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Quadrimestrale Marxista della Svizzera Italiana

Marzo 2021


#politicanuova Quadrimestrale Marxista della Svizzera Italiana

nr. 17 marzo 2021

Editore Partito Comunista Direttore Amos Speranza amos.speranza@politicanuova.ch Indirizzo Partito Comunista c/o Massimiliano Ay Via Birreria 19 6503 Bellinzona CCP 69-3914-8 Partito Comunista 6500 Bellinzona Stampa Tipografia Cavalli Abbonamenti 25.- normale 50.- sostenitori

www.partitocomunista.ch


Editoriale 4

Di storia e attualità, scuola e istituzioni

Amos Speranza

Teoria e organizzazione 5

La formazione del gruppo dirigente dello storico Partito Comunista Italiano e la nostra esperienza più recente

Massimiliano Ay

Storia del socialismo 9

Eolo Morenzoni: ultimo combattente volontario ticinese della Guerra di Spagna

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Edificazione socialista nell’Asia Centrale 1917 – 1937

Davide Rossi

Scuola 18

Contro la pedagogia per competenze: lettera aperta al DECS

Direzione del Partito Comunista

Istituzioni 24

Il lavoro parlamentare dei deputati comunisti

Lea Ferrari


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Storia del socialismo

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Di storia e attualità, scuola e istituzioni Cari abbonati, Cari lettori, questo numero segna l’entrata nel nuovo anno, un 2021 che già offre numerosi spunti di riflessione sul piano locale e internazionale. Il nostro Partito ha continuato a portare avanti le proprie rivendicazioni e le proprie attività sul territorio nonostante il rallentamento forzato imposto dalla situazione pandemica. Abbiamo segnalato con una presa di posizione lo sbilanciamento accondiscendente del reportage della RSI diffuso al Telegiornale in occasione dell’assalto al Campidoglio e della conferma di Biden quale presidente degli Stati Uniti (ricordiamo: “nessuna illusione su Biden rispetto a Trump”, commentava Davide Rossi nel nostro ultimo numero). La Gioventù Comunista è riuscita a consegnare, assieme ad altri partiti d’area e alle sezioni romande dello Sciopero per il clima, le firme raccolte per il referendum “Per un’ecologia sociale” contro la legge sul CO2. Sempre la Gioventù Comunista ha diffuso attraverso una presa di posizione la notizia che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) si è pronunciata ritenendo discriminatoria la tassa di esenzione per gli inabili al servizio militare obbligatorio attualmente in vigore in Svizzera. La GC ne ha approfittato per ribadire la necessità dell’abolizione della tassa militare, e ha lanciato un appello ai coscritti affinché scelgano di prestare il Servizio Civile sostitutivo (peraltro esente dalla tassa), appello a cui la redazione si associa. I contenuti di questo numero si inseriscono anzitutto nel solco tematico della storia del socialismo con un contributo di Massimilano Ay che ricorda la fondazione, cento anni fa, del Partito Comunista Italiano evidenziando le convergenze teorico-organizzative tra l’esperienza nella penisola e quella nostrana. Segue un’intervista a Eolo Morenzoni, ultimo volontario ticinese partito in Spagna con le Brigate Internazionali, che nel 2021 (decimo anniversario della sua scomparsa) figura sulla tessera del Partito Comunista. Torniamo poi ad ospitare un testo di Davide Rossi che analizza un contesto poco conosciuto alle nostre latitudini: l’Asia centrale e i processi di edificazione socialista che hanno caratterizzato i paesi della regione nel ventennio che ha seguito la Rivoluzione d’ottobre. L’ultima parte del giornale va a riproporre in forma integrale la lettera aperta inviata dalla Direzione del Partito Comunista al DECS sulla questione dell’insegnamento per competenze e il futuro della scuola ticinese (già pubblicata sulla rivista Verifiche in formato ridotto), e la rubrica sulle attività portate avanti dai nostri deputati in Gran Consiglio. Come sempre vi ringrazio per il sostegno ed il supporto, e vi auguro una buona lettura. Amos Speranza

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La formazione del gruppo dirigente dello storico Partito Comunista Italiano e la nostra esperienza più recente 1

di Massimiliano Ay I primi anni del partito che allora ancora si chiamava PCd’I, proprio a significare quell’essere sezione dell’Internazionale e che solo dopo la guerra diverrà “italiano” per sottolinearne la peculiare via nazionale al socialismo attraverso il processo di “democrazia progressiva” sono racchiusi in un libro di enorme importanza di Palmiro Togliatti. Mi riferisco a “La formazione del gruppo dirigente del Partito Comunista Italiano nel 1923-1924” (Editori Riuniti: Roma, 1971). L’importanza non è però solo storica: lo è pure dal lato squisitamente politico, almeno per chi oggi, un secolo dopo, continua a militare nel solco tracciato da quell’esperienza. Un’esperienza che travalica – e qui sta il dato per noi più interessante – i confini nazionali d’Italia, per trovare analogie interessantissime al più recente percorso di ricostruzione di una soggettività comunista in Svizzera, partendo dal Cantone Ticino. Vietato nel 1940 il Partito Comunista Svizzero (che nel Canton Ticino rappresenta tuttavia una realtà di nicchia), la militanza comunista è clandestina fino al 1944 quando si costituisce sotto la guida di Pietro Monetti il Partito Operaio e Contadino Ticinese (POCT) che nel 1963 muterà il nome in Partito del Lavoro e nel 2007 assumerà l’attuale denominazione di Partito Comunista. Quest’ultimo cambiamento nel nome rappresenta di fatto una cesura: è anzi il preludio di un conflitto interno che porterà a un nuovo inizio politico e alla formazione anche di un nuovo gruppo dirigente a partire dal 2009. L’essere stato protagonista di questa storia mi rende evidentemente di parte, ne sono consapevole. Ma credo utile, tuttavia, tentare di fornire alcuni appunti su quella che è stata la nostra, e la mia in particolare, esperienza in Svizzera negli ultimi dieci anni e alla luce di quanto emerge da quella fondamentale testimonianza di Togliatti.

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Quando il titolo è un programma politico...

Nulla è causale nel socialismo scientifico: ogni tappa è inserita in un disegno strategico di lungo corso, spesso recondito ai più. Persino un elemento apparentemente secondario come la testata dell’organo informativo non fa eccezione. Se inizialmente il giornale di Antonio Gramsci – “L’Ordine Nuovo” – si riferisce appunto alla necessità di costruire quel nuovo ordinamento sociale che sarà determinato dal processo rivoluzionario, ecco che in seguito sarà sostituito da “L’Unità”, proprio a sottolineare la funzione del proletariato italiano in quella nuova fase storica, unitaria e soprattutto nazionale. In qualche modo, fatte le dovute proporzioni, anche noi, tanti anni dopo e in un altro Paese, ce ne siamo accorti. Dopo la chiusura nel 1991 dello storico settimanale “Il lavoratore” (e gli esperimenti de “Il lavoratore oltre” e di “Alterego”) appare dal 2001 a cadenza mensile “L’inchiostro rosso” che, anche nella sua presentazione oltre che nel titolo, appare a tutti gli effetti come il ridursi del Partito a un ruolo meramente testimoniale di una tradizione politica passata, che sembra incapace di rinnovarsi e che è destinata (quasi per via fisiologica) a sparire. Lo faremo durare fino al 2011, quasi per inerzia, ben sapendo in realtà che il suo ruolo era già terminato da un pezzo. Non si poteva tornare però a ristampare “Il lavoratore”: non solo mancavano le risorse sia finanziarie sia umane, ma la natura stessa del Partito era nel frattempo mutata grandemente: il fattore giovanile e studentesco prevaleva su quello più classicamente laburista, ma un altro elemento non combaciava più col titolo: la presa di coscienza del consolidarsi di una “aristocrazia operaia” che rendeva più contraddittoria il legame di classe con quella che doveva essere teoricamente la sua “avanguardia”. Dopo oltre due anni di assenza sulla carta stampata riappare una rivista edita dal Partito, questa volta con un obiettivo chiaro: la formazione politica e teorica del nucleo militante. L’uscita di “#politicanuova” rappresenta un elemento strategico del Partito Comunista e anche qui il nome conta. Non si tratta solo di esplicitare il rinnovamento dell’azione politica del Partito ma anche di provare a collegarsi con una passata esperienza editoriale della sinistra ticinese, quella del Partito Socialista Autonomo (PSA) che dal 1969 al 1992 pubblicò appunto “Politica Nuova”. Benché non sfuggano le contraddizioni esistenti fra l’exPSA (poi confluito nella socialdemocrazia) e il nostro Partito, c’era necessità di legarsi al presti-

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Il presente articolo con il titolo “Appunti comparativi sull’ultimo decennio di ricostruzione comunista in Svizzera alla luce dell’esperienza storica della formazione del gruppo dirigente del PCI” apparirà quale postfazione al libro di Davide Rossi, «Partito Comunista d’Italia 1921 – 1926, Gli albori di un lungo cammino» (PGRECO 2021).

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gio di quella testata e di mostrarsi aperti a una non solo «fisico» ma morale e intellettuale”. sorta di unificazione dalla tradizione rigorosa, Accanto al fattore umano vi è il fattore tempo: un seria, composta e molto operaia del PdL con quella processo di rinnovamento deve partire al mopiù creativa e giovanile del PSA. mento giusto, di fronte a una cesura di fase o perlomeno con dei rapporti di forza interni che ren● Il fattore umano e tempistico dono possibile il cambiamento. Non si rinnova né nel processo ricostitutivo del Partito tantomeno di costruisce un Partito con scelte affrettate e senza aver prima ben ponderato i Scrive Togliatti all’inizio del testo: “gli sviluppi e mezzi a disposizione e le conseguenze che possono le sorti di questo movimento, se quel nuovo gruppo determinarsi a seguito dell’azione innovatrice. dirigente non si fosse costituito, e costituito pre- Agire prima anche nel caso svizzero non era cisamente in quel momento e in quel modo, per possibile: il gruppo dirigente non era sufficiente iniziativa e sotto la direzione immediata di Anto- compatto e la giovane età non garantiva quell’enio Gramsci, sarebbero stati senza alcun dubbio sperienza necessaria a ricollocare il Partito sui diversi, e anche profondamente diversi, da ciò che binari del socialismo scientifico e del conflitto di furono”. Ecco quindi farsi forza la questione, da classe adatto alla fase storica. Agire dopo, saun lato, del leader; e dall’altro, del fattore tempo. rebbe stato però troppo tardi perché elementi di Per quanto concerne il leader (e il nucleo che frustrazione e di scoramento personale di fronte lo sostiene) non si tratta evidentemente né di per- a un Partito incapace di rispondere ai bisogni del sonalismo (o culto della personalità) né tanto- momento (ma anche della nuova generazione di meno di individualismo, quanto piuttosto della militanti molti dei quali da poco usciti dall’adolecapacità aggregante di sensibilità anche diverse, scenza) avrebbero preso il sopravvento, sprecando in un processo dialettico di sintesi, che una figura un enorme potenziale umano e politico. Ci sono carismatica, non autoritaria ma profondamente voluti tre Congressi per incidere sul serio: il 18° autorevole, riesce a infondere in un collettivo Congresso del Partito del Lavoro del maggio 2006 umano. Peraltro era lo stesso Gramsci nei Qua- a Osogna aveva messo al vertice del Partito un derni a ricordare come l’esistenza stessa del Par- giovane ma non gli aveva dato in realtà alcun tito è determinata dal confluire di tre elementi: potere decisionale, rendendolo quindi ostaggio del anzitutto quello “diffuso, di uomini comuni (...). clan che pur perorando il cambiamento in realtà Senza di essi il partito non esisterebbe, è vero, ma lo frenava a più non posso. La decisione di forzare è anche vero che il partito non esisterebbe nean- la mano arrivando al 19° Congresso del settembre che «solamente» con essi. Essi sono una forza in 2007 a ridenominare il Partito era una mossa quanto c’è chi li centralizza, organizza, disciplina, certo non indolore, in parte pure divisiva, ma in ma in assenza di questa forza coesiva si sparpa- quel momento fondamentale per creare quella glierebbero e si annullerebbero in un pulviscolo cesura simbolica senza la quale il processo di rinimpotente”. Ad esso si aggiunge l’elemento “coe- novamento si sarebbe verosimilmente definitivasivo principale, che centralizza (...), che fa diven- mente arenato. Il nuovo inizio però arriva solo con tare efficiente e potente un insieme di forze che il 20° Congresso del giugno 2009 e l’approvazione lasciate a sé conterebbero zero o poco più; questo di una risoluzione che, seppur presentata come elemento è dotato di forza altamente coesiva, “complementare” alle tesi congressuali del vertice centralizzatrice e disciplinatrice e anche (anzi del Partito, di fatto sanciva un nuovo inizio. Nuovo forse per questo, inventiva, se si intende inven- inizio che solo al Congresso successivo tenutosi a tiva in una certa direzione, secondo certe linee Locarno nel novembre 2011 ebbe però una espresdi forza, certe prospettive, certe premesse an- sione già più compiuta e “definitiva”. che): è anche vero che da solo questo elemento Il progresso qualitativo del nuovo gruppo dinon formerebbe il partito, tuttavia lo formerebbe rigente, nonostante la giovanissima età, è stato più che non il primo elemento considerato. Si insomma quello di comprendere le situazioni e parla di capitani senza esercito, ma in realtà è adeguare ad esse l’agitazione e l’azione politica e più facile formare un esercito che formare dei nel contempo aver superato le tendenze libertarie capitani. Tanto è vero che un esercito [già esi- e piccolo borghesi anti-leaderistiche della sinistra, stente] è distrutto se vengono a mancare i capi- riconoscendo anzi quell’elemento personale che i tani, mentre l’esistenza di un gruppo di capitani, paesi socialisti hanno sempre peraltro concepito. affiatati, d’accordo tra loro, con fini comuni non Togliatti definisce il dirigente come colui che era tarda a formare un esercito anche dove non esi- “dotato di forte personalità”, “di notevoli capacità ste”. E infine l’elemento “medio, che articoli il direttive” e godeva di “prestigio” fra i militanti e primo col terzo elemento, che li metta in contatto, che riusciva a “farsi ubbidire”, “energico nella po-

