Detroit. La sfida della drammatica dismissione e il “Future City” Strategic Framework Plan_G. Fini

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Detroit. La sfida della drammatica dismissione e il “Future City” Strategic Framework Plan Giulia Fini


I. La crescita di Detroit, una città icona del XX secolo | 1880-1950 Situata nella parte settentrionale degli Stati Uniti d'America, nella regione del Midwest, all’inizio del XX secolo Detroit divenne il principale centro della produzione automobilistica americana. Le tre maggiori aziende automobilistiche di allora (Chrysler, Ford e General Motors – anche soprannominate “The Big Three”) hanno contribuito in modo determinante alla crescita di Detroit che per questa ragione fu anche soprannominata Motor City o Motown. All’inizio del ‘900, l’organizzazione del lavoro legata al taylorismo e l'avvio dei processi di produzione tramite catena di montaggio, resero l’industria automobilistica una produzione di massa, in serie. A partire dal 1910, furono introdotte diverse innovazioni tecniche. Fu infatti a Detroit che: • furono realizzate le prime strade asfaltate; • fu costruita la prima autostrada urbana (la “Davison Freeway”); • la “Tin Lizzy” della Ford divenne la prima automobile prodotta in serie.




I. La crescita di Detroit, una città icona del XX secolo | 1880-1950 Per queste ragioni, Detroit divenne il simbolo di una crescita economica senza precedenti, sostenuta dalla produzione industriale automobilistica e meccanica. Durante gli anni ’20 (1920-1930), alla crescita economica si affianca lo sviluppo della città, con la costruzione continua di grattacieli, grandi magazzini commerciali, cinema e teatri, sale da ballo e sale da incontri, che fiancheggiavano le strade di Detroit. Erano spazi per una classe operaia e borghese che era arrivata a Detroit per le possibilità di lavoro offerte dalle fabbriche. Dal 1900 al 1950 la popolazione di Detroit passò dai 285.000 ad 1,85 milioni di abitanti.







II. Suburbanizzazione, conflitti razziali e segregazione | 1950-1980 Dopo il 1950, Detroit (la “Boom Town”, per la crescita esplosiva che l’aveva caratterizzata) fu una delle prime città americane a conoscere lo spostamento della popolazione dalle parti centrali dell’agglomerato urbano alle zone più esterne. Il centro urbano iniziò a perdere popolazione, mentre i sobborghi iniziarono a crescere e ad espandersi in un territorio più ampio. A Detroit, i processi di suburbanizzazione furono causati: • in parte, da una crescente mobilità dei suoi abitanti, caratteristica peculiare di una “car-driven society” (primo fattore); • ma anche dai conflitti razziali innescati dai processi migratori di nuovi lavoratori e abitanti (secondo fattore). Tra il 1940 e il 1960 il numero degli abitanti afro-americani (indigenti o parte della working class) crebbe fino ad arrivare a un terzo dell'intera popolazione della città; un processo che innescò a sua volta lo spostamento della classe media bianca verso i suburbi e le aree più esterne dell’area urbana.


II. Suburbanizzazione, conflitti razziali e segregazione | 1950-1980 Dai censimenti, nel 1998, il 78% degli abitanti che vivevano nei suburbi periferici di Detroit era composto da una classe media bianca. Al contrario, il 79% di coloro che vivevano nel centro della città erano lavoratori o poveri afroamericani.

✔ Mentre il centro di Detroit subisce un processo di impoverimento progressivo, il reddito medio nell'area metropolitana (considerando i 127 distretti circostanti) risulta nello stesso anno e negli anni successivi essere quasi il doppio di quello del centro città.


