel web. A tutt’oggi sono presenti nel suo database oltre 11376 news e recensioni a 589 libri... ed è in costante aumento. Per facilitare la consultazione di questa enorme biblioteca, abbiamo inserito una funzione di ricerca che utilizza gli algoritmi di Google per cercare al suo interno tutte le news che hanno attinenza con una PAROLA chiave. Oggi proviamo a vedere cosa succede inserendo la classica, arcinota e arciritrita parola STONEHENGE. Su Stonehenge si è scritto di tutto e di più, ed a volte anche a sproposito. E’ interessante vedere che inserendo questo termine nel motore di ricerca di Antikitera vengono visualizzate 5 pagine contenenti 126 notizia, la più antica risalente all’ Aprile 2001. Undici anni di ricerche intorno a questo storico monumento, undici anni di dati, analisi, prove, elaborazioni, scoperte… tutte puntualmente documentate dal nostro portale. Ci si potrebbe scrivere un libro... ed allora (ci si è detti) perché non un articolo? Un modo per fare il punto della situazione su quello che, nell’immaginario collettivo, è il simbolo dell’archeologia misteriosa. Quelle pietre riunite in cerchio hanno fatto discutere molti archeologi e non... quelle pietre, se potessero parlare, ci racconterebbero di quante persone si siano aggirate tra loro: folle di turisti, scienziati e cultori della newage, archeoastronomi e nostalgici di riti celtici, novelli druidi (incappucciati come il Ku Klux Klan) o ricercatori del suono... tutti attratti da queste pietre innalzate…

QUANDO Il 5 Ottobre del 2011 viene scoperto un cosiddetto “tesoro” (archeologico) vicino alle pietre di Stonehenge, costituito da due anatre scolpite (le prime del genere in Inghilterra), che insieme ad altre figure di animali venivano intagliate e poi gettate nell’acqua come offerta. Ma, mentre le anatre risalivano al 700 a.C., è stato rinvenuto anche un pugnale rituale molto più antico (1400 a.C.) ed un dente di mucca risalente a 6250 a.C. Insieme al dente di mucca si sono trovate moltissime ossa di animali, tra cui anche un cerbiatto estinto che aveva le dimensioni di un bufalo. Queste ossa erano immerse in un letto di cenere che ha confermato la prima idea che fossero lì come prova di offerte rituali (a cui seguivano abbondanti libagioni). Quindi, molti millenni PRIMA della costruzione delle Pietre di Stonehenge, quei prati erano considerati sacri e venivano officiati riti religiosi con sacrifici di animali agli dei di quel periodo. Ma quel popolo prima di decidere di innalzare quei monoliti fece delle “prove”, realizzando dei cerchi simili in un materiale molto più semplice da lavorare: il LEGNO. Il 22 Luglio del 2010, utilizzando delle particolari foto satellitari, gli archeologi hanno scoperto che vi era un anello di “pali” in legno che formava un cerchio molto simile a quello di Stonehenge a circa 900 metri di distanza da quello in pietre. La datazione assegnata è circa 4500 anni. E’ come se i costruttori di Stonehenge avessero voluto fare delle prove sulla stessa pianura prima di decidersi a scolpire e trasportare quelle centinaia di tonnellate di roccia da centinaia di chilometri di distanza. COME ...E sul COME si potrebbero scri-

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Queste sono solo alcune domande a cui un’attenta lettura dell’archivio messo online gratuitamente da Antikitera.net può riuscire a rispondere.

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A questa conclusione è giunto il 19 settembre del 2011 il direttore creativo della “heritage Data Solution” (Henry Rothwell), quando la sua società ha avuto l’incarico di realizzare un modello di simulazione 3D per un’applicazione smartphone chiamata “Viaggio a Stonehenge”. Nel disegnare il modello dei cerchi di Stonehenge ci si era avvalsi di foto aeree a bassa risoluzione... usate da sempre dagli archeologi per disegnare il cerchio di pietre. Ma quando sono state confrontate con quelle satellitari dell’ultima generazione, ci si è accorti che vi erano dei fori nel terreno che non rientravano nel cerchio “canonico”, ma che combaciavano perfettamente se il “cerchio” si stirava fino a diventare un’ ELLISSE! ...e nell’applicazione per lo smartphone Stonehenge è diventata un’ellisse (foto 2).

Lavori di innalzamento blocchi dell’attuale Stonehenge

Si discuterà sicuramente per molto tempo di queste e di altre interpretazioni su questo cerchio di pietre, anche perché nel tempo le stesse sono state AMPIAMENTE modificate dalla comunità insediata. L’archeologia, quando decide di ripristinare le condizioni di un sito archeologico, solitamente tende a preservare il monumento dal degrado del tempo, cercando di RISPETTARNE le parti superstiti. Un restauro infatti NON può ricostruire le parti mancanti, pena lo stravolgimento e la falsificazione dell’intero monumento.

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Maggio 2012 vere interi capitoli. Ci si è scervellati per decine di anni per capire come si siano alzate e trasportate queste pietre. Qui di seguito alcune delle teorie più in voga. Innanzitutto, se si avesse la pazienza di leggere le 126 pagine di Antikitera su questo argomento, ci si accorgerebbe del fatto che tutto quello che abbiamo sentito dire su Stonehenge è quantomeno... da “rivedere”. Non si ha certezza quasi di nulla, neanche che sia un CERCHIO di pietre. Si tratta infatti di un OVALE!

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Pagine trovate dal motore di ricerca di Antikitera per la parola: STONEHENGE


A Stonehenge purtroppo è stato fatto questo tipo di intervento.

numento eretto dai sacerdoti DRUIDI... di “celtica” cultura.

Quello che noi oggi vediamo e fotografiamo è la RICOSTRUZIONE avvenuta all’inizio del ‘900 di sassi, monoliti e pietre che giacevano in ordine sparso su quella radura e che sono state MESSE NELLA POSIZIONE ATTUALE da ruspe e gru da inglesi desiderosi di RI-CREARE un monumento distrutto del loro passato.

Ancora oggi possiamo assi-

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Il velo di questo “falso” l’ha sollevato un ragazzo di Bristol, Brian Edwards, che alle prese con una tesi di storia si è imbattuto nei meandri di una biblioteca londinese, nelle foto risalenti agli inizi del ‘900 che mostrano degli operai di epoca vittoriana intenti con cazzuola,gru, e funi a COSTRUIRE il monumento di Stonehenge.

aNel 1901 hanno ricostruito, spostato, innalzato, sistemato, riallineato quei monoliti che milioni di “fedeli” presumono INTATTI, e di cui adorano la geometria, credendoli un computer preistorico, un orologio neolitico, o addirittura il regalo di una civiltà superiore sbarcata sulla Terra per consegnarci la Conoscenza. aNel 1919, l’anno dopo che Sir Cecil Chubb, proprietario del terreno, vendette tutto al governo per poco più di 6000 sterline, SEI grandi pietre furono rimosse ed innalzate in posizione verticale, agli ordini dell’energico colonnello William Hawley, entusiasta membro della nascente “ STONEHENGE SOCIETY”. aAltri TRE monoliti furono spostati da una gru nel 1959. aIn quell’anno a uno dei giganteschi “trilithos” venne messo un cappello di pietra. aNel 1964 ben QUATTRO pilastri “neolitici” furono cambiati di posto. La Stonehenge che vediamo adesso è un’OPERA DEL XX SECOLO. Senza questi lavori, ammettono gli stessi archeologi dell’English Heritage, Stonehenge avrebbe “un aspetto molto diverso”. Pochissime pietre sono esattamente nello stesso posto dove furono erette 4000 anni fa. A riprova di ciò basta osservare i dipinti di Costable e Tuner, che raffigurano una distesa di enormi pietre rovesciate, sradicate dal tempo, smosse dalle intemperie, e non quel circolo perfetto che possiamo fotografare recandoci oggi in Inghilterra. Sulle guide e gli audiovisivi del “trust” che cura la conservazione del luogo e incassa i proventi di un milione di turisti all’anno, c’è appena un vago accenno a generici lavori di “rafforzamento delle pietre”. Fino agli anni ‘60, per la verità, i depliant erano un pò più chiari. Poi, l’esplosione di massa del fenomeno Stonehenge dovette consigliare una robusta censura. Un altro luogo comune che gira intorno a Stonehenge è che fu un mo-

stere a delle “celebrazioni “ da parte di “moderni druidi”, che nel solstizio d’estate si recano in questo luogo a rinnovare le loro preghiere e i loro riti. Peccato che i Druidi siano “nati” oltre 1500 anni DOPO che le pietre di Stonehenge erano state issate in quel luogo. I Druidi infatti erano i sacerdoti dei Celti e la cultura Celtica più antica risale a 1200 a.C. (nata per giunta in Italia tra le zone montuose e collinari tra il Varesotto ed il Bresciano, poi diffusa in tutta l’Europa, Inghilterra compresa). Le pietre di Stonehenge risalgono al 2000/2500 a.C. e si ignora tutt’ora quale sia la popolazione che ha eretto questo monumento. Ma veniamo alla descrizione della sua struttura, o almeno alla ricostruzione di come doveva essere ai tempi della sua creazione (con tutti i distinguo di cui sopra). Il circolo esterno Le pietre del circolo esterno sono trenta, di una qualità particolare di arenaria, poste a formare un cerchio di trenta metri circa di diametro. I massi posti verticalmente sono alti circa quattro metri e larghi due, e supportano degli architravi posti orizzontalmente che conferiscono maggiore continuità al cerchio. Notevole l’incastro a “tenone e mortasa” che collega in modo pratico e sicuro gli architravi orizzontali ai sostegni verticali. Il circolo di Bluestone

Riti commemorativi di “moderni druidi”


È formato da trenta rocce ignee bluastre, chiamate per l’appunto Bluestones. Sono alte circa due metri, e tranne due sono tutti massi grezzi. Le uniche due Bluestones lavorate hanno un buco a “mortasa” nel centro, probabilmente usate come architravi per i triliti centrali e poi riutilizzate come semplici pietre verticali. I triliti interni Il termine triliti, coniato nel 18° secolo da William Stukeley (dal termine Greco “tre pietre”), sta ad indicare le strutture formate da due pietre verticali che sostengono un architrave orizzontale. Il circolo interno originale era formato da cinque triliti, che sembravano formare altrettante porte o finestre verso diversi punti cardinali e astronomici. Il 2° circolo interno di Bluestones All’interno del circolo di triliti troviamo un secondo circolo di Bluestones, originariamente in numero di 19. Di queste, poste in altezza crescente verso sud-est (da un metro e ottanta a due e quaranta), rimangono oggi solo sei pietre.

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Deposta nel terreno, all’apice del cerchio di triliti, giace una tavola di pietra arenaria grigio-verde differente dalle altre, di cinque metri circa, spaccata in due parti e semisepolta dai resti dei triliti crollati. Il suo nome, l’Altare, così come quello di Slaughter (massacro), deriva dal folklore popolare che identificava con la stessa un sito pagano e

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L’altare di pietra

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Una delle ipotesi avanzata per spiegare come son stati portati a Stonehenge i blocchi dei monoliti. Avvolgendoli con una serie di fascine di vimini (abbondanti in zona) e facendoli rotolare (via terra) o facendoli galleggiare (via mare)

sacrificale. Sempre riguardo al “COME”, vi erano da risolvere diversi quesiti inerenti l’origine dei varie tipi di pietre impiegate, il trasporto ed la successiva messa in opera. In questi ultimi anni molti di questi quesiti hanno avuto risposta. Per il tipo di pietre usate, ciò che dava più problemi era determinare il luogo di provenienza delle Bluestones, non fatte di materia“locale”. Dopo vari studi si è arrivati alla certezza della loro localizzazione (21 Dicembre 2011): i geologi Robert Ixer dell’università di Leicester e Richard Bevins del National Museum of Wales hanno identificato un sito nei pressi di Pont Saeson, nel Pembrokeshire (Galles), come fonte esatta di alcune delle pietre Bluestone. Anche la datazione è stata determinata con sufficiente precisione ed è concorde con l’epoca di costruzione di Stonehenge. Resta da capire come sia stato possibile portarle sino a Stonehenge


da 250 km di distanza. Vi sono sostanzialmente due ipotesi. La prima è che i blocchi si siano avvicinati all’area del famoso cerchio grazie al ritiro dei ghiacciai. Le Bluestones sarebbero quindi, in base a questa ipotesi, quello che si chiama in gergo “massi erratici”. La seconda ipotesi prevede il trasporto di questi blocchi megalitici a mezzo di chiatte via mare sino alla costa più vicina. Tra le due possibili spiegazioni quella che sta avendo il maggior credito è la prima, in quanto non si sarebbero trovati segni di estrazione di queste enormi pietre... sinora! Mentre vi sono una miriade di ipotesi su come le avrebbero trasportate via terra e sollevate in posizione verticale. Tra le tante vi segnalo quelle che ci sembrano più “creative”. Per il trasporto ve ne sono due che cercano di riprodurre questa operazione molto complessa con le tecnologie ed i mezzi fisici di quei tempi: La prima è con una specie di “ceste di Vimini”.

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La seconda è con una sorta di “cuscinetti a sfera”. Quella dei cesti di vimini è di un certo Gary Lavin, che ha ipotizzato che avvolgere le Blustones con un grosso fascio di vimini avrebbe potuto facilitare il loro trasporto sia via mare/fiume, sia via terra, facendole rotolare su se stesse (magari aiutate da buoi). “Le strutture di vimini erano ovunque al tempo - ha dichiarato Lavin - sono state anche scoperte delle sorgenti piene di manufatti di vimini. Si tratta di prendere quella tecnologia e utilizzarla in un nuovo modo”. La sua ipotesi è stata messa alla prova la scorsa estate nei pressi di Stonehenge: Lavin è stato in grado di spostare una pietra di una tonnellata grazie ad un telaio che lui stesso ha costruito. Il passo successivo sarà quello di mettere alla prova la gabbia di vimini con una pietra da cinque tonnellate. L’altra ipotesi sembra quasi fantascientifica: quella

dell’uso di piccole sfere per far scivolare queste enormi pietre. Tuttavia si basa anche questa su elementi concreti. il 18 Novembre del 2010 Il Professor Bruce Bradley, direttore di archeologia sperimentale presso l’Università di Exeter, ha constatato come intorno a Stonehenge siano state ritrovate numerose pietre di forma sferica a cui sinora quasi nessuno aveva fatto caso, attribuendole a qualche offerta votiva. Egli è arrivato a formulare l’ipotesi che i blocchi potessero essere stati trasportati attraverso l’appoggio su elementi in legno che scorressero su dei binari, sempre in legno... e che tra le due superfici fossero state frapposte queste sfere di pietra, che fungevano da


Quello che siamo in fondo lo dobbiamo proprio a loro ed alla loro capacità di lasciarci segni tangibili della loro grandezza. LE ALTRE STONEHENGE Stonehenge è sicuramente il

Sempre dall’archivio di Antikitera ricaviamo un’elenco di cerchi di pietra in varie parti del mondo: a SVEZIA : Un cerchio di pietre più antico

di quasi mille anni rispetto a Stonehenge http://www.antikitera.net/news. asp?ID=11564&str aGERMANIA : http://www.antikitera.net/ news.asp?ID=10906&str a ITALIA : Nuvolera (brescia)http://www. antikitera.net/news.asp?ID=10458&str a COMO http://www.antikitera.net/ news.asp?ID=7575&str a LAZIO: Monte SAMBUCARO http://www.antikitera.net/news. asp?ID=11436&str a MAROCCO : MZORA http://www.antikitera.net/news. asp?ID=9910&str a CAUCASO: Kislovodsk (russia ) http://www.antikitera.net/news. asp?ID=9270&str a CANADA: Alberta canadese http://www.antikitera.net/news. asp?ID=3808&str a LAGO MICHIGAN http://www.antikitera.net/news. asp?ID=3847& a CINA : Taosi http://www.antikitera.net/news. asp?ID=8424&str a MACEDONIA: Kokino http://www.antikitera.net/news. asp?ID=8230&str a FRANCIA: Kerdruelland http://www.antikitera.net/news. asp?ID=7319&str a BRASILE: nello stato d´Amapa http://www.antikitera.net/news. asp?ID=3674&str a SCOZIA: Isola di Lewsi nelle Ebridi esterne http://www.antikitera.net/news. asp?ID=1301&str a TAGIKISTAN: Nella regione del PAMIR http://www.antikitera.net/news. asp?ID=5859&str a MASSACHUSETTS: a BURNT HILL http://www.antikitera.net/news. asp?ID=1713&str

...e sicuramente l’elenco non è nè completo nè esaustivo. Altrettanto certamente si allungherà nei prossimi mesi/anni con nuove scoperte che si faranno in tutto il mondo e noi saremo qua a registrarle e a documentarle.

Un’interessante video sulle capacità di un solo uomo di smuovere grandi masse

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Nessuno di noi potrà mai sapere quale sarà la verità su questi ed altri aspetti del nostro passato, ma sicuramente l’ingegno umano e la capacità di “arrangiarsi” con le risorse che la natura offriva è stata via via DIMINUENDO nel tempo, piuttosto che aumentare.

Il mondo sembra pieno di questo tipo di costruzioni che sicuramente espletavano due scopi: uno pratico (misurazioni astronomiche molto utili ad un popolo di agricoltori), e anche una funzione religioso/rituale, come dimostrano le centinaia di ossa di animali sacrificati agli Dei ritrovate molto prima della costruzione del “cromlec” di Stonehenge.

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Nella descrizione dei vari modi di COME può essere stato realizzato un complesso di monoliti così imponente non può essere ricordato la dimostrazione che ha fatto W.T. Wallington che da SOLO e con l’aiuto di pochi assi di legno e qualche bidone di vernici, è riuscito a sollevare e a mettere in piedi un monolite da 5 metri di altezza.

più famoso cerchio di pietre...ma non è l’unico.

RunaBianca

cuscinetto. Una lubrificazione con grasso animale avrebbe reso il tutto realizzabile. Ipotesi che ritengo personalmente poco realistica, ma che ha il vantaggio di dare un’altra interpretazione alle decine di sfere ( di tutte le dimensioni ) che si trovano sovente vicino a siti archeologici megalitici in varie parti del mondo.


BANCHE LE PADRONE DEL MONDO

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Ludovico Polastri

“Datemi la possibilità di emettere moneta e dei Governi e di chi fa le leggi non me ne importerà nulla” .........Nathan Rotschild

P

arlare di economia su un giornale di scienza e misteri può essere fuori luogo se non fosse che i cambiamenti che stanno avvenendo intorno a noi ci spingono ad alcune riflessioni. Più che mai oggi i fattori economici influenzano ed influenzeranno sempre più la nostra quotidianità; parole come spread, cds, fiscal compact, default sono entrate nel nostro vocabolario quotidiano, le leggiamo un pò ovunque e spesso ci chiediamo come si possa essere arrivati a questo punto e quale possa essere una chiave interpretativa. Premetto che in nessuno stato democratico al mondo si era mai verificato quello che è successo nel nostro paese, ossia che un Presidente della Repubblica esautorasse un governo eletto democraticamente ed instaurasse nel giro di qualche giorno un esecutivo non eletto dal popolo, con a capo un nome, quello di Mario Monti, estratto dal cilindro della finanza europea ed internazionale, commissario UE (1) . Così facendo, la politica è diventata servitrice della finanza, e noi tutti siamo diventati elementi di studio economico in mano a professori universitari che si stanno permettendo di applicare direttive sovranazionali, scavalcando a piè pari gli organi istituzionali.

sbarcata anche in Europa. Le regole introdotte dal presidente Roosevelt dopo la crisi del 1929 per tenere sotto stretto controllo i lupi sono state smantellate, lasciando libero sfogo alla creatività finanziaria.

Questi fatti esigono dunque un’interpretazione, sia storica che culturale. Se non capiamo le radici di questo cambiamento, non potremo capire neppure cosa accadrà nel futuro. Alcune cifre possono dare la dimensione del problema. Nel 2002 per ogni dollaro di bene o servizio prodotto ce n’erano 9 generati dal settore finanziario, oggi ce ne sono 14. La differenza tra mondo reale e finanza è passata da 285 mila miliardi di dollari nel 2002 ai 790 mila miliardi di oggi.

Mai come oggi, la popolazione dell’Unione europea si sente lontana dagli ideali di pace e solidarietà dei padri fondatori della Comunità Economica Europea nel 1957. Esiste inoltre un’altra somiglianza tra l’Unione Europea e l’ex-Unione sovietica, che in realtà è ancora più preoccupante per le sorti del Vecchio continente: oggi i politici al governo nell’Unione Europea si illudono che gli attuali spasmi della crescita economica possano essere curati agendo sull’offerta, che pretendono di aumentare attraverso una serie di liberalizzazioni “alla Mario Monti”. In realtà, per chi sa ragionare fuori dagli schemi ideologici, la crisi attuale è dovuta ad un’insufficienza della domanda globale a causa di una distribuzione del reddito che è via via diventata sempre più iniqua, con l’avvento e il dominio incontrastato della visione neoliberista. Fintanto che la politica economica sarà dettata da questa visione, la crisi causata dai “fondamentalisti del mercato” non potrà essere risolta e farà precipitare il continente europeo in una grande depressione, simile a quella degli anni Trenta.

Degli 850 mila miliardi generati dalla finanza, 250 mila sono il risultato di attività tradizionali, mentre i 600 mila miliardi sono frutto dei prodotti derivati (CDS), in altre parole della speculazione. L’economia finanziaria, inoltre, ragiona esclusivamente sul breve o addirittura sul brevissimo periodo, mentre l’economia reale non può che ragionare sul medio e lungo periodo. Tuttavia la finanza detta le leggi all’economia reale. Essendo intangibile e globale, si muove con tecniche predatorie: se un mercato non assicura più lauti guadagni, si muove immediatamente alla ricerca di un altro da sottomettere senza pietà. La svolta politica è avvenuta negli anni ‘80. La politica liberista anglo-americana, dopo aver distrutto le conquiste sindacali frutto di lotte che erano state iniziate nel periodo della rivoluzione industriale, era

Il risultato è stato un crescente potere finanziario che, progressivamente, ha incrementato le sue pressioni sia sull’economia reale che sulla politica. All’economia ha imposto una spasmodica ricerca del profitto, mettendo in secondo piano lo sviluppo delle imprese, l’etica sociale e spostando, ad esempio, il lavoro dalle imprese dai paesi industrializzati a quelli in via di sviluppo, dove le condizioni di lavoro sono quelle della prima fase della rivoluzione industriale in Inghilterra a fine ‘700. I lavoratori della ditta che fornisce i tanto decantati prodotti Apple passano talmente tante ore in piedi, che alla fine del loro estenuante turno di lavoro non riescono nemmeno più a camminare. La crisi esistenziale della zona euro ha posto l’Unione Europea in una situazione che per certi versi è simile a quella dell’ex-Unione sovietica. Ora come allora si lavora con dei “piani” (nel caso europeo per la riduzione dei disavanzi pubblici) che le leve della politica (in questo caso tedesca) affidano a dei “commissari”, con l’esplicita minaccia di “sanzioni” per i trasgressori. Non è necessario ricordare come è terminata l’Unione sovietica per immaginare qual è il sentimento della popolazione europea nei confronti del “potere supremo” che alberga a Bruxelles e risponde a Berlino.

