#politicanuova - 16

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Quadrimestrale Marxista della Svizzera Italiana

Novembre 2020

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#politicanuova Quadrimestrale Marxista della Svizzera Italiana

nr. 16 Novembre 2020

Editore Partito Comunista Direttore Amos Speranza amos.speranza@politicanuova.ch Indirizzo Partito Comunista c/o Massimiliano Ay Via Birreria 19 6503 Bellinzona CCP 69-3914-8 Partito Comunista 6500 Bellinzona Stampa Tipografia Cavalli Abbonamenti 25.- normale 50.- sostenitori

www.partitocomunista.ch


Editoriale 4

Un autunno con lo sguardo alle urne: la Svizzera, gli Stati Uniti e il mondo multipolare

Amos Speranza

Politica interna 5

L’irrigidimento delle istituzioni nel contesto della crisi sanitaria. Il caso del Canton Ticino

Luca Frei

Internazionale 8

USA e Cina: lo scontro tra imperialismo e mondo multipolare è sempre più intenso

Davide Rossi

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I BRICS quale vettore di un mondo multipolare

Stefano Araújo da Costa

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La Penisola Coreana: tra riunificazione e denuclearizzazione

Stefano Araújo da Costa

Storia del socialismo 16

A 200 anni dalla nascita di Friedrich Engels. Un’occasione per il rilancio del suo pensiero rivoluzionario

Fosco Giannini


Editoriale

Politica interna

Internazionale

Storia del socialismo

Un autunno con lo sguardo alle urne: la Svizzera, gli Stati Uniti e il mondo multipolare Cari abbonati, Cari lettori, torniamo finalmente dopo lo speciale in formato elettronico a proporvi il nostro giornale stampato. In questo autunno denso di appuntamenti alle urne, le votazioni di settembre hanno portato dei segnali incoraggianti attraverso l’accettazione del congedo paternità, il rifiuto dell’aumento delle deduzioni fiscali per i figli e, per quanto riguarda l’acquisto di aerei da combattimento, un risultato (un SÌ risicato, raggiunto con soli 8’000 voti di scarto) che pur segnando un ulteriore avvicinamento della Svizzera al fronte NATO rappresenta un’opportunità per rilanciare il movimento per la pace. Altro risultato interessante è quello che riguarda l’iniziativa per la limitazione: dopo l’iniziativa del 9 febbraio 2014 a cui avevamo opposto la necessità di un’apertura della Svizzera a partenariati strategici coi BRICS, siamo tornati questa volta a non schierarci né con la retorica dell’UDC né con la difesa dello status quo rimarcando la necessità di rinegoziare gli accordi bilaterali. Attualmente, la libera circolazione incontrollata si traduce in effetti in un regime di accresciuto sfruttamento dei salariati, confrontati a una deregolamentazione del mercato e delle condizioni di lavoro, al dumping salariale e alla concorrenza tra lavoratori che favoriscono una guerra tra poveri. Anche le PMI locali risentono degli effetti nefasti di questa concorrenza, questo è un ulteriore elemento che ci ha spinti a contestare chi agita lo spauracchio della caduta dei bilaterali come fine dell’integrazione economica della Svizzera nell’economia europea e globale. Questa eventualità non rischia di prodursi, perché il nostro paese conserverebbe anzitutto il suo diritto di rinegoziare degli accordi con i singoli Stati, e altresì di porsi come interlocutore privilegiato (ruolo in parte già assunto dalla Gran Bretagna nonostante la Brexit) per la Cina e le altre realtà emergenti. Proprio in questa direzione vanno i contributi di Davide Rossi e Stefano Araujo, che cercano di delineare gli scenari possibili su scala internazionale tenendo conto delle possibilità offerte da un ordinamento multipolare, legato all’affermazione dei paesi dei BRICS e all’evoluzione delle loro relazioni economiche e diplomatiche col fronte atlantico. A fine mese saremo ancora chiamati a votare sull’iniziativa per delle imprese responsabili e su quella per il divieto di finanziare i produttori di materiale bellico. In questi giorni abbiamo potuto partecipare a dibattiti ed incontri a riguardo, vi invitiamo a visitare i siti partitocomunista.ch e sinistra.ch per restare aggiornati sulle nostre ultime prese di posizione. Sul sito del Partito Comunista trovate anche il formulario del referendum per un’ecologia sociale contro la legge sul CO2 che sta impegnando la Gioventù con le bancarelle nelle piazze. Vi invitiamo a stamparne una copia e partecipare allo sforzo di raccolta, cosa particolarmente importante in questo momento dove le restrizioni sanitarie rendono il lavoro sul territorio nuovamente difficile.

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Vi ringrazio per il sostegno e vi auguro una buona lettura. Amos Speranza


Editoriale

Politica interna

L’irrigidimento delle istituzioni nel contesto della crisi sanitaria. Il caso del Canton Ticino Luca Frei Le reazioni istituzionali alla crisi sanitaria presentano similitudini e differenze fra i vari Paesi del mondo. Basti pensare alla Svezia, dove un vero e proprio lockdown non ha mai avuto luogo e fra i primi Paesi al mondo per tasso di mortalità da Coronavirus, o alla vicina Italia, dove le misure sono state per certi aspetti più incisive (soprattutto per quel che concerne l’intervento nelle libertà personali) che in Svizzera e in Ticino. Sempre in Italia sono stati denunciati diversi atteggiamenti repressivi ed intimidatori da parte delle forze dell’ordine, che hanno messo in moto una sorta di “caccia all’untore”, scaricando la colpa dei contagi per lo più sui singoli individui e dimenticando completamente che le industrie continuavano per lo più a produrre indisturbate, obbligando molti lavoratori a non rispettare le norme sanitarie di sicurezza e mettendo così in pericolo loro e le rispettive famiglie. Nella vicina penisola si è poi assistito a una limitazione sistematica delle libertà sindacali, specialmente attraverso una restrizione del diritto di sciopero. Anche in Ticino, del resto, il coinvolgimento dei sindacati da parte dello Stato Maggiore Cantonale di Condotta (SMCC) per evitare abusi nell’ambito delle deroghe alle prescrizioni governative e del rispetto delle condizioni sanitarie nelle imprese è stato carente. Gli Stati Uniti hanno messo poi in mostra tutte le principali caratteristiche di un Paese a sistema neoliberista, ponendo in secondo piano la salute dei propri cittadini, spesso e volentieri esclusi dal diritto alla salute. Nel contempo, le continue accuse statunitensi contro la Cina alimentano sempre di più un sentimento di sinofobia già largamente diffuso anche in Europa. Esemplare in tal senso sono state le aggressioni fisiche contro cittadini di origine cinese registrate in Italia all’inizio della crisi sanitaria. In Ungheria, invece, sembrerebbe che il primo ministro Viktor Orbán abbia ottenuto i pieni poteri a tempo indeterminato, evento che ha aperto un dibattito sulla possibilità dell’instaurazione di una dittatura di fatto in quel Paese. Se una buona parte della sinistra vede in ciò una possibilità concreta, va riconosciuto tuttavia

Internazionale

Storia del socialismo

che la situazione non è del tutto estranea a quella presente in altri Paesi dove i rispettivi governi hanno assunto dei poteri speciali.

(RU 2011 1381).

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Lo “stato di necessità” necessita maggiore regolamentazione

Per tornare alla nostra realtà, lo stato di necessità decretato in Ticino è fondato sugli art. 20 ss. della Legge sulla protezione della popolazione (LProtPop) e in modo particolare sull’art. 22, che elenca i provvedimenti che possono essere presi dalle autorità. Secondo questi articoli “si ha stato di necessità quando, a seguito di catastrofi, conflitti armati o altre situazioni d’emergenza che comportano un pericolo imminente per lo Stato, le persone o le cose, non sia più possibile garantire con i mezzi ordinari l’attività amministrativa o i servizi d’interesse pubblico e la protezione e l’assistenza delle persone e delle cose a livello cantonale, regionale o locale”. I provvedimenti a disposizione delle autorità sono tutti quelli ritenuti necessari e, in particolare, la facoltà di “convocare le persone idonee allo scopo e alle esigenze dell’intervento”, nonché di “requisire i mezzi ed i beni necessari”. Le autorità cantonali, inoltre, “non sono in particolare tenute a seguire le procedure ordinarie d’approvazione, autorizzazione, concessione e aggiudicazione”. Per quanto i poteri speciali siano dunque aderenti alla legge cantonale, va comunque detto che la stessa si presenta piuttosto laconica e non priva di controversie. Al riguardo, basti pensare che le competenze speciali del Consiglio federale in situazioni straordinarie vengono disciplinate dalla Costituzione e più nel dettaglio anche da un’apposita legge1. Al contrario, lo stato di necessità nel Canton Ticino è disciplinato da sole quattro disposizioni di rango legislativo, che non contemplano alcun limite temporale e nessuna forma di competenza parlamentare nella sua emanazione e revoca. Per questo motivo andrebbe implementata una riforma della LProtPop, nel senso di una maggiore garanzia del funzionamento democratico delle istituzioni anche nelle situazioni d’emergenza. Questo dato di fatto serve come base per le rif lessioni seguenti, in modo particolare per quanto riguarda i dubbi relativi a una possibile involuzione autoritaria nel caso in cui, in un ipotetico futuro, il “pericolo imminente per lo Stato, le persone o le cose” citato nell’art. 20 della LProtPop non fosse più rappresentato da un virus, bensì dovesse assumere altre forme.

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Editoriale

2 In particolare per quanto concerne le misure sanitarie, la convergenza iniziale con i sindacati rispetto al padronato nazionale, un certo dialogo istituzionale con i partiti di opposizione. Per contro la poco proattività sociale ed economica, i toni propagandisti, le paventate nuove forme di austerità, ecc. sono aspetti che noi comunisti abbiamo subito contestato.

