Rivista lasalliana 2-2013

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Rivista lasalliana

Direzione: 00149 Roma - Via dell’Imbrecciato, 181 ( 06.552.100.243 - E-mail: donato.petti@tiscali.it Amministrazione: 00196 Roma - Viale del Vignola, 56 Sito web: www.lasalliana.com

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TASSA RISCOSSA TAXE PERÇUE ROMA

2013

Rivista lasalliana

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Rivista Lasalliana, pubblicazione trimestrale di cultura e formazione pedagogica, fondata in Torino nel 1934, si ispira alla tradizione educativa di Jean-Baptiste de La Salle (1651-1719) e delle Scuole Cristiane da lui istituite. Affronta il problema educativo in un’ottica prevalentemente scolastica, offrendo strumenti di lettura valutativa dei contesti culturali e stimoli orientativi all’esercizio della professione docente. Promuove studi storici sulle fonti bibliografiche della vita e degli scritti del La Salle, sull’evoluzione della pedagogia e della spiritualità del movimento lasalliano, aggiorna su ricerche in corso, avvalendosi della collaborazione di un gruppo internazionale di consulenti. È redatta da un Comitato di Lasalliani della Provincia Italia e di altri esperti in scienze umane, pedagogiche e religiose operanti con ruoli di ricerca, docenza e formazione in istituzioni scolastiche, para-scolastiche e universitarie.

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Rivista lasalliana 19

ISSN 1826-2155

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trimestrale di cultura e formazione pedagogica

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Donato Petti Jean Baptiste de La Salle e l’identità spirituale dell’educatore Francesco Trisoglio Di fronte all’errore: l’atteggiamento di Anfilochio

Edgar Genuino Nicodem Compartir el carisma lasallista de la “cum-munio” a la “cum-munus”

Edwin Arteaga Tobón S. Miguel Febres Cordero en el 150° de los Hermanos de La Salle a Ecuador

Dario Antiseri Perché e come studiare storia della filosofia

Antonio Augenti Linee di politica educativa nell’Unione europea Paolo Fichera L’educazione al pluralismo

Comunicare la fede: intervista a Mons. Enrico dal Covolo

Gilles Beaudet Copia manoscritta delle Meditazioni di J.B. de La Salle: autentica? Cesare Trespidi Lasalliani autori di libri di preghiera - III

Gérad Cholvy Frère Exupérien: l'éducation ouvre un avenir

Enrico Trisoglio Collegio “San Giuseppe” (Torino) - Scuola di formazione socio-politica APRILE - GIUGNO 2013 • ANNO 80 – 2 (318)



RIVISTA LASALLIANA RINGRAZIA IL SANTO PADRE BENEDETTO XVI per aver insegnato ai credenti ad essere umili operai nella vigna del Signore; per il luminoso e profetico Magistero offerto durante il ministero petrino; per l’ultima Enciclica non scritta ma dettata con l’eloquenza dei gesti; per aver scelto di restare sulla croce, in preghiera, per assomigliare al Maestro.

ESULTA DI GIOIA PER L’ELEZIONE DI PAPA FRANCESCO 265° successore di Pietro “venuto dalla fine del mondo” a confermare nella fede i suoi fratelli, perché, come Francesco d’Assisi, indichi alla Chiesa la via dell’umiltà e della semplicità evangelica, all’umanità il percorso della pace e della custodia del creato, la liberazione dall’orgia dei consumi e dal materialismo individualista, additi ai credenti il volto della tenerezza e il primato della misericordia di Dio, segno e strumento di fraternità universale.



RIVISTA LASALLIANA

Trimestrale di cultura e formazione pedagogica fondata nel 1934 Anno 80 • numero 2 • aprile-giugno 2013 Direttore

DONATO PETTI

Comitato scientifico DARIO ANTISERI (Metodologia delle Scienze Sociali)

GAETANO DAMMACCO (Diritto di libertà religiosa)

CARLO NANNI (Scienze dell’educazione)

GILLES BEAUDET (Ricerche lasalliane)

FLAVIO FELICE (Dottrine Economiche e Politiche)

STEPHANE OPPES (Filosofia teoretica)

PAOLO ASOLAN (Teologia pastorale)

DENIS BIJU-DUVAL (Teologia dell’evangelizzazione)

GIORGIO CALABRESE (Scienze dell’alimentazione umana)

GABRIELE DI GIOVANNI (Direttore “Sussidi per la catechesi”) ITALO FIORIN (Pedagogia speciale)

REMO L. GUIDI (Questioni umanistico-rinascimentali)

PASQUALE CAPO (Gestione risorse professionali)

PASQUALE MARIA MAINOLFI (Bioetica)

MARIO CHIARAPINI (Direttore “Lasalliani in Italia”)

PHILIPPE MOULIS (Ricerche storiche)

LUCIANO CHIAPPETTA (Legislazione scolastica) GIUSEPPE COSENTINO (Ordinamenti scolastici)

ENRICO DAL COVOLO (Letteratura cristiana antica)

ANTONELLO MASIA (Legislazione universitaria)

DIEGO MUÑOZ (Ricerche e Studi lasalliani)

RAIMONDO MURANO (Formazione tecnico-professionale)

EDGAR GENUINO NICODEM (Studi lasalliani) CARMELA PALUMBO (Autonomia scolastica)

MARCO PAOLANTONIO (Studi lasalliani) MAURIZIO PISCITELLI (Didattica) MARIO RUSCONI (Management scolastico)

LORENZO TÉBAR BELMONTE (Pedagogia lasalliana) ENRICO TRISOGLIO (Storia e Letteratura patristica) ROBERTO ZAPPALÀ (Antropologia filosofica)

Comitato di Redazione

Luca Amati - Marco Camerini - Stefano Capello - Michele Cataluddi - Giovanni Decina - Francesco Decio Antonio Iannaccone - Annalisa Malatesta - Virginio Mattoccia - Alberto Rizzi - Enrico Sommadossi - Monica Zanchini Di Castiglionchio.

Collaboratori

Edwin Arteaga Tobón, Antonio Augenti, Gilles Beaudet, Bruno Bordignon, Graziella Bussoni, Emilio Butturini, Angelo Piero Cappello, Italo Carugno, Umberto Casale, Robert Comte, Sergio De Carli, Paulo Dullius, Paolo Fichera, Andrea Forzoni, Emma Franchini, Antonio Gentile, Oreste Gianfrancesco, Pedro Gil, Mariachiara Giorda, Edgar Hengemüle, Alain Houry, Léon Lauraire, Lino Lauri, Herman Lombaerts, Anna Lucchiari, Matteo Mennini, Vito Moccia, Patrizia Moretti, Israel Nery, José María Pérez Navarro, Raffaele Norti, Laura Pappone, Francesco Pesce, Massimo Pisani, Nicolò Pisanu, Francesco Pistoia, Bérnard Pitaud, Marica Spalletta, Antonella Susanna, Giuseppe Tacconi, Biancamarta Tammaro, Cesare Trespidi, Joan Carles Vázquez, Ciro Vitiello.


DIREZIONE

Donato Petti - Via dell’Imbrecciato, 181 - 00149 Roma ( 06.552.100.243 - E-mail: donato.petti@tiscali.it

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ISSN 1826-2155. Registrazione del Tribunale di Torino n. 353, 26.01.1949 (Tribunale di Roma n. 233, 12.6.2007) Spedizione in abbonamento postale: Poste italiane DL 353/2003 (conv. in legge n. 46, 27.02.2004) art. 1 c. 2 - DCB Roma (Associata all’Unione Stampa Periodica Italiana)


SOMMARIO

Rivista lasalliana 80 (2013) 2

SOMMARIO EDITORIALE

157 Donato Petti

Jean Baptiste de La Salle e l’identità spirituale dell’educatore

Il fondatore dei Fratelli delle Scuole Cristiane, Jean Baptiste de La Salle (1651-1719), ha contribuito, in maniera determinante, a dare risposta alla carenza di educazione cristiana popolare in Francia, tra la fine del 1600 e l’inizio del 1700, acquisendo un posto indiscusso nella storia della pedagogia mondiale. Egli considera fondamentale la formazione professionale, morale e spirituale dell’educatore. Attingendo dalle sue opere pedagogiche ed ascetiche, viene delineata la spiritualità cristiana dell’educatore, quale contributo lasalliano per uscire dalle secche dell’emergenza educativa del nostro tempo. Jean Baptiste de La Salle and the spiritual identity of the educator

The Founder of the Brothers of the Christian Schools, Jean Baptiste de La Salle (1651-1719), responded definitively to the lack of popular Christian education in France, between the end of the 16th Century and the start of the 17th, and he acquired an undisputed place in the history of education world-wide. He considered the professional, moral and spiritual training of teachers to be fundamental. From his pedagogical and spiritual writings there emerges an out-line of a Christian spirituality for educators, which stands as a Lasallian answer to the urgent educational challenges of our time.

STUDI 163 Francesco Trisoglio

Di fronte all’errore: l’atteggiamento di Anfilochio

Anfilochio è un combattente per l’ortodossia; confuta l’errore dovunque lo incontri, con determinazione, seppure con pacatezza di argomentazioni; tutela l’esattezza del dogma, con formule lucidamente incisive, in teologia trinitaria, cristologia e pneumatologia, come nella pratica della vita, poiché considera inscindibili l’ortodossia e l’integrità dei costumi.


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Confronting error: the attitude of Anfilochio

Anfilochio is a champion of orthodoxy. He refutes error wherever he finds it with determination and patient argument. With lucid, incisive formulations, he upholds exactness in the dogmas of Trinitarian theology, Christology and Pneumatology. He does the same for matters of behaviour, because he considers orthodoxy to be inseparable from uprightness of conduct.

173 Edgar Genuino Nicodem Compartir el carisma lasallista de la “cum-munio” a la “cummunus” El cambio de época que estamos viviendo convoca al Instituto a vivir de un modo renovado el carisma lasallista. Una de las novedades teológicas del período post-conciliar es el compartir de los carismas. Participar de los ideales carismáticos significa poner otra vez los carismas en el centro de la Iglesia, abiertos a la comunión y participación de todos los miembros del Pueblo de Dios. Este nuevo dinamismo carismático requiere pasar de la “cum-munio” a la “cum-munus”, configurando entre Hermanos y Seglares, relaciones de confianza, estima, esperanza, reconocimiento mutuo y de nuevos proyectos apostólicos. Sharing the lasallian charism – moving from the “cum-munio” to the “cum-munus”

The change of era that we are living now calls the Institute to live the Lasallian charism in a renewed way. One of the theological innovations of the postconciliar period is the sharing of charisms. To participate in charismatic ideals means once again to put the charisms in the center of the Church, open to communion and participation by all the members of the People of God. This new dynamic requires moving from “cum-munio” to “cum-munus”, by shaping relationships of trust, esteem, hope, mutual recognition and new apostolic projects among Brothers and lay persons.

185 Edwin Arteaga Tobón

Moviendo mentes y corazones en Ecuador. 150 años de presencia lasallista y su primicia el santo Hermano Miguel Febres Cordero

Hojeando remembranzas de su biografía este ensayo se propone destacar cuatro características del primer ecuatoriano canonizado. Nos referimos: 1. Al coraje del manejo de su autoestima a pesar de ser lisiado de nacimiento; 2. A su capacidad de entretener amistades profundas significativas; 3. A una vida totalmente entregada a la educación humana y cristiana; 4. Su fe inquebrantable en Jesucristo.


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Touching hearts and minds in Ecuador - 150 years after the arrival of the brothers of the Christian Schools their first harvest was Saint Miguel Febres Cordero.

Through a brief remembering of his biography the aim of this article is to point up four characteristics of the life of the first Ecuadorian proclaimed saint by the Church. We just mean: 1. His courage to accept oneself in spite of being crippled from birth; 2. His capacity of deep friendships; 3. His life entirely dedicated to human and Christian education; 4. And finally his faith and commitment to God.

PROPOSTE 195 Dario Antiseri

Perché e come studiare storia della filosofia

Per l’Autore l’interesse per le teorie proposte dai filosofi si risveglierà se si riesce a far capire a quali problemi i pensatori hanno dato risposte. I ragazzi non sono tabula rasa, sono già una “memoria culturale”, costituita da opinioni trasmesse loro dai genitori, dagli amici, dagli insegnanti e dai mass media. Il primo momento nell’insegnamento della filosofia può e deve consistere nell’esplorazione delle opinioni e dei problemi che agitano le menti dei giovani. Catturati nel campo magnetico dei problemi, i giovani si appassioneranno alla storia della filosofia per cercare le soluzioni che loro interessano. È il metodo della discussione razionale. Why and how to study the history of philosophy

The author considers that interest in the ideas propounded by philosophy can be awakened, if we can show what problems these thinkers were responding to. Our students are not a tabula rasa. They already have a “cultural memory”, constituted by the opinions transmitted by their parents, friends, teachers and the mass-media. The first step in teaching philosophy can and should consist in an exploration of the opinions and problems that occupy the minds of young people. Trapped in the magnetic field of their problems, young people will become absorbed by the history of philosophy as a way of finding solutions which interest them. This is the method of rational discussion.

209 Antonio Augenti

Linee di politica educativa nell’Unione europea

Viene esaminata la politica dell’Unione europea sull’educazione non


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attraverso la lettura dei “Trattati”, ma sulla base delle risposte di metodo e di contenuto che le Istituzioni comunitarie hanno sinora previsto di fronte alle sfide della società in evoluzione. L’Autore rileva gli aspetti relativi all’investimento nel capitale intellettuale, le responsabilità decisionali a livello sovranazionale, la coniugazione degli obiettivi dell’uguaglianza, della libertà e della coesione sociale; segnala i limiti dell’azione svolta dall’Unione e auspica che questa, attraverso la formazione di una coscienza realmente unitaria, possa assicurare un maggiore equilibrio tra politiche educative, sviluppo e politiche sociali. Lines of educational policy in the European Union

Policies on education in the European Union are examined not through a study of the Treaties but on the basis of the correspondence between method and con-tents envisaged by the EU Institutions. The author looks at aspects relating to investment in intellectual capital and responsibility in decisionmaking at the level above the national, the implementation of the goals of equality, liberty and social cohesion. He indicates the limited action employed by the EU and expects that, by developing a truly unified awareness, this will ensure a better balance between educational policies and development and social politics.

219 Paolo Fichera

L’educazione al pluralismo

Educare al pluralismo significa anzitutto educare alla relazione che invita a comprendere quello che unisce, prima ancora che quello che divide. Il primo passo, dunque, è un atto di umiltà. Un altro passo consiste nel riconoscimento dell’altro, accogliendolo come interlocutore e non semplice destinatario di informazioni. Gli educatori hanno un ruolo importante per educare al dialogo. L’Autore sottolinea come l’Anno della fede potrebbe essere l’occasione per una riflessione sul pensiero plurale, che richiede soprattutto una pensosità critica, attraverso un’ars educandi che implica passione, spirito di sacrificio, ma soprattutto amore per l’altro. Educating to pluralism

Educating to pluralism means first and foremost education to a relationship which invites us to understand what unites rather than what divides. The first step, therefore, is an act of humility. The second step involves the recognition of the other, welcoming him/her as a partner in dialogue not just a target of information. Educators have an important role in educating for dialo-


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gue. The author emphasises the way in which the Year of Faith can be the occasion for a discussion on pluralistic thinking, which first of all requires critical thought, through an ars educandi which implies passion, a spirit of sacrifice, and above all a love for the other.

INTERVISTE 227 Donato Petti

“Giovani, università, comunicazione della fede”: intervista a Mons. Enrico dal Covolo, Rettore della Pontificia Università Lateranense

In questi ultimi anni, numerosi sono stati gli interventi del magistero della Chiesa nei confronti dei giovani. Tra gli altri, il Messaggio di Papa Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della Pace del 2012 dal titolo: “Educare i giovani alla giustizia e alla pace” e il tema dell’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura del 2013: “Culture giovanili emergenti”. L’attenzione amorevole ai gio-vani di oggi significa impegno nel preparare gli uomini di domani. “Young People, Universities, Comunication of the Faith”: an interview with Mgr. Enrico dal Covolo, Rector of the Pontifical University of the Lateran

In recent years, the magisterium of the Church has made many pronouncements concerning young people. One of them was the message of Pope Benedict XVI for the World Peace Day in 2012 entitled: “Educating young people to justice and peace”. Another occasion was the Plenary Assembly of the Pontifical Council for Culture in 2013 on the topic “Emerging Youth Cultures”. A caring concern for the young people of today is a commitment to preparing the adults of tomorrow.

RICERCHE 233 Gilles Beaudet

Copia manoscritta delle “Meditazioni” di Giovanni Battista de La Salle: interrogativi e soluzioni

L’articolo di Fr. Gilles Beaudet dà una risposta chiara su una copia manoscritta dal titolo “Meditazioni per le domeniche e le principali feste” (1731) scritte da Giovanni Battista de La Salle e stampate da J.B. Machuel a Rouen nel 1731. Egli ci parla della detentrice e beneficiaria del suddetto manoscritto: una religiosa delle Suore della Provvidenza,


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nata a Destry. Ma chi ne fu l’amanuense? Il sacerdote Antoine-François Raulin, successore di Martin Moyë. Ed evidenzia anche alcune differenze che esistono tra il manoscritto e l’originale e propone delle risposte ad alcuni interrogativi secondari. Pertanto, abbiamo una prova sull’influenza esercitata da La Salle nel XVIII secolo mediante le sue “Meditazioni”. A handwritten copy of the “Meditations” of John Baptist de La Salle: uestioning and solution.

Br. Gilles Beaudet’s article gives us some clear answers about a handwritten copy of “Méditations pour tous les dimanches et les principales fêtes” (1731), by Mre J.-Bte De La Salle printed by J.-B. Machuel, Rouen, 1731. He reveals us the story of Sister Anne-Marie du Sacré-Cœur, born in Destry, and member of the Congregation of the Sisters of the Providence established now in Portieux, France. He discovered that Father Antoine-François Raulin, who in 1793 replaced the deceased founder Martin Moyé, is the one who made the adapted transcription for the use of the teaching Sisters. Br. Gilles Beaudet underlines some differences between the copy and the original and brings other answers to subsidiary questions throughout the article. Here we have a testimony of the influence that De La Salle had in the eigthteenth century even through his “Meditations”.

241 Cesare Trespidi

Lasalliani autori di libri di preghiera - III

Sull’esempio del Fondatore, S. Giovanni Battista de La Salle, altri Lasalliani si sono cimentati nell’edizione di volumetti per la formazione alla preghiera cristiana dei loro allievi. Rivista Lasalliana già ha illustrato l’opera di Fr. Basilio André (n. 2 – 2012 - pp. 251-266) e di Fr. Renato Audeny Philibert (n. 1, 2013, pp.83-93); ora prosegue la presentazione di altri testi. Lasallian authors of books of prayer - III

Following the example of the Founder, St. Jean-Baptiste de La Salle, other Lasallians have established themselves by the production of books promoting growth in Christian prayer among their pupils. Rivista Lasalliana has already covered the works of Brother Basilio André (n. 2 – 2012 - pp. 251-266) and Brother Renato Audeny Philibert (n. 1, 2013, pp.83-93). We are now presenting other books in the same vein.


SOMMARIO

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ESPERIENZE E TESTIMONI 253 Gérad Cholvy

Frère Exupérien: l’éducation ouvre un avenir

Toute la vie du Frère Exupérien est marquée par les enseignements de Jean Baptiste de La Salle; et il en a épousé les caractéristiques: regarder les réalités à la lumière de la Foi, y lire les besoins des jeunes pour y répondre au moyen de structures éducatives adaptées et efficaces pour qu’ils puissent trouver leur place créative dans la société et dans l’Eglise, la boussole éducative étant le Christ et son Evangile. On peut dire que l’action déterminée et lucide du Frère Exupérien donna du fondement en l’engagement de centaines de jeunes hommes qui devinrent des protagonistes sociaux dans la société française des années 1880 à 1960. Brother Exuperien: education that looks to the future

His whole life was marked by the teaching of St Jean-Baptiste de La Salle, espousing the charism of seeing all things through the eyes of faith so as to respond to the challenge of educating young people in the light of the person of Christ and his gospel. As a teacher, Brother Exuperien inspired generations of young people to commit themselves to this, and many of them became leading figures in French society in the years between 1880 and 1960.

267 Enrico Trisoglio

La Scuola di formazione socio-politica “A. De Gasperi” (Collegio “San Giuseppe” - Torino)

La Scuola si prefigge di uscire dalle lamentazioni sterili, per passare ad un’attività di ricostruzione; analizza le negatività per arrivare alla positività; non vuole essere un’accademia di discussioni, ambisce essere una palestra che allena all’azione; invece di dichiarare cattivi i tempi vede che moralmente scadenti sono gli uomini; si impegna quindi ad aiutarli nel formarsi un’anima alacre e fidente. The School of socio-political training “A. De Gasperi” (Collegio “San Giuseppe” - Torino)

The School aims to get away from sterile lamentation and to move on towards active reconstructions, analyzing the negative so as to reach the positive. It does not wish to be a place of academic discussions, but rather it aims to be a gymnasium that prepares people for action. Instead of condemning our times as evil, it sees only the people to be morally decadent, and it sets out to help them develop an eager, confident attitude.


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SOMMARIO

RECENSIONI E NOTE 271 BIANCHI E., Nuovi stili di evangelizzazione, San Paolo, 2012, pp. 128, e 4,90 (Raffaele Norti).

274 JORGE MARIO BERGOGLIO “PAPA FRANCESCO”, Guarire dalla corruzione, 279 281

EMI, 2013 e 6,90 (Franco Savoldi). FIORIN I., Scuola accogliente, scuola competente. Pedagogia e didattica della scuola inclusiva, Editrice La Scuola, 2012, pp. 186. e 13,00 (Michele Cataluddi). FILOGRASSO I. – VIOLA T. V., Oltre i confini del libro. La lettura promossa per educare al futuro, Armando Editore, 2012, pp. 176. e 15,00 (Michele Cataluddi).

SEGNALAZIONI LIBRI


Rivista Lasalliana 80 (2013) 2, 157-162

EDITORIALE

JEAN BAPTISTE DE LA SALLE E L’IDENTITÀ SPIRITUALE DELL’EDUCATORE DI

DONATO PETTI

SOMMARIO: 1. La sfida dell’educazione cristiana. - 2. La sfida della formazione degli insegnanti. - 3. La spiritualità dell’educatore. - 3.1. Educatori chiamati per nome. - 3.2. Educatori inviati a compiere una missione. - 3.3. Educatori “custodi” dal cuore amorevole.

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1. La sfida dell’educazione cristiana

an Giovanni Battista de La Salle ha contribuito, in maniera determinante, a dare risposta alla carenza di educazione cristiana popolare in Francia, tra la fine del 1600 e l’inizio del 1700, acquisendo un posto indiscusso nella storia della pedagogia mondiale. Oggi, il carisma educativo lasalliano è diffuso in ottanta Paesi dei cinque Continenti, ad opera di cinquemila Religiosi non sacerdoti (Fratelli) e di circa centomila laici educatori - educatrici che, ispirandosi ai valori evangelici, sono impegnati nel servizio educativo di oltre un milione di bambini, ragazzi e giovani in scuole di ogni ordine e grado, accademie ed università.

2. La sfida della formazione degli insegnanti

Le innovazioni proposte dal de La Salle in campo educativo evidenziano due aspetti rilevanti:

a) l’organizzazione didattico-funzionale della scuola per promuovere l’insegnamento e l’educazione dei ragazzi; di qui i problemi dell’efficienza e dell’efficacia educativa, l’organizzazione scolastica ed amministrativa, i programmi e i metodi più adatti a un particolare contesto sociale e culturale; b) la strutturazione di una comunità educativa, con l’accentuazione dell’aspetto della testimonianza in uno stile cristiano di vita, non teorico, ma


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EDITORIALE

Donato Petti

dinamico, concretizzato nelle relazioni e nella realizzazione condivisa del progetto educativo.1 Il de La Salle raccomanda ai suoi discepoli di non considerare questi due momenti come giustapposti, chiusi, incomunicabili, perché, al contrario, lavoro educativo quotidiano e vita spirituale sono pienamente integrati: “Non fate alcuna distinzione tra i vostri impegni educativi e la vostra chiamata alla santità. Tendere alla santità, infatti, nel vostro stato, consiste, appunto, nel compiere bene il vostro dovere”.2 Di qui la necessità di preparare maestri-educatori all’altezza del loro compito formativo, che esige competenze professionali e motivazioni ideali. Per questo, la formazione pedagogica e spirituale del maestro, costituì l’obiettivo costante del de La Salle, senza nascondersi, con sereno realismo, le difficoltà connesse alla complessità di tale operazione. Alcuni precursori del de La Salle nel campo dell’educazione popolare, pur con le loro geniali intuizioni pedagogiche, non pensarono ad un’organica formazione dei maestri: Charles Démia (1637-1689), in linea con la tradizione che riservava al chierico anche la funzione di insegnante, non si occupò esplicitamente della formazione del maestro, salvo a consigliare occasionali suggerimenti di metodologia spicciola; Nicolas Barré (1621-1686), poi, legato alla rigida regola monastica di S. Francesco da Paola, non ebbe la necessaria libertà d’azione per attuare un disegno organico di formazione dei maestri. Jean Baptiste de La Salle, una volta entrato nell’orbita dell’educazione e sotto la direzione del P. Barré, comprese che il successo educativo dipendeva, essenzialmente, dalla qualità degli educatori e, quindi, dalla loro preparazione. A tale scopo aprì il “noviziato”, riservato alla preparazione di coloro che aspiravano alla vita di Fratello delle Scuole Cristiane, e il “Seminario per i maestri di campagna” per tutti coloro che, pur non aspirando alla vita comunitaria dei Fratelli, volevano prepararsi alla missione di maestro cristiano.

3. La spiritualità dell’educatore

Nelle sue opere pedagogiche ed ascetiche, il de La Salle delinea le caratteristiche della spiritualità dell’educatore che possono configurarsi, ancora

Nel tratteggiare l’ideale del maestro cristiano, farò riferimento alle opere complete di J. B. de La Salle, edite da Città Nuova Editrice, usando le seguenti abbreviazioni: M (Meditazioni); R (Raccolta di vari trattati brevi); MO (Spiegazione del metodo di orazione); RB (Regole di buona creanza e di cortesia cristiana); L (Lettere); RC (Regole comuni dei Fratelli). 2 R, 11, 4. 1


Jean Baptiste de La Salle e l’identità spirituale dell’educatore

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oggi, come un chiaro orientamento per la formazione morale e spirituale degli educatori cristiani, chiamati a dare risposte alle sfide educative in atto nella società contemporanea.