1940–2010: Decrescita della popolazione e distribuzione per gruppi etnici. Fonte: Census Bureau, 2010


La popolazione di Detroit e le percentuali per etnie. Area urbana (a sinistra), centro urbano (a destra). Fonte: Census Bureau, 2010


Mappa della distribuzione per etnie della popolazione di Detroit. Fonte: Census Bureau, 2010


Immagini dei disordini del 1967


Detroit, di Kathryn Bigelow, 2017




III. Deindustrializzazione, decentramento produttivo e commerciale | 1970-1980 A partire dal 1970, le grandi fabbriche automobilistiche iniziarono a spostare e a decentrare sul territorio gli impianti produttivi, in parte per ragioni che erano considerate di tipo strategico-militare, in parte a seguito dello spostamento verso le aree più esterne della classe operaia e impiegatizia (i blu e white collars). Nel 1973, a seguito della crisi petrolifera mondiale e alla crescente concorrenza delle industrie straniere, Chrysler, Ford e General Motors subirono numerose perdite di fatturato. Tra le conseguenze, vi fu la chiusura degli stabilimenti originari di Detroit, Michigan, a favore di nuovi impianti, molti dei quali furono realizzati in nazioni dove il costo del lavoro era inferiore, in Asia e in Sud America. ✔ Tra il 1970 e il 1980 Detroit perse 208.000 posti di lavoro.


III. Deindustrializzazione, decentramento produttivo e commerciale | 1970-1980 Anche lo spostamento delle attività commerciali verso le aree più esterne fu determinato dallo spostamento degli abitanti, e della classe media in particolare: ✔ Il Northland Shopping Center - il primo del suo genere al mondo - fu inaugurato a Detroit nel 1954, su progetto di Victor Gruen (in seguito, ampliato e rinnovato, fu chiuso definitivamente nel 2015, dopo una crisi di oltre 20 anni). Nel 1960 c’erano nell’area urbana di Detroit venti centri commerciali, la metà dei quali si trovava nel centro città. ✔ Venticinque anni dopo, nel centro di Detroit, non era rimasto più nessun centro commerciale aperto, una condizione di grave disservizio, che rendeva necessario lo spostamento degli abitanti verso le aree esterne per acquistare cibo o beni di prima necessità



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Anni 2000, la condizione attuale: gli effetti di oltre 50 anni di dismissione e suburbanizzazione

Americans perceive Detroit as a symbol of the failure of the modern metropolis. The suburbanisation of Detroit was no creeping reduction in density or activities. It was dramatic. Nowadays, one third of the entire city area lies derelict. Countless buildings have been demolished. Four thousand of those still standing are vacant and abandoned: locked, boarded and walled-up. Visitors to Detroit should prepare themselves… for dystopian scenery

Philipp Oswalt and Tim Rieniets (2006, eds.), Atlas der Schrumpfenden Städte / Atlas of Shrinking Cities, German-English, Hatje Cantz Publisher, Berlin.







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Detroit Future City Strategic Framework Plan, 2012



“Home to 714.000 residents who are resilient and already working to change the course of the city” “Known globally for a brand of innovation in making things and growing in reputation for small-scale models of productions” “A city of beautiful historic neighbourhoods and commercial areas, including 245 sites or districts on the National Register of Historic Places and 8 National Historic Landmarks” “The second largest theatre district in the country, second only to New York” “A land-rich environment that can accommodate innovation without displacement” “Ready to reposition itself as Michigan’s leading urban centre once again”






Detroit Future City Strategic Framework Plan

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Il Detroit «Future City» Strategic Framework Plan: Il Piano è organizzato intorno a cinque dimensioni (i “Planning Elements”), oltre a un capitolo conclusivo dedicato alla partecipazione, al ruolo degli abitanti e degli attori in ciascuna parte del Piano (il “Civic Engagement Chapter”). à The Land Use Element | L’immagine della città à The City Systems and Environmental Element | La città sostenibile à The Neighbourhood Element La città dei quartieri: differenti e competitivi alla scala regionale à The Economic Growth Element | La città giusta à The Land and Building Assets Element Un approccio strategico alle proprietà pubbliche (beni e terreni).


Il Detroit «Future City» Strategic Framework Plan: Febbraio 2010: Avvio del processo di pianificazione. L’obiettivo dichiarato è: “Re-image a better future for one of the world’s most important and storied cities”. Il Piano “articola una vision condivisa e definisce un insieme di politiche e azioni per raggiungere una città più sostenibile e attrattiva nel breve termine e per le generazioni future”. Dicembre 2012: approvazione del piano. ✔ 24 mesi di pubbliche consultazioni: “centinai di incontri; 30.000 conversazioni; 70.000 risposte alle indagini”. ✔ Integrazione di: “Local expertise; Leading thinkers and practitioners from around the globe; committees alla guida del percorso; planning and civic engagement teams, process leaders” che hanno contributo alla costruzione della vision.


