Pilgrim

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Rizzoli best



Terry Hayes

PILGRIM Traduzione di Laura Bortoluzzi e Silvia Cavenaghi

Rizzoli


Proprietà letteraria riservata © 2012 Terry Hayes © 2013 RCS Libri S.p.A., Milano ISBN 978-88-17-07183-3 Titolo originale dell’opera: I AM PILGRIM

Prima edizione: novembre 2013

Questo libro è il prodotto dell’immaginazione dell’Autore. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono fittizi. Ogni riferimento a fatti o a persone reali è puramente casuale.

Realizzazione editoriale: Langue&Parole, Milano


PILGRIM



PRIMA PARTE



Capitolo Uno

Ci sono luoghi che ricorderò per tutta la vita. La Piazza Rossa percorsa dall’ululato di un vento torrido, la camera di mia madre sul lato sbagliato della 8-Mile, i giardini a perdita d’occhio della dimora di una famiglia adottiva, un uomo che aspetta di uccidermi nascosto in un mucchio di ruderi noto come il Teatro della Morte. Ma niente è marchiato a fuoco nella mia memoria come la stanza di un palazzo senza ascensore di New York: tende logore, mobili da quattro soldi, un tavolo coperto di tina e altre droghe. A terra, accanto al letto, una borsa, mutandine nere sottili come un filo interdentale e un paio di Jimmy Choo tacco 15. Non c’entrano niente con questo posto, come la loro proprietaria. È nel bagno, nuda, la gola squarciata, a faccia in giù in una vasca piena di acido solforico, il principio attivo di molti prodotti che si possono comprare in qualunque supermercato. Sul pavimento sono disseminate decine di flaconi vuoti: Drainbomb, c’è scritto sull’etichetta. Indisturbato, mi metto a esaminarli uno a uno. Hanno tutti il cartellino del prezzo attaccato. Per non dare nell’occhio l’assassino li ha comprati in venti negozi diversi. L’ho sempre detto che è difficile non ammirare un piano ben progettato. La camera è nel caos, il rumore è assordante: le radio della polizia stridono a tutto volume, gli assistenti del medico legale 9


urlano chiedendo aiuto e una donna ispanica singhiozza in un angolo. Anche se una vittima non ha nessuno al mondo, c’è sempre qualcuno pronto a piangere per lei davanti a una scena del genere. La ragazza nella vasca è irriconoscibile. Dopo tre giorni nell’acido è sfigurata. Faceva parte del piano, credo. L’assassino le ha bloccato le mani con gli elenchi telefonici. L’acido ha sciolto non solo le impronte digitali, ma anche quasi tutto il metacarpo. A meno che la scientifica non sia così fortunata da trovare una corrispondenza con le impronte dentali, ci metterà un sacco di tempo a dare un nome al cadavere. In posti come questo, dove senti il male ancora incollato alle pareti, la mente vaga per lande strane. L’idea di una giovane donna senza volto mi ha fatto pensare a una canzone scritta da Lennon e McCartney tanti anni fa: la protagonista è Eleanor Rigby, una donna che indossava un viso conservato in un barattolo vicino alla porta. Tra me e me comincio a chiamare la vittima Eleanor. C’è ancora da lavorare sulla scena del crimine, ma gli investigatori sono convinti che sia stata uccisa mentre faceva sesso. Il materasso per metà fuori dal letto, le lenzuola aggrovigliate, uno schizzo marrone di sangue rappreso. I più perversi credono che le abbia tagliato la gola mentre era ancora dentro di lei. E il brutto è che potrebbero avere ragione. Comunque sia morta, chi è in cerca di consolazione forse può essere accontentato: è probabile che non si sia accorta di nulla. Almeno non fino all’ultimo momento. Merito della tina, metanfetamina in cristalli. Quando arriva alla testa, ti fa sentire così arrapato, così su di giri da toglierti il senso del pericolo. Sotto il suo effetto, l’unico pensiero coerente che i più riescono a elaborare è trovare qualcuno da sbattersi. Accanto ai due fogli di stagnola che contenevano la droga c’è 10