3.1. Educatori chiamati per nome

L’educazione, e ancor più quella cristiana, è la chiamata a compiere una missione. Il maestro cristiano fa riferimento esplicito alla concezione dell’uomo, della vita, della storia, della cultura e della realtà, di cui Cristo è il modello. La pedagogia proposta dal de La Salle è cristocentrica. Infatti, la fecondità dell’educatore è direttamente proporzionale alla sua unione a Cristo “da cui trae linfa e vigore”.3 La pratica educativa, d’altro canto, non è per nulla facile e scontata: per amore dei suoi alunni, l’educatore cristiano è pronto ad accettare con amore anche ingiurie, oltraggi e calunnie per conformarsi al suo Maestro Crocifisso; perché questa è la ricompensa che Dio promette sulla terra a chi lo ama davvero: “Diventerete veri discepoli di Cristo solo quando l’amerete davvero e sarete disposti a morire per suo amore”.4 Il de la Salle in maniera esplicita parla di un cammino vocazionale degli insegnanti, teso alla scoperta graduale della loro professione come chiamata al “ministero” dell’educazione che è opera di Dio: “È stato Dio a scegliervi per la vostra missione… Non dovete dubitare neanche un istante che sia un dono di Dio la grazia che vi ha fatto dandovi l’incarico di istruire i fanciulli, di annunziare loro la buona novella e di educarli nello spirito di religione. Pensate però che Dio, chiamandovi a questo santo ministero, esige che lo compiate con zelo ardente, perché esso è opera di Dio”.5 Il de La Salle ricorda ai maestri cristiani di “considerare la loro occupazione come una delle più importanti e delle più eccellenti della Chiesa”,6 una “professione santa e sublime”;7 per questo li definisce “ambasciatori e ministri di Cristo”,8 “amministratori dei misteri di Dio”.9 Il fine dell’educazione cristiana è propriamente quello di evangelizzare, annunciando “con ardimento”,10 il vangelo, in particolare attraverso l’istruzio-

M, 195, III. M, 102, III. 5 M, 201, I. 6 M, 155, I. 7 M, 199, I. 8 M, 195, II. 9 M, 193, I. 10 M, 87, I. 3 4


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EDITORIALE

Donato Petti

ne e la formazione scolastica, “consumando la vita per dare agli alunni un’educazione cristiana”, cioè “per procurare ad essi la vita della grazia in questa vita e la vita eterna nell’altra”.11 Con accenti accorati, non teme di definire “falsi profeti” quegli insegnanti che, per ignoranza o disimpegno, si rendono responsabili della scarsa preparazione religiosa dei loro alunni.12

3.2. Educatori inviati a compiere una missione

Lo spirito di fede è la “chiave di lettura” del percorso di vita del de La Salle e della sua opera educativa. Lo definisce per i suoi effetti: questo spirito deve spingere “a non guardare nulla se non con gli occhi della fede, a non fare nulla se non con la mira a Dio e ad attribuire tutto a Dio”.13 Lo spirito di fede consente all’educatore di contemplare la realtà del bambino, del ragazzo e del giovane, con lo sguardo misericordioso di Dio e con la fiducia di Dio stesso nelle potenzialità di ogni persona che cresce e si rinnova. Lo spirito di fede non è una lettura contemplativa, astratta, alienante della vita. L’educatore, uomo o donna di fede, opera nel convincimento di assolvere ad una missione; per questo, nessuna difficoltà riuscirà a distoglierlo dal suo ministero o sminuire il suo ardore per “riuscire a commuovere il cuore dei suoi alunni e a suscitare in essi lo spirito cristiano”.14 Per entrare e vivere nello spirito di fede, il de La Salle sollecita i maestri a nutrirsi continuamente della Parola di Dio e dello spirito di preghiera: “Otterrete pochi frutti se non siete davvero uomini di preghiera, perché è essa che rende le vostre parole pienamente efficaci penetrando nel fondo del cuore dei vostri alunni”.15 Il de La Salle esorta i maestri ad essere “uomini di preghiera”,16 cioè a “riempirsi di Dio”,17 per essere docili strumenti nelle mani di Dio e collaboratori della sua opera di salvezza.18 L’educatore cristiano testimonia, nell’umiltà, la gioia di compiere la volontà di Dio: “Il nostro amore per Dio deve essere grande e deve avere la precedenza su ogni altro amore. Questo amore lo possiamo provare in tre modi: con la stima altissima che abbiamo di Dio; con il nostro attaccamento a lui; con la disposizione di compiere tutte le nostre azioni per lui”.19 M, 201, III. M, 60, III. 13 Regola del 1705, cap. II. 14 M, 139, III. 15 M, 159, II. 16 M, 187, II. 17 R, 80, II; M, 187, II. 18 M, 201, II. 19 R, 90, I. 11

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Jean Baptiste de La Salle e l’identità spirituale dell’educatore

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La manifestazione della fede contagiosa, incarnata nel quotidiano, è definita dal de La Salle spirito di zelo20 per la gloria di Dio e la salvezza delle anime, cioè passione per l’educazione dei bambini, dei ragazzi e dei giovani. II progetto educativo lasalliano è insieme umano e cristiano: matura le facoltà intellettuali, sviluppa le capacità di giudizio, mette a contatto con il patrimonio culturale acquisito dalle passate generazioni, promuove il senso dei valori, prepara alla vita professionale, dispone e favorisce la vita sociale. Fondamentale per la fecondità dell’azione educativa è l’esempio dell’educatore: “Pensate innanzi tutto che i vostri alunni vi osservano e che siete perciò obbligati a dar loro buon esempio”.21 L’esempio vale più delle parole o, meglio, l’esempio serve ad avvalorare le parole: “Volete che gli alunni siano virtuosi? Siatelo voi per primi, perché li persuaderete molto più con l’esempio di una vita saggia e modesta che con tutte le belle parole che potreste dire loro”.22 Tutta la credibilità del maestro cristiano si fonda, in definitiva, sulla coerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa: “È inutile che diciate di credere alle verità che Gesù ci propone nel santo Vangelo se le azioni non avvalorano la vostra fede che, così, diventa inutile”.23

3.3. Educatori “custodi” dal cuore amorevole

Commentando la figura evangelica di Giovanni il Battista, La Salle annota: “Siete gli Angeli che Dio ha inviato per preparargli la via perché possa penetrare nel vostro cuore e in quello dei vostri alunni”.24 Ad imitazione degli angeli, gli educatori sono chiamati ad essere messaggeri del misterioso piano della salvezza operata da Dio e mediatori della bontà di Dio nei confronti della fragilità dei ragazzi e dei giovani. La missione degli insegnanti cristiani è, dunque, quella di farsi accompagnatori dei propri alunni, sul modello dell’angelo Raffaele che accompagna il giovane Tobia.25 L’educatore guida i suoi alunni, con amore e zelo, alla conoscenza e alla pratica della vita buona del vangelo,26 corregge gli indisciplinati, conforta i pusillanimi, sostiene i deboli.27 Come “custode” degli alunni, li rimprovera R, VI. M, 69, I. 22 M, 33, II. 23 M, 84, III. 24 M, 2, I. 25 M, 198, III. 26 M, 198, II. 27 M, 204, III. 20 21


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EDITORIALE

Donato Petti

con dolcezza, prudenza, moderazione e benevolenza,28 evitando animosità, collera e risentimenti nocivi,29 manifestando, al contrario, tenerezza ed amore verso di essi. Come gli angeli custodi, gli educatori cristiani sono chiamati ad essere interlocutori autorevoli, accoglienti e preparati, capaci di suscitare e orientare le energie migliori degli studenti verso la ricerca del senso dell’esistenza, nell’orizzonte di una formazione integrale. Gli educatori cristiani, come sapienti architetti30 progettano insieme ai genitori il cammino di vita professionale e morale degli alunni.31 Non sono chiamati a sostituire i genitori, ma a condividere la loro opera, completandola, perché spesso precaria e insufficiente. Per il de La Salle, nel loro compito di guide esperte e premurose degli alunni, sono chiamati a contemperare “la fermezza di un padre per ritrarli o allontanarli dal disordine” e “la tenerezza di una madre per fare loro tutto il bene possibile”.32 L’educatore cristiano privilegia l’attenzione ai ragazzi più deboli, più bisognosi delle sue cure amorevoli, ravvisando in essi il volto umano di Dio: “Dovete avere per i figli dei poveri una grande tenerezza e procurare il loro bene spirituale per quanto vi sarà possibile, considerandoli come le membra di Gesù Cristo e come i suoi prediletti. La fede che vi deve animare vi deve spingere a onorare Gesù Cristo nella loro persona e a farveli preferire ai più ricchi della terra, perché sono la viva immagine di Gesù”.33 E con fine intuito psicologico, Jean Baptiste de La Salle estende il compito educativo nei confronti degli alunni anche “fuori della scuola”, ammonendo gli insegnanti: “Forse voi credete che, finite le lezioni, finiscano anche le vostre preoccupazioni?”34 La proclamazione di Jean Baptiste de La Salle “Patrono universale degli educatori” da parte del Papa Pio XII, il 15 maggio 1950, a cinquant’anni dalla sua canonizzazione, ha sigillato da parte della Chiesa il riconoscimento della sua opera geniale e coraggiosa, additandolo agli insegnanti e ai formatori quale maestro e testimone dell’educazione moderna.

Tb, 5, 4-17. M, 204, II. 30 M, 193, II. 31 M, 157, I. 32 M, 101, III. 33 M, 80, III. 34 M, 197, III. 28 29


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DI FRONTE ALL’ERRORE: L’ATTEGGIAMENTO DI ANFILOCHIO

FRANCESCO TRISOGLIO Professore emerito di Storia e Letteratura Patristica (Università di Torino) DI

SOMMARIO: 1. Chi era Anfilochio. - 2. Che cosa scrisse. - 3. L’azione pastorale. 4. La difesa dell’ortodossia. - 5. La condanna dell’eresia. - 6. La proposta della verità. - a) Il mistero trinitario. - b) La dottrina cristologica. - c) L’interpretazione pneumatologica. - d) La morale.

E

1. Chi era Anfilochio

ra cugino di S. Gregorio di Nazianzo e fu amico intimo di S. Basilio. Nacque a Cesarea di Cappadocia verso il 340-345; nel 360 seguì ad Antiochia le lezioni del celebre retore Libanio; nel 364-365 esercitò l’avvocatura a Costantinopoli, della quale però si disgustò, per cui si ritirò a Ozizala in Cappadocia, nell’intento di dedicarsi alla vita ascetica. Però nel 373 S. Basilio lo invitò a Cesarea come suo collaboratore e nel 374 lo designò come vescovo di Iconio, sede metropolitana della nuova provincia di Licaonia. Nel 379, alla morte di Basilio, Anfilochio ne pronunciò l’elogio funebre. Durante il suo episcopato si impegnò in una solerte lotta contro gli eretici, ariani, apotactiti, encratiti, messaliani. Nel 376 tenne ad Iconio un concilio contro gli pneumatomachi, negatori della divinità dello Spirito Santo, punto sul quale egli era particolarmente sensibile, in quanto era stato lui ad invitare S. Basilio a comporre il suo trattato sullo Spirito Santo. Nel 381 apportò al concilio di Costantinopoli il suo risoluto sostegno all’ortodossia. Nel 383 convinse Teodosio ad emanare editti contro gli ariani e presiedette a Side, in Panfilia, un sinodo cotro i messaliani. Morì tra il 398 ed il 404. Nel martirologio romano la sua festa è collocata il 23 novembre.

2. Che cosa scrisse

Della sua predicazione sono andati perduti un trattato sullo Spirito Santo


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ed uno sull’Incarnazione di Cristo; si sono invece conservati i Giambi a Seleuco, esortazione alla vita cristiana ed all’ortodossia in 340 versi (PG 37,1577-1600), un’epistola sinodale per mandato del concilio del 376, un preciso simbolo della fede in preparazione al concilio del 381, una confutazione degli apotactiti e degli encratiti presenti in Cappadocia, nove orazioni in greco ed una in copto su Abramo. Dei testi in prosa abbiamo l’eccellente edizione critica di C. Datema, Corpus Christianorum series Graeca 3, Brepols, Turnhout 1978.

3. L’azione pastorale

Anfilochio, come vescovo, si sentì chiamato, non solo a predicare la fede, ma anche a difenderla; fu avvocato nel foro e continuò a sentirsi tale nella Chiesa. Presentò, positivamente, la fede nella sua verità, ma fu anche sollecito a tutelarla, negativamente, dalle deviazioni che riscontrava pullulargli attorno. Combatté le eresie a circonferenza completa.

4. La difesa dell’ortodossia

Anfilochio si presentò come un combattente in difesa dell’ortodossia: «Come un soldato regolare, io imprendo la battaglia contro gli eretici» (Or. VI,1, p. 139, 4-6). Si considera un Giosuè che, su invito di Mosè, batté i nemici (p. 139, 6); non ha paura della magniloquenza degli eretici (lin. 10-11); è sicuro di vincere, sotto la protezione di Cristo (16-20). Con i calzari della pace calpesterà il molteplice capo degli eretici, senza timore (§ 2 p. 140, 2425). Contro gli ariani, che non riconoscevano la piena divinità di Cristo, usa un linguaggio duro in una confutazione vigorosa. Si rivolge a Cristo in un dialogo aperto; gli parla e ne riceve le istruzioni; fa parlare lui invece di parlare egli stesso; c’è immediatezza di pathos pur senza turgore verbale. Come di sua norma, il ragionamento procede sostenuto in una formulazione salda, scorrevole, chiara; avanza sicuro senza forzature e contorsioni; è pacato e robusto, stretto all’argomentazione, senza divagazioni ed evasioni. Di fronte agli ariani, che impugnavano la divinità di Cristo in nome dei suoi comportamenti umani, narrati nel Vangelo, è Cristo stesso che intima di uscire dall’errore: «Cessa dunque, o eretico, dal condannare la mia riservatezza e la mia ignoranza: mi mostro infatti timido per testimoniare che la mia assunzione della carne non è stata una pura parvenza [contro i doceti]; dico: “La mia anima è turbata” (Gv 12,27), affinché sappiate che non ho assunto un corpo senz’anima, come vuole l’errore di Apollinare» (Or. VI,13, p. 150, 313-316). Data l’autorevolezza di chi la pronuncia, la condanna riveste una categoricità, alla quale non sarebbe arrivato nessun polemista umano. Il linguaggio, semplice, ha la pacata tranquillità della sicurezza; le ,


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idee, assai più che ‘dette’, vengono ‘posate’ come indiscutibili. Procedendo, al § 14, p. 151, 339-348, Cristo coinvolge direttamente l’eretico in una riflessione; gli contesta l’errore facendolo emergere dalla logica, usa procedimenti razionali; non s’impone d’autorità; fa vedere come l’eresia contenga in se stessa una consequenzialità che conduce, inevitabilmente, all’errore.

5. La condanna dell’eresia

L’ortodossia è presentata da Cristo; l’eresia è ispirata dal demonio. Nel Contra haereticos, trattato in 28 §§, pp. 185-214, troviamo asserito questo parallelismo: «Colui che insegna tutte le eresie è il diavolo; come Cristo è il maestro della Chiesa cattolica... così il diavolo è diventato il maestro di tutte le eresie, pronto ad ingannare ed a disperdere» (§ 2, p. 186, 49-54). Quando gli eretici sospingono fuori dalla Chiesa e inducono a non riconoscere più il sacerdote che li ha battezzati né la Chiesa che è loro madre spirituale, in loro parla il diavolo; dicono: “Che cos’è la Chiesa? Che cos’è il battesimo? Quello è il sangue di Cristo? Non entri mai nella mia bocca!” A questo rinnegamento Anfilochio replica: «Infelice! Se avessi custodito il tuo cuore con ogni attenzione, se avessi pregato tenacemente fino all’estremo respiro, ti sarebbe perdurata la difesa; se non avessi lasciato entrare il diavolo nel tuo cuore, non saresti stato catturato da lui e ridotto alla sua volontà; fino a questo punto ti ha condotto l’astenerti (dalla comunione eucaristica); il sangue di Cristo è impuro e tu sei puro? Cristo non disse: “Se qualcuno non si astiene dalla mia Chiesa e dai miei discepoli non è mio discepolo”; insegnò invece che, tramite la sua incarnazione, dobbiamo astenerci dal diavolo e dagli idoli e aderire a lui solo, tramite la sua Chiesa ed i suoi misteri» (§ 5, p. 189, 163190). È pertanto assurdo combattere contro Dio, dissentire dagli Apostoli, rifiutare i Testamenti, considerare cattive quelle cose di cui Cristo si servì ed attraverso le quali è stato glorificato: «Cessino gli eretici di correggere Dio, di dire: “Questo lo ha fatto bene, in questo si è sbagliato”, (un tale atteggiamento) non è proprio di un uomo assennato ma di uno impazzito... questa è la dottrina degli impuri manichei» (§ 28, p. 213, 1059-1069). È una rappresentazione efficacemente ironica; Anfilochio concretizza e visualizza: essi non dicono così con le parole, così dice però il loro comportamento.

6. La proposta della verità

Contro gli eretici che inculcano l’errore, agli ortodossi è assegnata la missione di proporre la verità. Anfilochio rileva che, con il precetto di istruire tutte le genti e di battezzarle nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (Mt 28,19) «abbiamo ricevuto l’ordine, non solo di battezzare così, ma anche di istruire così, perciò, per questo comando, siamo tenuti ad esclude-


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re la malattia di Sabellio ed a chiudere la bocca agli anomei, agli ariani ed ai pneumatomachi» (Epist. synodalis, § 3, p. 220, 48-56). Ed in opposizione all’errore degli eretici, nei vari settori, Anfilochio la verità la espose in netta perspicuità.

a) Il mistero trinitario

A proposito della dichiarazione: «Il Figlio non può fare nulla da se stesso» (Gv 5,19) Anfilochio chiarisce che «sarebbe somma stoltezza interpretare la frase nel senso che, se egli non fa assolutamente nulla da se stesso, allora non ha neppure compiuto la redenzione per una sua decisione, non ha assunto la nostra carne per benevolenza verso di noi, non ha ricevuto liberamente la morte per amor nostro, ma ha subito tutto ciò per costrizione, spinto dalla necessità» (Or. IX,1, p. 175, 19.23) e prosegue (24-28): «Se dire questo è temerità blasfema, ditemi in che senso voi intendete questa affermazione; anche se non lo volete, voi, spinti dalla verità, dite che egli può fare ciò che vuole». E continua ancora (29-35): l’aggiunta “se non vede che lo fa il Padre” risolve il problema; infatti non ha detto “se non glielo comanda il Padre” ma “se non vede che lo fa il Padre”; «dunque non fa quello che gli comanda il Padre come compiendo un servizio, ma come uguale, fornito di un’uguale potenza, in quanto è della stessa natura, quello che vede che il Padre fa, lo fa ugualmente anche il Figlio». Con elastica disinvoltura di argomentazione Anfilochio sopprime la dipendenza ariana conducendo all’identità di natura propugnata a Nicea. Poco oltre ribadisce con più incisiva nettezza: «Come il Padre non è soggetto a delimitazioni né serve a leggi, ma fa quello che vuole di sua iniziativa, così anch’io faccio tutto per un potere autonomo, come il Padre» (§ 3, p. 177, 67-70). Ed anche per quello che concerne il sabato, Anfilochio fa pronunciare a Cristo l’energica asserzione: «Io non scendo in guerra contro il Padre; non sono in dissenso con il suo pensiero; non voglio cose diverse da quelle che egli vuole; quelle che vuole le voglio, quello che fa lo faccio» (§ 4, p. 177, 95-97). E c’era anche un’altra dichiarazione, che in sé suonava risolutamente inferiorità di natura: «Il Padre, che mi ha mandato, è migliore di me» (Gv 14,28): emergeva rigorosamente il dilemma: se è maggiore, come è uguale; se è uguale, come è maggiore? Anfilochio lo pone nella sua cruda inevitabilità; gli risponde però con altrettanta categoricità: «Distingui le nature, quella di Dio e quella dell’uomo; non è diventato uomo per un decadimento da Dio né Dio per un progresso da uomo; dà i patimenti alla carne ed i miracoli a Dio» (Fragm. II, 1-2 p. 227, 3-17): la sicura lucidità del pensiero ha incontrato una signorile eleganza di stile. Conferma poi la realtà con un’indubitabile legge logica: «Ciò che è senza tempo non è creato; ciò che non è creato è senza tempo; ciò che è senza tempo è eterno, soltanto ciò che è eterno è Dio»


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(Fragm. IV, p. 232): è una sentenza apodittica che costituisce un capolavoro di coerenza interna e di raffinata stringatezza formale. Il mistero in Anfilochio rimane mistero ma rispetta con cura la dignità dell’intelligenza facendosene, se non capire, almeno accogliere senza suscitare renitenze immediate.

b) La dottrina cristologica

Anfilochio, inquadrando la figura di Cristo nei suoi precorrimenti profetici, fa del sacrificio di Isacco un tipo simbolico di Cristo in croce (De Abraham p. 282, 130-140), dove drammatizza la scena in una pacata vivacità, senza esagerazioni di tono; Anfilochio vi partecipa con un’esposizione lenta, particolareggiata, minuta, nella quale fa parlare tutti i personaggi; l’esposizione diventa drammatizzazione e la drammatizzazione celebrazione della suprema grandezza di Dio, con un’efficace ricerca di approfondire i sentimenti in accenti d’interiorità. Isacco fu simbolo di Cristo, come lo furono Adamo, nato dalla terra vergine, Abele, Noè (lin. 372-385) e conclude che è un mistero, che nessuno degli antichi riuscì a capire e che i giusti vedono ora come in uno specchio (p. 302, 426-428). Dopo i profeti antichi entrano i testimoni contemporanei: infatti il vecchio Simeone dichiarò Cristo segno di contraddizione, alludendo alla croce, per la quale molti infedeli hanno contraddetto il Signore, e parlò della spada che avrebbe trafitto l’anima della Vergine; ciò avvenne prima della risurrezione, dopo di essa ella avrebbe provato una fervidissima gioia (Or. II,8 p. 65, 214-238). Sulle modalità e gli scopi dell’Incarnazione Anfilochio traccia un prospetto in tersa limpidezza e ferma sicurezza: «Venne in terra senza aver lasciato il cielo vuoto e si fece uomo senza spogliarsi dell’essere Dio, per estrarre dall’abisso del peccato quelli che erano battuti dalle tempeste nel mare delle vicende terrene» (Or. IV,1 p. 107, 16.20). È una realtà così sublime, che Anfilochio non si accontenta di esporla con le sue parole, la fa invece presentare da Cristo stesso: «Che io, che sono Logos, sia diventato carne lo hai sentito dire, il come però lo ignori. Come ero nella carne, come corpo in un corpo o come anima in un corpo? Dunque ho condiviso la passione con un corpo passibile? Ma io non ho provato passione; la natura divina non cade nella passionalità. Come dunque sono diventato carne senza cessare di essere Dio, così ho subito il patimento senza cadere nel patimento» (Or. VI,8 p. 146, 195-200). L’eccellenza dell’Incarnazione è misurata dalla sua stessa trascendenza sulla comprensione umana; incommensurabilità del fatto ed irraggiungibilità della conoscenza. Il mistero ha però una sua coerenza, che finisce col tranquillizzare la razionalità; è incomprensibile il dolore in Dio, ma si schiarisce col difisismo: nell’inscindibilità della persona c’era una


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natura soggetta alla sofferenza come ce n’era una superiore; le due realtà coesistevano. E continua (200-206) specificando che l’incomprensibilità non fa ostacolo alla realtà; il limite dell’essere non coincide con quello della nostra mente: «Sono nato per la redenzione [è Cristo che parla], sono morto per la salvezza degli uomini; non cercare dunque la sistemazione della nascita o il modo della morte; ciò che la natura non fa, lo compie la potenza. Mentre sono Dio, sono diventato corpo; questo è, di primo acchito, fuori dalla natura, ma non è diventato impossibile a causa della natura, poiché era nel mio potere, nel potere di me, che ho fatto la natura». Densità di concetti in solenne autorevolezza di proclamazione: l’impossibile è stato inserito in una nuova logicità. Anfilochio confuta l’errore facendo emergere la verità. Anche nel § 9 continua a parlare Cristo, conciso e chiaro; questo Cristo catechista esercita un fascino; non è la lezione dell’uomo, che contiene, quasi fatalmente, un sottofondo di approssimativo e di atono, qui affiora una intima vitalità che attrae; Cristo si pone vicino senza perdere la trascendenza. L’ardua sublimità del mistero, come accade spesso con le menti anguste che non arrivano al senso dell’oltre, ha indotto taluni a svuotarlo in un ingenuo docetismo, riducendo l’Incarnato ad una parvenza, oppure ad immaginare che la sua fosse una carne discesa dal cielo, in un’essenza diversa dalla nostra; Anfilochio denuncia la menzogna di queste riduzioni e reagisce con un attacco diretto, che parte dalla nostra stessa natura: «Se assunse un corpo diverso, come interessa il nostro, che ha bisogno di salvezza? Se discese dal cielo, che rapporto ha con la mia carne, presa dalla terra?» (Fragm. VI, p. 233, 21-23). Contro la volatilizzazione dell’Incarnazione Anfilochio ne sottolinea la mirabile attuazione: «L’immortale è venuto agli esseri terreni, l’impalpabile a quelli sensibili, l’invisibile a quelli visibili» (Or. I,1, p. 6, 39-42). Oltre ai rapporti di adorazione che i fedeli debbono avere verso la natura misteriosa di Cristo, Anfilochio illustra quelli di venerazione che debbono intrattenere verso la sua persona storica. Segna pertanto il contrasto della peccatrice, che non conosceva le leggi divine e tuttavia vinse la mentalità ingrata dei Giudei; mentre essi gettavano pietre contro Cristo, ella lo rallegrava col profumo degli unguenti ed unse quei piedi che per lei sarebbero stati fissati sulla croce (Or. IV,7, p. 116, 217-223); a lei contrappone la meschina invidia di quel fariseo che la rimproverò per l’onore che aveva tributato al Signore (§ 8, p. 117, 245-248) e soprattutto mette in risalto il bacio traditore di Giuda con quelli deferenti della peccatrice (§ 9, p. 121, 319-322). A questo spettacolo l’emozione di Anfilochio non può trattenersi dall’erompere in una calda esortazione al suo pubblico: «Voi, che siete presenti, imitate della peccatrice, non la voluttà, ma il compianto; la voluttà infatti generò il lamento, il lamen-


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to poi fornì la dissoluzione dei mali; lavate il vostro corpo non con l’acqua ma con le lacrime» (§ 12, p. 125, 424-427). È la via del riscatto, l’unico ricupero disponibile alla fallibilità umana; la scena della virtù calpestata che si prende una rivincita sul vizio suscita un’impressione di magnanima nobiltà. Gli eventi del venerdì santo gli si configurano in stridente contrasto: «Si spezzarono le pietre; il Tempio rimase nudo; come se fosse vivo, lacerò il suo vestito; le cose inanimate percepirono l’enormità di quello che era stato fatto, mentre quelli che lo avevano compiuto conservarono insensibili le loro anime» (Or. V,1, p. 134, 23-27). Al posto delle deplorazioni verbali, che si dissipano, entrano, a dire il loro scandalo, le cose con la loro dura permanenza.

c) L’interpretazione pneumatologica

Anfilochio pone la pneumatologia in stretta connessione con la cristologia, sulla quale è proiettata in un parallelismo che fa unione in distinzione. Anfilochio presenta un quadro in incisiva nettezza e completezza: «Il Figlio è unigenito, Verbo-Dio, connaturale, coetaneo, coessenziale, uguale al Padre, in nulla diverso dal Padre, tranne che nel non essere Padre dell’Unigenito, vero Dio da vero Dio, onnipotente dall’onnipotente, Signore di tutto dal Signore di tutto, luce da luce, unico dall’unico, perfetto dal perfetto, tutto dal tutto, impassibilmente ed eternamente generato dall’ipostasi del Padre, senza essere stato creato; sostiene il tutto ed il suo regno non ha fine» (De recta fide, p. 314, 3-12) Da questi commi che si succedono instancabili, incalzanti, come insoddisfatti della parzialità dei loro apporti, nell’ansia di una totalità che si mostra irraggiungibile, traspare un’integralità di convinzione che sembra quasi salire ad aggressività; dice ed impone. Segue subito: «Solo uno è lo Spirito Santo, connaturale, coetaneo, coessenziale, immutabile, uguale al Padre ed al Figlio, in nulla diverso dal Padre e dal Figlio, tranne che nel non essere Padre e Figlio, perché non generò e non fu generato, ma procedette; esiste nella propria ipostasi; è il solo che santifica e dà la vita e la sapienza a tutte le nature razionali» (13-20) e continua nella medesima acuminata incisività. Sovrapposizioni e diversificazioni rendono visivamente l’unità della natura e la distinzione delle persone nella Trinità. Se si tiene conto che l’orazione fu presumibilmente pronunciata nel 380, nell’imminenza del grande concilio del 381, risulta che essa appare un sicuro traghetto da Nicea a Costantinopoli, senza che si possa tuttavia asserire che ne abbia esplicitamente influenzato il simbolo; sostenne le concezioni che si stavano affermando alla vigilia del concilio.

d) La morale

Lo Spirito Santo è santità che dona santità; la rettitudine del credere è


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infatti inseparabile da quella dell’operare; l’ortodossia è autetica solo se unita alla pratica dei comandamenti. Nell’Orazione sull’offerta che Abramo fece di Isacco, Anfilochio afferma che l’impulso della natura è vigoroso, prevale su tutto, ciononostante non ebbe potere sulla mente di Abramo e sul suo senso di compassione per il figlio; non riuscì ad allontanarlo da Dio; egli rimase fermo nella sua perseveranza ad amare il Signore; l’amore per il Signore ebbe la preminenza su quello per il figlio (p. 274, 3-15). A fondamento della morale, Anfilochio sostiene che le passioni, per quanto violente, non giustificano la disobbedienza a Dio; drammatizza così, in vivace sviluppo, i sentimenti che si agitavano nell’anima di Abramo. Sta avviandosi a quella che sarà l’omelia drammatica del VI-VII secolo. Nell’omelia sulla donna peccatrice (IV), davanti ai trucchi allettatori della meretrice, Anfilochio si chiede quale medico possa trovare delle passioni illimitate, e si risponde: «Non posso sfuggire a Dio; mi rimane una sola speranza di salvezza; ho a disposizione un solo viatico per la mia vita, riconoscere Gesù e ricorrere a lui» (§ 5, p. 113, 150-157). Era una realtà, alla quale i farisei non si erano attenuti; infatti «essi brontolavano perché Gesù mangiava con i pubblicani, ma essi erano come otri vecchi che sarebbero stati spezzati, poiché non riuscivano ad accogliere il vino nuovo della dottrina; noi invece siamo risoluti a camminare dietro al pastore che ci vuole bene» (Or. IV,2, p. 108, 39-43). In contrasto, venuto a parlare dei Samaritani, Anfilochio denuncia che «ci sono dei Samaritani anche presso di noi e sono quelli che si sono separati da Gerusalemme, cioè dalla Chiesa di Cristo, quelli che hanno decretato di non offrire la preghiera e le decime a Dio in Gerusalemme e di non ascoltare le Scritture né gl’insegnamenti che vengono dati nelle chiese per mezzo dei pastori ad opera dello Spirito Santo, ma sono completamente separati ed estranei al popolo di Dio»(Contra haer., 17, p. 201, 613-619). I Samaritani rifiutano, i Giudei combattono. Dinanzi a Lazzaro redivivo c’erano i curiosi e c’erano i nemici: «Le folle presero atto, i pontefici insultarono il prodigio passando all’invidia; invidiarono proprio la risurrezione, poiché dopo la risurrezione deliberarono di ucciderlo; il Signore lo risuscitò; essi pensavano di ucciderlo, non rendendosi conto che, anche se lo avessero ucciso, era facile al Signore risuscitare di nuovo l’amico» (Or. III,1, p. 85, 8-14). Anfilochio ritrae i due moventi dell’ostilità a Cristo, l’invidia e la stoltezza, il rodersi per la grandezza altrui; è una meschinità che esula dall’intelligenza. La fede ha prove evidenti, l’ateismo affonda in un cieco irrazionalismo. Nei Giambi a Seleuco Anfilochio lancia un vigoroso attacco (vv. 150-180) contro la partecipazione allo spettacolo delle gare equestri, vera peste di cui fa sfilare i guai: corrompono l’anima dei singoli, lacerano la città, spingono la gente a moti sediziosi che sfociano in battaglie, provocano dicerie maligne


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Di fronte all’errore: l’atteggiamento di Anfilochio

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che spezzano le amicizie e mettono le famiglie in contrasto e, peggio che mai, stimolano i contendenti ad assicurarsi la vittoria con l’aiuto di maghi ciarlatani, i quali, a loro volta, ricorrono al supporto dei demoni, che si prestano volentieri. È una denuncia completa che coinvolge l’uomo come individuo e come cittadino. Anfilochio non scende ad un’indagine né morale né psicologica della passione; ne pone in risalto gli effetti; forse era quello che Seleuco poteva immediatamente capire ed assimilare. Lo avvolge in una ressa di motivi che non dovevano più lasciare titubanze. Gli parla con il tono di un’autorevolezza che non manca di trepidazione, in un crescendo che sui disastri sociali vede affacciarsi il volto sinistro del demonio, che spinge i dissidi agli eccidi. Denuncia i guasti e si sofferma a contemplarli nella loro rovinosa gravità; insiste sui disastri economico-sociali, in quanto più facilmente percepibili dal suo interlocutore. Anfilochio combatte l’errore dovunque lo incontri, in Giudei, in pagani, in eretici; a loro contrappone la bellezza spirituale del popolo cristiano, che deve porsi modello nel comportamento virtuoso (Or. I,5, p. 9, 141-164). E nella sua lotta contro ogni deviazione apre una serena, corroborante visione: «Così, in qualsiasi cosa, noi saremo tutti maestri a quelli che ci incontrano; comportandoci così, noi diventeremo veramente il sacro fermento ed il mondo, tramite noi, fermenterà in vista della salvezza» (Or. I,5, p. 9, 164-167). S. Basilio, il suo grande amico e protettore, aveva già scritto: «L’impeccabilità del comportamento, in se stessa, se non è illuminata mediante la fede in Dio, non giova, e neppure idee ortodosse in fatto di fede, se sono prive di opere buone, potranno servirci da efficace presentazione al Signore. Bisogna che i due elementi si trovino insieme, affinché l’uomo di Dio sia ben equilibrato e la nostra vita non zoppichi in relazione a quello che manca» (Epist. 295, ed. Courtonne III, p. 170, 24-29) e S. Giovanni Crisostomo, il suo grande contemporaneo, scriveva: «Non ci guadagneremo nulla ad avere l’ortodossia dogmatica, se trascuriamo i costumi, né potremo trarre qualche buon profitto per la nostra salvezza, se, avendo dignità di costumi, trascureremo l’ortodossia dogmatica» (Sulla Genesi Om. XIII,4, P.G., 53, 110) e ribadì: «Che utilità c’è, se nei dogmi della fede ci si dimostra ossequenti a Dio, quando nella vita quest’ossequenza viene a mancare?» (Sulla I Lett. a Tim., Om., VII, 1, P.G., 62,535).