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lemica” (quantunque “per lo più scolastico nell’ar- Senza atteggiamenti di retroguardia, certamente, gomentazione”, a volte in una prima fase questo senza alcun codismo, ma nemmeno con quell’atlimite diventa un pregio poiché può essere inter- titudine di superiorità intellettuale che ha corpretato come aspetto di chiarezza identitaria e roso il carattere popolare della sinistra europea quindi aggregante), e intorno alla cui persona si e che spinge, non verso l’avanguardismo, ma verso organizzava il nuovo gruppo dirigente. La sfida è l’elitismo e che produce un drammatico allontastata per noi quella, in seguito, di uscire dal “one namento della classe lavoratrice persino verso man show”: non è un caso se nel 2015, per permet- formazioni (forse impropriamente) definite “potere l’elezione in parlamento di chi scrive, si è con- puliste”, spesso dai tratti persino “fascisteggianti” cepita una campagna elettorale molto personali- o perlomeno “securitari”. stica, mentre nel 2019 abbiamo cambiato strategia La percezione delle masse non va rifiutata dai presentando una squadra e giocando molto sull’e- comunisti, né nella loro analisi né nella loro prassi, lemento collettivo. Il Partito Comunista era ma- anche se tale percezione assume tratti “idealistici”, turato per un contesto nuovo e dunque doveva problematici o persino reazionari: vanno al contramostrarsi con volti diversificati ma con una disci- rio colti quegli elementi corretti, che sicuramente plina unificante, agendo da collettivo senza però esistono e sono riscontrabili se si mantiene un pucadere nella retorica confusionaria di chi si riem- lito atteggiamento umanista che non neghi quel pie sempre la bocca di “base” e confonde il potere “servire il popolo” di memoria maoista. Tali elein sé (elemento necessario per ogni trasformazione menti, ancorché minoritari o rozzi, vanno enfatizsociale reale) con l’oppressione capitalista. zati ponendoli in contraddizione con gli aspetti Per arrivare fino al 2021 la strada non è stata né pianeggiante né lineare: la formazione del gruppo dirigente era urgente e decisiva, ma proprio per questo è stato un processo faticoso, con interruzioni e balzi indietro, alcuni dei quali dolorosi pure dal lato umano. Non sono mancati forme di opportunismo individualistico lesivi del centralismo democratico e nemmeno forme che in altri tempi si sarebbero definite “tradimenti”, ma la perseveranza ha pagato. ●

La normalizzazione nel costruire una adeguata linea di massa

Togliatti insiste nel vedere il Partito come “orga- Palmiro Togliatti nismo compatto” senza “differenze di correnti, gruppi e frazioni” superando quindi la “pratica errati di cui le masse sono influenzate. Il compito confusionaria e la disgregazione interna” del pre- dei comunisti, peraltro, come ricordava Lenin, cedente Partito. Una unità, questa, basata su una “consiste nel saper convincere i ritardatari, nel safortissima centralizzazione. Il rinnovamento co- per lavorare fra loro, nel non separarsi da loro con munista in Svizzera parte proprio con l’inseri- parole d’ordine di sinistra cervellotiche e puerili”. mento negli statuti del principio del centralismo Occorre insomma che il principio dell’avandemocratico e la continua insistenza, anche nei guardia non diventi un fattore di chiusura puricorsi di formazione, sulla disciplina come forma sta, di settarismo o di burocratismo. Prestare cioè avanzata di democrazia alternativa all’ubbi- attenzione a mantenere il giusto equilibrio fra un dienza: mentre quest’ultima si ha nelle caserme, partito che non vuole cedere al trade-unionismo la disciplina esiste quando l’individuo dispone di e un partito che pone un’asticella troppo elevata sé stesso all’interno di un processo comunitario con un effetto respingente verso i potenziali nuovi volto a un progetto collettivo, nel Partito d’avan- compagni. Il Partito deve essere accogliente anche se non deve cedere sulla linea ideologica e guardia appunto. Raccomandava tuttavia Togliatti di non di- sulla disciplina: ecco perché al termine avanguarventare “una setta rinsecchita di talmudisti ta- dia – che pure riconosciamo validissimo – prefegliati fuori da qualsiasi sviluppo reale degli acca- riamo usare la definizione di “Partito di quadri” dimenti”. Era fondamentale insomma – e questo che va distinto in una prima fase “con vocazione valeva anche nel nostro caso – capire la nuova fase di massa” e in una seconda fase, più avanzata, “con funzione di massa”. e collegarsi con le masse.

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La cosiddetta “svolta della normalizzazione” ha scriviamo libri e non studiamo la storia in modo rappresentato la risposta al dilemma iniziale: non astratto, fine a sé stesso, per mero piacere intelpiù un partito di folklore, massimalista e verboso, lettuale o accademicistico: scriviamo e studiamo ma un partito che fornisse risposte concrete su cia- per essere utili al processo di accumulazione di scun tema sentito dalla cittadinanza, un partito in forze rivoluzionarie e di miglioramento dell’azione cui la diversità ideologica e di metodo prevalesse e del Partito. fosse caratteristica essenziale, certo, ma nel con- Ecco quindi alcuni ambiti su cui ragionare. In tempo chiamato a costruire una percezione di nor- primis, ad esempio, Togliatti evidenzia le diffimalità – nonostante la propaganda borghese – in- coltà che il gruppo dell’Ordine Nuovo ha avuto torno alla sigla e ai propri militanti che non devono nell’aggregare forze sul piano nazionale, e spiega essere visti come estremisti o come nostalgici, pro- come l’aver trascurato la formazione di frazioni prio perché un marxista vero non lo è mai (!), ma nel vecchio Partito italiano abbia ritardato e income persone coerenti, impegnate, dedite alla debolito l’azione innovatrice di Gramsci. Un tema, causa del lavoro e della giustizia sociale, che vale questo, assolutamente di centrale importanza se la pena perlomeno ascoltare, e la cui competenza pensiamo alla difficoltà dei comunisti di radicarsi deve essere riconosciuta anche dagli avversari. nella Svizzera tedesca e francese in cui sono preIn tal senso il lavoro istituzionale è stato conside- valse tendenze di natura eclettica e movimentista rato importante. Non per presunte illusioni par- che hanno deviato la traiettoria dello storico Parlamentaristiche, ma considerato il fatto che di tito Svizzero del Lavoro. In secondo luogo Togliatti fronte a istituzioni borghesi che godono ancora di valuta la gestione delle contraddizioni interne: la legittimità popolare, quello poteva essere un am- capacità da un lato di distinguere l’interno dall’ebito in cui il Partito potesse venir riconosciuto sterno del Partito per evitare che gli avversari come forza politica inserita a pieno titolo nella vita sfruttino la debolezza del momento e per impedire democratica della nazione oltre che utile per la il diffondersi della delusione fra la base; ma anche classe lavoratrice. Togliatti ricorda che, in una la prontezza da parte di un gruppo dirigente sano prima fase della storia del PCI, allora fortemente di avere un controllo effettivo dell’organizzazione, influenzata dal pensiero sterile ed estremista di di individuare tempestivamente infiltrazioni o Amadeo Bordiga, si riteneva che i deputati doves- atteggiamenti nefasti che provocano zizzania o sero essere i più “incapaci” fra i militanti, a cui i tendenze politico-ideologiche sbagliate, e di saper dirigenti passavano i discorsi da leggere passiva- dunque imprimere una svolta correttrice prima mente. Anche nel nostro Partito abbiamo vissuto di un irreversibile crisi. Non va sottovalutata poi una situazione simile, in cui si voleva gestire al quella che Togliatti individua come l’inerzia incentro tutti i messaggi dei vari consigli comunali: terna derivante dal poco dibattito e dalla limitata una rigidità necessaria da un lato per garantire elaborazione politica collettiva che determina uno una unità d’azione sul territorio (ed evitare situa- scollamento fra una leadership molto avanzata e zioni campaniliste che invece caratterizzano par- attiva, un corpo militante che rincorre a fatica il zialmente la socialdemocrazia) e per istruire dei vertice e una base di fatto tralasciata. Sono situaconsiglieri comunali molto giovani. Ma è pur vero zioni che nei momenti di profondo rinnovamento che questa prassi ha comportato forme di buro- possono avvenire e che un buon gruppo dirigente crazia, di sfiducia verso i militanti e di mancata sa riconoscere al momento opportuno. E infine duttilità tattica: gravi limiti che abbiamo ricono- l’internazionalismo proletario: Togliatti spiega sciuto e quindi celermente corretto, rendendo l’importanza dell’autonomia dei partiti comunisti l’intervento dei deputati e dei consiglieri comunali rispetto all’iniziale centralismo internazionale. sempre disciplinato ma molto più agevole e di Un tema che oggi è di strettissima attualità perfatto incisivo, e senza mai venir meno al coordi- ché rispetto al precedente discrimine che misunamento e alla coerenza. rava la vicinanza di un certo Partito a Mosca piuttosto che a Pechino o a Tirana, oggi si stanno ● Altri assi di paragone rivivendo scismi impliciti e scomuniche che inde per un lavoro futuro boliscono il Movimento Comunista Internazionale, ma che con una prassi che sappia garantire Come dicevo in entrata sono questi solo alcuni il principio di non ingerenza, e che unisca la soliappunti di un lavoro comparativo che dovrà essere darietà internazionalista al rispetto delle sovramolto più approfondito e ricco di dettagli. Ne in- nità e della peculiarità delle nazioni e di ciascun dividuo già alcuni che dovranno essere ripresi con partito nazionale, si possono forse ancora dovizia di particolari affinché la storia diventi correggere. utile alle nuove generazioni nel fare politica. Non

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Eolo Morenzoni: ultimo combattente volontario ticinese della Guerra di Spagna da “No pasaran!” (p. 4-6), numero speciale de “L’inchiostro rosso” (pubblicazione del Partito del Lavoro) in collaborazione col Circolo Anarchico Carlo Vanza, col Gruppo di Animazione Proletaria di Osogna e col Centro Sociale Il Molino nel novembre 2006 per il 70° della guerra civile spagnola in ricordo dei volontari antifascisti ticinesi.

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prio dal nostro Paese che giunse in terra iberica il maggior numero di volontari - e, sempre in proporzione, fu dal Ticino che partì la cordata più importante di tutta la Svizzera). Molti di loro persero la vita o furono feriti in combattimento. Dopo la sconfitta della Repubblica di Spagna, avvenuta nel 1939, il ritorno in Patria dei nostri reduci si rivelò traumatico. Tanti furono arrestati, processati e imprigionati dalle autorità allora in carica, particolarmente impegnate a “non disturbare troppo” i turbolenti vicini di Germania e Italia. Tra di essi vi era anche il luganese Eolo Morenzoni, all’epoca appena sedicenne. […] Signor Eolo, che ragazzo era lei prima di partire quale volontario in Spagna?