una boccetta molto simile ai flaconcini di shampoo che si trovano negli alberghi. Niente etichetta, liquido incolore: ghb, direi. Di questi tempi sta guadagnando terreno negli oscuri meandri del Web: assunto in dosi massicce, sta rimpiazzando il Roipnol come prima droga da stupro. Nei locali scorre a fiumi per tagliare la metanfetamina e ridurre la paranoia. Ma anche il ghb ha i suoi effetti collaterali: perdita dei freni inibitori e intensificazione dell’esperienza sessuale. È facile capire perché la chiamano anche “scopata facile”. Tolte le Jimmy Choo e sfilata la microgonna nera, Eleanor dev’essere partita come un fuoco d’artificio. Mi faccio avanti nella ressa. Nessuno dei presenti mi ha mai visto: uno sconosciuto con una giacca costosa sulla spalla e un passato ingombrante. Sono fermo davanti al letto. Mi isolo dal rumore e immagino la ragazza lì sopra, nuda, che lo cavalca. Ha poco più di vent’anni, un bel corpo, e vedo che ci dà dentro. Il cocktail di droghe la proietta verso un orgasmo sconvolgente, l’anfetamina le fa andare alle stelle la temperatura corporea, i suoi seni gonfi sono sempre più pesanti, la concentrazione di sostanze chimiche ed eccitazione le fa schizzare a mille il battito cardiaco, il respiro si fa più rapido e affannoso, la lingua bagnata e famelica va per i fatti suoi in cerca dell’altra bocca. Una cosa è certa, il sesso oggi non è roba da educande. Le insegne al neon dei locali sulla strada devono aver colpito i riflessi biondi del suo taglio alla moda e fatto scintillare l’orologio Panerai. Certo, è finto, ma è ben fatto. Conosco questa ragazza. La conosciamo tutti. Il genere, quantomeno. Sono quelle che si vedono nel nuovo negozio Prada a Milano, a far la fila fuori dai locali di Soho, a sorseggiare cappuccini con latte scremato nei caffè trendy di Avenue Montaigne… ragazze che scambiano People per un quotidiano e un simbolo giapponese sulla schiena per un segno di ribellione. 11


Mi immagino la mano del killer sul suo seno, mentre le tocca il piercing luccicante che ha sul capezzolo. Lo prende fra le dita e lo tira, avvicinando a sé la ragazza. Lei grida, in preda allo sballo: tutto il suo corpo è sensibile e teso, soprattutto i capezzoli. Ma non le importa: se uno ha voglia di usare le maniere forti, vuol dire che lei gli piace sul serio. Accovacciata su di lui, mentre la testiera del letto sbatte con violenza contro il muro, deve aver guardato la porta: chiusa a chiave, per forza. In questo quartiere è il minimo. C’è un cartello che mostra la via di fuga in caso di evacuazione dell’edificio: è un hotel, ma la somiglianza con il Ritz-Carlton finisce qui. Si chiama Eastside Inn, ci vengono vagabondi, viaggiatori squattrinati e malati di mente; chiunque possa permettersi di pagare solo venti dollari a notte. Puoi rimanere quanto vuoi, un giorno, un mese, tutta la vita… ti servono solo due documenti, almeno uno con la foto. Chi si era installato nella camera 89 ci stava da un po’: sulla scrivania ci sono una confezione di birra da sei, quattro bottiglie semivuote di superalcolici e un paio di scatole di cereali. Su uno dei comodini uno stereo e qualche cd. Se ne intendeva di musica, questo almeno gli va riconosciuto. L’armadio invece è vuoto: sembra che abbia portato con sé solo i vestiti quando è andato via, lasciando il cadavere a liquefarsi nella vasca. In fondo all’armadio è ammucchiata della spazzatura: giornali, la bomboletta vuota di un insetticida per scarafaggi, un calendario da parete macchiato di caffè. Lo raccolgo. Su ogni pagina c’è la fotografia in bianco e nero di una rovina: il Colosseo, un tempio greco, la Biblioteca di Celso. Molto sofisticato. Le pagine sono intonse, non è segnato nemmeno un appuntamento. Sembra che non l’abbia mai usato, se non per appoggiarci il caffè, così lo butto di nuovo a terra. 12