L’applicazione delle regole europee, sancite dal trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio del 1992 sull’onda del crollo dell’ex unione sovietica e sulla tanto agognata riunificazione da parte del popolo tedesco ad una risorta unica nazione, richiedeva la spoliazione delle monete sovrane e dunque delle banche centrali che prima regolavano l’emissione della moneta nei vari stati. Gli stati non avrebbero più potuto regolare la propria economia in quanto non detentori dell’emissione della moneta. La Banca d’Italia, dopo questi accordi, diventerà infatti banca privata (2) , di proprietà di banche private e non più del popolo italiano. Non a caso sulle banconote dell’area euro non


John Kennedy

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Privazione della propria sovranità popolare, privazione della sovranità politica (la Germania ha chiesto l’introduzione anche del political compact, ossia di misure di coercizione nel caso in cui i parlamenti degli stati europei non si pieghino alle direttive europee), privazione della propria privacy (l’8 luglio del 2010 il Parlamento Europeo ha dato il via libera al trasferimento dei dati bancari europei verso gli Stati Uniti), dissolvimento delle proprie identità culturali grazie a politiche molto tolleranti nei riguardi dei cittadini stranieri (non a caso il Presidente della Repubblica ricorda di estendere senza nessuna regola la cittadinanza agli stranieri appellandosi allo “ius soli”), opere pubbliche inutili, costose e dannose al fine di innervare tutte le nazioni europee. Uno spasmodico controllo di ogni singola transazione, di ogni singolo movimento individuale. E’ un caso o c’è un disegno? Di sicuro il concetto di democrazia, sorto 2500 anni fa in Grecia (guarda caso messa alla gogna dall’Unione Europea), è destinato a finire. Quella che si sta insediando è una dolce e soporifera dittatura plutocratica. E chi protesta sarà il nuovo terrorista, il nuovo soggetto socialmente pericoloso e da rieducare con punizioni esemplari.

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Mi pare che l’applicazione del motto dei banchieri Rockefeller, ricordato prima, sia stato ben applicato anche in Europa. Un economista, G. Auriti, che aveva fatto capire realmente l’importanza della moneta cercando di stamparla in proprio in un piccolo paese abruzzese, Guardiagrele, diceva che la moneta è come il sangue. Se non circola, l’organismo muore. Il fatto è che chi fabbrica moneta dal nulla (le banche), spesso con un semplice click del computer, a cui viene dato valore con il lavoro delle persone, sono ora istituzioni private e non pubbliche. Siamo arrivati al paradosso che se uno Stato deve pagare le spese correnti deve indebitarsi immettendo sul mercato certificati di debito (Bot, Cct, Ctz), che vengono raccolti da banche private e portate allo sconto alla BCE. Con questa operazione, istituti privati prestano denaro allo Stato, con tassi di interesse molto più alti rispetto a quelli che potrebbe ottenere una banca centrale nazionale; il tutto per aver la possibilità di pagare prodotti e servizi generati dallo Stato stesso. Un’assurdità. Assurdità ancora più grande quando si è assistito al mega-prestito fatto di recente dalla BCE alle banche private con denaro all’1% di tasso di interesse, allorquando i certificati di debito rendevano il 5%-6%. Senza neppure muovere un dito le banche si sono trovate pezzi di carta che avrebbero fruttato loro la differenza, ossia il 4%-5% netto. Un autentico scempio (per usare un eufemismo) economico. È così che la spirale del debito pubblico continua ad alimentarsi e non si arresterà mai, neppure con continue manovre economiche, revisioni di aliquote, innalzamenti del valore dell’IVA, licenziamenti facili, ossia con una continua richiesta di stringere la cinghia da parte della gente che lavora (3) . Non è un caso che la

BCE abbia richiesto che nelle costituzioni degli Stati venga messa una clausola, assolutamente irragionevole, di parità obbligatoria dei vari bilanci statali: il cosiddetto fiscal compact. Con questa assurda richiesta (una costituzione regola i diritti ed i doveri dell’individuo, non le leggi economiche!) non potranno esserci più né investimenti né anticipazioni economiche per lo sviluppo. Il destino sarà quello di una sempre più profonda recessione.

Note: (1) La Thomson Reuters, Web of Knowledge, Web of Science, é il database di tutte le pubblicazioni scientifiche edite dal 1889 ad oggi. Una personalità che conti nel campo della ricerca deve per forza comparire più volte in questo motore di ricerca. Ebbene il prof. Mario Monti ha al suo attivo 13 pubblicazioni complessive ed una sola, ripeto una sola citazione. Per giunta i suoi unici “lavori” sono stati esclusivamente pubblicati dal “Giornale degli economisti e Annali di Economia”, mai citati nemmeno una volta da nessuno. Insomma un economista di chiara fama, che nessuno dei suoi pari nel mondo riconosce come tale.

RunaBianca

trovate più alcune diciture come: “pagabile a vista del portatore”, le firme del presidente della Banca d’Italia, del Ragioniere di Stato. Sono biglietti anonimi, senza neppure un numero di serie (quei numeri che compaiono sulle banconote non sono un numero di serie bensì codici la cui somma identifica lo Stato di emissione). Chi detiene il potere di emettere moneta detiene la vera sovranità della nazione: era il motto dei Rockefeller, noti banchieri americani. Giova ricordare che in America, il 4 giugno 1963, il presidente statunitense John F. Kennedy, con l’ordine esecutivo 11110, ordinò l’emissione da parte del Ministero del Tesoro, quindi dello Stato, di oltre 4 miliardi di dollari dell’epoca con banconote che recavano la scritta “United States Note” (biglietti di Stato, in pratica dei cittadini) invece di Federal Reserve (biglietti della Fed, in pratica della Banca Centrale privata). Kennedy impedì alla Federal Reserve di prestare denaro su interesse al Governo Usa, giocando pericolosamente col fuoco e sfidando il potere della Banca; il 22 novembre, e cioè dopo pochi mesi, sarà assassinato a Dallas, città simbolo del “denaro” e “undicesima” sede delle dodici Banche Centrali statunitensi. La prima cosa che fece il suo successore, Lyndon Johnson ,fu quella di ritirare immediatamente dalla circolazione quei dollari del “popolo”, sostituendoli con quelli “privati” della Federal Reserve.

(2) http://www.bancaditalia.it/bancaditalia/ funzgov/gov/partecipanti/Partecipanti.pdf (3) http://www.corriere.it/economia/11_settembre_29/trichet_draghi_italiano_405e2be2ea59-11e0-ae06-4da866778017. shtml?fr=correlati

Biografia : Ludovico Polastri È laureato in ingegneria meccanica all’Università di Brescia. Ha conseguito la specializzazione post lauream presso il Politecnico di Milano e effettuato corsi di specializzazione in ambito: Produttivo, Certificazione dei Sistemi Qualità e Ambientali Aziendali, Organizzazione e Gestione Aziendale. Ricopre da molti anni ruoli di responsabilità in ambito tecnico, produttivo e impiantistico per conto di importanti realtà aziendali. Si occupa inoltre di aspetti normativi e legali inerenti la sicurezza e la prevenzione sui luoghi di lavoro. Ricercatore indipendente e giornalista free lance, collabora per diverse testate giornalistiche.

John D. Rockefeller


TEORIA DELLA DINAMICA ELETTROMAGNETICA IN CELLE GEOMORFOLOGICHE CIRCOLARI

Marisa Grande

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OSCILLAZIONI ANOMALE DELLA TERRA

L’iter che ho svolto per pervenire ad un modello di griglia geo-elettromagnetica modulare della Terra e all’individuazione di una dinamica dell’elettromagnetismo all’interno di celle geomorfologiche ha riguardato la connessione tra conoscenze di diverse discipline. Fondamentale si è comunque rivelato lo studio relativo al megalitismo. All’interno delle molteplici funzioni svolte dai megaliti vi è anche quella di fungere da catalizzatori ed equilibratori dell’elettromagnetismo, per cui la loro disposizione geodetica seguiva la forma circolare di celle geomorfologiche naturali, per rendere coerenti le linee di flusso elettromagnetico emesse dai loro centri.1 L’intervento geodetico dei costruttori di megaliti derivava dalla conoscenza di un ancestrale “codice” di origine astronomica, tramandato attraverso le simbologie espresse nell’arte sin dal Paleolitico. Gli antichi ideogrammi in esso criptati rimandavano ad un’alternanza tra ordine e caos, che l’umanità aveva sperimentato ad intervalli millenari e che sono ancora utili per far comprendere molti fenomeni fisici distruttivi che interessano il pianeta.2 Tale antica conoscenza era riferibile ad eventi che noi oggi possiamo ascrivere ad un incremento di emissione di elettromagnetismo irradiato dal nucleo terrestre, in rotazione forzata per l’azione frenante dell’asse terrestre eccessivamente inclinato. La tendenza ad una sempre maggiore inclinazione dell’asse, fino ad un massimo di 24.5 gradi, caratterizza le fasi conclusive di ogni stagione precessionale di oltre sei millenni, condizione che l’umanità ha sperimentato nei millenni XI e V a.C., a conclusione delle stagioni retrograde “autunno” ed “estate” precessionale. L’inclinazione assiale eccessiva imprime alla Terra un andamento ampiamente oscillante, creando analemmi molto accentuati, da “effetto trottola” caotico. Tale fenomeno si rivela distruttivo, poiché la Terra capta anche le onde di flusso aereo delle

polarità sud, orientate dal Polo Sud verso il Polo Nord, facendole interagire in modo caotico con le onde di flusso sotterraneo di polarità nord, che procedono in senso inverso. Tra i fenomeni geologici rilevanti che caratterizzano le fasi di oscillazione caotica della Terra vi sono gli scontri tra le placche della sua litosfera per un’accentuata loro deriva sull’astenosfera, resa più fluida dal calore endogeno proveniente dal nucleo terrestre posto sotto sforzo dall’asse inclinato. L’attrito generato tra il nucleo e la base del mantello fa risalire verso la superficie del pianeta i minerali fusi inabissati della crosta terrestre, insieme ad energia termica ed elettromagnetica, in una circolarità continua che avviene attraverso moti convettivi all’interno del mantello. Questi aumentano la quantità di magma dei punti di fuoco degli innumerevoli vulcani attivi e non attivi del pianeta e delle estese caldere dei supervulcani, (Jellowstone nel Nord America, Campi Freglei in Italia...). Fuoriescono anche dalle lunghe fenditure della crosta terrestre, quali le dorsali oceaniche sempre attive, come l’atlantica e la pacifica, o riaprono le fenditure subaeree responsabili delle coperture basaltiche, come quella attiva delle Isole Hawaii o come quella che 250 milioni di anni fa creò il “Trappo basaltico siberiano” e portò all’estinzione molte specie viventi del pianeta. Forti terremoti ed esteso vulcanismo accompagnano infatti un accentuato “effetto trottola” della Terra, fino a quando questo non risulta ridotto nella sua estensione da una risalita dell’asse verso una verticale ideale, ad opera di un richiamo gravitazionale dovuto all’azione del Sole e della Luna e rafforzato da rari allineamenti di pianeti interposti tra Sole e Terra. Il nuovo assetto di verticalizzazione dell’asse accelera il moto di rotazione e stabilizza la Terra su una nuova posizione orbitale, che la fa uscire dallo stato caotico precedente.3 L’intervento nel mondo dei costruttori di megaliti scaturì infatti dall’esperienza dell’alternanza tra “caos e rinascita”. Essi agirono nell’intento di compiere un’operazione equilibrante per la Terra, rendendo coerenti


Fig.1: Italia, penisola salentina. Connessione tra megalitismo e celle geomorfologiche circolari. (Elaborazione grafica di Marco Sarcinella sulla teoria di Marisa Grande)

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le onde di flusso dell’elettromagnetismo per mezzo di minerali litici a buona conduzione magnetica. I luoghi prescelti dai geomanti di quel popolo avevano caratteristiche energetiche, le stesse che ricercarono anche i sacerdoti-astronomi delle civiltà successive. Su quegli stessi luoghi, se pur con lo scarto angolare di uno slittamento sul territorio determinato da un nuovo allineamento astronomico necessario per l’adeguamento al moto retrogrado precessionale, furono costruiti in epoca storica templi pagani di varie religioni e chiese cristiane, ossia monumenti dalle proporzioni armoniche e corredati da ornamenti in minerali nobili, impiegati per le loro proprietà di buoni conduttori. Megaliti, marmi pregiati ed ori avevano perciò il compito di emettere le risonanze giuste, quelle necessarie ad equilibrare l’energia elettromagnetica del luogo, ai fini di contrastare il lento ed inesorabile andamento caotico di un effetto trottola anomalo e distruttivo della Terra. LINEE SINCRONICHE DELLA TERRA L’elettricità prodotta per attrito, a causa dello sforzo a cui l’asse inclinato sottopone il moto di rotazione del nucleo terrestre, s’irradia in tutte le direzioni ed è veicolata verso la litosfera da minerali ferrosi, aggregati tra loro per analogia di proprietà magnetiche già nella fase in cui il mantello terrestre era ancora semifluido. I luoghi di fuoriuscita dell’elettromagnetismo dall’interno del pianeta, essendo stati determinati nella fase della formazione della Terra, nella quale tutte le masse erano plastiche e subivano moti di trascinamento e di avvitamento dipendenti dalla rotazione del nucleo, sono interconnessi e distribuiti con una precisa regolarità geometrica. Sono infatti i punti energetici che costituiscono i nodi di una griglia elettromagnetica a maglie romboidali (losanghe geodetiche ) che avvolge la superficie di tutto il pianeta, dalla cui interazione modulare deriva tutta la complessità della

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Fig.2: Manifesto “Modelli archetipi in archeoastronomia” presentato da Marisa Grande al “I Convegno S.I.A -Padova 2001” (Elaborazione grafica di Marco Sarcinella sulla teoria di Marisa Grande)

Fig. 3 : Evolvente che collega il Polo Nord con il Polo Sud, descritta dal moto sincronico Terra-Sole. Fig. 4 : Doppia evolvente sviluppata sul pianeta dal moto sincronico Terra-Sole (Elaborazione grafica di Marco Sarcinella) Fig. 5 : Cella geomorfologica dell’Indonesia in espansione rispetto al centro energetico collocato nel Mare Meridionale Cinese, punto d’incontro molto attivo di due linee sincroniche della Terra (Elaborazione di Marisa Grande su mappa EMSC)


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circolazione dell’elettromagnetismo all’interno di celle geomorfologiche circolari, esagonali ed in proporzione frattale. La rete della griglia naturale geo-elettromagnetica è formata dalle “linee sincroniche”, ossia dalle evolventi elettromagnetiche, il cui modello teorico risponde alla descrizione che compie un punto fisso sulla superficie di una sfera interessata da un movimento di rotazione intorno al proprio asse. Le linee sincroniche naturali della Terra sono rese più complesse rispetto al modello teorico, a causa del suo doppio moto oscillante di rotazione e rivoluzione intorno al Sole, anche se rimane coerente la regolarità con la quale si compongono le maglie della sua griglia elettromagnetica. La serie di “doppie evolventi” che collega il Polo Nord con il Polo Sud, avvitandosi a passo costante sulla superficie sferoidale della Terra, compone un modello a “doppia elica”, simile a quello del DNA che caratterizza gli esseri che vivono in simbiosi con essa. CELLE GEOMORFOLOGICHE La Terra, attraverso miliardi di anni, ha subito e continua a subire un’espansione che ha fatto frammentare la sua litosfera. Le lunghe fenditure della crosta terreste, come le dorsali oceaniche, allontanano i bordi delle placche adiacenti, che si espandono per la continua fuoriuscita di magma che va ad aumentare la quantità di crosta terrestre. Per contraccolpo di tale dinamica di espansione, ai bordi delle placche si determinano linee di subduzione, che inabissano la vecchia crosta terrestre, la quale si fonde e riemerge in forma di magma attraverso l’attività eruttiva dei vulcani. Tale ciclo di rinnovamento della crosta terrestre è “orchestrato” dalla dinamica dettata dalle forze (gravitazionale, elettromagnetica e nucleare forte e debole) responsabili dell’equilibrio del moto sincronico della Terra rispetto al sistema solare, e di questo rispetto all’intero universo. Il diretto rapporto tra il Sole, quale punto fisso, e la Terra, quale sferoide in movimento, è descritto sulla superficie terrestre dalle linee sicroniche a forma di “S” che compongono la griglia geoelettromagnetica. Ogni linea sincronica risulta attiva, ma tale caratteristica energetica è potenziata sui nodi della griglia, che emettono i flussi di elettromagnetismo generati dal centro della Terra e veicolati verso l’esterno da colonne di minerali buoni conduttori. Quei “centri energetici”, composti da minerali magnetici, propagano onde elettromagnetiche che si espandono ed, essendo nodi di una griglia, potenziandosi per

La precisa geometria modulare e frattale, che si sviluppa in varie parti del mondo, interessa le aree intorno ai Polo Nord e Sud, là dove i centri delle celle geomorfologiche circolari rimandano ai poli fossili attivi nelle ere geologiche passate. - Nel sistema circolare, modulare e frattale delle celle geomorfologiche, che generano cerchi di fuoco, sono evidenti quelli che delineano le coste dell’America centro-meridionale, con i centri energetici nel Golfo del Messico, nel Mare Caraibico e nel Bacino del Venezuela. - La “Cintura di fuoco” del Pacifico corrisponde alla circonferenza periferica della macro-cella geomorfologica che include la zolla tettonica del Pacifico, che, espandendosi per irradiazione di energia dal centro, va in subduzione sotto le terre emerse che circondano il bacino oceanico. La crosta fusa fuoriesce poi in forma di magma dai vulcani attivi formati lungo il circuito delle aree costiere.

Celle geomorfologiche a diverse scale dimensionali, che modellano la litosfera mondiale secondo un modello che è presente in natura e che ha trovato la sua descrizione nell’elaborazione al computer del “Frattale di Mandelbrot”, generato da una funzione matematica.


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onde di flusso in concordanza di fase, interagiscono tra loro secondo una dinamica regolata da precise geometrie modulari. Susseguendosi a passo costante lungo la serie delle evolventi sincroniche della Terra, i nodi energetici della griglia elettromagnetica costituiscono i centri di sfere di energia sature di elettromagnetismo e distribuite con regolarità sulla superficie della Terra. A livello di litosfera l’energia emessa si espande in forma di onde concentriche attraversando i minerali rocciosi che all’origine si sono aggregati al centro magnetico, secondo l’ordine gerarchico guidato dalle loro proprietà di buoni o di cattivi conduttori. Si deduce che i minerali meno coesi tra loro, e quindi più friabili, siano stati destinati ad essere confinati ai margini di aree circolari e a costituire il materiale di rinnovamento della litosfera. Secondo tale modello la superficie terrestre, interessata da bolle di energia in espansione, si configura con precisa regolarità geometrica come un sistema composto da macro-celle geomorfologiche circolari. L’elettromagnetismo emesso dai centri di quelle celle geomorfologiche si pone, pertanto, all’origine della configurazione della litosfera, essendo responsabile dell’attività di espansione che modella il territorio, frantuma il materiale roccioso friabile e lo fa inabissare. Leforze in atto sulla Terra, seguendo la dinamica di espansione dal centro energetico di ogni cella, si rendono perciò anche responsabili dell’attività tellurica e vulcanica e del corrugamento dei minerali elastici, da cui deriva l’orogenesi di archi di catene montuose o di archi di catene vulcaniche, noti anche come “anelli di fuoco”. La compressione che subiscono le celle geomorfologiche circolari, per interazione con quelle circostanti di uguale dimensione, forma celle modulari esagonali. L’esagono inscritto in una cella circolare si determina, infatti, per la precisa intersezione di altre sei celle circolari di uguale raggio, fino a generare un sistema modulare di celle esagonali interconnesse, la cui complessità richiama forme archetipiche note nella “geometria sacra”. Quando la forza di espansione di una cella circolare contrasta con la forza di espansione delle altre di uguale dimensione con le quali interagisce, influisce non solo sulla modificazione della forma di tutte, ma genera anche energia termica ed energia tellurica, vibranti secondo l’armonica “sei”, dettata dalla dinamica di circolazione ener-


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getica all’interno delle celle esagonali risultanti dall’interconnessione. All’interno del cerchio, oltre all’esagono, si possono generare anche molte altre forme, già note nell’antichità, oggi riconosciute come “archetipi”, ossia figure appartenenti ad una conoscenza innata, poiché presenti in natura. Cerchio, triangolo, rombo, esagono, pentagono, fiore della vita, ragnatela, stella di Davide, Sephirah, spirale, evolvente... sono tutte forme geometriche riconosciute dall’umanità come figure che, poiché scaturite dalle regole dettate dagli impulsi elettromagnetici dei moti sincronici esistenti tra Terra e Sole, compongono immagini che gli antichi deducevano dalle forme presenti in natura e costituivano il repertorio della “geometria sacra”. Secondo i sistemi modulari la medesima forma si ripete alle diverse scale dimensionali, pertanto il modello della macro-cella geomorfologica lo si ritrova sia sulla grande scala mondiale e sia sulla minima scala locale, secondo una regolarità di tipo proporzionale riconducibile al modello di forme di tipo “frattale”. CELLE GEOMORFOLOGICHE E TERREMOTI La teoria con la quale ci prefiggiamo l’obiettivo di dimostrare che la dinamica sismica si verifica puntualmente all’interno di celle geomorfologiche sature di elettromagnetismo distruttivo è verificata con un monitoraggio della saturazione energetica delle celle geomorfologiche e la conseguente registrazione dei terremoti scaricati al suo interno. Il lavoro si svolge con un team costituto all’interno del Movimento Synergetic-art (www.synergetic-art. com, www.sporturlecce.tk). É reso pubblico at-

Penisola italica: celle geomorfologiche con indicazione dei terremoti registrati nelle 48 ore successive all’effettuazione del test di saturazione elettromagnetica nelle celle risultate cariche. -Progetto di un’antenna da collocare nei centri delle celle geomorfologiche, basato sul “codice ærmonico” specifico della penisola salentina, per rendere coerenti le onde di flusso di elettromagnetismo. (www. synergetic-art.com)


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Fig. 11: Area mondiale. Macro-celle geomorfologiche con indicazione dei terremoti registrati nelle 48 ore successive all’effettuazione del test di saturazione elettromagnetica nelle celle risultate cariche.

“Dai simboli universali alla scrittura” Besa 2010

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Fig. 12: Area euro-asiatica. Celle geomorfologiche a varie scale dimensionali, con indicazione dei terremoti registrati nelle 48 ore successive all’effettuazione del test di saturazione elettromagnetica nelle celle risultate cariche.

Biografia: Marisa Grande Dopo la sua carriera di insegnante di Disegno e Storia dell’Arte, continua nel campo artistico con un linguaggio ori- ginale, la Synergetic-Art, che trova la sua piena espressione nel “meta-realismo” della sua pittura e della sua poesia. Con il Manife nessioni esistenti tra le varie branche del sapere e promuovere una rinnova- ta visione della conoscenza. Collabora con associazioni culturali e case editrici e scrive articoli per riviste di cultura. Tra le sue pubblicazione ricordiamo: L’orizzonte culturale del megalitismo (Besa, 2008) e...

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traverso il blog (www. radiotel.blogspot.it), nel quale vengono postati i modelli elaborati avvalendosi anche delle Mappe dei terremoti EMSCINGV, alle diverse scale dimensionali. L’obiettivo ultimo di tale operazione consiste nell’elaborare anche per le macrocelle un progettopilota di un’antenna antisimica, sull’esempio del progetto già elaborato per il Salento e basato su un “codice armonico”.


Gaia Chon

CONTACT IMPROVISATION e CRESCITA PERSONALE Entrare in contatto con gli altri, entrare in Contatto con noi stessi

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n questi tempi faticosi sempre più persone ritrovano il gusto di ritagliarsi un po’ di tempo per sé, di provare pacchetti benessere, tecniche di riequilibrio energetico... c’è una grande rivendicazione del “sano egoismo”. Eppure, se è comprensibile che sia importante compensare stress e frustrazioni con leggerezza e amor proprio, bisogna ricordare che spesso il supporto e confronto con gli altri è fondamentale: quello che una volta veniva incitato con il detto “l’Unione fa la forza”. In molte pratiche, dallo Yoga al Tai Chi, o ancora al Feldenkrais, si fa un percorso individuale, o meglio, si lavora in gruppo ma svolgendo singolarmente gli esercizi, portando, ancora una volta, l’attenzione a sé.