Durante il mese di luglio del 1936, una parte dell’esercito spagnolo, guidata dal generale gol- Ero già un militante - esordisce Morenzoni. Frepista Francisco Franco, insorse contro il Governo quentavo gli ambienti politici anti-fascisti, parprogressista della Repubblica di Spagna, demo- tecipavo alle riunioni, distribuivo i manifesti di craticamente eletto dal popolo. Il colpo di Stato propaganda e cercavo di raccogliere sottoscridiede avvio a una sanguinosa guerra civile, che, zioni. Prova ne sia il fatto che già all’età di 15 nell’arco di circa 3 anni, costò la vita a centinaia anni il mio nome figurava iscritto dalla Polizia di migliaia di persone. Questo attacco alla demo- nei famosi schedari... Fui schedato e tenuto sotto crazia e alla civiltà fu incoraggiato e sostenuto controllo a causa di un articolo che scrissi sul attivamente sia da Adolf Hitler sia da Benito settimanale comunista Falce e Martello. Mussolini, i quali, allo scopo di reprimere qualsiasi tentativo di tornare a governare il paese con forze di progresso e di pace, inviarono in Spagna Come accadde che lei entrò in contatto soldati, armi e munizioni. Apparve subito chiaro con quegli ambienti; che lei si impegnò come, in realtà, la posta in gioco fosse ben più alta politicamente già così giovane? di quanto potesse sembrare di primo acchito: da una parte, sostenuti da tutte le forze conserva- Già mio padre, alla fine dell’Ottocento, fu un giotrici e reazionarie europee, nazisti e fascisti lot- vane militante del Partito socialista - il fedele tavano, infatti, per cercare di imporre a livello braccio destro di Guglielmo Canevascini, a cui mondiale il loro “nuovo ordine”, dall’altra, la lotta era anche legato da amicizia fraterna - che poi, era tesa a difendere, non solo a favore degli spa- nel 1920, dopo la Rivoluzione, passò al Partito gnoli, la Repubblica, la democrazia, il progresso comunista. Fu dunque in famiglia che scoprii la sociale e la libertà. Ciò che avvenne in Spagna in passione per la politica. quel periodo fu il preludio di quello scempio che pochi anni più tardi si sarebbe manifestato come la Seconda guerra mondiale. Gli anti-fascisti eu- Come si viveva in Ticino durante gli anni ropei decisero così di intervenire rapidamente in della sua adolescenza? Quale aria aiuto del Paese iberico. Già nel corso del mese di si respirava, politicamente parlando? novembre del 1936, i primi contingenti delle Brigate Internazionali, formate da appunto, anti-fa- L’ambiente era molto teso - continua Morenzoni scisti, provenienti da ogni paese, iniziarono a - perché c’era un fascismo molto aggressivo che combattere al fianco dell’Esercito fedele alla Re- tentava di imporsi. Sostenuto sa da numerosi pubblica e degli anti-fascisti spagnoli. Nel tempo, cittadini svizzeri - che facevano parte di un moil loro numero arrivò addirittura quasi a sfiorare vimento ben organizzato e coordinato da un certo quello di 40’000 unità. Con l’intento, dunque, di ingegner Nino Rezzonico di Lugano – sia da molti difendere gli ideali di democrazia e di progresso, commercianti italiani, che lavoravano nella notanti giovani partirono anche dal Ticino - una stra regione. Questi ultimi erano potrei forse dire ottantina circa - e dal resto della Svizzera - com- un po’ più “facilmente tollerabili” da parte nostra, plessivamente quasi 800 (in proporzione, fu pro- in quanto erano obbligati a essere iscritti al Par-

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tito fascista, se volevano ottenere il passaporto di cui avevano bisogno per poter lavorare. I fautori svizzeri del fascismo, per contro, erano veramente molto impegnati e attivi. Una volta, nel gennaio del 1937 - me lo ricordo bene -, cercarono perfino di prendere il Governo per mezzo diciamo così di una specie di “Marcia su Bellinzona”: di un tentativo - in forma lieve, invero - di golpe. Finirono per ess ere un po’ malmenati, e comunque scacciati - in particolare - dagli antifascisti di Biasca, che fortunatamente ebbero sentore di questa operazione.

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gna, ndr.), e che poi venne a cadere alla fine della Seconda guerra mondiale, vietava agli svizzeri di andare all’estero in qualità di combattenti volontari, ragione per chi non era possibile partire in gruppi organizzati, che sarebbero dunque stati troppo vistosi. Chi voleva partire doveva pertanto arrangiarsi.

Lei crede che questo movimento potesse rappresentare un vero pericolo, in qualche modo? Beh, soprattutto in considerazione del fatto che il Ticino era praticamente isolato dal resto della Svizzera - le comunicazioni, all’epoca, erano difficili -, a mio avviso - ma non solo mio -, aleggiava il pericolo concreto che questi fascisti potessero riuscire, prima o poi, ad attuare un piano propagandato attivamente, in quel periodo, da alcuni giornali, come, ad esempio, il foglio ticinese e filo-fascista - L’Adula. Questo piano mirava ad ampliare i confini dell’Italia fino al San Gottardo. Pertanto…, faccia un po’ lei! Veniamo al vostro gruppo di ticinesi che, esattamente 70 anni or sono, si ritrovò a combattere in Spagna. Chi eravate? Il nostro era un gruppo costituito da diversi giovani socialisti e da quattro o cinque comunisti. Tutti gli altri - che rappresentavano la maggioranza - erano anti-fascisti tout court. […] Tra di voi vi conoscevate già? Non tutti, ma più o meno si: grazie, in particolar modo all’impegno attivo sul fronte politico nel nostro Cantone, alcuni di noi sì, un po’ si conoscevano già. Come avvenivano le vostre partenze? Ognuno doveva trovare il proprio modo. È d’obbligo ricordare, per capire ciò che ho appena affermato, che, all’epoca, un decreto adottato d’urgenza dal Consiglio federale nell’agosto del 1936 (un mese dopo il sollevamento franchista in Spa-

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Lei come ci riuscì? In quali condizioni si verificò il suo viaggio? Le circostanze furono rocambolesche - spiega Morenzoni. Con l’amico Nesa partimmo da Lugano con il treno delle 11. diretti a Basilea. Lì incontrammo un certo Mazza - un intellettuale, un bravo uomo - che non voleva lasciarmi continuare il viaggio e che scrisse subito una lettera accorata ai miei genitori, spiegando loro quanto egli soffrisse nel vedermi così giovane e determinato a partire per quell’impresa. A Basilea trovai alcuni altri volontari. Mi ricordo che già quella stessa notte, dopo avere attraversato un campo, al buio completo, ci ritrovammo improvvisamente in Francia: da Saint-Louis, un paese situato poco distante dalla frontiera, ci dirigemmo, ancora con il treno - il viaggio durò poche ore verso Lione, dove incontrammo il primo gruppo di volontari - proveniente da Parigi - abbastanza numeroso. Sempre in treno, e abbastanza velocemente, tutti quanti, in seguito, raggiungemmo la città di Perpignan. Lì, finalmente fummo caricati su degli autocarri e - dopo un intero giorno di viaggio - trasferiti al castello della cittadella di Figueras, già in terra di Spagna. Per riuscire a varcare il confine, mi dovetti unire a un gruppo di italiani, spacciandomi per il figlio di un prigioniero politico anti-fascista incarcerato in Italia. A presidiare il passaggio c’erano alcuni anarchici


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della Catalogna, i quali facevano qualche storia a chi era minorenne o a chi non apparteneva alla loro corrente, ma alla fine sia io sia i miei compagni riusciamo a passare la frontiera. Partimmo, poi, con un treno - lentissimo - alla volta della città di Albacete. Albacete si trova al centro della Spagna ed era la base delle Brigate Internazionali. Il viaggio durò due giorni e una notte.

ho già avuto modo di spiegare, erano politicamente militanti - gestivano un caffè-ristorante a Loreto, dal quale praticamente tuti i volontari passavano - per un saluto - prima di partire per la Spagna. In quel locale - ma non solo lì - si respirava un’aria di grande entusiasmo e di speranza, che mi contagiò. Ero solo un ragazzino, ma sapevo esattamente quello che stavo facendo.

E lì che cosa avvenne?

Lei ha appena citato i suoi genitori. Non le ho ancora chiesto come essi reagirono alla sua decisione di partire? Lei - lo ricordiamo - era ancora minorenne...

Dopo due o tre giorni, i responsabili delle Brigate Internazionali ci diedero degli abiti. Poi ci trasferirono in un villaggio a poche decine di chilometri di distanza per effettuare l’istruzione con… i bastoni. Poche ore più tardi, ci sarebbe aspettata la guerra combattuta con le armi vere... Appena ci consegnarono i fucili - mi ricordo che ce li diedero nella vicina città di Teruel e che provenivano dal Messico - partimmo in combattimento senza avere mai, prima, sparato un solo colpo. Si ricorda qualche aneddoto significativo di tutto quel suo lungo viaggio verso la Spagna?

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Tutti i membri della mia famiglia avevano quale ideale quello della solidarietà. È pur vero, però, che io ero praticamente proprio ancora un bambino. Per quel che atteneva all’aspetto politico, i miei genitori erano molto fieri di me e del mio impegno, ma per quanto riguardava l’aspetto umano non erano, ovviamente, per nulla d’accordo con la mia scelta. Fecero di tutto per farmi rientrare, dopo che vennero a conoscenza della mia fuga per andare ad arruolarmi.

Sì, me ne ricordo parecchi. Il primo che mi viene Non ebbe proprio mai alcuna paura in mente è forse quello più banale, ma è certa- all’idea di partire? mente significativo e riguarda il primo vero impatto, avvenuto subito dopo aver oltrepassato il No! La paura venne dopo, in combattimento, confine spagnolo con quella che da quel momento quando mi ritrovai sotto il fuoco. In guerra, quain poi sarebbe diventata la mia realtà quotidiana: lunque persona normale ha sempre paura, peri piatti per mangiare non erano sufficienti per ché di fianco a sé vede morire i propri amici, i tutti noi e non vi era la possibilità di lavarli: propri compagni. Andare avanti a combattere, quindi dovemmo mangiare il cibo su quelli spor- per coloro i quali, così come fu il nostro caso, non chi, usati in precedenza dai nostri compagni. sono obbligati a farlo, è una questione di caratDopo cena, andammo a dormire… per terra. Per tere. Noi continuammo fino alla fine. Per tutti noi me, abituato - diciamo così - abbastanza bene a - lo ribadisco - l’entusiasmo giocò un ruolo molto casa dei miei genitori, fu un po’ ‘dura’. Un altro importante. ricordo importante che ho è proprio quello dello spostamento in treno verso Albacete. In ogni villaggio in cui facevamo tappa, la gente - non so Parliamo allora della guerra. come facesse a venire a conoscenza del nostro Che cosa dovevate fare? arrivo - ci salutava, ci offriva arance, cibo in ge- Quali erano i vostri compiti? nerale e piccoli doni; le bande di paese suonavano in nostro onore. Tutti ci sostenevano. Così come ho già spiegato, per me tuto cominciò a Teruel, che, in quanto importante centro strategico, conobbe due battaglie: una, a cui presi Ma perché lei partì volontario? parte appena vi giunsi, nel dicembre del 1936, e Quale fu il motivo alla base un’altra nel 1937. Il racconto di questa prima di questa sua estrema decisione? battaglia a cui partecipai è emblematico di tutte le altre. Il nostro compito era quello di avanzare, Fu l’entusiasmo a farm decidere di partire - ri- di conquistare terreno, spazi. Subito guadacorda Morenzoni. I miei genitori - che, così come gnammo una decina di chilometri, arrivando fino

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ai piedi di una lima chiamata ‘Muela’, che costituiva la sorta di difesa naturale della città di Teruel. Qui combattemmo per 7 giorni e 7 notti sferrando due/tre attacchi al nemico ogni giorno. Ma oltre quella collina non riuscimmo mai a passare. Arrivammo fino alle prime case di Teruel, poi fummo letteralmente massacrati.

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la legittimità di quel governo, che era - lo sottolineo – un governo eletto dalla maggioranza della popolazione. Noi eravamo dalla parte della ragione e della verità. Come legge lei oggi, signor Eolo, il vostro impegno in Spagna?

Come fu il suo primo impatto con la realtà del combattimento?

Beh, a un primo livello, va innanzitutto detto che noi quella guerra la perdemmo. La storia è nota. Gli eventi precipitarono in maniera incredibile: Non si può raccontare. La paura, i primi feriti, i i governi di Francia e Inghilterra, che si dicevano primi morti... Fu terribile. La guerra è una cosa democratici, non solo non impedirono alla Gerche bisogna abolire. Dal punto di vista morale ci mania e all’Italia di aiutare i ribelli spagnoli, che sentivamo forti, ma il combattimento in sé fa ve- agivano nell’illegalità, ma, addirittura, non perramente paura. Quando si è sotto il fuoco…, si misero alla Repubblica di Spagna di potersi arsentono fischiare le pallottole dietro le orecchie…, mare allo scopo di difendersi. Certo, arrivò l’aiuto si vede la terra saltare a una distanza di soli 30 da parte dell’allora Unione Sovietica, ma esso fu centimetri a causa dei proiettili che nelle inten- decisamente tardivo e, comunque, insufficiente… zioni del nemico erano destinati a te... Quando ci La guerra finì, pertanto, con la vittoria dei Fransi trova in mezzo al fuoco si ha tanta paura. È chisti, che furono inoltre aiutati pure dalla Ledifficile poter ragionare, e si agisce un po’ come gione Straniera proveniente dal Marocco. Per la bestia: si cerca di trovare il posto in cui ci si quanto attiene, invece, alla questione dell’impegno delle Brigate Internazionali nella Guerra di sente un po’ più al sicuro, e… si spara. Spagna, ebbene, io penso che si possa parlare di caso forse un po’ unico nella Storia. Si trattò di un gesto di onestà e di correttezza da parte di A che cosa è dovuto il fatto che in moltissimi uomini che volevano difendere gli idesituazioni del genere, così come ali di giustizia e di democrazia. Non fu ‘avventuè fortunatamente capitato a lei, rismo’ - benché io non possa del tutto escludere si possa anche non morire? che una risibile minoranza di avventuristi possa Lo ha detto lei: alla fortuna! Se la pallottola che forse anche esserci stata -, bensì di un impegno mi ferì, attraversandomi la spalla, e bruciandomi e di un sacrificio - coscienti - contro il Fascismo la pelle della testa, fosse stata sparata soltanto nella difesa della legalità. due centimetri più in alto, io sarei morto. Lei ha la consapevolezza di avere ucciso qualcuno?