Mi volto e senza pensarci, quasi d’istinto, passo la mano sul comodino. Strano: niente polvere. Faccio lo stesso sulla scrivania, la testiera e lo stereo, e il risultato è sempre lo stesso: il killer ha ripulito tutto per eliminare le impronte. Fin qui niente di che, ma quando avverto un odore particolare e mi porto le dita al naso tutto cambia. È uno spray antisettico usato nei reparti di terapia intensiva contro le infezioni. Non solo uccide i batteri, ma distrugge anche il materiale genetico: sudore, pelle, capelli. È in tutta la stanza, sul tappeto e sulle pareti; il killer voleva evitare alla scientifica il disturbo di tirar fuori gli aspiratori. All’improvviso so che non ha nulla a che vedere con il classico omicidio per droga, a scopo di rapina, o a sfondo sessuale. Come delitto è qualcosa di eccezionale.

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Capitolo Due

Pochi lo sanno, e probabilmente a pochi importa, ma la prima legge della medicina legale è il Principio di interscambio di Locard: «Di ogni contatto fra assassino e scena del crimine resta sempre una traccia». Mentre sono in questa stanza, circondato da decine di voci, mi chiedo se il professor Locard ha mai visto una scena simile a quella della camera 89. Tutto ciò che l’omicida ha toccato è in una vasca piena d’acido, o ripulito alla perfezione, o impregnato di un antisettico industriale. Sono certo che di lui non è rimasta nemmeno una cellula o un follicolo. Un anno fa ho scritto un libro sulle tecniche investigative moderne. In un capitolo intitolato “Nuove frontiere” ho raccontato di essermi imbattuto in uno spray antibatterico solo una volta, nella Repubblica Ceca. La vittima era un pezzo grosso dei servizi segreti. Non è di buon auspicio: a tutt’oggi il caso è irrisolto. Chiunque sia vissuto nella camera 89 sapeva il fatto suo, così comincio a perlustrare la stanza con il dovuto rispetto. Non era una persona ordinata. Vedo un cartone per pizza vuoto accanto al letto. Sto per passare oltre, ma poi capisco che è lì che deve aver tenuto il coltello: sopra il cartone, a portata di mano, un dettaglio così normale che Eleanor non l’avrà nemmeno notato. La immagino sul letto, mentre cerca di afferrargli il sesso sotto il groviglio di lenzuola. Gli bacia una spalla, il petto, e poi 14


scende. Forse il tizio sa cosa lo aspetta, forse no: uno degli effetti collaterali del ghb è la soppressione del riflesso faringeo. Non c’è motivo per cui una persona non possa ingoiare una mazza da 18, 20, 25 centimetri. Ecco perché i posti dove si trova più facilmente sono le saune per gay. O i set dei film porno. Penso alle sue mani che la afferrano. La fa voltare, la fa stendere e si piazza a cavalcioni su di lei, all’altezza del torace. Lei crede che voglia farselo prendere in bocca e invece, con nonchalance, la mano destra dev’essere scivolata di fianco al letto. Inosservate, le dita trovano il cartone della pizza e toccano quello che cercano: è freddo, pagato pochi dollari, ma nuovo, quindi anche più tagliente del necessario. Se qualcuno fosse stato lì avrebbe visto Eleanor inarcare la schiena ed emettere una specie di gemito di piacere. E invece no. Gli occhi di Eleanor, luminosi per effetto delle droghe, sono colmi di paura. Le ha tappato la bocca con la mano sinistra e le ha spinto la testa all’indietro, mettendo la gola in bella vista. Lei scalcia e si contorce, cerca di divincolarsi, ma lui ha previsto tutto. Seduto sul suo petto, le blocca le braccia premendole con le ginocchia. Come faccio a saperlo? Basta guardare i due lividi sul corpo che galleggia nella vasca. La ragazza non ha scampo. L’uomo alza il braccio destro rivelando la mano: Eleanor la vede e prova a urlare, agitandosi come una furia e lottando per liberarsi. Con un movimento fulmineo, la lama seghettata del coltello le passa davanti al seno, puntando dritto alla gola pallida. Uno squarcio profondo. Il sangue schizza sul comodino. Una delle arterie che arrivano al cervello è stata recisa, quindi dev’essere stata questione di un attimo. Eleanor si accascia e gorgoglia dissanguandosi. Gli ultimi barlumi di coscienza le dicono che ha appena assistito al proprio omicidio; tutto ciò che è stata, che sperava di diventare non esiste 15