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JEAN-BAPTISTE DE LA SALLE

OPERE COMPLETE in 6 volumi, rilegati con sovracoperta, 22 x 15 cm. Prima edizione italiana a cura di SERAFINO BARBAGLIA

1. Scritti Spirituali / 1 Raccolta di vari Trattati brevi – Regole – Scritti personali. Presentazione di A. HOURY – Introduzione di M. SAUVAGE e M.-A. HERMANS, pp. 544.

2. Scritti Spirituali / 2 Meditazioni – Spiegazione del metodo di orazione. Presentazione di J. JOHNSTON, pp. 1194.

3. Scritti Pedagogici Guida delle Scuole cristiane – Regole di buona creanza e di cortesia cristiana. Edizione italiana a cura di R. C. MEOLI, pp. 480.

4. Scritti Catechistici I doveri del cristiano verso Dio. Traduzione e note a cura di G. DI GIOVANNI e I. CARUGNO, pp. 862.

5. Istruzioni e Preghiere Istruzioni e preghiere – Esercizi di pietà – Canti spirituali, Traduzione e note a cura di S. BARBAGLIA e I. CARUGNO. Presentazione di Á. RODRIGUEZ ECHEVERRÍA, pp. 470.

6. Le Lettere Traduzione e note a cura di S. BARBAGLIA. Introduzione di R. L. GUIDI, pp. 560. CITTÀ NUOVA EDITRICE Via degli Scipioni, 265 – 00192 Roma tel. 063216212 – comm.editrice@cittanuova.it Per informazioni e ordinazioni: Viale del Vignola, 56 - 00196 Roma tel. 06.322.94.503 - E-mail: gabriele.pomatto@gmail.com tel. 06.322.94.235 - E-mail: fedoardo@pcn.net


Rivista Lasalliana 80 (2013) 2, 173-184

COMPARTIR EL CARISMA LASALLISTA DE LA “CUM-MUNIO” A LA “CUM-MUNUS”

DI EDGAR GENUINO NICODEM Consigliere Generale della Congregazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane

SOMMARIO: 1. Un cambio de época. 2. El nuevo rostro de la Iglesia. 3. El compartir del carisma en la Iglesia Pueblo de Dios Comunión. 4. De la cum–munio a la cum–munus. 5. Ser corazón, memoria y garantía del carisma. Conclusión.

E

l contexto social del siglo XVII francés fue un factor importante en la configuración del Instituto naciente. Entre los múltiples elementos podemos destacar el inicio de la era industrial y la implementación del Concilio de Trento en Francia.1 Tanto los principios de la industrialización como el proyecto evangelizador de Trento han dejado huellas profundas en la organización del Instituto de los orígenes. Hoy asistimos a la emergencia de nuevos paradigmas que comprenden de otra manera a las personas y a las comunidades y que suscitan nuevos interrogantes a nuestro modo de ser y de actuar como lasallistas. Necesitamos analizar hasta qué punto nuestro “modus operandi” aún es una respuesta efectiva al dinamismo místico y profético del carisma que hemos recibido a través del Santo Fundador y de los primeros Hermanos. Por un lado, está nuestra experiencia fundante; por otro, están los signos de los tiempos que plantean nuevos horizontes para reconfigurar2 el carisma lasallista.

1. Un cambio de época

El contexto actual puede ser caracterizado como de “hipermodernidad, tardomodernidad, modernidad líquida, segunda modernidad, modernidad reflexiva, postmodernidad… términos recientemente acuñados para tratar de dar cuenta de las nuevas coordenadas que definen el tránsito a una nueva cultura y a una nueva sociedad que desbordan el marco teórico y práctico del Proyecto Moderno. La emergencia Cfr. L. LAURAIRE, La conduite, approche contextuelle, Tipografia S.G.S., Roma, 2001, pp. 67-76 y 159-174. 2 Cuando hablamos de la configuración o reconfiguración del carisma lasallista estamos utilizando la noción de identidad narrativa de PAUL RICOEUR, Temps et récit – Le temps raconté – Vol 3 – Éditions du Seuil, Paris, 1985, p. 513. 1


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de nuevos fenómenos socioculturales ha alterado la visión, comprensión y vivencia modernas del mundo. Instituciones sociales, justificaciones teóricas, sistemas axiológicos, éticos y políticos, prácticas sociales y proyectos individuales que habían servido para legitimar el proyecto moderno se han visto profundamente cuestionados, trastocados y superados por la radicalidad, densidad e intensidad inusitadas de las nuevas realidades que están aconteciendo en estos últimos años”.3 El 44º Capítulo General reconoció que estamos viviendo un cambio de época caracterizado por la globalización, donde las relaciones son cada vez más interdependientes.4 Diversas prácticas culturales consideradas importantes para la cohesión social hasta hace bien poco tiempo, ya no son tan relevantes para una sociedad que Zygmunt Bauman caracterizó como líquida. Este cambio cultural plantea nuevas exigencias para el nuestro modo de ser y de actuar como lasallistas. ¿Cómo ser en este nuevo contexto cultural una presencia mística y profética del carisma? La Asamblea Internacional de 2006 nos recuerda que nuevas preguntas requieren nuevas respuestas.5 Los cambios sociales, culturales, económicos, políticos y religiosos, afirman los participantes del Sínodo de los Obispos del 2012, convocan a los cristianos a vivir de forma renovada la vida nueva en Cristo. Todos los miembros del Pueblo de Dios son llamados “a vivir de un modo renovado nuestra experiencia comunitaria de fe y el anuncio, mediante una evangelización nueva en su ardor, en sus métodos y en sus expresiones”.6 Hay necesidad de reavivar una fe que corre el riesgo de apagarse en contextos culturales que obstaculizan su enraizamiento personal, su presencia social, sus contenidos y frutos según el Evangelio. La Iglesia necesita repensar su misión, reconfigurar su identidad y renovarse institucionalmente.7 ¿Y con el Instituto no pasa algo semejante? El Instituto no es inmune a los cambios culturales que están al orden del día. Desde el Capítulo del 1966-67 hemos emprendido un largo y significativo camino de renovación. En gran parte hemos recuperado el carisma fundacional. Pero todavía no hemos logrado instaurar de forma satisfactoria 3 Cfr. D. BERMEJO, Identidad, globalidad y pluralidad en la condición posmoderna, in Bermejo, Diego (Ed.), La identidad en sociedades plurales, Anthropos, Barcelona, 2011, pp. 17-18. 4 Cfr. INSTITUTO DE LOS HERMANOS DE LAS ESCUELAS CRISTINAS, Documentos del 44º Capítulo General – Ser Hermanos hoy – ojos abiertos, corazones encendidos, Roma, 2007, pp. 9-17. 5 Cfr. INSTITUTE OF THE BROTHERS OF THE CHRISTIAN SCHOOLS, Report of the International Assembly 2006, Rome, 2006, pp. 34-35. 6 Cfr. SÍNODO DE LOS OBISPOS, Mensaje al Pueblo de Dios de la XII Asamblea General Ordinaria del Sínodo de los Obispos, in. http://www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod doc_20081024_message-synod_sp.html, n. 2. 7 Cfr. A. BRIGHENTI, A Igreja perplexa – A novas perguntas, novas respostas, Paulinas, São Paulo, 2004, pp. 119-143.


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nuevas dinámicas apostólicas e institucionales que posibiliten reconfigurar adecuadamente a la dimensión mística y profética del carisma según los cambios actuales. El contexto actual se constituye en un gran desafío y una gran oportunidad para el carisma lasallista. Aun con todas las limitaciones y contradicciones, tanto personales como institucionales, el carisma lasallista está vivo en el corazón de Hermanos, Hermanas y Seglares que diariamente son portadores del Evangelio de Jesucristo a través del Ministerio Apostólico de la Educación. El Fundador nos recuerda, en diversas oportunidades, que Dios conduce todas las cosas con suavidad y sabiduría llevándonos muchas veces por caminos inusitados. El momento actual requiere apertura de espíritu y proactividad para configurar, en clave de asociación, los nuevos senderos del carisma lasallista.

2. El nuevo rostro de la Iglesia

El Concilio Vaticano II ha cambiado profundamente el rostro de la Iglesia.8 Un conjunto de factores históricos, culturales, sociales y teológicos han generado un nuevo contexto para la vida y la misión de la Iglesia. Una opción sería responder a los nuevos desafíos con los medios tradicionales u optar por un camino nuevo. La decisión profética de Juan XXIII fue la segunda. El nuevo rostro eclesial diseñado por el Vaticano II pasa por el decreto sobre la libertad religiosa, el ecumenismo, el diálogo interreligioso, los cambios litúrgicos, la centralidad de la Palabra de Dios, la noción de Iglesia Pueblo de Dios y la relación de diálogo con el mundo y con la ciencia.9 El nuevo rostro eclesial diseñado por el Concilio Vaticano II puede ser expresado a través de la noción de Iglesia Pueblo de Dios-Comunión. A la Iglesia Pueblo de Dios está dedicado todo el 2º capítulo de la Constitución Dogmática Lumen Gentium. Al definir la Iglesia como Pueblo de Dios se quiere destacar la relación entre el pueblo de Israel y la Iglesia – nuevo Pueblo de Dios. Revela el carácter histórico de la Iglesia y destaca la dignidad, identidad y misión de todos los miembros del Pueblo de Dios. Unidad en la diversidad. A través de la dinámica del bautismo todos son transformados en protagonistas de la construcción del Reino de Dios. La noción de Iglesia de Comunión fue una tentativa del Sínodo Extraordinario de 1985, realizado con ocasión de los 20 años de la terminación del Concilio Vaticano II, de sintetizar la eclesiología del Concilio. En ningún momento el Vaticano II habla directamente de Eclesiología de Comunión, pero el concepto y la per8 9

Cfr. E. NICODEM, La Eclesiología del Vaticano II, www.relal.org.co. Cfr. H. KÜNG, ¿El Concilio olvidado?, in Concilium 312 (2005), pp. 128-133.


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spectiva de comunión están presentes en sus documentos. A demás de las raíces bíblicas, la Eclesiología de Comunión tiene un carácter teológico, cristológico, histórico-salvífico y sacramental. Como eclesiología recuerda constantemente que en la Iglesia no hay extranjeros, cada uno en cualquier lugar que esté, está en su casa, no hay huéspedes. Considerando las raíces bíblicas y teológicas podemos hablar de la Eclesiología Pueblo de DiosComunión como expresión del nuevo rostro de la Iglesia del Concilio Vaticano II. Otro elemento importante de la Eclesiología del Concilio Vaticano II es la relación entre Iglesia y Reino de Dios. La Iglesia no es el Reino de Dios, pero tiene la misión de anunciarlo en el mundo, como instrumento de Dios. Según Ignacio Ellacuría,10 la Iglesia realiza su sacramentalidad histórico-salvífica anunciando el Reino en la historia. En ninguna hipótesis es el centro. Una Iglesia centrada sobre sí misma pierde su carácter histórico-salvífico y probablemente no será más que uno de los tantos poderes políticos o económicos de la sociedad. El Concilio Vaticano II ha tenido una recepción extremamente creativa en América Latina y El Caribe. Las Conferencias Generales (Medellín: 1968; Puebla: 1979; Santo Domingo: 1992; y Aparecida: 2007) revelan en gran parte el esfuerzo de la Iglesia latinoamericana y caribeña en asumir, a partir de la realidad local, el nuevo rostro diseñado por el Vaticano II. Pero hoy, según el documento de Aparecida, la “Iglesia está llamada a repensar profundamente y relanzar con fidelidad y audacia su misión en las nuevas circunstancias latinoamericanas y mundiales… no depende tanto de grandes programas y estructuras, sino de hombres y mujeres que encarnen dicha tradición y novedad, como discípulos de Jesucristo y misioneros de su Reino, protagonistas de vida nueva para una América Latina que quiere reconocerse con la luz y la fuerza del Espíritu”.11

3. El compartir del carisma en la Iglesia Pueblo de Dios Comunión

Al renovar profundamente el rostro de la Iglesia el Concilio Vaticano II afirmó el carácter constitutivo tanto de los ministerios cuanto de los carismas en la vida eclesial. Todos los cristianos son portadores de carismas12 que tiene la función de renovar y desarrollar la vida eclesial y el Reino de

Cfr. J.A.BENÍTEZ, El legado eclesiológico de Ignacio Ellacuría, p. 4, in http://www.servicioskoinonia.org/relat/198.htm. 11 Cfr. CELAM, Documento conclusivo de la V Conferencia General del Episcopado Latinoamericano y del Caribe, Paulinas, Bogotá, 2007, n. 11. 12 Cfr. L.V. ÁLVAREZ, Caminar en el Espíritu – El pensamiento ético de San Pablo, EDACALF, Roma, 2000, p. 285. 10


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Dios. Esta visión del carisma, según Álvarez Verdes, está destinada a abrir nuevos y fecundos horizontes en la Iglesia.13 La Instrucción de la Congregación para los Institutos de Vida Consagrada y las Sociedades de Vida Apostólica, Caminar desde Cristo, afirma que la novedad de los últimos años “es sobre todo la petición por parte de algunos laicos de participar en los ideales carismáticos de los Institutos”.14 Estas peticiones han generado nuevas e interesantes formas de asociación que han superado ampliamente la tradicional suplencia de los laicos en las Congregaciones Religiosas o la carencia de religiosos o religiosas en las mismas. Más que asumir responsabilidades por la gestión de las obras, las personas quieren vivir a partir de su identidad laical el carisma. Esto significa, prosigue la Instrucción “que los carismas de los fundadores y de las fundadoras, habiendo surgido para el bien de todos, deben ser de nuevo puestos en el centro de la misma Iglesia, abiertos a la comunión y a la participación de todos los miembros del Pueblo de Dios”. Compartir el carisma deja de ser una posibilidad o una opción para transformarse en un modo habitual de ser Iglesia Pueblo de Dios-Comunión. En la misma línea de la Instrucción Caminar desde Cristo, podemos situar la Exhortación Post-Sinodal Vita Consecrata al afirmar que “la participación de los laicos lleva a descubrir inesperadas y fecundas implicaciones de algunos aspectos del carisma, suscitando una interpretación más espiritual, e impulsando a encontrar válidas indicaciones para nuevos dinamismos apostólicos”.15 La aportación específica de los seglares, según la Exhortación Post-Sinodal Vita Consecrata, está en la secularidad y en la especificidad del servicio apostólico. Participar de los ideales carismáticos no significa sencillamente hacer más de lo mismo, sino recuperar y desarrollar el carácter renovador, místico y profético del carisma, lo que en muchos casos puede significar abrir nuevos horizontes para mantener viva la dinámica propia del propio carisma.

4. De la “cum–munio” a la “cum–munus”

El Sínodo extraordinario de los Obispos de 1985 ha propuesto la Eclesiología de Comunión como alternativa para sintetizar la eclesiología del ConCfr. ÁLVAREZ, op. cit., p. 311. Cfr. CONGREGACIÓN PARA LOS INSTITUTOS DE VIDA CONSAGRADA Y LAS SOCIEDADES DE VIDA APOSTÓLICA, Caminar desde Cristo: un renovado compromiso de la vida consagrada en el tercer milenio, in. http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/ccscrlife/documents/rc_con_ccscrlife_doc_20020614_ripartire-da-cristo_sp.html, n. 31. 15 Cfr. JUAN PABLO II, Exhortación Apostólica Postsinodal Vita Consecrata, in http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/apost_exhortations/documents/hf_jpii_exh_25031996_vita-consecrata_sp.html, n. 35. 13 14


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cilio Vaticano II. Es interesante observar, según Cencini,16 que la palabra communio puede tener dos lecturas desde el punto de vista filológico con sus respectivas interpretaciones.17 El término cum + munio significa construir con los otros una muralla para defenderse. Munio viene del participio latino de munis que significa obligado, impuesto o restringido. El término cum + munus significa poner juntos los propios dones. Munus viene de la raíz “mei” con el sufijo “nus”. “Mei” significa dar en cambio y “nus” es lo que distingue a las nociones de carácter social. Con estos elementos podemos definir munus como un regalo o un don. Considerando las nociones de cum + munio y cum + munus, las relaciones que pueden ser establecidas en la sociedad o en una institución son diametralmente opuestas. Con la noción del cum + munio el otro se constituye en una amenaza y finalmente en un enemigo a ser combatido y superado. Con la noción del cum + munus el otro es un regalo, un don que nos enriquece con su presencia y colaboración. La Eclesiología Pueblo de Dios-Comunión del Vaticano II apuesta decididamente por la segunda alternativa. Todos los miembros del Pueblo de Dios tienen la misma dignidad en la diversidad de los ministerios que ejercen a través del Cuerpo de Cristo en la construcción del Reino de Dios. Con relativa facilidad podemos constatar que muchas de las relaciones en la sociedad o instituciones están pautadas por la lógica de la cum–munio. Esto lo podemos verificar particularmente en la economía y en la política, donde son generadas la gran mayoría de los procesos de exclusión. Intereses privados o grupales prevalecen sobre el bien común relegando enormes parcelas de la población a la pobreza y a la miseria. Ningún individuo, grupo social o incluso país está libre de esta lógica defensiva y excluyente. El otro, según esta lógica, se constituye en una amenaza, peligro o en un enemigo que debe ser combatido, vencido y finalmente eliminado. Es interesante observar lo que pasa cuando aplicamos la lógica del cummunio y del cum-munus al proceso del compartir el carisma que actualmente la Iglesia propone a partir de la Eclesiología Pueblo de Dios-Comunión. Si es la lógica del cum-munio que predomina las relaciones serán pautadas por la

Cfr. A. CENCINI, Relacionarse para compartir, Sal Terrae, Santander, 2003, p. 226. Un análisis interesante del punto de vista etimológico del término comunidad es realizado por R. ESPOSITO, Communitas: origen y destino de la comunidad, Amorrortu Editores, Buenos Aires, 2007, p. 214. El resultado del análisis de Esposito es una inversión de las interpretaciones actuales de la comunidad que no es una propiedad, una plenitud, un territorio que se debe defender y separar de los que no son parte suya, sino un vacío, una deuda, un don (munus) en relación con los otros, que nos remite a la vez a nuestra constitutiva alteridad también respecto a nosotros mismos. 16 17


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sospecha, miedo, desconfianza, envidia, autosuficiencia y lucha de poder. Si la lógica predominante es la del cum-munus las relaciones serán caracterizadas por la confianza, estima, esperanza, reconocimiento mutuo y proyectos conjuntos. ¿Cuál es la lógica que predomina en nuestras Comunidades Educativas o Distritos?

5. Ser corazón, memoria y garantía del carisma

El 44º Capítulo general recuerda a los Hermanos “la llamada a ser para ellos (seglares) y con ellos corazón, memoria y garantía del carisma lasaliano y promover nuevas estructuras de comunión para la misión”. No queda duda de que la hoja de ruta trazada por el 44º Capítulo General está en la lógica del cummunus y en sintonía con la Eclesiología Pueblo de Dios-Comunión. Esto significa, entre otras cosas, que el carisma lasallista habiendo surgido para el bien de todos, debe ser otra vez puesto en el centro de la misma Iglesia, abierto a la comunión y a la participación de todos. Además, el encargo de ser corazón, memoria y garantía del carisma ya no es una tarea exclusiva de los Hermanos, sino de todos los lasallistas. Después del Concilio Vaticano II los Institutos de Vida Religiosa y las Sociedades de Vida Apostólica hicieron un enorme esfuerzo para volver a la originalidad de los carismas. Los frutos de este proceso son innegables. Hoy tenemos un acceso al carisma que pocas generaciones de religiosos y seglares han tenido anteriormente. Pero queda pendiente una tarea fundamental y estratégica. ¿Cómo consolidar un adecuado proceso pedagógico para que la riqueza del carisma pueda ser asumida por cada vez más integrantes de las Familias Religiosas, según la lógica de la cum-munus y de la Eclesiología Pueblo de Dios-Comunión? Considerando la Eclesiología Pueblo de Dios-Comunión entendemos que compartir el carisma no es una opción sino un elemento constitutivo de ser Iglesia y lasallista hoy. Según el Vaticano II todos somos portadores de carismas. Toda persona, afirma Cencini,18 es titular de dones que puede compartir y enriquecer el conjunto de la comunidad. Compartir el carisma es una tarea compleja y exigente que no puede ser reducida a una técnica o a uno metodología sino que es un estilo de vida. Requiere procesos diseñados estratégicamente. No se pueden desconocer las resistencias y la lógica del cum-munio. A partir de la lógica del cum-munus queremos indicar algunas pistas pedagógicas que consideramos importantes para poder avanzar en la dinámica del compartir el carisma.

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Cfr. CENCINI, op. cit., p. 245.


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1. El principio de la circularidad carismática

El carisma lasallista es un don para la Iglesia y para el mundo, y como tal debe estar abierto a la comunión y participación de la Familia Lasallista. El mundo y la Iglesia son sus destinatarios e intérpretes naturales. Si queremos que el carisma lasallista continúe siendo una realidad significativa, tanto para la Iglesia como para la sociedad, necesitamos continuamente discernir los signos de los tiempos porque en la medida en que el carisma deja de ser relevante para la sociedad y para la Iglesia pierde su carácter místico y profético.

2. Una auténtica pasión por la Misión Educativa

La asociación es para el servicio educativo de los pobres. Asociación y Misión forman un todo indisociable. Al compartir el carisma no podemos olvidar este elemento constitutivo del nuestro ser lasallista. Es para atender más y mejor los niños y jóvenes que el Señor pone en nuestras vidas. Es absolutamente inaceptable un asentimiento pasivo o repetitivo cuando hablamos de misión. Lo que necesitamos hoy es una respuesta original y creativa. La creatividad no es fruto de un coeficiente intelectual o de técnicas sino de la pasión y del amor intenso que nos compromete con el carisma. La Iglesia invita a los laicos a ayudar a descubrir nuevos dinamismos apostólicos del carisma. Ahí está un gran desafío y una gran oportunidad.

3. Estructuras de la Misión

La Asamblea Internacional del 2006 reconoció la necesidad de una revisión general de las estructuras de la Misión y de la Asociación Lasallista para asegurar mejor la Misión y el desarrollo de la Asociación en el conjunto de la Familia Lasallista. Las estructuras de la misión educativa (Asambleas y Consejos) son hoy espacios privilegiados para compartir el carisma y desencadenar nuevos dinamismos apostólicos.

4. Itinerarios Formativos

El proceso de compartir el carisma requiere Itinerarios Formativos19 con trayectorias flexibles y diversificadas que favorezcan opciones verticales de libertad, experiencias de cambio creativo y la configuración y reconfigura-

Cfr. Itinerarios Formativos, http://www.relal.com.co/, p. 1-6. Las nociones de libertad vertical, cambio creativo e identidad narrativa están desarrolladas en la propuesta de Itinerarios Formativos de la Región.

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ción de la identidad lasallista. En determinados momentos esto implica tener momentos formativos conjuntos para un enriquecimiento mutuo.

5. Espiritualidad integral e integradora

El Santo Fundador nos recuerda que “es buena norma de conducta no hacer distinción entre los asuntos propios de su estado y el negocio de la salvación y perfección propias”.20 La espiritualidad lasallista es integral e integradora de la vida, que nada tiene que ver con los repliegues devocionales. Permite integrar las diversas dimensiones del ser humano y particularmente iluminar el ministerio educativo. Compartir el carisma significa beber de las mismas fuentes espirituales para poder mirar todas las realidades con los ojos de fe y consagrar su existencia al Reino de Dios a través del ministerio apostólico de la educación.

6. La riqueza de la identidad del Hermano y del Seglar

Compartir el carisma también implica, entre otras cosas, respetar las diferencias específicas entre la vocación del Hermano y del Seglar. Sería un grave error querer aplicar el modelo del Religioso Hermano al Seglar. Tanto el llamado vocacional del Hermano cuanto del Seglar son formas de vivir plenamente la vocación bautismal en la Iglesia Pueblo de Dios-Comunión. La complementariedad es un don y una riqueza para la Familia Lasallista y para la Iglesia.

7. Unidad en la diversidad

La propuesta de compartir el carisma es reciente en la Iglesia Pueblo de Dios-Comunión. Hay muchas experiencias pero ningún modelo acabado. Necesitamos estar atentos a la tentación de la uniformidad y de los modelos preestablecidos. Es importante impulsar las experiencias, compartirlas y poco a poco configurar estructuras que pueden servir de soporte, como lo hicieron el Santo Fundador y los primeros Hermanos. La institucionalización del carisma es importante para poder salvaguardar los dinamismos propios de su encarnación en la historia.

Conclusión

Al iniciar estas reflexiones hacíamos referencia al cambio de época que está al orden del día y cómo la Iglesia, a través del Concilio Vaticano II y de las Conferencias Regionales del Episcopado Latinoamericano y Caribeño, ha 20

Cfr. S. J. B. DE LA SALLE, Obras completas, volumen 2, Ediciones Pio X, Madrid, 2001, p.119.


