Pierròt. Maggio 2008

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Anno I - #0/Maggio 2008 - Periodico della Scuola delle Arti della Comunicazione (in attesa di registrazione)

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Ben arrivato Pierròt!

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La Genesi di Pierròt!

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Auguri Pierròt...

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Il Teatro... probabilmente è

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Il Teatro: almento di vita!

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I nostri stages.

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Bla bla bla.

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Le relazioni tra... gli allievi e la bellezza artistica.

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Immagini dello stage del maestro Federico Barsanti.

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Il Teatro è,

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Era ora! Ti stavamo aspettando!

La teoria del punto ingrandito.

Periodico di informazione a cura degli allievi della

Scuola delle Arti della Comunicazione

Centro di Formazione ed Educazione teatrale del Teatro delle Molliche Via Monte Carso, 26 - 70033 Corato (Ba) Tel. 348 52 67 693 - teatrodellemolliche@libero.it www.teatrodellemolliche.it

http://pierrotweb.wordpress.com Direttore responsabile Francesco Martinelli Redazione Elisa Pastore Carlo del Vescovo Cesare De Maio Alessandra Sciancalepore Danilo Macina

Direttore Editoriale Redattore capo Redattore Redattore Redattore

Fotografia Foto di repertorio Illustrazioni Danilo Macina Grafica ed impaginazione Danilo Macina In questo numero hanno collaborato Martina Martinelli, Aurora Giuffrè. Dal PTV di Seravezza: Serena Guardone, Claudia Sodini, Federico Barsanti Il contenuto degli articoli riflette esclusivamente il pensiero dell’Autore e non è necessariamente condiviso da Pierròt. L'unico responsabile è l’Autore che ha fornito i materiali, i dati, le informazioni o che ha espresso le opinioni. Qualora il lettore riscontri errori o inesattezze è pregato di rivolgersi a pierrotweb@libero.it che si impegnerà a correggere o rimuovere informazioni che risultino inesatte o che costituiscano violazione di diritti di terzi. Tutto il materiale pubblicato (articoli, foto, illustrazioni, etc.) è coperto da copyright, tutti i diritti sono riservati, può essere pubblicato altrove, non per usi commerciali, dandoci preavviso o comunque citandone la fonte.

Anno I - Numero 0. Chiuso in redazione il 13 maggio 2008. Chi volesse contribuire inviandoci articoli, foto, materiale, dare suggerimenti o semplicemente contattarci, può farlo scrivendo a: Pierròt c/o Scuola delle Arti della Comunicazione Via Monte Carso, 26 - 70033 Corato (Ba) inviando una e-mail a: pierrotweb@libero.it oppure tramite il nostro Blog: http://pierrotweb.wordpress.com

Tre esperienze a confronto.

La realtà in scena.

Dopo il seminario del maestro Barsanti.

Le disavventure di Pinocchio... p.10 Il Teatro di Babele, della Scimmia e del Mostro.

p.11

dal Piccolo Teatro della Versilia...

Cosa significa scendere fino a Corato... Sono le scuole ad essere gemellate, non gli allievi. O no! Montagne e sale d’attesa.

p.12

Due scuole a confronto

p.14

La grande torre.

p.15

Un patto è tra pochi.

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Inizio di una piccola avventura. p.15 La Creazione. la Bacheca

p.16 in ultima pagina


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l’editoriale

Ben arrivato Pierròt!

Era ora! Ti stavamo aspettando!

B

en arrivato Pierròt! Era ora! Ti stavamo aspettando! Sei un po’ in ritardo! Tu, sempre composto, timido, educato e di poche parole, molto probabilmente non ti sei reso conto della mole di lavoro che c’è da sbrigare qui, adesso! Quando pensavi di cominciare? I commensali sono quasi arrivati e si aspettano un servizio di tutto punto. E’ importante non deludere alcuno di essi.

Elisa Pastore Ecco! Il tavolo è per dodici. Come intendi cominciare Pierròt? Pensa attentamente all’ordine di esecuzione. Non scegliere in base al tempo di preparazione il primo piatto da realizzare. Scegli secondo l’ordine di importanza di ciascun commensale. Rispetta le gerarchie e non dimenticare i ruoli di ognuno. Le tue decisioni devono essere guidate dall’importanza di ogni invitato.

Il signor marchese ha ordinato tacchino alla brace con contorno di fegatini marinati al limone. La signora Marchesa preferisce un piatto leggero. Per lei petto d’anatra ai frutti di bosco. La contessina e sua cugina, chiedono un brodo di cereali mantecati con burro e salvia. Il generale vorrebbe cominciare con un antipasto di cruditè, in pinzimonio alla cipolla. Il figlioletto chiede patate bollite insieme a crema di cioccolato e bevanda dolce alla fragola. La signora, in quanto “donna dell’arma”, gradirebbe agnolotti con sedano e rape in salsa di viole. Il colonnello si accontenta di poisson gratinato ai funghi di bosco e noci. Il funzionario delle poste, è stanco di tante lettere e vuole rilassarsi. Per lui una tisana di erbe all’eucalipto accompagnata da crostata di spinaci, amarena e fiocchi di riso. Per sua moglie andrà benissimo un sufflè di asparagi con crosta di briè zuccherato all’anice. La suocera deve curare l’ipoglicemia, dunque sarà perfetta una glassa di nocciole con pan di spagna ripieno con crema tristrato al latte e meringhe. Il piccolo, nuovo arrivato della famiglia, solo purea di carote e zucca con biscotti di farina bianca al granoturco.

Pensa Pierròt! Pensa bene! Chi è colui che con una parola, ti farebbe sentire grande? Chi è che, se ben servito, sarebbe in grado di darti enormi soddisfazioni? Chi ti farebbe toccare il cielo con un dito, solo con un “grazie”? Pensa! Chi è? Il generale? Lui si che è un pezzo grosso! Oppure il marchese? Ha tanti poderi, potrebbe metterti a suo sevizio, se riverito a dovere! Il funzionario delle poste? Dicono abbia accumulato molti averi da che è in città!

Pierròt: “A tutti, in ordine di importanza devo portare il piatto nella stanza. In fretta devo fare prima che qualcuno pensi di andare. Perciò, sceglierò di accontentare chi per primo sa cos’è cantare, chi riesce a suscitare il piacere di volare chi, anche se solo bambino, sa ascoltare il piacere del divino!” Così ha inizio l’avventura di Pierròt, il giornale della Scuola delle Arti della Comunicazione del “Teatro delle Molliche”. Vi siete mai chiesti perché la nostra scuola è il “Teatro delle molliche”? Bhè, pensiamoci su, non moltissimo, non serve pensare tanto, né è utile pensare senza raccontare il nostro pensiero. Pierròt è qui, è per tutti, è di tutti. Pierròt sa ascoltare con la pazienza di un umile servitore e la sensibilità di un nobile di cuore. Pierròt sarà pronto a raccogliere tutte le molliche, quelle che restano sul tavolo, quelle che cadono sul pavimento, quelle che si seminano per la stanza mentre il pasto viene consumato. Fate tante molliche ragazzi del “Teatro delle Molliche”, e spargetele ovunque, senza paura! Buon lavoro Pierròt!

Oppure la bella contessina! E’ una piena di doti, sai! Che ne pensi della Signora del generale? Si racconta che soffre molto la solitudine e dispone di grandi tesori! La moglie del funzionario delle poste la escluderei, è una sempre molto avara quando si tratta di gratificare qualcuno! La suocera, meglio lasciarla stare, non si accorgerebbe di nulla, connette poco ormai! Insomma, mio buon servitore, chi scegli? pierròt

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M

i appresto a scrivere per il numero 1 di “Pierròt”, il giornale della Scuola. Non ci posso credere: la Scuola ha un giornale! Quindi c’è qualcuno che si è preso il compito di scrivere, di raccogliere il materiale, di curare l’impostazione grafica, di fare stampare il giornale e di distribuirlo. Non riesco a credere che rispetto a tutto questo io debba soloscriveresoloscriveresolo. Questa consapevolezza mi rende maggiormente preoccupato per quello che deciderò di scrivere. E’ come decidere l’abito di nozze… che confusione….farò digestione di cozze….non ricordo se ho le mutande zozze….se sbaglio darò al muro tante di quelle tozze. La prima cosa che razionalmente mi viene da prendere in considerazione è decidere di parlare della Scuola. Sicuramente interesserà gli allievi e chi legge sapere quando nasce la Scuola e cosa è. Sono passati sei anni da quando la Scuola delle Arti della Comunicazione ha iniziato l’attività, mentre il Teatro delle Molliche esiste da dodici anni. Allievi, docenti, attori, esibizioni, lavoro e lavoro; tanto passato che ha lasciato un segno. La memoria di quanto si è succeduto è custodita in me, ma è difficile raccontarla perché la interpreterei senza scrupolo, spinto dalla passione che ho sempre avuto per quel che è stato. Pensieri e fatti che si son fatti pensieri.