più. È andata così. Non era dentro di lei. Anche stavolta forse dobbiamo ringraziare Dio per questi piccoli gesti di compassione. Il killer prepara la vasca con l’acido e nel frattempo si toglie la camicia bianca insanguinata; ne hanno appena trovati dei filamenti sotto il corpo di Eleanor, insieme al coltello. Lama da dieci centimetri, manico di plastica nero, prodotto in milioni di esemplari da operai-schiavi di qualche fabbrica cinese. Sono ancora scosso dalla vivida immagine che ho ricostruito nella mia mente, così mi accorgo a stento della mano che mi si posa sulla spalla. Appena me ne rendo conto la scaccio via, pronto a rompere subito il braccio a cui appartiene: l’eco di una vita precedente, temo. È un tizio che farfuglia delle scuse sbrigative e guardandomi in modo strano cerca di farmi spostare. È il capo di una squadra della scientifica – tre uomini e una donna – che sta sistemando le lampade a raggi uv e il Luminol che useranno per trovare macchie di liquido seminale sul materasso. Non hanno ancora scoperto la faccenda dell’antisettico e io non glielo dico: in base alla mia ricostruzione, all’assassino è sfuggita una parte del letto. Se ho ragione, vista la natura dell’Eastside Inn, suppongo che troveranno migliaia di tracce risalenti ai tempi in cui le battone portavano ancora calze e guêpière. Mi levo di mezzo, ma sono assorto nei miei pensieri: sto cercando di isolarmi perché c’è qualcosa nella stanza, in tutta questa situazione, non so bene cosa, che mi turba. Un tassello è al posto sbagliato, e non mi so spiegare perché. Mi guardo intorno, rifaccio l’inventario di quello che vedo, ma non lo trovo. Ho la sensazione che risalga a qualche ora fa. Torno indietro, riavvolgo il nastro della memoria fino al momento in cui ho messo piede qui dentro per la prima volta. Che cos’era? Scavo nel subconscio, cercando di recuperare la prima impressione: era qualcosa che non aveva a che fare 16


con la violenza, un piccolo particolare ma di importanza fondamentale. Se solo non fosse così sfuggente… una sensazione… è come… è una parola che adesso sta sull’altra sponda dei ricordi. Comincio a pensare a quello che ho scritto nel mio libro: che sono sempre le supposizioni, quelle che non mettiamo in discussione, a trarci in inganno. E poi mi torna in mente. Quando sono entrato, ho visto la confezione di birra sulla scrivania, un cartone di latte nel frigo, ho letto i titoli di alcuni dvd accanto alla tivù, ho notato il sacchetto nel cestino dell’immondizia. E la prima impressione, la parola a cui ho pensato ma che il mio cervello non ha registrato, è stata “donna”. La mia ricostruzione di quanto accaduto nella camera 89 era tutta giusta, tranne per l’aspetto più importante. Qui non viveva un ragazzo; non è stato un uomo nudo a fare sesso con Eleanor e a tagliarle la gola. Non è stato uno stronzo dalla mente acuminata a sfigurarla con l’acido e a spruzzare un antisettico in tutta la stanza. È stata una donna.

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