Quali sono i ricordi più belli che lei conserva distanza di 70 anni?

Guardi, dopo così tanti anni, di ricordi o non se Questo io francamente non lo so, non saprei dirlo. ne hanno del tutto, o se ne hanno tantissimi (ride, Quando si spara, in quelle circostanze, non c’è ndr.)... Io, per fortuna, ne ho tanti, e tutti - per me mai solo il tuo colpo che parte… I colpi che par- - molto importanti; vorrei però parlare non tanto tono sono centinaia… Ed è praticamente impos- di ricordi, quanto piuttosto, di sensazioni; di due sensazioni, in particolare, che mi ricordo molto sibile sapere se è stato proprio il tuo a uccidere. bene: quella della solidarietà da parte della popolazione nei nostri confronti, e quella della solidarietà tra di noi volontari. Abbiamo vissuto un Si è mai posto questa domanda in tutti periodo di vera fratellanza, che, probabilmente, questi anni? non si ripeterà mai più nella Storia. Sì…; ma... d’altro canto, gli altri tiravano su di me… Vede, io sono contro il militarismo contro la violenza e contro la guerra, tuttavia - voglio Rifarebbe tutto ciò che ha fatto? dirle francamente -, se penso a quella particolare situazione, ancora oggi io sono convinto del fatto Assolutamente sì. Sono fiero di avere partecipato che quella fu una guerra giusta. Si trattava di a quell’evento. difendere la legalità in quel paese, di difendere

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La sua vita è stata in qualche modo segnata da quell’esperienza? Certo! Ho dovuto pagare fino all’ultimo le conseguenze della mia scelta di partire in Spagna. A parte il fatto che, a causa del motivo di ‘indebolimento della forza difensiva del Paese’, fui condannato da un tribunale militare a dover scontare, in carcere, 45 giorni di arresti di rigore – e che ciò avvenne nonostante io fossi minorenne e, dunque, non ancora soggetto all’obbligo militare, né, tanto meno, giudicabile dalla Legge militare, e che, non da ultimo, tutto ciò comunque non mi impedì, in seguito, di dovermi sorbire quasi 1’000 giorni di servizio militare (mentre altri, a parità di - ingiuste - condizioni, furono espulsi dall’Esercito) - ebbi sempre grandissime difficoltà a trovare un lavoro o un alloggio. Ma per quali motivi lei ritiene che dovette subire tutto ciò?

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esplicitano una forma di rivolta nei confronti della società, ma senza avere una visione d’insieme del mondo, senza avere un ideale. Sembra che siano persone che vogliono solamente fare del male; per gelosia. Sono giovani che si pongono contro coloro che hanno un lavoro, che hanno un’auto... È una gioventù, quella, che fa paura, perché non ha ideali. La loro è unicamente una forma - sì, di protesta -, ma molto mal indirizzata. Il Fascismo - per concludere - è dunque ancora presente, oggi, soprattutto sotto forma di ‘impianto’ stesso che regge i nostri attuali modelli di società. Se all’epoca c’era una politica fascista diretta, oggi, la minaccia fascista è rappresentata dal fatto che sempre più (certa) gente si arricchisce a dismisura, mentre sempre più (altra) gente muore di fame. Ecco perché, nonostante i tempi siano certamente cambiati, io non ho mai cambiato i miei ideali. Ha appena fatto riferimento a un certo tipo di giovani. C’è qualcosa, alla luce della sua esperienza in Spagna, ma anche della sua vita in generale, che lei si sente di dire proprio ai giovani?

Vede, erano (forse) altri tempi. Lugano, all’epoca, era un piccolo villaggio; non era la grande città che conosciamo oggi. Alcune persone erano un po’ semplici, mentre altre, invece, erano fin troppo furbe. E poi c’erano pure i perbenisti…; e Ai giovani dico che fanno bene a divertirsi e, ancosì io ero visto un po’ come una ‘pecora nera’; che, ad approfittare del benessere che contraddiinsomma… come ‘uno di quelli che partecipano stingue la nostra società, ma a loro dico pure che alle manifestazioni’, per intenderci. La stampa dovrebbero occuparsi di più di quello che succede ‘buona’, poi, in alcune occasioni parlò di me pro- attorno a loro: sia là dove essi vivono sia nel resto prio in quei termini e, così, il gioco fu fatto. A del mondo. Il fatto di non essere al corrente degli prescindere, dunque, dal fatto se avessi o no an- avvenimenti, di non averne piena coscienza, è - a che degli ideali - condivisibili o meno - importanti. mio avviso - una cosa molto pericolosa, una sorta In un ambiente simile, se eri segnato con il dito, di colpevole astensionismo, che può portare, di venivi messo da parte; se avevi la croce sulla nuovo, all’avvento di forme dittatoriali. schiena, non te la levavi più. Con una definizione lapidaria, mi dica che cosa è per lei il Fascismo?

Se lei prova a guardarsi indietro, come si vede oggi, signor Eolo?

Vecchio! Mi vedo come un vecchio, contento, però, della propria vita, e che non piange sulle difficoltà che gli sono state create. Io ho certamente pagato tutto ciò che ho fatto, ma, in fondo, penso E il Comunismo? che ho la soddisfazione di aver detto quello che pensavo. Il mondo, ormai, è fatto così… Gli avIl Comunismo, quello puro, quello di Marx, è l’av- versari politici, in certe situazioni, agiscono con venire dell’Umanità. certi mezzi… Ritengo, comunque, di essere un uomo fortunato. Ho avuto la fortuna di poter creare una famiglia in seno alla quale vigono armoSecondo lei esiste ancora il Fascismo oggi? nia ed affetto. È questa, in fondo, la mia grande soddisfazione: il fatto di aver partecipato alla Sì, certo! Sotto forme diverse, il Fascismo oggi è costruzione di qualcosa. attivissimo. Basta, ad esempio, guardare tutti quei ‘crani rasati’. Giovani che, probabilmente, WOB non conoscono nulla della Storia. Giovani che La negazione dell’Umanità.

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Edificazione socialista nell’Asia Centrale 1917 – 1937 di Davide Rossi

La storia dell’Asia Centrale in generale e massimamente nei primi decenni del Novecento è complessa e affascinante, ricostruire nel dettaglio le vicende dei popoli e delle autorità statuali che si sono succedute sarebbe arduo e ha impegnato gli storici a lungo. È certamente uno spazio geografico rilevante con oltre quattro milioni di chilometri quadrati, stretti tra la Russia siberiana a settentrione, la Persia e l’Afganistan a meridione, a occidente la depressione caspica e il mare omonimo, alimentato dalla potenza della Volga, a oriente la Cina, separata dalle poderose vette dei monti Altaj. Deserti, bassopiani e altopiani a volte verdi a volte brulli, montagne a tratti rigogliose a tratti inospitali compongono un territorio in cui il duplice passaggio del mongolo Cignis Khan, da noi detto Gengis Khan, e due secoli dopo da Timur e-lan, da noi detto Tamerlano, ha influito notevolmente. Tutti gli studi recenti documentano che se è da un lato indubbia la comune radice turcica per le lingue della regione, ad esclusione dei tagichi che parlano una lingua di origine persiana, la tesi di molti commentatori e storici antisovietici secondo cui la divisione della regione in repubbliche socialiste, poi diventate indipendenti con il superamento dell’Unione Sovietica, sia stata una forzatura del potere moscovita non corrisponde ai fatti. È stata piuttosto, come documentato anche dal complesso e approfondito saggio “Stalinismo di frontiera” di Niccolò Pianciola, una richiesta emersa dal territorio e assecondata dai bolscevichi. Le nazioni odierne e un tempo parte dell’Unione Sovietica sono quindi il risultato di questo percorso: Kazakistan, con capitale Nursultan, la nazione che occupa

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quasi i tre quarti di questa area, Kirghizistan, con capitale Biškek, Tagikistan, con capitale Dušanbe, Turkmenistan, con capitale Aşgabat, Uzbekistan, con capitale Tashkent. Gli abitanti di questa regione, pochi oggi per la vastità del territorio e ancor meno un secolo fa, all’inizio del XX secolo si dividono tra nomadi, dediti alla pastorizia e all’allevamento non stanziale, e sedentari, dediti alla coltivazione principalmente del grano, in particolare i coloni russi insediatisi dalla fine dell’Ottocento attraverso una migrazione delle zone più miserevoli dell’impero zarista, e del cotone, in particolare in Uzbekistan in cui sono impegnati uzbeki, che rappresentano all’epoca in città come Taškent la maggioranza, anche se tutto attorno a questo considerevole insediamento urbano vivono principalmente nomadi kazachi. Due stati islamici si incuneano in questo territorio ancora al deflagrare del primo conflitto mondiale, sono l’Emirato di Bukhara guidato da Seyid Alim Khan, ultimo sovrano al mondo discendente di Gengis Khan e proclamatosi califfo dopo il 1914 con lo scoppio della guerra tra la Russia e l’impero Ottomano in alternativa al sultano turco Mehmet V, e il Khanato di Khiva in cui regna Isfandiyar Jurji Bahadur, due nazioni che solo nel 1920 si trasformeranno nella Repubblica Sovietica Popolare di Bukhara e nella Repubblica Sovietica Popolare di Khorezm, oltre Khiva e le sue mura le terre dei karakalpaki e dei turkmeni, indomiti sui loro cavalli, stretti tra il Caspio e le vette afgane, capaci in qualche modo di rimanere estranei alle complesse vicende che attraverseranno nel decennio successivo, negli anni ’20 del XX secolo, l’Asia centrale. Una vaga idea delle difficoltà della vita quotidiana e dell’asprezza dei luoghi centro-asiatici si può tratte dalle spettacolari immagini girate da Vsevolod Pudovkin nel 1928 in “Discendente di Gengis Khan”, pellicola nota in occidente come “Tempeste sull’Asia”, il capolavoro è stato girato nella Repubblica Autonoma Socialista Sovietica dei Burjati, la repubblica mongolo-sovietica in cui ancora oggi nella capitale Ulan – Ude svetta il volto titanico di Lenin realizzato da Neroda, ci troviamo oltre e al di fuori della regione centro-asiatica, essendo la Burjazia stretta tra la Siberia e la Mongolia, tuttavia una vaga idea della povertà e dell’avversità del clima che hanno certamente accomunato in quell’epoca tanto la regione centro-asiatica, quanto le regioni mongoliche può risultare più chiara. Altra fonte fondamentale per capire i tempi e i luoghi è certamente Sadriddin Ayni, prolifico scrittore nato nei pressi di Buchara nel 1878 di lingua usbeca e tagico-persiana, il quale dopo aver studiato arabo presso la


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scuola coranica, ha scritto vividi racconti della sua terra, prima di diventare dirigente culturale sovietico in Tajikistan, membro del Soviet Supremo della Repubblica Socialista Sovietica del Tajikistan per vent’anni e primo presidente dell’Accademia delle Scienze tagika. Altra fonte visiva di impattante bellezza e inusitata poesia sono le fotografie a colori, le prime della storia ottenute con più filtri, di Sergej Michajlovič Prokudin-Gorskij, realizzate negli anni immediatamente precedenti il primo conflitto mondiale, raccontano per intero la modesta, ma decorosa, vita dei centro-asiatici.