La passione è una patologia la cui terapia è l’astinenza, con una prolungata dose di astinenza ci si ebetisce La passione è una patologia la cui terapia è l’astinenza, con una prolungata dose di astinenza ci si ebetisce, ci si abitua all’assenza ricercando presenze alternative che a volte assumono sembianze di incubi, si viene sottoposti ad un incosciente processo di assuefazione alla nuova dimensione che ci edifica e ci mura nel giardino virtuale delle false speranze dove i colori sono a macchie come il cappello dei funghi disegnato dai bambini. Così il paziente guarisce e va al cimitero. La passione è una dimensione intima che si detona come la bomba atomica (Il fungo atomico come lo disegnano i bambini? Come un fungo più grande). Nulla al mondo può costringere il patito a patteggiare. Non esistono ostacoli, né pause di riflessione, si è estremamente onesti con se stessi e le proprie scelte. La passione si proclama, non si pubblicizza, poiché non si ha tempo per raggiungere le masse dei mass media, si arriva troppo stanchi al capezzale che puzza del sudore di ieri, si ha il tempo di spegnere la candela e dire buonasera. La passione non ha un punto d’approdo, non si arriva mai, del resto non si sa neanche dove si sta andando, l’unica cosa di cui ci si assicura è che tutto debba continuare. La passione è sofferenza compensata da un immenso senso di appagamento. I santi hanno vissuto le loro passioni in modo assoluto p.02 pierròt


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Francesco Martinelli vocandosi al martirio e alla vita beata. A Lourdes e a San Giovanni Rotondo ho visto testimonianze concrete dei luoghi di passione di alcuni santi moderni. Sono certo che il visitatore sprovveduto rimane colpito e mortificato a visitare la cella di Padre Pio o la piccola casa claustrofobica di Bernadette, ma io so che quello era il loro mondo, il loro luogo di passione e altro non avrebbero voluto se non quello. Dai santi si può percepire cosa significa patire per passione. Da quei luoghi definiti, circoscritti, lontani dalle vie di fuga, dimenticati dai più, da lì sono sorti larghi imperi del bene. Come si allarga un punto? Non colorando subito intorno, ma segnando prima una grande circonferenza che lo circoscrive e solo poi colorando dentro, a sua volta questo nuovo grande punto si allarga tracciando una circonferenza ancora più grande e continuando a dipingere. Ogni punto deve avere il suo recinto per potersi allargare. Ma chi traccia la circonferenza intorno a questo punto? Non è la stessa persona che provvede a colorarlo, questi accerta solamente che c’è dello spazio necessariamente da riempire. Allora chi sente l’esigenza di allargare il punto piccolo e poi il punto più grande? La Fatalità, il Destino, la Provvidenza. Noi siamo artefici del riempimento non dell’allargamento, ma se non riempiamo di con-

stelle o del deserto, quello che fa la loro bellezza è invisibile. Questo che io vedo non è che la scorza. Il più importante è invisibile.” Termino così il mio scritto accorgendomi di essere andato oltre l’intento che mi ero prefissato: parlare della Scuola. Ho parlato di passione e con passione senza dire nulla sul passato, sul presente e sul futuro della Scuola. Le vicende, i fatti, le storie che riguardano la passione di un uomo possono essere raccontate solo da un altro uomo, mai da se stesso.

Grafico della teoria del punto ingrandito e genesi di Pierròt Passione

Non sono stato io a scegliere di fare Teatro ma è stato il Teatro a scegliere me; seguenza nessuno potrà allargare. Non sono stato io a scegliere di fare Teatro ma è stato il Teatro a scegliere me; non sono stato io a costituire il Teatro delle Molliche e a fondare la Scuola delle Arti della Comunicazione ma è il Teatro delle Molliche e la Scuola della Arti della Comunicazione che mi hanno utilizzato per esistere. La passione da vocabolario è definita come: stato di un soggetto che si trova sotto l’influsso di un principio estrinseco. La passione non ha limite, perché è un limite, con il quale ci si confronta caparbiamente e incessantemente, utilizzando strategie: forza e debolezza, presunzione e umiltà.

Circonferenza tracciata dalla fatalità, destino, provvidenza

Pierròt

La passione ha tante limitazioni che possono essere vinte solo dalle capacità positive del pensiero: fantasia, creatività, stato visionario. Gli anziani da sempre dicono che volere è potere. Le avversità del tempo (nella sua eccezione di epoca e stato meteorologico), lo stato angusto e inusato dello spazio, le condizioni economiche proibitive, le apatie altrui… è tutto superabile con quella che lo scrittore Alfred Jarry chiamava la “patafisica”, ovvero la scienza delle soluzioni immaginarie, bisogna essere tutti dei dottor Faustroll (da Faust-troll = folletto, spiritello). Ho sempre visto ciò che non c’è, o meglio ciò che sarebbe bello vedere, proprio come nel libro “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupery: “Mi è sempre piaciuto il deserto. Ci si siede su una duna di sabbia. Non si vede nulla. Non si sente nulla. E tuttavia qualche cosa risplende in silenzio. Ciò che abbellisce il deserto è che nasconde un pozzo in qualche luogo. Che si tratti di una casa, delle pierròt p.03


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Auguri Pierròt… Carlo del Vescovo

A

l di là dell’acrostico formulato dall’abile collega Danilo, spero che il nome Pierròt abbia più di ogni altra cosa un potere esorcizzante. Pierròt è inequivocabilmente associato alla sua perenne lacrima. Le nostre parole scritte saranno ispirate da questa lacrima che ora esiste ineluttabilmente e di cui in futuro, se asciugata, non avremo nessuna nostalgia. La partenza è sotto il segno della presa di coscienza che c’è poco nella nostra terra di cui ridere o almeno sorridere. Questo non significa affatto che il leit motive che caratterizzerà il percorso del giornale sarà l’autocommiserazione. Questo approccio si rivela ghettizzante e poco divulgativo. Proprio per questo l’apertura dei lavori consiste nel sottolineare le potenzialità di questo giornale. Il teatro è condivisione. Noi allievi non abbiamo una coscienza artistica poiché abbiamo solo percepito lontanamente la potenza nobilizzante dell’arte. Quindi per ora ciò che ci pungola è la curiosità. La curiosità è un sentimento della persona di per sé già nobile in quanto allontana il male diffuso della noia che ottunde le energie. La curiosità è l’albero giovane al momento senza frutti la cui bellezza è ammirata soprattutto poiché è simbolo di rigenerazione, quindi di nuova vita. La curiosità quindi deve convertirsi in nuova conoscenza. La funzione del giornale per la crescita degli allievi si potrebbe incastonare in questo processo. La condivisione di idee, riflessioni, sensazioni alimenterà senza dubbio la capacità di tutti di crescere nel nostro percorso. Ognuno di noi raggiungerà una forma di conoscenza in base alla propria maturità, sensibilità, cultura, condizione d’animo. Il primo monito sarà: “Condividete le vostre conoscenze con Pierròt!!”. Il teatro è audacia. Lo scopo della condivisione è quello di andare oltre le mura della scuola di teatro. Portare le nostre conoscenze agli altri affinché vengano elaborate e valutate. Il gioco è interessante e la sorte premia gli audaci quindi l’altro monito è “Osate con il vostro pensiero, Pierròt non si spaventerà!”. Il teatro è umiltà. L’audacia che verrà premiata sarà quella di chi non ha paura di esprimere le proprie idee ma nel contempo anche di chi sarà disposto ad accogliere quelle degli altri con rispetto e generosità. Quindi “ascoltate i consigli di Pierròt!”. Buon lavoro a tutti.

Il Teatro… probabilmente è

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per Martina

orse non ho ancora capito cosa sia il teatro ma credo che non sia importante il suo significato ma solo le sensazioni che è capace di dare l’emozione che si prova nel relazionarsi con gli altri, respirarsi, sentire che si fa parte di un tutt’uno con gli attori il palcoscenico lo spazio il tempo e il pubblico. Imparare a controllare i propri movimenti le emozioni e cercare di emozionare gli altri con il corpo con la voce con i pensieri che passano attraverso lo sguardo. Non siamo attori e forse non lo diventeremo mai ma non è questo che importa ciò che conta è essere lì avere questa opportunità, giocare con se stessi e con gli altri, capire che essere su quel palco è già una vittoria perchè non tutti sono capaci di iniziare ma ancor di più di proseguire questa strada che è vero rappresenta una “amplificazione della realtà”. Forse la verità è che siamo tutti attori nella vita reale e che solo sul palcoscenico siamo capaci di essere noi stessi perchè ci dobbiamo mettere a nudo, mostrarci per quello che siamo veramente con tutte le difficoltà i dubbi e le paure. Non so, temiamo sempre di essere giudicati ma in realtà non importa ciò che gli altri pensano di noi il miglior censore di te stesso sei tu sapendo di poter fare e dover fare sempre di più.

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per Aurora

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o del teatro non so parlare, non lo vedo, non lo ascolto, non lo mangio, non lo tocco, non lo annuso. Bisogna, però, usare questi sensi per esserlo o almeno per provare ad esserlo. Ritmo, ritmo, ritmo…ta, ta, ta. Il teatro è ritmo. Sentire il ritmo dell’attore. Sentire il respiro, quasi percepire il battito. Fare l’amore dice il maestro Francesco, provare piacere, fare l’amore coi sensi e perdere la propria identità. Fare della propria realtà e del proprio tempo quelli del personaggio. Sentire, provare, e sopportare la fatica tenere l’energia, il controllo assoluto del corpo, la consapevolezza del corpo. Ma tutto ciò è tecnica o teatro?