3 Non appartiene alla cultura politica dei comunisti fomentare in termini “ribellistici” piccolo borghesi il caos, soffiando sul panico sociale per attaccare il governo nella fase in cui vi erano aperture ai sindacati e vi era riconoscimento per il servizio pubblico e i suoi lavoratori.

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Lo spirito di autoconservazione delle istituzioni

In Svizzera non si è ancora verificata una tale marcata regressione da parte dello Stato, ma si può comunque registrare una sorta di accentramento del potere nelle mani del potere esecutivo e, di conseguenza, dell’amministrazione e dei suoi alti funzionari. Ciò a livello federale, ma anche a livello cantonale (in modo particolare in Ticino) e comunale (es. a Lugano). La gestione della crisi in Ticino è infatti stata del tutto messa nelle mani del Governo e del capo dello Stato Maggiore Cantonale di Condotta, escludendo di fatto i Partiti (tranne, in un certo senso e comunque indirettamente, quelli al Governo) dalla gestione del Cantone. Il Parlamento ticinese e la politica stessa sono stati esautorati (in parte anche per colpa dei Partiti governativi stessi) dalla propria funzione di controllo dell’operato del Consiglio di Stato. Unica forma di partecipazione accordata ai Partiti sono state le riunioni del governo con i Presidenti dei Partiti, alla quale ha potuto partecipare in modo eccezionale anche il Partito Comunista, peraltro solo per volontà del presidente del legislativo. Tale esautorazione è avvenuta anche a livello comunale: il Consiglio Comunale di Lugano infatti è stato totalmente messo da parte ed escluso da qualsiasi forma di decisione. Quello a cui si è potuto assistere, in modo particolare in Ticino, è una sorta di spirito di autoconservazione delle istituzioni, che in pratica si sono richiuse su loro stesse in modo molto rapido una volta avvistato il pericolo. Se in questo caso tale reazione istituzionale è in gran parte condivisibile (come comunisti abbiamo infatti appoggiato nel complesso la gestione della crisi sanitaria nella sua prima fase2, al contrario di partiti come il Movimento Per il Socialismo, che irresponsabilmente hanno cercato di continuare a delegittimare le istituzioni), essa deve essere meglio analizzata e fungere da spunto per una riflessione sulla natura ed il potere delle autorità ticinesi, intese qui anche come insieme dell’apparato amministrativo “inamovibile”, preposto a gestire l’amministrazione assieme ai Consiglieri di Stato. Emerge dunque come lo spirito di conservazione nel momento di necessità venga incarnato non soltanto dalla politica, rappresentata in questo caso dal Consiglio di Stato in primis, ma anche dall’amministrazione quale manifestazione dello Stato stesso. Non abbiamo certo assistito a una fase di involuzione autoritaria, ma questa situazione ha dimostrato nuovamente l’importanza di disporre di margini di

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agibilità democratica e, quindi, di un Parlamento funzionante capace di veicolare le nostre istanze anche nelle istituzioni. L’idea del “tanto peggio, tanto meglio”, promossa di fatto (anche se non ammessa) in modo particolare dai trotzkisti di MPS, si dimostra ancora una volta totalmente fallimentare e, anzi, pericolosa3: infatti l’alternativa alle istituzioni democratiche allo stato attuale delle cose sarebbe, appunto, una svolta in senso autoritario o il prevalere delle logiche di mercato ancora più esasperate, a discapito della sfera pubblica. Ciononostante, come marxisti si deve riflettere su questa situazione e ci si deve interrogare su un tale accentramento dei poteri e spirito di autoconservazione in seno alle istituzioni: un’involuzione autoritaria sarebbe così facilmente possibile in un ipotetico futuro nel quale il pericolo si presentasse sotto altre forme (es: terrorismo o tensioni di carattere politico)? La popolazione, in questi mesi, è stata molto recettiva al clima di allarmismo generale, almeno a parole: lo sarebbe anche per un altro tipo di pericolo? È perciò più che lecito domandarsi se lo spirito di autoconservazione delineatosi in risposta alla crisi sanitaria possa in un futuro dimostrarsi pericoloso per i margini di agibilità democratica del Paese intero e quindi per l’opposizione di classe che rappresentiamo. Gli eventi degli ultimi mesi dimostrano la necessità per i partiti socialisti e comunisti, ma anche per i sindacati, di migliorare il proprio grado di organizzazione interna e di preoccuparsi di predisporre di un apparato di vigilanza democratica, oltre che di regolamentare con maggiore chiarezza il funzionamento dello stato di necessità. In questo senso occorre anche interrogarsi sui pericoli che possono correre, in situazioni come queste, le libertà individuali che nella loro valenza democratica abbiamo sempre salvaguardato (vedasi ad esempio lo scandalo delle schedature, la riforma della LAIn, ecc.). Si pensi in tal senso alla questione del tracciamento dei contagiati, metodo di prevenzione molto discusso, che dovremo assolutamente assicurarci rimanga proporzionato e non venga abusato. In particolare, la raccolta dei dati dovrà almeno rispondere strettamente agli scopi per la quale è stata concepita, essere assoggettata alla supervisione di un organo esterno ed in ogni caso a una costante vigilanza parlamentare. Il pericolo della restrizione delle libertà individuali allo stato attuale delle cose non sembra porsi, ma occorre restare vigili per un possibile futuro nel quale quest’ultimo potrebbe presen-


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tarsi e colpire, di conseguenza, anche i comunisti. Del resto, anche se per i motivi sopra elencati dobbiamo lottare per un rafforzamento delle istituzioni nell’ottica di contrastare l’anarchia del libero mercato e di fare avanzare i diritti sociali e democratici, queste istituzioni mantengono pur sempre la loro valenza di classe e, quindi, rappresentano un possibile strumento di oppressione della borghesia sulla classe lavoratrice.

Quanto è ancora adeguata la politica di “milizia”?

In tale contesto appare sempre più lecito interrogarsi se un sistema politico di “milizia” possa avere alimentato questa forma di squilibrio verso il potere esecutivo e, dunque, l’esautorazione di fatto del potere legislativo. Non contemplando neanche una forma di semi-professionalizzazione della carica parlamentare, una politica di “milizia” comporta inevitabilmente una minore possibilità dei deputati di esercitare il mandato elettivo ed in particolare la loro funzione di vigilanza sull’operato degli esecutivi. Tanto più che, anche a livello comunale, sembra che la composizione di milizia degli stessi Municipi non sia stata sempre all’altezza di gestire in maniera adeguata l’emergenza sanitaria. Tale riflessione sulle criticità di un sistema politico di milizia, importante non solo in relazione alla crisi sanitaria da Coronavirus, andrà assolutamente fatta in futuro.

Dalla censura alla propaganda militarista

In relazione a quanto detto in precedenza, devono essere analizzati alcuni ulteriori fattori: la quasi totale censura del Partito Comunista e della Gioventù Comunista da parte dei media e l’enorme propaganda pro-esercito che è stata promossa negli ultimi mesi. Con l’inizio della crisi sanitaria, infatti, qualsiasi presa di posizione firmata dai comunisti è stata ignorata e non pubblicata dai media ticinesi. Unica eccezione in tal senso sono stati i comunicati stampa relativi agli atti parlamentari depositati dai due deputati comunisti in Gran Consiglio. Del resto, una censura persino di tali atti sarebbe stata scandalosa. L’unico modo per ottenere una minima diffusione mediatica delle nostre posizioni politiche è stato redigere degli articoli d’opinione, anch’essi, però, talvolta ignorati. Esemplare in tal senso è stata la dichiarazione del direttore del Corriere del Ticino, che ha rifiutato un normale articolo

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d’opinione di una nostra militante perché non voleva “fomentare la bagarre politica”. Una tale censura, critica dal punto di vista della libertà d’espressione di un Partito d’opposizione, è preoccupante e fa sorgere qualche dubbio sulla possibilità che, in un possibile futuro ipotetico come quello sopra descritto, essa possa diventare più sistematica ed escludere l’opposizione al sistema borghese liberale dal dibattito politico. Allo stesso momento, come già accennato, si è assistito a un aumento esponenziale della propaganda a favore dell’esercito da parte dei partiti borghesi e militaristi. L’esagerata mobilitazione (5’000 soldati attivi e 3’000 di riserva) per combattere l’epidemia da Coronavirus è infatti stata usata per meri motivi propagandistici e per ricostruire l’immagine dell’esercito, che negli ultimi anni ha subito diversi colpi. In ottica anche della votazione sull’acquisto dei nuovi velivoli militari e del referendum sulla riforma della legge sul Servizio Civile (poi fortunatamente respinta dalle camere federali) questa mobilitazione delle truppe serve all’esercito svizzero per mostrarsi nuovamente utile, dopo aver passato gli ultimi decenni a sprecare munizioni e carburante e a macchiare la sua immagine con i continui abusi e fenomeni di “nonnismo” in caserma. Come comunisti è importante mettere in mostra però tutte le contraddizioni di questa mobilitazione, dimostratasi disordinata, per lo più inutile e addirittura talvolta dannosa. Sono infatti molteplici le testimonianze di soldati che criticano l’eccessiva mobilitazione (dichiarando persino di sentirsi usati per meri motivi di propaganda) e che descrivono la pessima gestione sanitaria nelle caserme, la scarsa preparazione dei soldati sanitari stessi e l’assenza di lavoro per i militi.

