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Dislivelli

Ricerca e comunicazione sulla montagna

La Narrazione

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perché vi si versava sopra dell’acqua per velocizzare il processo di raffreddamento e formazione del ghiaccio; non a caso presso molte neviere era sempre presente un pozzo d’acqua. “Fai il bravo che quando viene la fiera ti compro il sorbetto”, si diceva ai bambini. Ce lo hanno raccontato proprio loro, oggi ottantenni e novantenni, Rocco, Antonio, Mario, Giuseppe, Domenico e tanti altri ancora, quei bambini che a piedi nudi pressavano gli strati di neve che venivano poi separati dalla paglia o dalla “cam a” (più nota come pula o lolla), il residuo della “scamatura”, la pratica di “mettere a nudo” le cariossidi di cereali; non è un caso se, ancora oggi, per dire che si è scoperto il segreto di qualcuno si dica “ti ho sgamato”. E chi lo faceva quel succulento sorbetto? E come? E che sapore aveva? Zi’ Vitill’ ‘u saracar’, per citarne uno, pressava la neve in un bicchiere di vetro attorno a un bastoncino realizzato con un ritaglio di canna palustre, una volta tirato fuori lo appoggiava velocemente su un po’ di miele o mosto cotto; i più moderni “sorbettieri”, se così si possono definire, avevano già anche gli sciroppi al sapore di amarena o diversi agrumi. Non è una leggenda, dunque, quella delle neviere che in tutto il mondo si conservano fortunatamente; in molti luoghi si stanno già anche recuperando e, in molti casi, destinando a nuovi utilizzi. E semmai la neve dovesse essere solo un lontano ricordo, le neviere terranno viva la memoria di antiche pratiche venute dal freddo. Massimo

Mancini