Se ad esempio nello Yoga si concentrano tutte le attenzioni sulla propria asana, o nel Tai Chi si fluttua nell’esecuzione di una forma, ci sono alcune tecniche, attualmente meno in voga, il cui percorso personale non è scindibile da quello di gruppo, perché scopo degli esercizi è proprio concentrarsi sulle dinamiche di gruppo, sull’abbandono, sulla fiducia negli altri. Purtroppo, anche se viviamo in una società che ci impone di stare gli uni al fianco gli altri, in autobus come in autostrada, al supermercato come nella piccola bottega, non sempre riusciamo a vivere bene il contatto con gli altri. Ci sentiamo spesso come topolini in gabbia, che tendono a rifugiarsi in un mondo proprio, quanto meno a livello mentale ed emozionale; ci chiudiamo

spesso in noi stessi, dimenticando troppo spesso quanto abbiamo bisogno degli altri, e quanto siamo in fondo tutt’uno con essi, tutti facenti parte di un’unica grande energia che sostiene gli uni e gli altri. Per chi sente di avere bisogno di abbandonarsi agli altri, di aprirsi alla fiducia, sarebbe perfetto uno stage di Contact Improvisation. Questo perché si tratta di una danza, un’attività di movimento che si sviluppa in totale spontaneità e in contatto con gli altri. Ideata da Steve Paxton, danzatore americano, si è diffusa negli USA nel corso degli anni ’70 per esplorare nuove possibilità di movimento e comunicazione. Non a caso è una delle tecniche più idonee a favorire l’integrazione tra abili e diversamente abili, oltre ad essere accessibile a chiunque senza limiti di età o necessitare di abilità particolari. L’uso di linguaggi differenti, l’improvvisazione attraverso il corpo, il gesto, la musica offrono situazioni di dialogo scarsamente possibili nella vita quotidiana. Attraverso il contatto e l’improvvisazione di movimenti non codificati vengono potenziate le capacità di relazione oltre che di percezione sensoriale. Allo stesso tempo si innesta un processo di auto-osservazione e di autoaccettazione: il corpo non è più un limite, bensì una risorsa da utilizzare, un elemento di riferimento ed un indispensabile mezzo di comunicazione.


In verità, la Contact Improvisation che si usa in percorsi di naturopatia o counseling è abbastanza diversa da quella che applicano gli artisti quali attori e danzatori, proprio perché più che la finalità rappresentativa, ne viene vista quella emozionale. Ed in effetti, durante le Contact jams, che sono sessioni aperte in cui si può praticare la Contact Improvisation con persone di diversi livelli e scuole, quello che si percepisce è che le persone danzino attorno ad un filo invisibile che le unisce. E anche quando un contactista, così definito un danzatore di Contact, si cimenta in una performance singola, pare muoversi attorno a questo filo impercettibile, che in questo caso altro non è che che il raggiungimento di un reale benessere psico-fisico, l’unione reale di corpo e mente. Ecco perché credo che questa tecnica possa aiutare, tanto gli artisti quanto le persone dai lavori più disparati, a lavorare su di sé prima di tutto, ma anche a trasmet-

Vivendole, e vivendo la propria fisicità in maniera estremamente naturale, libera da conflitti o tabù di qualsiasi genere. Se, dopo una sessione di Contact Improvisation, ci sentiamo scombussolati, troppo agitati da una miriade di nuove sensazioni, possiamo capire quanti blocchi ci siano in noi e su quanti ci sia da lavorare... Incontrare l’altro non è mai semplice o immediato, ma proprio per questo è interessante, ci apre mondi infiniti di scambio e dialogo, mostra parti di noi troppo nascoste che in un gioco di specchi e suggestioni riescono a farsi strada, per poi essere accolte, accettate e amate. Incontrare l’altro come amore di sé e di ogni parte che ci appartiene. Biografia: Gaia Chon Approdata alle scene dopo una lunga formazione sia nel settore artistico che olistico e naturale, é oggi una professionista poliedrica: la sua sensibilità la rende interprete teatrale e presentatrice, showgirl e regista, ma sempre la sua intensa ricerca artistica si intreccia con quella interiore. Per i suoi ormai famosi “Percorsi al buio”, ha ricevuto patrocini dall’Unione Italiana Ciechi, dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, CSA di Rimini, di diversi Comuni della Provincia di Rimini. Istruttrice di Maitri Yoga ed insegnante di teatro, con particolare riferimento al metodo sensoriale, propone l’arte come uno strumento di espressione e condivisione, mettendo in risalto non soltanto la creatività dei singoli artisti, ma i contenuti ed i valori di cui sono intrise le discipline cosiddette “nonconvenzionali”.

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Può dunque capitare si partecipare a stage veramente diversi gli uni dagli altri, ma quello che indiscutibilmente caratterizza ogni incontro sono le sensazioni infinite e contraddittorie che questo approccio provoca.

Alcuni esempi di “CONTACT IMPROVISATION“

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Esistono delle tecniche di base nella Contact come in tutte le danze, ma è questa una pratica che risente particolarmente dell’impostazione dell’insegnante, del suo background e dell’energia del gruppo.

tere le proprie sensazioni agli altri.

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Nella Contact Improvisation i danzatori entrano in un suggestivo gioco formato da sensazioni, immagini create dal contatto dei corpi e da un percettibile scambio di energie. Ispirandosi anche ad altre tecniche quali Aikido, Tai Chi e meditazione, questa danza è divenuta un ottimo strumento di libera espressione e di training per artisti ed operatori.


LO SPARTITO DEL

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Luigi Bavaglioli

DIAVOLO

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ille anni fa, le terre intorno a Vercelli erano coperte da boschi e circondate da paludi malsane. Nei bui mesi invernali la nebbia avvolgeva ed ovattava tutto quanto e nessuno, se non costretto, attraversava volontariamente queste terre cupe ed isolate.

Fu Ranieri, Marchese del Monferrato, deciso a bonificare ed a rendere redditizie queste terre, che fece chiamare i monaci cistercensi dal monastero di La Ferté, a Chalon-sur-Saône in Borgogna, affidando loro non solo il compito di curare lo spirito della popolazione, ma anche quello, più materiale, di risanare le terre. Abile manovra politico-economica, che vide monaci e conversi dissodare i terreni, creare condotti idrici, bonificare e seminare, perpetrando i primi e poco fruttuosi tentativi di controllare le acque della zona intrapresi già tra il I ed il II secolo d.C.. Acido ma ricco di fontanili, il terreno si prestava particolarmente bene alla coltura del riso, spezia orientale della famiglia delle graminacee fino ad allora considerata alla stregua del pepe o come ingrediente cosmetico. Per la prima volta il riso venne prodotto e trattato come un valido sostituto del grano, avendo proprietà alimentari analoghe ma potendo essere prodotto anche in campi acidi e tendenzialmente paludosi.(1) L’economia della zona mutò rapidamente e l’agricoltura assunse sempre più importanza; i risultati li possiamo vedere ancora oggi: l’Italia è il primo paese produttore di riso in Europa, il 60% del quale è coltivato proprio tra Vercelli, Novara e Pavia.(2) L’economia del complesso portò Lucedio a diventare potentissima, anche in seguito a numerose donazioni e lasciti, nonché ad un’ottima gestione finanziaria. L’influenza dei cistercensi non fu solo agricola, ma anche religiosa ed architettonica, oltre che sociale.(3) L’abbazia di Lucedio è infatti una preziosa testimonianza di quegli anni; eretta nel 1123 e rimaneggiata nei secoli successivi, è anche teatro delle più gotiche e note leggende vercellesi. Il nome stesso, “Lucedio”, risulta essere inquietante per chi ne cerca significati legati alle parole “Luce di Dio” e, inevitabilmente, si imbatte nel “portatore di luce” citato già nell’Antico Testamento, che tutti conosciamo. Molto più probabile, invece, che il nome derivi dal latino “lucus”, utilizzato per indicare una selva, una foresta o un bosco come avviene per i sostantivi “silva” o “nemus”. Costruita, secondo il parere dei più, sui resti di un

antico tempio pagano ed in corrispondenza di un fiume sotterraneo detto “Lino”, la chiesa con il suo caratteristico campanile a base ottagonale racchiude numerosi misteri. Il primo di questi è proprio relativo al misterioso fiume, considerato sotterraneo da tutti, tant’è che c’è chi sostiene che questo corso d’acqua presenti un sifone naturale proprio sotto all’altare della chiesa. Non ci risulta che siano state condotte delle ricerche tramite sistemi non invasivi di prospezione del sottosuolo, eppure questa è una convinzione diffusa tra la gente del posto. E’ però possibile ipotizzare anche che il fiume Lino sia oggi invisibile non tanto perché sotterraneo, ma semplicemente perché, pur presente un tempo, sia oggi scomparso. Situazione che si sarebbe potuta verificare in seguito ad una modificazione naturale del suo corso a monte di Lucedio o ad una deviazione artificiale, magari prodotta durante l’incanalamento delle acque a fini agrari. Va anche ricordato che gli abitanti della vicina Ronsecco vengono chiamati dialettalmente ‘trapulin’, termine che potrebbe derivare dall’espressione: ‘tra Po e Lino’, ovvero gli abitanti del territorio compreso tra i due fiumi. Il racconto più inquietante, però, ci riporta ad una misteriosa notte del 1684, in un vicino cimitero nel quale avvenivano segretamente rituali di magia, temuti dalla popolazione. Esso si trova lungo la strada che conduce verso la cascina Darola, ricavata dai resti di una più antica fortificazione, di cui ne resta silente testimone la torre quadrangolare, già da tempo cimata. Loschi individui, appartenenti a qualche setta segreta, avrebbero quindi evocato un demone, che però sfuggì al loro controllo. Gli stessi incantatori divennero vittime e la presenza malvagia rimase intrappolata in questa dimensione. Questo essere metafisico odorò la religiosità proveniente dal vicino monastero di Trino e dall’ancora più vicina abbazia di Lucedio e decise di colpire proprio in quei due punti di forte cristianità. Pare siano stati registrati, nei documenti del convento, molti incubi fatti dalle giovani novizie la medesima notte della poco riuscita evocazione, che coinciderebbe con la data di uno degli otto grandi sabba pagani. Le ragazze avrebbero sognato il demonio apparire loro e persuaderle ad avere rapporti sessuali con lui, una sorta di consacra-


Iniziò quindi un periodo nero in cui violenza, malvagità e torture furono all’ordine del giorno, così come gli sconcertanti abusi del potere temporale ai danni della povera gente del principato. Le accuse mosse successivamente furono numerose: satanismo, pedofilia, pratiche orgiastiche, torture, omicidi e quant’altro potesse essere bieco e meschino.(4) Le leggende nella leggenda racconterebbero che le decisioni sui processi che avvenivano tra le mura dell’abbazia fossero ispirate dalle scelte divine. Il mezzo materiale per interpretare il volere del Creatore era un grande crocefisso, posto all’interno della Sala Capitolare. Osservando i movimenti della testa della statua, riproduzione di Gesù Cristo in croce, veniva decisa o meno la colpevolezza della gente processata ed il tipo di tortura da infliggere. La statua, abilmente modificata affinché avesse uno snodo all’altezza del collo e due fili legati al capo e fatti passare, attraverso due piccoli fori, oltre alla parete della stanza stessa, veniva manovrata da un monaco nascosto dietro al muro. Sempre all’interno della Sala Capitolare vi sono quattro colonne lapidee. Una di queste, però, è conosciuta come “la colonna che piange”, ed infatti è sovente umida ed è ben visibile una macchia di acqua sulla sua superficie. La spiegazione folkloristica a questo fenomeno è che essa pianga in quanto impotente testimone delle angherie e delle torture avvenute tra quelle mura per decine e decine di anni. Più razionalmente dobbiamo credere che la pietra che la costituisce sia particolarmente porosa e posizionata su di un affioramento di acqua, e che quindi sia in grado di assorbire l’umidità dal terreno e di rilasciarla al variare della proprietà climatiche dell’ambiente. Tutte queste angherie dureranno per cento anni esatti, fino a quando, nel 1784, papa Pio VI pose fine agli abusi ed ai soprusi, secolarizzando l’abbazia ed obbligando i monaci a disperdersi. I beni dell’abbazia vennero confiscati ed amministrati dall’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Ma come avvenne, secondo la tradizione popolare, questo importantissimo evento? Si racconta che venne

Alcuni ipotizzano un vero e proprio esorcismo, descritto con la platealità di un’opera omerica. Si dice che all’interno di questo luogo di sepoltura ipogeo siano stati disposti su dei seggi i corpi mummificati degli abati morti precedentemente al periodo di possessione, seduti in cerchio per vegliare ad aeternum su questa presenza.

S Maria di Lucedio restaurata

La loro presenza avrebbe costituito un sigillo per impedire al demone di liberarsi. Sigillo che sarebbe stato rafforzato da un secondo incantesimo, di natura musicale. Si racconta che un secondo abate, esorcista e musico, compose un brano apposta per questa vicenda, conferendo un significato esoterico alle note stesse e sfruttandone le diverse frequenze. L’esecuzione del brano avrebbe aumentato il potere protettivo del sigillo, mentre l’esecuzione a ritroso delle stesse note lo avrebbe indebolito, fino a spezzarlo.

Santuario Madonna delle Vigne

Scaramanzia e superstizione hanno fatto il resto, dal momento che pare nessuno sia ancora riuscito ad alzare la botola in pietra per vedere cosa ci sia veramente la sotto, nonostante l’interessamento di curiosi, istituzioni ed università. Per anni questo spartito è stato cercato da molti tra le carte di archivio, finché nell’inverno dell’anno 2000 il sottoscritto, già presidente dell’associazione speleo archeologica Teses, lo identificò in un affresco presente all’interno del vicino Santuario di Madonna delle Vigne, che sorge a pochi chilometri di distanza dall’abbazia.

cimitero Darola

Lo studio dello spartito venne affidato alla dott.ssa Paola Briccarello, esperta di musica classica ed antica, la quale scoprì alcuni elementi a conferma dell’ipotesi che fosse proprio esso il soggetto della leggenda. (5) La partitura sarebbe stata dipinta volutamente al contrario, a ritroso. Ovvero i tre accordi di apertura, disarmonici all’ascolto, coincidono con i molto più comuni tre accordi di chiusura adoperati nella musica liturgica di quel periodo. Non solo, un paziente lavoro di sostituzione numerica le consentì di ab-

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Lo spirito malvagio si diresse quindi a Lucedio, dove non impiegò molto ad irretire monaci ed abati ed a piegarli al suo volere malvagio.

mandato un uomo, un religioso, da Roma. Egli, entrato nell’abbazia, riuscì a combattere contro il demone e, dopo sette giorni di preghiere e di scontri avvenuti sia sul piano spirituale che materiale, riuscì a rinchiudere la presenza maligna all’interno delle cripte della chiesa di S. Maria, che vennero prontamente sigillate.

R u n Ra uBni aa nBci aa n c a

zione al suo culto.

Aerea del Principato


Venne sacrificato da qualche setta segreta? Sempre dai giornali scopriamo che era scivolato all’interno del fosso mentre faceva una passeggiata con il nonno, il quale Fu l’abate a crearlo intenzional- purtroppo non riuscì a salvarlo. mente al contrario? Fu il pittore che, Insomma, nessun elemento metdipingendolo, invertì con cognizione di causa l’ordine delle note sospet- terebbe in stretto legame queste morti con la vicinanza al complestando un sigillo nascosto? so misterioso. Tutte le leggende legate all’abbaCosì come quando raccontamzia di Lucedio meriterebbero decine di pagine di approfondimenti, e non mo proprio questi aneddoti agli escludiamo di ritornare sull’argo- americani della Fox Channel in mento in futuro per completare que- un’intervista utilizzata in una docu-fiction del 2001, assicurai loro sto quadro introduttivo. che si trattava solo di casualità e Infine sveliamo un altro piccolo mi- li convinsi ad iniziare ugualmente stero. All’interno del piccolo cimitero le riprese al Principato. Pochi giorche si trova lungo la strada che col- ni dopo un uomo, che portava a lega Lucedio alla cascina Darola si passeggio il proprio cane, venne trova una piccola cappella. trovato morto nei pressi dell’abbaAl suo interno desolazione, iscrizioni zia: infarto. rotte, pavimenti sfondati, decorazioUn aneddoto quasi identico si ni rimosse e rubate, altare distrutto. verificò l’anno successivo, quando Sopra ad esso una ‘terrificante’ mac- una televisione piuttosto nota in chia di nero fumo a forma di croce Germania mi contattò per replicalatina inversa, concreto segno che re il format americano dell’anno qualcuno appiccò il fuoco ad una prima. Gli operatori tedeschi rimagrande croce di legno, volutamente sero basiti e non posso negare che appoggiata al contrario sopra l’al- qualche dubbio sia sorto anche tare. Un rituale satanico? Un’appari- nello scrivente. zione luciferina? No, semplice idiozia Queste e numerose altre coined esigua civiltà da parte di operatori video che documentarono quei cidenze continuano a far rivivere luoghi per una fiction di una decina queste storie che è giusto debbano essere raccontate e tramandi anni or sono.(6) date, così come facevano i nostri Va però aggiunto un aspetto più nonni, magari davanti ad un camiconcreto. Queste favole ‘nere’ han- netto, nelle serate invernali. no generato, con il passare degli Note anni, nuove leggende. Si dice che, quando si parla troppo di Lucedio, 1) All’epoca il riso non era ancora qualcuno muoia. così selezionato e delicato per poIl primo esempio che viene citato è teva ambientarsi più facilmente su quello di un operaio, passato a mi- quel tipo di terreno. gliori vita durante i restauri avvenuti 2) E’ documentato che la coltura verso la fine degli anni ’60. I contarisicola nelle terre vercellesi fosse dini della zona tentarono di far desidiffusa prima del 1493. stere dai lavori l’impresa incaricata, sostenendo che l’abbazia voleva 3) Ricordiamo che nel 1796 i essere lasciata sola, senza seccatori braccianti di Lucedio organizzané curiosi e che, altrimenti, avrebbe rono addirittura uno sciopero per richiesto una vittima. Un incidente al chiedere un aumento di salario, cantiere ferì a morte l’uomo. fatto curioso ma poco noto.

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binare delle lettere alle note,ù ottenendo tre parole di senso compiuto e contestualmente correlate: Dio, Fede, Abbazia.

Anni addietro venne ritrovato, nelle vicinanze dell’abbazia, il corpo di una ragazza, completamente bruciato. Le storpiature del racconto non tardarono a nascere, depistando l’attenzione su macabri rituali satanici. Ma indagando sui giornali locali apprendiamo con discreta facilità maggiori dettagli sull’accaduto. Il fatto avvenne nel settembre del 1949. La ragazza, forse in cerca di intimità con un coetaneo, venne a contatto con della benzina e riportò gravi ustioni. Ella morirà, ma a casa sua, poco dopo essere stata dimessa dall’ospedale.

4) Accuse simili a quelle che furono mosse contro il più noto ordine Templare. In molti vedono analogie quali l’intitolazione della chiesa a S. Maria, dualismi tipici della cultura templare – rosa e spina – il fatto stesso che i Templari potevano essere paragonati a cistercensi armati. 5) La vicenda dello spartito del diavolo è stata ripresa anche dalla trasmissione Mistero l’11 maggio 2010, condotto da Marco Berry.

6) L’interesse per le televisioni, nazionali e non, verso il Principato di Lucedio è dovuto al saggio di Luigi Bavagnoli, tradotto in lingua ingleUn altro racconto analogo ci parla se dal titolo “Le leggende dell’abdi un bambino annegato in un fos- bazia di Lucedio”, ripreso anche so accanto all’abbazia. Chi lo rapì? dal mensile l’Imprevisto.

Per approfondimenti sulla leggenda dello “Spartito del Diavolo” esiste un’animazione pubblicata dall’associazione Teses su YouTube in cui è possibile ascoltare l’esecuzione del brano:


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61 RunaBianca Bibliografia

Biografia : Luigi Bavagnoli

AA. VV., “L’abbazia di Lucedio e l’ordine cistercense nell’Italia occidentale nei secoli XII e XIII” (Atti del terzo congresso storico vercellese, Vercelli, 24-26 ottobre 1997), Vercelli 1999 Bavagnoli L. “Le leggende dell’abbazia di Lucedio”, L’imprevisto, 2010 Carboneri N., “La chiesa e l’aula capitolare dell’abbazia cistercense di Lucedio”, Roma, 1965 Ellena L., 2008

“Misteri”, Menhir Libri, Vercelli,

Sincero C., “Trino, i suoi tipografi e l’abbazia di Lucedio”, Torino 1897.

speleologo ed esploratore, è il presidente dell’associazione speleo-archeologica TE.S.E.S. (www.teses. net), da lui fondata nel 1996, che si prefigge di ricercare, studiare ed esplorare gli ambienti sotterranei realizzati dall’uomo. È stato co-fondatore e consigliere della Federazione Nazionale Cavità Artificiali, che ha lasciato nel 2008, dopo tre congressi nazionali di Archeologia del Sottosuolo ed alcune importanti pubblicazioni presso il British Archeological Reports di Oxford. Appassionato di storia, archeologia, geologia, folklore ed esoterismo tiene anche numerose conferenze sulle ricerche, e le scoperte effettuate. Collabora con Italian Military Fitness nel progetto IMF Adventures come caposquadra organizzando dei semplici corsi nella natura in cui imparare i rudimenti dell’orientamento e della sopravvivenza.


“Conte Dracula, si rilassi...“ “Omeopatiche“ riflessioni di una “scettica“ psicologa su mille occasioni di “ordinaria follia“

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apita a tutti. Diciamo più o meno a tutti…

Ricorderete senza dubbio quel bellissimo, struggente film del 1993 “Un giorno di ordinaria follia”, breve, brevissima storia di un uomo qualunque, oberato dai problemi quotidiani e dall’assurdità di certe situazioni, uomo qualunque che impazzisce e semina terrore in una torrida Los Angeles.

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Capita a tutti, dicevo, di vivere situazioni di ‘non ritorno’, situazioni in cui lo stress quotidiano, la stanchezza, l’imbecillità latente di qualcuno posto da un distratto Fato sulla nostra strada ci induce a commettere azioni che in altre circostanze mai ci saremmo sognati di compiere. E il caso di William ‘Bill’ Foster – un impareggiabile Michel Douglas – il quale ‘impazzisce’ per una malaugurata serie di banali circostanze che, viste in un’ottica diversa, non lo avrebbero di certo condotto all’omicidio e al tragico ma umanissimo finale. No, non vi racconterò certamente l’intera trama del film ma mi ricollego all’incipit di queste poiché righe poiché – come Psicologa – ritengo che in ciascun essere umano possa scattare la molla della momentanea follia. Soprattutto quando le condizioni al contorno inibiscono del tutto i fattori culturali, ambientali, sociali fino a quel momento assimilati e fanno riemergere il lato più oscuro dell’Homo sapiens sapiens, dell’Homo homini lupus, foemina foeminae lupior, sacerdos sacerdoti lupissimus che ricalca con maggior verosimiglianza un passo dell’Asinaria di Plauto.

