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Dislivelli

Ricerca e comunicazione sulla montagna

La Narrazione

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condotta in Molise nell’ultimo decennio, ha consentito di individuare oltre un centinaio di neviere. Le indagini, iniziate nell’ambito degli studi demoetnoantrolopogici dell’Ecomuseo La Casa, i Mestieri e la Cultura della Memoria di Macchia Valfortore (CB), ha avuto poi seguito per oltre un decennio in occasione di un più ampio studio sulle cavità artificiali della regione Molise. Nei 136 comuni oggetto di indagine sono state censite, individuate e raccolte informazioni su differenti tipologie di neviere: naturali, come i pozzi a neve o i nevai d’alta quota del Matese e delle Mainarde; seminaturali, come le “cundre” dei Monti di Frosolone e di Civitanova del Sannio; a fossa con edificio circolare, nella forma più caratteristica e forse la più arcaica; a fossa con una basso edificio, di mera copertura, rettangolare nelle forme più grandi ed evolute perché divenute già attività commerciali. Sorprendenti, soprattutto per le loro dimensioni e le soluzioni architettoniche, anche alcune neviere/ghiacciaie che potremmo definire monumentali, profonde oltre 15 metri, larghe oltre 10 potevano accumulare ingenti quantitativi di neve. Quasi tutti i comuni del Molise ne possedevano almeno una; solo alcuni, sulle cui motivazioni c’è ancora molto da indagare, erano soliti approvvigionarsi di ghiaccio dai comuni limitrofi nei quali vi erano più neviere o una sola neviera più grande. I comuni litoranei, come Campomarino e Termoli, che per ovvie motivazioni climatiche non potevano conservare a lungo il ghiaccio nelle loro strutture, in ogni caso esistenti, sottoscrivevano veri e propri contratti con i fornitori dei comuni più interni del Molise (Montorio nei Frentani, Bonefro ed altri ancora) per l’acquisto del ghiaccio; protetto nella paglia, veniva trasportato nei sacchi di iuta a cavallo delle “vetture” dell’epoca, muli o giumente prevalentemente. Attività che, sorprende anche solo immaginarlo, si sono svolte fino agli anni ’50 del secolo scorso quando, prima le fabbriche del ghiaccio e poi i frigoriferi hanno determinato, inevitabilmente, l’abbandono, la distruzione e, più recentemente, la perdita anche della sola memoria dell’esistenza di certe strutture. Erano diffuse in aree rurali, periurbane e urbane; le famiglie nobili o dei “notabili” potevano anche possederne alcune nei loro palazzi baronali o nei loro palazzotti. Avevano quasi sempre, per ovvi motivi, un’esposizione a nord così come una buona copertura vegetale. Tutte avevano due aperture, una per scaricare la neve al loro interno ed una per prelevarla; così come un piccolo scolo/drenaggio per l’acqua che si utilizzava anche per lavarle. Alcune avevano anche un sistema di accesso fatto con scale realizzate a ridosso delle murature perimetrali. Erano gestite da famiglie di “nevaioli” nelle quali gli uomini, le donne e i bambini avevano ognuno un ruolo. Caratteristici anche gli strumenti per il taglio dei blocchi di ghiaccio che si formava, non solo perché la neve era pressata all’interno delle neviere ma anche