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Imperatives à Transformative ideas à Strategies & implementation

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Existing: Current Land Use [Mappa degli usi del suolo: esistente]


Framework Zones: Levels of vacancy [I livelli di abbandono]








50-Year Land Use Scenario | Usi del suolo: scenario a 50 anni


Existing: Current Land Use | Mappa degli usi del suolo: esistente


[II] Land use Typology: Residential and Mixed use Typologies


[II] Land use Typology: Industrial and Landscape Typologies


II. Land use Typology: Residential

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Land use Typology: Green Residential


Land use Typology: Green mixed-rise


Land use Typologies: Mixed-use

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Land use Typology: Live+Make


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* Land use Typologies: Landscapes


Land use Typology: Innovation Productive


Land use Typology: Innovation Ecological


III. Land use Development Types Key


Land use Development types Key










Appropriate Development Types for urban “Live+Make” Neighbourhoods








Appropriate Development Types for Urban Green Neighborhoods





Imperatives à Transformative Ideas à Strategies & Implementation

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Public Owned Vacant Property


Public Land Ownership by Agency


Areas of Potential Economic Growth






Orizzonti temporali di implementazione. Osservazioni conclusive | 1


Detroit Future City Strategic Framework Plan Osservazioni conclusive | 1 “The Plan is presented as a framework: it represents a vision that remain flexible; it can be refined and enriched over time. It is not a master plan, but a shared scheme, that guides decision shared and defined among individuals, institutions, businesses, organizations, and neighbourhoods. Timeline, Tactics and Strategies: The “Elements” define a detailed approach to addressing the realities and urgent issues, but also “Imperatives” that will enable Detroit to move toward future choices.


“Ambitious but attainable, Detroit Future City (…) explores how to best use our abundance of land - particularly publicly owned land - create job growth and economic prosperity, ensure vibrant neighbourhoods, build an infrastructure that serves citizens at a reasonable cost, and maintain a high level of community engagement that is integral to success. And each is addressed with the understanding that in many ways, they are all interlinked. Detroit Strategic Framework, 2012, pag. 14 “If a place is shrinking, let's manage that shrinkage by right-sizing it. For Detroit Future City Plan, that means focusing money and resources around the islands of residential and business energy that remain in the city and turning the rest back to nature. Well, not quite nature.”

Hollander J., “A Plan to Shrink Detroit (well)”, Planetizen, Febbraio 2013


Una lettura su Detroit: Alessandro Coppola (2012), Apocalypse Town. Cronache dalla fine della civiltà urbana, Editori Laterza, Roma-Bari.


Apocalypse Town Il libro di Alessandro Coppola costituisce un riferimento per l’inquadramento della grande trasformazione che ha investito le città del Nord-Est americano cresciute con lo sviluppo dell’industria siderurgica e dell’automobile: Baltimora (Pennsylvania), Detroit (Michigan), Cleveland e Youngstown (Ohio), Buffalo (New York), in quella parte di territorio che, in ragione dei processi di dismissione delle attività di quei settori trainanti dell’economia locale, è stata battezzata Rust Belt (“Corona arrugginita”). Una trasformazione drammatica, come suggerisce il titolo del libro, iniziata negli anni ‘70 del secolo scorso: - che ha sollevato problemi mai conosciuti prima di allora; - resi evidenti da una drastica ritrazione dell’urbano; - connessa con una drastica riduzione della popolazione urbana.