Susanna Volterri

Il software… Secondo il filosofo Hobbes l’umana natura – quindi il software che domina il nostro encefalo – è fondamentalmente egoistica e le azioni del nostro Homo sapiens sapiens in realtà sarebbero dettate solo e soltanto da un ancestrale istinto di sopravvivenza e di sopraffazione. Per il più che pessimista Hobbes non esiste un naturale amore tra gli esseri umani e, quando essi si legano in società e amicizie, i loro rapporti sono determinati solo dal reciproco timore. Insomma, altro che società civile! Ogni individuo vede nel prossimo un potenziale nemico e cerca di ‘eliminarlo’ soprattutto quando esso è, o appare, di ostacolo al soddisfacimento dei suoi desideri. Siano essi naturali o… innaturali. E la legge del bellum omnium contra omnes, di tutti contro tutti… Va bene, ora direte, ma cosa c’entra tutto questo con i temi trattati in questo curioso libro ove un filo conduttore

rigorosamente ‘rosso sangue’ ci ha condotti di pagina in pagina? Ho voluto ‘sadicamente annoiarvi’ poiché nel libro avete trovata una miriade di desideri del tutto ‘innaturali’ tra loro legati da una tempesta di tragiche emozioni in cui il nostro ‘fluido vitale’ è l’attore principale: da un inutile sadismo di quel ‘ragazzaccio’ di Vlad III Tepes alle turpi e del tutto folli teorie della sanguinaria Contessa Erzsebèt Bathory, la quale al latte d’asina che ci riconduce ad una neroniana Urbs aeterna, preferiva il sangue di innocenti fanciulle attirate nel suo castello dall’indigenza più nera. E che dire degli incestuosi e antropofagi parenti di Sawney Bean? Cosa pensare del sacerdos sacerdotis lupissimus – un Papa in persona! – che fa riesumare la salma del suo predecessore, la fa ‘processare’ e la getta nel ben poco ‘biondo Tevere’? ‘Ordinaria, momentanea follia’ o il buon Thomas Hobbes – se vogliamo, antesignano dell’antropologia filosofica – aveva ragione? L’hardware… Esaminiamo ad esempio, ma sotto un’altra angolazione – ove domina l’hardware del nostro cervello – la figura del cosiddetto ‘vampiro’… É possibile ipotizzare che qua e là nel tempo, qua e là su questo travagliato pianeta ogni tanto emergano individui nei quali spiccano più che in altri segmenti atipici, ‘malati’, delle strutture encefaliche descritte come “Triune Brain” dallo psicanalista Paul D. MacLean, per il quale il nostro cervello sarebbe ‘uno e trino’, costituito da tre distinte formazioni anatomiche e funzionali che, nel corso di lunghissimi periodi evolutivi, si sono sovrapposte ed integrate? Esisterebbe insomma un ‘cervello paleomammaliano’, (dove dominano sesso, nutrimento, emozioni, ecc.), un ‘cervello neomammaliano’ (in cui prevalgono linguaggio, autocoscienza, ecc.) e – ciò che qui più ci interessa – anche un ‘cervello protorettiliano’ (il più antico e che sovrintende al cacciare, creare gerarchie sociali, possesso del territorio, ecc.) costituito dalla parte superiore del midollo spinale, da aree del mesencefalo e da altre strutture che qui – per non farvi voltar subito pagina! – evito di menzionare, cervello che ricondurrebbe il tanto decantato Homo sapiens quasi al… Varano di Komodo! Un terribile sauro dagli acuminati denti capaci di iniettare un letalissimo veleno nelle ignare vittime.


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Sigmund Freud, forse, nel nostro ‘vampiro’ diagnosticherebbe una regressione alla ‘fase orale’…

Odissee di Sangue

Vita, miti, leggende, vampirismo... da Vlad l’Impalatore a Erzsébet Báthory, da Gilles de Rais a Savney Bean. E ben oltre...

autore: Roberto Volterri Eremon Edizioni

Sopra il ‘cervello trino’ secondo il professor Paul D. MacLean ( a destra). É forse nella struttura più antica, quella ‘rettiliana’, l’origine di anomali comportamenti che inducono alle manifestazioni d’ordinaria follia?


Ovviamente, se vogliamo far nostre le innovative teorie del neuroscienziato MacLean, purtroppo scomparso di recente… ‘Denti acuminati’? ‘Letale veleno’? Allora torniamo subito al nostro ‘vampiro’, da un pò di tempo accomodatosi sul divano del mio ben poco immaginario studio di psicologa. L’antivirus…

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All’inizio degli anni Trenta del secolo appena trascorso, lo psicanalista e neurologo inglese Ernest Jones pubblicò un interessante trattato intitolato ‘On the Nightmare’, ovvero ‘Sull’Incubo’ e teorizzò che nell’immaginario collettivo i ‘vampiri’ costituiscono il simbolo di nostri inconsci meccanismi di difesa. Una sorta di psicologico ‘antivirus’ dunque… Difesa dal resto del genere umano che, sempre inconsciamente, vediamo come ‘nemico’, come potenziale aggressore, come i vari stolti personaggi che l’uomo qualunque ‘Bill’ Foster incontra in un’inospitale metropoli USA? Secondo Jones – biografo di Sigmund Freud – il ‘vampiro’ costituirebbe dunque un inconscio ‘scudo’ contro la dura realtà, ‘scudo’in cui l’amore per chi è scomparso e qualche latente nostro senso di colpa ci farebbe immaginare il ‘vampiro’ stesso che lascia la sua fredda ed ultima dimora così come chi resta desidererebbe allo scomparso stesso ricongiungersi. Avrebbe luogo, insomma, una protezione autogenerantesi nell’individuo nel momento in cui subentra la paura della definitiva dipartita da questa ‘valle di lacrime’, paura che dà origine alla ‘proiezione’ delle proprie angosce in un immaginario essere ‘immortale’, capace di tornare da quel lontanissimo ‘Altrove’ in cui da sempre confluisce il genere umano e di mantenere tale innaturale condizione ‘assorbendo’ il fluido vitale – il sangue – di chi non lo ha accompagnato nell’ultimo suo viaggio. Il ‘vampiro’ che dà la morte con un suo bacio rappresenta l’espressione della fragilità umana che, a volte, ‘uccide’ ciò che invece desidera. Ma lo stesso Jones avvicina il fascino che il ‘vampiro’ esercita sull’immaginario delle persone a desideri sessuali rimossi, soprattutto di matrice ‘sadica’. Egli fa inoltre rilevare come il ‘vampiro’ compaia nella mente degli schizofrenici insieme alla figura del ‘demonio’. Ma perché la figura del ‘vampiro’ attira tanto? Forse perché – come ipotizza Stephen King la ‘sessualità’ del ‘Signore della notte’ è – come dire? – un pò atipica, concentrata solo in una sorta di contatto orale, ma... unilaterale? Suvvia, non si preoccupi, si rilassi Conte Dracula! Non intendo dire che il suo sviluppo psicosessuale – ipotizzato dal grande Sigmund Freud – la identifichi come un sinistro individuo

‘fermo’ ai primi due anni della vita, periodo in cui il piacere sessuale è strettamente correlato alla stimolazione delle labbra e della cavità orale perché, più volte al giorno, è l’ora della… poppata! Come psicologa non mi permetterei mai di muoverle tale ingiusta critica. Con i ‘vampiri’ non si sa mai… Ho capito! Le farebbe ben più piacere se la accostassi al Don Giovanni di mozartiana memoria! Ma sì, già ne ha parlato lo scrittore Alessandro Baricco… mi ci faccia pensare caro Conte Dracula tanto, seduta dopo seduta, avremo tutta l’eternità davanti a noi…E sì, sia lei che Don Giovanni prediligete la notte per le vostre avventure più o meno sentimentali. Ma questo è abbastanza plausibile… Inoltre, una delle scene principali dell’opera di Mozart, se male non ricordo, avviene proprio in un cimitero. Luogo che lei mi sembra prediligere. O sbaglio? Anche Don Giovanni miete, eroticamente parlando, tre ‘vittime’: Zerlina, Donna Anna e Donna Elvira. E lei non è da meno, conquistando – faccio per dire, non si inorgoglisca troppo! – Lucy Westenra, Mina Harker e, poiché semel in anno licet insanire anche per voi transilvani ‘vampiri’, pure lo sfortunato Jonathan Harker. Su, non si agiti troppo! Ma lo sa che ha ragione Baricco? Don Giovanni, avvolto in un vampiresco mantello, seduce Donna Anna e “dopo” ella si risveglia da uno stato di strano torpore, scoprendo che il padre è accanto a lei… morto. Sbaglio o una circostanza analoga è da lei vissuta in un Capitolo del libro di Bram Stoker che ha reso immortale (questa volta sul serio!) sia il mio momentaneo, pallido, paziente, che quel valoroso ma anaffettivo personaggio storico che fu Vlad III Tepes, l’Impalatore? E, proprio perché è mio deontologico dovere di psicologa comprendere anche i ‘vampiri’– molto ‘realmente’ immaginari come lei – non le sembra che le sue imprese d’ordinaria follia, la sua insana passione per il sangue, assomigli stranamente a ciò che Don Giovanni dice a Leporello “ Lasciar le donne? Pazzo! Sai ch’elle per me son necessarie più del pan che mangio, più dell’aria che spiro”? In conclusione, mi spiace immensamente, caro Conte, ma credo proprio che lei e la sua stirpe non esistiate affatto! Forse ha ragione Hobbes e il ‘male’ è ancestralmente insito nella natura umana, forse ha ragione MacLean e qualche anomala area del nostro cervello ‘rettiliano’ ogni tanto emerge per dar vita agli incubi, ai personaggi che abbiamo incontrato nelle pagine che hanno precedute queste mie riflessioni, forse ha ragione l’ottimo Alessandro Baricco sulla possibilità che Mozart abbia fornito lo spunto creativo all’irlandese Stoker. Oppure certe coincidenze sono solo frutto del caso… Si desti dal suo ‘eterno sonno’ sulla ‘dormeuse’ del mio studio, Conte Dracula! La seduta per oggi è terminata, ora ho un altro paziente. Può tornare in pace nell’avello!


Biografia : La dottoressa Susanna Volterri, si è laureata in Psicologia Clinica con una tesi sul disagio giovanile, tesi in buona parte incentrata anche sulle sanguinose vicende delle “Bestie di Satana” che, alcuni anni fa, seminarono il terrore nei dintorni di Golasecca e Somma Lombardo (Varese). Ha fatto parte del Centro per la Prevenzione del Suicidio presso l’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Cattedra di Psichiatria della Facoltà di Psicologia dell’Università “La Sapienza”, di Roma.

La dottoressa Susanna Volterri, psicologa, è abbastanza scettica su tutto ciò che si narra riguardo a ‘vampiri’, ‘licantropi’ , ‘gargoyles’ varie e altre mostruosità dell’immaginario collettivo…

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Ha pubblicato alcuni articoli sia a carattere espressamente scientifico che divulgativi. Con infinito disappunto del padre, da sempre “immerso” negli infiniti “misteri” che ci circondano, si mostra (quasi) del tutto scettica su ogni aspetto non razionale della realtà…

Forse ‘vampiri’, ‘licantropi’ e ‘mostri’ vari sono solo il frutto di nostri onirici incubi. Come quello qui magistralmente illustrato da Johann Heinrich Füssli. Ma Vlad Tepeş, Erzsébet Bathory, Sawney Bean & Co. non sarebbero del tutto d’accordo…


ITINERARI DI PELLEGRINAGGIO PER ROMA l’itinerario di sigerico il serioso

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oma, Città Santa, luogo del martirio degli apostoli Pietro e Paolo, sede della cattedra di Pietro e dei papi suoi successori, è stata da sempre meta di pellegrinaggio, frequentata dai cristiani denominati “romei”, spinti dal desiderio di visitare quel luogo carico di misticismo e di fede.

Ezio Sarcinella

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I pellegrini provenivano da ogni parte d’Europa, favoriti dai percorsi delle vie romane tracciati durante il lungo periodo dell’impero pagano, che Costantino nel 313 d. C. trasformò in cristiano. Le reliquie della croce di Cristo rinvenute in Terrasanta dalla madre Elena fornivano l’attrazione necessaria per accorrere a Roma, in pellegrinaggi frequenti che durante i secoli s’intensificarono, incrementati anche nel periodo medioevale dall’istituzione dell’Anno Santo e dal Giubileo, il primo dei quali fu indetto nel 1350 da Bonifacio VIII. Le indulgenze plenarie incoraggiavano non solo gli uomini di fede, ma anche tutti coloro che avevano necessità di espiare i loro peccati, ad intraprendere viaggi anche molto difficoltosi lungo le strade del pellegrinaggio, che furono chiamate anche “Vie della Fede”. Malgrado la partenza fosse preceduta da una raccolta di informazioni utili sul percorso da svolgere, il pellegrino faceva del proprio viaggio un’esperienza unica, a causa degli imprevisti che lo differenziavano da quello di coloro che lo avevano preceduto e da quello di coloro che lo avrebbero seguito. La scelta che egli operava alla partenza, o nell’orientamento durante il percorso, poteva essere dettata dalla ricerca delle condizioni più favorevoli che facilitavano la strada oppure dalla ricerca delle condizioni più disagevoli, essendo alcuni animati dal desiderio di affrontare maggiori pericoli per mettere alla prova il proprio coraggio o per affrontare le dure fatiche che ritenevano necessarie per espiare le gravi colpe commesse. Le informazioni sui percorsi delle vie della fede potevano essere trasmesse da pellegrino a pellegrino o tramite persone informate, quali mercanti e viandanti che viaggiavano in Europa lungo le vie già aperte dai Romani per raggiungere le terre più lontane del loro Impero. La carta del mondo, fatta eseguire nel I secolo a. C. da Marco Vipsanio Agrippa, genero dell’imperatore Augusto, riordinata, incisa


nel marmo ed esposta sotto la Porta Vipsania lungo la Via Flaminia, descriveva la rete viaria pubblica che s’irradiava da Roma per raggiungere le terre allora conosciute e indicava le stazioni di posta e dei servizi. Fu ricopiata su undici pergamene in epoca medievale (XII-XIII secolo), ma solo nel rinascimento l’umanista Konrad Peutinger, che l’aveva ereditata, ne fece pubblicare le mappe, che da lui presero il nome di “Tavola Peutingeriana”. Probabilmente già alla fine dell’Impero romano la carta del mondo romana risultava oramai inaccessibile ai cristiani, ma le vie in essa descritte erano note perché sempre frequentate.

La comunicazione orale che circolava tra le popolazioni che facevano poco uso della scrittura, essendo questa praticata soprattutto nei monasteri e nelle corti, favoriva i pellegrini, unitamente a qualche mappa con tracciati viari redatti in forma estemporanea durante i viaggi. Tra i più fortunati che sapevano leggere, circolavano i diari di pellegrini corredati da annotazioni preziose sul percorso, come l’Itinerario Burdigalense, Roma-Bordeaux, svolto nel 313 e l’Itinerario di Sigerico Roma-Canterbury, svolto nel 990. Era consuetudine, nei primi secoli del cristianesimo, che i pellegrini provenienti dalle nazioni europee del Nord giungessero in Italia attraverso i valichi alpini del Moncenisio, del Monginevro o del Gran San Bernardo e poi raggiungessero Roma percorrendo le vie Aurelia, Flaminia ed Emilia, che nel Medioevo fu chiamata anche Via Claudia. Queste strade però, a lungo andare, sia per il deterioramento avvenuto nel tempo, sia per l’aumento delle aggressioni operate contro i pellegrini da pirati e da briganti e, successivamente, per le scorrerie dei Saraceni, diventarono troppo pericolose per i viandanti che

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Tale via aveva favorito Longobardi e Franchi nel loro percorso di conquista del territorio italico e si rivelò preziosa anche per raggiungere le tre mete fondamentali dei pellegrinaggi cristiani: Roma, Gerusalemme, attraverso la Via Appia e il mare Mediterraneo, e Santiago di Compostela, con una deviazione verso la via Tolosana, dalla Francia o dalla ligure Luni.

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La “Via del Sole”, che collegava il Mare del Nord con Roma, era stata aperta da Giulio Cesare inglobando tratti di antichi percorsi viari che attraversavano il territorio dei Celti.


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le percorrevano, i quali venivano esposti a rischi spesso mortali. I pericoli sempre incombenti spinsero quindi coloro che volevano raggiungere la meta prefissata a scegliere altre vie di collegamento con Roma. Uno dei percorsi alternativi fu la “Via di Monte Bardone”, con passo sugli Appennini liguri, oggi noto come “Passo della Cisa”. Tale tracciato viario, detto del Mons Longobardorum, da cui la deformazione etimologica di “Monte Bardone”, si deve ai Longobardi, che nel VI – VII secolo aprirono la via per poter mantenere il collegamento tra il regno di Pavia e i ducati di Spoleto e di Benevento. Costretti nella Pianura Padana dai bizantini, non potevano raggiungere Spoleto attraverso la Via Cassia, perché troppo vicina all’esarcato, né Benevento attraverso la via Aurelia perché, essendo questa troppo ad ovest, era soggetta alle incursioni di pirati provenienti dal mare e agli impaludamenti della Maremma. Superato l’Appennino attraverso il passo di Monte Bardone, i Longobardi potevano raggiungere Spoleto congiungendosi con la Via Cassia nei pressi del Lago di Bolsena, dopo aver superato il bacino dell’Elsa che conduceva a Siena, le valli delle Merse e dell’Orcia,

oppure potevano proseguire verso Roma e poi raggiungere Benevento attraverso la Via Appia. Nella seconda metà del secolo VIII Carlo Magno percorse la stessa via di Monte Bardone, cacciò i Longobardi e riconquistò le terre italiane. Seguendo l’esempio del re longobardo Liutprando, che aveva donato Sutri per costituire il Patrimonio di Pietro, donò molti feudi alla Chiesa e per poter mantenere il collegamento con Roma fece di questa via un’arteria di riferimento per il suo Impero. Tale via, che favoriva il congiungimento del territorio dei Franchi carolingi e germani con Roma, fu dotata di molte infrastrutture, composte sia da dispositivi militari di difesa (torri, luoghi di postazione e stanziamento) sia di utilizzo pubblico (ostelli, stazioni di posta, conventi, abbazie, ospedali). Fu percorsa da eserciti e regnanti, da uomini di cultura, da papi, da cardinali e da pellegrini che dal Nord Europa potevano più agevolmente raggiungere Roma. Essendo stata privilegiata dai Franchi, prese il nome di “Francigena”, ma per essere percorsa da tutti i pellegrini che provenivano dal Nord Europa per raggiungere la meta cristiana di Roma fu anche denominata “via Romea”. ITINERARIO DI SIGERICO Sigerico, noto in patria come Sigerico il Serioso, che divenne Arcivescovo cattolico di


Delle settantanove tappe del suo itinerario quarantasei si trovano in Italia, otto in Svizzera, ventitré in Francia e due in Inghilterra. In Italia Sigerico attraversò il Lazio, la Toscana, la Liguria, l’Emilia-Romagna, la Lombardia, il Piemonte e la Valle d’Aosta. In Svizzera attraversò il Canton Vallese e il Canton Vaud. In Francia la Franca Contea, lo ChampagneArdenne, il Piccardia e il Nord-Passo di Calais. In Inghilterra, dopo l’attraversamento della Manica, superò Dover per raggiungere alla fine Canterbury. Questo diario divenne per molto tempo una delle guide più consultate dai pellegrini che intendevano raggiungere Roma, in quanto il percorso riporta giorno dopo giorno e in modo dettagliato tutte le informazioni necessarie e indicazioni precise dei luoghi attraversati. Il flusso dei pellegrini sempre più intenso, unitamente ai mercanti, ai viandanti e a tutti coloro che si spostavano per vari motivi, incentivarono l’aumento lungo il percorso descritto da Sigerico delle costruzioni di strutture ricettive destinate a persone, cavalli e altri animali al seguito.

L’itinerario è oggi utilizzato come base per ricostruire il tragitto ufficiale della Via Francigena, pur con la necessità di apportare tutte quelle varianti imposte dall’antropizzazione diffusa, che non permette di ritrovare integri gli antichi tracciati descritti da Sigerico che all’epoca collegavano il Nord Europa con Roma.

Biografia: Ezio Sarcinella Laureato in Chimica a Bologna, ha insegnato Matematica e Fisica. Amante della natura, la studia nei suoi aspetti chimico-fisici, ai fini della salvaguardia degli equilibri degli ecosistemi e, operando nell’ambito dell’Igiene e Qualità, si prodiga per il benessere fisico dell’uomo in relazione al consumo dei prodotti alimentari. Esperto fotografo d’ambiente, ne riprende gli aspetti paesaggistici e architettonici, documentando nel tempo le trasformazioni ambientali e denunciandone il degrado. Opera nell’ambito del Movimento Culturale Synergtic-art e dell’Associazione onlus di protezione civile e ambientale “Sport&tour”. Collabora dal 1996 con l’Associazione SpeleoTrekkingSalento in veste di fotografo ufficiale e documentarista dei percorsi ordinari e straordinari, nei quali rientra la “Via leucedense dei pellegrini”, tratto finale della Via Francigena del Sud. Sue foto corredano libri, riviste e articoli di orientamento culturale e di divulgazione turistico-culturale e religioso. La via dei pellegrini SpeleoTrekkingSalento 2007

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Il cammino indicato dall’itinerario di Sigerico, congiungente Canterbury con Roma, indubbiamente fu noto veicolo di diffusione culturale tra le genti europee. Attraversando verticalmente l’Europa creava un ponte geografico tra le diverse nazioni, ma anche un ponte culturale e religioso fra le diverse popolazioni toccate dal passaggio di coloro che per commercio, per fede o per altri motivi erano in cammino su quella antica via.

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Durante il ritorno a Canterbury, l’Arcivescovo Sigerico annotò nel suo diario di viaggio religioso le settantanove tappe del cammino, descrivendo con precisione i luoghi da lui attraversati. Fece una dettagliata descrizione del tragitto di circa 1600 chilometri, che egli coprì camminando ad una media di circa venti chilometri al giorno. Nei settantanove giorni, corrispondenti alle tappe effettuate, indicò le città e i centri minori attraversati, le mansiones e le submansiones, ne fece la descrizione e annotò tutte le distanze intercorrenti tra tutti quei luoghi nei quali il pellegrino poteva trovare ristoro per sé e per gli animali da trasporto impiegati lungo il tragitto.

Sull’esempio romano sorsero altre mansiones, (luoghi dove i pellegrini o i viandanti trovavano accoglienza e ristoro) altre mutationes (luoghi dove avveniva il cambio dei cavalli) e soprattutto, per le necessità di curare i pellegrini, sorsero anche molti hospitales.

RunaBianca

Canterbury, nell’anno 990 si recò a Roma per ricevere l’investitura con il pallio dalle mani del papa Giovanni XV. Il pallio, simbolo della dignità arcivescovile, all’inizio dell’era cristiana era un mantello attestante la qualità di “maestro”. Confezionato con lana bianca, rappresentava simbolicamente l’agnello sulle spalle del buon pastore e divenne quindi anche simbolo della funzione pastorale che esercitava il Vescovo nei confronti dei suoi fedeli. Nei primi secoli del cristianesimo era una striscia di stoffa avvolgente le spalle e con una estremità cadente dalla spalla sinistra sul petto del prelato. Successivamente gli fu data una forma a “Y”, che mantiene tuttora, ma quello di oggi è riservato solo ai vescovi metropoliti e al Papa.


FILAMENTI BIANCHI POLIMERICI: UN' ANALISI CRITICA

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In questa sede vorrei prendere in considerazione tre principali ipotesi che potrebbero spiegare l’origine e le funzioni di questi filamenti. La prima riguarda i capelli d’angelo o bambagia silicea, un fenomeno riconosciuto in ambito ufologico che consiste nella caduta di sottili fili in concomitanza con il passaggio, spesso a bassa quota, di OVNI (Oggetti Volanti Non Identificati). Un evento storico di questo tipo è accaduto nel 1954 a Firenze. Nonostante questi filamenti si dissolvano in brevissimo tempo e a contatto con le mani, è stato comunque possibile analizzarli in un laboratorio dell’Istituto di Chimica Analitica dell’Università di Firenze. Il referto indicava questi campioni come strutture macromolecolari contenenti boro, silicio, calcio e magnesio e, ipoteticamente, potrebbe essersi trattato di vetro borosilicato.

Ragni, ragnatele e ballooning I ragni o aracnidi sono animali invertebrati appartenenti al phylum degli artropodi. Soltanto gli animali appartenenti a questo phylum sono in grado di secernere la seta che consiste in una lunga catena proteica prodotta all’interno di apposite ghiandole in forma liquida che si solidifica a contatto con l’aria. La seta è dunque composta da amminoacidi (principalmente glicina, alanina e serina) e da pirrolidina, idrogeno fosfato di potassio e nitrato di potassio. Queste ultime tre sostanze rendono la ragnatela igroscopica, acida e le conferiscono una proprietà antibatterica. Una volta che la seta viene prodotta dalle particolari ghiandole nell’addome del ragno, viene espulsa all’esterno e subisce un processo di polimerizzazione. Mediamente il diametro dei fili di una ragnatela misura 1 – 4 μm (micrometri). La ragnatela presenta anche ottime prestazioni di robustezza ed ela-

La seconda ipotesi indica questi filamenti come ragnatele prodotte dai ragni durante la migrazione, il fenomeno denominato ballooning. Infine la terza ipotesi illustra la natura artificiale, nanobiotecnologica, di questi filamenti. Sulla base dei miei studi, ma anche di quelli eseguiti da altri ricercatori indipendenti, vorrei approfondire l’analisi relativa a queste due ultime ipotesi e lasciare come di consueto al lettore degli ottimi spunti di riflessione che saranno utili ad intraprendere ulteriori indagini per meglio comprendere questo fenomeno.