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Il teatro: alimento di vita!

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opo trentasei anni di lavoro come insegnante sono andato in pensione. O meglio, ho deciso di andare in pensione…così mi piace pensare. Chiunque immagini questo momento ma non ci sia ancora passato ama sognare di lunghe giornate oziose trascorse a leggere libri, a curare il proprio giardino, l’amore dei propri cari di cui si possa finalmente godere, le lunghe passeggiate, la natura… (e la lista sarebbe davvero interminabile); in altre parole tutto quello che durante la vita avremmo voluto fare ma che, purtroppo non abbiamo mai avuto il tempo di fare…e perché?... per colpa del nostro lavoro; il logorante, incessante, obbligo lavorativo che ci perseguita quotidianamente. Ebbene, dimenticate tutto questo…. quando sarete in pensione penserete con rimpianto al lavoro. Non solo vi sembrerà più soddisfacente delle passeggiate bucoliche che vi sarete prefigurati durante i momenti di sconforto della vostra “attività lavorativa”, ma raggiungerete la consapevolezza che esso è entrato a far parte della vostra vita e vi mancherà spudoratamente. “Ebbene” dicevo tra me “dopo aver dato tanto alla vita è ora che lei dia qualcosa a me!”. Dicevo, ma dentro me ero profondamente combattuto, da un lato mi sentivo pervaso da un forte spirito creativo, dall’altro, da una profonda apatia e dal rimpianto per tutto quello che ormai aveva cessato di esistere…. con l’amara consapevolezza dei “limiti”che il passare inesorabile del tempo aveva attribuito alle mie umane capacità. Ma quando sei di fronte a un bivio devi prima o poi scegliere … e il mio bivio era vivere o morire. Ora, non è per assurgere il ruolo dell’Amleto della situazione …dico solo che l’idea di trascorrere il resto delle mie giornate a giocare a carte in qualche circolo di ex-lavoratori, (così prediligo definire i miei colleghi pensionati) mi dava i brividi. E così è arrivata la fase di iperattività: mi sono iscritto in palestra, corsi di lingue, di informatica che ho frequentato e che continuo a frequentare con entusiasmo (anche se tuttora, per me, l’apertura di un foglio di excel rappresenta uno dei tanti misteri del creato che non mi è stato concesso di conoscere in questa vita…); ma ovunque avevo la sensazione di essere fuori luogo! Un giorno, quasi per caso, anche se niente mai lo è, la mia attenzione è stata catturata da un manifesto in cui veniva sponsorizzato un corso per attività di teatro. “Mi piacerebbe” pensai, ma subito dopo pensai anche che avrei fatto bene a starmene a casa. “Oltretutto alla mia età?”… “Cosa avrebbe potuto pensare la gente? Per non parlare dei miei famigliari…. recentemente sono anche diventato nonno”. “Proprio no” pensavo e quasi contemporaneamente digitavo il numero di telefono cui bisognava rivolgersi per avere maggiori informazioni sul corso. Confesso che in merito ero del tutto ignorante. In realtà, la mia paura più grande era pensare che se avessi accettato questa nuova sfida avrei dovuto mettermi a nudo, spogliarmi della rispettabile e compiacente immagine di professore di scuola superiore che mi ero costruito in tanti anni di carriera e fare i conti con il nemico più spietato che ogni uomo possa temere: avevo paura di me stesso. Eppure il fatto che mi sentissi così naturalmente attratto e così spontaneamente coinvolto in questa nuova avventura mi lasciava presagire che nulla di cosi terribilmente “vergognoso” mi sarebbe potuto accadere.

Cesare De Maio

Alcuni lo chiamano sesto senso…però ora sono al secondo anno di corso. Se qualcuno mi chiedesse cosa rappresenti per me il teatro, gli risponderei prontamente che il teatro è il mio alimento di vita. E’ lo scorrere della vita, è viverne tante; é qualcosa di divino, al di sopra e dentro ogni essere umano, nella pelle e in ogni sensazione che promana dai personaggi.

Se qualcuno mi chiedesse cosa rappresenti per me il teatro, gli risponderei prontamente che “il teatro è il mio alimento di vita”. E’ vero che per interpretare un personaggio è necessario analizzarlo storicamente, socialmente, psicologicamente. Tuttavia questa analisi squisitamente tecnica conduce ad una nuova consapevolezza: l’essere umano è diverso e allo stesso tempo uguale agli altri. L’essenza intima dell’uomo supera le contingenze storiche e sociali per confluire nella universalità dei valori umani. Questa consapevolezza conduce ad una analisi introspettiva di se stessi, ad una sorta di liberazione. Quando sono insieme al mio gruppo di studio teatrale, e nonostante sia il più anziano tra di loro, sento di non essere fuori luogo. Mi piace pensare che l’età non sia un mio limite ma un vantaggio. Forse sono più ricco di esperienza rispetto a loro e allo stesso tempo intimamente uguale a loro. Con le stesse paure, le stesse gioie, le stesse vittorie. Con la stessa grande passione per l’arte teatrale. E poi infondo cos’è la vita? Non è forse un grande palcoscenico? E forse non siamo noi, come “qualcuno” ha detto tutti personaggi in cerca di un autore?

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I nostri stages.

Tre esperienze a confronto.

Elisa Pastore

Quest’anno a scuola, fino al mese di aprile, noi allievi abbiamo potuto seguire tre seminari completamente gratuiti. A gennaio con la maestra Elisabetta Gustini, a marzo con il maestro Federico Barsanti e ad aprile con il maestro Rolando Macrini. Per quest’ultimo stage gli allievi hanno dovuto versare una quota di partecipazione di 10 Euro. Il maestro Martinelli, quando ci ha comunicato la “novità” ha provato un imbarazzo spiazzante. Pareva avesse quasi vergogna a “chiedere” quel contributo, a dir poco irrisorio. Qualcuno si è mai chiesto chi è che paga i maestri che tengono per noi allievi i seminari teatrali? Io si, ma non ho una risposta. So solo che le esperienze formative che facciamo in quel posto (la nostra scuola) non potremo farle da nessun altra parte. So solo che la nostra scuola regala un grande senso di appartenenza a chi la frequenta. So solo che se a lezione fa freddo, non è colpa del maestro Francesco. So solo che il maestro Francesco si è impegnato a rendere la scuola più accogliente e più somigliante a un “vero teatro”, senza chiedere nulla a nessuno. So solo che se ci rendessimo un po’ più conto che quello che riesce a fare una sola persona sarebbe molto meno difficile da realizzare con la collaborazione di tutti, sarebbe un gran bene per tanti. So solo che gli allievi di una scuola di recitazione sono “diversi” dalla gente che sta fuori, hanno una sensibilità più acuta, per questo so che non è inutile dire queste cose a “Pierròt”. So solo che nessuno regala niente a nessuno, eccetto il maestro Francesco.

Bla bla bla.

La realtà in scena.

A

gennaio la regista Elisabetta Gustini ha tenuto un seminario a Corato della durata di quattro giorni, per otto ore al giorno. Guidati dalla regista, noi allievi abbiamo provato a “costruire” una rappresentazione teatrale: “Le nozze” di Cechov, conclusasi con un momento di studio aperto al pubblico. Non voglio descrivere come si monta una scena, non saprei farlo, non è una scienza universale. Sono rimasta colpita da un avvenimento. E’ successo che mentre procedevamo all’assegnazione delle parti, un allievo del primo anno ha obiettato, o meglio, ha detto: “Questo personaggio dice una sola battuta, potrei cambiare la mia parte con un’altra?” La Gustini ha spalancato gli occhi, e ha risposto: “Il teatro non è fatto di parole, non è importante quanto uno dica! A teatro nessun personaggio è più o meno rilevante in base al numero di battute che dice. Conta ben altro.” L’essere umano proietta tutto verso un’unica direzione: “la quantità”. L’importante è il di più, considerato sotto forma di materia. La sostanza non ha rilevanza il “più” delle volte. Il maestro Martinelli dice sempre che “il teatro sta nel bianco tra una battuta e l’altra”. Il bianco è qualcosa che si riempie coi fatti. I fatti sono le azioni concrete. Le azioni sono sostanza. (La sostanza è materia!) Non è con la parola che si fa teatro. Tutti i giorni scorrono chilometri di parole, a cui non segue niente, e niente le parole rimangono. Dovrebbe succedere pressappoco l’opposto, sul palcoscenico!