Apocalypse Town Il libro, costruito attraverso una serie di interviste e ricerche sul campo tra il 2008 e il 2011, costruisce delle biografie urbane (ogni città ha una sua traiettoria e deve mettere a fuoco proprie strategie) ma soprattutto enuclea i temi salienti legati a uno shrinkage dalle dimensioni drammatiche: dai 2 milioni di abitanti agli inizi degli anni Cinquanta Detroit si è ritratta fino ai circa 700.000 abitanti di oggi: «Fra il 2000 e il 2010 la fuga dei suoi residenti si è fatta ancora più intensa, tanto da superare i record funesti raggiunti nel corso del decennio Settanta. Alla fine (…) la popolazione potrebbe stabilizzarsi (…) fra le 500.000 e le 600.000 persone: poco più di un quarto della popolazione registrata all’apice della sua parabola (...). Fra il 1950 e il 2007 sono andati perduti circa 284.000 alloggi a causa di incendi, crolli e demolizioni» (Coppola, pp. 190-191)».


I. Demolizione Le ipotesi che meglio rappresentano il carattere inedito dei problemi da affrontare e la necessità di trovare strade nuove sono riassunte dalla demolizione, dalla decostruzione (recupero e riciclaggio dei materiali) e dall’agricoltura urbana. “Si demolisce per tante ragioni: perché il mercato immobiliare si è dissolto e, quindi, di capitali per le ristrutturazioni proprio non ce ne sono; perché (…) sia il senso comune sia una mole crescente di ricerche dimostrano come il degrado degli edifici abbandonati influisca negativamente sul valore immobiliare di quelle case che, invece, sono ancora abitate; perché i ruderi sono l’ambiente ideale per ogni genere di attività illegale, ma anche il rifugio perfetto per popolazioni indesiderate. Il business delle demolizioni è così diventato il tipico esempio di crescita nel declino, e ancor di più della crescita innovativa nel più tradizionale dei declini: nella Rust Belt, infatti, non solo si demolisce ma sempre di più – sulla scia dell’esperienza artigianale e irregolare degli scrapper, ‘in parte pioniere urbano, in parte pirata e in parte nomade’ – si decostruisce” [pag. 73]


II. Decostruzione La capitale della decostruzione è Buffalo, con il progetto visionario “Buffalo Reuse”. “L’idea è molto semplice: demolire è sempre uno spreco, demolire intere città senza riciclare nulla è un crimine, farlo in città dalla buona archiettura è un genocidio. Così, dal 2006, il suo fondatore – Michael Gainer – è alla guida di un’impresa che predica e pratica la decostruzione, vale a dire la sostituzione delle demolizioni vecchio stile con un processo complesso e minuzioso prima di smontaggio e poi di riciclo di quello che c’è da salvare (...) Ad essere salvati sono (...) lavandini, vasche da bagno, pavimenti, caminetti, finestre, elementi decorativi, scalinate ma anche mattoni, marmi, pietre di fondazione, strutture e soffitti in legno.” [pag. 77] “... Un progetto di decostruzione può ricadere nelle categorie del ‘disassemblaggio strutturale completo’, del soft-stripping oppure del ‘disassemblaggio individuale’... Quando la decostruzione segue questo modello ed è fatta ad arte, il tasso di riciclabilità può raggiungere vette davvero straordinarie, fino all’87%” [pp. 78-79]. Il Journal of the American Planning Association sottolinea che la decostruzione nella Rust Belt può divenire un settore economico vitale : “Particolarmente in quartieri degradati e svantaggiati, può produrre posti di lavoro e formazione professionale, ma anche potenziare attitudini imprenditoriali e permettere lo sviluppo di piccole imprese. Inoltre, il recupero e la rivendita di materiali riciclati genera entrate per le amministrazioni.” [cit. a pag. 85].


III. Food Desert Secondo un Rapporto del 2006 di ricercatori di Chicago sui cosidetti food desert (espressione coniata nel 1990):

“A Motor City (...) erano 550.000 (la maggioranza) i residenti di aree troppo lontane da supermercati e negozi alimentari di qualità per condurre una dieta dignitosa. In molti quartieri, il food balance score era superiore a tre – vale a dire che in media, un alimentari di qualità è tre volte più lontano di un fringe store o fast food (...)” [pag. 121]. “Ma nell’isolamento dei food desert della Rust Belt urbana, sempre più persone stanno scegliendo la strada più diretta alla soluzione dei loro problemi di approvvigionamento. Il deserto urbano può rifiorire e coprirsi di campi coltivati. E fra le rovine delle città possono moltiplicarsi le fattorie urbane, autogestite, biologiche e sostenibili.” [pag. 128].