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configurado un nuevo rostro eclesial. Es lo que conocemos como Iglesia Pueblo de Dios-Comunión. Hemos visto que los cambios culturales y eclesiales han exigido del Instituto un nuevo “modus operandi”. Entendemos que el compartir del carisma representa una nueva oportunidad para reconfigurar el carisma, considerando particularmente los nuevos sujetos emergentes, para que él continúe siendo una respuesta efectiva a los signos de los tiempos. Desde los orígenes del Instituto podemos hablar de una dimensión mística y profética del carisma. Hoy este dinamismo carismático y profético pasa por la dinámica del compartir el carisma como una de las estrategias importantes para desencadenar nuevos dinamismos apostólicos en el continente de mayor inequidad social.


Compartir el carisma lasallista de la “cum-munio” a la “cum-munus”

CONDIVIDERE IL CARISMA LASALLIANO DALLA “CUM-MUNIO” ALLA “CUM-MUNUS” (Sintesi)

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Negli ultimi decenni, l’emergere di nuovi fenomeni socio-culturali, ha alterato profondamente la visione e la comprensione del processo di modernizzazione. Il 44° Capitolo Generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane ha affermato che stiamo vivendo un cambiamento epocale che interessa anche il nostro modo di essere e di vivere come “lasalliani”. L’Assemblea Internazionale della Missione del 2006 ci ricorda che alle nuove domande occorrono delle risposte nuove. Dal 39° Capitolo Generale (1966-67) l’Istituto vive un significativo processo di rinnovamento istituzionale. Abbiamo riscoperto il carisma della fondazione. Ci rimane l’obiettivo di istaurare nuove dinamiche apostoliche e istituzionali che permettano di esprimere adeguatamente il carattere mistico e profetico del carisma lasalliano secondo le esigenze di oggi. Il Concilio Vaticano II ha cambiato profondamente il volto della Chiesa. Il decreto sulla libertà religiosa, l’ecumenismo, il dialogo interreligioso, i cambiamenti nella liturgia, il primato della Parola di Dio, il principio della “Chiesa - Popolo di Dio” e in dialogo con il mondo e con la scienza, sono espressioni inequivocabili di questo nuovo volto della Chiesa. Nell’America Latina e nei Caraibi, il Concilio Vaticano II è stato accolto in modo estremamente creativo dalle Conferenze Episcopali di Medellin, Puebla e Santo Domingo. Oggi, però, secondo il documento di Aparecida, la Chiesa è chiamata a ripensare profondamente e a concretizzare risolutamente la sua missione secondo le nuove esigenze locali ed internazionali. La teologia dei carismi è stata uno dei temi con cui il Concilio Vaticano II ha rinnovato la Chiesa. In una Chiesa-Popolo di Dio-Comunione, tutti i cristiani sono portatori di carismi. La funzione dei carismi è quella di rinnovare e sviluppare la Chiesa al servizio del Regno di Dio. Un frutto concreto di questa nuova prospettiva ecclesiale è l’esigenza dei laici nel partecipare agli ideali carismatici degli Istituti Religiosi. In questo modo, i carismi dei fondatori e delle fondatrici, sorti per il bene di tutti, sono nuovamente posti al centro della Chiesa, aperti alla comunione ed alla partecipazione di tutti i membri del Popolo di Dio. L’Esortazione post-sinodale Vita Consecrata afferma che la partecipazio-


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ne dei laici porta a scoprire insperate e feconde implicazioni del carisma, mentre genera nuova vitalità apostolica. La dimensione comunitaria è una delle caratteristiche fondamentali dell’ecclesiologia del Vaticano II. Il termine comunione permette di esprimere adeguatamente la realtà più profonda della Chiesa e dei suoi sviluppi storici. Secondo l’etimologia della parola comunione si possono fare due letture diametralmente opposte. Considerando il composto cum-munio, le relazioni saranno ispirate al sospetto, alla minaccia, e l’altro sarà considerato il pericolo, il nemico da combattere e da eliminare. Considerando invece il composto cum-munus, l’altro diventa un regalo, un dono che arricchisce gli altri con la sua presenza e collaborazione. Nel parlare di condivisione del carisma, è importante analizzare quale sia la logica predominante: quella del cum-munio o del cum-munus? Secondo il 44° Capitolo Generale, i Fratelli delle Scuole Cristiane sono chiamati, attraverso e insieme con i laici, ad essere cuore, memoria e garanzia del carisma lasalliano. Questa decisione evidenzia la sintonia dell’Istituto con la ecclesiologia del Concilio Vaticano II. Condividere il carisma significa assumere, come Fratelli e Laici, il dono ricevuto attraverso San Giovanni Battista de La Salle. Tutti i Lasalliani, infatti, sono impegnati oggi a mantenere vivo il carattere mistico e profetico del carisma. Secondo i più recenti documenti del magistero ecclesiale e dell’Istituto non sono da escludere nuove manifestazione del carisma. Passare dalla dinamica del cum-munio a quella del cum-munus costituisce un obiettivo ed un compito prioritario per tutti i Lasalliani. Superare le dinamiche proprie del cum-munio, per assumere in libertà di spirito quelle proprie del cum-munus, rappresenta la possibilità di offrire un nuovo volto al carisma con lo scopo di rispondere alle necessità e alle urgenze di oggi. Tra l’altro questo significa far proprio il principio della trasmissione del carisma, della passione per la missione educativa, per le sue nuove strutture, per gli itinerari formativi più flessibili e diversificati e per una spiritualità integrale e fondata sulla tradizione lasalliana.


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HACE 150 AÑOS LLEGARON LOS HERMANOS DE LA SALLE A ECUADOR. EL FRUTO DE SU PRIMERA SIEMBRA: EL SANTO HERMANO MIGUEL FEBRES CORDERO EDWIN ARTEAGA TOBÓN F.S.C. Studioso di spiritualità lasalliana

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SOMMARIO: 1. Se acepta a sí mismo. - 2. Hombre afectuoso. - 3. Pedagogo incansable y creativo. - 4. Hombre de fe y espiritualidad.

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l 28 de febrero de 1863 llegaron los primeros Hermanos de las Escuelas Cristianas al puerto de Guayaquil, Ecuador. El 4 de mayo abrieron una escuela en Cuenca y entre sus primeros alumnos figura Francisco León Florencio Febres Cordero, futuro santo Hermano Miguel. Estas dos fechas inician 150 años de un mismo destino: “mover mentes y formar corazones” que celebrarán con regocijo los Hermanos en Ecuador. Nacido en el seno de una hidalga familia de Cuenca (Ecuador) en 1854, el Hno. Miguel. Febres Cordero, primer religioso lasallista profeso del Ecuador, falleció el 9 de febrero de 1910 en Premià de Mar, cerca de Barcelona. Eximio educador de la niñez y de la juventud, su vida y apostolado fueron el fruto de acendradas virtudes y grandes capacidades intelectuales. Autor de numerosos textos escolares de castellano, religión, matemática elemental, teneduría de libros, geografía e historia, el santo Hermano Miguel, también compuso cánticos para uso de los escolares. Fue poeta y místico y un apasionado por el apostolado de la preparación de los niños a la Primera Comunión. Por la calidad de su lenguaje y sus conocimientos de la literatura y preceptiva española, sobre todo por el Compendio de Gramática de la Lengua Española, fue elegido miembro de la Academia de la Lengua en 1892. Su correspondencia con Rufino José Cuervo, Belisario Peña y otros letrados de América latina revela la profundidad de sus conocimientos de la lengua de Cervantes. Fuera de esta importante producción pedagógica y literaria el Santo Hermano Miguel nos presenta calidades humanas y virtudes cristianas en sus cartas y poesías que son el motivo de este libro. Es en el género epistolar que se revelan su sensibilidad y su apego indefectible al Instituto de los Hermanos, a su familia y a sus amigos. Ahí se destacan las profundidades


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de su alma sin artificio y sin cálculo, a veces con la sencillez de la fe de un niño. Es a través de sus cartas que descubrimos también su carácter emprendedor, llevando de frente varios cometidos relacionados con la inmensa tarea de traducción que le han encomendado sus superiores. Se trataba nada más y nada menos que traducir al español los manuales que los Hermanos usaban en Francia, adaptándolos a la idiosincrasia y a las realidades de nuestro trópico. Las asignaturas tocaban la mayoría de los temas enseñados en ese entonces. El santo Hermano escribe a sus superiores, pide permisos, les recuerda a sus Hermanos del Ecuador y de otros lugares que deben mandarle mapas, diagramas, estadísticas, himnos nacionales y otros datos que le permitan terminar, urgentemente, tal o cual libro. En una palabra, es un gerente de la edición de libros escolares. Acosado por fechas precisas de entrega, no duda en presionar gentilmente a editores, a ecónomos de la comunidad y a otras personas que hacen parte de la red de la edición de los libros del Instituto para América latina. Era el apogeo de la “invasión” a nuestro continente de Hermanos franceses, desterrados por las leyes de la separación de la Iglesia del Estado francés en julio de 1904. Cabe notar el bilingüismo del Santo Hno. Miguel en francés y español, aparentemente iniciado desde la casa paterna y perfeccionado en la vida diaria y fraterna con los Hermanos franceses, sus formadores. Ahora bien, cabe preguntarse sobre el mensaje que tiene la vida esbozada anteriormente para Hermanos y lasallistas del siglo XXI. En este espacio estrecho que se nos brinda destacaremos, entre otros aspectos: el de aceptarse y asumirse uno mismo; su apertura afectuosa a los demás, plasmada en amistades entrañables parecidas a las que tuvieron, entre otros, Montaigne y La Boétie, el beato Cardenal Newman y el P. Ambrose Saint John, San Francisco y Santa clara de Asís… Pedagogo incansable y creativo fue hombre de fe y espiritualidad, patentes en su devoción a la Santísima Virgen, a San José y de manera muy especial, a la Sagrada Eucaristía.

1. Se acepta a sí mismo

En primer lugar el Hermano Miguel tuvo que asumir su discapacidad. Al nacer tiene los pies torcidos lo que causa gran pesadumbre particularmente a su padre. El santo asume con realismo y fe cristiana su enfermedad. No es una resignación fruto del despecho.

En un primer movimiento, como todo ser humano, él expresa su deseo de ser curado. En mayo de 1873 escribe en una carta emotiva al santo Fun-


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dador De La Salle: “No es para mí mismo que yo solicito la curación de mis pies, es ante todo para que Dios sea glorificado, mostrando con mi curación los tesoros de su poder y de su infinita bondad. En el caso que mi curación fuese útil, y que tú me la concedas, yo te prometo guardar un eterno reconocimiento durante toda mi vida, ser muy fervoroso y lleno de celo por la gloria de Dios, el honor de María y de José, y para darte a conocer donde quiera me envíe la obediencia, trabajando con mucho interés en la salvación y en la instrucción de los niños”.1 Más tarde, en agosto de 1898, escribe: “Por tanto, quiero reconocer y confesar que hasta la incapacidad física de mis pies es una de esas delicadezas de su ternura, y un medio sin el cual, quizás, no hubiera pensado nunca poder entrar en la vida religiosa”.2 “La enfermedad de mis pies. Creo que una de las cosas que detuvo a mi padre de forzarme desde el principio, fue cuando se dio cuenta de que no podría trabajar ni ayudarle mucho en sus negocios. Y, quién sabe si, por tener buenos pies no hubiera sucumbido a tantos ataques contra mi vocación, o si hubiera siquiera pensado en entrar en la vida religiosa”.3 “Nunca he pedido que Dios cure mi enfermedad de los pies, porque no es necesario tener buenos pies, para amar a Dios”.4 Y le pide a su santo Fundador: “San Juan Bautista de La Salle, en vez de curarme los pies haz que se tuerzan más si he de ser infiel a mi vocación”.5 En una época en la que abundan libros de auto ayuda psicológica para conquistar el bienestar y sentirse bien en su piel el Hno. Miguel nos da la receta del realismo y de la fe.

2. Hombre afectuoso

La correspondencia del santo es una mina de sentimientos, de afectos, de expresiones de amistad y de fraternidad vivaces. Su manera de despedirse es muy cordial. Notamos entre varias: “Saluda muy atentamente, en mi nombre, a la Sra. Aurora, y al Dr. Ren-

Carta 55.4. Del libro Cartas y poesías del santo Hno. Miguel, por Edwin Arteaga, FSC. y Guilermo Pérez Pazmiño, FSC. Quito, Gráficas Iberia, 2011. Reedición con nuevos documentos, en imprenta. 2 Retiro 10.08.1890, 3ª Meditación, del libro Escritos espirituales del Santo Hno. Miguel, del Hno. Edwin Arteaga Tobón, FSC., en imprenta, Gráficas Iberia, Quito. 3 Motivos que tengo de mi vocación, escrito autobiográfico, agosto de 1890. Idem. 4 Pensamientos de un educador santo, nº 3. Folleto del Hno. Eduardo Muñoz Borrero. 3ª Edición, Quito, por la Fundación Jesús de la Misericordia, 2009, pp.103. 5 Id. Pensamiento nº 150. 1


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dón, lo mismo que a mi tía Carmen y a los primos y primas. Tú, recibe el corazón de afmo. hermano. Hno. Miguel” (Carta 74,9). “Por fin te has acordado que tienes un hermano en el mundo, y que él te quiere de veras, a pesar de tu silencio tan largo y profundo. Doy gracias al Señor que haya dado buen resultado a las diligencias que he hecho, valiéndome de terceros, para que salgas de tu mudez… Con gusto te mandaré las cosillas que vaya publicando por aquí; pero no para que las des a otros, como la Historia Sagrada, son para que las leas y releas en los ratos de mal humor, a fin de que te rías un poco, acordándote de tu hermano. Si te ha enojado la carta que te escribí con el Dr. Aurelio Espinosa, desenójate; pues yo estuve casi despechado al ver que no dabas señal de vida, y me pareció necesario escribirte una carta que te impresionara un poco y te despertara; y el deseo de que seas siempre buena de alma, y estés buena de cuerpo” (Carta 77,1-4). El santo agradece a todos los que le colaboran en la redacción de sus libros enviándole mapas, textos escogidos, diagramas, etc. Es así como insiste en la carta 21,10 para que sus superiores recompensen al Padre. Baca de Santo Domingo que durante más de tres años tuvo la bondad de corregir muy concienzudamente todos los cuadernos de su catecismo. El Hermano Miguel es hombre de fuertes amistades, duraderas, entrañables. Entre las más destacadas: la del Sr. Belisario Peña, literato colombiano, senador de Colombia, y la del Hno. Luis Gonzaga. En 1869 el Sr. Belisario Peña, poeta colombiano, de paso para Loja donde piensa fundar un colegio, se habría alojado en casa de una tía del joven Hno. Miguel de apenas 15 años de edad.6 Nace entonces una fuerte amistad. Las ausencias de ambos se hacen sentir en mutuas cartas nostálgicas. Le escribe el Hno. Miguel: “!Qué largos me parecen respetable amigo, estos días en que no puedo deleitarme con su presencia, ni recibir noticias suyas, sabiendo que pasa usted por tantas pruebas!” Otra fuerte amistad se establece entre el Hno. Miguel y el Hno. Luis Gonzaga (Julio Vela), colombiano, literato y gran religioso que prestó sus servicios en Ecuador durante veinte años. De retorno a Colombia será admitido en la Academia Nacional de Historia. Su amistad empezó cuando llegó a Quito para su formación como Hermano, en febrero de 1875. ”Fuimos amigos por la semejanza de la edad, de carácter, de gustos y de aspiraciones”. Dicha amistad culmina, por decirlo así, en un pacto de carácter religioso hecho el 16 de noviembre de 1884 en el que se regalan los méritos adquiridos al que fallezca primero.

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Carta del Hno. Miguel del 10 de diciembre de 1906 a Juan Abel Echeverría.


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La muerte de Belisario Peña en 1906, significó para el Hno. Miguel la pérdida de su gran amigo y del Padre de su alma. La Elegía que entonces compuso refleja el deseo supremo de amistad eterna: “…Acuérdate de mí, pues que aún proclamas / ser otro yo, y en santa unión y tierna, / juntos arder podamos a las llamas / en la de caridad Hoguera eterna…” Trabó amistad con Rufino José Cuervo gran lingüista y filólogo colombiano. Entre ambos nace una amistad atestiguada por siete cartas. Asimismo, tiene una estrecha amistad con Rafael María Arízaga, parlamentario y diplomático ecuatoriano y con el literato Don Carlos Tobar. El Hermano Miguel es hombre de relaciones y así lo atestan sus biógrafos y su correspondencia. Se codea con la mayoría de los presidentes de la República de Ecuador, en particular con Luis Cordero y García Moreno; con académicos famosos, con obispos y miembros del alto clero. Es abierto al mundo social, a la academia, a las ideas intelectuales, sobre todo pedagógicas de su tiempo. Sus parientes y amigos sacan provecho de sus conexiones sociales en momentos de crisis. No se esconde. Cuando atacan sus obras o las de sus amigos responde por solidaridad, por defender la verdad y la institución de La Salle Por falta de espacio citaremos sólo algunos de sus artículos en los que brilla como polemista: “¿Podemos defendernos?”, “Defensa de los Hermanos de las Escuelas Cristianas”, ”Réplica a un artículo acerca de las obras del Dr. José Modesto Espinosa”. Pluma en ristre, el santo no encierra sus discusiones en el justo límite de lo literario o lo científico.

3. Pedagogo incansable y creativo

Si el Hermano Miguel es un apasionado de la Palabra (la de Dios, con mayúscula) no lo es menos de las palabras de su lengua castellana. Fue erudito de la lengua reconocido por los grandes de su época en América latina hasta nombrarlo miembro de la correspondiente Academia de la Lengua en Ecuador. Destacamos como propuesta para el educador de hoy en día su ánimo en el trabajo, en la investigación, en la producción pedagógica. Sabe hacerse ayudar: escribe a su prima Sor Agustina “Tú y Sor Inés son las que más me ayudarán para conseguir vistas y fotografías, para la Historia y la Geografía del Ecuador” (Carta 75,7). Te agradezco las postales que me envías; siempre aprovecharé de algo; mil gracias, sobre todo por la obra del Dr. Borrero, que me faltaba para la Historia del Ecuador” (Carta 73,3). Escribe a su Hermano Visitador, Imonís: “Ud. no me ha mandado el Atlas del Perú. Tenga la bondad, si le place Carísimo Hermano Visitador, de presionar para que el querido Hermano Alfredo Gabriel me envíe todos los planos de las ciudades que yo le confié, pues no ha podido o no ha querido


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hacerlo; yo encontraré acá alguien de buena voluntad que querrá hacerse cargo de ese trabajo” (Carta 28,13 y 16). Empezó a ser maestro a los quince años, y lo fue con entrega y pasión durante cuarenta. Su creatividad se desarrolló no sólo en el aula sino en la traducción, en la elaboración y en el manejo gerencial de la producción de manuales escolares para toda America latina.

4. Hombre de fe y espiritualidad

Si las 157 cartas del santo nos muestran el calor humano de sus relaciones con sus superiores, cohermanos, personal del clero y familiares; si sus poesías nos revelan el arte literario de un religioso exaltando el Misterio y su Ministerio, sus escritos espirituales nos permiten asomarnos al fondo de su alma consagrada. La espiritualidad del santo Hno. Miguel es una espiritualidad lasallista, fuertemente marcada por la Escuela Francesa de Espiritualidad y, sobre todo, por sus manifestaciones en el siglo XIX. Sus formadores fueron en mayoría Hermanos franceses, íconos vivos de esa espiritualidad marcada por la impronta de Juan Bautista de La Salle cuya praxis y teología de la educación le debe mucho al Seminario de San Sulpicio, cuna de esa espiritualidad. Los escritos espirituales se presentan de diversas maneras: colecciones de máximas cristianas, consagraciones a los santos, letanías, textos u oraciones copiados de otros santos, resoluciones de retiros espirituales anuales, apuntes de Grandes Retiros o Ejercicios, resoluciones, testamento, devociones o prácticas precisas, exámenes particulares, etc. También se presentan de forma poética en los cánticos espirituales y poesías recogidos en el volumen anteriormente citado. Entre las poesías destacamos: Los misterios del Rosario, Afectos a Jesús, El pecador arrepentido, varias Súplicas y Plegarias a la Sma. Virgen, a San José, a San Juan Bautista de La Salle, Actos para antes y después de la Santa Comunión, etc… Cabe notar que la mayoría de sus poesías son de carácter netamente religioso. Como ya lo hemos sugerido, si queremos situar los textos del santo Hermano Miguel en la historia de las escuelas espirituales, queda claro que la suya hace parte de la espiritualidad de los Hermanos de las Escuelas Cristianas del siglo XIX, heredera de la Escuela Francesa de Espiritualidad, marcada en dicho siglo por la impronta de los jesuitas y eudistas que predicaban la mayoría los retiros de los Hermanos. De la Escuela Francesa de Espiritualidad se destaca la teología del sufrimiento. Es la “theologia crucis” donde lo sacrificial y lo expiatorio orientan la praxis de todos los días. Dicha teología es alimentada por un gran sentido del pecado y de sus efectos nefastos en las relaciones con Dios y demás per-


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sonas del ámbito divino. Hacen también parte de esta teología: el anonadamiento total y la experiencia de los “misterios” de Cristo, mediante la inmersión de la imaginación y la aplicación de los sentimientos en las diferentes etapas de la vida de Cristo. La devoción a los Sagrados Corazones de Jesús y de María, uno de los núcleos fundamentales de la Escuela Francesa de Espiritualidad, se percibe en los escritos del santo Hermano, como resonancias de la misma devoción pero con acentos muy parecidos a los de Santa Margarita María de Alacoque. La fe del santo Hermano Miguel nos invita a tener una fe “habitada”. No una fe meramente conceptual, aprendida en el noviciado o en una academia de teología: El Hno. Miguel no puede vivir, padecer, disfrutar y meditar sin la presencia y la intercesión constante de la Santísima Virgen María, de San José, de San Juan Bautista de La Salle, de sus santos Patronos y de su Ángel custodio. Su continua preocupación de intercesor se centra en las benditas almas del Purgatorio, los Hermanos de su Comunidad, sus alumnos y amigos. En todo su proceder se nota una vida sacramental intensa, la eucarística, en particular. El santo nos invita a mirar nuestra realidad con los ojos de la fe. “Debemos buscar la gloria de Dios haciendo todas nuestras acciones, y es el espíritu de fe que nos penetrará de esos sentimientos. Si hacemos todas nuestras acciones por espíritu de fe, aún las más comunes valdrán mucho. ¡Cuánto pues no podemos merecer! Al ir a clase debemos también pensar que esos niñitos que vamos a instruir son también la obra de Dios, creados a su imagen y semejanza; que Jesucristo se complacía mucho instruyéndolos y que los amaba tiernamente. De ahí que nosotros debemos estar felices de cumplir la misma misión que Jesucristo, ser sus coadjutores, por decirlo así, intérpretes de sus voluntades para con ellos. Por consiguiente debemos mirarlos con los ojos de la fe, sin quedarnos en lo exterior, y mirarlos como otros pequeños Jesús. Trabajemos con coraje, celo y espíritu de fe, y Aquel que nos confió su viña sabrá bien recompensarnos con abundancia”.7 En el ámbito de esta fe el santo Hno. Miguel, madura su espiritualidad, al pie del sagrario. En septiembre de 1879 escribe: “Sea mi vida perpetua preparación y acción de gracias para la Sagrada Comunión”.8 Pero la mayor manifestación de su devoción eucarística fue la preparación de los niños a la Primera Comunión a la que se dedicó durante casi treinta años. Aún durante los últimos años de su vida en Premià de Mar (Barcelona), recordaba en Retiro de 1871.4, del libro Escritos espirituales del Santo Hno. Miguel, en imprenta. Pensamiento nº 72, de Pensamientos de un educador santo. Folleto del Hno. Eduardo Muñoz Borrero. 3ª Edición, Quito, por la Fundación Jesús de la Misericordia, 2009, pp.103. 7 8


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sus cartas con añoranzas ese sublime trabajo: “No olvido de recomendar todos los días, en mis oraciones, a esos felices niños que llegan a ser los tabernáculos vivientes del Dios de la Eucaristía.”9 Más que nadie entendió el Hno. Miguel la importancia de estas palabras de La Salle: “Al colocarlos Dios en el empleo que ejercen están destinados a ser padres espirituales de los niños que instruyen. Ustedes están destinados por Dios a engendrar hijos a Jesucristo, e incluso a producir y engendrar al mismo Jesucristo en sus corazones”.10 La creatividad del Hermano Miguel estimula a los escolares durante esta maravillosa preparación a la Primera Comunión: Cada día en la visita de los niños a la capilla toman tantos granos de trigo cuantos sacrificios o actos de virtud han hecho en las últimas horas y los depositan en una urna vacía. Con esos granos molidos se preparan las hostias para la misa solemne de la Primera Comunión. Los niños son invitados a escribirles carta a San José y a la Santísima Virgen pidiéndoles su parte en la preparación interior para tan magno evento. Su devoción a la Eucaristía se manifiesta indirectamente en su devoción al Sagrado Corazón de Jesús. Para fomentarla dirigió durante treinta años la Congregación del Sagrado Corazón de Jesús cuyos miembros selectos formaban una Guardia de Honor. Les preparó un reglamento y una celebración de inducción muy impactante. En el ámbito de su fe, fue gran devoto de la Santísima Virgen y de San José. Tenemos cartas fervorosas y apasionadas del santo dirigidas a María y a San José, cartas tiernas, con súplicas variadas, fruto de sus preocupaciones. Sus cartas y escritos espirituales están encabezados por las siglas de los dulces nombres de Jesús, María y José. Con mucho empeño fundó también la Congregación de los Hijos de María Inmaculada. Son pues muchas las enseñanzas y mensajes que nos deja la vida de este Hermano ecuatoriano. La aceptación de su cuerpo lisiado, su capacidad de profundas y entrañables amistades, su inquietud intelectual y creatividad para traducir y crear manuales escolares, su entrega a la formación humana y cristiana de centenares de niños y jóvenes y, finalmente, una profunda vida cristiana marcada por la Eucaristía y la vivencia evangélica.

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Carta 36,5. MF 157,1,2.


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TOCCARE I CUORI E LE MENTI NELL’ECUADOR. 150 ANNI DOPO L’ARRIVO DEI FRATELLI DELLE SCUOLE CRISTIANE IL LORO PRIMO SUCCESSO: SAN MIGUEL FEBRES CORDERO (Sintesi) I primi Fratelli delle Scuole Cristiane arivarono a Guayaquil (Ecuador) il 28 febbraio 1863. Il 4 maggio aprirono una scuola a Cuenca. Miguel Febres Cordero fu tra i primi studenti iscritti. Era nato in una famiglia che si era sempre distinta nella politica dell’Ecuador. Handicappato fin dalla nascita, dovette superare l’opposizione della famiglia per realizzare la sua vocazione di diventare un Religioso laico, il primo cittadino dell’Ecuador ammesso nell’Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane. Fratel Miguel era un insegnante ben dotato sin dall’inizio e uno studente diligente. All’età di appena 20 anni pubblicò il primo dei suoi numerosi libri, una Grammatica spagnola che presto divenne un testo molto usato. Con l’andar del tempo, i suoi lavori di ricerca e le sue pubblicazioni nel campo della letteratura e della linguistica lo misero in contatto con studiosi di tutto il mondo e divenne membro delle Accademie Nazionali dell’Ecuador e di Spagna. Nonostante le sue alte posizioni accademiche, l’insegnamento rimase la sua prima preoccupazione, soprattutto nel campo della religione, e nella preparazione dei ragazzi alla prima comunione. Morì a Premià de Mar (Barcellona) il 9 febbraio 1910. Nel ricordo dei 150 anni di permanenza dei Fratelli nell’Ecuador, pensiamo alla grande figura di Fratel Miguel e al suo messaggio lasciatoci. Diversamente abile fin dalla nascita, la sua vita è un invito ad accettare noi stessi. Era una persona affabile, capace di grande amicizia. Possedeva un grande senso di servizio e dedicava la sua vita all’educazione della sua gente. Faceva tutto alla presenza di Dio, tanto che la Chiesa l’ha dichiarato santo. Cento cinquant’anni dopo l’arrivo dei Fratelli delle Scuole Cristiane in Ecuador, il loro primo successo fu San Miguel Febres Cordero. Il breve ricordo della sua biografia ha lo scopo di sottolineare quattro caratteristiche della vita del primo Ecuadoriano proclamato santo dalla Chiesa Cattolica. Intendiamo dire: 1) Il suo coraggio di accettarsi nonostante la condizione di essere menomato fisicamente fin dalla nascita. 2) La sua capacità di profonde amicizie. 3) La sua vita interamente dedicata all’educazione umana e cristiana. 4) La sua fede e dedizione a Dio.