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USA e Cina: lo scontro tra imperialismo e mondo multipolare è sempre più intenso Davide Rossi Washington dal 1972 ha immaginato nei confronti della Cina una catena clamorosa e incredibile di propositi irrealizzabili, degni solo di una superpotenza arrogante e ignorante, massimamente nella variabile neoconservatrice affermatasi dal 1974 con la presidenza di Gerald Ford, una disgrazia epocale che ha portato alla Casa Bianca personaggi che hanno incarnato il più deleterio e nefasto potere economico e finanziario come Dick Cheney e Donald Rumsfeld, autori di errori tanto clamorosi da essere oggi alla base del declino irreversibile dell’Occidente. Gli statunitensi infatti hanno immaginato di trasformare i cinesi in miti sottoposti, ubbidienti in politica internazionale, asserviti nel fornire manodopera a basso costo e qualificatissima, piegati al peggior dogmatismo del liberismo, ancorché dietro la facciata di una bandiera rossa. Henry Kissinger, osannato in tutto l’Occidente come un genio della politica, è il primo artefice di questo disastro, dentro cui gli statunitensi si sono tanto crogiolati da concedere ai comunisti cinesi di entrare nel 2001 nel WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, mentre hanno tenuto alla porta la Russia dieci anni di più, nonostante negli anni ’90 sotto comando statunitense Eltsin a Mosca avesse privatizzato anche la carta igienica. Ma si sa: a Washington pensano da sempre che i russi siano cattivi.

Conoscere il marxismo è necessario per capire la Cina

Solo chi non conosce la cultura cinese e quella marxista poteva immaginare che Pechino si sarebbe piegata a svolgere il ruolo del cagnolino che porta le pantofole al padrone. Solo chi non abbia nessuna consapevolezza di che cosa sia una nazione socialista, massimamente con un miliardo e trecento milioni di abitanti, può sottovalutarne con tanta superficialità la potenza del sistema scolastico e produttivo. La Cina, senza mai venire meno alla sua indipendenza, alla sua dignità nazionale, con un profondo spirito patriottico, ha applicato gli insegnamenti di Deng Xiaoping, prima al suo in-

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terno, confermando che senza sviluppo delle forze produttive non vi è socialismo; poi a livello internazionale, imparando a essere determinante senza pretendere di essere riconosciuta come tale, ma mostrandosi sempre in piena e aperta cooperazione con gli altri. Tali scelte e tali comportamenti in meno di mezzo secolo – la stagione delle riforme denghiane inizia nel 1978-79 quando di fatto l’apparato che aveva immobilizzato per oltre un decennio il Paese viene marginalizzato e con esso Hua Guofeng – hanno fatto della Cina la prima potenza economica, politica e militare del pianeta, obbligandola a dichiarare apertamente il suo obiettivo, ovvero la costruzione di un nuovo ordine mondiale in cui tutte le nazioni cooperino per l’edificazione di un futuro multipolare e di pace. Si giunge così al presente, con una Cina che, grazie al suo sistema sociale socialista, è stata meno colpita di altre realtà statuali dalla pandemia, capace di difendere la propria spinta produttiva più e meglio degli altri, come dimostrano i dati del primo semestre del 2020 del Prodotto interno lordo mondiale, una resistenza che non ha pregiudicato la collaborazione sino-africana e i progetti asiatici di edificazione della Nuova Via della Seta. Una nuova “guerra fredda” Tutto questo ha radicalizzato l’aggressione mediatica occidentale contro la Cina, nell’estate 2020 il popolo cinese e il suo governo sono diventati, più ancora del solito, il conclamato nemico, colpevole di tutti i mali, antidemocratico, autoritario, repressivo, con le parole del Segretario di statunitense Mike Pompeo, una nazione ...marxista-leninista. Da un lato ci fa piacere che si siano accorti che la Cina è un paese socialista (noi lo confermiamo da decenni), dall’altro l’invenzione di notizie espressamente anti-cinesi e la falsificazione della realtà a fini diffamatori ci pare la tragica conseguenza di un Occidente appiattito sugli interessi della NATO e delle multinazionali che essa difende, incapace di giocare un ruolo nella costruzione di un mondo multipolare, di cui Cina, Russia, Iran e Venezuela sono oggi i massimi protagonisti e promotori. Tra le tante accuse mosse alla Cina vi è quella di avere un potere monolitico. Lo solidità e la stabilità di un governo non ci paiono un difetto, tuttavia reputare il Partito Comunista Cinese un luogo in cui qualcuno decide e tutti tacciono e obbediscono è ridicolo, quanto falso. Il Partito Comunista Cinese è una grande strut-


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tura con oltre novanta milioni di iscritti, una cherebbe l’economia statunitense, dipendente per * L’articolo è giunto gioventù con oltre settanta milioni di aderenti e ogni tipo di componentistica dalla Cina, non solo in redazione con anticipo 130 milioni sono i pionieri, ovvero i ragazzi tra i per la tecnologia avanzata e di precisione, ma rispetto al voto statunitense sei e i quattordici anni. Il dialogo, la discussione, anche per esempio per comunissimi ventilatori. il confronto tra linee politiche differenti è vivace e a tratti accesso, ma pubblicamente emerge sem Nessuna illusione su Biden pre la grande capacità di sintesi di cui le scelte rispetto a Trump del Partito sono il risultato. Il Partito non è per nulla burocratico, i criteri di selezione e di proPer altro gli Stati Uniti non sono in grado né mozione premiano a tutti i livelli i più meritevoli, di riconvertire parte della loro produzione in il centralismo democratico è funzionale all’armo- tempi brevi per sopperire al mancato arrivo di nia che il Partito deve trasmettere alla popola- prodotti semi-lavorati, né possono reperire sul zione e al ruolo internazionale che la Cina è chia- mercato mondiale un numero altrettanto consimata ad assolvere. Non è un caso se il primo derevole di manodopera specializzata e impianministro Li Keqiang, molto vicino alla Federa- tare in tempi brevi le catene produttive, non esizione Giovanile Comunista Cinese, ha posto più ste infatti al mondo nazione con tanti milioni di di altri il tema dell’esercito, ovvero della centra- operai specializzati e tecnici laureati quanti ne lità delle forze di terra rispetto al grande svi- dispone la Repubblica Popolare Cinese. Anche sul fronte più avanzato della ricerca luppo che hanno avuto con Xi Jinping la marina e l’aviazione, necessarie per difendere lo sviluppo scientifica e tecnologica la Cina non ha paragoni marittimo della nuova Via della Seta e garanti con nessun altro paese della terra, solo in matedi quelle nazioni nell’oceano Pacifico e in quello matica e in ingegneria i laureati cinesi sono cinIndiano che si attendono dal governo cinese un quanta milioni ogni anno, in India meno della aiuto difensivo tanto di carattere generale, metà, pur a parità di popolazione, negli Stati quanto specifico per i loro commerci. Uniti meno di mezzo milione. Le conquiste cinesi Tra l’altro una quota rilevante della società nell’intelligenza artificiale e nelle telecomunicacinese appartiene a quella borghesia sopravvis- zioni lo dimostrano, con grande agitazione dei suta al maoismo e cooptata patriotticamente da sistemi di controllo sociale messi in atto dai goDeng Xiaoping nell’impetuoso sviluppo dell’eco- verni occidentali, che si vedono superati e nomia nazionale, oggi il governo ne limita gli surclassati. Joe Biden, navigato golpista e guerrafondaio eccessi, ne condanna la scarsa disciplina politica e lo sguardo più ai consumi di modello occiden- come ha dimostrato negli anni della presidenza tale che all’identità patriottica, la richiama alla Obama, oramai si presenta in ogni dibattito come necessità fondamentale di reinvestire gli utili un falco anticinese più duro del presidente Donelle attività produttive, non in ville, piscine e nald Trump. Chiunque vinca dunque a novembre automobili di lusso. Le modalità di questa svolta le elezioni presidenziali statunitensi*, non musono un altro tema altamente dibattuto nel Par- terà lo scontro in atto, sotto tutti i punti di vista tito. Durissimo e necessario è stato l’intervento una guerra economica, commerciale, mediatica, del governo contro coloro hanno utilizzato Hong culturale, che rischia, con tutta evidenza, di Kong per moltiplicare gli utili e non pagare le deflagrare. tasse, così come contro coloro che hanno fomentato il separatismo dell’enclave con la speranza di danneggiare l’intera società cinese. Resta il fatto che il generale Qiao Liang già autore un ventennio fa con Wang Xiangsui del capolavoro di strategia militare “Guerra senza limiti”, teorizzatore dei conflitti asimmetrici e delle guerre ibride, a maggio ha dichiarato ad Asia Times che “se i cinesi devono ballare con i lupi”, saranno i cinesi stessi a “deciderne il ritmo”, il richiamo confuciano al parlar per metafore tanto caro a Deng Xiaoping non solo mostra una certa ricerca della continuità con il passato, ma anche una piena consapevolezza delle sfide del presente. Il generale tra l’altro ha ricordato che la guerra commerciale contro l’export cinese bloc-

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1 Pape, Robert A (2009, January-February): Empire Falls. The National Interest, 7.