Samuele Venturini

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ono bianchi, lunghi, appiccicosi e possono essere facilmente scambiati per ragnatele, la famosa seta prodotta dai ragni. Stiamo parlando di filamenti bianchi che dal sottoscritto e da altri ricercatori vengono definiti polimerici e in questo articolo ne spiegheremo la probabile origine e alcune loro particolari caratteristiche.

sticità. FIG. 1 – Ragnatela naturale. La produzione della ragnatela è per il ragno un grande investimento di energie, pertanto una volta che la seta perde di funzionalità o risulta compromessa, viene mangiata e digerita da speciali succhi gastrici. In questo modo l’aracnide potrà riciclare la vecchia seta per produrne di nuova. La ragnatela adempie molte funzioni tra cui la cattura e la conservazione delle prede, il trasporto (ballooning), la formazione del cocoon, l’adesione, ecc. Essa inoltre è formata da due tipi di filamenti di seta: uno rivestito da un liquido ghiandolare viscoso è impiegato per catturare gli insetti; l’altro è composto da un particolare tipo di seta deno-

minata “dragline” (filo teso) molto studiato dai ricercatori per le sue proprietà tecniche come resistenza, pressione, flessibilità ed elasticità. Il ballooning è una modalità di dispersione dei giovani ragni che, dopo essere saliti su un punto elevato, si aggrappano con le zampe e dalle filiere emettono un filo di seta (filo aeronautico) che viene catturato dalle correnti d’aria calda ascensionali; quando la trazione è sufficiente, allentano la presa e si lasciano trascinare dal vento. Nella maggior parte dei casi sarà la diminuzione del vento o l’abbassamento di temperatura a provocare l’atterraggio al suolo dove, liberatosi dal filo, il ragno inizierà a muoversi liberamente. Il balloonig avviene secondo determinate condizioni atmosferiche. Come osserva Brignoli, “questo tipo di dispersione, al limite tra il trasporto passivo e l’attivo (il ragno decide quando partire, ma non può influire un gran che sull’atterraggio) è ancora assai enigmatico: non si comprende infatti come mai le forme che ne fanno uso abbiano areali nel complesso abbastanza limitati”. Questa tecnica è utilizzata dai giovani ragni o dai ragni adulti di piccole dimensioni per colonizzare nuovi ambienti o sfuggire a condizioni sfavorevoli. Esistono degli articoli scientifici che hanno studiato proprio il ballooning. In alcuni di questi lavori viene dimostrato come la maggior parte dei ragni raggiungano un’altezza, dal suolo, di 22 metri mentre a seconda della stagione le altezze possono arrivare fino a 45 metri circa. Sono stati prelevati piccoli ragni (pochi millimetri di lunghezza) anche a quote molto alte (circa 3000 metri di altitudine) sopra l’oceano perché sono stati trasportati dalle forti correnti ascensionali presenti lungo le coste. Il Dipartimento di Entomologia del Texas ha effettuato un campionamento di ragni che eseguono ballooning e ha dimostrato che il numero di individui catturati durante questo loro spostamento è maggiore nei pressi del suolo e molto minore verso l’alto (1500 metri).

Fig. 2 - In questa imm a g i n e possiamo n o t a r e un ragno


(quello di destra) intento a tessere un filo per il ballooning. Come è possibile osservare, il suo spessore è molto piccolo e quasi impercettibile ad occhio nudo, oltretutto ha una trasparenza che lo rende quasi invisibile salvo la presenza di uno sfondo di contrasto. Ciò rappresenta anche quanto si evince dalla letteratura scientifica, difatti il filo deve possedere le caratteristiche opportune che lo rendano adatto alle diverse funzioni. La massa e la leggerezza sono alcune di queste. Il vento e la carenza di risorse alimentari sono tra i fattori che scatenano il ballooning tra alcune popolazioni di ragni.

Questo perché generalmente i ragni, essendo prevalentemente predatori, con l’approssimarsi della stagione fredda e la conseguente diminuzione delle loro prede tendono ad andare in letargo (diapausa). Il ballooning è un comportamento rischioso per i ragni perché li rende facili prede.

Fig. 3 - Questo schema mostra in modo inequivocabile la funzione e il meccanismo del ballooning: i ragni, soprattutto gli individui giovani e appena nati, secernono, da particolari ghiandole poste sull’addome, una dragline (e altri filamenti a seconda della specie) che in presenza di vento – fattore indispensabile e molto importante – permette loro di spostarsi in direzione orizzontale ma comunque sopraelevata dal terreno, alla ricerca di nuovi luoghi da utilizzare come riparo e come fonte di cibo.

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Da qui l’importanza di non volare troppo in alto ma di stare ad altezza vegetazione, di produrre una seta finissima, trasparente e di lunghezza minima ma resistente, giusto l’indispensabile per svolgere appieno la propria funzione.

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Filamenti bianchi: le analisi.

In questi ultimi anni molte persone si sono accorte di uno strano fenomeno: la caduta di filamenti bianchi “anomali” dal cielo. Dalle innumerevoli testimonianze raccolte si sono potute constatare alcune caratteristiche comuni come la copiosità del fenomeno in vaste zone, la concomitanza del fenomeno con il sorvolo di aerei che rilasciano una scia bianca (scie chimiche o geoingegneria) e una somiglianza alle normali ragnatele ma che a differenza di queste presentano una maggior tenacità, appiccicosità, elettrostaticità ed un colore bianco intenso.

FIG. 4A - Filamenti bianchi adesi a un tronco di albero.

I filamenti raccolti in diverse località sono stati analizzati in laboratori biologici e sottoposti a identici test dando i medesimi risultati. Le prime analisi di questi filamenti risalgono al 2002 e il referto fu che i filamenti parevano essere non di origine biologica bensì simili a quelli delle fibre tessili, di tipo sintetico (es. rayon). In particolare, detti filamenti presentavano lungo il decorso un’alternanza di segmenti chiari e di segmenti più scuri e la presenza, anche se non costante, di zone rifrangenti la luce; aspetto, quest’ultimo, tipico delle fibre tessili polimeriche di sintesi. Altri saggi successivi hanno dimostrato che i filamenti potrebbero essere simili alla seta ma non si tratta di seta naturale. Questo concetto può essere meglio compreso leggendo i brevetti successivi.

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Tra le specie di aracnidi oggetto di uno studio scientifico, proprio in merito alla migrazione, quasi tutte effettuano il ballooning tra maggio e settembre.

FIG. 4B - Filamenti bianchi adesi a un palo in legno.


E’ esemplare la recente ricerca della valentissima giornalista indipendente Carolyn Williams Palit che chiarisce origine e natura delle “ragnatele artificiali”, confermando in buona misura le ipotesi di vari ricercatori. I filamenti diffusi con gli aerei, soprattutto nella stagione autunnale, sono un nuovo tipo di chaff che si presta, però, a molteplici applicazioni, non essendo confinati questi ritrovati agli usi militari in senso stretto. Nei laboratori statunitensi, interventi su capre geneticamente modificate, hanno consentito di produrre una specie di seta che risulta un incrocio tra organico ed inorganico. Questo spiega perché i filamenti in oggetto, pur possedendo qualcosa di artificiale, siano biocompatibili. L’agghiacciante scenario descritto dalla Palit, che ha attinto queste informazioni da siti governativi, investe la biotecnologia, l’industria chimica e dei biosensori, per evidenziare come il Morgellons sia un’affezione legata a fibre biosintetiche e ad una possibile loro infestazione, a causa di microorganismi che attaccano sia gli aracnidi sia le capre.

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Qui di seguito invece riporto delle recenti analisi eseguite da un biologo mediante l’utilizzo di un microscopio a fluorescenza e a cui ho avuto modo di assistere personalmente.

FIG. 4C - Filamenti bianchi che cadono dal cielo

Insieme al filamento bianco sono stati analizzati altri campioni di controllo come una ragnatela, un filo di cotone, un filo di lana, un capello, un pelo e un filo di fibra sintetica (poliestere). Il filamento bianco presenta differenze strutturali rispetto agli altri campioni, sia a occhio nudo che al microscopio. Nello specifico vorrei mostrare ai gentili lettori il confronto tra il filamento bianco che io definisco polimerico (campione 1) e altri tre campioni di controllo: ragnatela (campione 2), cotone (campione 3), fibra sintetica (campione 4). Analizzando le immagini dei campioni in luce trasmessa è possibile osservare una struttura ben organizzata e definita per i materiali 2, 3, 4, mentre per il campione 1 la morfologia è univoca e particolare. Aumentando gli ingrandimenti, le strutture di cui è composto questo filamento diventano sempre più piccole (con dimensioni minori di 1 μm), come se ogni filo fosse un polimero in cui sono contenuti altri polimeri più piccoli. Arrivando ad un ingrandimento massimo di 100x (1000 volte se contiamo anche l’ingrandimento dell’oculare del microscopio) si raggiunge il limite dello strumento e non si riesce a mettere bene a fuoco il campione. Ciò non risulta così evidente negli altri tre materiali in quanto composti da strutture ben definite. L’eventuale sfocatura di alcuni dettagli delle foto di questi tre campioni è dovuta alla tridimensionalità degli stessi e non alla loro dimensione. Il filamento bianco pare quindi avere una struttura nanometrica.

FIG. 4D - Filamenti bianchi che fluttuano vicino al terreno dopo essere caduti dal cielo.

Anche la fluorescenza presenta differenze tra i quattro campioni. La consistenza esterna è completamente diversa tra il filamento bianco ed una ragnatela. Quest’ultima infatti si infrange facilmente e oppone relativamente poca resistenza nell’essere spezzata da un oggetto. Il filamento bianco è incredibilmente più resistente, elastico ed appiccicoso. Sono state anche eseguite analisi spettrofotometriche di questi filamenti dalle quali si è potuta evidenziare la presenza di silicio e titanio. Come abbiamo descritto all’inizio dell’articolo, gli aracnidi in natura producono seta composta solo da catene proteiche, senza tracce di metalli. Vi sono altre peculiarità che rendono differenti e quindi non paragonabili i filamenti bianchi polimerici alle ragnatele. Queste ultime se immerse in acqua di rubinetto o in acqua distillata tendono a precipitare sul fondo del recipiente. I filamenti bianchi invece tendono a stare a galla. Inoltre le ragnatele se vengono immerse in una soluzione di HCl (acido cloridrico) 1N tendono con il tempo a disgregarsi, viceversa i filamenti bianchi nelle medesime condizioni mantengono la loro struttura.

FIG. 5 – Filamenti bianchi polimerici raccolti per le analisi. Da notare la particolare conformazione e struttura.


Biopolimeri o ragnatele geneticamente modificate? Cosa dicono i documenti scientifici. Vorrei elencare qui di seguito solo alcuni dei numerosi brevetti che trattano di filamenti di seta geneticamente modificata, di nanofibre e di nanomedicina. Ho voluto mostrare anche foto significative presenti all’interno dei documenti citati per poterle così confrontare con le ragnatele naturali e i filamenti bianchi raccolti di origine incerta. US 7157615 – Production of biofilaments in transgenic animals. Ovvero produzione di biofilamenti (come seta di ragno) negli animali transgenici. US 20060248615 – Synthetic spider silk proteins and expression thereof in transgenic plants. Ovvero proteine sintetiche della seta di ragno e loro produzione in piante transgeniche. US 20050054830 – Methods and apparatus for spinning spider silk protein. Ovvero metodi e apparecchi per la filatura delle proteine della seta di ragno, per fabbricare prodotti commerciali e industriali. US 8030024 – Synthesis of spider dragline and/or flagelliform proteins. Ovvero sintesi della dragline di ragno e/o proteine flagelliformi da impiegare nei settori della biotecnologia e della medicina rigenerativa. US 20100228359 – Implant of cross-linked spider silk threads. Ovvero impianto reticolato di fili di seta di ragno da impiegare per la produzione di impianti tissutali in campo medico.

FIG. 7 - Ingrandimento 100x al microscopio dei seguenti campioni: 1) filamento bianco. 2) ragnatela. 3) cotone. 4) fibra sintetica. La barra bianca in basso a destra misura 20 μm.

US 20100191328 – Tissue-engineered silk organs. Ovvero organi di seta mediante ingegneria tissutale. Questi organi sono nonimmunogenici e biocompatibili. US 20050260706 – Silk biomaterials and methods of use thereof. Ovvero biomateriali di seta e metodi di utilizzo degli stessi. US 20090123967 – Modified spider silk proteins. Ovvero proteine della seta di ragno modificate. Viene indicato il potenziale uso nei campi della medicina e della cosmesi. US 201000298877 – Recombinant spider silk proteins. Ovvero proteine ricombinanti della seta di ragno. L’utilizzo è previsto nei settori delle biotecnologie, della medicina, nel rivestimento degli aerei e in altri settori tecnici. US 20090099580 – Methods and apparatus for enhanced growth of peripheral nerves and nervous tissue. Ovvero metodi e apparati per incrementare la crescita di nervi periferici e di tessuto nervoso. US 20080242171 – Production of nanofibers by melt spinning. Ovvero produzione di nanofibre mediante filature fusa. L’impiego è previsto anche nel campo biomedico.

FIG. 8 - Altri filamenti al microscopio

US 201022136086 – Dynamic bioactive nanofiber scaffolding. Ovvero strutture di nanofibre dinamiche e bioattive. Anche in questo caso l’impiego è previsto nel settore dei biomateriali e della biomedicina (nanomedicina).

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US 20090226969 – Spider silk proteins and methods for producing spider silk proteins. Ovvero proteine della seta di ragno e metodi per produrre le proteine della seta di ragno. Tale invenzione permette la produzione di proteine della seta di ragno idrosolubili e in grado di auto-assemblarsi in polimeri desiderati. Tra gli impieghi indicati figura la coltivazione di cellule eucariote sulle fibre create.

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FIG. 6 – Ingrandimento 4x al microscopio dei seguenti campioni: 1) filamento bianco. 2) ragnatela. 3) cotone. 4) fibra sintetica. La barra bianca in basso a destra misura 20 μm.


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In questa immagine tratta dal brevetto sopra citato si possono notare, segnalati dalle frecce, dei filamenti di crescita molto simili alle strutture presenti nei filamenti bianchi di ricaduta nei campioni di fibre di Morgellons. US 20080187996 – Nanofibers, nanofilms and methods of making/using thereof. Nanofibre, nanofilm e metodi per produrre/usare gli stessi. Nella descrizione del brevetto viene indicato che queste nanofibre sono composte da ossidi metallici, polimeri organici e da una combinazione di entrambe. Tra i metalli compaiono il titanio, il manganese, il cobalto, lo zirconio, il molibdeno, il vanadio, il nichel, il ferro, ma anche composti di silicio. Il campo di applicazione è nanomedicina.

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Sulla rivista Discover Magazine del settembre 2011 è apparsa la notizia della creazione di una ragnatela artificiale mediante l’impiego di microrganismi (batteri E. coli) ingegnerizzati geneticamente per produrre seta. La foto illustra un’incredibile somiglianza con i filamenti bianchi polimerici. Esistono anche altri lavori, ricerche e studi – in ambito medico, accademico, militare – dai quali è possibile osservare una sorprendente correlazione tra le fibre di vetro , ad esempio, e i filamenti bianchi polimerici.

Le considerazioni, le ipotesi. I filamenti bianchi non sembrano affatto naturali perché le ragnatele o le dragline presentano caratteristiche differenti. Si è sempre notata una copiosa ricaduta di questi filamenti bianchi prevalentemente durante le prime settimane del mese di novembre, proprio in concomitanza con l’aratura dei terreni agricoli. Una probabile funzione di ciò potrebbe essere la seguente: i filamenti potrebbero fungere da vettore per macromolecole informazionali (DNA, RNA) e potendo reagire a stimoli elettromagnetici (HAARP?), alla presenza di precursori (scie chimiche?) e/o a shock termici (modificazione climatica ?), sarebbero potenzialmente in grado di facilitare una trasposizione di elementi genetici all’interno di microrganismi, piante e/o animali. Uno dei potenziali obiettivi potrebbe essere quello di favorire la diffusione di organismi OGM o di eseguire sperimentazioni (militari?) direttamente sul campo. Le caratteristiche di igroscopicità e di rifrazione della luce che presentano questi filamenti possono trovare impiego nei settori della geoingegneria (gestione della radiazione solare) e dell’aeronautica (accecare i radar). Valutando alcuni articoli di letteratura scientifica in merito al ballooning (tecnica che usano alcuni aracnidi per lo spostamento) e alle ragnatele, e in base alle osservazioni eseguite tramite la microscopia ottica e altre analisi, è possibile constatare che i filamenti bianchi polimerici non siano ragnatele e non siano di origine naturale. Sono potenzialmente biocompatibili e presentano strutture a mio parere artificiali accostabili alla nanotecnologia. Sulla base delle analisi fin qui svolte deduco che non si tratta di materiale di origine naturale ed espongo i miei dubbi e perplessità sulle sue origini e conseguenze (impatti sulla salute, sull’ambiente, sulla biosfera). Tali filamenti sono meritevoli di ulteriori analisi e approfondimenti.

Anche questa immagine è fortemente paragonabile alle immagini acquisite al microscopio dei filamenti bianchi caduti in questi anni dal cielo.

FIG. 8 – Capsula petri con dentro filamenti di seta di ragno artificiali. Università di Bayreuth, Germania.


http://www.croponline.org/bambagiasilicea.htm http://www.aracnofilia.org http://tankerenemy.com http://www.carnicom.com/bio2010-1.htm Meteorological Aspects of Spider Ballooning - BISHOP, LESLIE – Environmental Entomology, Volume 19, Number 5, October 1990 , pp. 1381-1387(7) Dean, D . A. and W. L . Sterling . 1985 . Size and phenology of ballooning spiders at two locations in eastern Texas. J. Arachnol., 13 :111-120 A review of the evolution and mechanisms of ballooning by spiders inhabiting arable farmland - Ethology Ecology & Evolution 14: 307-326, 2002 Biografia: Nato a Milano nel 1981 si è laureato in Scienze Biologiche. È molto attivo in ambito naturalistico ove compie ricerche, studi ed opere di divulgazione. Si interessa anche di astrobiologia, biologia quantistica, medicina naturale, spiritualità, geoingegneria, ufologia, civiltà antiche, fenomeni paranormali e misteri in generale. Coltiva la passione della scrittura che ricopre le aree di interesse sopra citate.

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Riferimenti:

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E’ d’obbligo in questa sede citare l’esistenza di alcune correnti di pensiero e movimenti culturali/scientifici come il transumanesimo. Secondo questi principi l’idea sarebbe quella di creare un’umanità sintetica in cui la scienza e la tecnologia siano utilizzate per potenziare il corpo umano. L’alba dei cyborg è ormai prossima? Personalmente mi auguro di no perché è fondamentale difendere la Natura e la nostra vera natura, quella di esseri Umani. La tecnologia deve essere al servizio dell’uomo e non l’uomo al servizio della tecnologia. Sarebbe un gravissimo errore e con poche possibilità di reversibilità. E’ importante quindi indagare bene, con scrupolo, senza pregiudizi e senza dare nulla per scontato, su tutti quei fenomeni che potrebbero essere potenzialmente deleteri per la natura che ci circonda e quindi per noi stessi.


Care Amiche lettrici ed Amici lettori, ho accolto con grande piacere l’invito che mi ha rivolto l’amica Lilly per dare il mio contributo a questo magazine, e per questo la ringrazio affettuosamente. Condivido in pieno la filosofia dell’Associazione Runa Bianca che mira ad assecondare e soddisfare il crescente desiderio di conoscenza che sta caratterizzando un numero sempre maggiore di persone. Mi presento a voi con un documento che rappresenta il risultato di uno dei miei percorsi di ricerca che, unitamente ad altri, è stato pubblicato nel mio libro “Schiavi degli Dei”. Buona lettura a tutti voi. Introduzione E’ da qualche tempo che i Sumeri hanno riconquistato pian piano l’interesse delle persone. Come un fiume carsico, in questi ultimi decenni, li abbiamo persi di vista, quasi ci siamo dimenticati della loro esistenza, per poi ritrovarli quasi all’improvviso protagonisti di film di successo, libri, documentari. Riescono, i Sumeri, di tanto in tanto nel corso della storia, a strappare il primato dell’interesse agli antichi Egizi, popolo quasi coevo, che riesce invece a mantenere vivo e costante l’interesse per i misteri che da sempre l’accompagnano. L’interesse sicuramente meno evidente, ma mai sopito nei confronti dei Sumeri, parte da lontano, quando furono trovate le prime rovine alla fine del XVII sec. e solo a metà del XVIII sec. alcuni studiosi cominciarono a dare corpo alle traduzioni delle loro tavolette enigmatiche, praticamente indecifrabili. Il lavoro straordinario che i sumerologi, ancor prima assiriologi, hanno fatto nel corso del primo cinquantennio circa del ‘900, è ancora oggi di valore inestimabile. Con una passione vivissima ed un impegno massacrante, quasi mai ripagato da una giusta ricompensa economica e una adeguata notorietà per l’immane lavoro svolto, uomini come Poebel, Kramer, ecc. hanno dato voce ad una popolazione misteriosa, apparsa e poi scomparsa da quella “fertile mezzaluna” altrettanto misteriosamente, senza aver lasciato segni capaci di chiarirci l’origine della sua provenienza e

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L’ENIGMA DEI SUMERI


La sua analisi linguistica e filologica è molto rigorosa e allo stesso tempo suggestiva e sconvolgente. Ho avuto la fortuna di imbattermi in essa durante le mie ricerche, di apprezzarne il valore intrinseco e la portata storica. Perciò, ho voluto ridare luce e vigore a questa mirabile ricerca ed intuizione inserendola nel mio libro “Schiavi degli Dei” pubblicato in prima edizione nel mese di Dicembre 2009.

Enigma e Sumeri Quale binomio più giusto e coerente? In effetti, fin dalla fine del XIX secolo, quando fu finalmente decifrata la scrittura cuneiforme dando vita alla nascita dell’assiriologia, si generò un ampio scontro tra due schieramenti, uno pro e l’altro contro l’attribuzione della paternità di questa nuova scrittura alla lingua sumera di origine semitica. Una diatriba che rese ancor più accidentato il percorso della ricerca delle origini di questo straordinario quanto incredibile popolo, che con questa invenzione decretò la fine della Preistoria e l’inizio della Storia. Immigrati dalla Valle dell’Indo o originari dei territori montani del Caucaso? Popolazione semita o non semita? Quesiti relativi ai Sumeri ai quali il mondo accademico, da ben 150 anni, non è ancora stato capace di trovare risposte certe e quindi definitive. Ma le cose stanno proprio così? Sta di fatto che, allo stato attuale della nostra conoscenza, benché sulla provenienza geografica di questa straordinaria civiltà ci sia chi sostiene pariteticamente l’una o l’altra delle due ipotesi appena indicate, per quanto riguarda l’appartenenza etnica sembrerebbero tutti d’accordo sull’origine non semitica. Sembrerebbero! Si. Un condizionale prudente, ma soprattutto espressione di un pensiero frutto dell’essere consci che, alla chiusura di un conflitto, in questo caso archeologico-letterario, l’armistizio si concretizza sempre con uno o più compromessi sopportati, come è logico, dalla parte perdente. E la storia, come si sa, la scrivono i vincitori. Una storia che, quando va bene, costituisce una mezza verità, e l’altra mezza, ovviamente, si tende a farla deliberatamente cadere nell’oblio. Tant’è che da quel momento, circa 50 anni fa, sebbene ci siano stati dei timidi tentativi di ricerca, nel mondo accademico non si è più prodotto alcun progresso verso l’enigma delle origini della civiltà sumera. Stallo totale. Stano, non è vero? Ma se fosse la solita tecnica oscurantistica attuata dal vincitore? Oppure si tratta di una normalissima coincidenza? Il dubbio rimane. A tal proposito Voltaire diceva: “Il dubbio è scomodo ma solo gli imbecilli non ne hanno”. Personalmente considero i dubbi la molla propulsiva del sapere, del conoscere e del ricercare. Quindi, mettiamoci all’opera in maniera severa ed ordinata. Era la fine del XX secolo quando imperversava lo scontro tra i vari studiosi circa l’accettazione della definizione di una nuova scrittura derivante dalla lingua sumera di origine semitica. La divergenza tra i due schieramenti era tale che i contrari, la parte più consistente, giunsero perfino a negare l’esistenza del popolo sumero. Però, successivamente questa posizione negazionista dovette mutarsi in possibilista a fronte delle numerosissime prove anche archeologiche che sostenevano la tesi opposta. Ma questo cambio di atteggiamento fu l’unica apertura concessa. In breve, la nuova scrittura e la nuova lingua apparteneva al popolo Sumero, che come tale non era di origine semita.