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PERCHÉ E COME STUDIARE STORIA DELLA FILOSOFIA DARIO ANTISERI Professore di Metodologia delle Scienze Sociali DI

SOMMARIO: 1. Ineludibili e irriducibili problemi filosofici. - 2. Teorie filosofiche quali tentativi di soluzione di problemi filosofici. - 3. Sono razionali solo le teorie scientifiche o c’è anche una razionalità filosofica? - 4. Le teorie filosofiche sono razionali se sono criticabili. - 5. Quando l’idea di “criticabilità” viene trasformata in un fecondo strumento euristico. - 6. Come leggere un testo filosofico. - 7. Privare un giovane di serie consapevolezze filosofiche significa praticare un furto intel-lettuale e morale nei suoi confronti. - 8. Partire sempre dai problemi filosofici dei ragazzi (o essere così abili da farli inciampare in problemi filosofici). - 9. Problemi teorici alla base di percorsi di approfondimento. - 10. Guardarci da procedure didattiche sbagliate e dannose, anche se abbastanza diffuse

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1. Ineludibili e irriducibili problemi filosofici

essuno dubita della razionalità delle teorie scientifiche: queste consistono in tentativi di soluzione di problemi, tentativi che vengono sottoposti ai più severi controlli. E se questi controlli smentiscono la teoria o le teorie proposte, se cioè le mostrano false, vale a dire le falsificano, allora è compito del ricercatore avanzare, creare, altre ipotesi da sottoporre ugualmente a controllo, nella speranza che qualcuno di questi “mondi possibili” riesca a render conto del problema affrontato. E ciò nella consapevolezza che anche la meglio consolidata teoria resta, per ragioni logiche ed epistemologiche, sempre sotto assedio. La ricerca scientifica, in breve, procede per congetture e confutazioni, per tentativi ed errori. Evitare gli errori – ha scritto Karl Popper – è un ideale meschino: se ci confrontiamo con problemi difficili, è facile che sbaglieremo. E solo l’errore commesso, individuato ed eliminato costituisce «il debole segnale rosso che ci permette di venir fuori dalla caverna della nostra ignoranza» – conseguentemente, razionale non è un uomo che voglia avere ragione, quanto piuttosto un uomo che vuole imparare: imparare dai propri errori e da quelli altrui. Dunque: esiste la storia della scienza, come storia di teorie tramite le quali si è cercato di risolvere problemi vecchi e nuovi; e la razionalità delle teorie scientifiche si identifica con la loro controllabilità e, quindi, nella scelta di quella teoria, se c’è, che, in confronto con teorie alternative, ha meglio resistito agli assalti della critica. Ora, però, c’è anche una storia della filosofia – una storia di problemi filosofici, di teorie filosofiche, di controversie filosofiche. Problemi filosofici come i seguenti: Dio esiste o è solo un’invenzione per usi


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disparati? In che modo è possibile, qualora sia possibile, parlare sensatamente di Dio? Il tutto-della-realtà è solo quello di cui parla o può parlare la scienza ovvero si può argomentare per concezioni che ci permettono di dire che c’è un aldilà e che tutto non è destinato a finire in questo nostro mondo? È proprio vero che l’ateo è più scientifico o razionale del credente, ovvero pure l’ateismo è una fede che talvolta viene camuffata da teoria razionale o addirittura scientifica? E poi: l’uomo è solo corpo ovvero è anima e corpo? L’uomo è libero o determinato? L’uomo è quello descritto da Freud o quello che ci prospettano i comportamentisti? E che cosa è cambiato o cambia, per l’immagine dell’uomo, con l’avvento della teoria dell’evoluzione? Problemi carichi di conseguenze morali e politiche sono quelli che fin dagli inizi i filosofi hanno affrontato con la proposta delle diverse filosofie della storia: la storia umana è da sempre un campo aperto all’impegno morale, creativo e responsabile degli esseri umani oppure è una imponente realtà che si evolve seguendo ineluttabili leggi di sviluppo – leggi di decadenza, cicliche o di progresso? Problemi filosofici ineludibili sono, inoltre, quelli relativi alla “migliore” organizzazione della convivenza umana – problemi, dunque, di filosofia politica: quand’è che si vive in uno Stato democratico?, quali istituzioni caratterizzano una società aperta?, dove stanno le differenze di fondo tra la società aperta e la società chiusa?, quali le “ragioni” della società aperta?, e con quali argomentazioni più d’un filosofo, a cominciare verosimilmente da Platone, ha cercato di giustificare concezioni assolutiste, totalitarie, tiranniche del potere politico? Interconnessioni con le questioni riguardanti l’esistenza o non esistenza di Dio, la natura dell’uomo e le concezioni dello Stato ci mostrano i problemi concernenti la giustificazione razionale o meno dei valori etici: ha ragione Pascal allorché afferma che «il furto, l’incesto, l’uccisione dei padri e dei figli, tutto ha trovato posto tra le azioni virtuose» ovvero sono nel giusto i sostenitori del “diritto naturale”, per i quali l’umana ragione sarebbe in grado di individuare e razionalmente fondare norme morali valide sub specie aeternitatis?; che ne è del diritto naturale se si ritiene valida quella legge – definita da Norberto Bobbio «una legge di morte per il diritto naturale» – che è la cosiddetta “legge di Hume”“, la quale fissa l’impossibilità logica di derivare asserti prescrittivi, cioè norme, da asserti descrittivi, vale a dire scientifici?, è vero o no che da tutta la scienza non è possibile estrarre un grammo di morale?, e le carte dei diritti dell’uomo sono esiti di scelte morali e di convenzioni - dietro le quali premono massacri, guerre, sofferenze, ingiustizie e riflessioni filosofiche e valori religiosi – oppure sono risultati di “teoremi razionali”? Ulteriori problemi di chiara natura filosofica: in che cosa consiste la filosofia?; attraverso quale criterio o criteri è possibile demarcare le teorie scientifiche da quelle filosofiche?, un principio come quello neopositivistico di verificazione (stando al quale


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avrebbero senso solo le teorie empiricamente verificabili) è in grado o no di esibire una accettabile giustificazione?, ma: attraverso quali regole procedurali si pratica la ricerca scientifica?; in breve, quale è il metodo della ricerca scientifica?; e questo metodo vale, per esempio, soltanto nel campo delle scienze naturali, come la fisica o la biologia, ovvero è una procedura tramite la quale avanza tutta la ricerca, anche nell’ambito delle discipline umanistiche e, più ampiamente, delle scienze storico-sociali?; di fronte all’imponente storia delle arti figurative, della musica e dei vari generi letterari è possibile dire che l’arte è una forma di conoscenza attingibile con mezzi non scientifici?; regge o è davvero inconsistente, tanto per usare una espressione di N. Goodman, la “dispotica dicotomia” tra artistico-emotivo e scientificocognitivo? Simile elenco, aperto e asistematico, di problemi filosofici potrebbe venire facilmente ampliato. Un solo altro problema – il problema di Pilato: che cos’è la verità? Insomma: cosa vuol dire che una teoria fisica è vera, che un teorema matematico è vero, che una teoria metafisica è vera, che una fede religiosa è vera?

2. Teorie filosofiche quali tentativi di soluzione di problemi filosofici

L’esistenza dei problemi filosofici è un dato irriducibile ed ostinato. Le teorie filosofiche sono risposte a questi problemi. E la storia della filosofia è la storia della insorgenza di problemi filosofici, storia di tentativi teorici di soluzione di tali problemi, storia di dispute e di argomentazioni filosofiche. Varie forme di ateismo e diverse teorie asserenti, invece, una realtà metaempirica; antropologie filosofiche, cioè immagini filosofiche dell’uomo; concezioni filosofiche dello Stato, vale a dire teorie di filosofia politica; filosofie del diritto, come quelle della tradizione giusnaturalistica ovvero la concezione del realismo giuridico o quella normativistica; filosofie morali; visioni filosofiche della storia; filosofie della matematica, quali il platonismo di Frege, il formalismo di Hilbert o l’intuizionismo di L. E. J. Brouwer e A. Heyting; gnoseologie: realismo, idealismo, scetticismo e, ancora, empirismo e razionalismo; filosofie della scienza: induttivismo, convenzionalismo, operazionismo, falsificazionismo; concezioni filosofiche dell’arte: realismo, idealismo, simbolismo ecc. – tutti tentativi teorici tesi, appunto, alla soluzione di problemi genuinamente filosofici. Una storia da dove emerge che, se c’è qualcosa di perenne nella filosofia, perenni non sono le soluzioni quanto piuttosto i problemi. Cosa che, insieme ad interrogativi che nascono e poi magari muoiono, capita talvolta anche nella scienza: la fisica nucleare di oggi è ancora una risposta alla domanda di Talete: di che cosa è fatto il mondo? Le idee – ha detto Einstein – sono la cosa più reale che esista al mondo. E non ci vuole molto a comprendere che, tra queste “cose più reali”, le più


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importanti storicamente, socialmente e personalmente sono proprio le idee filosofiche: su Dio e la non esistenza di Dio, su questo o un altro Dio; su questo o quest’altro o nessun senso della storia; sulla natura umana; sui princìpi dell’etica accettata; sulle regole della convivenza umana, cioè sul tipo di configurazione dello Stato e così via. Idee reali, importanti e non di rado disumane. La terra è inzuppata di sangue versato a causa o in nome di idee filosofiche. Non si uccide né si muore o ci si sacrifica per le leggi di Ohm o di Faraday. E concezioni fatalistiche e deresponsabilizzanti come le varie filosofie deterministiche della storia ovvero, ancora, teorie come quelle razziste o come i totalitarismi di destra e di sinistra non sono uscite da botteghe di artigiani ma dalla testa di filosofi il cui influsso nefasto si è diffuso come peste tra le masse.

3. Sono razionali solo le teorie scientifiche o c’è anche una razionalità filosofica?

Ecco, dunque, almeno una non indifferente ragione per educare i giovani a tenere sotto controllo idee filosofiche assorbite magari inconsapevolmente dalle persone con le quali sono venuti a contatto, dalle loro più o meno o nient’affatto guidate letture, dalle sempre più invadenti fonti di informazione. Ma qui urtiamo nella difficoltà di maggior rilievo: come è possibile un controllo razionale di idee tanto importanti e decisive come quelle filosofiche? Le idee filosofiche sono filosofiche e, in quanto tali, non scientifiche. Le teorie scientifiche sono controllabili in base a controlli fattuali – e, come sappiamo, la prova, nella vita come nella scienza, si ha dove si rischia: dove si rischia di fare fallimento. Dunque: di volta in volta, nel corso della ricerca scientifica si accetta, se c’è, quella teoria che, in confronto con le ipotesi alternative, ha resistito e resiste ai controlli più rigorosi. Ora, però, simile procedura non è possibile per il controllo e la selezione delle teorie filosofiche: queste sono filosofiche esattamente per la ragione che non sono fattualmente controllabili, non sono cioè falsificabili in base al ricorso ai fatti. Le teorie scientifiche sono tali perché fattualmente falsificabili; le teorie filosofiche sono tali perché fattualmente non falsificabili. Difatti, se fossero fattualmente falsificabili sarebbero scientifiche e non filosofiche. Nella ricerca scientifica siamo, pertanto, in possesso di procedure di controllo che offrono criteri di scelta tra le proposte teoriche all’epoca disponibili. Procedure e criteri di selezione e di scelta che, ovviamente, non sono applicabili nell’ambito delle teorie filosofiche giacché – vale la pena insistervi – si tratta di teorie fattualmente incontrollabili, e incontrollabili perché capaci di istanze confermanti ma refrattarie ad ogni concepibile evento fattuale in contrario. E si sa che, per dirla con Wittgenstein, una teoria, per poter essere vera, deve poter essere anche falsa. Ma, allora, dob-


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biamo forse ammettere che una teoria filosofica vale l’altra, che i filosofi non hanno fatto e non fanno e non possono fare altro che agitarsi nella notte della più pura arbitrarietà? In breve e con tutta la chiarezza possibile: la razionalità è un attributo predicabile unicamente delle teorie scientifiche, mentre lo spettacolo offerto dal filosofi, anche dai più grandi e maggiormente influenti, è quello di tanti dogmatici muezzin che cantano ognuno la loro presunta incontrovertibile canzone dai loro magari prezzolati minareti?

4. Le teorie filosofiche sono razionali se sono criticabili

Sono, dunque, razionali soltanto le teorie scientifiche o c’è anche una razionalità filosofica? E se è possibile parlare di una razionalità delle teorie filosofiche, in che cosa consisterà mai questa razionalità? È possibile, insomma, l’individuazione di una procedura di controllo e, conseguentemente, di un criterio di selezione della teoria filosofica al tempo meglio consolidata tra quelle proposte e disponibili? E questo il problema di fondo che viene affrontato nelle pagine che seguono. E viene affrontato alla luce dei risultati ottenuti all’interno del razionalismo critico, vale a dire in base alle riflessioni e alle proposte che, sulla questione, sono state avanzate da Karl Popper, Joseph Agassi, John Watkins e, soprattutto, da William Bartley. Questo il nucleo della tesi da loro sostenuta: le teorie scientifiche sono razionali in quanto controllabili tramite il ricorso ai fatti; le teorie filosofiche sono razionali se e quando sono criticabili. E una teoria filosofica risulta criticabile allorché può entrare in urto con un pezzo di Mondo 3 – un teorema logico, una teoria scientifica, un risultato matematico o, per esempio, un’altra idea filosofica – all’epoca ben consolidato e al quale all’epoca non si è ragionevolmente disposti a rinunciare. Così, tanto per esemplificare, dato che non si dà passaggio logico da n, un numero quantunque elevato di osservazioni analoghe reiterate, al quantificatore universale x, non reggono le pretese dell’induzione per ripetizione; o ancora: se vale la legge di Hume, riguardante l’impossibilità logica di derivazione di asserti prescrittivi (norme etiche o giuridiche) da asserti descrittivi (teorie scientifiche o altri asserti descrittivi), risultano infondate tutte le varianti del giusnaturalismo; l’impossibilità della costruzione di un autopredittore scientifico devasta alla radice le pretese di quei filosofi che hanno creduto di essere venuti in possesso di ineluttabili leggi di sviluppo dell’intera storia umana; una attenta analisi del “circolo ermeneutico”, così come è stato elaborato da Gadamer, mostra con tutta chiarezza che il metodo adoperato nella ricerca delle discipline umanistiche è lo stesso metodo usato dal fisico, dal chimico o dal biologo, mostra cioè l’inconsistenza della tradizionale distinzione tra l’Erklären (lo spiegare casualmente, tipico delle scienze naturali) e il Verstehen (l’intendere i significati, procedura che sarebbe tipica delle discipline umanistiche e delle scien-


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ze storico-sociali); l’immotivato dogmatismo e l’autocontraddittorietà del principio di verificazione costituiscono argomenti persuasivi in grado di far cadere l’idea neopositivistica stando alla quale i concetti e le teorie metafisiche sarebbero solo cumuli di nonsensi; se scientifiche sono unicamente le teorie fattualmente falsificabili, allora – nonostante le pretese in contrario – non possono venir dichiarate scientifiche concezioni come, per esempio, il materialismo storico-dialettico o teorie che si intrecciano o si combattono all’interno della tradizione psicoanalitica. Dunque: razionali le teorie scientifiche in quanto controllabili fattualmente, razionali le teorie filosofiche in quanto criticabili teoricamente, cioè in base a idee e teorie all’epoca accettate e, per quanto consolidate, anch’esse non assolute e sempre sotto assedio. “Razionale” e “critico”, pertanto, si identificano; e la falsificabilità delle teorie scientifiche è un caso della più ampia razionalità. Senza fine, quindi, la ricerca scientifica e senza fine l’indagine filosofica. Razionale il fisico, razionale l’ermeneuta, razionale il filosofo. E ciò anche se nel campo della filosofia verbosità, confusione e arroganza dogmatica sono “malattie” non sempre esorcizzabili e che difficilmente, invece, attecchiscono nel campo della scienza, dove in linea generale contra factum non valet argumentum.

5. Quando l’idea di “criticabilità” viene trasformata in un fecondo strumento euristico

Discutendo, tempo addietro, con due filosofi tedeschi sul tema della razionalità o meno delle teorie filosofiche, e avendo io esposto le idee appena sopra richiamate, uno di loro mi ha sarcasticamente replicato che una simile prospettiva metafilosofica sarebbe servita soltanto a dare una “coscienza di classe”, cioè una rispettabilità di lavoro razionale, a sostenitori di teorie irrazionali. La discussione si è, allora, protratta a lungo e alla fine, così mi è parso, penso di aver almeno eroso la loro immotivata presa di posizione. In realtà, la teoria metafilosofica nella quale si sostiene che razionali sono le teorie filosofiche se e in quanto criticabili (ben consapevoli che, di volta in volta, possono esserci, dati per assodati precisi presupposti, anche teorie filosofiche razionalmente indecidibili), esplicita, rende conto di quella disputatio senza fine costituita dalla storia del pensiero filosofico, dove, a partire da teorie reputate e accettate come valide, vere e magari indiscutibilmente vere, si è pensato di volta in volta di respingere altre teorie incompatibili con la teoria abbracciata come valida. Ed è così che simile teoria metafilosofica si trasforma in un criterio euristico estremamente fecondo per la stesura di una storia scientifica delle idee filosofiche – un criterio che impone di dare risposte a domande come queste: quale è il problema affrontato o quali i problemi affrontati da questo filosofo?; ha egli corretto o mutato le


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sue idee nel corso della sua attività speculativa?; con quali argomenti ha egli difeso le proprie proposte?; e attraverso quali argomenti critici ha egli reputato di dover respingere teorie alternative?; come si è inserito nell’eredità culturale lasciata dai pensatori a lui precedenti e nel contesto di pensiero a lui contemporaneo?; quali gli eventuali problemi lasciati irrisolti? La risposta documentata a queste e simili domande è la via più spedita per la costruzione di una storia delle idee filosofiche il più possibilmente oggettiva, scientifica, filologicamente e puntualmente controllabile – una storia, quindi, delle idee filosofiche agli antipodi da quelle storie della filosofia, dove l’autore – credendosi in possesso di una teoria filosofica vera, assolutamente vera, incontrovertibile – si trasforma in un giudice che emette sentenze di condanna e di assoluzione dei filosofi presi in considerazione.

6. Come leggere un testo filosofico

E se la teoria metafilosofica che equipara la razionalità delle teorie filosofiche alla loro criticabilità può trasformarsi nelle mani dello storico della filosofia nel più fecondo strumento euristico, da essa sono estraibili pure consigli utili su come leggere un testo di filosofia: qualora non lo conosca ancora, vada il lettore insistentemente alla ricerca del problema o dei problemi che il filosofo, in quel testo – si tratti di un articolo, di un breve saggio, di un testo magari classico – ha cercato di affrontare e risolvere. Solo così, soltanto se si sarà stati capaci di individuare il problema fronteggiato dal filosofo, ci si porrà nella migliore condizione per capire la teoria risolutiva da lui avanzata, gli argomenti che eventualmente sono stati prodotti per supportarla e le considerazioni che dovrebbero inficiare teorie concorrenti del passato o anche attuali. Senza domande non si danno risposte e tentare di afferrare una risposta senza prima aver compreso la domanda è una assurdità teorica, tante volte trasformata in quella pratica didattica dove si pretende dagli studenti la comprensione del senso di una formula matematica, di una teoria fisica o biologica, di una legge economica, di una norma giuridica o di una teoria filosofica senza aver fatto nulla per aiutare questi studenti a vedere il problema e le controversie che hanno portato a quella formula risolutiva, a quella legge di fisica o a quella norma giuridica. E vale per le teorie filosofiche quello che Pierre Duhem diceva per le teorie in fisica: «Fare l’analisi logica di un principio fisico significa farne l’analisi storica».

7. Privare un giovane di serie consapevolezze filosofiche significa praticare un furto intellettuale e morale nei suoi confronti

Esistono le teorie filosofiche perché esistono i problemi filosofici – problemi che emergono da ambiti non filosofici come l’esperienza religiosa, la


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vita politica, la ricerca scientifica, le decisioni etiche, la produzione delle opere d’arte e della letteratura. Si è fatta e si fa filosofia, costretti, per così dire, ad affrontare problemi che si presentano come ineludibili. E qui sta anche la ragione profonda per cui la filosofia va studiata: va studiata per venire a conoscenza delle risposte che grandi menti dell’umanità hanno dato a problemi molti dei quali riguardano tutti, ogni uomo e ogni donna: de nobis fabula narratur. E un sistema formativo che proibisca a un giovane lo studio della filosofia è un sistema che defrauda questo giovane delle cose più importanti prodotte nella storia dell’uomo. Si è più poveri senza formazione scientifica o senza gli strumenti per la fruizione delle opere d’arte; si è più poveri e si rischia seriamente di essere meno cittadini senza la consapevolezza critica che uno studio serio della storia delle idee filosofiche è in grado di offrire. E, a questo punto, si incontra un’ulteriore e forse non evitabile domanda: certo, le teorie filosofiche sono, sotto determinate condizioni, razionali; non pochi problemi filosofici e le relative teorie risolutive sono della più grande rilevanza sia per la vita personale di ogni uomo e ogni donna che per la convivenza tra gli esseri umani; e, stando così le cose, lo studio della filosofia è una autentica ricchezza di cui nessun cittadino, in uno stato civile, dovrebbe essere deprivato - ma: come studiare la filosofia? C’è un metodo, una via aurea, su cui basarsi per produrre una buona didattica della storia della filosofia? Sull’argomento è disponibile, e non da oggi, una abbondante letteratura, da cui non è raro poter far tesoro di buoni consigli e, soprattutto, di esemplari esperienze. Penso, in ogni caso, che, proprio sui problemi della didattica della filosofia, andrebbero seriamente ascoltati non pochi di quei docenti che, per anni e anni, hanno insegnato storia della filosofia: l’analisi dei loro successi, delle loro esperienze positive potrebbero sicuramente costituire una valida bussola didattica; e ci sarebbe, inoltre, molto da imparare dai loro insuccessi, da quegli sforzi che, tesi a destare e/o ad incrementare nei giovani interesse e passione per la filosofia, sono invece andati a vuoto, producendo magari risultati contrari alle migliori intenzioni.

8. Partire sempre dai problemi filosofici dei ragazzi (o essere così abili da farli inciampare in problemi filosofici)

Da parte mia, dopo quarantacinque anni di insegnamento di materie filosofiche, dopo ormai davvero innumerevoli incontri con insegnanti e studenti dei nostri Licei, mi si permetta di sottoporre alla attenzione e alla eventuale gradita critica dei docenti di filosofia alcune considerazioni sulla questione della didattica della filosofia. Insisto sul fatto che non si danno risposte se prima non si pongono domande. Non si capisce una risposta, ossia il valore, il senso, la rilevanza


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di una teoria, se non si riesce a vedere il problema che ha provocato quella risposta. Ecco, allora, che, a mio avviso, l’interesse per le teorie proposte dai filosofi del passato e del presente si risveglierà solo a patto che si sia in grado di far vedere a quali problemi grandi o, comunque sia, influenti pensatori hanno dato risposte. Ma, intanto, quando ragazzi di sedici o diciassette anni entrano in classe, non sono affatto tabula rasa, sono già una “memoria culturale”, hanno il loro Vorverständnis, cioè la loro “pre-comprensione” fatta di un tessuto di opinioni o “pre-giudizi” sulla fede, sulla politica, magari su questo o quel partito, sulla scienza, sui comportamenti morali, e così via. Sono una “memoria culturale” costituita da opinioni trasmesse loro dai genitori, dai familiari, dai colloqui con amici, dagli incontri con gli insegnanti, dalle letture di libri di scuola o anche di qualche giornale, dai tanti discorsi e vari messaggi veicolati dalla televisione. Ebbene, quello che io generalmente ho fatto e credo sia più che opportuno, anzi necessario, fare è ascoltare i giovani che la vita ci ha posto dinanzi sui banchi di una classe: ascoltarli sui problemi suscitati, per esempio, da uno scontro politico in atto nel Paese, su questioni quali la manipolabilità o meno degli embrioni, l’eutanasia, l’aborto o la procreazione assistita. Ascoltare i giovani su questi problemi, favorire la più aperta e magari accesa discussione tra loro – solo così potranno rendersi conto della rilevanza delle diverse teorie filosofiche dell’etica. E problemi di natura etica e politica esplodono nelle controversie relative all’integrazione di quegli “stranieri morali” che sono gli immigrati. Su tali questioni i giovani hanno già delle opinioni, non di rado confuse e superficiali, accettate con indifferenza o magari difese con grande impeto. Hanno sentito parlare, magari in famiglia o in televisione, di folle di persone che si rivolgono alle medicine alternative; ascoltano e leggono l’oroscopo, vedono maghi affacciarsi sui teleschermi... non ci credono, ma che idea di scienza, dai loro studi pregressi, si sono fatti? E quale idea di democrazia si portano dietro? Alla domanda: “Che cosa intendi per democrazia?”, la risposta immediata che il più delle volte, direi sempre, mi è stata data è: “La democrazia è governo del popolo”. Replica: “Ma se tutti i cittadini, un intero popolo dà il consenso più pieno, un consenso totale, a Hitler, Mussolini, Lenin o Pol Pot, abbiamo forse una democrazia?”. Esito: il dubbio si è insinuato nel dogma, si è aperta una crepa in un muro di certezza e il ragazzo è stato catturato nel campo magnetico di un genuino problema filosofico. «La scienza è fatta e si riduce a proposizioni che descrivono osservazioni»; «nella scienza si passa da osservazioni particolari a leggi generali»: è un’immagine di scienza induttivistica e osservativistica quella che, in linea generale, ha preso dimora nelle menti dei nostri giovani. Dopo miliardi di osservazioni di cigni bianchi sembra più che legittimo sostenere che “tutti i cigni sono bianchi”; ma quando fai presente che abbiamo incontrato i cigni neri d’Au-


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stralia, la fede induttivistica comincia a incrinarsi. E poi: partire dal problema, oggi più attuale che mai, della informazione, dell’oggettività dell’informazione, del pluralismo dell’informazione e ascoltare i giovani su quello che loro ne pensano, significa indirizzarli sulla strada di questioni epistemologiche di estrema rilevanza: come la necessità della discussione al fine di arrivare alla proposta o all’ipotesi che meglio delle altre resiste alla critica. Ed esempi contrari hanno l’effetto di erodere idee tanto spesso accettate e difese come indubitabilmente certe quali quella concernente la reificazione dei concetti collettivi, per cui si pensa allo Stato, al partito, alla classe come a delle realtà sostanziali ed autonome dagli individui: non c’è occasione, migliore di questa, per avviare alla comprensione di quella tanto trascurata ma, invece, tanto importante “disputa sugli universali”. E ricchi di implicazioni filosofiche sono quei pezzi di saggezza cresciuta e accumulatesi nei secoli che sono i proverbi come quando si ripete che “di buone intenzioni son lastricate le vie dell’inferno”, che “non ogni male vien per nuocere” o che “i pifferi di montagna andarono per suonare e furono suonati” – è dal buon senso, insomma, che può partire un percorso di comprensione della teoria – fondamentale nelle scienze sociali, e non solo – relativa alla inevitabile insorgenza delle conseguenze inintenzionali delle azioni umane intenzionali. Esperienze personali, racconti di esperienze altrui, casi storici di fallimenti di progetti e piani ben studiati possono costituire argomenti di riflessione filosofica su questa tematica e permettere, almeno, di intuire che l’uomo non è né onnipotente né onnisciente. E riflessioni filosofiche offre l’altro proverbio – nucleo dell’epistemologia fallibilista – secondo cui “sbagliando si impara”.

9. Problemi teorici alla base di percorsi di approfondimento

Ebbene, è proprio in base a quelli che considero i miei errori, commessi specie all’inizio della mia carriera di insegnante, ma anche sulla base di quelle che ancora vedo come mie riuscite, che mi permetto il suggerimento per cui il primo momento nell’insegnamento della filosofia possa e debba consistere nell’esplorazione delle opinioni, e dei problemi, che abitano nelle menti dei nostri giovani. Dunque, prendendo spunto, per esempio, da discussioni di questioni dibattute nella più ampia società, da discorsi che intercorrono tra gli stessi ragazzi, da risposte che essi offrono a interrogativi del docente di filosofia o anche di altri docenti, gli studenti vanno invitati, stimolati, ad esprimere apertamente le loro idee e a porre i problemi che sentono come più urgenti. L’insegnante guiderà con attenzione ed equilibrio queste loro discussioni su questioni politiche, etiche, religiose; correggerà atteggiamenti superficiali o prese di posizione dogmatiche e aggressive adducendo, con garbo, istanze contrarie a certezze conclamate, e così via.