2 Renard, Thomas (2010): G20: Towards a New World Order. Studia Diplomatica 63(2).

Goldman Sachs, (2010, 6 January): Global economics weekly 10(01). 3

3 Goldman Sachs, (2010, 6 January): Global economics weekly 10(01).

4 O’Neill, Jim (2001): Building better global economic BRICS. Goldman Sachs. Global economics paper 66.

5 Fu solo in una seconda battuta che si aggiunse al club originale dei BRICs il Sud Africa.

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I BRICS quale vettore di un mondo multipolare Stefano Araújo da Costa Introduzione

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Come abbiamo potuto vedere da diverse prospettive, oggi giorno osserviamo il declino del mondo unipolare, dominato dagli Stati Uniti, e la crescita politico-economica dei BRICS a livello globale. In questo articolo discuteremo in particolare di questo nuovo forum internazionale, perché si tratta di una prima forma concreta di istituzionalizzazione del multipolarismo e di organizzazione internazionale alternativo a quelle dominate dall’Occidente. Come potremmo appurare in seguito, è importante per i comunisti e gli internazionalisti conoscere da vicino i BRICS e il tema del multipolarismo per due motivi principali: in primis, perché le organizzazioni create dai BRICS si pongono come alternativa per il Sud del Mondo al FMI e alla Banca Mondiale; infine, perché avere più poli di influenza può rappresentare un freno all’espansione e crescita dell’imperialismo americano e occidentale. Nella prima parte dell’articolo discuteremo della storia dei BRICS, mentre nella seconda dei motivi dietro alla creazione di questo forum. Infine, discuteremo nella terza parte delle implicazioni politiche dello sviluppo di un mondo multipolare per i comunisti e per chi lotta per un mondo di pace e di emancipazione nazionale per tutti i popoli del mondo.

Negli ultimi anni è sorto un interessante dibattito tra gli osservatori più attenti delle relazioni internazionali sul fatto che stiamo o meno andando nella direzione di un mondo multipolare, ossia un mondo in cui sorgono più poli di influenza politica ed economica, non più dominato da un’unica potenza egemonica globale, ma da più attori e con una nuova distribuzione del potere economico, politico e militare sulla scena internazionale. Per molti di questi osservatori stiamo assistendo alla fine dell’era unipolare, ossia quella dove l’unica potenza egemonica a livello globale è rappresentata dagli Stati Uniti, mentre andiamo verso una situazione dove l’egemonia è distribuita tra più potenze emergenti come la Cina, l’India, la Russia, il Brasile e il Sud Africa, che rappresentano il club dei BRICS, di cui parleremo in dettaglio nelle prossime righe. Secondo gli avvocati del multipolarismo, econo Storia dei BRICS micamente gli Stati Uniti sono una potenza in declino. Si consideri ad esempio che dal 2000 al Tutto iniziò con un articolo pubblicato da un 2008 la contribuzione degli States al PIL mon- analista di Goldman Sachs, Jim O’Neill, nel londiale è scesa del 7.7%, quando nello stesso periodo tano 2001, intitolato “Building Better Economic la Cina ha aumentato la propria contribuzione BRICS”4, in cui venne per la prima volta coniato dal 2 al 7%1. Allo stesso modo, si è osservato che il termine di BRICS, ossia l’unione di Brasile, i BRICS, presi insieme, hanno rappresentato, tra Russia, India, China5. Agli occhi di questo riceril 2000 e il 2007, il 27% della crescita economica catore, questi paesi in via di sviluppo stavano globale2. Mentre, secondo gli studi di Goldman emergendo economicamente con tassi di crescita Sachs3, entro il 2027 la Cina avrà superato nella del PIL annuale molto importanti e accelerati, graduatoria gli Stati Uniti come prima potenza delineandosi, allo stesso tempo, come potenze globale. Il declino dell’unica potenza egemone regionali dalle aspirazioni globali. La sua tesi, non è solo una questione di economia, ma anche confermata successivamente negli anni, era che di politica. Osserviamo ad esempio che il forum i BRICs rappresentavano un ordine nuovo, pronto più privilegiato per discutere di politica ed eco- a sfidare l’egemonia economico-politica dell’Ocnomia internazionale non è più il G8, bensì il G20, cidente. Paradossalmente, fu un’importante istiin cui vi è una maggiore rappresentazione dei tuzione del capitalismo mondiale a prevedere paesi in via di sviluppo, ma soprattutto delle quello che sarebbe successo nei decenni succesnuove potenze emergenti appartenenti al gruppo sivi e a intravvedere nei BRICS una chiave imdei BRICS. Inoltre, le due maggiori potenze che portante di svolta. stanno sfidando il dominio degli States negli af Guardando invece all’istituzionalizzafari internazionali, la Cina e la Russia, hanno zione dei BRICS, tra il 2008 e il 2009 ci furono i come politica estera ufficiale la costruzione di un primi contatti tra i leader di Russia, Cina, India mondo multipolare. Non è un caso se entrambi i e Brasile, in cui si discusse l’idea di creare una paesi hanno sottoscritto un documento intitolato piattaforma che contribuisse a far crescere la “Multipolarizzazione del Mondo e la creazione di cooperazione multilaterale, specialmente in un Nuovo Ordine Mondiale” nel lontano 1997. campo economico, tra questi paesi, ma anche a


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dare una maggiore voce alle necessità e richieste importanti delle principali organizzazioni interdi queste nazioni al livello internazionale. Nel nazionali. In particolare del Consiglio di Sicu2010, il Sud Africa, dopo un invito formale, di- rezza dell’ONU, del FMI, della Banca Mondiale venne parte dell’organizzazione. Nello stesso (WB) e dell’Organizzazione Mondiale del Comanno, inoltre, si delineò l’attuale configurazione mercio (WTO). Dobbiamo ricordare che queste istituzionale dei BRICS. Si delinearono anche i istituzioni sono dominate dai paesi occidentali, i temi alla base dell’agenda politica dell’istituzione, quali non solo posseggono un diritto di veto partemi che vanno dall’economia alla salute, dallo ticolare e un peso più forte in termini di voto, ma sviluppo all’educazione, dall’innovazione alla impongono le proprie politiche economiche neosicurezza e alla lotta al terrorismo. liberali mainstream anche presso queste istitu Un aspetto che merita molta attenzione zioni. I BRICS, dinnanzi a questa situazione di è che i BRICS non si limitano a incontri di alto squilibrio, hanno chiesto riforme dei sistemi di livello, a portare avanti un’agenda avanzata di voto interni e una maggiore inclusione dei paesi cooperazione multilaterale, ma hanno anche cre- in via di sviluppo nelle maggiori organizzazioni ato, ufficialmente nel 2014, due istituzioni eco- internazionali. Vedasi ad esempio la candidatura nomico-finanziarie che si presentano sul piano di India, Brasile e Sud Africa a fare parte del internazionale come le alternative del Sud del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. PurMondo al FMI e alla Banca Mondiale: la Nuova troppo queste richieste non sono state accontenBanca di Sviluppo (NDB in inglese) e il Contin- tate, poco è cambiato, e molti paesi in via di svigent Reserve Arrangement (CRA). La NDB fun- luppo si sono accorti della poca propensione al ziona come la Banca Mondiale, cioè si dedica a cambiamento in senso democratico delle istitufinanziare e appoggiare i paesi poveri e in via di zioni internazionali. Tutto ciò ha spinto i BRICS sviluppo nei loro progetti di sviluppo socioecono- a riflettere se non fosse il caso di creare una mico. La differenza sostanziale è che le condizioni nuova organizzazione più ricettiva verso i bisogni per i crediti e prestiti vengono discusse democra- e le aspirazioni del Sud, invece di perdere risorse ticamente e in modo inclusivo con i paesi coinvolti, preziose spingendo per riformare le istituzioni con importanti agevolazioni. Stesso principio i nt e r n a z io n a l i d o m i n at e d a l blo c c o vale per il CRA, alternativo al FMI, e che a dif- atlantico-occidentale. In secondo luogo, sulla stessa linea di ferenza di quest’ultimo, rispetta come linea guida la non interferenza nelle politiche econo- quanto esposto nelle precedenti righe, per i miche interne di un paese che chiede sostegno BRICS il deficit presente nelle istituzioni interfinanziario, e il rispetto della sovranità. Vediamo nazionali classiche, non è solo una questione di dunque che i BRICS hanno deciso di creare due inclusione e rappresentanza, ma anche politica, organizzazioni che hanno come obiettivo lo svi- nella misura in cui le politiche delle organizzaluppo socio-economico dei paesi più poveri e in zioni di cui sopra non combaciano con le aspiravia di sviluppo, sulla base di principi, valori e zioni e le condizioni particolari dei paesi in via di modalità che rispecchiano la politica estera dei sviluppo. Ciò ha spinto i BRICS a riflettere ultepaesi fondatori, con un approccio più democratico, riormente sulla necessità di creare nuove istituinclusivo e vicino alle necessità e priorità degli zioni più in linea con i differenti quadri di svistati che richiedono un sostegno finanziario. Non luppo socio-economico tipico dei paesi in via di a caso, alcuni analisti considerano queste nuove sviluppo. Ritorna quindi l’idea di una maggiore istituzioni come la concretizzazione di una coo- cooperazione Sud-Sud, sulla base di valori e prinperazione particolare Sud-Sud alternativa a cipi nuovi, ossia l’importanza del multilateraliquella classica Nord-Sud. smo, della non interferenza negli affari interi degli stati, della democratizzazione delle rela Perché i BRICS? zioni internazionali, dell’uguaglianza degli stati, di norme basate sull’inclusione e il diritto interOltre a conoscere più da vicino la storia del nazionale, della cooperazione win-win e dell’asforum dei BRICS, bisogna anche sapere quali senza di sanzioni economiche. Inoltre, si è consisono stati i motivi principali che hanno portato derato che, attraverso nuove istituzioni internaqueste potenze emergenti ad unirsi e profilarsi zionali, si potessero condividere le buone pratiche come alternativa al monopolio occidentale delle di sviluppo socio-economico, come ad esempio relazioni internazionali. quelle del modello cinese, da proporre, in ultima In primo luogo, ancora prima dell’istitu- analisi, come nuovo paradigma ai paesi più zionalizzazione del nuovo gruppo, i paesi membri poveri. dei BRICS hanno più volte richiesto delle riforme