La parte più consistente del territorio inizialmente è diviso in due parti e chiamato Kirghizia e Turkestan, abitato principalmente dai coloni russi, dai kazaki, dai kirghisi e dagli uzbechi, nonché da una svariata serie di minoranze, tra cui le più rilevanti quelle dei Chakassi al limitare della Siberia e dei baschiri sulle rive del Volga entrambi musulmani, dei calmucchi sul Caspio e dei burjati tra le vette dell’Altaj entrambi buddisti, questi ultimi separati dagli altri burjati dal gruppo mongolo - tuvano di Kyzyl, consistenti ovviamente i gruppi turkmeni e tagiki, ovviamente con una presenza circoscritta alle aree in cui oggi esistono le loro entità statuali. Fame e carestia accompagnano il tempo di guerra e ancor di più quello della guerra civile, con l’aggravante di distruzioni e depredazioni che attraversano tutto questo territorio, con un’ulteriore complicazione, le masse diseredate kazache aderiscono in molti casi ai gruppi militari reazionari, i coloni russi, desiderosi di strappare ai kazaki anche il poco che hanno e animati da un non edificante razzismo verso le popolazioni centro-asiatiche si schierano con l’Armata Rossa, resta arduo da comprendere, ma l’imperativo della Rivoluzione d’Ottobre: “la terra ai contadini”, nella Russia europea significava distruggere il latifondo e defenestrare i proprietari terrieri, oltre gli Urali la deliberazione dei Soviet

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è stata utilizzata dai contadini russi per depredare delle loro terre di pascolo le popolazioni nomadi. I bolscevichi, capita l’incongruenza della situazione, hanno cercato subito di porvi rimedio, ma a guerra finita si è creato un ulteriore cortocircuito in cui l’uguaglianza propugnata e praticata andava a vantaggio dei kazachi e dei kirghisi, esclusi al tempo dello zar dal diritto di eleggere rappresentanti alla Duma, ma obbligati a pagare tasse e a sottostare con la guerra mondiale alla leva obbligatoria, penalizzando i contadini di origine russa, i quali per difendere i loro interessi e i loro furti reclamavano a loro sostegno la scelta di campo compiuta durante la guerra civile. Tanto durante la guerra civile, quanto nel precedente conflitto mondiale. kazachi e kirghisi erano stati poi depredati oltre che delle terre, anche delle yurte, le tende tradizionali, portate dagli zaristi sul fronte per ospitare i soldati, e ne chiedevano ora a Lenin la restituzione, così come delle sterminate colline per i pascoli sottratte dai coloni russi. Il potere sovietico organizza così tempestivamente gruppi di giovani comunisti musulmani, spesso con studi a Mosca e Pietrogrado, appoggiandosi a loro per l’edificazione di una nuova società socialista, ardua da costruire in presenza di diffusa miseria postbellica, radicato analfabetismo, assenza di infrastrutture, dall’elettricità, ai telefoni e telegrafi, alle ferrovie. Una impresa impervia nel momento in cui violenze, assassinii e saccheggi a opera dei russi proseguono contro kazachi e kirghisi, in nome di una presunta e auto-dichiarata compensazione per i danni della guerra civile.

Solo sul finire degli anni ’20 il Partito Comunista riesce ad appianare i conflitti, di fatto in concomitanza con la nascita delle repubbliche autonome i cui confini sono quelli odierni tra le cinque repubbliche centroasiatiche. Per altro la maggiore preoccupazione di Mosca è quella di aumentare la produttività agricola e mineraria, per sostenere lo sviluppo industriale e sfamare le città, la lotta contro i contadini ricchi in questa

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macro-regione, ancorché dura, è stata necessaria bočiaja sila”, forza lavoro, capace di costruire la visti gli ammassi accatastati di nascosto dai pro- propria emancipazione. Più si eradica infatti la duttori, in più la fondazione di nuove città come passata società feudale, più aumentano i kazachi Karaganda, nei pressi delle miniere di carbone, e i kirghisi che passano a lavorare nell’apparato al pari di Magnitogorsk e molte altre, è chiamata statale, dall’esercito alla scuola, con maestre e a garantire un generale progresso, ma necessità professori autoctoni, così come nelle industrie e di sostegno logistico e alimentare. La necessità nelle miniere, offrendo un contributo determidi sostenere l’industrializzazione promossa dal nante nell’edificazione di una poderosa induprimo piano quinquennale 1929 – 1933 ha obbli- strializzazione che avrebbe proiettato l’Unione gato a raccogliere il grano in eccedenza per sfa- Sovietica nella modernità e le avrebbe garantito mare le città e in un primo tempo, seppur doloro- i mezzi per prima difendersi dall’aggressione nasamente, a scambiarlo con pellicce e altre ric- zifascista e poi sconfiggerla, con un sacrificio di chezze con l’Occidente in cambio dei macchinari oltre venti milioni di caduti. per avviare l’industrializzazione, come il film-do- Nelle terre kazache la campagna per la secumentario di Dziga Vertov “La sesta parte del dentarizzazione di parte dei nomadi e quindi il mondo”, un vero e proprio approfondimento an- recupero di parte dei terreni adibiti a pascolo per tropologico e sociologico dell’Unione Sovietica del la coltivazione, dopo una prima restituzione, 1926, di rara bellezza e importanza, ha narrato. massimamente di grano, si è scontrata, in quegli Ad aggravare la situazione nel 1931 era oc- anni, con stagioni secche d’estate e particolarcorsa anche la necessità di portare parte del be- mente rigide d’inverno, un disastro ecologico e stiame kazaco in Russia per sopperire alla cri- climatico che ha portato alla carestia e alla fame, minale azione dei kulaki, i contadini ricchi che, peggiorate dal vaiolo e dal tifo, ma nulla a che per impedire la nascita dei kolchoz, le fattorie vedere con una premeditata scelta politica volta collettive, in molti casi hanno ucciso gli animali a realizzare uno scenario di crisi umanitaria, impedendone l’assorbimento nelle nuove unità come purtroppo ancora oggi, nonostante la mole produttive, tuttavia è questa l’epoca eroica in cui dei documenti resi accessibili dagli archivi russi, le masse kazache, acquisendo consapevolezza del kazachi, uzbeki e kirghisi, alcuni storici malevoli loro ruolo storico, diventano “rabsila”, ovvero “ra- insistono a sostenere, insieme ad alcuni politici

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interessati alla disinformazione, attribuendo il piano per mancanza di bestiame, di attrezzatura milione e mezzo di morti non a drammatiche con- e di sementi necessarie per un sereno lavoro. Le tingenze, ma a deliberate scelte del potere sovie- unificazioni, tra l’altro, avevano riportato alla tico. Non sono mancati certo inoltre i gruppi di luce la permanenza di atteggiamenti a volte razpoveri che elemosinavano un tozzo di pane, mi- zistici dei russi verso i kazachi, tanto che alcuni gliaia di bambini abbandonati, situazioni di kolchozniki di origine kazaca erano andati a indrammatica disperazione, ma a tale situazione grossare le file dei disoccupati. Anzi, l’inizio del si è cercato di porre rimedio inviando gli indi- secondo piano vede un intervento diretto di Stagenti dove necessario, nei campi di riso, di grano, lin per correggere alcuni problemi di cui avevano di cotone, nelle miniere, a Magnitogorsk dove responsabilità altri dirigenti bolscevichi, innangiovani del Komsomol e giovani volontari di tutto zitutto si è provveduto a dotare di ottanta chili il mondo, tra cui alcuni della KPD tedesca, tra di sementi, cibo e foraggio le famiglie kazache, loro il diciannovenne Erich Honecker che sempre secondariamente, visti i modestissimi esiti del ricorderà con emozione quell’avventura durata trasferimento di kulaki ed elementi antisociali un anno, edificano la città e l’acciaieria più in Siberia e Kazakistan nel corso del 1932 nel grande del mondo. Per altro il cammino di eman- quadro del dissodamento delle terre vergini, il cipazione femminile in Asia Centrale non è mai progetto, dopo aver portato poco più di centomila arretrato, neppure in questi anni difficili e il ri- persone in ciascuna delle due regioni, viene bloccordo di donne armate di bastoni che protestano cato, il Commissario del Popolo Jagoda aveva contro la scarsità di cibo invadendo i Soviet locali invece immaginato di muovere dalle zone soviee malmenando i funzionari trovati presenti è re- tiche a ovest degli Urali ben due milioni di perstituita in tutta la sua vividezza da molti reso- sone e sarà questo fallimentare progetto una conti spediti a Mosca. delle cause che porterà alla sua rimozione. A sostegno dell’eccezionalità degli anni del Il primo ventennio rivoluzionario ha visto primo piano quinquennale, vi sono gli incrementi quindi nella regione centro-asiatica svilupparsi di produttività e di capi di bestiame legati al se- epocali cambiamenti, vincere drammatiche difcondo (1933 – 1937), un aumento considerevole ficoltà, costruire le prime tappe di una società di lavoratori dei kolchoz, un ripensamento ri- nuova. La Seconda Guerra Mondiale e il trasfespetto agli eccessi della campagna di collettiviz- rimento di molte aziende e di molti cittadini zazione, così come una riduzione per volontà di oltre gli Urali durante il conflitto saranno un Stalin della campagna antireligiosa, dopo aver ulteriore elemento di novità e di trasformazione, stroncato negli anni precedenti quei settori dell’I- innescando una nuova stagione della storia slam e della chiesa ortodossa dichiaratamente dell’Asia Centrale. ostili al potere bolscevico. Piuttosto si assiste a una riapertura delle chiese e delle moschee e a un incessante pellegrinaggio a Turkistan, presso il mausoleo di Khoja Ahmed Yasawi, voluto da Tamerlano nel 1389 e terminato un decennio dopo. Grande sviluppo ha la scuola pubblica che di giorno in giorno soppianta la rete di scuole coraniche, le sole a cui accedevano i centro-asiatici, così come enorme successo hanno le attività delle “yurte rosse”, le tende mobili di promozione di insegnamenti basilari di medicina e igiene personale, accompagnate dalle prime campagne di vaccinazione contro le più gravi malattie. Un utile paragone può essere svolto per quanto accaduto negli stessi anni nella concomitante repubblica kirghiza, in cui il maggior numero di terreni coltivabili e di animali di allevamento, insieme a condizioni meteorologiche più favorevoli, hanno permesso di evitare la drammatica mortalità realizzatasi in Kazakistan. Il secondo piano quinquennale si è anche avvantaggiato del ristabilimento di un numero elevato di kolchoz, unificati durante il primo

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Contro la pedagogia per competenze: lettera aperta al DECS Direzione del Partito Comunista Gentili signore, egregi signori,

1 Berger E. (2014), Le competenze nella scuola – Una strada verso la democratizzazione. Verifiche, 45, 5, pp. 26-30.

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prendiamo spunto dalla risposta pervenuta il 21 novembre 2018 da parte del Consiglio di Stato all’interrogazione del nostro deputato Massimiliano Ay intitolata “La scuola delle (in)competenze”, nella quale venivano presentate le molteplici virtù dell’approccio per competenze in ambito pedagogico, adottato dal Piano di studi della scuola dell’obbligo del Canton Ticino ed elaborato all’interno del perimetro stabilito dal concordato per l’armonizzazione sul piano federale della scuola dell’obbligo. Di fronte alle critiche mosse nell’interrogazione rispetto alle continuità e alle sovrapposizioni di questa dottrina pedagogica con il neoliberismo, nella risposta esse sono state ritenute una chiave di lettura “scorretta se riferita alla realtà della scuola ticinese”. Ne siamo proprio sicuri? In seguito alla comunicazione del settembre 2019 inerente all’apertura di un percorso formativo presso la SUPSI, che propone un “Certificate of Advanced Studies” in “Sviluppo competenze” (si tratta di corso atto a sviluppare le competenze trasversali, concetto, quest’ultimo, mutuato dall’inglese “soft skills” introdotto negli anni ’70 nell’esercito degli USA), suddiviso in moduli quali “storytelling in azienda”, “ottimizzare i processi aziendali” ecc., abbiamo deciso di sviluppare e ampliare il dibattito visto questo caso presente sul suolo ticinese. Alla risposta del DECS è stato allegato un articolo1 di Emanuele Berger, direttore della Divisione della scuola, come supporto teorico alle argomentazioni esposte. Esso sarà quindi trattato come corpo della replica all’interrogazione. Ci permettiamo dunque di muovere qualche considerazione critica sulla visione limpida, a-critica e a-contraddittoria esposta sulle competenze e sulle competenze trasversali. Rimanendo in tema di pretesa scientificità del dibattito, messa in discussione dal dipartimento, non possiamo non rimarcare come il corpus di citazioni scientifiche a sostegno della tesi relativa a questo approccio pedagogico-didattico si avvalga di un solo autore esperto in materia, Philippe Perrenhoud.