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Insomma, ascolterà i suoi studenti con il massimo rispetto, li conoscerà meglio e, incrinando certezze inconsistenti, li porterà quasi per mano ad inciampare nel dubbio. Ogni insegnante conosce occasioni propizie per questo tipo di imprescindibile lavoro didattico. E, guardando indietro, penso che non è stato affatto tempo perso quello speso nel discutere con i miei studenti, nel farli discutere tra loro, nell’insinuare nelle loro menti il morso del dubbio. E, a mio avviso, se per questo lavoro si spendono alcune settimane, specie all’inizio dell’insegnamento della filosofia – ma anche in seguito, sia nel primo anno che negli anni successivi, qualora se ne ravvisi l’opportunità – questo è tempo ben speso. Bene speso per la crescita di menti critiche, di cittadini capaci di pensare, di argomentare, di non ingannare e di non farsi ingannare – di cittadini, in breve, la cui “mente aperta” è fondamento imprescindibile di una “società aperta”. La verità è che, se un giovane è stato catturato nel campo magnetico dei problemi filosofici, egli si appassionerà alla storia della filosofia, alla storia delle idee proposte per la soluzione dei problemi che lo interessano. Andrà a cercare queste idee nel manuale di storia della filosofia, confronterà magari più di un manuale, si avvicinerà a scritti classici di filosofi. E, allora, l’insegnante troverà facilitato e appassionante il suo lavoro e toccherà con mano che la sua professione è davvero una missione. Per un giovane interessato al problema della demarcazione tra scienza e non scienza, non costituirà allora nessun peso, già al primo anno di filosofia, studiare la soluzione che del problema offre Aristotele, come anche le soluzioni che in seguito potrà trovare in Bacone e poi soprattutto in Galileo e giù giù da Stuart Mill, Poincaré, Duhem a Karl Popper, Kuhn, Lakatos e Feyerabend. In più d’una occasione, dopo una lezione sui rapporti tra ragione e fede, tra scienza e fede, dopo le discussioni che ne sono immancabilmente seguite, mi sono state chieste bibliografie essenziali sull’argomento e ancora mi capita di incontrare persone che mi ringraziano per aver loro consigliato testi come le Lettere copernicane di Galileo, i Pensieri di Pascal o Le briciole di filosofia di Kierkegaard. Si provi in classe, dopo discussioni su questioni politiche, a leggere brani significativi dell’Antigone e si vedrà allora quale forza di attrazione erompe dalla storia delle idee filosofiche. E l’interesse dei giovani non sarà minore allorché si esporrà la grande controversia sul Platone totalitario, o la differenza tra la concezione politica di Hobbes e quella di Locke o, in seguito, quando verranno esaminate, insieme con le critiche ad esse, le concezioni politiche di Comte, di Hegel o di Marx, o quando si espliciteranno le ragioni della “società aperta”, cioè di quelle regole che istituiscono lo Stato di diritto. Uno strumento adatto a stimolare interesse e discussioni, in questo come in altri casi, consiste nel porre all’attenzione dei giovani concezioni contrastanti, per esempio, un discorso di Mussolini e un


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articolo di Salvemini o di don Sturzo; l’idea di Stato di un giurista nazista come Carl Schmitt e brani tratti da La democrazia di Hans Kelsen. Credo che gli insegnanti non necessitino di ulteriori esemplificazioni di questo approccio all’insegnamento della filosofia che, personalmente, trovo ragionevole e la cui pratica mi ha dato non poche soddisfazioni. Aperto ad altre proposte, dico soltanto che non mi appare, invece, condivisibile l’idea che i manuali di filosofia debbano essere più concisi possibile per la ragione che “tutto non si può fare”. Tutto non si farà mai e non si potrà mai fare. Ma quanto davvero importa è che: quello che si fa, si faccia e possa venir fatto bene; che l’itinerario di maggior interesse di uno studente o più studenti non sia impervio; che, per esempio, se si è più interessati alla storia e alla filosofia della scienza, ovvero a questioni di filosofia politica o di filosofia della religione o a problemi di Filosofia dell’arte, lo studente possa trovare nel manuale di storia della filosofia una adeguata e chiara e non una rattrappita e spesso incomprensibile esposizione dei problemi, dei concetti e delle teorie che maggiormente lo interessano e che costituiscono stazioni non trascurabili dell’itinerario da lui intrapreso e che egli intende condurre a termine.

10. Guardarci da procedure didattiche sbagliate e dannose, anche se abbastanza diffuse

E un’ultima considerazione. Se non è facile dire quale sia il modo migliore di insegnare filosofia, non è però difficile dire quale sia il peggiore. Ecco, al riguardo, un’opinione di Karl Popper: «Quello che definisco “metodo prima facie” per insegnare filosofia, e che sembrerebbe l’unico possibile, consiste nel dare da leggere al principiante, che supponiamo non essere al corrente della storia delle concezioni matematiche, cosmologiche e in generale scientifiche, nonché politiche, le opere di grandi filosofi; le opere, cioè, di Platone e di Aristotele, Descartes e Leibniz, Berkeley, Hume, Kant e Mill. Ma quale sarà l’effetto di un simile corso di letture? Un nuovo mondo di astrazioni sorprendentemente sottili e vaste, ad un livello estremamente elevato ed arduo, si dischiude al lettore. Egli viene posto di fronte a pensieri e ad argomenti che sono talora non soltanto di difficile comprensione, ma tali da apparirgli irrilevanti, poiché non riesce a scoprire che cosa riguardino. Lo studente, tuttavia, sa che questi sono i grandi filosofi, e che tale è la maniera della filosofia. Egli compirà così uno sforzo per adeguarsi a quello che ritiene [...] il loro modo di pensare. Cercherà di parlare il loro strano linguaggio, di uniformarsi alle tortuose spirali del loro argomentare, e forse addirittura di cacciarsi nei loro singolari guai. Alcuni possono apprendere queste arti in modo superficiale, altri possono avviarsi a diventare cultori genuinamente affascinati. Penso, tuttavia, che dovremo rispettare chi, compiuto lo


Perché e come studiare storia della filosofia

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sforzo, giunge infine alla conclusione, che potrebbe considerarsi wittgensteiniana: anch’io, come tutti, ho imparato il gergo. È molto ingegnoso e affascinante. Anzi, è pericolosamente affascinante; la semplice verità al riguardo, infatti, è che si tratta di molto rumore per nulla, una quantità di parole senza senso». Un esito, questo, che ancor più che dalla casuale lettura di qualche testo classico, è da attendersi da un uso di manualetti di filosofia dove mancano le argomentazioni filosofiche e dove i concetti non vengono adeguatamente, cioè estesamente, esplicitati – questo perché “non c’è tempo”, perché “tutto non si può fare”. E, come si sa, per dirla con Goethe, «dove mancano i concetti, sovvengono le parole» – meglio, i paroloni, oppio raffinato degli intellettuali. È ancora Popper ad affermare che un metodo corretto, critico, per affrontare i problemi filosofici «consiste, semplicemente, nel tentare di scoprire che cosa gli altri abbiano pensato e detto a proposito del problema che si ha tra le mani; perché abbiano dovuto affrontarlo; in qual modo l’abbiano formulato; in qual modo abbiano tentato di risolverlo. Questo metodo – insiste Popper – mi sembra importante perché fa parte del metodo generale della discussione razionale. Se ignoriamo che cosa pensino gli altri o che cosa abbiano pensato in passato, la discussione razionale arriva necessariamente ad un punto morto, anche se poi ciascuno di noi può continuare a parlare allegramente con se stesso. Alcuni filosofi hanno fatto una virtù del parlare con se stessi forse perché si erano convinti che non ci fosse nessuno con cui parlare. Ho paura che l’abitudine di filosofare su questo livello un po’ troppo elevato sia un sintomo del declino della discussione razionale. Non c’è dubbio che Iddio parli quasi esclusivamente con se stesso perché non trova nessuno con cui valga la pena di parlare. Ma i filosofi dovrebbero sapere che non sono più simili a Dio di quanto non lo siano gli altri uomini». È questa una buona giustificazione dello studio e di un insegnamento critico della storia della filosofia.



Rivista Lasalliana 80 (2013) 2, 209-218

LINEE DI POLITICA EDUCATIVA DELL’UNIONE EUROPEA ANTONIO N. AUGENTI Direttore del Centro Servizi Educativi del Consorzio Universitario “Humanitas” - LUMSA DI

SOMMARIO: 1. Una necessaria premessa. - 2. L’investimento nel capitale intellettuale. - 3. La responsabilità decisionale: il problema della sovranità. - 4. Uguaglianza, libertà e coesione sociale. - 5. Ruolo degli intellettuali e della politica educativa.

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1. Una necessaria premessa

a politica educativa europea non ha messo in ombra questo tipo di problema, ma è fuori di dubbio che non è stata nelle condizioni di approfondirne più di tanto le varie implicazioni che come sfondo hanno la configurazione di un diritto di cittadinanza da costruire più saldamente sul perché puntare all’Europa, sul perché rinvenire nell’Europa le ragioni del ridisegno di un umanesimo di nuovo conio, capace di confrontarsi con le grandi sfide che si pongono all’uomo contemporaneo. Ciò che, forse, si può rimproverare, ancor più che all’Unione europea, ai singoli Paesi che ne fanno parte è il debole trasferimento all’interno dei propri sistemi educativi dell’intenzionalità culturale espressa a livello comunitario per l’ammodernamento dei processi d’istruzione e di formazione, nonché per la crescita di una consapevolezza unitaria in grado di valorizzare l’immenso patrimonio che i popoli europei hanno messo in comune. Quando si afferma che l’Europa “ha bisogno di un progetto di riforma del pensiero e dell’educazione, e che ha bisogno di una politica di civiltà che valorizzi la sua identità molteplice” (E. Morin e M. Cerruti), si sottolinea un’esigenza largamente condivisa, ma nei fatti negata oppure contratta dalle politiche educative sin qui condotte a livello nazionale e sovranazionale, oltre che dal ruolo insufficiente speso dagli intellettuali europei. La crisi che ha investito in particolar modo l’ambito europeo - nel settore economico, sociale, nell’etica, nello sviluppo del sapere e della conoscenza - non è stata affrontata con la dovuta accortezza. La dignità dell’uomo risulta ancora penalizzata, mortificata nei suoi valori di libertà, di espressione nell’attività di lavoro, di esigenze di conoscenza, di volontà di relazione, di protagonismo identitario in una società aperta e globale.


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Sussistono notevoli motivi di perplessità riguardo alla capacità che l’Europa mostra di coniugare le identità nazionali con l’identità unitaria. “Unità nella diversità”: è stato il motto ventilato sempre dalle Istituzioni comunitarie, ma questa esigenza non risulta pienamente appagata, non soltanto da quello che molti chiamano un “deficit di democrazia” a livello europeo, quanto piuttosto dalla ancora non compiuta acquisizione di una coscienza europea, missione alla quale avrebbe dovuto corrispondere una politica educativa più efficace e più in grado di esaltare i comuni valori di civiltà. Tant’è che continuano ad essere legittimati o tollerati comportamenti conflittuali, di divisione, addirittura in qualche caso di separatezza e di scissione. Il fatto è che non si può vivere soltanto di eredità, preziosa che questa sia. Le sfide che si pongono al mondo d’oggi esigono che in questa parte del pianeta siano affrontate con una capacità d’investigazione, di analisi e di progetto che utilizzi tutta l’esperienza che l’Europa ha alle spalle, nelle ferite che ha sulla pelle, ma anche nelle speranze coltivate, come direbbe A. Camus. È molto importante segnalare ciò che si legge nel documento che nell’ormai lontano 2002 fu licenziato dal Gruppo di studio europeo insediato dalla Commissione sotto la presidenza Michalski. Non sono i mercati, si osserva nel testo richiamato, che possono generare una solidarietà tra i Paesi, politicamente resistente. Occorre puntare ad una integrazione politica che, se vera, può produrre coesione interna in grado soprattutto di resistere anche in presenza di interessi economici divergenti. Questa affermazione ha un valore profetico, se guardiamo all’anno (2002) in cui fu pronunciata, ben prima dell’acutizzarsi della crisi economica che dopo oltre un lustro avrebbe colpito duramente tutti i Paesi, quelli europei in particolare. Non è lo spazio geografico che conta, si osservava ancora, quanto quello culturale all’interno del quale va fatta crescere la pianta di una missione da portare avanti e da affermare. Il compito dell’educazione, e delle correlate politiche, è immane. Si tratta di fare in modo che i giovani, ai quali spesso si sottrae la memoria, sia dato modo di riacquistare e impadronirsi, attraverso una profonda riflessione storica, di quello che uno studioso italiano, G. Galasso, chiama l’orgoglio europeo; la possibilità di valorizzare il meglio del passato di questo Continente. Ma, non basta. È necessario, altresì, porre i giovani nelle condizioni di costruire su questo passato un futuro di speranza, fortemente identitario dal punto di vista europeo, perché si possa immaginare che le risposte alle grandi attuali sfide della società possano essere rinvenute proprio in quel tanto di saggezza e di sapienza che l’esperienza dei popoli europei ha generato nel tempo, a dispetto delle ferite, delle lacerazioni e delle violenze subite.


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2. Una necessaria premessa

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Solleva certamente non pochi interrogativi interpellarsi sul ruolo che le politiche dell’educazione possono assumere ai fini dello sviluppo del processo d’integrazione europea e del “nutrimento” di una corrispondente coscienza europea. Occorre riconoscere o meno le ragioni di guardare all’Europa in modo unitario, di là dalle distinzioni che il corso degli eventi storici ha tracciato. Non sono rari quelli che tale ipotesi condividono, avendo questo spazio del pianeta dato luogo nel tempo ad esperienze e sensibilità che hanno puntato, diversamente da ciò che è accaduto altrove, tutto sull’uomo, sulla persona, sull’individuo rispetto al tutto e all’insieme. Tale prospettiva non ha finitezza, apre al racconto di una esperienza dell’uomo che punta all’affermazione di una identità forte del singolo, anche se è bene non dimenticare che questa parte del mondo ha ospitato le riflessioni più profonde sull’idea di comunità e il pensiero più sensibile sui principi che orientano alla convivenza, alla solidarietà e al sostegno sociale da estendere a tutti. Non è un caso se agli uomini d’azione e ai pensatori che hanno vissuto in questo Continente ci si riconduce per cogliere e condividere i disegni tracciati dalle importanti Dichiarazioni sui diritti dell’uomo e del cittadino e dalle grandi Carte costituzionali fondative dell’azione dei singoli Paesi. Certo, nei secoli che abbiamo alle spalle non sono mancati eventi che hanno segnato negativamente le vicende degli uomini europei: sopraffazioni, egemonie, guerre atroci, eccidi, persecuzioni, estremismi. Ma, tra stabilità e innovazione, tra memoria e progetto, tra certezze e relativismi, tra conservazione e modernità, l’Europa è riuscita unitariamente nell’intento di dare ascolto alle voci dello sviluppo, del progresso e dell’emancipazione. Sono state spaventose e crude le prove subite nel corso del secolo ventesimo, ma è indubbio che il sacrificio vissuto non si è tradotto per l’Europa in stanchezza e in resa. Le energie degli uomini che vivono in questa parte del mondo non sono state stroncate, la volontà di questa gente non è stata snervata e resa impotente. Di là dagli episodi specifici e dalle cause più contingenti che hanno animato il passo dei cosiddetti “padri fondatori” dell’Europa, a metà del secolo scorso è in questo tessuto culturale che occorre rinvenire le radici di un’Europa rinnovata, di un’Europa che, come ci suggerisce il titolo di uno studio di J.Berting, ci ha lasciato un’eredità, ci pone una sfida e si presenta come una promessa. Per raccogliere questa eredità e per affrontare un futuro solidale e unitario non si può non puntare sull’educazione. La formazione dell’uomo occidentale europeo non può essere assicurata soltanto da interessi economici che pure, talvolta, mettono insieme i popoli e le persone, ma dalla volontà di credere che un destino comune agisce da richiamo nei confronti di uomini e


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donne che conferiscono un senso allo stare insieme perché si rappresentano in quella che viene interpretata e vissuta come identità collettiva. Va osservato che la percezione del ruolo che alle politiche educative, all’istruzione e alla formazione poteva spettare nella prospettiva di un’Europa unitaria, più saldamente avvinta in un comune disegno di sviluppo e di crescita non è stata contemporanea al proposito di avviare un processo d’integrazione e di cooperazione dei diversi Paesi, pochi all’inizio, più numerosi in seguito. Il mercato, la crescita economica, la collaborazione avviata a metà del secolo scorso in alcuni settori della vita produttiva e dell’economia hanno occupato quasi interamente lo spazio di un’interdipendenza avvertita e interpretata per molte ragioni come incontrovertibile esigenza. Successivamente, negli anni che hanno fatto seguito alla stipula del Trattato comunitario a Roma, i temi dell’istruzione e della formazione hanno acquisito, da Maastricht in poi, una maggiore evidenza. Se si vuol tentare una lettura del rapporto tra processo di cooperazione e d’integrazione e le politiche educative progettate e attuate dalle Istituzioni comunitarie, si deve osservare che essa viene abitualmente condotta attraverso un esame cronistorico dei vari Trattati stipulati e delle decisioni assunte relativamente ai temi specifici che interessano l’istruzione e la formazione. Si eviterà in questa occasione di osservare questo metodo, per volgere l’attenzione ad alcuni significativi punti tematici e problematici che implicitamente sono sulla linea di cerniera tra sviluppo del processo unitario europeo e apporto che a tale sviluppo è assicurato dalle politiche dell’educazione. In fondo, lasciando da parte un approccio cronologico alle tappe salienti del processo di costruzione europea, si tratta di tentare di cogliere le linee di elaborazione e di sviluppo della politica adottata e osservata dalle Istituzioni comunitarie e, quindi, dai Paesi dell’Unione nel settore dell’istruzione e della formazione; e ciò, non soltanto in relazione al quadro evolutivo dell’ordinamento giuridico europeo, ma piuttosto nella prospettiva della visione che l’Europa può aver avuto ed ha ancora del proprio futuro, tenuto conto dei grandi problemi che assillano la vita dell’uomo al tempo d’oggi.

3. L’investimento nel capitale intellettuale

Un primo aspetto che preme prendere in considerazione, e tenuto in conto in qualche misura dalle Istituzioni europee, è rappresentato dalle risorse umane in cui investire ai fini dello sviluppo e della crescita. È problema avvertito in ogni parte del mondo, ma l’Europa sa di dover scommettere su di esso, a ragione anche delle ampie sacche di dispersione del capitale intellettuale registrate al suo interno. Investire nell’istruzione e nella formazione, nella crescita dei livelli di conoscenza, nello sviluppo delle competenze di professionalità utili per affrontare il complesso sistema del mercato del lavo-


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ro è aspetto prioritario di una politica educativa che voglia “leggere” meglio le dinamiche della crescita economica, i mutamenti della struttura professionale, le esigenze affacciate da una realtà in rapida trasformazione. Vi sono sedi nelle quali questo tipo di analisi politica viene condotta con grande impegno: la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l’OCSE. L’Europa ha interpretato, attraverso l’azione di alcuni suoi protagonisti e delle proprie Istituzioni (in primo luogo la Commissione), tale visione e se ne è fatta carico, in verità non sempre con successo, con l’elaborazione di studi e documenti dai quali hanno tratto origine investimenti e progetti di lavoro interessanti le politiche dello sviluppo e le politiche sociali. Da Cresson a Delors, più recentemente alla Reding, le connessioni tra politiche educative e politiche dello sviluppo e della crescita sono vagliate con approfondimenti che in ogni caso rafforzano il convincimento che non si va lontano, per affrontare la competizione con altri Continenti (America, Asia) se non si investe in modo strutturale nel cosiddetto “capitale umano”. Purtroppo, va osservato che l’Europa è, a questo riguardo, in ritardo rispetto alla possibilità di conseguire apprezzabili risultati relativamente ad obiettivi che la cosiddetta strategia di Lisbona ha fissato inizialmente al 2010, ora al 2020. L’adozione del “metodo di coordinamento aperto”, anche se ha permesso di fare alcuni passi in avanti in termini di monitoraggio dell’azione condotta in ambito educativo, non ha giovato molto. Se si considerano le statistiche offerte dalle sedi a ciò deputate, si nota che l’Europa si trova in una situazione di particolare gravità: milioni di disoccupati, in gran parte giovani e donne, aree deboli che non decollano, bassi indici concernenti la ricchezza prodotta, competitività economica bassa se si guarda ai Paesi dell’Asia e delle Americhe, investimenti non esaltanti nelle attività di produzione dei beni e dei servizi, elevati tassi di dispersione scolastica e formativa, bassi indici di rappresentazione dei flussi nell’ambito dei processi d’istruzione e di formazione, soprattutto con riferimento all’istruzione terziaria. N. Barré, che scrive su “Les Echos” in Francia, ha recentemente notato che anche il documento con il quale è stato approvato il bilancio europeo agli inizi dell’anno corrente è ben misero. “Nei prossimi sette anni, osserva, continueremo a dedicare oltre un terzo degli stanziamenti agli aiuti ai Paesi dell’Europa orientale e meridionale…I futuri progetti che sarebbero potuti servire da punto di appoggio per una strategia industriale sono stati fatti a pezzi”. Osservatori economici attenti sottolineano il calo subito dal PIL dell’area euro nel corso di tutto il 2012 e non sono teneri per ciò che riguarda le previsioni per l’anno appena iniziato. È presumibile, si avverte, che l’economia dell’Eurozona si contragga ancora, diversamente da ciò che si prevede per gli Stati Uniti e il Giappone. Sarebbe miope sostenere che quanto è sotto i nostri occhi si debba unica-


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mente a ciò che non riusciamo oggi a realizzare. In verità, i risultati ai quali assistiamo si devono ad una politica di lungo periodo che ha trascurato di stimare l’adeguatezza degli sforzi delineati rispetto agli obiettivi certamente ambiziosi che dovevano essere perseguiti. Una possibile via d’uscita sta in un cambio di passo dell’Europa: forte coordinamento a livello sovranazionale, univocità di riferimenti delle politiche educative, raccordi adeguati con le strategie dello sviluppo, riduzione sensibile dei tassi d’insuccessi, di dispersione scolastica e universitaria o di formazione terziaria, miglioramento reale della qualità dei processi di apprendimento in sintonia con i fabbisogni della realtà economica e di lavoro. Tutto ciò esige un più elevato investimento nei settori dell’istruzione, della formazione e della ricerca, con la consapevolezza che ciò viene ripagato in termini di riscontro economico e sociale, oltre che culturale.

4. La responsabilità decisionale: il problema della sovranità

Un’azione strategica volta a correlare politiche educative e politiche economiche e sociali in vista dello sviluppo esige, però, anche un “centro” capace di coagulare responsabilità e poteri decisionali con uno spostamento sensibile della sovranità dal livello nazionale a quello sovranazionale. È un secondo nodo che l’Unione europea non è stata in grado di sciogliere. Secondo molti analisti e studiosi abbiamo assistito nel tempo alla formazione di un “patrimonio costituzionale” comune. La storia dei Trattati, l’elaborazione di una giurisprudenza sovranazionale che fa capo alla Corte di Giustizia, l’allineamento nei fatti, ancorché non formalizzato, alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, l’inserimento della Carta di Nizza nell’ultimo Trattato di Lisbona hanno operato nella direzione di un assetto giuridico di natura costituzionale, peraltro non acquisito dall’ordinamento comunitario. Tale traguardo, se fosse stato raggiunto, avrebbe indubbiamente garantito, in una riconosciuta cornice di valori di fondo, l’esercizio di poteri decisionali più ordinatori sul piano delle politiche diverse dell’Unione. Il terreno delle politiche educative, per antica tradizione culturale dei vari Paesi, è stato in verità sempre considerato sottratto a poteri sovranazionali troppo invasivi e precettivi. Nondimeno, l’Europa tutta avrebbe potuto trarre vantaggio da un esercizio della sovranità sovranazionale che, pur rispettosa dell’autonomia dei singoli Paesi, avesse avuto modo di fissare linee strategiche di evoluzione, collocando in quello che taluni indicano come “destino comune” la gestione di strumenti di emancipazione in grado di regolare il rapporto tra sviluppo, uguaglianza e coesione. Tutto ciò non si è verificato. L’unico punto di avanzamento delle politiche educative nella direzione indicata è rappresentato dal conseguimento e dall’attuazione del “metodo aperto di coordinamento”, che ha il solo merito


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di orientare l’azione dei vari Paesi verso obiettivi riconosciuti come sensibili, e quello di poter monitorare i processi di avanzamento verso gli stessi obiettivi, per valutare l’efficacia degli interventi svolti dai singoli Paesi. Se l’indicazione degli obiettivi fissati dalla strategia di Lisbona obbliga ad una interpretazione riduttiva delle finalità cui le politiche educative europee tendono, non si può, però, negare che l’intenzionalità più preoccupata e sensibile dell’azione svolta dall’Unione europea nel campo dell’educazione non ha preso sotto gamba alcune meno marginali finalità che ne hanno motivato la proposta e l’elaborazione progettuale. I temi della mobilità del capitale umano, dell’ospitalità da assicurare alle diverse culture, dell’equità e della coesione sociale, della qualità da garantire ai processi di apprendimento, della conoscenza da porre al centro delle strategie d’azione hanno indubbiamente avuto una sicura evidenza.

5. Uguaglianza, libertà e coesione sociale

Tutto ciò che ha formato oggetto delle politiche educative promosse dalle Istituzioni europee ha avuto come orizzonte l’osservanza dei principi di libertà, di democrazia, di rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto, principi riconosciuti come comuni agli Stati membri e fissati nei primi atti anche normativi del processo d’integrazione. In questo orizzonte può essere indubbiamente compresa la finalità che mira all’affermazione delle condizioni di uguaglianza delle opportunità e al superamento dello stato di disparità in cui ancora oggi in Europa versano molti giovani, ai quali non è dato di partecipare in misura adeguata ai sistemi educativi o al mercato del lavoro, all’interno dei quali si attua la loro emancipazione. È giusto notare, come fanno molti pensatori ( tra questi ricordiamo Z. Bauman e, prima ancora, A. Sen, K. Popper o J. Rawls ) che la condizione di disuguaglianza tocca molte parti del pianeta; non ne sono esenti Paesi evoluti o Paesi in via di sviluppo o quelli ancora appena usciti da uno stato siffatto. Le conseguenze sono assai perniciose: “ La principale vittima della disuguaglianza, avverte Bauman, sarà la democrazia, in quanto i mezzi di sopravvivenza e di vita dignitosa, sempre più scarsi, ricercati e inaccessibili, diventano oggetto di una rivalità brutale e forse di guerra fra i privilegiati e i bisognosi lasciati senza aiuto“. L’Europa non è riuscita a tirarsi fuori da questo tunnel buio nel quale si trovano ancora molti strati sociali del vecchio Continente, avendo lasciato fuori dalle opportunità d’istruzione e di formazione, e quindi da quelle di costruttivo inserimento nella vita attiva e di lavoro, milioni di giovani ai quali sinora non è stato garantito un progetto di vita attendibile. Si tratta di un problema di giustizia sociale dal quale non possono affran-


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carsi le politiche educative, alle quali si chiede di dimostrare una più sicura sensibilità nei confronti dei diritti sociali. È altrettanto vero che a tanto si può giungere, affermando e traducendo in azione i valori e i principi della solidarietà, tanto spesso richiamati nei documenti comunitari ma non sempre attuati. Ho, in altra occasione, notato che non è difficile ammettere come l’Unione europea si sia preoccupata di orientarsi verso una dimensione globalmente riconosciuta dell’idea di solidarietà e dei diritti della persona. Nel tralasciare altri riferimenti, valga per tutti il richiamo al testo che la Commissione europea ha inviato nell’aprile del 2009 alle altre Istituzioni dell’Unione: “La società deve essere solidale con i giovani, in particolare i giovani meno favoriti… L’esclusione può derivare dalla disoccupazione, da una disabilità, da alcuni atteggiamenti comunitari o individuali nei confronti delle migrazioni; dalla discriminazione, da un problema di salute fisica o mentale, dalla tossicodipendenza, da pratiche di abuso, di violenze familiari o da precedenti criminali. Può, inoltre, comportare una radicalizzazione e condurre alla violenza. Interrompere la trasmissione intergenerazionale della povertà e dell’esclusione fa parte delle priorità dell’agenda politica del metodo aperto di coordinamento in materia sociale”. La solidarietà, la coesione sociale sono maggiormente avvertite, però, quando alla loro base c’è un forte senso di appartenenza, sul quale, per ciò che riguarda l’Europa, si è frequentemente insistito per quel “comune sentire” che dovrebbe giustificare e rendere credibile una formazione dell’uomo non legata unicamente ai fini dell’utile, ma alimentata da quel complesso di valori che hanno dato significato all’esperienza condotta dagli uomini e dalle donne che vivono su questo Continente Europa che, come ha avuto modo di notare A.V. Zani, “nell’epoca moderna ha realizzato una sintesi tra valori assoluti di matrice cristiana e nuovi valori creati dalla razionalità scientifica, quali: tecnologia, scienze, progresso, industria, economia, finanza…ed è stata la culla della libertà e della democrazia”. Non spetta, forse, alle istituzioni politiche, sia a livello nazionale che sovranazionale, riflettere sui requisiti che si ritengono indispensabili alla condivisione di questo senso di appartenenza, intimamente legato ad un certo modello di formazione dell’uomo. Anche se i responsabili e i decisori della cosa pubblica sono costretti a chiedersi per quali fini lavorare in termini di sviluppo culturale, economico e sociale di una comunità di persone, occorre osservare che un progetto educativo è qualcosa di distinto dalla politica che si occupa di risolvere i problemi dell’istruzione e della formazione. Si ritiene che si debba fare un passo indietro rispetto all’ipotesi di elaborare e tener fede a modelli antropologici che possono agire da guida per lo sviluppo sociale. Le scelte di valore che i singoli e le comunità fanno, in relazione agli eventi storici che rientrano nella loro esperienza di vita, non sguar-


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niscono, tuttavia, chi è chiamato a dirigere la cosa pubblica della responsabilità che attiene all’equilibrio in cui tenere finalità e aspettative, paradigmi di valore e progetti, passi da compiere e senso da conferire all’agire.