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Considerando questi ultimi aspetti, uno mondo interno debbano chinarsi sul tema, infordei fattori che ha accelerato queste dinamiche e marsi e seguire più da vicino gli sviluppi dei la istituzionalizzazione dei BRICS è stata la crisi BRICS e della geopolitica globale. finanziaria del 2007/2008. La lezione che questi In primis, per coloro che lottano per un paesi emergenti hanno potuto cogliere da mondo di pace e di sviluppo inclusivo, basato su quell’importante crisi economica è stata che il nuovi principi politici ed economici, è auspicabile fallimento della finanza e dell’economia basate che si rompa con l’egemonia mondiale degli Stati sulle politiche neoliberali, alla base anche dell’a- Uniti e dei suoi vassalli, andando verso una congenda economica del FMI e della Banca Mondiale, formazione globale più equa, più equilibrata, osha dimostrato come questo paradigma economico sia una in cui si profilano più poli di sfera d’infosse insostenibile, e quanto fosse necessario la- fluenza. Solo tramite una più equa distribuzione vorare a un’alternativa, a un nuovo modello eco- del potere economico, politico, diplomatico e minomico e internazionale non solo meno eurocen- litare a livello internazionale, si può immaginare trico, ma anche più vicino alle esigenze dei paesi di porre un freno all’espansione imperialista in via di sviluppo, a partire proprio dal loro forum. degli Stati Uniti e della sfera atlantica, giacché Inoltre, il fatto che la maggior parte di questi vi potrebbero essere più attori capaci da fare da paesi è stata toccata in modo minore dalla crisi deterrente. Da questa prospettiva, il multipolafinanziaria, ha dimostrato che i principi econo- rismo combacia perfettamente con la lotta monmici e politici su cui basare il forum dei BRICS diale contro l’imperialismo e il suo dominio egefossero quelli più corretti e il percorso istituzio- monico, a cui presentare come alternativa l’innale tracciato quello più idoneo. ternazionalismo, il rispetto della sovranità degli In conclusione e riassumendo, abbiamo stati, il multilateralismo inclusivo e la cooperavisto che dietro la creazione dei BRICS ci sono zione win-win. tre fattori principali: le organizzazioni interna In secondo luogo, è importante che i zionali classiche non solo non sono inclusive, non BRICS si consolidino, soprattutto per quel che solo non rispecchiano le ambizioni dei paesi più concerne le due organizzazioni create ad hoc, ospoveri, ma perseguono anche politiche macroe- sia la Nuova Banca di Sviluppo e la CRA, perché conomiche fallimentari e in conflitto con gli inte- quest’ultime possono rappresentare un’alternaressi dei paesi del Sud del Mondo. Ciò ha spinto tiva al FMI e la Banca Mondiale. Nello specifico, le potenze emergenti a coalizzarsi e riflettere su i paesi in via di sviluppo invece di sottostare al un ordine mondiale alternativo, con organizza- dominio atlantico e alle pratiche neoliberali delle zioni, valori e principi nuovi negli affari interna- stesse, possono indirizzari ai BRICS, i quali prozionali, a partire, appunto, dalla creazione del muovono non solo politiche macroeconomiche forum dei BRICS e delle sue istituzioni economi- alternative, in cui lo stato mantiene un ruolo che collaterali. Ma non solo, anche a livello regio- importante ed è motore dello sviluppo socioeconale, in particolare in Asia, Russia e Cina si nomico, ma anche principi come la non interfestanno impegnando a creare e sostenere nuovi renza nelle politiche interne degli stati e il risoggetti come l’Organizzazione per la Coopera- spetto della sovranità nazionale degli stati, oltre zione di Shanghai (SCO), che possano fare da a diverse forme di agevolazioni. Riassumendo, contraltare alle istituzioni più antiche presenti, avere altre istituzioni con principi diversi a dispesso più legate agli interessi degli Stati Uniti, sposizione, permette una maggiore libertà di come il caso dell’Associazione delle Nazioni del azione per quei paesi poveri che vogliono seguire, Sud-Est Asiatico (ASEAN). ad esempio, le buone pratiche dimostrate da paesi come la Cina e l’India, in contrapposizione al pa Perché è importante studiare i BRICS radigma neoliberale del campo atlantico. Nei paragrafi precedenti, abbiamo osservato come il mondo si sta avviando verso un processo di multipolarismo. In particolare abbiamo visto i motivi che hanno portato Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa a coalizzarsi, unire gli sforzi per creare un soggetto nuovo e alternativo alle organizzazioni internazionali dominate dalle pratiche del campo atlantico. Vi sono, in particolare, due motivi principali per cui i comunisti, gli internazionalisti e gli anti-imperialisti del

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Conclusione In questo articolo abbiamo potuto vedere quali sono gli attori nuovi che stanno facendo la storia, ossia cambiando l’ordine politico-economico mondiale verso una situazione di multipolarismo. I BRICS, però, rappresentano ancora un soggetto giovane, che ha tutto il potenziale per diventare un vero e proprio concorrente dell’egemonia unipolare rappresentata dagli Stati Uniti.


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Importante è che tutti i comunisti, progressisti e anti-imperialisti, seguano da vicino e supportino questo processo legato ai BRICS e allo sviluppo di ordine mondiale multipolare. Come delineato nelle nostre tesi congressuali del 2016, “la la transizione pacifica verso un ordine mondiale più equo assume oggi per noi comunisti un carattere prioritario”6. Inoltre, i comunisti svizzeri auspicano “una configurazione delle relazioni internazionali di carattere multipolare, che è la

conditio sine qua non per immaginare, in futuro, di poter parlar di trasformazione socialista della società”7. In estrema sintesi, solo la concretizzazione del multipolarismo potrà concretizzare le aspirazioni di color che desiderando avere un mondo di pace e di emancipazione per tutti i popoli del nostro pianeta, e creare le basi per una trasformazione in senso socialista delle nostre società.

La Penisola Coreana: tra riunificazione e denuclearizzazione

gli Affari di Stato della RPDC Kim Jong Un e il Presidente degli USA Donald Trump, di cui parleremo successivamente. Particolarità della Zonda Demilizarizzata Coreana, nonostante la presenza massiccia di militari lungo il confine, è quella del divieto di utilizzo e d’installazione di armi pesanti nel perimetro delineato. Il popolo coreano, per quanto unito da una storia e una cultura nazionale comune, come la decennale guerra di liberazione contro l’imperialismo giapponese, oppure la comunanza di lingua, si vedo separato così in due, soprattutto a causa dell’occupazione a Sud da parte delle truppe americane e il controllo diretto, in stile coloniale, sulle autorità di Seoul. Da questa situazione infruttuosa, nascono i primi dibattiti attorno a una futura e auspicata riunificazione della Penisola Coreana. La posizione ufficiale dei dirigenti Nordcoreani, nei confronti della politica di riunificazione delle due coree, viene stabilita, tramite la firma del Presidente Kim Il Sung, il 6 aprile 1993, attraverso alla risoluzione inititolata: “I dieci punti programmatici per la riunificazione della nazione”, che rappresenta un’evoluzione dei “Cinque Punti per la Riunificazione della Corea” esposti in vari discorsi pubblici tra il 1972-1973, con quest’ultimi che mettevano soprattuto l’accento, come primo step da seguire, sul disarmo e la ritirata delle forze straniere dalla regione. In generale, con questi ultimi dieci punti, si stabilische che i popoli del Nord e del Sud si debbano riunire in un unico Stato di carattere pan-nazionale e federale, in cui i rispettivi governi (socialista al Nord e liberal-capitalista al Sud) mantengano la propria autonomia e riconoscimento reciproco. In particolare, nessun sistema politico dovrebbe prevalere sull’altro. Va infine accresciuta la fiducia e il rispetto tra le due parti attraverso incontri e visite puntuali, sia a livello diplomatico che civile, e che la solidarietà NordSud prevalga per il bene della nazione unita. In

Stefano Araújo da Costa Il 27 luglio 1953, a Panmunjom, viene firmato l’armistizio che metterà fine ai confronti militari della Guerra di Corea, conflitto iniziato il 25 giugno 1950 che ha visto contrapposti per tre anni le forze armate Nordcoreane, guidate dal Presidente Kim Il Sung e appoggiate dall’Esercito Popolare Cinese, e quelle Sudcoreane sostenute direttamente da una coalizione delle Nazioni Unite guidata dagli Stati Uniti di America. A differenza di altre guerre, non viene ancora siglato un’accordo di pace tra il Nord e Sud della Penisola Coreana, bensì viene concordato un cessato il fuoco, frutto, tra l’altro, più di un accordo tra le forze armate in conflitto che di concrete trattative tra governi, un armistizio che perdura ancora fino ai giorni nostri. A nulla sono putroppo serviti i colloqui di pace che si realizzeranno l’anno successivo a Ginevra, che vedranno i diplomatici cinesi proporre un’accordo risolutivo tra le parti in conflitto, senza alcun risultato. Tornando al 1950, come risultato dell’armistizio viene istituita la Zona Demilitarizzata Coreana: un territorio di 250 km di lunghezza e di 4 km di larghezza lungo il 38° parallelo che divide in due il territorio fra la Repubblica Popolare Democratica di Corea (del Nord) e la Repubblica di Corea (del Sud). Al centro della linea di demarcazione fra i due Stati, nella località di Panmunjom, viene stabilita l’Area di Sicurezza Congiunta, luogo di incontro ufficiale tra gli eserciti del nord e del sud, che sarà inoltre teatro, nei tempi recenti, dei primi incontri ufficiali tra i leader di Pyongyang e quelli di Seoul e in particolare tra il Presidente della Commissione per

6 Tesi XII° Congresso del Partito, titolo: Insistere sull’organizzazione, costruire “community”, Capitolo B : Attualizzare l’analisi della fase internazionale; paragrafo 3; p. 3.