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Tra le tante supposizioni che hanno tentato di identificare l’origine del popolo sumero, quella che attende tutt’oggi smentite o conferme, eventuali critiche o elementi aggiuntivi di ricerca, discussione a tutto campo insomma, senza preconcetti culturali, religiosi o storici è sicuramente l’ipotesi avanzata nel 1963 da Samuel Noah Kramer che riprese i precedenti studi del suo maestro Arno Poeble pubblicati nel 1931.

Un compromesso raggiunto con la buona pace di tutti, che indubbiamente ha condizionato tutta la futura filologia dei stesti mesopotamici. Un compromesso che, rileggendo la storia di quel periodo, genera il grande sospetto che esso non fosse scevro da condizionamenti esterni ed estranei, in un certo qual modo, al mondo archeologico e letterario. Perché? Perché proprio in quell’epoca in Europa iniziavano a soffiare i primi venti antisemiti, e gli studiosi pan germanici non ne erano certo immuni. Una risposta, forse, che non è risolutiva del dubbio, ma che, come vedremo, rappresenta la Stella Polare nel nostro cammino alla ricerca delle origini del popolo Sumero. Nella miriade di documenti da me esaminati ho avuto modo di leggerne uno straordinario. Tanto per il suo contenuto quanto per l’autorevolezza del suo autore, tale è Samuel Noah Kramer, il più importante sumerologo del XX secolo. La pubblicazione di Kramer risale al 1963. Perché non è stata messa in luce? Perché non ha ricevuto la giusta risonanza che meritava? Le conclusioni a cui Kramer giunse, dopo averci portato per mano in un percorso storico e razionale, sono rivoluzionarie; sicuramente scioccanti per l’elevato impatto che esse, se accolte, avrebbero avuto sugli studi biblici. Sarà per questi motivi che sia i sumerologi che gli studiosi del testo biblico, come contromisura, adottarono la strategia dell’indifferenza? Come spesso accade nel mondo accademico, quando la presentazione di una teoria si discosta dall’ortodossia scientifica in maniera che oserei definire risolutiva, essa viene definita eretica! Ma quando l’autore dello studio è del calibro del professor Kramer, tacciarlo di eresia avrebbe sollevato un grande e controproducente pol-verone alimentato, oltretutto, dalla sua conclamata serietà professionale. Di conseguenza, ecco che i “generali accademici” dell’epoca, per contrastare la minaccia della conclusione a cui era giunto il sumerologo, optarono per una mossa alternativa al tradizionale e consueto discredito: il silenzio. Tutto chiaro! Gli studi di Kramer partono dalla considerazione generata dal confronto tra il conosciuto della civiltà sumera e la tradizione israelita. Secondo tali studi, seguendo la narrazione biblica, gli antenati dei patriarchi ebrei, lasciato l’Eden, si trasferirono ed infine si stabilirono nella “Terra di Shinar”, l’antica Sumer. Studi che avvalorano, in particolare, le relazioni tra i patriarchi biblici e i Sumeri: “I risultati raggiunti dai sumeri in fatto di civiltà, religione e letteratura hanno lasciato un’impronta profonda non solo sui popoli a loro vicini in termini di spazio e tempo, ma anche sulla cultura dell’uomo di oggi, soprattutto attraverso la loro influenza, sia pure indiretta, sugli antichi ebrei e sulla Bibbia. Quanto gli ebrei debbano ai sumeri appare evidente ogni giorno di più, a mano a mano che vengono ricomposti e tradotti i testi della letteratura sumera; che, a quanto ci è dato di vedere, ha non poche caratteristiche in comune con i libri della Bibbia.”1

Quello che ad una prima lettura potrebbe sembrare una teorica premessa, in verità oggi è un concetto ormai consolidato. Ad essere precisi, Kramer lo aveva già ampiamente dimostrato nella sua pubblicazione del 1956 dal titolo “From the sumerian tablets”2 e tale opinione fu poi largamente accettata dal mondo accademico. Come ogni buon progetto di indagine, anche questo parte da un dato di fatto, uno status quo fondamentale che genera inevitabilmente delle domande come: “Se i sumeri sono stati un popolo che nel Vicino Oriente antico ha raggiunto risultati tanto importanti in campo letterario e culturale da lasciare un’impronta indelebile sulle opere degli uomini di lettere ebrei, perché mai la Bibbia quasi non li nomina?”3 Nell’Antico Testamento vengono citate quasi tutte le civiltà importanti del Vicino Oriente antico come Egizi, Cananei, Amorrei, Urriti, Ittiti, Assiri, Babilonesi, ed altri. Ma i Sumeri non vengono indicati. Perché?

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della sua fine.


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Come già detto precedentemente, il professor Kramer era persona di provata onestà e capacità, e queste qualità emergono anche in questa occasione; lo dimostra il fatto che con la pubblicazione di questo lavoro non intendesse solo servire la causa dell’assiriologia, ma anche riproporre una analoga indagine pubblicata la prima volta nel 1941. Indagine il cui autore era nientemeno che il suo maestro Arno Poebel (1881-1958), altro grande ricercatore del pianeta Mesopotamia. Il motivo di questa riesposizione? Trasparentissimo. Ecco come lo giustifica: “Vale la pena di ricordare che a questo interessante enigma il mio maestro e collega, Arno Poebel, ha proposto una soluzione in un articolo pubblicato dall’«American Jounal of Semitic Languages» (vol. 58, 1941, pp. 20-26). L’ipotesi di Poebel non ha trovato alcuna eco tra gli orientalisti e sembra che sia caduta nel dimenticatoio. È mia opinione, tuttavia, che reggerà la prova del tempo e che prima o poi avrà il riconoscimento che le spetta, in quanto contributo significativo alla determinazione delle correlazioni tra ebrei e sumeri.”4 Ogni commento è superfluo. Questo paragrafo trasuda sconforto, dolore, sbigottimento, ma, nello stesso tempo, speranza e fiducia per un futuro che saprà riconoscere meriti ed onori trascurati. Le mie sensazioni erano giuste, tanto quanto i dubbi da esse generate: gli orientalisti – come li definisce Kramer – hanno disprezzato con la noncuranza. Assodato questo, rimane da capire perché. Con la pubblicazione del risultato di questa straordinaria analisi, lo scopo di Kramer fu di dare la soluzione all’enigmatica assenza dei Sumeri dal racconto biblico. Per fare ciò, l’autore prese in esame in maniera rigorosa la grammatica della scrittura sumera. Vediamo come. Nell’uso delle consonanti, quando queste si trovavano al termine di una parola, i Sumeri omettevano di pronunciarle. Nel caso specifico in cui la parola fosse dingir, essa veniva pronunciata “dingi”, per quanto la consonante “r” fosse scritta. Proseguiamo:“Torniamo dunque al nostro problema e alla ricerca della parola «Sumer», o meglio «Shumer», per usare la forma che compare nei documenti in caratteri cuneiformi. Poebel fu colpito dalla somiglianza tra «Shumer» e «Shem», il nome del figlio maggiore di Noè, da cui derivano gli eponimi come Ashur, Elam, e soprattutto, Eber, l’eponimo degli ebrei.”5 Il passo della Bibbia, a cui si fa riferimento, è in Genesi 10, 21-22 ed è il seguente: 21 “Unto Shem, the father of all the children of Eber […]. 22 The children of Shem; Elam, and Asshur, and Arphaxad, and Lud and Aram”.6 Ora, considerato che, come ormai generalmente accettato dall’intera comunità degli storici, per figli di Eber si intende il popolo ebreo, non potrebbe ugualmente dirsi che il nome Shem rappresenti l’eponimo del termine Shumer, ovvero la terra di Sumer? Per Kramer non c’è alcun dubbio: la risposta è affermativa e ce lo dimostra precisando che: la vocale ebraica “e” equivale spesso alla


presenza, prese il nome di “Terra di Shumer” (la biblica Shinar); contrariamente al pensiero convenzionale di quel momento, erano evidentemente un popolo semita. Rivelazioni sconcertanti? No assolutamente, tutt’altro. Esse segnano il progresso della conoscenza, lo scioglimento dei dubbi, la soluzione di un enigma. Eppure, al tempo furono “private dell’ossigeno della pubblicità.”8 Era il 1941. L’Europa era in piena seconda guerra mondiale e l’anti-semitismo era alla sua massima espressione. Un antisemitismo che, nonostante l’origine del termine, non si riferisce all’odio rivolto a tutte le popolazioni semitiche bensì all’odio ed alla discriminazione unicamente verso gli Ebrei. E “Shem” era il padre di tutti gli Ebrei. Lascio a voi le considerazioni finali che sì, in questo caso, sono davvero sconcertanti. (continua)

Biografia:

Fonte: Schiavi degli Dei – l’alba del genere umano. © 2009 Biagio Russo © 2010 Drakon edizioni

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Biagio Russo è nato nel 1958 in Umbria. Ha trasformato per molti anni la sua passione nella professione di musicista. Ha lavorato nel mondo finanziario-bancario. Il suo interesse per i misteri della Terra lo ha portato, dopo un’indagine quasi maniacale, alla scrittura di “Schiavi degli dei – L’alba del genere umano”. E’ un percorso d’indagine scientifica, filologica, storica e letteraria alla ricerca della verità circa le origini del genere umano. Un percorso in cui il lettore viene portato per mano alla ricerca di un crescendo di tracce da seguire, indizi da trovare e testimonianze da acquisire agli atti di un ipotetico processo contro l’occultamento della verità, nascosta o semplicemente taciuta: un viaggio verso la Conoscenza. Il tutto con un linguaggio semplice e comprensibile.

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vocale cuneiforme “u” (v. lo shum accadico e lo shem ebraico entrambi significanti “nome”); come indicato nelle righe precedenti in merito all’uso delle consonanti finali, la parola shumer veniva pronunciata shumi o, più frequentemente, shum (la vocale “i” è molto corta), così come nella lingua ebraica la parola sarebbe stata pronunciata shem. Ecco la conclusione di Kramer: “Se l’ipotesi di Poebel risulta corretta, e Shem corrisponde a Shumer/Sumer, dobbiamo concludere che gli autori ebrei della Bibbia, o quanto meno alcuni di loro, considerarono che i sumeri fossero gli antenati del popolo ebraico.”7 È all’interno di questo periodo che c’è la causa rivoluzionaria che avrebbe generato l’umiliante indifferenza dei sumerologi: «[…]che i sumeri fossero gli antenati del popolo ebraico». Ma questa, al momento, costituisce solo un sospetto che, sebbene forte, non è certezza. La nostra indagine quindi non è terminata, ma forse siamo sulla strada giusta che ci porta alla soluzione che, come vedremo tra poco, è ormai ad un passo da noi. Riflettiamo. Abbiamo detto “umiliante indifferenza dei sumerologi”. Se questo atteggiamento fosse verità e non sospetto, in quale miglior contesto coerente troverebbe allocazione se non in quel conflitto archeologico-letterario indicato come “questione sumerica”? In sintesi in quel contesto, nel 1857, fu finalmente decifrata la scrittura cuneiforme e decretata la nascita dell’assiriologia; l’eccezionalità dell’avvenimento avrebbe cambiato, da quel momento, la conoscenza storica di tutta l’antica area mediorientale e, quel che più contava, della conoscenza delle origini della civiltà umana. Come già detto in precedenza, in quel tempo, in Europa iniziavano a soffiare i primi venti antisemiti; con il passare del tempo, tra i ricercatori prese sempre più terreno la persuasione che la lingua di una parte dei testi babilonesi e assiri non fosse semita. Quei ricercatori, avversi alla nuova teoria di Kramer che dava alla scrittura sumerica ed al popolo che la espresse un’origine semita, giunsero perfino a negare l’esistenza della lingua sumerica, se non addirittura a negare l’esistenza del popolo sumero stesso. Una posizione, questa, che non fu totalmente vincente, ma che per il mondo accademico degli orientalisti diventò un fatto deciso, accettato e definitivo: la scrittura, il suo linguaggio ed i loro padri Sumeri non erano semitici. Ci siamo. Il cerchio sta per chiudersi. Siamo finalmente giunti al compromesso di fine conflitto: per i Sumeri andava bene la gloria, il merito, la gratitudine per aver inventato la scrittura ancor prima degli egiziani, nonché l’ammirazione per il suo straordinario sapere. Ma questo popolo non poteva e soprattutto “non doveva assolutamente essere semita”. Per contro, due assiriologi di fama mondiale e competenza universalmente riconosciuta, Arno Poebel nel 1941, Samuel Noah Kramer nel 1963, con coraggio, coerenza e indiscussa capacità professionale, pubblicarono la loro straordinaria scoperta circa l’origine degli inventori della scrittura adducendo, prove storiche e filologiche alla mano, che i Sumeri: sarebbero i discendenti del biblico Shem figlio di Noè, superstite del diluvio; si insediarono nella Mesopotamia meridionale in quel territorio che, per la loro


RAZZA UMANA 2012 DISASTRO sociale morale e spirituale

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Come rimediare ad un disastro simile? Con quali mezzi? vrei molte domande da porre a coloro che hanno Con quale Forza? ancora voglia di prestare

ascolto al tam tam dell’anima.

CHI

JUSY ZITOLI

Parlo di quel tam tam che cerca tracce di risvegli eccezionali, che cerca cellule compatibili a quelle del suo stesso grido... che cerca unioni straordinarie per far risorgere dalle ceneri la dignità dell’uomo.

Scrittrice e Ricercatrice Collaboratrice dello Scienziato

Parlo di quel tam tam che cerca immense onde di risonanza capaci di riconoscersi e di compiere alchimie miracolose persino nel caos infernale di questo palcoscenico terrestre, oberato di sinistri pagliacci in doppio petto che han preso totale padronanza del pianeta e della razza umana attraverso perversi giochi di potere e illusioni pericolose vendute agli uomini con l’ingannevole marchio samaritano, mentre invece sono trappole letali, utilizzate da quei vampiri per aumentare il numero delle cavie umane e annullare per sempre, dalle frequenze del pianeta Terra, il sacro suono della Verità e della Coscienza.

Pier Luigi IGHINA

Le mie domande sarebbero tante, ma esprimo le più necessarie al fine di ricordare che, proprio in questo lasso temporale così importante per il destino della Terra, i capi del mondo stanno decidendo delle nostre vite e del nostro futuro come se fossimo bestiame da valutare a seconda di quanto può rendere ogni bestia all’insaziabile feudatario. Sta di fatto che noi non siamo capre da pascolo che qualsiasi lupo può divorare e che qualunque viscido servo del feudatario può gettare dal dirupo, provocando l’impietosa ed inevitabile distruzione di quanti di noi non rappresentano più carne appetibile. No, questo non deve più accadere, perché noi non sia-

può trasformare tutto questo ?

Articolo-verità di

Giusy Zitoli

RunaBianca RunaBianca

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Parlo di quel tam tam che fuoriesce di colpo dal petto con la possenza e l’ardore del dardo infuocato di un arciere... che incalza e rulla come un tamburo gigantesco e grida tra la folla chiedendo disperatamente alle altre anime un roboante cenno di risposta.


mo bestie da macello, ma esseri pensanti dotati di Libero Arbitrio, che come tali hanno la facoltà divina e straordinaria di modificare il proprio destino - e modificare di conseguenza anche il destino della Terra. Non dobbiamo dimenticare però che questa facoltà può diventare alchimia concreta soltanto quando l’individuo in pericolo (come tutti noi ora siamo) ha piena coscienza di doversi alzare immediatamente dalla sedia dell’indolenza e dell’impotenza e ribellarsi con tutte le sue forze alla potenza negativa che tenta di spingerlo verso quel dirupo – perché soltanto se lotterà con ardore e onore eccezionali per salvaguardare la sua incolumità e per togliere potere alla corrente devastante che lo sta uccidendo, egli potrà cambiare la sua sorte infausta.

Il paradosso dei paradossi si rivela mostrandoci due realtà pericolose, dove però è proprio la meno evidente a formare il disastro più distruttivo. Tutti già sappiamo che il Grande male è pienamente manifesto nei signori del Sistema (quindi è quanto mai prevedibile e per certi versi persino facile da sconfiggere perché basterebbe una ribellione planetaria a quel Sistema e cadrebbero di colpo tutti i poteri oscuri insieme a tutti i loro biechi rappresentanti) ma esiste un male molto più invasivo e disgregante ovvero quello che veste un abito molto meno appariscente e si manifesta nell’uomo comune attraverso l’apatia, la passività, la vigliaccheria e l’ipocrisia. Per quanto possa sembrare assurdo è invece proprio quel tipo di energia a creare una falla enorme nella nave sana - ed è proprio per colpa di quel tipo di energia che la nave affonda. Per assurdo dunque, la nave umana del Pianeta Terra sta affondando, non per l’esistenza di un ipotetico “milione” di squali ai vertici del Potere ma perché esistono miliardi di persone spente, distorte nella mente, disattivate nella coscienza, nell’ardore d’anima e soprattutto nel coraggio di combattere in prima persona per una causa nobile. In realtà è proprio quell’abulìa e quell’immobilismo ad abbassare le frequenze del pianeta ed a fornire un terreno quanto mai fertile a tutte le anime di bassa leva, permettendo che codeste creino indisturbate i loro imperi e prolifichino come batteri fino a distruggere tutto quel che resta dell’organismo sano. Ovunque in questi giorni fra le file del popolo rimbomba un unico e doloroso grido che già contiene il sapore letale della sconfitta. Tutti indistintamente ripetono questo mantra debilitante: “NON ci crediamo piu’ che possa cambiare il mondo, che possa cambiare la società e possano cadere i demoni che stanno ai vertici del Sistema”.

R u n a B i aR nu cn a B i a n c a

E’ emersa la realtà dell’indolenza e della passività, radicata e consolidata in un numero spropositato di persone. Intendo la categoria degli amorfi, dei vigliacchi, degli ipocriti e dei retorici, quelli che si lamentano di tutto il sistema che provoca disagi e abbruttimento della vita ma delegano sempre altri a fare le battaglie che possono cambiare il mondo e MAI si impegnano a combatterle in prima persona, per timore di poterci rimettere qualcosa.

M a g g iM o a2 g0 g1 2i o 2 0 1 2 81 81

Oggi, nella grande arena terrena in cui il Bene e il male si stanno disputando l’ultima ed acerrima partita, è emersa una disastrosa realtà, ancora più inquietante del disastro stesso provocato dal Potere mafioso che ci usa e ci comanda dall’alto della piramide.


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Quel grido viene dalla disperazione e deve avere tutto il nostro rispetto, perché l’uomo che grida contro il malessere che lo sta uccidendo è un uomo ancora vivo che non si è ancora totalmente disattivato nella mente e nell’anima, e sul quale si può ancora trovare una piccola fiammella accesa, da far diventare fuoco di Forza e di Rinascita. Quei delusi e quei disperati si sono dimenticati però che siamo noi il mondo... siamo noi la società, siamo noi singole persone a poter formare un oceano umano di 6 miliardi di cuori battenti, capaci di unirsi all’unisono e spaventare, col loro battito possente, tutti i demoni dell’universo. Noi singole persone tutte insieme siamo una catena immensa di 12 miliardi di mani capaci di costruire un sistema di vita del tutto nuovo... siamo 12 miliardi di braccia tese che potrebbero proteggersi l’un l’altra dalla malvagia violenza e prepotenza di quell’irrilevante “milione” di feccia umana e spirituale che si sta arrogando il potere di violarci, violentarci, terrorizzarci, abusare di noi fino allo sfinimento e poi distruggerci. Non dimentichiamo, però, che nessun inferno si può trasformare in paradiso senza atti di coraggio estremi e senza un’unione di forze straordinaria. Certamente vincerà la legge degli squali se gli indolenti continueranno a restar indolenti, se i deboli si lasceranno ancora sopraffare dai violenti e se continuerà ad esistere nella massa la vigliacca credenza che debba sempre venire qualcun altro a salvarci dai cattivi e a compiere, al posto nostro, il miracolo di cambiare il nostro presente ed il nostro futuro. Ormai è arrivato il tempo della realtà nuda e cruda, di fronte alla quale non ci è più possibile sfuggire. Ormai non abbiamo più scusanti né possibilità alcuna di coprirle il volto ed evitare questo confronto estremo. Il presente ci sta mostrando a caratteri cubitali che soltanto attivandoci tutti insieme a produrre un capovolgimento totale di questo sistema degenerato e degenerativo, potremo ritrovare le Ali che ci hanno strappato ed il respiro che ci hanno tolto. Alla luce di questa realtà sferzante e col cuore in mano, vi domando: Se avete scelto di non essere voi in prima persona a ribellarvi ad un sistema che vi soffoca e vi ammala, chi pensate possa venire a liberarvi dai semi virulenti dell’angoscia che i signori del Sistema stanno inoculando giorno dopo giorno nei vostri atomi? Chi pensate possa farci uscire da questa trappola così ingegnosamente costruita dai padroni del mondo per tenerci schiavi nelle loro reti ? Chi pensate debba unirsi in massa per proporre nuove formule di sistema, capaci di far ri-funzionare la macchina del sociale e capaci di riscrivere la storia attuale?

Chi se non tutti noi, che non ne possiamo più di un sistema invalidante che ci sta uccidendo? Chi se non tutti noi, che abbiamo menti capaci di trovare soluzioni valide e rivitalizzanti? E infine vi chiedo: ... Quanto tempo pensate che ci resti per virare questa nave umana dalla rotta di collisione da cui nessuno potrà salvarla... se non NOI STESSI in prima persona? Dentro questa semplice ed ultima domanda esiste tutta la verità che la Vita ci sta gridando. Nelle mille conferenze in cui si ipotizza il destino della Terra, scopriamo che le profezie sul 2012 prima venivano interpretate in modo assoluto come “Fine del mondo” mentre oggi - per dare un pò di sale alla minestra vecchia - vengono interpretate in assoluto come “Inizio di un nuovo mondo”. La verità è che il vero verdetto non è scritto da nessuna parte, perché quel verdetto lo stiamo componendo proprio adesso, attraverso le scelte di azione e le scelte di posizione che prenderemo in questi giorni. Forse troppi stanno dimenticando che ci troviamo all’interno di un tessuto temporale importantissimo, in quanto decisivo per la sorte della razza umana. Ci troviamo nel Tempo che segna la storia ed il confine di un passaggio dimensionale senza precedenti. Siamo ad un bivio epocale entro il quale il nostro Libero Arbitrio ha la più grande delle sue occasioni e il più delicato compito mai verificatosi in tutte le ere. Il destino di un pianeta e di una razza sono inesorabilmente collegati - pertanto se la razza persegue la via dello squilibrio, il pianeta risponde a quel tipo di energia con adeguata dose di squilibri naturali, fino poi a spazzare via qualunque elemento diventi perseverante, causa di disastro, e non corrisponda più al Principio perfetto insegnato dall’Ordine Celeste. Non illudiamoci quindi che a questa razza possa essere evitata la fine peggiore, se a partire da oggi stesso non interverremo in prima persona a modificare tutte le coordinate sbagliate che sono incise sull’attuale pannello di comando di questa Nave . Possiamo ancora farcela. Possiamo ancora modificare il Futuro, ma soltanto interagendo in massa nel tessuto del presente. C’è così tanto da fare e da modificare che non c’è un solo minuto da perdere. Possiamo iniziare ad aprire ponti di comunicazione fra di noi per creare concrete unioni d’opera da cui far scaturire i Nuovi uomini, i Nuovi progetti e le Nuove risorse che ci permetteranno finalmente di uscire da questo incubo. Soltanto così potremo far rinascere la Forza e la speranza che ci hanno raso al suolo... L’uomo di potere non è nostro amico, perché serve un dio infingardo e oscuro che non ha nulla a che vedere con la sacralità dell’uomo, bensì la calpesta e la distrugge – ma esiste un Dio autentico che interviene sempre ad offrire una possibilità di fuga dall’inferno.