6. Ruolo degli intellettuali e della politica educativa

La politica educativa europea non ha messo in ombra questo tipo di problema, ma è fuori di dubbio che non è stata nelle condizioni di approfondirne più di tanto le varie implicazioni che come sfondo hanno la configurazione di un diritto di cittadinanza da costruire più saldamente sul perché puntare all’Europa, sul perché rinvenire nell’Europa le ragioni del ridisegno di un umanesimo di nuovo conio, capace di confrontarsi con le grandi sfide che si pongono all’uomo contemporaneo. Ciò che, forse, si può rimproverare, ancor più che all’Unione europea, ai singoli Paesi che ne fanno parte è il debole trasferimento all’interno dei propri sistemi educativi dell’intenzionalità culturale espressa a livello comunitario per l’ammodernamento dei processi d’istruzione e di formazione, nonché per la crescita di una consapevolezza unitaria in grado di valorizzare l’immenso patrimonio che i popoli europei hanno messo in comune. Quando si afferma che l’Europa “ha bisogno di un progetto di riforma del pensiero e dell’educazione, e che ha bisogno di una politica di civiltà che valorizzi la sua identità molteplice” (E. Morin e M. Cerruti), si sottolinea un’esigenza largamente condivisa, ma nei fatti negata oppure contratta dalle politiche educative sin qui condotte a livello nazionale e sovranazionale, oltre che dal ruolo insufficiente speso dagli intellettuali europei. La crisi che ha investito in particolar modo l’ambito europeo - nel settore economico, sociale, nell’etica, nello sviluppo del sapere e della conoscenza - non è stata affrontata con la dovuta accortezza. La dignità dell’uomo risulta ancora penalizzata, mortificata nei suoi valori di libertà, di espressione nell’attività di lavoro, di esigenze di conoscenza, di volontà di relazione, di protagonismo identitario in una società aperta e globale. Sussistono notevoli motivi di perplessità riguardo alla capacità che l’Europa mostra di coniugare le identità nazionali con l’identità unitaria. “Unità nella diversità”: è stato il motto ventilato sempre dalle istituzioni comunitarie, ma questa esigenza non risulta pienamente appagata, non soltanto da quello che molti chiamano un “deficit di democrazia” a livello europeo, quanto piuttosto dalla ancora non compiuta acquisizione di una coscienza europea, missione alla quale avrebbe dovuto corrispondere una politica educativa più efficace e più in grado di esaltare i comuni valori di civiltà. Tant’è che continuano ad essere legittimati o tollerati comportamenti conflittuali, di divisione, addirittura in qualche caso di separatezza e di scissione.


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Il fatto è che non si può vivere soltanto di eredità, preziosa che questa sia. Le sfide che si pongono al mondo d’oggi esigono che in questa parte del pianeta siano affrontate con una capacità d’investigazione, di analisi e di progetto che utilizzi tutta l’esperienza che l’Europa ha alle spalle, nelle ferite che ha sulla pelle, ma anche nelle speranze coltivate, come direbbe A. Camus. È molto importante segnalare ciò che si legge nel documento che nell’ormai lontano 2002 fu licenziato dal Gruppo di studio europeo insediato dalla Commissione sotto la presidenza Michalski. Non sono i mercati, si osserva nel testo richiamato, che possono generare una solidarietà tra i Paesi, politicamente resistente. Occorre puntare ad una integrazione politica che, se vera, può produrre coesione interna in grado soprattutto di resistere anche in presenza di interessi economici divergenti. Questa affermazione ha un valore profetico, se guardiamo all’anno (2002) in cui fu pronunciata, ben prima dell’acutizzarsi della crisi economica che dopo oltre un lustro avrebbe colpito duramente tutti i Paesi, quelli europei in particolare. Non è lo spazio geografico che conta, si osservava ancora, quanto quello culturale all’interno del quale va fatta crescere la pianta di una missione da portare avanti e da affermare. Il compito dell’educazione, e delle correlate politiche, è immane. Si tratta di fare in modo che i giovani, ai quali spesso si sottrae la memoria, sia dato modo di riacquistare e impadronirsi, attraverso una profonda riflessione storica, di quello che uno studioso italiano, G. Galasso, chiama l’orgoglio europeo; la possibilità di valorizzare il meglio del passato di questo Continente. Ma, non basta. È necessario, altresì, porre i giovani nelle condizioni di costruire su questo passato un futuro di speranza, fortemente identitario dal punto di vista europeo, perché si possa immaginare che le risposte alle grandi attuali sfide della società possano essere rinvenute proprio in quel tanto di saggezza e di sapienza che l’esperienza dei popoli europei ha generato nel tempo, a dispetto delle ferite, delle lacerazioni e delle violenze subite. Richiami bibliografici

BAUMAN Z., L’Europa è un’avventura, Laterza, Roma-Bari 2006. BERTING J., Europa: un’eredità, una sfida, una promessa, Armando, Roma 2006. CAMUS A., Il futuro della civiltà europea, Castelvecchi, Roma 2012. HABERMAS J., Il ruolo dell’intellettuale e la causa dell’Europa, Laterza, Bari 2011. HABERMAS J., Questa Europa è in crisi, Laterza, Bari 2012. MAFFETTONE S., Introduzione a Rawls, Laterza, Bari 2010. MORIN E. E CERRUTI M., La nostra Europa, Cortina, Milano 2013. POPPER K., La libertà è più importante dell’uguaglianza, Armando, Roma 2000. SEN A., L’Idea di Giustizia, Mondadori, Milano 2009. ZANI A.V., Formare l’uomo europeo, Città Nuova, Roma 2005.


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L’EDUCAZIONE AL PLURALISMO UNA PROVOCAZIONE PER LA PEDAGOGIA CREDENTE DI PAOLO FICHERA Docente di Dottrina Sociale della Chiesa Master per educatori cristiani – Istituto “Leonardo da Vinci” (Catania)

SOMMARIO: 1. Un combattimento amoroso. - 2. Alla scuola della sapienza. - 3. Riconoscere l’altro. - 4. Dialogare nella città delle solitudini. - 5. Abilitare a pensare.

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1. Un combattimento amoroso

hi oggi si trova a compiere un’opera educativa sa che si trova dinanzi a una difficoltà di fondo, quella di proporre qualcosa che spesso non viene richiesta. L’istituzionalizzazione della formazione, tra gli indubbi vantaggi che ha portato, non comporta di per sé una domanda da parte di chi chiede di essere educato e che quindi interpella un educatore. L’educatore, si dice, deve pertanto suscitare una domanda, attraverso la sua competenza, non soltanto professionale ma anche e soprattutto umana. Deve insomma essere autorevole per compiere la sua opera. Ma l’iniziativa dell’educatore è già, in qualche modo, orientata. Essa ha sin dall’inizio una prospettiva di senso che ovviamente segna il suo approccio. E sperimenta tante volte che il suo punto di vista non è condiviso, vuoi per posizioni diverse, vuoi – molto più spesso – per un’indifferenza che maschera un vuoto relazionale che con fatica si fa domanda esplicita. Ecco, all’inizio il punto di partenza dovrebbe essere questo. Oggi nell’opera educativa non ci si trova dinanzi a diverse posizioni, il che presuppone una fatica del concetto tra i diversi agenti comunicativi. Prevale piuttosto il rifiuto del confronto, non tanto per pigrizia, ma a motivo di sfiducia nei confronti di un mondo adulto che si rivela inaffidabile, a partire dal contesto familiare. Se le relazioni che dovrebbero essere più significative deludono, come pretendere di meglio dalle altre? Questa è la domanda inconscia che attraversa tanti ragazzi. Occorre chiedersi “quel che resta del padre”, inteso come autorità paterna che si fa prossima e in questa prossimità diviene autorevole. Questa prossimità evoca l’identità. Perché farsi prossimo significa, per usare l’espressione di Jaspers, accettare un “combattimento amoroso” in cui,


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PROPOSTE

Paolo Fichera

come per Giacobbe presso il torrente Yabbok, nella lotta, nel confronto anche acceso tra idee, si trova il nome, ossia l’identità. In questa lotta il fine non è la supremazia sull’altro, ma la ricerca comune di una verità che non si riduce a un sapere oggettivabile, ma rimane inesauribile come lo è la trama relazionale. Ma come può avvenire questo nella solitudine che si fa silenzio vuoto, non carico di attesa, di significato, senza essere presenti l’uno all’altro? Educare al pluralismo significa anzitutto educare alla relazione, comprendendo che il confronto non significa conformazione dell’altro a sé, pena l’annullamento o l’esclusione. Ma perché questo accada si richiede una sapienza che va cercata e alla cui scuola bisogna mettersi.

2. Alla scuola della sapienza

Qual è questa sapienza e cosa insegna? Essa anzitutto invita a comprendere quello che unisce, prima ancora che quello che distingue. Il mettere in evidenza ciò che divide fatalmente rischia di scivolare nel moralismo di chi stabilisce divieti e sa con sicurezza monolitica quanto si ha da fare. Il primo passo dunque è un atto di umiltà: non si è tutto e non si sa tutto. Il che non significa rinunziare ad essere fedeli alle cose in cui si crede, ma si evita di usare la verità come una clava, come arma per ferire l’altro, sapendo che così magari si viene considerati “profeti disarmati” secondo la dizione spregiativa di Machiavelli e magari si viene feriti. Ma è proprio dell’educatore accettare il rischio della “ferita dell’altro”, per usare l’espressione che dà il titolo a una bella opera di un economista, Luigino Bruni, che andrebbe letta perché esonda dall’ambito economico per dare un’interessante chiave di lettura delle relazioni umane.1 Quindi non si è tutto e non si sa tutto, anche quando si porta con sé un tesoro di fede, di valori, di vissuti significativi.

3. Riconoscere l’altro

L’altro passo consiste nel riconoscimento dell’altro. Riconoscerlo sul serio, non formalmente, come avviene in certe etiche o nei sistemi giuridici. Accoglierlo come interlocutore e non semplice destinatario di informazioni. Senza tale riconoscimento (si pensi a coloro che si sentono depositari assoluti della verità o a tanti spregiatori del fatto religioso) è impossibile il confronto. Gli educatori hanno così un ruolo importante per educare al dialogo senza perdere di vista l’oggetto del confronto (il dialogo vero non è mai generico). Ma riconoscere l’altro significa cogliere il bene di cui è portatore, anche se egli si mostra distante dalle nostre posizioni. Si pensi alla parabola di 1

L. BRUNI, La ferita dell’altro, Il margine, Trento 2007.


L’educazione al pluralismo. Una provocazione per la pedagogia credente

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Giona in cui si scopre che, alla fine, vi è più misericordia nei marinai pagani che non vorrebbero gettare il profeta dalla nave che nel profeta stesso. E Ninive, città pagana e corrotta, mostra più desiderio di conversione rispetto al profeta che vuole durezza nel punire piuttosto che misericordia nel perdonare. E non abbiamo forse presente l’altra grande parabola del giudizio finale dove le genti vengono riconosciute proprio per la misericordia usata nei confronti dei poveri di Cristo? Ecco, pare proprio che ciò che dovrebbe unire sia l’attenzione nei confronti dell’umanità sofferente come riconoscimento dell’umano in noi e negli altri. Questo sembra proprio il “passaporto” per accedere al confronto in un modo autorevole, di quell’autorevolezza che proviene dall’attenzione agli ultimi, agli sfiduciati, ai poveri. Educare a questa misericordia è già educare al pluralismo perché accredita nell’ambito comunicativo.

4. Dialogare nella città delle solitudini

Sappiamo che in modo diverso si sono cercate regole per una società plurale, caratterizzata da un “disincantamento del mondo” per usare la nota espressione di Stuart Mill mutuata da Weber. In essa vige uno strutturale conflitto di valori, provocato non tanto dall’insufficienza del sapere scientifico a fare da guida dell’umanità come voleva il pensatore tedesco, ma dall’incapacità di riconoscimento dell’altro in virtù del fatto che la società occidentale si è organizzata come un arcipelago di solitudini, di monadi che non comunicano. Davvero si può parlare con Bauman di una “solitudine del cittadino globale” perché «i ponti tra la vita pubblica e la vita privata sono stati abbattuti o non sono mai stati costruiti».2 Ciò ha condotto al «raffreddamento del pianeta degli uomini»:3 il tessuto della solidarietà umana si sta disgregando rapidamente e le nostre società sono sempre meno accoglienti. Spesso si ha la sensazione che «l’insicurezza odierna assomiglia alla sensazione che potrebbero provare i passeggeri di un aereo nello scoprire che la cabina di pilotaggio è vuota, che la voce rassicurante del capitano era soltanto la ripetizione di un messaggio registrato molto tempo prima».4 Certo, dovendo con-vivere (il che è inteso spesso come un “vivere presso”, magari guardandosi in cagnesco perché si crede all’homo homini lupus) si cercano condizioni universali e necessarie (correttezza, verità, veridicità) che stiano alla base di ogni comunicazione linguistica che sia tra argomentazioni che pretendano di essere razionali: siamo dinanzi alla “etica del discorso” di Habermas come fondamento di una società democratica. La Z. BAUMAN, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2004, p.10. Ibidem, p. 60. 4 Ibidem, p. 28. 2 3


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PROPOSTE

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riflessione del filosofo tedesco coglierà come segno distintivo della società moderna il “pluralismo degli interessi” con il quale fare i conti in tutti gli ambiti, a partire da quello giuridico che norma il vivere sociale. È la proposta di un “universalismo sensibile alle differenze”: si mantengono i caratteri formali universali dell’argomentare, ma senza pretese di assimilazione e di livellamento dell’altro che significherebbero “chiusura contro il diverso”. Ma tutto questo, ed è qui il punto, avviene dichiarando improponibile ogni fondazione ontoteologica e soteriologica delle scelte etiche. Richiamiamo qui le parole dello stesso Habermas: I tentativi di spiegare il “punto di vista morale” sono un’indicazione del fatto che i comandamenti morali – dopo il crollo di una visione “cattolica” onnivincolante del mondo e con l’emergere delle società multiculturali – non sono più giustificabili pubblicamente a partire da un punto di vista divino e trascendente.5

Non esiste in pratica altra legittimità che quella delle procedure del discorso, secondo il presupposto che gli uomini, anche di culture diverse, non possono non trovarsi coinvolti in una certa logica intersoggettiva dell’argomentazione, secondo cui una legge è valida «quando nella prospettiva di chiunque, potrebbe essere accettata da tutti». Secondo quest’ottica, che non manca di fascino ma che non propone contenuti (perché di per sé non li cerca), l’opera pedagogica consiste nell’educare a tale pensiero dialogico e comunicativo senza pretese fondazionali e nel rispetto assoluto della diversità. Va superata pertanto la “nostalgia per le totalità perdute” come le chiama Vattimo, per far nascere l’individuo postmoderno che non ha più bisogno della rassicurazione estrema dell’idea di Dio ed ha accettato di vivere senza ansia in un mondo privo di verità assolute. Dice Vattimo: L’eredità cristiana che ritorna nel pensiero debole è anche e soprattutto eredità del precetto cristiano della carità e del suo rifiuto della violenza.6

In sostanza rimarrebbe soltanto il riferimento, forse generico per quanto assolutamente necessario (perché altrimenti non si avrebbe né autenticità né autorevolezza), a un carità cristiana che rimane l’unico punto di accordo accettabile senza pretendere altro dal dialogo. Lo ripetiamo: l’atteggiamento della misericordia è imprescindibile, ma occorre chiedersi se ci si debba fermare ad esso e non si possa procedere oltre nel cammino di ricerca della verità. Quanto detto costituisce una provocazione per chi trae ispirazione dall’esperienza credente nella propria opera pedagogica: l’anno della fede che stiamo vivendo dovrebbe essere l’occasione per una riflessione sul senso dell’educazione cristianamente ispirata in tale contesto culturale. 5 6

J. HABERMAS, Inclusione dell’altro, Feltrinelli, Milano 1998, p. 19. G. VATTIMO, Credere di credere, Garzanti, Milano 1996, p. 37.


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Certo questo percorso non può non tenere conto della condizione storica in cui ci troviamo. I segni distintivi del postmoderno hanno oggettivamente creato un clima culturale con il quale fare i conti e che danno colore ad una certa concezione di pluralismo: la sfiducia nei macro-saperi omnicomprensivi e legittimanti; la rinuncia a considerare la storia come un processo universale e necessario verso una condizione di redenzione finale; per cui si nega la possibilità di qualsiasi “terapia salvifica” e il pensiero è “senza redenzione”; l’accoglienza del paradigma della molteplicità e della differenza.7 Sono questi elementi da tenere presenti sullo sfondo nell’opera educativa perché hanno creato un clima. Il guaio è che tutto questo non è stato il risultato di un “pensiero pensato” ma quasi un esito scontato e comodo di un vissuto sociale che ha privilegiato da un lato forme di pensiero “deboli” che, se hanno evitato magari facili dogmatismi, hanno spesso ostacolato la ricerca verso un ulteriore ritenuto inesistente (il fatto religioso in specie); d’altro canto hanno favorito forme comunicative e stili di vita che tendono alla distrazione dell’opinione pubblica, formando un uomo adattato al sistema stabilito e dando una visione sostanzialmente frivola dell’esistenza. Il che comporta necessariamente un calo o un annullamento del livello dello spirito critico con la conseguente impossibilità di un confronto: perché non vi è più nulla su cui confrontarsi. Anche la diffusione dell’informazione in via telematica ha una sua ambivalenza: da un lato ha realmente allargato gli orizzonti, permettendo un maggior accesso alla conoscenza con una rapidità un tempo impensabile, per cui si pone come un possibile autentico veicolo di democrazia. D’altro canto vi è il rischio di vivere accumulando informazioni ed esperienze senza una bussola che indichi una direzione (perché non vi è né bussola né direzione) in un’avventura che trasforma il “navigatore solitario” del WEB in un esploratore che non cerca una meta, ma gode dell’esplorare stesso.8 Questa visione della vita non può non avere ricadute sul piano educativo, per cui vi è il rischio – già segnalato in passato ma oggi notevolmente amplificato – che gli educatori comunichino su lunghezze d’onda totalmente diverse dalle giovani generazioni, apparendo così insignificanti. Questo non significa accettare acriticamente tale paradigma, per lo meno non è senz’altro questa la nostra posizione, ma affermare che occor7 Per una sintesi, cfr. G. FORNERO, Postmoderno e filosofia, in Storia della filosofia fondata da N. ABBAGNANO, vol. 4, UTET, Torino 1994, pp. 389-434. 8 A tal proposito è interessante la riflessione compiuta dallo scrittore Alessandro Baricco nel suo saggio I barbari, Fandango, Roma 2006, in cui viene descritta una sorta di “mutazione genetica” della conoscenza presso le giovani generazioni. L’autore usa il termine surfing per indicare una situazione che non è soltanto conoscitiva, ma si presenta con precisi connotati esistenziali: il navigare “in superficie” anche nel viaggio “interiore”, rifiutando l’idea che solo la conoscenza “profonda” abbia valore autentico.


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PROPOSTE

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re capirlo fino in fondo per evitare di operare in un campo sconosciuto: senza la conoscenza del territorio spirituale, ogni opera educativa rischia l’inutilità.

5. Abilitare a pensare

Il pensiero plurale richiede appunto questa pensosità critica. Il miglior servizio a livello educativo che si possa rendere è appunto abilitare a pensare, anche suscitando provocatoriamente reazioni, immettendo sana inquietudine attraverso una ars educandi che implica passione, impegno, spirito di sacrificio, ma soprattutto amore per l’altro che comporta il rispetto della sua identità ma anche il desiderio di donare se stessi. Questo significa anche il dono del pensiero che, senza assimilare l’altro a me stesso, suscita il suo pensiero per un desiderio di incontro; accettando magari il rischio che chi mi sta dinanzi prenda un’altra via, un po’ come accade per i genitori che sanno che lo stesso potrà accadere per i propri figli. Il che vuol dire, per il credente, una fiducia grande nell’opera della grazia che completa l’opera nostra, se fatta con la retta intenzione di fare ciascuno la parte che gli è stata assegnata. Ciò comporta un rendere ragione della speranza che è in noi, quando si viene interpellati da coloro che osservano nell’educatore qualcosa di diverso e che fa dire: “Costui crede in ciò che dice e in ciò che fa”. Ossia si coglie l’autenticità di una persona che «con dolcezza e rispetto»9 e con retta coscienza e onestà intellettuale testimonia, motivandole, le realtà in cui ha posto fiducia. Qualora questo non avvenga, il futuro riserva un impoverimento che rischia il punto di non ritorno perché si tramanderà di giovane generazione in giovane generazione senza pensare critico, vittima del nemico vero del pluralismo che non è soltanto il dogmatismo ma il pensiero unico che tutto livella nel mito del progresso e del benessere (anche se oggi con più incertezze del passato). Ma anche se si ritornasse agli standard di prima, rimarrebbe pur sempre vero che il vuoto dell’anima non lo riempiranno né il benessere (meglio dire il bene-avere) né i ritrovati tecnologici come frutto del progresso scientifico, perché rimarrà una solitudine di fondo in giovani che non trovano più dinanzi a sé interlocutori significativi con cui confrontarsi e anche scontrarsi perché provocatori inquietanti di domande. Risuona a questo proposito quanto affermava Weber: se di nuovo sorge in voi il Tolstoj a domandare: «Se dunque non è la scienza a farlo, chi risponde alla domanda che dobbiamo fare? E come dobbiamo regolare la

9

1 Pt 3, 15-16.


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nostra vita?» […] bisogna dire che la risposta spetta a un profeta o a un redentore. Se questi non è fra noi o se il suo annuncio non è più creduto, non varrà certo a farlo scendere su questa terra il fatto che migliaia di professori tentino di rubargli il mestiere nelle aule.10

Non si tratta di fare i profeti o i redentori ma di adempiere l’opera nostra, il nostro “compito quotidiano” (l’espressione è ancora weberiana). Perché forse questa non è più l’epoca dei profeti: ma proprio per questo sono ancora più necessari i “portatori d’acqua” nel vasto campo dell’educazione.

10

M. WEBER, Il lavoro intellettuale come professione, Einaudi, Torino 1948, p. 38.


LETTERE PASTORALI DI FRATEL ÁLVARO RODRÌGUEZ ECHEVERRÌA Superiore Generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane

01. Il volto del Fratello oggi (Dicembre 2000).

02. Essere Fratelli in comunità: nostra prima associazione (Dicembre 2001). 03. Associati al Dio vivente. La nostra vita di preghiera (Dicembre 2002).

04. La vocazione del Fratello oggi (Aprile 2003).

05. Associati al Dio dei poveri. La nostra vita consacrata alla luce del 4° voto (Dicembre 2003). 06. Associati al Dio del Regno e al Regno di Dio. Ministri e servitori della Parola (Dicembre 2004).

07. Associati per cercare insieme Dio, seguire Gesù Cristo e lavorare per il Regno. La nostra vita religiosa (Dicembre 2005).

08. Associati al Dio della storia. Il nostro itinerario formativo (Dicembre 2006).

09. Consacrati da Dio Trinità come comunità di Fratelli, per rendere visibile il suo amore gratuito e solidale (Dicembre 2007).

10. Essere segni vivi della presenza del Regno, in comunità di Fratelli consacrati da Dio Trinità (Dicembre 2008).

11. Consacrati da Dio Trinità come comunità di Fratelli. Messaggeri e apostoli inviati dalla Chiesa per rendere presente il Regno di Dio (Dicembre 2009). 12. Consacrati da Dio Trinità come comunità profetica di Fratelli appassionati di Dio e dei poveri (Dicembre 2010).

13. Consacrati da Dio Trinità, come comunità di Fratelli che sottopongono al giudizio di Dio il loro ministero (Dicembre 2011).

14. Consacrati da Dio Trinità, come comunità di Fratelli che sono ringiovaniti dalla speranza del Regno (Dicembre 2012).


Rivista Lasalliana 80 (2013) 2, 227-231

INTERVISTE

I

Giovani, università, comunicazione della fede “Signore, che cosa vuoi che io faccia con la mia vita?” Intervista a Mons. Enrico dal Covolo, Rettore della Pontificia Università Lateranense DI

DONATO PETTI

n questi ultimi anni, numerosi sono stati gli interventi del Santo Padre Benedetto XVI e del magistero della Chiesa nei confronti dei giovani. Tra gli altri, ricordiamo il Messaggio di Papa Benedetto per la Giornata Mondiale della Pace del 2012 dal titolo: “Educare i giovani alla giustizia e alla pace” e il tema dell’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura del 2013: “Culture giovanili emergenti”. L’attenzione amorevole ai giovani di oggi significa impegno nel preparare gli uomini di domani. Abbiamo chiesto alcune considerazioni in merito al vescovo titolare di Eraclea, Mons. Enrico dal Covolo, Rettore della Pontificia Università Lateranense, l’Università del Papa.

Il 2 febbraio è stata celebrata la Giornata della Vita Consacrata: che cosa significa, per Lei, sacerdote salesiano, il servizio di Rettore dell’Università Lateranense?

Ritengo di essere stato inviato in questa Università soprattutto per essere al servizio dei giovani e per la promozione della cultura accademica, sempre orientata alla crescita dei giovani, degli studenti e, di conseguenza, anche dei professori. I giovani sono la mia patria determinante. Molte volte dico che l’università se c’è, se esiste, è per i giovani e per gli studenti, non è di per sé per i professori. Essa è finalizzata alla crescita dei giovani e per questo mi ritrovo come a casa perché questa è la via che ho scelto come salesiano: fare di loro, secondo il progetto di Don Bosco, degli onesti cittadini e dei buoni cristiani, lavorando secondo il sistema che Don Bosco ci ha consegnato, basato sulla ragione, sulla religione e sull’amorevolezza.

Nel discorso d’inizio dell’anno accademico 2012/2013, Lei ha sottolineato l’importanza della pastorale universitaria nel percorso formativo degli studenti. In che modo, a Suo parere, i giovani possono essere aiutati a discernere la loro vocazione?


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INTERVISTA

Donato Petti

La pastorale universitaria è soprattutto un accompagnamento “a tu per tu” con i giovani affinché, in questa esperienza accademica, siano facilitati a scoprire il disegno globale, il progetto di vita che il Signore indica loro. Non è un cammino facile, si tratta di procedere con il discernimento e di rendere capaci i giovani di porsi la domanda giusta, la sola domanda: “Signore, che cosa vuoi che io faccia con la mia vita?”. Proprio per questo, durante l’anno accademico, abbiamo avviato un’esperienza senza dubbio molto interessante di pastorale universitaria: la nuova convivenza di casa Zaccheo. Una casa dove dodici nostri giovani, ragazzi e ragazze dell’Università, si sono messi insieme per un progetto di vita comunitaria all’insegna precisamente di questa domanda centrale: “Signore che cosa vuoi che io faccia con la mia vita?”. Il Santo Padre, Papa Benedetto XVI, ha dedicato quest’anno alla Fede. In questo contesto Lei ha stabilito che il corrente anno accademico fosse dedicato alla comunicazione della fede. Cosa si intende per comunicazione della fede nei tempi odierni?

Qui devo fare delle precisazioni. Il progetto del quadriennio del mio rettorato è segnato da quattro parole-chiave: la prima è l’“emergenza educativa”, e questo ha contraddistinto l’anno accademico 2010/2011. La seconda parola è la “formazione dei formatori”, come risposta appunto alla emergenza educativa; questo impegno ha sottolineato in modo speciale l’anno accademico 2011/2012. Poi ci sono altre due vie che io ritengo prioritarie, due mezzi particolarmente efficaci per raggiungere l’obiettivo che ci siamo proposti, che è appunto la formazione dei formatori come risposta all’emergenza educativa. E queste due vie, questi due mezzi privilegiati, sono “la pastorale universitaria”, di cui abbiamo già parlato, e a cui dedicheremo il prossimo anno accademico 2013/2014, e “la comunicazione”, di cui ci stiamo occupando in modo speciale in quest’anno 2012/2013. Ma questo è anche l’Anno della Fede, e così abbiamo pensato di intitolare questo anno accademico 2012/2013 proprio come l’anno della comunicazione della fede. Così facendo, abbiamo anche inteso superare un possibile equivoco. Trasmettere la fede certamente è importante e decisivo, ma noi non vorremmo che con il termine “trasmettere la fede” si alludesse soltanto e semplicemente a un problema di contenuti da trasmettere, cioè all’aspetto oggettivo della fede. Sono convinto, secondo la grande lezione dei Padri, che esiste anche un aspetto soggettivo, che va testimoniato, accanto a quello oggettivo, che va trasmesso. Quindi, le due cose insieme, trasmettere e testimoniare, ci hanno fatto scegliere questa espressione “comunicare la fede”, comunicarla nella sua interezza sia per quanto riguarda gli aspetti oggettivi, cioè il catechismo, sia per quanto riguarda gli aspetti soggettivi, cioè la testimonianza personale della fede cristiana.