7 Capitolo C : Quale ruolo della Svizzera del nuovo contesto multipolare? E quale strategia di sviluppo per il nostro progetto di società?; paragrafo 1; p. 7

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sintesi, la proposta Nordcoreana è di creare uno stato federale, indipendente e neutrale, con una politica estera, esercito e rappresentanza presso l’ONU comune, dal nome di Repubblica Federale di Koryo, come proposto già nel 1973 dalle autorità Norcoreane. Come si può constatare, non vi è alcuna intenzione di ottenere la riunificazione coreana attraverso la sopraffazione dell’altro. Posizione che, evidentemente, non trova simpatie tra chi tesse le sorti del Sud, che preferirebbe una Corea unita, ma dipendente dagli States, e sradicata dell’esperienza decennale socialista. In ogni caso, questo desiderio di una Corea unita è onnipresente nella RPDC, dove qualsiasi raffigurazione del Paese lo mostra geograficamente unito e mai diviso. Inoltre, non mancano statue e monumenti dedicati alla riunificazione, alle due “sorelle” coreane che si cingono. Un sentimento peraltro che emerge in maniera evidente anche parlando con i cittadini. I recenti incontri tra alti vertici dei due paesi permettono delle timide speranze. Il primo storico vertice tra Nord-Sud avenne il giugno 2000, alla presenza del leader nordcoreano Kim Jong Il e del suo omologo sudcoreano Kim Dae Jung. Fu sottoscritta la “Dichiarazione Congiunta NordSud del 15 Giugno”, che vede stabilire i primi passi da seguire verso un accordo di pace tra le due Coree, e una riunificazione su base confederativa, oltre all’approfondimento delle relazioni diplomatiche e commerciali tra le due parti e la risoluzione di alcune questioni umanitarie. Il primo decisivo dato politico è che i Sudcoreani hanno accettano l’idea dell’unificazione tramite la creazione di uno stato federale. Il secondo incontro è avvenuto tra il 2 e il 4 ottobre 2014, alla presenza dei Presidenti Kim Jong-Il e Roh Moo-Hyun. Viene sottoscritta una dichiarazione di pace, come nuovo passo in avanti diplomatico e politico, che stabilisce, in particolare, l’organizzazione di incontri internazionali in cui discutere su come sostituire l’armistizio con un accordo di pace permanente. Il terzo incontro Nord-Sud, che ha riscontrato un alto livello di mediatizzazione, è avvenuto invece il 27 aprile 2018 a Panmunjom, proprio al confine tra i due paesi nella Zona Demilitarizzata, a cui hanno presenziato per il Nord Kim Jong-Un e per il Sud Moon Jae-In. Viene sottoscritta da entrambi la “Dichiarazione di Panmunjom”, che prevede ulteriori passi in avanti verso la cessione del conflitto tra Nord-Sud e l’inizio della fase di denuclearizzazione della Penisola coreana. In particolare, si parla di creare varie zone di pace lungo la costa occidentale, e di cooperare più approfonditamente con la Cina e gli Stati Uniti per arrivare al tanto agognato accordo di pace. Significativa è la parte-

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cipazione più attiva dei Cinesi, che auspicano, in nome della stabilità e sicurezza della regione, la fine del conflitto, oltre la determinazione delle prime linee di azione per una denuclearizzazione reciproca. Come possiamo costatare, il desiderio di un accordo di pace, di una Corea unita si stanno poco a poco concretizzando tramite le linee di azione stabilite, frutto degli sforzi diplomatici dei leader e dei rispettivi funzionari del Nord e Sud, sebbene vi siano ancora dei momenti in cui si osservano dei passi indietro o degli stalli nei colloqui. Guardando, invece, al rapporto tra gli Stati Uniti e la Corea popolare, ancora più significativi, e per certi versi sorprendenti, sono gli incontri che vedranno protagonisti Kim Jong-Un e Donald Trump. Per la prima volta nella storia, i presidenti della Corea del Nord e degli Stati Uniti si sono riuniti, sempre nel solco di porre fine alla Guerra di Corea, alle sazioni contro la Repubblica Democratica Popolare di Corea, e di proseguire con il processo di demilitarizzazione e denuclearizzazion reciproca della regione. Il primo summit è avvenuto a Singapore il 12 giugno 2018, il secondo ad Hanoi il 27-28 febbraio 2019. Il terzo vertice, divenuto storico per l’attraversamento del confine verso nord da parte di Donald Trump, primo presidente americano a toccare il suolo della Corea popolare, è invece avvenuto il 30 giugno 2019 nella Zona Demilitarizzata con la partecipazione anche del presidente sudcoreano Moon Jae-In. Tutti questi eventi recenti, non solo rappresentano una vittoria del Nord e del suo leader Kim Jong-Un, i quali sono riusciti non solo a intensificare le relazioni diplomatiche tra i tre paesi coinvolti, ma anche a stabilire le linee su come arrivare alla cessazione del conflitto NordSud e la Riunificazione della Penisola Coreana. Inoltre, questi dimostrano che la Corea del Nord è riuscita a raggiungere il livello di deterrenza militare tale da “obbligare” gli Stati Uniti a sedersi a un tavolo per discutere di pace e disarmo. Perlopiù, per i cittadini Nordcoreani la vittoria è doppia, in quanto, pur mantenendo l’esercito con gli effettivi e attività attuali, la priorità diventa a questo punto quella dello sviluppo economico del paese. Più in generale, tutti questi meeting al più alto livello, rappresentano il trionfo della voglia di pace che pervade i cittadini dei due stati. Inoltre, questi incontri vanno salutati positivamente da parte della comunità internazionale e di chi lotta per un mondo di pace. Purtroppo, tra lo status-quo e l’effettiva Riunificazione delle due Coree, vi è ancora un ostacolo importante: la fine delle sanzioni contro la Corea del Nord, ma soprattutto la denuclearizza-


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zione della penisola. Come detto precedentemente, dei primi piccoli passi sono stati fatti, soprattutto in termini di auspici e obbiettivi, ma purtroppo vi sono ancora delle importanti differenze d’interpretazione, che ostacolano il processo di disarmo, anche in questa fase preliminare. Per gli americani, dovrebbero essere i nordcoreani per primi a smantellare il proprio programma militare nucleare, e nessun accenno è fatto al ritiro delle armi nucleari stazionate nella Corea del Sud. Mentre per il Nord, imprescindibile è lo smantellamento simmetrico e reciproco dell’armamentario nucleare, il ritiro delle truppe americane dal Sud, la fine dell’ombrello atomico a protezione della Repubblica di Corea. Sfortunatamente, come denunciato recentemente a fine 2019 sia dal V° meeting del VII° Comitato Centrale del Partito dei Lavoratori di Corea, che da una nota del Dipartimento degli Esteri Nordcoreano, nonostante gli accordi presi e il dialogo diplomatico instaurato, gli Stati Uniti continuano la propria politica di pressione e agressione sulla Corea del Nord tramite l’innasprimento delle sanzioni e di ulteriori provocazioni, sia per via unilaterale, sia coinvolgendo il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Que-

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sto è l’ennesimo esempio di come rimangano presenti ancora diversi ostacoli importanti, provvenienti dalla controparte americana, soprattuto per quel che concerne le sanzioni dirette verso il paese. Considerate queste dinamiche recenti e lo stallo di alcuni colloqui, vedremo nei prossimi tempi, se effettivamente, grazi agli sforzi dei due leader e dei rispetti corpi diplomatici, si arriverà a una sintesi e risoluzione delle posizioni contrastanti, ma soprattutto se si riuscirà a demilitarizzare, da entrambi i lati e nello stesso momento, una regione che aspira solo a un futuro di pace, unità, indipendenza e prosperità, come tra l’altro auspicato formalmente dal Partito Comunista tramite una sua risoluzione del 20161, in cui si ricorda che “la penisola coreana va denuclearizzata e la proliferazione atomica va fermata al fine di preservare pace e stabilità nell’Asia nord-orientale, come richiesto anche dal Partito Comunista Cinese e dal Partito Comunista Giapponese”. I primi semi sono stati piantati, il che rappresenta un importante passo in avanti, che forse, qualche anno fa, sarebbe stato considerato pura utopia.