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Elisa Pastore

Mi sono chiesta allora: “Come e quali sono le azioni che un attore deve compiere? C’è un decalogo da seguire? Esiste un unico modo per fare una scena? L’attore deve seguire alla lettera le indicazioni del regista? Ogni movimento deve sempre essere guidato? E da chi? Come scaturisce la sostanza, la materia, a teatro?” Molti anni fa alcuni fisici elaborarono una teoria che fece e continua a fare molto discutere: la teoria dei quanti o quantistica. La Fisica del Quanti, in effetti, prevede che in determinate condizioni la materia possa scaturire dal nulla. Una interpretazione del principio quantistico denominato "Probabilismo", depone a favore del libero arbitrio. Una lettura a trecentosessanta gradi della diseguaglianza di Bell (che dimostra la possibilità di azioni a distanza) prova che l’universo non può più essere considerato una mera collezione di oggetti, ma una inseparabile rete di modelli di energia vibrante, nei quali nessun componente ha realtà indipendente dal tutto. Ho trovato così una risposta tutta mia alle domande poste. In scena è tutto acasuale, perché frutto di una precedente, attenta “preparazione”, ma credo fermamente che per rendere un’emozione allo spettatore, l’attore debba riuscire ad agire interagendo con forme, corpi e oggetti lì presenti come se fossero a lui nuovi sempre, trasformando l’acasualità dei movimenti e delle azioni, in istinto del momento. L’universo che esiste sul palcoscenico non può essere considerato una collezione di oggetti, ma un’inseparabile rete di modelli di energia vibrante, nei quali nessun componente ha realtà indipendente dal tutto. Se l’attore riesce a fare questo può anche restare muto in scena, ha comunque ‘svolto il suo compito’ (si spera)!


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Le relazioni tra… gli allievi e la bellezza artistica. Impressioni sul seminario tenuto dal Maestro Federico Barsanti, direttore del Piccolo Teatro della Versilia presso la Scuola delle Arti della Comunicazione del Teatro delle Molliche.

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e cinque giornate di Corato si sono articolate in una intensa successione di momenti che è impossibile da ben definire o schematizzare nella sua totalità da parte degli allievi del primo anno (come chi scrive). Penso allo stesso tempo che il seminario è intimamente ormai patrimonio inconsapevole dei partecipanti e che solo la disattenzione o la deconcentrazione poteva allontanare gli allievi dalla pregnanza dei suoi contenuti.

Il motivo principale per cui ho deciso di scrivere queste righe è il voler comunicare semplicemente ai maestri le mie impressioni di fruitore del seminario. Spero che queste, una volta filtrate dal loro punto di vista di maestri, possano costituire spunto di riflessioni. Piena mi è apparsa la condivisione di intenti delle due scuole nella concezione del ruolo dell’attore e del regista. La creazione della scena appare come un processo in cui si confrontano in modo serrato la “libera” proposta dell’attore e la correzione meticolosa del regista. Questo, senza sacrificare il momento creativo dell’attore, guida le sue intenzioni espressive. I canali espressivi dell’attore a cui si è fatto cenno nel seminario sono la voce e il corpo. Non è stata affrontata in pieno la tematica della voce, mentre importanti nozioni sono state espresse riguardo l’uso del corpo. A tutti i partecipanti non potrà essere sicuramente sfuggito il valore dell’espediente didattico della “gelatina”. Lo spazio è colmo di gelatina quindi il moto del corpo in scena non è più gratuito e senza effetti sullo spazio ma lo modella e lo modifica (al maestro Barsanti forse piacerebbe dire irreversibilmente). Non mi è apparso chiaro sin dall’inizio il significato della “gelatina” poiché la metafora dello spazio gelatinoso è stata utilizzata in due modi che non riuscivo inizialmente a far collimare.

Carlo del Vescovo

Il primo modo in cui si è cercato di intendere il significato dello spazio gelatinoso può essere sintetizzato con una similitudine con la pittura (confermata dal maestro Barsanti). Si immagini lo spazio come la tela del pittore completamente ricoperta di un unico colore. L’attore si muove sulla tela spostando il colore dando vita ad una immaginaria raffigurazione. Questa dovrà apparire, secondo le indicazioni del maestro Barsanti, senza tentennamenti o inutili ed errati tratti. Nel secondo modo, lo spazio gelatinoso diveniva il luogo in cui si instaurano i flussi energetici degli attori. Questi tramite i loro movimenti contribuiscono a comprimere o ad espandere attorno a loro lo spazio che immagazzina o rilascia l’energia che gli attori conferiscono allo spazio scenico. Mi si potrebbe obiettare che l’incomprensione può essere superata se si sposta l’attenzione dal semplice espediente didattico alla volontà da parte del maestro Barsanti di sottolineare l’importanza della presa consapevole dello spazio da parte dell’attore. L’attore prende coscienza dello spazio come una entità da utilizzare con cura e nel modo più opportuno senza timore ma senza oltraggiarla. A seguito della presa di coscienza dello spazio sorge naturale ed indispensabile la curiosità dell’allievo circa il come agire al suo interno. Cosa deve inspirare la presa dello spazio? Qual è la metrica da adottare in questa fase da parte dell’attore? L’indicazione chiara fornita dal maestro Barsanti consiste nel perseguire la extraquotidianità dei personaggi. L’attore si cala nel personaggio e ne interpreta il ruolo senza far permeare in scena la quotidianità dell’attore-persona. Rimane irrisolto un annoso problema. Dove si attinge l’extraquotidiano? Questo aspetto non è stato sollevato dagli allievi forse per stanchezza dinanzi alla

quantità di concetti esposti durante il seminario. E’ per questo che mi va di soffermarmi su questo aspetto grazie alla possibilità che il giornale offre. Ovviamente ciò che sto per dire rientra nell’ambito delle mie opinioni e delle mie riflessioni. Mi viene facile andare a rispolverare un tema che chi scrive ha particolarmente a mente. Mi viene di pensare di identificare l’extraquotidiano evocato dal maestro Barsanti con la bellezza assoluta che è possibile ritrovare in natura o nelle forme d’arte più elevate. Certamente ognuno di noi percepisce una esigenza di extraquotidiano, ma è veramente difficile comprendere cosa si intende con ciò nelle nostre grigie periferie o nei nostri centri trafficati. Potrei pensare forse che i nostri colleghi che vivono sulle ridenti colline toscane hanno più elementi da cui trarre ispirazione? Non tutti hanno la fortuna di avere dei buoni informatori che ci aiutano a focalizzare la bellezza della natura non violata o di opere d’arte e quindi riuscire a volgere lo sguardo oltre il reticolo del nostro consueto scenario quotidiano. Riportare nel movimento di una mano la stessa flessuosità di un ramo sotto l’effetto del vento oppure imprimere nel proprio sguardo la tensione delle onde che si infrangono sugli scogli in una giornata di tempesta, possono essere solo alcuni esempi di cosa può significare proiettare forme di bellezza extraquotidiana nella propria espressività in scena. I maestri ci indichino le fonti e noi sgraneremo gli occhi.

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Immagini dello stage del maestro Federico Barsanti.

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Momenti di confronto e messa in scena delle parti assegnate.

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IL TEATRO è,

dopo il seminario del maestro Barsanti

Elisa Pastore

“Il Teatro è l’amplificazione della realtà.”

(Federico Barsanti)

“Il teatro è incontro. Il teatro è partecipazione. Il teatro è il suolo. Il teatro è di tutti. Il teatro è.”

(Francesco Martinelli)

“Il teatro è la vita; è uno scavo; è la liturgia delle verità; è un evento; è il luogo in cui un attore racconta una storia in uno spazio definito e in un tempo più piccolo rispetto a quello in cui si verificano gli eventi; è la rappresentazione della realtà...”

I

(gli allievi)

l principio da cui tutto parte e si evolve in qualcosa, è il fondo. Indispensabili per costruire una casa di campagna o un grattacielo sono le fondamenta. Così è per il teatro. Come per ogni “arte” il principio è lo scoglio più faticoso. La fatica è un pericolo, perché manda indietro e scoraggia. Allora l’arte sta nel far sembrare poca la fatica. Allora l’arte sta nel far sembrare il teatro un gioco. Allora l’arte sta anche nel gioco con la palla? Per me lì l’arte finisce. Se a teatro molto è fatica, è impegno, è sacrificio, vuol dire che è cosa per pochi. Allora perché c’è bisogno del gioco della palla per preparare gli allievi al palcoscenico? Perché c’è bisogno sempre di un mezzo banale per tradurre le cose dell’arte e farle arrivare a tutti? Se si continuano a usare dei “mezzi alternativi” per spiegare ogni cosa, è naturale che si crei il distinguo fare teatro e essere teatro, tra gli attori. E’ sempre la stessa storia: c’è bisogno di tanti milioni di lingue quanti sono gli esseri viventi, perché tutti riescano a capire le stesse cose! A teatro poi! Non ne parliamo! Al termine di un qualunque spettacolo teatrale, ad esempio, si innesca un meccanismo complesso: per uno spettatore il protagonista impersona uno depresso, per un altro fa la parte dell’egoista, per un altro ancora somiglia a un cinico astuto, eccetera eccetera.. Insomma ognuno capisce a modo proprio. Però il teatro è incontro, è partecipazione, è il suolo, è di tutti, è arte. E l’arte è frutto del pensiero, è filosofia, è percezione intima. E’ caos! E non importa capire, non c’è nulla da capire. Per questo gli spettatori non hanno bisogno di fare il gioco della palla prima di vedere lo spettacolo! Dunque, anche se non tutti capiscono le stesse cose, poco male! IL TEATRO E’UNA SCOPERTA PERSONALE ed è bene che ogni allievo scopra a suo modo, con tempo, fatica e impegno – senza giocare a palla.