Basta soltanto essere ben svegli e coglierla all’istante.

Biografia:

Quella possibilità è QUI ed ORA. --------------------------------------------------------------------------------------------------------------Concludo con lo spezzone di un pensiero vergato sul libro “Il Riscatto delle nostre Ali“ “Impariamo a riconoscere la presenza di Dio in ogni persona che ci appare all’improvviso per strapparci dall’IPNOSI stavamo sprofondando

in cui

ed impediamo che ogni limite di chi ci ruota intorno possa mai contagiarci e diventare il nostro altrimenti accadrà che quel conformarci alla scatola dell’altro

JusY Zitoli

Scrittrice, poetessa, ricercatrice in scienze di frontiera e regista artistica. È stata per molti anni collaboratrice personale dello scienziato Pier Luigi Ighina, scopritore dell’Atomo magnetico e della Fisica del futuro. È impegnata da sempre sul fronte del ripristino degli Equilibri umani e planetari. In qualità di artista e di progettista è impegnata nel creare eventi artistici a forte impatto coreografico ed emozionale, per risvegliare la poesia dei luoghi e dell’animo umano e combattere fortemente il degrado delle città, attraverso il massimo potenziamento dell’Arte, unita alla presenza di uomini di genio. In qualità di scrittrice sta componendo attualmente una fiaba in onore di Pier Luigi Ighina, suo Maestro di vita e padre spirituale. Ha dedicato a Pier Luigi Ighina il libro intitolato: Io l’ho conosciuto (Edizioni Atlantide), che descrive il contatto stravolgente ed inimmaginabile avvenuto fra lei e lo scienziato. Il suo ultimo libro sulla scoperta di tutte le Chiavi segrete per la riconquista della propria libertà è...

e la staticità torni ad imperare nei nostri cervelli e nei nostri spiriti regredendoci da luminose comete che eravamo un tempo ... a grigie luci al neon

Il Riscatto delle Nostre Ali Jusy Zitoli MIR Edizioni

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incastrate in altri grigiori, a volte irreversibili”.

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spenga per sempre le Stelle pulsanti dentro i nostri atomi

IL BENE E IL MALE tempera su legno di Federica Veggiato


LE FRONTIERE DELL’ ESOBIOLOGIA" Tratto dal libro “OLTRE” di Roberto Pinotti - editoriale Olimpia 2002

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Oltre 40 anni fa, in un laboratorio giapponese, un ceppo di batteri resistenti agli antibiotici fu mescolato, dentro una provetta, con batteri che, essendo mai esposti ai farmaci, non avevano sviluppato l’immunità. Ebbene: in pochi minuti, anche i batteri “indifesi” svilupparono una capacità di resistenza. Gli scienziati giapponesi scoprirono che i batteri del ceppo “resistente”, venendo fisicamente a contatto con i batteri “indifesi”, trasmettevano ad essi un’informazione genetica, sotto forma di un composto proteico, che fu battezzato “plasmide”. Il plasmide, filtrato attraverso la “pelle” dei microbi costituiva l’informazione necessaria ai batteri indifesi per sintetizzare l’antidoto contro gli altri antibiotici. In altre parole, tra due creature viventi monocellualri, prive di cervello e di sistema nervoso, era avvenuto uno scambio di informazioni. Il messaggio trasmesso era significativo, esattamente come quello di un essere umano che dicesse ad un’altro essere umano: “Eccoti qui un antidoto che ti immunizzerà contro quel dato tipo di veleno”. L’unica differenza è che il linguaggio usato dai batteri è un codice fatto di proteine, mentre il linguaggio umano è un costrutto sintattico trasmesso con i suoni. Resta il fatto che, attraverso il loro particolare linguaggio, i batteri si sono dimostrati capaci di “apprendere” e persino di “insegnare”.

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Quando furono usati per la prima volta gli antibiotici, i ricercatori diedero per scontato che di lì a poco sarebbero apparse generazioni di microbi resistenti ai farmaci. Nessuno pero’ si aspettava che questi batteri “immunizzati” avrebbero potuto “insegnare” ad altri batteri la loro capacità di resistenza. Invece è proprio avvenuto così.

Roberto Pinotti

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lla domanda su come si possa comunicare con gli extraterrestri lo scienziato britannico Kit Pedler preferisce rispondere in modo indiretto, con un’esempio tratto dalla biologia:

La questione sollevata dall’esposizione di Pedler è in qualche modo sconvolgente: “E se gli exraterrestri “parlassero” fra loro con lo stesso linguaggio dei batteri ? Cioè trasmettendosi le informazioni attraverso sequenze di pro-

teine ? Noi uomini potremmo, in questo caso, metterci in comunicazione con loro ? La domanda è sintomatica di un nuovo orientamento nel campo della ricerca sulla vita extraterrestre. Sono sempre più numerosi gli scienziati convinti che, per cercare le prove dell’esistenza di “altre intelligenze”, il microscopio sia più utile del telescopio, l’indagine sull’infinitamente piccolo piu’ utile che l’esplorazione degli immensi spazi cosmici. E’ il caso di Hiromitsu Yoku e Tairo Oshima, due biologi di Tokio, Essi hanno studiato la struttura generica di un virus, battezzato PhiX-174, nella convinzione che questa struttura contenga un messaggio, impiantato lì da una civiltà avanzatissima qualche miliardo di anni fa. Ogni forma di vita sulla Terra – spiegano i due ricercatori – possiede un differente codice genetico, che è “scritto” in una lunga “frase”, composta di “parole” che sono aminoacidi di cui è composto il DNA, l’acido desossoribonucleico, la “base” della vita. Anche per creature molto semplici, come sono appunto i virus, la “frase” è molto complessa, e contiene la somma di informazioni necessarie per riprodurre altri virus uguali al genitore. Questo codice genetico è una struttura molto stabile, che persiste invariata per moltissime generazioni. La nostra ipotesi è che, moltissimi anni fa, esseri di civiltà enormemente più evolute della nostra, abbiano scritto un messaggio per noi utilizzando questa scrittura. Data la stabilità del codice genetico, infatti, il messaggio può essere trasmesso nel tempo senza variazioni, in attesa che nasca una forma di vita intelligente capace di decifrarlo. Yoku e Oshima ammettono di non essere finora riusciti a decifrare il supposto codice. “Ma le ricerche continuano”, assicurano. La loro, a dire il vero, appare una ricerca quasi disperata: sulla Terra esistono centinaia di migliaia di specie viventi, ognuna con il suo proprio codice genetico, in ciascuno dei quali potrebbe celarsi il messaggio extraterrestre. Ma sta il fatto che le ricerche di vita extraterrestre condotte con sistemi più classici, come l’ascolto di segnali radio dallo spazio,


Antenne per radioastronomia in “batteria” o singole come quella di Arecibo

Prendiamo ad esempio la ricerca attraverso l’ascolto dei segnali radio provenienti dalo spazio – dice Colin Wilson, noto divulgatore esperto di questioni psichiche – Ciò presuppone l’idea che altri esseri come noi, in qualche parte dell’universo, stiano consumando enormi quantità di energia per emettere segnali, allo scopo di cercare un contatto con altri esseri intelligenti. Ma questo è un modo di pensare tutto uman, che è arbitrario applicare ad altre creature. Proprio Carl Sagan – incalza il matematico Walter Fuchs, di Princeton – ha concepito la famosa targa d’oro, contenente un messaggio visivo destinato agli extraterrestri che nel 1972 fu applicato all’esterno del pioner 10, destinato a perdersi nello spazio interstellare dopo essere inizialmente passato nelle vicinanze di Giove. Ebbene questa targa, nota al gran pubblico, contiene dei disegni e schemi comprensibili soltanto a chi abbia una “formazione culturale” di tipo terre-

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A questi interrogativi molti scienziati forniscono una dura risposta: le ricerche di altre civiltà sono state condotte, finora, usando metodi “tropoumani”, nel presupposto che gli “alieni”, chiunque essi siano, debbano essere creature simili a noi, con la nostra curiosità per l’ignoto, con mezzi tecnici in qualche modo “omogenei” ai nostri.

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Batteri che scambiano informazioni su come difendersi dagli antibiotici.

Nonostante infatti che da allora sono stati costruiti decine e decine di radiotelescopi ( tipo quello di Arecibo), o telescopi orbitanti come “Hubble” o antenne paraboliche disposte su aree di svariati chilometri in grado di elaborare uno stesso segnale come captato da un’antenna di pari dimensioni. Nonostante tutto questo né dallo spazio profondo, ne’ dai pianeti del nostro sistema solare si sono mai trovate tracce evidenti di vita. Il sospetto è, a questo punto, che le ricerche siano state condotte in base in base a a presupposti errati. “Siamo noi la prima civiltà tecnologica emersa nell’universo ? O magari siamo l’unica di queste società attualmente esistenti, perchè il destino delle civiltà tecnologiche è quelo di autodistruggersi in breve tempo?”, si domanda Carl Sagan “Oppure siamo circondati dai segni di civiltà avanzatissime, ma non siamo in grado di riconoscerle?”.

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non sembrano aver dato risultati migliori. Ad ammetterlo è lo stesso Carl Sagan, il famosissimo astronomo recentemente scomparso. “Se l’intelligenza extraterrestre è abbondante nell’universo, perchè non siamo stati ancora capaci di scoprirne le manifestazioni?”, si chiedeva.


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stre. Se mai quella targa cadrà nelle mani di un “alieno”, è molto difficile che sarà in grado di interpretarla. Che cosa sappiamo, in realtà delle forme che la vita può assumere in altri pianeti? Nulla – risponde il paleontologo G.G.Simpson, di Harward – L’Esobiologia, o la biologia degli altri pianeti, di cui nel congresso di Byurakan si parlò molto, è ancora una scienza priva didati. E’ vero che sulla Terra sono cadute meteoriti che sembrano contenere tracce di composti organci. Ma il fatto che questi composti siano “organici” non significa che siano “biogenici”, cioè che siano resti di organismi viventi. Non sappiamo ancora come è nata la vita sulla Terra, figurarsi quella negli altri pianeti. Si è ipotizzato che qualche miliardo di anni fa nella Terra vi fosse un “brodo primordiale” foramato da metano, ammoniaca e vapore acqueo, in cui possono essersi formati spontaneamente delle molecole organiche. Ma da questo ad arrivare alla “catena della vita”, cioè alla complicatissima molecola del DNA, capace di dare origine alla “vera” vita cellulate, il passo non è poi così immediato. Inoltre più procedono gli studi su questo settore, più si retrodata l’arrivo della vita monocellulare sulla terra. Attualmente si è determinato che appena la crosta terrestre si è raffreddata, è arrivata l’acqua ed insieme a questa anche la vita attraverso organismi monocellulari quali quelli delle alghe ( quelli che danno il tipico colore verdastro alle acque stagnanti). Simpson conclude che se son dovuti passare quasi 4 miliardi di anni affinche delle alghe monocellulari si evolvessero in organismi intellligenti ( quali la razza umana), il tempo sia troppo lungo affinchè la stessa cosa sia potuta succedere anche in altri pianeti...e che la prospettiva di scoprire altr eforme di vita sia stata avanzata dalla Nasa solo per giustificare gli stanziamenti di diversi miliardi di dollari dei contribuenti americani. Questo parere è condiviso da molti biologi. Già nel 1945 un biologo francese provo’ a calcolare le probabilità che una proteina

semplice come l’albumina si formasse “spontaneamente” sulla Terra: risultò che le probabilità erano poco piu’ di due su X, dove X è un numero di 321 cifre. L’enormità di questa cifra risulta evidente, se si pensa che tutte le stelle dell’universo costituiscono un numero di “sole” 23 cifre; se si pensa poi che le più semplici cellule viventi sono formate da centinaia di proteine, ordinate secondo sequenze precise, le probabilità che la vita sia nata spontaneamente, sulla Terra o su qualunque altro pianeta, diventano francamente evanescenti. In genere, dicono diversi biologi, si da troppo facilmente per scontato che la vta sulla Terra sia nata da un miscuglio di metano, ammoniaca e acqua: che insomma, da un miscuglio di inerti sia nato un essere vivente. Al contario, è una regola assoluta della biologia che “omne vivum ex vivo”: un essere vivente può nascere solo da un’altro essere vivente. Esiste, almeno in apparenza, un’eccezione: è il visrus. I visrus, questi esseri piccolissimi, più piccoli dei batteri, sono incapaci di riprodursi da soli. Ma si tratta, appunto di un’eccezione, ma solo apparente. In realtà il Virus si riproduce iniettando il proprio DNA, il proprio “codice genetico”, in una cellula vivente di altra specie (animale o vegetale), “costringendola” a produrre copie di visrus. Ma proprio per questo suo parassitismo, il visrus, benchè in apparenza sia il più semplice e “primitivo” dei viventi, non può essere stato la “prima” forma vivente. Prima di lui deve esserci stata una cellula più complessa, con il suo codice genetico, in cui il virus potesse introdursi per riprodursi. Giuseppe Sermonti, docente di Genetica all’Università di Perugia sostiene infatti che: ….la vita è apparsa sulla Terra già complessa, nel pieno rispetto della sua dignità. Non è migliorata invecchiando, non è maturata vivendo. I più semplici batteri contengono la vita in tutta la sua compolessità biochimica. Nella loro inarrestabile presenza, c’è non già il “germe” della vita, ma la vita intera con tutte le sue innumerevoli costellazioni funzionali. E’ una ingenuità ritenere che il piccolo batterio sia apparso prima del grande; è un errore prendere la miniaturizzazione come primitività. Sotto molti aspetti, un batterio è una struttura più vitale di un mammifero. Insomma, la lettura della natura presenta una vita “completa fin dal principio” e ci dimostra l’impossibiltà di immaginarne una piu’ elementare. Ma se la vita è apparsa già “completa” sulla Terra


Biografia : Roberto Pinotti è Sociologo e giornalista nel campo scientifico-aereospaziale e ricercatore NATO. Segretario Generale e il fondatore del CUN, il Centro Ufologico Nazionale operante in Italia dal 1966. Direttore di UFO NOTIZIARIO. Ha al suo attivo migliaia di articoli e 34 opere divulgative a carattere ufologico alcune delle quali tradotte anche altre lingue. Astrofilo, in suo onore gli è stato intestato nel “Minor Planets Catalogue” l’asteroide PINOTTI 124701997BC9 scoperto il 13 gennaio 1997

Virus dell’ Herpes al microscopio elettronico.

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ilVirus si riproduce iniettando il proprio DNA, il proprio “codice genetico”, in una cellula vivente di altra specie (animale o vegetale), “costringendola” a produrre copie di visrus. Ma proprio per questo suo parassitismo, il virus, benchè in apparenza sia il più semplice e “primitivo” dei viventi, non può essere stato la “prima” forma vivente. Prima di lui deve esserci stata una cellula più complessa, con il suo codice genetico, in cui il virus potesse introdursi per riprodursi.

Questa teoria non risolve il problema di come sia nata la vita: lo sposta, semplicemente, nel mistero degli spazi celesti. Essa tuttavia dimostra che l’ipotesi della vita xtraterrestre è diventata una necessità necessaria alla scienza del ventesimo secolo, obbligata a porsi interrogativi fondamentali. In fondo, l’ipotesi degli “extraterrestri super intelligenti e colonizzatori” avanzata da Orgel e Crick, suona come una scappatoia escogitata per escludere l’intervento nella natura di quella “Sperintelligenza non umana” che da sepre gli uomini di fede chiamano Dio. Se questa è l’idea giusta, non ha senso chiedersi, come fa l’astronomo Carl Sagan, “se per caso non siamo incapaci di scorgere attorno a noi i segni di intelligenze super-avanzate”: quei “segni” saremmo noi stessi, esseri viventi e ragionevoli “fabbricati” da “Qualcuno” che, in questa opera, ha saputo dimostrare la capacità di concepire un progetto infinitamente complesso, paziente, e intelligente. E forse, allora, Sagan ha avuto più ragione di quanto egli stesso creda, quando ha scritto (sull’autorevole rivista “Cosmic Search”) che “la ricerca di un’intelligenza extraterrestre è, nel senso piu’ profondo, una ricerca di noi stessi”.

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VIRUS ORGANISMO NATURALE O NANOTECNOLOGIA ?

Francis H.Crick ( co-scopritore con Watson del DNA) e Leslie E. Orgel, si spingono più in là: essi ritengono che il nostro pianeta, e forse molti altri, possano essere stati “fecondati” da germi di vita portati da intelligenze superiori: creature stellari ad uno stadio evolutivo enormemente più avanzato del nostro, che avrebbero intenzionalmente disseminato la vita nel cosmo.

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fin dall’origine, e se è estremamente improbabile che essa si sia formata spontaneamente, si può pensare che essa sia venuta “da fuori”. E’ l’ipotesi avanzata dall’astronomo Fred Hoyle, secondo cui, ¾ miliardi di anni fa, il nostro pianeta sarebbe stato “colonizzato” da germi o spore provenienti dallo spazio interstellare. “La vita sulla Terra potrebbe essersi originata dall’atterraggio cosmico di una cometa ghiacciata già contenente organismi unicellulari”.


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NEOALCHIMIA – NUOVI METALLI

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i sono state epoche in cui la Consapevolezza Umana era limitata sia da un punto di vista tecnologico, sia da un punto di vista esoterico. Nel medio evo cabala e alchimia tendono a rifiorire, probabilmente dall’ultimo decadimento dopo la distruzione della Biblioteca di Alessandria. Gli alchimisti medioevali archimici e ricercatori spirituali, detenevano una conoscenza filosofica e filosofale relativa ai 7 metalli di cui l’Oro rappresentava il massimo grado di rettifica. La Cabala si rifaceva essenzialmente a un sistema Pitagorico decimale circa i Sephiroth dell’Albero della Vita (Otz Chim) ma una tradizione più antica contava ben 12 Sephiroth, come si può notare da alcune stampe rinvenute nei rari testi di alchimia. Con il passaggio verso nuove Ere la Consapevolezza Umana si Espande; oggi questa Marea di elevazione a stati Cosmici di Coscienza è stato grossolanamente chiamato salto quantico. L’ORO era il massimo livello ottenibile dall’alchimista medioevale, e tale realizzazione chiamata Grande opera culminava nel Corpo Solare, un Corpo Sottile molto resistente alla dissoluzione ma non proprio eterno, infatti l’Acqua Regia riesce a solvatare l’Oro. Per cui si può propriamente parlare di Elisir di Lunga vita ma non di Vita Eterna. Con il maturare dei

Alchimista tempi e l’avvicinarsi dell’Acquario altri Elementi e Metalli sono stati scoperti, così come altri Pianeti e particelle subatomiche. I 7 Metalli Filosofici indicavano alcuni aspetti dell’anima e della mente … la Generosità, Bontà e Indulgenza dello Stagno, la Saggezza, la Costanza e la Pazienza del Piombo, il Coraggio, la Forza del Ferro, l’Altruismo, la Compassione del Rame, la Perfezione e la Nobiltà dell’Oro. Questi Metalli poi quando erano nella loro forma ossidata o acida rivelavano il lato Ombra delle loro Qualità Essenziali.

scente dei suoi cristalli puri, è usato anche in cosmetica per non essere considerato tossico rispetto ad altri metalli pesanti come il Mercurio, il Piombo, ecc. Da un punto di vista interiore indica il desiderio, la reminiscenza del immortalità. E’ uno degli Elementi che ha tempo di dimezzamento radioattivo lunghissimo, i ricercatori dell’Institut d’Astrophysique Spatiale di Orsay, in Francia, hanno misurato il tempo di dimezzamento per decadimento alfa dell’isotopo 209Bi, fissando la sua emivita in 1,9 · 1019 anni, un tempo che è oltre un miliardo di volte superiore all’attuale stima dell’età dell’Universo. Pertanto, ai fini pratici, il bismuto può essere di fatto considerato un elemento stabile per qualsiasi applicazione, e può essere trattato come ogni altro materiale non radioattivo.

Così avarizia, pessimismo, introversione col Piombo, superficialità e sacrificio con lo Stagno; lussuria Un altro Metallo: IL COBALTO. Il e infedeltà con il Rame ecc. ma nome deriva da Coboldo uno spiridiamo ora una occhiata ai nuovi tello dispettoso delle miniere germaMetalli: niche dove questo metallo si trovaIL BISMUTO considerato il più pe- va mescolato ad altri. Il Cobalto è sante tra i “metalli pesanti” ha ferromagnetico può essere associaanalogie cabalistiche con Venere, to cabalisticamente a Nettuno una oltre al suo colore roseo e iride- sua caratteristica quando si trova in


Il PLATINO è un Metallo molto importante è tre volte più prezioso dell’Oro, è il cosiddetto Oro Bianco, la sua corrispondenza cabalistica è con Sirio, la Stella che guarda la Cintura Orionica, la casa degli Immortali. La Fase Platino a livello evolutivo è una fase che precede quella del Diamante (Gor-Al) Il Vero Corpo Immortale che corrisponde Cabalisticamente a Kether (La Corona o Sahasrara Chakra) Trovare un Maestro Incarnato con Platino Interiore è un evento molto raro e incredibile. Solitamente risiedono nelle Montane Sacre o luoghi di Forte Potere, il loro Stesso Potere, hanno il Potere Vivente di una Stella in Sembianze Umane.

Chi desiderasse approfondire la Neoalchimia, la Neospagiria, l’Alchimia Iniziatica può contattarmi. Effettuiamo seminari e corsi.

Biografia : Pascual Alistar.

aprire la mente a nuovi concetti che successivamente porteranno al superamento della mente stessa. Altri metalli interessanti sono il Selenio, il Magnesio, l’Alluminio, il Palladio, il Praseodimio, il Cerio, il Cromo, il Germanio, l’Uranio che indica i corpi quantici provvisori. Ovviamente entrano nel contesto alchemico non solo i metalli ma anche operazioni spagiriche e neospagiriche, succussioni, assazioni, regimi, magisteri … poi gli altri Elementi, siano essi metalli o non metalli che metalloidi (Zol-

E’ un neoalchimista che opera a tutti i livelli sia materiale che psicologico, che astrale. E’ Presidente dell’Associazione Misteriosofica nata a Cesena (FC) più di 15 anni fa. Si occupa di Astrologia, Oroscopi e Temi Natali, studioso ed esperto di Sentieri Iniziatici e di Esoterismo in genere. Svolge conferenze e seminari su, Comunicazione Motivazionale. Viaggi Astrali. Maestri Invisibili. Ruote Sciamaniche Wicca. Tarocchi. Fitologia Esoterica e vari altri argomenti. I Centri, le Associazioni o i singoli che fossero interessati a contatti possono indirizzare le loro e-mail a bpascual@libero.it

Mercurio

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Lo ZINCO – questo Metallo segna il passaggio dall’Era dei Pesci (Nettuno) a quella dell’Acquario (Urano) e’ un metallo che si “sacrifica” ed è stato il primo catodo dei generatori di corrente continua (pila). Elettrochimica = Urano-Nettuno. Da un punto di vista alchimistico indica la rinuncia alle passate credenze per

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fo, Fosforo, Boro, Iodio, Azoto … Composti quali il Cinabro, il Sale, il Calomelano, ecc.) Ho parlato anche dell’aspetto Filosofico o mercurio volatile e dell’aspetto Filosofale o mercurio liquido, entrambi possono essere fissati sul “sale” o i metalli creando amalgama. L’amalgama più noto è l’essere vivente: sotto forma di organismo. Una delle più interessanti alchimie a livello olistico è senz’altro la cura a livello eterico che avviene fissando certe qualità astrali in rispettivi ricettori di origine animale, minerale, vegetale, metallica ecc. Questi poi trasformati tramite l’arte della spagiria possono essere assimilati dal paziente. In effetti quando si dice curare l’anima e la mente è molto più che indicare una metafora. Infatti in campo olistico la patologie hanno origine nei piani di più sottile materia. Fiori di Bach, Aura soma, Omeopatia sono solo esempi ma le possibilità possono andare molto oltre. Gli Antichi come i chimici moderni rappresentavano le sostanze fisiche o metaforiche sotto forma di simboli e formule, nelle illustrazioni sono indicati alcuni simboli di sostanze classiche ovvero tradizionali e alcune relative alla Nuova Alchimia moderna.

forma di isotopo artificiale è quello di emettere raggi gamma per distruggere cellule tumorali (cobaltoterapia) a livello più sottile (Stato Filosofale) distrugge invece i parassiti astrali. Questa forma è più riconducibile a una Lega Marte-Nettuno.