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Un po’ di storia delle competenze

Nella risposta all’interrogazione il DECS sostiene che «non esiste nessun legame tra l’introduzione di un approccio per competenze negli Stati Uniti e l’introduzione del Piano di studio della scuola dell’obbligo ticinese (PSD)», in quanto «i due approcci non sono mai stati messi in relazione tra loro e quindi non sono paragonabili». Nonostante la vasta letteratura aziendalistica di stampo americano a sostegno delle soft skills – le competenze trasversali – diamo fiducia al DECS, suggerendo, tuttavia, in un’epoca globalizzata dove le interrelazioni sono sempre maggiori e le teorie si diffondono rapidamente anche oltre gli oceani, una ricerca storica e critica in tal senso sui possibili (e probabili) punti di contatto. Soffermiamoci allora sulla storia delle competenze nel contesto europeo. Nel 1983 è stato creato un organismo privato che porta il nome di European Round Table of Industrialists (Ert). Si tratta di un cosiddetto think tank che riunisce una cinquantina di presidenti e amministratori delegati delle più importanti imprese multinazionali europee. Nel 1989, data significativa rispetto alla congiuntura storica, l’Ert realizzò un rapporto sull’educazione e la competenza. Il tema centrale è la scarsa compenetrazione tra industria e istituzioni scolastiche, indicata come una delle principali debolezze del sistema educativo europeo. Secondo gli industriali, è necessario superare rapidamente questo deficit mediante la combinazione tra diverse azioni: inserire rappresentanti dell’industria nell’amministrazione di scuole e università, organizzare periodicamente percorsi di formazione degli insegnanti gestiti dalle imprese, avviare gli insegnanti ad esperienze di lavoro presso le industrie, impiegare i dipendenti delle imprese presso le scuole come insegnanti part time, rendere obbligatorio l’apprendistato, sviluppare un adeguato sistema di istruzione lungo tutto il corso della vita, poiché ciascun individuo dovrà abituarsi a numerosi cambiamenti di lavoro e aggiornare costantemente le proprie abilità e competenze. Il documento dell’Ert e quelli dell’Unione europea sono sovrapponibili: i secondi sembrano ricalcati sul primo. Le competenze giocano un ruolo determinante in questo processo di subordinazione alla visione del mondo economico, perché spingono i sistemi educativi ad abbandonare la costruzione di saperi strumentali (Boarelli, 2019, pp. 17-18). Il documento dell’UE al quale l’autore fa riferimento è il Libro bianco della Commissione Europea, redatto nel 1995 con il titolo “Insegnare


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e apprendere. Verso la società conoscitiva”. In questo documento, che dava seguito al «Libro bianco Crescita, competitività, occupazione, presentato nel 1993» nel quale veniva «disegnato un primo abbozzo delle competenze» (ivi, p. 15), il «quadro complessivo delineato […] spiega in modo chiaro che il modo migliore per [valorizzare le capacità] è quello di indirizzarle verso un canale formativo esterno alla scuola» (ivi, p. 16). Il pensiero, per chi come noi ha sostenuto il referendum contro il concordato Harmos, corre subito a quel portfolio di competenze dove certificare le esperienze extrascolastiche e le competenze acquisite in esse introdotto con il concordato. Infatti, nelle riflessioni del libro bianco, rispetto alle competenze vengono ipotizzati una “tessera personale” che affianchi (e in prospettiva superi) il sistema dei diplomi e un sistema di misurazione in grado di rilevare in modo ricorrente i risultati raggiunti da ciascuno. A questo punto il terreno è dissodato e pronto per la definizione di un quadro delle “competenze chiave”, che l’Unione europea ha adottato nel 2006 e che rappresenta il punto di riferimento obbligato per i provvedimenti specifici adottati successivamente dai paesi membri (ibidem). Non potendo considerare la Svizzera come una monade autarchica e impermeabile rispetto al contesto europeo, le coincidenze e le modalità con le quali certificare le competenze ci paiono francamente davvero troppe affinché non sussista alcun legame. Sappiamo inoltre che riforme come quella di Bologna interessano anche la Svizzera e non solo i paesi dell’UE: ciò significa che interconnessioni e legami internazionali, in epoca di globalizzazione, vanno approfonditi senza timore per poter procedere con valutazioni effettive sulle politiche e le finalità educative anche nei quadri nazionali e regionali. Un’altra istituzione con un legame quanto meno interessato con l’economia e il libero mercato, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), nel 1997 «ha avviato un proprio programma finalizzato alla selezione di “competenze chiave”», nel cui rapporto finale l’elencazione delle competenze e la loro descrizione sono generiche e ridondanti, tutto viene invariabilmente ricondotto alla cultura d’impresa, il comportamento umano viene uniformato a una sola dimensione, quella del “successo nella vita” (così recita il titolo originale del rapporto), un “successo” che può essere conseguito se si possiedono competenze per trovare un impiego e conservarlo, adattandosi all’evoluzione delle tecnologie (ivi, p. 18). Nella prima categoria delle competenze, “In-

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teragire in gruppi sociali eterogenei”, si legge che «la capacità di relazionarsi in modo adeguato con gli altri non è solo un requisito necessario alla coesione sociale ma, in misura sempre maggiore, anche al successo economico», poiché «i cambiamenti sia nelle aziende, sia nell’economia stanno dando sempre più valore a elementi d’‘intelligenza emotiva’» (Rapporto OCSE, citato in Boarelli, 2019, p. 19). Seguendo la lucida analisi di Boarelli, «sono quindi le strategie aziendali a determinare la qualità delle relazioni personali: attraverso le competenze, la sfera dell’economia allarga i propri confini invadendo l’intero spazio sociale e costruendo modelli normativi cui uniformare il comportamento degli individui» (ibidem). Nell’area “Agire autonomamente”, invece, viene tracciato un profilo dell’individuo che ha “successo nella vita”, un individuo dotato di “un orientamento verso il futuro che richiede ottimismo” e di un senso di autonomia che “presuppone il possesso di una profonda comprensione di sé e la capacità di tradurre i bisogni e le necessità in atti di volontà: decisione, scelta e azione”. Tutto, in definitiva, dipende dall’individuo, dalle sue capacità, dalla sua intraprendenza, dal suo atteggiamento positivo. Coloro che non avranno «successo nella vita» saranno quindi gli unici responsabili del proprio fallimento (ivi, pp. 19-20). Si tratta di una controversia non da poco per un termine, l’autonomia, che è diventato un obiettivo salvifico per ogni individuo (e non cittadino) capace di “apprendere ad apprendere” attraverso quel lifelong learning che ha cambiato in fretta segno, passando da un’idea virtuosa di formazione e educazione anche in età adulta – non più quindi solo connessa all’età canonica di crescita e sviluppo – a un’idea di bulimico accumulo di certificati e corsi di formazione utili all’economia privata. Potremmo proseguire a lungo, ma torniamo al contesto ticinese. ●

Il CAS(o) SUPSI

Come accennato nel paragrafo introduttivo, ci concentriamo ora sull’introduzione del Certificato di Studi Avanzati della SUPSI in Sviluppo competenze. Si tratta di un percorso formativo che rappresenta «un vantaggio concreto per tutti, anche per il datore di lavoro»2 . Scorrendo la presentazione sul sito, leggiamo che sviluppare le «competenze personali, relazionali e gestionali di una persona è possibile a tutte le età e a ogni livello gerarchico»3 . Non si tratta solo di un lavoro su di sé. Infatti, i profili dei candidati a un posto di lavoro sono

2 http://www.supsi.ch/fc/ eventi-comunicazioni/ news/2018/2018-08-22. html, ultima consultazione al 04.05.2020. 3

Ibidem.

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Ibidem.

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In tal senso, si vedano le riflessioni di Sennett (2016, pp. 109-118) sull’approccio e l’addestramento alle relazioni in azienda nell’economia flessibile contemporanea. Le riflessioni del sociologo americano, che si compenetrano con le ricerche di Graham L. svolte nelle fabbriche della Subaru-Isuzu e con quelle di Kunda G. sulla “recitazione profonda”, entrambe riportate nel passaggio citato, raccontano molto della flessibilità nelle competenze relazionali richiesta ai lavoratori. 6 Si veda la risposta all’interrogazione summenzionata del 21 novembre 2018. 7

Brochure informativa del CAS, scaricabile al link http://www.supsi.ch/ fc/eventi-comunicazioni/ news/2018/2018-08-22. html, ultima consultazione al 30.10.2019. 8 Brochure informativa del CAS, scaricabile al link http://www.supsi.ch/ fc/eventi-comunicazioni/ news/2018/2018-08-22. html, ultima consultazione al 30.10.2019.

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cambiati molto negli ultimi anni e nella scelta di un nuovo collaboratore l’analisi delle competenze sociali e relazionali in suo possesso ha assunto un ruolo molto importante. Questo perché le soft skills sono quelle competenze che fanno la vera differenza fra due candidati equivalenti dal punto di vista della preparazione tecnica. Scegliamo pure la persona più adatta al ruolo da occupare dal punto di vista “tecnico” ma, esattamente come investiremo tempo e denaro per formare questa persona sui nostri prodotti e su come muoversi nel nuovo ambito professionale, investiamo anche per fare sì che questa stessa persona si relazioni al meglio con tutti gli stakeholder con i quali dovrà intrattenere rapporti, in rappresentanza dell’azienda per la quale lavora4 . Nella descrizione proposta dalla SUPSI, appare piuttosto evidente che le competenze e le soft skills (competenze trasversali) siano degli strumenti utili a relazionarsi meglio – leggasi “in modo non conflittuale”5 – con tutti gli stakeholder (portatori di interessi) con il quale dovrà intrattenere rapporti rappresentando la propria azienda. Sembra difficile sostenere che solo una «corrente critica di stampo marxista» – siccome per il Consiglio di Stato è unicamente essa a intravvedere «nell’approccio per competenze uno strumento al servizio dell’economia neoliberista»6 – possa cogliere questo tipo di nesso. Il corso, infatti, è destinato a «imprenditori, liberi professionisti, dirigenti in ambito pubblico e privato, quadri, manager di aziende industriali e di servizi, responsabili di progetto, responsabili commerciali e marketing, responsabili di linea, responsabili di team, che desiderano ampliare le proprie conoscenze e competenze relazionali e manageriali»7. Riprendiamo ora le competenze presenti «nella bozza del nuovo Piano di studio ticinese» illustrate da Berger (2014, p. 6) nel suo articolo: ●

sviluppo personale: conoscere sé stessi, avere fiducia in sé, saper stare in salute;

collaborazione: sviluppare uno spirito cooperativo e le strategie necessarie per lavorare in gruppo;

comunicazione: saper attivare le informazioni e le risorse che permettono di esprimersi usando diversi tipi di linguaggio a seconda del contesto;

pensiero riflessivo e critico: sapersi distanziare dai fatti e dalle informazioni rispettivamente dalle proprie azioni;

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pensiero creativo: sviluppare l’inventiva, la fantasia così come l’immaginazione e la flessibilità nell’affrontare ogni situazione.

E confrontiamole con la presentazione che fa la SUPSI delle soft skills8 nella locandina informativa del CAS, che racchiudiamo provocatoriamente sotto i cappelli delle competenze proposte dal DECS: sviluppo personale: ●

Possedere autostima: credere in quello che si fa aiuta a proiettare sicurezza e infondere fiducia negli altri.

Senso etico: motivazione a svolgere i compiti assegnati con consapevolezza e coscienza

Essere in grado di prendere decisioni valide: dalla più piccola alla più complessa, ogni decisione avrà un impatto sull’ambiente circostante

Lavorare sotto stress: riuscire a gestire lo stress che inevitabilmente si genera in concomitanza con delle scadenze o nei momenti di crisi (ovvero, saper stare in salute), alla quale si lega una: ●

gestione del tempo efficace: sapere dare le giuste priorità per lavorare con efficacia su più progetti, usando il tempo e le risorse disponibili in modo razionale (parte della conoscenza di sé nei processi di lavoro)

collaborazione: ●

Atteggiamento positivo: ottimismo e determinazione che generano energia positiva e alta produttività

Lavorare in team: sapere essere cooperativi e/o leader a seconda della situazione

comunicazione: ●

Saper ascoltare: per individuare velocemente i bisogni di clienti, collaboratori e colleghi

Essere assertivi: affermare i propri punti di vista, senza prevaricare né essere prevaricati, utilizzando in ogni contesto relazionale la modalità di comunicazione più adeguata


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Competenze comunicative: per fare passare le proprie idee e quelle dell’azienda in modo costruttivo tra colleghi, clienti, azionisti e fornitori (riferite al quadro d’azienda, ma a scuola non si punta forse a far passare le proprie idee – per fortuna non (ancora) quelle dell’azienda – ai docenti nelle verifiche, e ai compagni nelle discussioni?).

pensiero riflessivo e critico: ●

Accettare le critiche: essere aperti, apprendere dagli errori, accettare di farsi guidare nella vita professionale e privata

pensiero creativo: ●

Cavalcare il cambiamento: dimostrare flessibilità e adattabilità nell’accogliere nuove sfide e nuove idee

Capacità di riconoscere e risolvere in modo creativo i problemi: per trovare soluzioni e non diventare parte degli stessi

Restano fuori dall’esercizio comparativo, per ovvie ragioni, una serie di competenze che nella scuola dell’obbligo per questioni di posizione all’interno dell’istituzione, per anagrafica e per titolo di studio non possono esser esercitate (Gestire i collaboratori: con coerenza e verso obiettivi comuni; Gestire progetti: semplici o complessi; Sapere delegare: per responsabilizzare, fare crescere e rendere più fluido il lavoro). Siamo ben coscienti che nell’operazione svolta vi sono una serie di “forzature”, e che ci sono dimensioni trasversali che inevitabilmente sono rintracciabili in molti ambiti della vita. L’obiettivo, tuttavia, è mostrare, utilizzando fonti non provenienti da correnti “marxiste” (parimenti scientifiche rispetto a quelle utilizzate dal DECS), che esiste una continuità evidente, seppur per fortuna non completa, tra le competenze traversali proposte nel piano di studio e quelle auspicate nel CAS della SUPSI. Quello che invece appare inopportuno, da parte dei sostenitori delle competenze, è non interrogarsi criticamente sulla loro funzione nell’attuale contesto storico. Dando uno sguardo d’insieme, ci si rende conto come l’intento trasformativo radicale della società – lo stesso che dalla rivoluzione francese via ha portato, in varie e conflittuali tappe, al progresso del mondo nel quale viviamo – venga totalmente espulso dal novero delle competenze trasversali. Le critiche si accettano, si è capaci di ascoltare e di cavalcare