“Le Disavventure di Pinocchio…” Alessandra Sciancalepore

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omenica 9 Marzo 2008… il Piccolo Teatro della Versilia diretto da Federico Barsanti, nell’ambito dello stage “L’ improvvisazione teatrale” tenuto a Corato dal 7 all’ 11 marzo, ha presentato lo spettacolo “Le Disavventure di Pinocchio” drammaturgia curata dagli attori del PTV, Regia del maestro Federico Barsanti. Pinocchio…un burattino vestito di bianco, un punto di luce e purezza, alle prese con situazioni e personaggi “colorati”, portatori di vissuti e sentimenti di cui Pinocchio è ancora ignaro. Attori sempre in scena che con pochi oggetti creano un tripudio di suoni, rumori e personaggi….ed è così che con andamento circolare, quasi a rappresentare la casualità degli eventi in cui Pinocchio si imbatte, si materializzano personaggi come Geppetto, Mangiafuoco, il Grillo parlante, la Fata turchina, il Gatto e la Volpe,

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Lucignolo…tutti letti in chiave non bonaria, esercitano un fascino tale sul povero burattino da non lasciargli possibilità di salvezza! Teatro d’attore… dice bene Mariangela Graziani, docente di dizione…un teatro che non si avvale di scenografie, ”trovate”, musiche pompose per coinvolgere, ma punta sulle potenzialità espressive, gestuali e vocali dell’attore per catturare l’attenzione di spettatori di tutte le età!


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Il Teatro di Babele, della Scimmia e del Mostro. Il seminario di Rolando Macrini direttore del CUT di Viterbo.

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amminare…Stop…Camminare… Stop…Avanti…Alt. Sono comandi semplici e immediati che rientrano apparentemente nella capacità d’esecuzione degli allievi. E’ un esercizio già affrontato durante le lezioni della scuola ma l’esecuzione scontenta Macrini per la mancanza di armonia dei movimenti. Gli allievi infatti trascurano che il destinatario del comando è il coro. Gli allievi devono agire nell’ottica di apparire come un unico corpo. Alla luce di questo, la reattività di ognuno diventa interesse e preoccupazione di tutto il gruppo. L’allievo deve smettere di concepirsi come componente isolato di un gruppo di colleghi, ma come tassello di un mosaico in cui ognuno partecipa attivamente all’immagine che si manifesta dalla scena al pubblico nella sua unicità, creando quello che nel seminario verra chiamato pictures. La picture è una posa statica degli attori in cui ognuno perde la propria identità e diventa funzionale ad una visione d’insieme. Il coro deve creare in scena un’ immagine la cui estetica si giustifica nella sua unicità. Il coro nelle pictures deve presentarsi come un mosaico e ogni attore è un tassello. La battuta dell’attore è la messa in primo piano di un tassello senza che questo penalizzi l’immagine d’insieme. Nella realizzazione delle pictures si manifesta un aspetto importante del regista Macrini: la semplicità e l’efficacia delle sue scelte. Gli allievi camminano e al battito delle mani di Macrini, ognuno di essi deve creare un contatto con una parte del corpo del collega più vicino. In questo modo si genera un’immagine di attori serrata e bella perché naturalmente si genera un groviglio di corpi variegato e che affascina chi la osserva. Emblematico è l’accostamento di Macrini tra una picture realizzata dagli allievi e una visione dantesca di dannati. L’unicità del coro mette inevitabilmente in crisi un aspetto scontato del teatro inteso dagli allievi inesperti: le relazioni tra i personaggi. La novità infatti è che l’unica relazione esistente e ammissibile è quella con il pubblico. La comunicazione nelle picture ha una univoca e corretta direzione: dal palco

al pubblico. L’attore deve costantemente avere a mente che l’unico recipiente delle proprie battute è il pubblico. La scena è legittimata dalla possibilità che si dà allo spettatore di essere il recettore delle battute che devono essere pertanto chiare, senza tentennamenti di voce, pulite e soprattutto rivolte al pubblico. Il primo giorno si conclude con la condivisione con gli allievi del “problema del cinese”. Macrini ha presentato la sua vita di regista profondamente segnata dall’incontro con Ellen Stewart, molto più nota con il nome di Mama, di cui è stato in seguito allievo personale. Macrini è a Spoleto con il suo “Il grande inquisitore” di Dostoevskij. Mama incontrandolo gli chiede se un cinese avrebbe mai capito il suo spettacolo. Macrini vede confutato il suo lavoro da un punto di vista comunicativo e viene illuminato da questa istanza presentata dalla sua maestra. Il problema del cinese è perfettamente inscrivibile nella importanza del ruolo del pubblico secondo Macrini. La raggiungibilità del pubblico viene presentata come un problema che deve continuamente preoccupare e assillare il regista che deve superare l’ostacolo posto dalla dimensione convenzionale della lingua. L’altro grande tema affrontato nel seminario è lo spazio. Nell’affrontare questa tematica Macrini ci presenta una sua tecnica per effettuare quello che in seguito ha chiamato la presa in giro dello spazio. Gli allievi camminano seguendo il percorso per raggiungere idealmente i diversi ambienti della propria casa. Si crea così, in modo simultaneo, un moto naturale degli allievi che raggiungono un punto preciso della scena, intrecciando i propri percorsi. Si genera un effetto di penetrazione dello spazio che viene sconvolto. La possibilità di interpretare due miti: ”Il filo di Arianna” e “Piramo e Tisbe” ha costituito un importante occasione per gli allievi. I temi principali dei due miti sono l’amore e la morte. La tragicità nasce dalla contrapposizione di questi due elementi imprescindibili della nostra esistenza. La ricerca da parte della morte di prevaricare

Carlo del Vescovo

e sopraffare l’amore è la causa della tragedia. In questo contesto Macrini ha chiesto agli attori di interpretare questa contrapposizione accentuando i vari stati d’animo derivanti dalla situazione tragica: l’angoscia di Arianna, il terrore di Teseo di affrontare il labirinto, i versi mostruosi del Minotauro, la lotta tra Teseo e il mostro, l’amore di Piramo e Tisbe negato dalla sorte che li condanna al suicidio. La prova era ardua ed in parte è fallita forse per la superficialità degli allievi che non sono riusciti a raccogliere il principale suggerimento di Macrini. Il regista ci ha spronati continuamente a donare se stessi per comunicare con forza il senso tragico dei miti. Significativo è il gesto di Macrini del taglio delle vene con cui ha voluto comunicare simbolicamente l’esasperata tensione con cui dovevano essere interpretati i due miti. Al taglio delle vene si è purtroppo contrapposta una interpretazione degli allievi per niente soddisfacente e che ha evocato nell’impietoso Macrini simbolicamente più di ogni altra cosa l’immagine di gente alle prese con “un gelato al pistacchio”, piuttosto che con aspetti fondanti della nostra vita come l’amore e la morte. Di seguito è stato presentato in cenni il teatro della “Scimmia”. Agli allievi è stato chiesto di recitare il mito di Arianna e Teseo “al contrario”, e cioè di ripercorrere la scena dalla fine all’inizio. Si tratta di una richiesta molto esigente nei confronti dell’attore, infatti Macrini ha confermato che il teatro della “scimmia” è un vero e proprio esercizio con cui l’attore manifesta realmente le propria capacità. Sempre nell’ambito della interpretazione dei miti è stata incastonata la presentazione del teatro del “mostro”. Macrini descrive il “mostro” come il risultato di un processo di disumanizzazione dell’attore. Il mostro è ripugnante, appartiene ad uno stadio dell’evoluzione dell’uomo imprecisata ma allo stesso tempo ne serba in sé alcuni aspetti poetici come la ricerca dell’affetto e della comprensione.

Rolando Macrini si è formato teatralmente a New York presso l’Off-Off-Broadway. Importante per la sua formazione è stata l’esperienza del Living Theatre che ha rappresentato la compagine teatrale e culturale americana più nota in tema di conflitti sociali e lotta al sistema. Apporto grazie all’esistenza preziosa di questo giornale una nota personale. Per chi è cresciuto a ridosso della caduta del muro e che ha avuto la fortuna di intercettare l’importanza di quel evento alcuni momenti del seminario hanno avuto il fascino di chi in cantina riapre contenitori abbandonati di libri impolverati che raccontano storie di cui in un tempo passato si aveva subito il fascino. Allo stesso tempo è innegabile la triste rassegnazione con cui dover prendere atto che i giochi sono fatti e che il vincitore è sancito. La società dei consumi è il risultato di una strategia capitalistica che ha scansato ogni confronto e contraddittorio. Macrini ci ha confessato che i suoi spettacoli sono recensiti come “revivalisti”. Per me il seminario è stato in alcuni momenti un “re-emotion” con cui il mio cuore militante ha subito la fibrillazione che ha permesso il suo ultimo sussulto. Grazie.

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dal Piccolo Teatro

Cosa significa scendere fino a Corato...