Vedi: www.partitocomunista. ch/?p=928 1

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* membro della Direzione nazionale del Partito Comunista Italiano (PCI) e già senatore della Repubblica Italiana

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A 200 anni dalla nascita di Friedrich Engels. Un’occasione per il rilancio del suo pensiero rivoluzionario Fosco Giannini* Friedrich Engels nasce a Barmen (Germania) il 28 novembre del 1820 e muore a Londra il 5 agosto del 1895. In questo 2020 siamo, dunque, nel 200esimo anniversario della sua nascita. Una ricorrenza dalla quale si potrebbe (meglio ancora, si dovrebbe) partire per riavviare uno studio profondo del grande pensiero rivoluzionario engelsiano, che un vasto fronte politico e filosofico (formatosi storicamente lungo l’asse dato dalle grandi forze socialdemocratiche e socialiste anti leniniste successive alla Seconda Guerra Mondiale e dalle aree di pensiero borghese progressista e di “sinistra”, passando per le varie fonti di pensiero “neo-marxista” che si sono – a volte perniciosamente – sviluppate, da Georges Labica, e altri, sino alla Scuola di Francoforte) ha invece prima ridotto a pensiero minore e “di spalla”, rispetto a Karl Marx e poi “ossificato” e liquidato in un giudizio di “marxismo meccanicistico e determinismo positivista”. Un giudizio, questo sul pensiero di Engels, storicamente e filosoficamente falso e inaccettabile che tuttavia ha colto l’obiettivo, non solo tra l’intellettualità borghese ma anche in tanta parte del “marxismo occidentale” (così come si sarebbe espresso Domenico Losurdo) di farsi “senso comune”. Ed è rispetto a ciò che sarebbe importante che fossero innanzitutto i partiti comunisti (dell’Unione europea e del mondo) a promuovere, in questo 2020, un grande dibattito internazionale ed una nuova fase di studio sul pensiero engelsiano. Engels, figlio di un grande industriale tedesco proprietario di fabbriche tessili sia in Prussia che in Inghilterra, matura sin da giovane (anche a partire, naturalmente, dalla condizione operaia che ha direttamente sotto gli occhi) un pensiero fortemente critico verso i rapporti capitalistici di produzione e le sovrastrutture ideologiche capitalistiche che informano di sé gli interi rapporti sociali capitalistici. Nel 1842 lascia la città natale di Barmen e si trasferisce a Manchester,

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con il compito di seguire l’azienda “Ermen & Engels” della quale il padre è comproprietario. Durante il viaggio si ferma a Colonia, alla redazione della “Rheinische Zeitung” e lì, per la prima volta, incontra Karl Marx. A Manchester, ove la rivoluzione industriale è in pieno sviluppo e il nuovo ordine capitalistico è in costruzione, Engels ha modo di mettere in forte relazione la propria analisi teorica dello sfruttamento capitalistico con la cruda realtà di fabbrica e sociale. Vive a contatto diretto con la classe operaia, studia incessantemente e profondamente (la sua cultura è definita da tutti, anche dai futuri suoi critici, enciclopedica). E scrive. Da Manchester invia ai Deutsch-französische Jahrbücher (Annali franco-tedeschi) che hanno come direttori Marx e Ruge, un breve saggio che anticipa l’intero pensiero marxista-engelsiano. Il titolo del saggio è “Lineamenti di una critica dell’economia politica”. In questo lavoro, Engels inizia a prendere nettamente le distanze dalla cultura illuminista e idealista, a distaccarsi dai giovani hegeliani per un primo approccio materialista. Engels mette a fuoco il fatto che le rivoluzioni borghesi del ’700 siano state segnate da una parzialità e da una unidirezionalità, opponendo “all’astratto spiritualismo un astratto “materialismo”, alla monarchia la repubblica, al diritto divino il contratto sociale [...] quel “materialismo” non ha attaccato il disprezzo e la mortificazione cristiana dell’uomo, ma si è limitato a opporre al dio cristiano la natura come assoluto; la politica non ha preso in esame i presupposti dello Stato in sé e per sé; all’economia non è venuto in mente di interrogarsi sulla legittimità della proprietà privata”. La proprietà privata, dunque, già per questo Engels, non è natura né, tantomeno, è figlia di dio. E più avanti rafforzerà il concetto: “Come il capitale è stato separato dal lavoro, così ora il lavoro si scinde nuovamente; il prodotto del lavoro gli si contrappone, separato, come salario[...]. Sopprimendo la proprietà privata cadrà anche quest’innaturale separazione, il lavoro diventa salario a sé stesso, mostrando il vero significato del lavoro alienato”. Engels, già qui, in questo saggio, è Marx senza ancora Marx, ma, per tenersi lontani da quella feroce critica ad Engels che sarebbe venuta anche dai neo marxisti della Scuola di Francoforte, anche Marx è già Engels senza ancora Engels. Con “Lineamenti di una critica dell’economia politica” Engels si colloca stabilmente, uscendo dall’idealismo, nel campo materialista e comunista. Un campo dove troverà Marx per quel lungo, fraterno (sappiamo come Engels decise, per rafforzare il fronte rivoluzionario, di liberare Marx dal lavoro, sostenendo


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economicamente lui e la sua famiglia affinché il pensiero del “Moro” divenisse il carro trainante della lotta anticapitalista) rapporto solidale – che Franz Mehring definì “un’amicizia senza pari” – che produrrà un formidabile pensiero marxiano-engelsiano dal quale usciranno opere decisive per la storia del movimento operaio, comunista e rivoluzionario, a partire da “ Il Manifesto del Partito Comunista”, pensato e firmato assieme, del 1848. Nel 1845 esce, di Engels, un saggio (una sorta di reportage d’altissimo livello e contemporaneamente di grande e inedita profondità analitica) che farà scuola e si offrirà per sempre come uno spaccato terrificante e veritiero della vita proletaria della fase inglese vittoriana, quella della sanguinosa accumulazione capitalistica originaria. Il titolo dell’opera è “La condizione della classe operaia in Inghilterra”, un “racconto” dello sfruttamento operaio scritto con l’animo di un Charles Dickens ma con il cervello di un rivoluzionario materialista già ben oltre i giovani-hegeliani. Quando Engels pubblica “La condizione della classe operaia in Inghilterra” ha solo 24 anni ma è già pronto ad essere il sodale di Karl Marx e il compagno a pari merito della “coppia” che avrebbe fondato il marxismo scientifico e avrebbe molto contribuito a cambiare il mondo. Engels, già prima e poi dopo la pubblicazione de “Il Manifesto del Partito Comunista”, svolge un ruolo determinante, come dirigente politico e non solo come teorico, per la nascita e la costruzione del movimento marxista, socialista, operaio e comunista. Nel 1864 le sue capacità organizzative e di direzione politica, che si legano alla sua grande statura intellettuale e teorica, lo portano a divenire il capo politico della Prima Internazionale e, nel 1889, della Seconda Internazionale. Il suo aiuto finanziario è importante per la pubblicazione, nel 1867, del primo tomo de “Il Capitale” di Marx. Nel 1874 lavorerà con Marx a “L’ideologia tedesca”. Affermarono i due: “Decidemmo di mettere in chiaro, in un lavoro comune, il contrasto tra il nostro modo di vedere e la concezione ideologica della filosofia tedesca, di fare i conti, in realtà, con la nostra anteriore coscienza filosofica. Il disegno venne realizzato nella forma di una critica alla filosofia posteriore a Hegel”. L’opera, benché non terminata (“lasciata, a causa di molti problemi, -come scrissero Marx ed Engels – alla roditrice critica dei topi”) fu poi pubblicata in Unione Sovietica nel 1932, rivelandosi un testo fondamentale, sul piano filosofico e su quello della filosofia della praxis, per il superamento dell’idealismo della sinistra hegeliana e la messa a punto della concezione del materiali-

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smo dialettico e storico. Un lavoro che anziché sfamare i topi roditori diviene centrale non solo nella determinazione del materialismo ma dello stesso costituirsi della filosofia moderna e quella a noi contemporanea. Nel 1867 Engels pubblica l’ “Anti-Dühring”, scritto senza l’apporto di Marx, che darà il suo breve contributo al saggio solo in una successiva edizione. L’ “Anti-Dühring”, una serie di densi articoli, riuniti in un libro, che Engels scrive in polemica con il filosofo ed economista tedesco Karl Eugen Dühring ( che stava espandendo la propria egemonia intellettuale su vaste aree della socialdemocrazia tedesca) è un’opera centrale nel lavoro generale di Engels. Sinteticamente: Dühring diviene (drammaticamente, sia per Engels che per Marx) punto di riferimento teorico all’interno della socialdemocrazia e tra il movimento operaio tedesco attraverso tesi caratterizzate da un positivismo materialistico e “ottimista” che fa strame, tra l’altro, dell’intera dialettica hegeliana. Engels “combatte” corpo a corpo con Dühring nell’intento di espellere il positivismo dalla cultura socialista e comunista, sostituendolo con il materialismo dialettico che prevede, tra l’altro, il recupero di parti della dialettica hegeliana, una volta che “l’Hegel che sta a testa in giù” è rovesciato e “rimesso sui propri piedi”. Engels, in altre parole, definisce un grave errore la totale cancellazione, da parte di Dühring, dell’intera dialettica hegeliana (una cancellazione funzionale all’assunzione del positivismo come totalità) ma, d’altra parte, recupera la dialettica hegeliana – ai fini di corroborare il materialismo dialettico – rovesciandola: laddove Hegel fa partire la dialettica dal pensiero puro, Engels la fa partire dalla concretezza tutta materiale dei fatti e del divenire storico. Anche a partire dall’opera engelsiana dell’“Anti-Dühring”, sarà, tra gli altri, Max Adler a definire Engels “colui che aveva completato il marxismo, avendo allargato l’opera di Marx, al di là della particolare forma economica in cui si era presentata, a concezione generale del mondo”. E sarà Antonio Labriola a definire le tesi di Engels contro Dühring “un antidoto allo scolasticismo”, come sarà Lenin, già negli “Amici del popolo” (1894) a giudicare l’“Anti-Dühring” una “magnifica lezione”. Una lezione che poi Lenin riprenderà in toto in “Materialismo ed empiriocriticismo” (la più importante opera filosofica del capo dell’Ottobre) nella lotta teorica contro il neo-positivismo di Ernst Mach e Aleksandr Aleksandrovič Bogdanov. Nel materialismo dialettico gnoseologico che Lenin illustra in “Materialismo ed empiriocriticismo”, fortissima è la relazione con il materialismo dialettico espresso da Engels