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il cambiamento o di esercitare un problem solving creativo, o, ancora, si investe nella comunicazione e nello sviluppo personale al fine di ottenere un vantaggio competitivo 9. La capacità di confliggere in modo trasformativo, o, ancora, la conoscenza dei diritti individuali e collettivi (siccome in una società i primi dovrebbero essere sempre ricompresi nei secondi), al fine di operare per il progresso di tutti i cittadini e della società nel suo complesso, spariscono dagli obiettivi auspicati della scuola delle competenze assieme a molti altri cardini della formazione democratica sviluppata progressivamente nel Novecento. Sul numero unico dal titolo “Voci dalla scuola”, prodotto dell’unione tra “Verifiche” e “Risveglio”, e dedicato alla riforma “La scuola che verrà”, si trova un contributo di Tavarini (2016), il quale sostiene che i rischi maggiori consistono in un forte ridimensionamento del sapere disciplinare e un allontanamento progressivo dai valori dell’umanesimo e dell’illuminismo in nome di un pragmatismo in sintonia con i valori dominanti della società attuale. La centralità del saper fare, cioè dell’aspetto procedurale su quello dichiarativo, impone una percezione della dimensione temporale appiattita sul presente e quella spaziale sull’orizzontalità; la conoscenza è concepita come una progressiva acquisizione di competenze in rete, dove sono deficitari i nessi logici e la sequenzialità dei passaggi nella costruzione del sapere. La percezione di un processo storico di costruzione del sapere è del tutto assente e ciò impedisce la formazione di una consapevolezza della relatività delle conoscenze, oltre che una riflessione sui mutamenti intervenuti. Inoltre la necessità di vivere costantemente il presente rischia di confondere l’informazione con la formazione e di togliere agli studenti il tempo indispensabile per riflettere e pensare (p. 6). Ci sembra importante prestare attenzione alla dimensione dell’operatività del saper fare, attraverso il già citato problem solving. Si tratta di una modalità oggi diffusa che si propone di risolvere problemi, ma solo ed esclusivamente entro un quadro di compatibilità con l’esistente e il sistema economico-sociale in vigore. Infatti, anche se non concretizzata in votazione con la riforma del 2018, ma già presente nei piani di studio10, con la nuova proposta sono le competenze che definiscono i contenuti, o meglio i referenti disciplinari, in funzione del contesto e della pertinenza con la realtà. Il corpo dei saperi disciplinari rischia di essere smembrato e suddiviso in frammenti di conoscenza non riuscendo più così ad afferrare il senso generale di quanto si sta stu-

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9 Secondo Boarelli (2019), «tutto, in definitiva, dipende dall’individuo, dalle sue capacità, dalla sua intraprendenza, dal suo atteggiamento positivo. Coloro che non avranno “successo nella vita” saranno quindi gli unici responsabili del proprio fallimento. Questa atomizzazione della vita sociale si traduce anche in una concezione dei diritti come beni esclusivamente individuali: “Il fatto che i diritti, gli interessi e i bisogni degli individui siano spesso stabiliti e tutelati attraverso leggi, contratti e altri documenti ufficiali non solleva dalla responsabilità di agire in loro favore. [...] È compito degli individui identificare e valorizzare i loro diritti, bisogni e interessi [...] e di affermarli e difenderli attivamente” (rapporto OCSE)» (p. 20). 10 Come ricordato da Berger (2014).

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11 Berger (2014), nel suo articolo, convoca una serie di pedagogisti, tra cui Don Lorenzo Milani, Dewey, Marakenko, Montessori e altri, che inscrive nella tradizione attiva dalla quale si sarebbero poi sviluppate le competenze. 12 È forse più corretto affermare che il taylorismo, anche se ha cambiato volto e vocabolario, resiste e ha trovato nuovo vigore in particolare nel settore della logistica legata al commercio via internet (si veda l’ultimo film di Ken Loach, “Sorry We Missed You”, o questa inchiesta de l’Espresso (http://espresso. repubblica.it/inchieste/2016/11/11/news/ da-amazon-a-zalando-come-vive-la-classe-operaia-on-line-1.288086, ultima consultazione al 04.05.2020).

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diando. La personalizzazione dei percorsi formativi e l’approccio per competenze sembrano voler proporre una scuola che si limita a collocarsi nel presente capace unicamente di accettare la realtà sociale che la circonda, dimenticando che il ruolo fondamentale della scuola, in una società libera e democratica, consiste nel gettare le basi affinché ciascuno possa intervenire nel mondo con strumenti conoscitivi in grado non solo di comprenderlo e interpretarlo, ma anche di cambiarlo (ivi, pp. 5-6). Con le competenze non viene meno la possibilità di comprendere i meccanismi di sfruttamento intrinseci alla nostra realtà sociale e al nostro sistema economico, ma anche l’idea che il mondo sia trasformabile, anche radicalmente, a partire da una conoscenza critica del suo sviluppo (storico, scientifico, umanistico, artistico) che permetta di cogliere le interconnessioni tra gli ambiti che si studiano e che si attraversano nella vita, tra il locale e il globale. Le competenze, in questo senso, «agiscono quindi come dispositivi di disaggregazione, [contribuendo] a indebolire i legami sociali e le forme di cooperazione, [e favorendo] la costruzione di identità individuali competitive sul piano economico e autosufficienti sul piano sociale» (Boarelli, 2019, p. 20). Non vogliamo e non rimpiangiamo una scuola dura, classista e nozionistica come quella che contestava Don Milani. Il parroco di Barbiana parlava di cittadini sovrani e non di cittadini attivi, e di fronte alle competenze (trasversali) ci permettiamo di dubitare ne sarebbe stato un sostenitore11. Nel famoso libro collettaneo, “Lettera a una professoressa”, vengono infatti raccontati, con perizia numeri crudi e “oggettivi”, i processi di selezione sociale di quella scuola. Quegli alunni studiavano il mondo per conoscerlo, comprenderlo, interpretarlo e infine cambiarlo, non per sviluppare competenze utili a fare carriera nel mondo del lavoro. Infatti, «il fine giusto è dedicarsi al prossimo […] Siamo sovrani. Non è più il tempo delle elemosine, ma delle scelte. Contro i classisti che siete voi, contro la fame, l’analfabetismo, il razzismo, le guerre coloniali» (Scuola di Barbiana, 1967, p. 94). Rispetto alla tradizione attiva nella quale si inscriverebbero le competenze trasversali, in questo senso, Boarelli (2019) sostiene che la visione deweyana dell’educazione attiva è in profondo contrasto con quella praticata attraverso le competenze. L’educazione attiva, per essere veramente tale, deve porsi l’obiettivo di fornire ai bambini e ai ragazzi gli strumenti per incidere sulla realtà, per modificarla attraverso una comprensione individuale e un’azione comune. L’approccio per competenze, al contrario, si basa su una adesione alla realtà

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esistente come se questa possedesse una razionalità propria (il reale non è razionale, sosteneva Dewey). Non si propone di sottoporla ad una lettura critica, tanto meno di cambiarla. Il suo scopo è – al contrario – quello di fornire a ciascuno gli strumenti per adattarvisi. La sua azione è modellata sugli individui singoli, privi di legami sociali, che devono essere dotati di propri “portafogli” di competenze e formati per massimizzare il vantaggio personale che può derivare da un loro uso accorto sul “mercato”. In questo modo le finalità individuali e sociali vengono separate, viene ricostituita un’opposizione artificiale tra dimensione personale e dimensione comunitaria (pp. 25-26). Ci permettiamo anche di segnalare che l’uso di Makarenko accanto a Montessori, nel “pantheon” di pedagogisti citati a supporto della propria tesi, ci pare quanto meno azzardato. Nell’introduzione al poema pedagogico, il pedagogista italiano Lucio Lombardo Radice – primo “recensore” del poema tradotto in lingua italiana – scriveva che Makarenko si teneva certamente aggiornato sui più moderni esperimenti di “educazione libera” di tipo montessoriano, per intenderci; ma mentre scriveva il Poema pedagogico la sua polemica era consapevolmente rivolta contro il fondatore di questo indirizzo, Gian Giacomo Rousseau, e contro il suo grande libro sull’educazione: l’Emilio. La contrapposizione tra il Poema e l’Emilio non nasce quindi soltanto nel lettore dal confronto dei testi, ma fu voluta da Makarenko – e diremmo anzi che fu il principale obiettivo polemico di Makarenko. […] Vogliamo qui limitarci ad osservare che il contrasto tra il Poema e l’Emilio non è nell’antitesi disciplina-libertà, ma è contrasto più profondo e radicale. È contrapposizione tra opposte concezioni dell’uomo: l’uomo solo della società borghese individualistica, da una parte, dall’altra l’uomo membro di una collettività e che realizza la sua personalità in essa, caratteristico della società socialistica, collettivistica (Lombardo-Radice, 2009, p. LII). In conclusione lanciamo un appello al DECS: per sostenere un’educazione laica, democratica e progressista, come si voleva quella attiva, che sappia formare cittadini critici e consapevoli non solo di sé stessi, ma della collettività e della configurazione dei rapporti sociali, è necessario capire che con la (presunta) fine del taylorismo12 sostenuta da Berger, le forme di sfruttamento si sono evolute. Secondo il capo divisione, anche se oggi «è possibile osservare una convergenza tra le caratteristiche della pedagogia attiva e quelle di una parte del mondo economico, allo stesso modo in cui nel passato era osservabile una coerenza tra l’istituzione scolastica e il mondo produttivo industriale fordista», questo «non signi-


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fica tuttavia in alcun modo né che vi siano le stesse finalità, né che si possa dichiarare una sudditanza della scuola» (Berger, 2014, p. 4). Non solo: «in realtà, proprio grazie a questa inedita convergenza, ci troviamo di fronte a un’opportunità senza precedenti per un rinnovamento profondo della scuola» (ibidem). Questo anche perché, a suo avviso, «la pedagogia attiva è tuttavia restata un movimento marginale, di nicchia, mentre l’istituzione scolastica si sviluppava sostanzialmente ispirandosi al modello industriale tayloristico, che ha resistito fino agli anni ’80 del secolo scorso» (ivi, p. 3). Tuttavia, in un mondo di presunte opportunità, sarebbe un grave errore smettere di interrogarsi sulle finalità di addestramento che le istituzioni formative inevitabilmente assumono. Infatti, «la richiesta del “gorilla ammaestrato” è sempre presente, anche se tale gorilla in via teorica è addestrato all’autonomia, alla presa di decisione e a quant’altro la narrazione del moderno modo di gestire le “risorse umane” comprende» (Tramma, 2019, p. 161). In questo senso, una scuola che non educa al conflitto rispetto alla «costellazione ideologica che comprende merito, imprenditorialità e competizione è presente e/o segnalata come opportuna in molte aree d’esperienza educativa: dalle scuole che, come recita l’ideologia neoliberista, devono essere considerate aziende e come tali gestite e presentate» (ivi, p. 163). L’aspetto del merito individuale diventa centrale e, quindi, per poter ben meritare è necessario essere competenti (magari frequentando costosissimi master), e l’acquisizione delle competenze è diventata argomento centrale dell’apprendimento, poiché esse sono acquisite in molti ambiti che, a differenza di quanto ancora accade in quelli formali, non vedono agenti mediatori (insegnanti) specificatamente orientati al tentativo di favorire pari opportunità fra soggetti che si presentano al loro cospetto già connotati da diseguaglianze maturate nella vita precedente e in quella esterna, parallela a quella dell’istituzione (ivi, p. 163). Se l’introduzione delle competenze (parto, lo ribadiamo, dell’economia privata), come cardine della formazione scolastica, può teoricamente ovviare alle disparità nella loro acquisizione (ma ne siamo proprio sicuri? Le competenze valorizzate e spendibili sul mondo del lavoro non sono forse quelle dei master a pagamento, invece di quelle acquisite nella scolarità obbligatoria o in quella delle scuole superiori?), ciò significa altresì inscriversi a quella stessa costellazione ideologica, appiattendosi de facto sui diktat dell’economia privata. Una scelta che una scuola che si vuole democratica, laica e progressista non può permettersi di fare. Non stupisce quindi il fatto che la visione delle competenze «pretenda di fare