Federico Barsanti

Direttore del Piccolo Teatro della Versilia

Cosa significa scendere fino a Corato, attraversare mezza Italia, percorrendo un gran tratto di strada antica, costruita in piena epopea romana, e un’ autostrada sorretta da enormi pali di cemento? Ogni anno, mentre scendo con gli allievi di Seravezza, ogni anno, quando ritorno verso casa, mi pongo questa domanda: che cosa significa? Tante risposte le trovo svolgendo il mio lavoro in quella cittadina a me tanto cara; quest’anno ho una risposta che suona così: trovo una scuola, un luogo dove il maestro Martinelli sta educando gli allievi alla disciplina teatrale, dove gli allievi, con la propria presenza, rivendicano il proprio voler conoscere, imparare ad avvicinarsi ad un’arte complicata e semplice, sottile e calibrata, maledettamente intrigante e difficile quale l’arte del Teatro. In questa Scuola delle Arti della Comunicazione mi confronto con una realtà distante e vicina, differente dalla nostra per le problematiche sociali in cui vive, diversa anche dal modo in cui è vissuta dagli allievi stessi. A Corato, ad esempio, solo da due anni il corso è aperto ad ogni fascia d’età e questo sta facendo una grande differenza rispetto agli anni passati: sono curioso di vedere cosa succederà nei prossimi tre.

Senz’altro, e ne abbiamo parlato a lungo io e il maestro Francesco, il fatto di avere gruppi senza limite di età migliora gli equilibri interni, rafforza e snellisce il lavoro faticoso che l’allievo alle prime armi deve sobbarcarsi per vincere paure, ansie e titubanze. Per gli insegnanti invece, il discorso può diventare più complicato sotto certi aspetti, perché quanto più una persona è adulta tanto più ha in sé atteggiamenti fisici e psicologici “fissati” e quindi più difficili da rimuovere. Vero è che ci sono molte eccezioni. A Corato trovo una Scuola giovane, fatta di allievi che stanno cercando di capire qualcosa riguardo agli infiniti meccanismi che regolano l’arte attoriale; allievi che devono imparare a rafforzare il senso della disciplina, e che forse ci stanno provando. Sono tredici anni che dirigo la mia scuola e comincio a rendermi conto da poco quanti cambiamenti abbia attuato in tutto questo tempo: in primis riguardante la mia persona e di conseguenza il mio modo di essere pedagogo. Riconosco questi miei cambiamenti in quelli delle persone che frequentano la scuola. Oggi mi sento di dire che il mio e il nostro lavoro è appena cominciato. Venire a Corato o vedere il maestro Martinelli venire con voi a Seravezza mi fa sentire che stiamo compiendo qualcosa di importante, qualcosa che, seppur lentamente e forse in modo quasi invisibile, ci trasforma, ci arricchisce e ci fa credere in qualcosa di grande.

Sono le scuole ad esser gemellate, non gli allievi. O no? S

i dice che quando ci sono due gemelli capiti di trovare uno cattivo ed uno buono, una peste e un angelo, la personalità e la non personalità… e avanti così in un dualismo senza fine. Ecco allora che mi chiedo: nel gemellaggio tra due scuole di recitazione si formano le stesse dinamiche? E cosa comporta in coloro che vi partecipano? E nello specifico, il gemellaggio tra la Scuola delle Arti della Comunicazione e la Scuola del Piccolo Teatro della Versilia è composto da due gemelli? Con queste domande inizio a pormi la domanda seria, quella da cui e per cui il mio articolo ha un inizio: che significa che le nostre due scuole sono gemellate? Scuole? Allievi? O solo… maestri? Mi chiamo Claudia, faccio parte del PTV dal 2002 e dal 2005 ho

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Claudia Sodini - PTV

sempre partecipato ai seminari tenuti a Corato da Federico Barsanti e a Seravezza da Francesco Martinelli. Insomma, sono abbastanza “gemellata”. In questi anni ho notato tanti cambiamenti, sia nell’esperienza di ottobre che in quella di marzo: la cosa che mi ha colpito di più è la ricerca di rinnovare questi incontri da parte dei due promotori, Federico e Francesco. Poi ho notato che dietro non c’è la loro stessa spinta. Non che questo sia un aspetto negativo o positivo, semplicemente lo trovo un fatto: gli allievi cambiano, e anche quelli che restano hanno la loro personale motivazione per fare teatro che spesso non è legata alla scuola di cui fanno parte. Questo fa sì che non esista, a mio parere, un attaccamento tale per cui la parola “gemellaggio” acquisisca reale sostanza.


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della Versilia... Diviene scambio. L’andare qualche giorno dall’altra parte dell’Italia vuol dire guardare un’altra realtà, vivere una vacanza teatrale… e non porta necessariamente la curiosità di integrarsi al mondo in cui si entra. Ci sono momenti della vita in cui nascono domande e si ha voglia di risposte. E’ normale. Questo non viene di solito forzato. Durante il gemellaggio fra le nostre scuole si ha invece a volte la sensazione che si debbano fare domande e si debba avere curiosità, ci si debba incontrare fuori dal seminario per parlare, ci si debba scambiare tutto lo scambiabile. Questo è gemellaggio? La curiosità per chi fa teatro è importante, ma il fingere di esserlo allunga semplicemente il tempo in cui si potrebbe capire di non essere adatti a farlo, teatro. Cosa e chi arricchisce un incontro “pilotato” dall’alto, seguito poi da interrogatori atti a scoprire chi fra i propri allievi ha fatto o non ha fatto certe domande? Mi sono sentita a disagio in alcuni momenti, svilita nel mio ruolo di persona autonoma. Cose che magari avrei fatto o detto sono arrivate ad essere gentilmente richieste come si potesse imporre a due amici di diventare gemelli. E allora, se all’uscita dal seminario a Corato, nessuno si picchiava per invitarci a cena, così come avveniva a Seravezza nei confronti degli allievi di Francesco, qual è l’alternativa per far crescere e rendere reale questo gemellaggio? Intanto, capire chi gemella. Do le mie personali interpretazioni e risposte. Federico e Francesco, il Piccolo Teatro della Versilia e la Scuola delle Arti della Comunicazione.

Basta. Il resto è materiale in costruzione. I 5 giorni di seminario che sembrano il centro del gemellaggio stesso, a mio parere, dovrebbero perdere di importanza; far crescere invece l’aspetto organizzativo degli stessi: questo sì potrebbe aiutare. I mesi che trascorrono tra ottobre e marzo possono divenire campo per proposte, consigli, critiche da parte degli allievi, luogo di incontro fra gli stessi: per es, a marzo i “coratini” potrebbero organizzare eventi “collaterali” da fornire ai “seravezzini” durante il loro soggiorno. E come può accadere questo se i coratini non parlano/scrivono/si scambiano giudizi/ con i seravezzini? Gemellaggio. Stessa cosa per ottobre ribaltando seravezzini e coratini. Gemellaggio. E’ il prima che può aiutare ad unire i due gruppi, non il durante, paradossalmente. Quando il seminario è cominciato, i 5 giorni devono essere vissuti dagli allievi come ciascuno vuole. Il seminario è una cosa personale, che un ragazzo vive per sé, non per gli altri. Quando si è presenti in un gruppo nascono poi dinamiche di conoscenza, di simpatia, antipatia e da queste non si può prescindere per “amore o dedizione” al gemellaggio. Tutto ciò che accade al “nostro interno” (di noi allievi) è molto più di quello che accade fra due gemelli. Intanto siamo ben più di due… non si nasce dalla stessa “pancia” (scuola)… non si è educati allo stesso modo… si vive agli estremi dell’Italia. Altro che gemelli.

Montagne e sale d’attesa.

Serena Guardone - PTV

Il teatro serve a far stare insieme la gente perché possa dividersi, discutere su se stessa e sui problemi della società e del mondo”

Questa è una frase di Giorgio Strehler, grande uomo di teatro del secolo scorso. Due compiti: far stare insieme e dividere. Nulla di più elevato, mi dico, quando mi sembra evidente che non ne siamo capaci. Sicuramente una scuola di teatro educa alla recitazione teatrale, ma il teatro è anche un mezzo per educare in un senso più ampio. Si pensi al ruolo del Coro nel teatro greco: un’assemblea di individui che riflettono e discutono sulle vicende dell’eroe, un mezzo per la comunità dei cittadini per pensare se stessa. Alla recente riunione fatta tra la direzione della rivista Delatre (Claudia Sodini e la sottoscritta) ed Elisa Pastore assieme anche a Mariangela e Francesco Martinelli, che aveva per oggetto la natura della rivista Delatre e, più in generale, di un giornale di una scuola di teatro come le nostre, l’idea venuta fuori è quella di un qualcosa fatto perché susciti una discussione sui propri contenuti condivisi dalla comunità dei lettori, per consentire una maturazione continua della comunità stessa. Quanto sappiamo parlare noi che condividiamo la passione per il teatro e scegliamo di farlo all’interno di realtà come il PTV o la SAC? Il nostro paese è abbastanza deludente da questo punto di vista. I politici non sanno parlare fra loro: mi pare evidente. E se accendiamo la TV è facile imbattersi in uno di quei talk-show in cui si scatenano accapigliamenti fra opinioni, spesso legate a motivi esclusivamente di amor proprio. Non per scadere nelle banalità, ma così è.