La croce laica di Cartesio La croce parte seconda

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Giovanni Francesco Carpeoro

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el 1637 Renè Descartes, al secolo Cartesio, pubblicò il Discorso sul Metodo, opera che, probabilmente, se i dubbi sulle circostanze non chiare della sua morte fossero fondati, costituirebbe il movente del suo ipotetico assassinio. Una morte che potrebbe avere qualche attinenza con la portata destabilizzante per un certo assetto statale-politico-religioso che pretendeva di essere condizionante anche della scienza e del pensiero, e qualche correlazione con gli sviluppi di una desumibile interpretazione della sua versione della croce. Nel Trattato, in barba alle postume anche attuali interpretazioni materialistiche e scientistiche (non scientifiche, si intenda) che ne hanno costituito la mortificazione ad icona di una ottusa versione del positivismo, Cartesio si produce in un’acuta dimostrazione razionale della sua fede in un dio unico, ma soprattutto ci offre un illuminante squarcio di un suo percorso particolare. Nell’inverno tra il 1619 e il 1620 il filosofo francese si trovò arruolato, in occasione della Guerra dei Trent’anni, nell’esercito guidato da Massimiliano, duca di Baviera. In quel periodo probabilmente conobbe a Ulm il matematico Johann Faulhaber, l’autore del libro Mysterium arithmeticum sivecabalistica et philosophica inventio, dedicato agli Illuminatissimis laudatissimisque Fratribus R.C. e, secondo alcuni, con il medesimo anche i leggendari Rosa+Croce di Germania. D’altro canto Faulhaber fu anche l’autore del trattato Himlische… Magia oder Newe Cabalistische Kunst, ove le arti meccaniche, gli strumenti matematici, la prospettiva venivano inclusi nella magia divina e nella nuova arte cabalistica. Sull’ipotesi di un contatto e, successivamente, di un’appartenenza di Cartesio alla Rosa+Croce, non potevano che essere sollevati dubbi di valenza paritetica agli stessi opposti all’esistenza della confraternita stessa, considerata come una leggenda o una menzogna strumentalmente messa in giro. L’argomentazione più forte di tale teoria confutativa è quella fondata sulle stesse decise smentite pubbliche di Cartesio sulla propria appartenenza ai Rosa+Croce, senza tener conto che tale comportamento sarebbe stato comunque perfettamente ricollegabile alle regole della confrater-


“Mi trovavo allora in Germania, richiamatovi dalle guerre ancora in corso; e tornando verso l’esercito dopo l’incoronazione dell’imperatore, l’inizio dell’inverno mi colse in una località dove, non trovando compagnia che mi distraesse, e non avendo d’altra parte, per mia fortuna, preoccupazioni o passioni che mi turbassero, restavo tutto il giorno solo, chiuso in una stanza accanto alla stufa e qui avevo tutto l’agio di occuparmi dei pensieri”. Nasce quindi durante la permanenza in Germania il primo abbozzo della sezione più basilare e importante del pensiero cartesiano, come il filosofo nell’opera citata sottolineerà reiteratamente, come a voler sottendere come, in quella

circostanza, qualcosa o qualcuno abbia stimolato il suo

Ecco la precisazione di come Cartesio ammetta di essere pervenuto a conclusioni molto importanti, inusitate rispetto alle conoscenze dell’epoca, sempre in coincidenza con la sua permanenza in Germania. “Ma poiché le principali di quelle verità ho cercato di spiegarle in un trattato che alcune considerazioni mi impediscono di pubblicare, non potrei enunciarle meglio che riassumendo qui il contenuto di quel trattato. Mi ero proposto di raccogliere in esso tutto quello che, cominciando a scrivere, pensavo di sapere sulla natura delle cose materiali. Ma come i pittori, non potendo raffigurare egualmente bene su una superficie piana tutte le diverse facce di un solido, ne scelgono una delle principali e la mettono in luce, ombreggiando le altre in modo che si possano vedere solo guardando quella: così, nel timore di non poter fare entrare nel mio discorso tutto ciò che avevo in mente, decisi di esporre con molta ampiezza soltanto la mia concezione della luce; poi, di qui, aggiungere qualcosa sul sole e sulle stelle fisse, da cui la luce, quasi interamente proviene; e poi sui cieli che la trasmettono; sui pianeti, sulle comete, e sulla terra, che la riflettono; e, in particolare, su tutti i corpi che sono sulla terra, per il fatto che sono o colorati o trasparenti o luminosi, infine sull’uomo

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Ma c’è un ulteriore elemento a favore dell’ipotesi dell’appartenenza di Cartesio alle congreghe esoteriche e iniziatiche dell’epoca, e consiste in quanto si cela tra le parole proprio del Discorso sul Metodo, un linguaggio simbolico, allusivo e a volte criptato, come nelle indicazioni di uno dei presunti padri della Rosa+Croce, l’abate Tritemio, nel suo Steganografia, cifrario e manuale per trasmettere messaggi segreti. E poiché l’interpretazione di alcuni brani dell’opera citata ci condurrà a parlare ancora della croce, sarà opportuno esaminarli analiticamente.

“E tuttavia oso affermare che non solo ho trovato il modo di giungere in breve tempo a conclusioni soddisfacenti per tutto ciò che riguarda le principali difficoltà di cui suole trattare la filosofia, ma ho anche individuato certe leggi, che Dio ha stabilito nella natura, imprimendone le nozioni nella nostra mente in modo tale che, avendo riflettuto a sufficienza su di esse, non potremmo dubitare che siano esattamente osservate in tutto ciò che nel mondo è o accade. Poi, considerando la serie di queste leggi, mi sembra di aver scoperto molte verità più utili e più importanti di quel che in precedenza avevo appreso o soltanto sperato di apprendere”.

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“Quest’opera contiene i veri mezzi per superare tutte le difficoltà di questa scienza e dimostrare come, riguardo ad essa, lo spirito umano non possa spingersi più lontano; scritta per provocare l’esitazione o schernire la temerarietà di quanti promettono nuove meraviglie in tutte le scienze, e allo stesso tempo per alleviare le gravi fatiche dei Fratelli della Rosacroce i quali, lanciati notte e giorno nelle difficoltà di questa scienza, vi consumano inutilmente l’olio del loro genio; dedicata infine ai sapienti del mondo intero e specialmente agli Illustrissimi F. (Fratelli) R. (Rosa) C. (Croce) di Germania”.

intelletto in una direzione innovativa rispetto alle precedenti posizioni.

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nita che imponevano assoluta e rigorosa segretezza sull’identità dei fratelli che ne facessero parte, atteso il divieto categorico di rendere manifesta la circostanza. A ciò si aggiunga la difficoltà di spiegare adeguatamente la dedica di Cartesio ai confratelli dell’opera sulla matematica Polybii Cosmopolitani Thesaurus Mathematicus, l’unica firmata col nome Polibio Cosmopolitano, il cui testo recitava:


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che ne è lo spettatore. Anzi per mettere un pò in ombra queste cose e poter dire più liberamente quel che ne pensavo senza essere obbligato a seguire o a confutare le opinioni accolte tra i dotti, decisi di abbandonare tutto questo mondo qui alle loro dispute, e di parlare soltanto di quel che accadrebbe in uno nuovo, se Dio creasse ora da qualche parte, negli spazi immaginari, abbastanza materia per comporlo, e ne agitasse in vario modo e senza un ordine le diverse parti, così da formarne un caos tanto confuso quanto possono immaginarlo i poeti; e in seguito non facesse altro che prestare il suo concorso ordinario alla natura, lasciandola agire secondo le leggi da lui stabilite. Se qualcuno si dovesse prendere la briga di riprendere in mano l’opera Steganografia, come sopra già ribadito, scoprirebbe che i dettami dell’abate Tritemio per occultare messaggi segreti in frasi costruite per avere molteplici significati sono stati tutti rispettati. Cartesio lancia il messaggio nascosto del possesso di conoscenze attinenti ai principi originari dell’universo. Non si può, con riferimento a tale passaggio, non pensare al motto segreto dei Rosa+Croce che attribuiva all’acrostico I.N.R.I., il leggendario cartiglio infisso sulla croce del Cristo, altrimenti denominato titulus crucis, cioè l’iscrizione, riportata dal Vangelo secondo Matteo, dal Vangelo secondo Giovanni e dal Vangelo secondo Luca, per indicare la motivazione della condanna. L’esibizione della motivazione della condanna, infatti, era prescritta dal diritto romano. Secondo i vangeli il cartiglio apposto sulla croce riportava come motivo della condanna: Questi è Gesù, il re dei Giudei (Matteo 27,37 e Luca 23,38) oppure Gesù Nazareno, re dei Giudei, secondo il Vangelo secondo Giovanni (19,19); tale vangelo aggiunge che era scritta in ebraico, latino e greco (19,20). Molti anni fa un erudito ebreo, Schalom Ben-Chorin, ha avanzato l’ipotesi che la scritta ebraica fosse: Yeshua Hanozri W(u)melech Hajehudim, cioè letteralmente: Gesù il Nazareno è il Re dei Giudei. In tal caso le iniziali delle quattro parole corrisponderebbero esattamente con il tetragramma biblico, il nome impronunciabile di Dio. A tale acrostico la confraternita, oltre ai due significati noti, quello storico letterale di Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum, e quello alchemico-esotericozoroastrico di Igne Natura Renovatur Integra, Tutta la Natura è rinnovata dal Fuoco, anche quello occulto e iniziatico, già citato nell’Introduzione, di Ineffabile Nomen Rerum Initium, Ineffabile Causa dell’Inizio del Mondo, numericamente rappresentato dai numeri delle lettere componenti le singole parole, 10-5-5-7. All’inizio del mondo allude, e ne è esempio illuminante l’ultima frase, il filosofo matematico, anche laddove descrive, in modo suggestivo, alla fine del brano riportato, come per comprendere le origini dell’universo si renda necessario destrutturare completamente la nostra visione del mondo attuale, per risalire ad un caos primordiale come ad immedesimarsi nell’azione di quel creatore divino nel quale in precedenza è stato argomentato l’obbligo, anche razionale, di credere. “Sono passati tre anni da quando, arrivato alla fine del trattato che contiene tutte queste cose, e mentre mi accingevo a rivederlo per metterlo nelle mani di un tipografo, venni a sapere che persone alle quali mi inchino e la cui autorità non ha sulle mie azioni un peso minore di quello che la mia ragione ha sui miei pensieri, avevano disapprovato un’opinione di fisica pubblicata qualche tempo prima da un altro e della quale non dirò che


la condividessi, ma solo che non vi avevo trovato nulla, prima della loro censura, che potessi immaginare pregiudizievole alla religione o allo Stato, e dunque nulla che mi avrebbe impedito di sostenerla, se la ragione mi avesse convinto; e il fatto mi fece temere che se ne potesse trovare qualcuna delle mie in cui avessi errato, nonostante la grande cura che ho sempre avuto di non accoglierne di nuove, senza averne certissime dimostrazioni, e di non enunciarne che potessero risultare dannose a qualcuno.

Un sistema di coordinate cartesiano ortogonale in due dimensioni, cioè un piano cartesiano, è così costituito: a l’asse delle ascisse costituisce la retta orizzontale, che Oresme chiamava longitudo, (solitamente caratterizzata dalla lettera x); a l’asse delle ordinate costituisce la retta verticale, che Oresme chiamava latitudo, (solitamente caratterizzata dalla lettera y); a l’origine (l’initium di cui sopra), cioè il punto nel quale le due rette si incontrano.

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I Rosa+Croce, probabilmente, sono stati qualcosa di molto diverso dai maghi e alchimisti soffiatori che all’epoca infestavano le corti europee: forse sono stati anche, per la portata delle loro conoscenza, gli antesignani della scienza moderna. E, a questo punto dobbiamo parlare dell’ipotesi di una croce di Cartesio, o come contributo dell’antica conoscenza iniziatica all’evoluzione della sua ricerca, oppure come elemento centrale dello sviluppo dei suoi studi. Perché l’elemento centrale degli studi del grande filosofo è stato proprio la croce, anzi la sua croce, che è passata alla storia come piano cartesiano. In matematica, un sistema di riferimento cartesiano è un sistema formato, in un numero n di dimensioni, da n rette ortogonali, che si intersecano tutte in un punto chiamato origine, su ciascuna delle quali si fissa un orientamento (rette orientate) e per le quali si fissa anche un’unità di misura che consente di identificare qualsiasi punto del piano mediante numeri reali (vedi immagine 135). La croce, più semplicemente, è il caso in 2 dimensioni, nel qual caso il sistema di riferimento viene chiamato piano cartesiano (vedi immagine 137). Col sistema di riferimento cartesiano è possibile descrivere tramite equazioni algebriche forme geometriche come curve o superfici: i punti dell’oggetto geometrico sono quelli che soddisfano l’equazione associata. Cartesio, riprendendo gli studi del matematico medievale Nicola d’Oresme, lavorò sulla fusione dell’algebra con la geometria euclidea, studi che furono influenti nello sviluppo della geometria analitica, del calcolo infinitesimale e della cartografia. Con un accenno sempre nel Discorso sul metodo, Cartesio introduce quindi la nuova idea di determinare la posizione di un punto o di un oggetto su una superficie usando due rette che si intersecano in un punto come strumenti di misura, idea più specificamente in seguito precisata nell’opera La Geometria (1637).

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A parte il riferimento a un’opera specifica, Le Monde ou Traité de la Lumiere, pubblicata oltre un decennio dopo rispetto alla materiale redazione, il problema di Cartesio era più ampio e di portata generale: egli era forse penetrato nel mondo di una conoscenza che apriva varchi sconfinati alle esplorazioni della mente, ma anche alle persecuzioni oscurantistiche del potere politico-religioso dell’epoca.


Per concludere questa breve descrizione di uso comune, è necessario aggiungere come il piano cartesiano risulti in tal modo suddiviso in quattro regioni denominate quadranti, indicate mediante numeri romani progressivi in senso antiorario:

sto sostiene che il più lento non sarà mai raggiunto nella sua corsa dal più veloce. Infatti è necessario che chi insegue giunga in precedenza là di dove si mosse chi fugge, di modo che necessariamente il più lento avrà sempre un qualche vantaggio.

a I quadrante: comprende i punti aventi ascissa ed ordinata positive;

Il ragionamento ha per conseguenza che il soggetto più lento non può essere raggiunto in base ad una complicata spiegazione che qui sarebbe complicato e fuori argomento analizzare, visto che si pone il problema squisitamente matematico della divisibilità infinita. Simplicio, commentatore delle opere di Aristotele vissuto nel VI secolo d.C., nella Fisica di Simplicio descrive così il problema:

a II quadrante: comprende i punti aventi ascissa negativa ed ordinata positiva; a III quadrante: simmetrico al primo rispetto all’origine; a IV quadrante: simmetrico al secondo rispetto all’origine.

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E anche le simmetrie tra il primo ed il terzo ed il secondo e il quarto sono simbolicamente significative, se si considera che il numero 1 e il numero tre sono numeri divini e il 2 e il 4 sono numeri invece legati alla dimensione materiale. La prima simmetria altro non è che lo speculum essere-non essere, con inversione nell’ordine perché posta da un punto di vista antropocentrico, quale del resto è la croce anche sotto il profilo cristiano, atteso che Dio si fa uomo, mentre la seconda è uno specula, oggi quanto mai attuale viste le recenti scoperte in ordine all’esistenza, oltre che della materia, anche dell’antimateria. Ma Cartesio, nel suo trattato, sul quale aveva esitato al momento della pubblicazione, finisce per occuparsi di moto, seppure in relazione alla ricostruzione delle leggi del cosmo, e quindi applica la sua croce secondo modalità che aprono scenari inediti. Alla base della descrizione del moto, mediante il piano cartesiano, ci sono i concetti di spazio e di tempo. Infatti il moto di un corpo può essere analizzato solo se possiamo specificare la sua posizione nello spazio ad ogni istante di tempo. La procedura è semplice: si considera una retta orientata, cioè dotata di un verso assegnato, si stabilisce di chiamare origine un punto arbitrario, si sceglie un’unità di misura, ad esempio il metro, indicando sulla retta i punti che distano 1, 2, 3 o più metri. Quelli a destra sono indicati con il segno più, quelli a sinistra col segno meno. Così il moto si riduce a una successione di eventi elementari. Un evento è costituito dal fatto che il punto materiale si trova a coincidere, a un dato tempo espresso in secondi, minuti o ore sulla linea verticale, con un punto della retta a cui corrisponde un valore x espresso in metri. Il punto di partenza per questa analisi era stato costituito da due dei sette paradossi che la tradizione attribuisce a Zenone di Elea. Aristotele (Fisica, VI, 9) descriveva proprio i primi due paradossi in oggetto che possono essere considerati due aspetti di un unico problema. Quattro sono i ragionamenti di Zenone intorno al movimento, i quali mettono di cattivo umore quelli che tentano di risolverli. Primo è quello sulla inesistenza del movimento, per la ragione che il mosso deve giungere prima alla metà che non al termine. Il paradosso dell’Achille è invece così descritto dal grande filosofo di Stagira: Secondo è l’argomento detto Achille. Que-

L’argomento è chiamato l’Achille a causa dell’introduzione in esso di Achille, il quale, dice l’argomento, non può mai raggiungere la tartaruga che sta inseguendo, perché l’inseguitore deve, prima di raggiungere l’inseguito, giungere al punto dal quale l’inseguitore è partito. Ma nel tempo impiegato dall’inseguitore per raggiungere questo punto, l’inseguito avanza di una certa distanza e anche se questa distanza è minore di quella coperta dall’inseguitore, a cagione del fatto che l’inseguito è il più lento dei due, ciò nonostante egli avanza perché non è fermo. E ancora nel tempo che l’inseguitore impiega per coprire questa distanza di cui l’inseguito è avanzato, l’inseguito ancora avanza di una certa distanza che è in proporzione più piccola della precedente, in conformità al fatto che la sua velocità è minore di quella dell’inseguitore. E così in ogni intervallo di tempo nel quale l’inseguitore copre la distanza di cui l’inseguito, movendosi alla sua velocità relativamente minore, è avanzato, l’inseguito avanza ancora un altro poco, perché benché questa distanza decresca ad ogni passo, pure, a cagione del fatto che l’inseguito è sempre supposto in moto, egli avanza di qualche distanza positiva. E così considerando distanze decrescenti in una data proporzione all’infinito a causa dell’infinita divisibilità delle grandezze, arriviamo alla conclusione che non solo Ettore non sarà mai raggiunto da Achille, ma neppure la tartaruga. L’essenza del dilemma, ovvero il principio geometrico del quale esso era conseguenza, è quello dell’infinita suddivisibilità delle grandezze. Così Cartesio, anche stimolato dai problemi sopraesposti, perviene all’applicazione dei principi della sua geometria al moto e formula una croce dove l’ascissa, cioè la retta orizzontale, è lo spazio, e l’ordinata, cioè la retta verticale, è il tempo. Tanto per chiudere la parentesi riguardante i paradossi, Cartesio giunse ad affermare che il problema dell’Achille: non è difficile a risolversi, quando si consideri che alla decima parte di una quantità viene aggiunta la decima di questa decima, e cioè una centesima; e poi ancora la decima di quest’ultima, ossia una millesima della prima; e così di seguito all’infinito, tutte queste decime prese insieme, benché siano supposte realmente infinite, non compongono tuttavia che una quantità finita. Ché se taluno dice che una tartaruga, la quale ha dieci leghe di precedenza rispetto a un cavallo dieci volte più veloce di lei, non potrà mai essere superata da questo, perché mentre il cavallo compie le dieci leghe la tartaruga ne percorre una e, mentre il cavallo supera questa lega, la tartaruga procede ancora di un decimo di lega e così all’infinito, bisogna ri-


spondere che veramente il cavallo non la sopravanzerà finché esso farà quella lega, quel decimo, quel centesimo, quel millesimo ecc. di lega; ma che non ne segue che non la supererà mai, perché quel decimo, centesimo, millesimo ecc. non fanno che un nono di lega, in capo al quale il cavallo comincerà a sopravanzarla.

Con l’occasione voglio pregare qui i posteri di non credere mai che io sia l’autore delle cose che verranno loro riferite se non le avrò rese pubbliche io stesso. Biografia: Giovanni Francesco Carpeoro Nato a Cosenza nel 1958. Si trasferisce a Milano e si laurea in giurisprudenza presso l’ Università Cattolica per poi svolgere per trent’anni la professione di avvocato. Ha curato per Acacia Edizioni l’edizione italiana de L’Archeometro di Alexandre Saint’Yves d’Alveidre e di Sotto le Piramidi di Andrew Collins. È stato direttore delle riviste mensili PC Magazine, HERA e I Misteri di HERA. Il suo sito personale: www. carpeoro.com. Delle sue pubblicazioni ricordiamo: Il volo del pellicano (Bevivino, 2007), Labirinti (Bevivino, 2008) e...

Il re cristiano Bevivino, 2010

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Così nasce la domanda se con la sua croce Cartesio aveva anche postulato che, date due rette perpendicolari, una verticale ed una orizzontale, laddove la prima designa l’elemento tempo e la seconda l’elemento spazio, il loro punto d’incrocio poteva essere considerato l’inizio del movimento cosmico. E nasce anche la seconda domanda sui quadranti del piano cartesiano cosmico, e cioè se Cartesio abbia postulato come, oltre ad una locazione nel tempo e nello spazio, e cioè il I quadrante, manifestazione che ben conosciamo, contestualmente esistessero anche collocazioni col tempo ma senza spazio, II quadrante, senza tempo nello spazio, IV quadrante, e addirittura quelle senza tempo, né spazio, III quadrante (vedi immagine 141). Alla fine rimane il dubbio se il filosofo e matematico francese si sia occupato di analizzare la conoscenza solo di un quarto della realtà, descritta peraltro proprio dalla sua croce, o si sia addentrato anche nella altre tre porzioni, come si trovò a dover fare molti secoli dopo Einstein, subendo nella parte finale del sua esistenza un ostracismo dello stesso segno di quello che temeva lo stesso Cartesio, al punto da esserne condizionato fino all’autocensura. Ma a tale dubbio non possiamo offrire alcuna risposta, in quanto lo stesso Cartesio ce lo impedisce categoricamente con una eloquente frase dell’opera della quale ci siamo così diffusamente occupati:

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E in altra sede Cartesio ribadisce la sua convinzione di una suddivisibilità della materia in infinitum, o quanto meno in indefinitum: Così, poiché non sapremmo immaginare un’estensione sì grande da non concepire in pari tempo che può essercene una più grande, diremo che l’estensione delle cose possibili è indefinita. E poiché non si potrebbe dividere un corpo in parti sì piccole, che ognuna di queste parti non possa essere divisa in altre minori, noi penseremo che la quantità può essere divisa in parti, il cui numero è indefinito.


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