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tabula rasa di una ricca tradizione pedagogica costruita intorno al nesso tra individuo e società, tra educazione e democrazia. Stupisce, semmai, che un nuovo filone pedagogico si presti a legittimare questa mutazione», infatti, nella costruzione delle competenze, i pedagogisti arrivano a giochi già fatti. Il loro ruolo prevalente è diventato quello di fornire – a posteriori – un quadro teorico di riferimento a un concetto che nasce – come abbiamo visto – su un terreno diverso rispetto a quello educativo. Per renderlo credibile, si cerca di costruire intorno ad esso una genealogia, alla ricerca di radici antiche e padri nobili, senza preoccuparsi troppo della eterogeneità delle correnti di pensiero chiamate in causa. Lo scopo è piuttosto quello di offrire una narrazione che “concili l’inconciliabile”, di legittimare il fatto che l’orientamento delle politiche educative sia spostato dal complesso delle dinamiche sociali a una loro declinazione specifica ed esclusiva: l’economia e l’impresa (Boarelli, 2019, p. 26). Bibliografia: Berger E. (2014), Le competenze nella scuola Una strada verso la democratizzazione, Verifiche, 45, 5, pp. 26-30. Boarelli M. (2019), Contro l’ideologia del merito, Laterza, Roma-Bari. Loach K. (2019), Sorry We Missed You, GB, Belgio, Francia. Lombardo-Radice L. (2009), Appendice, Lucio Lombardo Radice primo recensore del Poema pedagogico, (ed. or. 1952), in Makarenko A. S. (2009), Poema pedagogico, a cura di Siciliani de Cumis N., l’albatros, Roma (ed. or. Pedagogičeskaja poema 1925-1937), pp. XLI-LVII. Scuola di Barbiana (1967), Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze. Sennett R. (2016), L’uomo flessibile, Feltrinelli, Milano (ed. or. 1999). Sironi F. (2016), Come vive la classe operaia online, «L’Espresso», 16 novembre, http://espresso.repubblica.it/inchieste/2016/11/11/news/ da-amazon-a-zalando-come-vive-la-classe-operaia-on-line-1.288086. SUPSI, Brochure informativa del CAS in Sviluppo Competenze, http://www.supsi.ch/fc/eventi-comunicazioni/news/2018/2018-08-22.html, ultima consultazione al 30.10.2019. Tavarini G. (2016), Sfide e rischi della “scuola che verrà”. Analisi dei fondamenti della riforma e delle profonde ripercussioni sull’insegnamento, Voci dalla scuola, 1, I, pp. 5-7. Tramma S. (2019), L’educazione sociale, Laterza, Roma-Bari.

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Il lavoro parlamentare dei deputati comunisti di Lea Ferrari

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questo ultimo punto la competenza è federale, quindi non possiamo far altro che chiedere al Consiglio di Stato di promuovere la proposta di modifica della legge sulle pandemie che includa il divieto di licenziamento a Berna. Quantité négligeable per il nostro governo sono gli studenti che spesso si sostentano con lavoretti, a causa anche delle decurtate borse di studio, soppressi dalle misure di contenimento del virus, su cui abbiamo preso posizione a più riprese. ●

Il Partito Comunista in Gran Consiglio incide nel dibattito politico arrivando a plasmare una realtà più giusta socialmente e ambientalmente del Canton Ticino. A quasi metà mandato il bilancio è positivo: la nostra presenza in Parlamento ha portato diversi risultati compresi tra piccoli passi avanti (introduzione dell’opzione facoltativa di sociologia) e contributi più significativi (recupero di edifici industriali dismessi e obbligo formativo fino ai 18 anni), fino alla modifica della costituzione con l’introduzione del concetto della sovranità alimentare. La pandemia sta evidenziando tutti i limiti e le contraddizioni del capitalismo, in questo contesto il Partito Comunista non si è lasciato scappare l’opportunità: come nostro solito abbiamo analizzato precocemente la reazione dello Stato e le misure messe in atto, sono stati istituiti dei gruppi tematici che hanno affrontato le risposte in campo istituzionale, agro-ecologico, sociale ed economico. Queste riflessioni sono diventate risoluzioni del Comitato Centrale e atti parlamentari, tra cui: la mozione per un banco alimentare cantonale, l’iniziativa per vietare i licenziamenti, la mozione per dotare tutti gli allievi delle scuole medie di un dispositivo informatico personale, la mozione per rafforzare il settore delle curatele. Si tratta di risposte contingenti che possono assumere al contempo carattere strutturale, infatti con la crisi sanitaria si allargano le fila delle persone in condizione di precarietà, alle quali, anche in tempi normali, bisogna garantire l’accesso ad un’alimentazione sana (quando non si arriva alla fine del mese, si taglia sui prodotti freschi più nutritivi), l’assistenza in caso di necessità con una persona di riferimento quale il curatore o la curatrice, e soprattutto un lavoro dignitoso. Su

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Diritto di requisizione

Nella forma dell’interrogazione sproniamo il Consiglio di Stato ad esprimersi sul diritto di requisizione in tema di cliniche private e di mezzi di trasporto quali bus privati. Nell’aprile 2020 avevamo già segnalato tramite un’interpellanza le affermazioni a dir poco fuori luogo della direttrice della clinica Santa Chiara Soldati, a suo dire la mancanza di pazienti COVID si traduceva in una perdita economica per la sua struttura. Non di meno la clinica Moncucco, che nelle prime settimane in cui la curva pandemica ha ricominciato a crescere si è trovata in totale affanno in termini di gestione del personale medico e infermieristico, di spazi e di attrezzature. A metterci una pezza è dovuto intervenire il tycoon Mantegazza con la donazione di un milione di franchi. A seguito di questo generoso gesto i dipendenti hanno però ottenuto solo una borraccia: una ricompensa beffarda per il livello di stress subito in questi mesi da medici e infermieri. Alla luce di queste falle venutesi a creare presso le strutture private nella gestione dell’urgenza da COVID-19, il Partito Comunista ha ribadito ulteriormente la rivendicazione del diritto di requisizione, che sia nella prima sia nella seconda ondata poteva e doveva essere attuato nei confronti della Santa Chiara e della Moncucco. Sebbene la gestione di una crisi pandemica sia una sfida incredibile anche per il settore pubblico, con il diritto di requisizione l’EOC avrebbe potuto coordinare in maniera più uniforme le risorse disponibili, senza disparità tra il personale curante, meglio ripartito su tutti i punti critici del sistema. Si sarebbero potute attenuare le situazioni di stress vissute alla Santa Chiara e alla Moncucco sfociate poi in maldestri epiloghi. Il Sindacato indipendente degli studenti e apprendisti (SISA) aveva, nel corso della seconda ondata, rivendicato - attraverso una petizione un aumento delle corse dei mezzi di trasporto pubblici nelle tratte più affollate, così da ovviare agli ammassamenti di studenti e lavoratori a cui


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si assiste ormai da settembre. Per poter applicare ● Sistema duale: i punti deboli l’aumento delle corse auspicato, occorre però avere a disposizione sufficienti mezzi e condu- L’ennesima fragilità esacerbata dal virus è la centi. L’impiego da parte dello Stato dei trasporti stretta dipendenza dal mercato del lavoro della attualmente inutilizzati a causa della pandemia formazione di molti giovani ticinesi che seguono permetterebbe non solo di diminuire l’affolla- un apprendistato. Qualsiasi oscillazione sul mermento dei mezzi pubblici, ma anche di garantire cato del lavoro si ripercuote significativamente un’occupazione a numerosi autisti che sono at- sul futuro di chi cerca un primo impiego e che tualmente senza impiego, costretti a beneficiare senza contratto non può accedere nemmeno alle solo delle indennità di lavoro ridotto (che come scuole professionali. Rivedere il sistema duale su sappiamo coprono solo una parte del salario). cui poggia l’indissolubile legame tra formazione Come deputati del Partito Comunista non ab- e posto di lavoro non dovrebbe essere un tabù né biamo nessun timore ad inserire nel dibattito a sinistra né negli ambienti sindacali. Questa politico parole quali “esproprio” e “requisizione”, catena insidiosa va spezzata per non permettere ben consci che difficilmente potrebbero attec- ai macro-fenomeni come la pandemia di consechire nell’attuale humus neoliberista. Date que- gnare direttamente all’assistenza la vita di raste condizioni assume un’altra valenza costrin- gazze e ragazzi senza diploma e senza opportugere le istituzioni a maturare una posizione, nità. Su questo fronte il Partito Comunista conseppur contraria, che possa far giurisprudenza tinuerà la sua battaglia, ma oggi deve accettare e riaprire infine un serio confronto sul ruolo dello che il mantenimento dei posti di apprendistato Stato. passa dalla disponibilità delle aziende a cui è stato rivolto un sostanzioso pacchetto denomi● Giustizia fiscale nato “Più duale PLUS”. Sia nei consuntivi 2019 sia nei preventivi 2021 ● Debito pubblico non abbiamo mancato di mettere a nudo quella che possiamo definire l’economia dei depositi del Lo sentiremo ripetere sempre più spesso il manMinistro Vitta, che ha spacciato le briciole del tra del pensiero dominante ultraliberista: “non capitale finanziario come pepite d’oro. Ma la re- dobbiamo indebitare le generazioni future”. Diealtà è fatta di capannoni, cementificazione, per- tro a queste parole c’è un disegno preciso fatto di dita di terreno fertile, traffico, inquinamento. tagli al sociale e quindi un futuro ingiusto, in cui L’Amministrazione federale delle dogane ha ri- il divario tra ricchi e poveri aumenta mentre l’acdimensionato in modo importante l’export tici- cesso agli studi, ai ruoli di potere, alle istituzioni nese decurtato di 13.5 miliardi, infatti questa diventa sempre più elitario e il precariato, la diparte della cifra del commercio estero ticinese è soccupazione, l’emigrazione si trasformano in imputata ad intermediari, a depositi nei pressi fasi comuni della vita della maggior parte della della frontiera. In totale antitesi con le politiche popolazione. Ogni volta che sull’altare del freno fiscali del DFE bisogna invece ripartire da una al debito pubblico si taglia con politiche di austetassa dei milionari, da una patrimoniale di soli- rità sul servizio pubblico e non si permette la darietà (o chiamiamola pure tassa COVID), e da redistribuzione della ricchezza, si cancella il fudecisi interventi statali in vari ambiti dell’econo- turo di tanti giovani, di tante famiglie. Queste mia. Nel campo della giustizia fiscale è una no- sofferenze che ci attendiamo nei prossimi mesi stra proposta quella di basare il calcolo dell’im- vanno solo ad aggiungersi alla morte di dieci perposta sugli utili immobiliari non soltanto sulla sone al giorno - registrate per diversi (troppi) durata della proprietà, ma anche sull’ammontare mesi in Ticino - a causa di un virus che abbiamo degli utili realizzati. È nostra convinzione che la imparato a conoscere, contro il quale abbiamo ripresa economica del Cantone Ticino debba fon- imparato a difenderci, ma nei confronti del quale darsi sulla forte progressività del sistema d’im- invece riscontriamo che l’economia ticinese è riposizione fiscale e una reale solidarietà tra in- masta a lungo indifferente per proprio mero torquilini e proprietari immobiliari, un’edilizia naconto, in un pietoso tentativo di dimostrazione pubblica per pigioni moderate, una politica indu- di forza che ne ha in realtà mostrato la cecità. striale e fondiaria attiva per rivitalizzare i tessuti periferici. Qualcosa è stato fatto con l’aiuto finanziario ai casi di rigore (aziende fortemente penalizzate dalla crisi sanitaria) e con la prestazione ponte rivolta alle persone in difficoltà.

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Dopo un anno difficile, prepariamoci al Congresso Tesseramento 2021 L’anno appena trascorso ha accentuato la crisi: la pandemia nella sua drammaticità ci ha insegnato a vedere meglio i limiti del capitalismo. Come Partito abbiamo lavorato tanto con risoluzioni, petizioni, corsi di formazione per i giovani che ci hanno raggiunto e atti parlamentari (l’ultimo in ordine di tempo per chiedere al governo di diversificare i vaccini disponibili nel nostro Paese, senza pregiudiziali geopolitiche e importando (oppure negoziandone una loro produzione da noi) dei quantitativi sufficienti di vaccini russi Sputnik, ma anche cinesi e cubani al fine di accellerare la campagna di vaccinazione. Abbiamo anche vinto: il Gran Consiglio, per citare solo due conquiste, ha approvato la nostra mozione che chiedeva l’abolizione del numerus clausus al “corso passerella” per gli apprendisti e ha approvato di inserire nella Costituzione il principio della sovranità alimentare, a tutto vantaggio dei lavoratori della terra. Il lavoro di opposizione propositiva del PC ha fatto, insomma, la differenza. Il 2021 si prospetta “pieno” perché oltre alle elezioni comunali vedrà finalmente convocato in autunno il nostro 24° Congresso: è il momento di discutere a fondo e autocriticamente su di noi, sulle nostre priorità e su come incidere nella società. Ma tutto ciò sarà possibile solo se ognuno farà la sua parte organizzandosi nel PC e dando forza al progetto sociale cui ambiamo. Agli elettori e ai simpatizzanti chiediamo di fare il grande passo tesserandosi, rafforzando il Partito, portando al nostro interno nuove competenze e intelligenze.




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