Pensiamo ad esempio al nostro gemellaggio. Già dire ‘nostro’: ma, davvero, di chi? Stamani, mentre andavo alla stazione a prendere il treno, ho visto le montagne; io le vedo tutti i giorni le montagne, nulla di particolare: le Apuane (che si chiamano Alpi, pur essendo Appennini, cosa che mi ha stupito fin dalle elementari). Come tutte le montagne, hanno una larga base e svettano su in alto con cime appuntite, in questi giorni un poco innevate, visti gli ultimi freddi. Pensiamo un attimo se queste immense gigantesse si voltassero a capo all’ingiù e dovessero reggersi sulle loro stesse punte. Non facile, direi. Bene: ecco com’è, ad oggi, il nostro gemellaggio. Una montagna a testa in giù. Perché ancora, a me pare, risiede tutto nell’incontro fra due persone, che sono poi i direttori delle nostre scuole, Barsanti e Martinelli. Incontro, che costituisce un’esperienza e come tale trasforma chi la vive. E le due parti dell’incontro si legano in un percorso, la cui durata non è stabilita, può essere breve o meno, ma senza dubbio nutrita dal darsi reciproco, che non esiste senza un continuo sforzo di sostentamento e vive dei continui stimoli che le parti si danno. Se leggete sul sito del PTV la storia del ‘nostro’ gemellaggio leggerete due racconti di un incontro che riguarda la vita di due persone. Poi, veniamo noi. Gli allievi. Quando uno arriva in una scuola di teatro, ciascuno con le sue motivazioni, almeno in prima battuta è (scusate la trivialità) l’utente di un servizio. Come tale, a seconda del suo carattere, ha un certo grado di adesione alle iniziative, accetta con più o meno disciplina (e talvolta educazione) le regole, gode di una serie di diritti e riconosce un certo numero di doveri. pierròt p.13


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dal Piccolo Teatro della Versilia Il fatto che esista un gemellaggio fa parte di uno di questi servizi che le nostre scuole offrono. (Fra l’altro, non so voi, ma io, alla scoperta dell’esistenza del gemellaggio un poco mi sono sbigottita e mi sono chiesta esattamente e che roba è?). Ora, io non ho ancora stabilito se una vita da utente all’interno delle nostre scuole sia possibile, giusta o sbagliata. Fatto sta che mi dico: si può essere utenti in molti modi, fino a diventare dei partecipanti. Anzi, alle volte ho l’impressione che questa trasformazione faccia parte degli stessi contenuti degli insegnamenti che ci vengono trasmessi. Da qui il problema del gemellaggio, che è un po’ il problema della vita stessa di comunità come le nostre. Spesso ci viene detto di parlare tra noi allievi, confrontarsi, addirittura ci viene detto che non lo sappiamo fare.

me, che lo vivo da due anni e ancora non mi sento ‘gemellata’. Io sento di avere fra i miei maestri anche Francesco Martinelli. Punto. Ho condiviso delle lezioni con allievi provenienti da diverse parti d’Italia. Basta. Da una parte può essere pure che continui così: tante volte, mi dico, gli esseri umani producono sogni che poi non sono capaci di perseguire perché richiedono energie da togliere ad altri progetti, forse più concreti, più sicuri oppure più sentiti, scontrandosi con l’amaro concetto di utopia. Altre volte, invece, mi dico che ci sono troppe opportunità non colte, non ancora colte: osservando il mondo, il modo di comportarsi delle persone, sempre più mi persuado che spesso la nostra è una vicenda di atti mancati, in cui ci priviamo da soli della possibilità di aderire a ciò che facciamo.

In primo luogo dico: è vero. E aggiungo: finché non sapremo confrontarci coi nostri maestri, non potremo parlare tra noi (o comunque: le due cose si danno assieme). Troppo spesso sento allievi parlare con le stesse parole dei maestri. Oppure altri che continuano a parlare come se quegli stessi maestri mai li avessero sentiti. E’ frequente. Quanto la colpa sia dei maestri, degli allievi o del mondo non è facile da stabilirsi. Fatto sta che va così. E quello che potrebbe essere un luogo di libertà diventa facilmente una plaude di sabbie mobili.

Io credo che un primo punto da cui partire per confrontarsi sia, come sempre, il coraggio e la pazienza di formulare e dire un pensiero onesto. Viva un po’ di sano idealismo! Poi, parlare: e qui uno si può chiedere, ma come? forse con dei moderatori? siamo a tal punto poco un coro? siamo diventati così televisivi? Siamo tanto vittime del nostro amor proprio? parlare in privato o in pubblica assemblea? partendo da cosa? Infine, secondo me, un altro elemento è interessarsi alle differenze di contesto, diventare consapevoli di cosa significa fare teatro qui o qui, al freddo o al caldo, in un paesino bianco latte oppure in uno fra le Apuane. Tutto questo però se l’incontro accade, perché per confrontarsi serve onestà e nessun confronto onesto può nascere se lo si fa perché qualcuno dall’altro dice di farlo oppure seguendo le direttive di qualcuno oppure se, peggio ancora, dapprima non ci si confronta con se stessi e si pensa di sapersi confrontare prima ancora di aver provato a farlo. Molti si credono che per il semplice fatto di mettere un punto interrogativo in fondo ad una frase quella diventi una domanda. Io non credo la stessa cosa. Credo che ogni vero incontro nasca da un atteggiamento di apertura e di dubbio, di messa in discussione di se stessi. E, al fondo di tutto, serve un’urgenza, un motivo per iniziare uno scambio. Le montagne stanno sulla punta e in cima c’è una bella sala d’attesa: come decidiamo di aspettare?

In secondo luogo, dico che non è affatto detto che gli allievi debbano confrontarsi in un dato momento, in un dato luogo, con delle modalità pensate dai maestri: altrimenti avremmo lo strano caso per cui gli allievi sono liberi di essere quello che i maestri pensano che sia bene essere. Nessuno obbligò Federico e Francesco a legarsi o semplicemente a darsi qualcosa l’un l’altro anche con un solo sguardo. Talvolta le domande vengono, talvolta no. Talvolta l’incontro accade, talvolta no: è banale, ma è vero. Inoltre, spesso noi essere umani formuliamo facili giudizi, per cui bastano due silenzi per credere d’essersi incontrati e capiti. In terzo luogo, dico: vorrei che fosse diverso. Vorrei che questo gemellaggio prendesse vita. Diventasse un fatto reale anche per

Due scuole a confronto Un patto è tra pochi.

I

o frequento la scuola di arte e comunicazione del “Teatro delle molliche” da quasi due anni, e ho seguito tre seminari con gli allievi del PTV. Non mi sono mai sentita “guidata” al gemellaggio. Serena Guardone, allieva della scuola di Seravezza, nel suo articolo dice: ‘non è affatto detto che gli allievi debbano confrontarsi in un dato momento, in un dato luogo, con delle modalità pensate dai maestri: altrimenti avremmo lo strano caso per cui gli allievi sono liberi di essere quello che i maestri pensano che sia bene essere.’ Sarebbe così, se così succedesse. Ma, nessuno credo obblighi nessuno a fare qualcosa. Si può sempre dire di no o proporre del nuovo (e immagino che questo sia un modo per iniziare a farlo).

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Elisa Pastore

Un gemellaggio alla lettera è definito come: “Patto tra città, specie di stati diversi, che intendono sottolineare reciproche affinità e amicizia.” Chi sottoscrive un patto tra città? Sicuramente i rappresentanti delle città, spinti da esigenze pubbliche, è perchè no, spesso anche private. I cittadini si limitano ad esserne lieti, o indifferenti, alle volte, e si trovano invischiati in questo accordo. Se si facesse l’inventario della popolazione alla stipula del patto e a distanza di un anno, i conti non tornerebbero: alcuni cittadini potrebbero essere deceduti, altri emigrati, altri ancora potrebbero essere venuti al mondo. Non per questo il gemellaggio non è più un gemellaggio. Le affinità continuerebbero a esistere, unitamente a una sorta di amicizia tra chi resta, tra i nuovi, o tra chi vuole, semplicemente.


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In realtà ogni singolo si comporta come crede. Può essere che senta forte il legame pattiziamente concordato da altri, come può accadere che si limiti a fare il ‘partecipante’. Io non trovo nulla di male in questo. Come in ogni realtà sociale, ognuno è uno, ahimè! Noi siamo gemellati per volere dei nostri maestri, legati da un rapporto artistico e personale, due maestri di due scuole. Una scuola è come una città: c’è chi arriva e chi parte, c’è chi inizia

e chi finisce. Perciò, come si fa a gemellare in senso stretto due realtà mutevoli nel tempo? Si potrebbero attuare iniziative diverse, si potrebbe fare gemellaggio in modo nuovo, ma mai sarà connubio eterno tra gli allievi: quelli passano, ahimè!.

La grande torre.

Elisa Pastore

Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall'oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese del Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l'un l'altro: "Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco". Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: "Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non dispenderci su tutta la terra". Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: "Ecco, essi sono un popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l'inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro". Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.” (dalla Bibbia, libro della Genesi 11, 1-9)

La torre, in mattoni, fu costruita nel Sennaar (in Mesopotamia) con l'intenzione di arrivare al cielo e dunque a Dio. Secondo il racconto biblico, all'epoca gli uomini parlavano tutti la medesima lingua. La torre era anche un simbolo di unità tra gli uomini e dell'umanità con Dio. Ma Dio creò scompiglio nelle genti e impedì che la costruzione della torre venisse portata a termine facendo sì che le persone parlassero lingue diverse e non si capissero più.

