I Padroni del Fumo

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12.11.2010

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Presentazione Bernardino Croci Maspoli

Questo libro non racconta la storia dell’emigrazione dei fornaciai malcantonesi, argomento troppo vasto e complesso per poterne oggi proporre un’analisi esauriente. Molto più modestamente intende portare alla luce alcuni aspetti di un fenomeno migratorio che per secoli ha caratterizzato il Malcantone, con esiti tanto sorprendenti quanto ai più ignoti. Chi sapeva che furono più di trecento le fornaci per laterizi gestite o possedute da nostri conterranei? Che ne aprirono – oltre che in tutta l’Italia padana e nel sud-est della Francia – in Danimarca, in Romania, in Argentina e persino in Etiopia? Che, in determinati periodi, quasi tutti gli uomini di alcuni villaggi emigravano quali fornaciai? Il testo di Giulia Pedrazzi, che dà il titolo al volume, è basato su uno studio realizzato grazie a una borsa di ricerca cantonale e orientato soprattutto verso l’analisi delle forme di imprenditorialità che l’emigrazione dei fornaciai ha originato. Questo e gli altri contributi di Stefano Zerbi, Donatella Ferrari e Jean-Pierre Dresco, che illustrano l’evoluzione tecnica della produzione dei laterizi e approfondiscono due storie di imprenditori, sono arricchimenti che qua e là vanno a toccare le condizioni di vita e di lavoro dei fornasée, argomento che meriterà ulteriori studi, anche se qui trova degno spazio nelle vive voci di tre testimoni, salvate dall’oblio grazie al lavoro di Mario Vicari: tanto belle e commoventi da averci indotto a proporne anche la versione audio, oltre alla trascrizione. Nel settembre 2006, inaugurando la mostra Lavorare di fornasaro col far matoni, quadrelli e coppi, ci eravamo proposti di chiuderla con un pubblicazione, approfittando del periodo di apertura per acquisire ulteriore documentazione e stabilire nuovi contatti. Così è stato e questo è il risultato. Lo offriamo ai lettori con la convinzione di aver cominciato a scrivere le prime pagine di una storia che merita di essere conosciuta, in memoria degli innumerevoli malcantonesi che per secoli hanno faticato a impastare e dar forma all’argilla, sudato attorno ai forni roventi e dato spesso prova di capacità imprenditoriali fuori dal comune.

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