IV. Agricoltura in terreni inquinati “È molto probabile che in una città come Detroit molti dei terreni vacanti e convertibili all’agricoltura urbana siano contaminati oltre i livelli previsti dalla legge. E non solo dal piombo ma anche, fra gli altri, da zinco, cromo, cadmio, benzene, arsenico, mercurio. Il rischio è che queste sostanze – assorbite dalle piante - siano poi ingerite da chi le consuma, ma anche che entrino in contatto con chi le coltiva. Per aggirare il problema, molti agricoltori urbani ricorrono a letti rialzati e colmi di terra incontaminata. Fra le altre tecniche utilizzate, vi sono anche la rimozione del suolo contaminato e la sua sostituzione con del suolo pulito. Infine, si può anche ricorrere alla tecnica della (...) coltivazione di piante che hanno l’abilità di assorbire e, quindi, rimuovere il piombo dal suolo, come nel caso dei girasoli.” [pag. 167-168]


V. Forme territoriali, densità e città arcipelago “Oggi, in molte città della Rust Belt, l’effetto più visibile dell’arrendersi dello sviluppo è l’imporsi di un processo di de-urbanizzazione che produce una caduta verticale dei livelli di densità, edilizia e umana. A Detroit come a Cleveland, il resistere di una urbanità residua – quella di parte della downtown e dei pochi quartieri ancora funzionanti – si affianca, da un lato, al ritorno della natura selvaggia e, dall’altro, ai nuovi paesaggi dell’agricoltura urbana e della suburbanizzazione de facto di porzioni crescenti del loro territorio”. [pag. 167-168] “La Detroit-arcipelago diviene così alternativa sia al suburbio tradizionale – ai suoi stili di vita iper-consumistici, alla sua cultura della middle-class, alla sua dipendenza dall’automobile – ma anche a quella della città densa e coesa che qui si è dileguata da tempo senza più tornare (...).” [pag. 200]


Siti web: reports e ricerche ! Municipality of Detroit (2012), Detroit Future City. Strategic Framework Plan, Detroit, available on: http://detroitfuturecity.com/ See in particular: “The Land Use Element”, “The Neighborhood Elements”, “The City Sistems Element”. ! Detroit Future City, “Working with Lots. A Field Guide”: http://dfc-lots.com/about/ !! Shrinking Cities Project (En, De, Ru): http://www.shrinkingcities.com/ !! Shrinking Cities Project – DetroiT Report (En, De, Ru): http://www.shrinkingcities.com/detroit.0.html?&L=1


Selezione di articoli dal Web Hollander J., “A Plan to Shrink Detroit (well)”, in Planetizen, February 2013, available on: http://www.planetizen.com/node/60940 Lawrence W., “Taking Back Detroit. Portraits of the Motor City”, in National Geographic on line, available on: http://www.nationalgeographic.com/ taking-back-detroit/index.html Marinelli A., “L’interminabile rinascita di Detroit”, in Corriere della Sera on line, Sezione “Reportage”, available on: http://reportage.corriere.it/esteri/ 2015/linterminabile-rinascita-di-detroit/


Selezione di riferimenti bibliografici

Armondi S. (2011), Disabitare. Storie di spazi separati, Maggioli Editore, Sant’Arcangelo di Romagna, pp. 39-44. Coppola A. (2012), Apocalypse Town. Cronache dalla fine della civiltà urbana, Editori Laterza, Roma-Bari. Oswalt P., Rieniets T. (2006, eds.), Atlas der schrumpfenden Städte / Atlas of Shrinking Cities, German-English, Hatje Cantz Publishers, Spring 2006. Oswalt P., (2006, eds.), Shrinking Cities. Volume 1 International Research German-English, Hatje Cantz Publishers, Spring 2006.


Giulia Fini giulia.fini@polimi.it


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