Inizio di una piccola avventura.

Danilo Macina

Una data imprecisata tra ottobre e novembre 2007. Forse giovedì o venerdì sera. Entriamo. Francesco ci aspettava. <<Le lezioni sono iniziate da oltre un mese. Tra qualche giorno chiuderò le iscrizioni. Dovreste decidere subito. Giorni ed orari sono in bacheca. Dizione, movimento scenico, tecnica vocale e recitazione sono le materie che seguirete.>>. Alla successiva lezione io ero lì. Lui sarebbe stato “maestro Francesco” ed io un allievo della scuola. Il perché di quella scelta non lo ricordo. Forse non c'era un perché. O forse erano più di uno. Per curiosità. Per passare il tempo. Per fare qualcosa di diverso. Per mantenere una promessa a F. S., una persona speciale a me cara , da poco scomparsa. Per capire come mai a G. P. brillano gli occhi quando parla delle sue esperienze in teatro. O perché doveva andare semplicemente così. Trovarmi nel posto giusto al momento giusto. I pensieri erano tanti. La verità è tutto e niente. La verità è che non mi importa il perché. Ora sono qui e questo mi basta. Sono deciso a continuare questa "piccola avventura". pierròt p.15


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la Creazione <<In principio Dio creò il cielo e la terra. Dio disse: “Sia la luce!” E la luce fu. Dio disse: “Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque”. Dio fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il firmamento , dalle acque che sono sopra il firmamento. E così avvenne. … Dio disse: “La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: Bestiame, rettili e bestie selvatiche secondo lo loro specie”. E così avvenne. E Dio vide che era cosa buona. E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. … Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo, nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata – perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e nessuno lavorava il suolo e faceva salire dalla terra l’acqua dei canali per irrigare tutto il suolo – allora il signore Dio plasmò l’uomo con la polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. Poi il signore piantò un giardino in Eden a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il signore diede questo comando: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma l’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché quando tu ne mangiassi, certamente moriresti”. E il Signore Dio disse: “ non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”. Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati, ma in qualunque modo li avesse chiamati, l’uomo non trovò aiuto che gli fosse simile. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolto all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: “Questa volta essa è la carne della mia carne E osso delle mie ossa. Lei si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta”. Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne. Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna.>> (Genesi) Il Regista creò il cielo e la terra. Riempì il cielo di nubi, per scurirla, e di sole per illuminarla. Fece crescere piante e fiori sul cemento, case e capanne sul suolo di fango. Fece volare gli animali più pesanti e piantò a terra quelli più leggeri. p.16 pierròt

Elisa Pastore

Poi creò l’attore. Lo fece maschio e femmina. Lo fece nudo e senza vergogna. E disse all’attore: adesso tocca a Te. E l’attore provò a creare l’uomo adulto e il bambino, il signore anziano e l’adolescente, il povero vecchio e il giovane rampante, quello arrabbiato e quello triste, quello felice e quello distratto. …E continuava a provare e riprovare. Studiava e meditava gli esseri viventi in tutte le loro specie per assomigliare il più possibile a ciascuno di essi. E il Regista disse: Anche se avessi un’eternità a disposizione non finiresti mai di provare a essere uno che non ti appartiene, perché mai sarai davvero ciò che vedrai. E disse ancora: solo Dio può creare ogni cosa davvero, nessuno più. Allora l’attore si impaurì e si mise a pensare e ripensare a quelle parole. Ogni suo sforzo sarebbe stato inutile. Ogni suo tentativo sarebbe rimasto un tentativo. Poi si illuminò improvvisamente in volto e disse: Ebbene, che così sia! Vorrà dire che ogni giorno guarderò tutto intorno, studierò tutto ciò che è vivente, proverò a creare tutto ciò che vedo, proverò a far conoscere agli uomini ciò che non vedono di loro, di modo che riescano a imparare. Arriverò fin sotto terra per provare a regalare all’uomo anche solo un minuto di se stesso. E sarà piacere puro per me. Creerò provando a raccontare una realtà ripetibile. Allora il Regista disse: “Bravo attore! Ti guiderò senza guidarti, ti aiuterò senza sostituirmi a te. Ti osserverò per primo e ti racconterò ciò che dai.” Poi aggiunse: come Dio ammonì l’uomo riguardo all’albero della conoscenza, così io, per onestà, farò con te: <<Essere attore è cosa simile all’essere un Dio, senza le doti di Dio. Sii consapevole di questo, non fare nulla mai con leggerezza, nulla mai dovrà sembrarti inutile o poco importante, ogni dettaglio avrà la sua rilevanza, ogni gesto avrà il suo riscontro. Ogni volta che dimenticherai queste consapevolezze, farai un danno mortale a tutta la tua specie, che pian piano si piegherà e si rimpicciolirà, fino a scomparire, così che l’uomo non potrà conoscere più nulla di se stesso. Lavora duramente, fa attenzione, e non dimenticare mai quanto ti ho detto.>>


la Bacheca

Quello che è stato

A VOLTE VOLTI DI DONNA ACCADONO Venerdì 18 Aprile presso libreria “Diderot” di Andria Recital dedicato alla donna con la presentazione dei libri editi dalla Secop edizioni di Corato.

LA MEMORIA E/E’ IL CANTO Lunedì 5 Maggio presso l’auditorium della Basilica SS. Cosmo e Damiano di Bitonto Progetto in collaborazione con la Secop edizioni di Corato per l’anniversario dei 30 anni dalla morte dello statista Aldo Moro

Quello che sarà RASSEGNA DI TEATRO STUDENTESCO “Città del Dolmen” - 8a Edizione - Corato (Ba) La Rassegna, nata nel 2000, è giunta alla 8a edizione e si svolgerà nel periodo dal 18 al 23 Maggio nel Chiostro del Palazzo di Città. Ogni sera verrà presentata una esibizione ospitando gli spettacoli delle Scuole Superiori del territorio nord-barese. RASSEGNA NAZIONALE DI TEATRO SCOLASTICO “Sipario Scuola” - Bitonto (Ba) Nell’ambito della Rassegna organizzata dal Comune di Bitonto e diretta dal Teatro degli Ariani, gli allievi attori del laboratorio dell’I.T.C. “Tannoja” di Corato sono stati selezionati per rappresentare la loro esibizione nella giornata inaugurale. RASSEGNA NAZIONALE DI TEATRO SCOLASTICO “Boccardi” - Castellana Grotte

Il rinoceronte

di E. Ionesco con gli allievi attori dell’I.T.C. “Tannoja” di Corato (Ba) RASSEGNA NAZIONALE DI TEATRO SCOLASTICO “Note di regia” - Caltanissetta

La nuova colonia

di L. Pirandello con gli allievi attori dell’I.T.C. “Tannoja” di Corato (Ba) RASSEGNA “La Primavera del Teatro Nascente” 13, 14 e 15 giugno ore 21.00 - Viale E. Fieramosca, 167 Corato (Ba)

Antinomia del maggiordomo

regia Rolando Macrini con Federico Barsanti e Francesco Martinelli

SCUOLA DELLE ARTI DELLA COMUNICAZIONE Programma delle esibizioni conclusive dell’Anno Scolastico 2007/08

18 Maggio Chiostro Palazzo di Città “Le metamorfosi” di Ovidio Allievi del Corso Propedeutico 6 Giugno Scuola delle Arti della Comunicazione Via Ruvo “Visus. Monologhi di Shakespeare” Allievi del 1° anno della Scuola 7 Giugno Scuola delle Arti della Comunicazione Via Ruvo “Il berretto a sonagli” di Pirandello Allievi del 2° anno della Scuola 8 Giugno Scuola delle Arti della Comunicazione Via Ruvo “Ma dove siamo capitati” di Rodari Allievi della Teatroteca

O.F.T. SCUOLE (Osservatorio Formazione Teatrale nelle Scuole) L’impegno del Teatro delle Molliche rivolto all’educazione e formazione artistica delle nuove generazioni è costante svolgendo laboratori nelle Scuole Pubbliche finanziati da Fondi Scolastici e Fondi Europei: Istituto Tecnico Commerciale “Tannoja” di Corato - “La nuova colonia” di Pirandello - Progetto “Sviluppare l’intelligenza emotiva” - “La divina Commedia” di Dante - Progetto “C’era una volta in Europa” Istituto Statale d’Arte di Corato - Progetto “Esprimi l’Arte” - “Le città invisibili” di Calvino Istituto Tecnico Commerciale di Canosa - Progetto “Laboratorio teatrale” Istituto Professionale per la Moda “Bovio” di Trani - Progetto “ Teatro e Moda” Istituto Professionale per la Moda “Vespucci” di Moletta - Progetto “Laboratorio creativo” Scuola Secondaria di 1° grado “Vaccina” di Andria - Progetto “Teatrando” - “Don Chisciotte della Mancia” di Cervantes 2° Circolo Didattico “Fornelli” di Corato - 3° Circolo Didattico “Fieramosca” di Corato - Progetto provinciale “A scuola mi emoziono quando…”



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