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nell’ “Anti-Dühring. Si spiega anche a partire da ciò il rapporto ideologico che i detrattori di Engels stabiliranno tra il loro tentativo di ridimensionare Engels e dissociarlo da Marx e il loro abbandono del leninismo. Morto Marx, nel 1883, Engels ne cura la pubblicazione de “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato”; tra il 1885 e il 1894 ne pubblica il secondo e il terzo volume de “Il capitale” e lavora agli appunti di Marx per pubblicarli come “Teorie del plusvalore”, nel 1884. Nel 1880 esce di Engels “L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza” ma soprattutto, nel 1883, esce, incompiuta, la famigerata (per i filosofi borghesi e antimaterialisti dell’epoca e poi per molti neo-marxisti occidentali del ’900) “La dialettica della natura”, opera a partire dalla quale si attacca e si attaccherà, in un futuro che giunge sino a noi, l’intero pensiero di Engels. Ne “La dialettica della natura” Engels giudica la natura non più come una sorta di divinità panteista in sé, ma come prodotto dell’interlocuzione dialettica con l’uomo e la storia. Ciò apparve a tutti i cultori della natura-dio e della natura come totalità che comprende in sé l’uomo - in una concezione dell’uomo come soggetto non autonomo ma subordinato alla natura stessa- come una bestemmia irripetibile. Eppure, l’introduzione, nel pensiero filosofico, di una concezione della natura come prodotto del rapporto uomo-natura e storia-natura, non porterebbe, anche in questi nostri giorni, a leggere la natura (l’attacco all’ambiente) anche attraverso una critica sociale e una critica del potere, rovesciando così le fragili e ambigue tesi di una Greta Thumberg e soprattutto dei suoi inventori mediatici, custodi – è facile capirlo-dello status quo capitalsita? Sta di fatto che, proprio a partire dalle tesi de “La dialettica della natura”, nella fase successiva alla Seconda Guerra Mondiale, iniziò a scatenarsi, partendo sia dalle casematte ideologiche borghesi che da quelle neo-marxiste essenzialmente antileniniste, un potente tentativo di sminuire l’intera opera di Engels, un tentativo che aveva come suoi moti speculari sia quello di ridurre Engels ad una semplice “spalla” di Marx che quello di dissociare bruscamente Engels da Marx. Ma nell’incipit di un saggio del 1995 del filosofo marxista tedesco Hans Heinz Holz ( fortemente legato al nostro Domenico Losurdo e deceduto nel 2011), “Engels e il concetto di una visione scientifica del mondo”, si afferma: “ Appartiene alla storia ideologica successiva alla Seconda Guerra Mondiale, alla storia del “revisionismo” interno al marxismo ed al fenomeno di

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un anti-marxismo pseudomarxista, il rimuovere - negandone l’importanza- l’opera di Engels dallo sviluppo della teoria marxista, ridurla a mera “volgarizzazione”, “semplificazione” o, addirittura, diffamarla in quanto stravolgimento “ontologizzante” delle genuine intenzione di Marx”. E lucide ci appaiono, a proposito del tentativo di ridurre Engels, distaccandolo da Marx, le riflessioni sviluppate da Stefano Garroni nella sua prefazione al lavoro collettaneo “Engels cento anni dopo”, edito dalla Casa editrice “La Città del Sole” nel 1995. Scrive Garroni: “E’ in questa prospettiva (la prospettiva di marcare nettamente la distanza tra valenza scientifica del marxismo, cioè Marx, ed impegno a trarne conseguenze sul piano dell’azione storico-politica) che si collocano di solito i tentativi di sottolineare le dissonanze tra Marx ed Engels; tentativi che – non per caso- prendono l’avvio dalla contrapposizione di Marx ad Hegel (ad un autore, dunque, che inserisce l’azione, il movimento, il cambiamento al centro stesso della vicenda del pensiero), per concludersi, poi, col dissociare Marx da Lenin”. E Garroni prosegue rimarcando il fatto che enfatizzare le dissonanze tra Marx ed Engels altro non serve, nell’essenza, che a ridurre lo stesso Marx ad un puro pensatore scientifico, senza spinta per la prassi e l’azione concretamente rivoluzionaria. Naturalmente, questo, è un titanico falso. Peraltro, come ha rimarcato il già citato Hans Heinz Holtz “I cosiddetti filosofi della prassi ed una certa critica critica di provenienza francofortese hanno molto insistito, nella loro essenziale pretesa di riportare Marx al criticismo dei giovani hegeliani, nel rimarcare come impossibile l’unità tra “l’immobile dogma engelsiano” e “l’aperta dialettica marxiana”. “Ma se questa affermazione fosse vera – nota Holtz – come sarebbe stato possibile che Marx, tra l’altro, accettasse pienamente, facendola propria, la recensione di Engels al suo, fondamentale, saggio “Per la critica dell’economia politica”? Una recensione, aggiungiamo noi, così densa da presentarsi come un’altra opera a sé, la quale attribuisce al saggio di Marx sia uno sfondo di dialettica hegeliana che il metodo filosofico della filosofia marxista. Nei suoi scritti, Engels, ha sempre e chiaramente considerata necessaria e storicamente necessitata la violenza rivoluzionaria, senza la quale mai si potrebbe scardinare il sistema borghese. E così scrive ne “L’ideologia tedesca” (firmata anche da Marx ma scritta in gran parte dallo stesso Engels): “Nella misura in cui il proletariato accoglierà elementi socialisti e comunisti, le stragi, le vendette e il furore della rivolu-


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zione diminuiranno. Per i suoi principi, il comu- sta) e Marx come delineatore primario della connismo è al di sopra del conflitto tra borghesia e cezione del materialismo storico (che sostiene su proletariato, giustificandolo storicamente nel di una base scientifica l’esigenza storica del copresente, non per il futuro; esso sopprime tale munismo), se pure accettassimo - e non l’accetconflitto ma riconosce, finché permane il conflitto tiamo - questa volgarizzazione/banalizzazione, di classe, che l’ostilità del proletariato verso i suoi non potremmo comunque e in nessun modo riteoppressori è una necessità e rappresenta la leva nere razionale e plausibile il tentativo di dividere più importante del movimento operaio al suo ini- Engels da Marx. Per il semplice motivo che è l’inzio; ma va oltre tale ostilità, perché il comunismo sieme dinamico tra materialismo dialettico e è la causa di tutta l’umanità, non solo della classe materialismo storico a formare la teoria e la operaia”. Sarà stata questa linea concreta (come prassi della rivoluzione, lo stesso pensiero marla dichiarata necessità della dittatura del prole- xista. Il materialismo dialettico senza quello tariato) a far scatenare contro Engels le ire dei storico – e viceversa – sarebbero concezioni amfilosofi borghesi e degli stessi neo-marxisti occi- putate e, da sole, non potrebbero sorreggere nesdentali del ’900? Marx, peraltro, non era certo sun processo rivoluzionario. meno convinto di Engels della necessità della Scriveva Guido Oldrini nel suo saggio “Sul violenza rivoluzionaria e del pieno potere al pro- rapporto Marx-Engels in prospettiva”: “Come letariato e, anzi, solo nel pieno potere del prole- complesso dottrinale, come teoria, il marxismo tariato, nella sua dittatura rivoluzionaria, Marx ci si presenta sotto una doppia veste. Esso è, ad vedeva l’unica via per l’estirpazione dalla Storia un tempo, teoria della storia (materialismo stodi quello sfruttamento oggettivo dell’uomo rico) e concezione generale del mondo, teoria filosull’uomo che trova le sue basi materiali nei rap- sofica (materialismo dialettico). Gyorgy Lukàcs porti capitalistici di produzione e nella totale ha sempre insistito con energia, specialmente trasformazione dell’uomo e del suo lavoro in nell’ “Estetica” e nell’”Ontologia”, sulla stretta merce. Ma sta qui la formidabile astuzia della unità esistente nel marxismo tra determinazioni filosofia borghese e del marxismo revisionista: al teoriche e determinazioni storiche dei problemi, contrario del “volgare” Engels del materialismo sull’inscindibilità in linea di principio che lega i dialettico, il Marx del materialismo storico si problemi del materialismo storico a quelli del poteva tentare di dividerlo da Engels in virtù materialismo dialettico e sulla mutua e costante della propria scienza, in virtù di quelle “rivela- collaborazione che in ogni ricerca queste due zioni” economiche oggettive (il plusvalore come branche della scienza si debbono apportare”. Crediamo che anche a queste parole di Olsegno innegabile dello sfruttamento capitalista) che potevano essere assunte anche dalle ali di drini – uno studioso marxista che, peraltro, fa sinistra della borghesia, nell’ottica della redistri- dell’antidogmatismo la propria stella polare buzione moderata del reddito e in quella, strate- dobbiamo appellarci per respingere al mittente gli untuosi tentativi di dividere Marx da Engels, gica, del mantenimento del potere borghese. Sarà Domenico Losurdo, nel suo saggio “Dopo ricollocando Engels nello scranno più alto, quello il diluvio: ritorno a Marx?”, a stabilire un nesso che gli spetta, della rivoluzione. tra le nette posizioni engelsiane volte alla necessità storica della violenza rivoluzionaria e alla necessità della presa del potere del proletariato (e alla liceità della sua difesa con la forza) e il vasto tentativo di liquidare Engels. Nel suo saggio, Losurdo, attraverso una lunga escursione storica che evochiamo solo nell’essenza estrema, dimostra la falsità e l’ipocrisia sia degli ideologi neo-liberali che di quelli del neo-marxismo occidentale, volti a definire le (sanguinosissime) rivoluzioni liberali e anglosassoni come fondate “sull’amore per la libertà” e le rivoluzioni di stampo giacobino-bolscevico tutte segnate dal culto del terrore. Se pure dovessimo cedere alla rozzezza di una analisi che vede Engels come il delineatore primario della concezione del materialismo dialettico (che porta alla weltanschauung comuni-

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