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Qual è, secondo Lei, oggi, il rapporto della Chiesa con i nuovi mezzi di comunicazione?

Il rapporto è di grande apertura. Basti leggere i Messaggi, come l’ultimo, del Papa per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni, di ampio respiro. Dall’altra parte, però, devo ammettere che siamo ancora all’inizio. Bisogna che dedichiamo più tempo ed energie a questo ambito. È proprio per questo che noi, il 14 di febbraio di quest’anno, abbiamo avviato un’altra iniziativa: un master di “Digital Journalism”, frequentato da circa trenta corsisti che verranno istruiti dai migliori esperti della comunicazione digitale. Questo master durerà fino al mese di dicembre dell’anno in corso, a cavallo tra i due anni accademici. È un programma molto ambizioso. Noi lo proponiamo al servizio della società e della cultura, ma anche per una motivazione ecclesiale. Abbiamo avvertito un’urgenza: molte riviste, bollettini parrocchiali o riviste diocesane ormai sono in difficoltà con il supporto cartaceo ed è sempre meno possibile, anche per i costi, andare avanti in questa direzione. Sempre di più si avverte l’urgenza di passare al digitale. Noi vorremmo abilitare questa trentina di persone, in modo che possano anche offrire un competente servizio nella gestione di questa particolare emergenza che si è creata all’interno della Chiesa. I nuovi modi di comunicare la fede come incidono sulla risposta alla vocazione dei giovani e sulla loro percezione di essa? Ovvero, come è cambiato, se è cambiato, il modo di vivere la vocazione?

Bisogna ricordare ciò che molto giustamente ha detto il Papa emerito, Benedetto XVI, nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace nel 2012. In quel messaggio si evocava il legame strettissimo che esiste tra educazione e comunicazione. Diceva il Papa che l’educazione è comunicazione, quindi ci sono ampie zone di interferenza diretta ed esplicita. La stessa cosa può essere detta riguardo alla vocazione e alla comunicazione: cioè l’esistenza di ampie aree di interferenza reciproca. Quando pongo la domanda giusta, ovvero: “Signore che cosa vuoi che io faccia?”, è chiaro che invito il giovane ad aprirsi generosamente alla comunicazione, ad aprirsi all’altro. Certo, all’altro con la “A” maiuscola, ma anche agli altri che sono il nostro prossimo.

Lei ha compiuto recentemente un viaggio in Medio Oriente presso gli Istituti universitari che sono affiliati alla Pontificia Università Lateranense. Ha avuto modo di incontrare i giovani e di parlare con loro?

Naturalmente, perché una delle istanze previste era proprio il colloquio diretto con gli studenti. Così li ho radunati insieme, e ho avuto anche delle


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INTERVISTA

Donato Petti

occasioni di colloquio a “tu per tu” con molti di loro. Mi sono accorto con grande soddisfazione e con grande speranza durante questo viaggio in Medio Oriente che i giovani dei nostri “centri affiliati” studiano bene e con un obiettivo ben chiaro, cioè quello di essere capaci di incidere per edificare una società ed una civiltà migliore. E quando dico migliore intendo dire soprattutto sul versante della pace, del dialogo culturale e interreligioso, al fine di costruire un tessuto sociale meno sofferente, meno conflittuale. Credo che in questo momento tra i valori più sentiti dai giovani in Medio Oriente, ci sia, in assoluto, il valore della pace; certamente con tutto quello che lo circonda, come l’educarsi ad essere efficaci promotori di pace; da qui anche lo studio appassionato della dottrina sociale della Chiesa che si va compiendo in questi centri. Fondamentale è anche il dialogo interreligioso perché c’è la convinzione in questi giovani, che io ritengo giusta, che il dialogo migliore e più efficace sia quello che si può costruire proprio su basi culturali solide: è proprio qui che si gioca la possibilità dell’incontro rispettoso e tollerante. Purtroppo con le frange estremiste o fondamentaliste questo non è possibile. Quali sono, Rettore Magnifico, a Suo parere i valori principali con cui si identificano i giovani cristiani in Terra Santa?

Soprattutto il valore della pace! Ma ci sono intorno anche molti altri valori per il conseguimento di questo. Una capacità di servizio e di dono di sé. Mi colpisce molto e mi entusiasma il fatto che questi giovani non studino tanto per se stessi, cioè non si chiudano nella torre d’avorio di una cultura asettica, ma cerchino, al contrario, di mettere le conoscenze, lo studio che fanno, al servizio di questo progetto sociale di convivenza migliore.

In Medio Oriente è particolarmente importante – come ha accennato anche Lei – il dialogo interreligioso nel nuovo processo di evangelizzazione. Questo è naturalmente un precipuo compito anche dei giovani cristiani. Come affrontano tale tema gli Istituti Univesitari affiliati alla Lateranense?

Lo affrontano in base alle caratteristiche proprie del Centro accademico a cui ci riferiamo. Comunque, un’istanza condivisa e comune è quella di una conoscenza reciproca maggiore, cioè conoscere meglio per esempio i testi di riferimento delle religioni di cui si parla, conoscere meglio le tradizioni di queste religioni, cercare di capire di più per comprendersi meglio. Noi abbiamo dei Centri che si occupano maggiormente del dialogo con l’una o con l’altra religione: per esempio nella Domus Galilaeae, presso la quale abbiamo un Istituto affiliato di studi teologici, il Seminario Redemptoris Mater, ci si è specializzati in modo particolare, su indicazione del Papa Beato Giovanni Paolo II, sul dialogo ebraico-cristiano. In tale contesto, quindi, viene portato specificamente avanti il filone di questo tipo di dialogo. Inve-


Giovani, università, comunicazione della fede

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ce, come ulteriore esempio, nella Università Saint-Joseph di Beirut ho visto che si coltiva maggiormente il dialogo con la religione islamica. Queste sono le caratteristiche proprie di ogni Centro. Però possiamo dire che c’è una costante, un minimo denominatore comune ben condiviso che è questo: una conoscenza maggiore, un rispetto reciproco, il desiderio di capirsi di più.

Mons. Enrico dal Covolo, come Rettore Magnifico e come Vescovo, cosa si sente di augurare ai giovani che stanno cercando la loro vocazione?

Quello che dico sempre a loro! Non aver paura di accettare ciò che il Signore indica come la tua strada, anche se a prima vista questo potrebbe comportare grossi sacrifici, ma si deve partire dalla consapevolezza che la propria felicità più grande può realizzarsi solo in questa direzione, cioè che la nostra felicità più grande si realizza nell’obbedienza al progetto che Dio ha sopra di noi. Qualunque altra strada non conduce alla felicità piena. Anche quando il Signore fa delle proposte impegnative. Possiamo pensare alle vocazioni consacrate, alle vocazioni missionarie, alle vocazioni di speciale servizio nella Chiesa e nel popolo di Dio: certamente questo comporta tanti sacrifici, però – se una persona è chiamata a questa strada – questa è l’unica via per raggiungere la vera felicità, che io auguro sempre ai giovani. La vera felicità coincide con la santità: cioè essere felici di qua e di là.


LA SALLE BIOGRAFIE DI GIOVANNI BATTISTA DE LA SALLE FRÈRE BERNARD Vita di Giovanni Battista de La Salle trad. it. e presentazione di Bruno Bordone, Vercelli 2007, pp. 153 L’autore ha vissuto in comunità con il La Salle ed ha attinto dalla viva voce dei primi Fratelli le testimonianze che trasmette. Più che biografo è un testimone che offre con limpidità il La Salle nella sua veste di fondatore di una comunità di uomini affascinati da un giovane prete e votati a tenere insieme e in associazione le scuole gratuite.

FRANÇOIS-ELIE MAILLEFER Vita di Giovanni Battista de La Salle trad. it. e presentazione di Bruno Bordone, Vercelli 2007, pp. 301 Nipote del La Salle, l’autore scrisse su incarico della famiglia La Salle. Suo scopo è delineare il volto dello zio in tutta la sua autenticità attingendo a fonti sicure e trattandole con competenza. Con esemplare incisività presenta il giovane Jean-Baptiste alla ricerca della sua vocazione, teso a realizzare il piano di Dio tra l’affetto dei suoi figli spirituali e le resistenze di quanti non capivano il valore profetico delle sue scelte.

ELIO D’AURORA Monsieur de La Salle – una fedeltà che vive Editrice A&C, Torino 1984, pp. 275 La vita del La Salle si svolge nell’irriducibile realismo di una società dibattuta da crisi di coscienza, statolatria, ambizioni del potere, sete di ricchezze, necessità di rigenerarsi. La Salle non colloca la sua pedagogia nelle belle lettere, ma nelle arti e nei mestieri, presagendo il travaglio di un rivolgimento politico e sociale che l’Europa stava covando. Nella Francia del Re Sole, tra guerre miserie e pestilenze, ad onta dello splendore del Grand Siècle, La Salle rovesciò le concezioni pedagogiche di una società che nutriva solo disprezzo o falsa pietà per i ceti popolari. D’Aurora mette tutto questo in risalto con una brillante e documentata biografia.

MICHEL FIÉVET Giovanni Battista de La Salle maestro di educatori trad. it. di Serafino Barbaglia, Città nuova, Roma 1997, pp. 190 L’autore è un professore, sposato, che ha collaborato a lungo con i Fratelli scoprendo poco a poco il loro Fondatore. Affascinato dalla personalità del La Salle ne ha approfondito il profilo come santo e come pedagogista, tanto da riuscire a svelare agli stessi Fratelli aspetti inesplorati della fisionomia del loro Padre e Fondatore. •••

Per informazioni e ordinazioni: Viale del Vignola, 56 - 00196 Roma tel. 06.322.94.503 - E-mail: gabriele.pomatto@gmail.com tel. 06.322.94.235 - E-mail: fedoardo@pcn.net


Rivista Lasalliana 80 (2013) 2, 233-239

RICERCHE

COPIA MANOSCRITTA DELLE “MEDITAZIONI” DI G. BATTISTA DE LA SALLE: INTERROGATIVI E SOLUZIONI1 DI GILLES BEAUDET F.E.C. Docteur en Lettres de l’Université de Paris

SOMMARIO: 1. La febbre del dubbio. - 2. Esistenza riconosciuta. - 3. Sorge una domanda. 4. L’identità di Suor Anne-Marie-du-Sacré Cœur. - 5. Una data rivelatrice. - 6. L’autore del manoscritto? La data di trascrizione? - 7. Conclusione.

T

1. La febbre del dubbio

rovarsi a manipolare un dossier d’archivio e, all’improvviso, imbattersi in un manoscritto che si presenta come le Meditazioni per le domeniche dell’anno e per le principali feste dell’anno di Giovanni Battista de La Salle ti dà un brivido, ma nel contempo suscita in te un dubbio misto ad apprensione: … e se il manoscritto fosse autentico?

2. Esistenza riconosciuta

Nell’inventario dei documenti relativi al santo Fondatore,2 Fratel Léon de Marie Aroz cita l’esistenza di un manoscritto dal titolo “Meditazioni per tutte le domeniche dell’anno” scritte da G.B. de La Salle, dottore in teologia e fondatore dei Fratelli delle Scuole Cristiane, Rouen, presso G. B. Machuel, seguito dalle Meditazioni per le principali feste dell’anno, ms, 212-306 pp., 204×125 mm. [Sul dorso:] “Manoscritto, 1731” [Proveniente da Fratel Apollinaire-Jean, Visitatore di Reims e da lui dato a Fratel Viventien-Aimé, Assistente, il 6 aprile 1923]. Inoltre, gli archivi della Casa Generalizia dei Fratelli delle Scuole Cristiane sono in possesso di due esemplari del libro delle Meditazioni, stampati a 1 2

Traduzione dalla lingua francese di Italo Carugno. Cahiers lasalliens, Roma 1976, vol. 40, n° 2, p. 140 (sottoserie BR 851,5).


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Rouen presso J.B. Machuel. Queste due stampe hanno la stessa presentazione tipografica e la stessa impaginazione. Il Cahier Lasallien n° 12 corrisponde allo studio fotostatico di una di queste due stampe. La loro impaginazione è questa: prima parte, 236 pagine; seconda parte, 274 pagine; per un totale di 510 pagine; con incisione di Crespy, presso DuPhly. Uno degli esemplari,3 si legge nella pagina di intestazione, è destinato “Ai Fratelli delle Scuole cristiane di Nogent-le-Rotrou, 1731”. Sul dorso del manoscritto vi è stata scritta la stessa data:4 1731. Ma vi sono importanti differenze tra il contenuto del manoscritto e quello delle stampe.

3. Sorge una domanda

Se si mettono a confronto tra loro una delle edizioni stampate e il manoscritto, si constata che quest’ultimo non totalizza che 306 pagine. Dunque, è chiaro che è stato decurtato di 204 pagine rispetto all’edizione stampata, che ne conta 510. Da una parte questo è dovuto al fatto che il testo dei Vangeli delle domeniche non viene riportato nel manoscritto; una seconda ragione è data dal fatto che certe meditazioni, soprattutto alcune delle feste e altre ancora, sono ignorate. Infine si potrebbe pensare che la grafia più compatta abbia occupato nel manoscritto meno spazio. Insomma, il manoscritto è certamente un lavoro adattato rispetto ad un testo-base per servire solo ai Fratelli delle Scuole Cristiane. Inoltre l’amanuense non si preoccupa di tradurre al femminile il testo; al contrario, si accontenta di accorciare l’opera di La Salle, lasciando alle educatrici la cura di tradurre al femminile quando lo credono necessario e di sostituire “fratelli” con “suore”. Nonostante tutto, l’interesse generale del manoscritto continua ad intrigarci. E lo siamo per qualche particolare informazione che si riscontra in esso. Innanzitutto per alcune notizie esterne,5 come quelle che dicono che il manoscritto consegnato a Fratel Viventien-Aimé, Assistente, è entrato negli archivi di Lembecq il 6 aprile 1923 e che il documento gli era stato dato da Fratel Apollinaire-Jean, Visitatore del Distretto di Reims. Però, pare che nessuno dei due Fratelli abbia lasciato scritto in che maniera o circostanza tale manoscritto sia giunto nelle loro mani. Inoltre, secondo Fratel Léon de Marie Non è quello che è servito per l’edizione del Cahier lasallien n° 12. Poiché il manoscritto è datato 1731, se ne può dedurre che esso sia stato redatto dopo la copia inviata “ai Fratelli… di Nogent-le-Rotrou”, che è del 1731. Non può essere il contrario, perché il manoscritto è entrato nei nostri Archivi nel 1923. Non bisogna credere, tuttavia, che il manoscritto porti la data del 1731; la sua trascrizione è posteriore almeno di 30/40 anni. 5 Queste informazioni stanno sul dorso della copertina, con la scritta: “Opera archiviata il 6 aprile 1923 dall’Assistente Fratel Viventien, che l’aveva ricevuta da Fratel Apollinaire-Jean, Visitatore di Reims”; e sotto: Copia della 1ª edizione, 1731”; e più in basso: Cfr. Circ. n° 234, 25 luglio 1922. 3 4


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Aroz, fu la comunità di Barc-le-Duc ad essere in possesso del manoscritto fino al 1923; ma da quando?6 Un’altra informazione ci viene dalla Circolare 234. L’autore7 di quella circolare, datata 1922, tratta effettivamente delle opere del Fondatore, ma non dice niente sul nostro manoscritto, di cui ignorava l’esistenza. La circolare, tuttavia, fa menzione di quella stampata, inviata ai Fratelli di Nogent-le-Rotrou.8 Può darsi che le informazioni più pertinenti per svelare il segreto di questo manoscritto possano dedursi dalle annotazioni che si trovano sulla copertina della rilegatura. C’è scritto: “Libro ad uso di Suor Anne-Marie du Sacré Cœur, Destry 13 marzo 1826”. Ne sappiamo tre cose: chi ne fu la detentrice, il suo luogo di residenza, la data. Resta da sapere chi fu il copista del manoscritto e la sua storia personale. Bisogna anche conoscere chi ne fu il destinatario, il motivo che aveva spinto il copista e in che data fu realizzato il lavoro. Insomma, conoscere le risposte a questi interrogativi dovrebbe aiutarci a valutare quali legami esistessero tra il manoscritto e l’originale delle meditazioni. Di conseguenza si eviterà di attribuire a questo manoscritto più importanza di quanta ne ha, sarà fissato un limite alla sua pertinenza, pur apprezzando il fatto che un’opera di La Salle abbia potuto esercitare fin dal 18° secolo un tal potere di attrazione e offrire un servizio che supera la sua sola influenza all’interno dell’Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane.

4. L’identità di Suor Anne-Marie-du-Sacré Cœur

Per chiarire questi aspetti del mistero, ho preferito esplorare innanzitutto la pista sulla detentrice [del manoscritto] nel 1826: Suor Anne-Marie-duSacré-Cœur. Non era in mio possesso se non questo nome e l’indizio di Destry per tentar di aprire una breccia e arrivare all’agognata conoscenza. Senza volerlo, tentai una prima esplorazione sfogliando un volume intito-

Sappiamo che Suor Anne-Marie, detentrice del manoscritto, morì nel gennaio 1844. D’altronde bisogna considerare che i Fratelli giunsero a Bar-le-Duc nel 1845. Si leggerà nella nota 7 che il libro delle Meditazioni appartenne a Nogent-le-Rotrou fino al 1838 circa. Non è chiaro, pertanto, chi avrebbe potuto dare il manoscritto alla comunità di Bar-le-Duc. 7 Il Superior Generale Fr. Imier di Gesù affidò la compilazione della circolare a Fratel Panfilo (Circolare 234, p. 4). 8 La comunità di Nogent-le-Rotrou fu istituita nel 1725. Abbandonata nel 1792, la casa fu rioccupata, dopo qualche mese, da alcuni Fratelli anziani. Dal 1804 la vita di comunità ricominciò a funzionare. Lo stesso esemplare che porta due volte l’iscrizione contiene ancora un’etichetta stampata dove si leggono queste parole: Ai Fratelli delle Scuole Cristiane di Nogent-leRotrou, 1838. Ecco un volume che sarebbe rimasto per più di un secolo ad uso della stessa comunità. Circolari istruttive, 25 luglio 1922, “Gli scritti del santo Fondatore, sue meditazioni”, Casa San Giuseppe, Lembecq-lez-Hal, p.30. 6


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lato Il cattolicesimo al femminile9 e trovai a pag. 482 la nota 101 che segnalava alcune suore che avevano portato il nome di Marie-du-Sacré-Cœur. Una di esse mi orientò verso le Suore della Provvidenza di Metz. Pensavo all’inizio che potevo cercare accanto a Meurte e Moselle, perché non ero sicuro di quel nome. La nostra biblioteca era in possesso anche di un’opera intitolata Grandi ordini e congregazioni femminili,10 che consultai senza rendermi conto, ad un sommario colpo d’occhio, della ricchezza di informazioni che mi offriva: infatti soltanto dopo una seconda lettura ne potei apprezzare il contenuto. Le mie prime e sporadiche ricerche erano iniziate a Roma verso il 1987 e si erano prolungate fino al 1991; ma lì, a Roma, incontrai nel 1990 un confratello di Guénage11 che era di passaggio alla Casa Generalizia: gli sottoposi i miei interrogativi su Destry che non conoscevo affatto. Passarono sei anni prima che potessi informare quel confratello sul progresso delle mie ricerche. Ecco qui di seguito un estratto della mia lettera:12 “Sono lieto annunciarti che ora ne so qualcosa di più sulla religiosa Anne-Marie-duSacré-Cœur. Era una suora della Provvidenza (delle Figlie della Provvidenza, istituite dal sacerdote Jean-Martin Moyë della diocesi di Metz, vicario nella parrocchia di Sainte-Croix verso il 1762). [...] Dopo La Rivoluzione, quelle suore avevano aperto un noviziato a Partieux nel Vosges. La terza superiora di quel noviziato fu suor Anne-Marie-du-Sacré-Cœur di cui non conosco il nome di famiglia […]. Non so se, con queste poche informazioni, tu puoi metterti sulla traccia della Congregazione delle Figlie della Provvidenza, che si sono stabilite in Lorena e dintorni. Se io potessi contattare una suora addetta all’archivio di quella comunità, allora le mie ricerche sarebbero facilitate.” Fratel Jean fece allora quel che poteva: gliene sono riconoscente. Nel 1991 trovandomi ancora a Roma, feci delle incursioni negli archivi della Casa Generalizia e mi soffermai su alcune varianti tra il testo originale riportato nel Cahier Lasallien n°12 e il manoscritto in questione del 1731. Ne individuai una quindicina nelle prime 35 pagine. Trovai anche, uscite dalla penna del copista, alcune distrazioni; così [ad es.] il copista trascrisse senza esitazione al 2° punto della 16a domenica dopo la Pentecoste un errore già presente nel volume stampato: “Pensate spesso che dovete essere un modello di innocenza e di terrore13 per i vostri confratelli…” Siccome dovetti 9 CLAUDE LANGLOIS, Cattolicesimo al femminile: le congregazioni francesi fino al XIX secolo. Le Cerf, Parigi, 1984. 10 F. HERVÉ-BAZIN, Grandi ordini e congregazioni femminili, Parigi, Victor Lecoffre, 1889. 11 Fratel Jean. 12 Lettera di Fr. Gilles Beaudet a Fr. Jean, a Guènange, 6, via Giov. Batt. de La Salle, 4 febbr. 1996. 13 Era la parola “ferveur” (fervore) quella che doveva essere messa. Ma la stampa del 1731 porta proprio “terreur” (terrore), che è un evidente controsenso nel contesto in cui è inserito.


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rientrare nel mio Paese per occuparmi di altre cose, la mia ricerca è rimasta interrotta per ben otto anni. Un giorno (giugno 1999) volli andare a curiosare nel “web” sul tema dei Vosges e in particolare sul nome di Portieux. Il gestore del sito di Portieux, sig. Gérard Triboulot, mi dette un’informazione abbondante sulle Suore della Provvidenza. Dal 1° luglio 1999 gli indirizzai una lettera per metterlo al corrente della mia ricerca e per chiedergli il suo illuminato aiuto. Grazie a lui14 potei rivolgermi ad un’archivista15 delle Suore della Provvidenza a Portieux. Questa mi inviò una prima informazione tramite il sito del sig. Gérard Triboulot. Ottenni così riferimenti biografici dettagliati su Suor Anne-Mariedu-Sacré Cœur, di cui faccio qui di seguito un breve riassunto. Anne-Marie François nacque nel 1762 a Destry (Mosella). A 24 anni si presentò al Noviziato di Cutting per mettersi al sevizio di Dio. All’inizio rimase sotto la guida di Jean-Martin Moyë rientrato dalla Cina nel 1783 e tornata a prendere la direzione della comunità nel 1784. Prima, la giovane religiosa era stata incaricata di “assistere” le Suore che passavano qualche mese dell’anno a Saint-Dié nel Noviziato aperto nel 1772 dal sacerdote AntoineFrançois Raulin,16 nella sua personale abitazione. Fu anche il braccio destro di Madre Rose Méthains nella formazione delle Novizie a Cutting fino alla Rivoluzione Francese (1791). In seguito la troviamo a Trèves con il fondatore Moyë e qualche consorella. Fu anche nel 1793 al capezzale di M.Moyë morente, vittima del suo apostolato presso i malati di tifo. Incarico dopo incarico, la troviamo a Postdam: da qui nel 1797 fu richiamata in Lorena; ma non riuscì a rientrare in Francia. La ritroviamo piuttosto a Vienne tra le religiose trappiste, con Marie-Rose Méthains che aveva abbracciato, con i dovuti permessi, la vita austera della Trappa. Dopo la morte di Jean-Martin Moyë, come capo della comunità fu nominato Antoine-Francois Raulin, il quale affidò ad Anne-Marie François la carica di Superiora precedentemente esercitata da Marie-Rose Méthains. Soltanto nel 1802, dopo nove anni di “esilio”, Anne-Marie-du-Sacré-Cœur poté rientrare in Francia assieme a quattro sue consorelle. Si fermò qualche giorno a Many nelle vicinanze di Metz. Da lì Suor Anne-Marie si portò a Rechicourt, dove aprì un noviziato che, poi, trasferì a Vic. Nel 1812 il sacerdote Antoine-François Raulin tornò alla casa del Padre. Il suo successore, il sacerdote Feÿs, nominò Suor Cécile Collard come SupeGerard Triboulot è morto il 20 marzo 2012 a Chu de Brabois all’età di 66 anni, dopo una lunga malattia. (Giornale Vosges-Mattino, 22 marzo 2012). 15 Suor Irmine Devieux alla quale scrivevo il 24 agosto 1999. 16 (1738-1812) A. LIÉBAUT, Antonio-Francesco RAULIN, canonico in Saint-Dié, Nancy, CrépinLeblond, 1912, pp. 22. 14


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riora Generale e Suor Anne-Marie-du-Sacré-Cœur si ritirò a Destry. Vi esercitò la sua missione di Suora della Provvidenza. Per la sua devozione al Sacro Cuore al suo nome di Suor Anna-Maria fu aggiunta la specificazione “del Sacro Cuore”: ella, infatti, ornava alcune immaginette con iscrizioni in onore del Divin Cuore di Gesù. Dopo 17 anni di apostolato a Destry, si ritirò a Bréhain dove compì i sui 79 anni nel 1841. Fu pregata di trasferirsi al convento di Portieux, dove si spense nella pace del Signore il 3 gennaio 1844. Questa è stata la religiosa fedele che ha scritto sulla copertina del nostro manoscritto: “Questo libro è ad uso di Suor Anne-Marie-du-Sacré-Cœur”.

5. Una data rivelatrice

Una data e un luogo completavano la suddetta iscrizione: “Destry, 13 marzo 1826”. Tre anni dopo Suor Anna-Maria lascerà Destry per andare a vivere a Bréhain. Suor Anna-Maria aveva iniziato la sua vita di educatrice nel 1786. Ma in che maniera era venuta in possesso di quel manoscritto sul quale di suo pugno si era autografata come l’unica utilizzatrice? Il libro le era stato dato a St-Dié quando lavorava come “sorvegliante” delle giovani Suore? L’ha portato con sé nelle sue tante peregrinazioni? Oppure sarà alla morte del sacerdote Antoine-François (1812) che ne venne in possesso? Oppure è un “souvenir” che le fu dato a Destry, soltanto nel 1826?17 L’unica cosa chiara che sappiamo è che essa ne fu l’unica utilizzatrice e che vi appose di suo pugno una data quando viveva a Destry. Da chi e in che occasione suor Anne-Marie-du-Sacré Cœur abbia ricevuto quel manoscritto: tutto ciò non è ancora possibile precisare.

6. L’autore del manoscritto? La data di trascrizione?

Si sa che l’opera originale data alle stampe è del Fondatore dei Fratelli delle Scuole Cristiane. Sappiamo che alcuni esemplari di questo libro stampato erano stati inviati alle case dei Fratelli. Sappiamo che una scuola dei Fratelli a Saint-Dié18 esisteva fin dal 1672. Sappiamo anche che Jean-Martin Moyë è stato parroco a Saint-Dié, proprio come il suo amico Antoine-François Raulin. Sappiamo che Raulin aveva aperto un noviziato per insegnanti nella sua casa a Saint-Dié nel 1784 o nel 1785. Sappiamo che aveva l’abitudine di trascriversi alcune opere a suo uso e consumo o per altre persone. Ora, Sappiamo che nel 1826 il sacerdote Feÿs, che sostituì Raulin nel 1813, ha scritto una lunga lettera alle Suore della Provvidenza. C’è un legame tra questa lettera di Feÿs e la data del 1826 indicata da Suor Anne-Marie nel manoscritto di cui essa è detentrice? 18 Come le altre case, quella di Saint-Dié avrebbe dovuto ricevere un esemplare del libro stampato nel 1731. 17


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io avevo scritto a Suor Irmina Devieux19 domandandole se poteva riconoscere di chi fosse la grafia del manoscritto delle Meditazioni. Mi rispose in modo inequivocabile: “Cercando di venir incontro alla sua richiesta, ho trovato un piccolo manoscritto intitolato “Regolamento delle Suore della Provvidenza per le scuole di campagna” del nostro Padre Raulin. Ve ne mando una fotocopia.”20 Questa risposta inviatami dalla archivista delle Suore della Provvidenza veniva a completare le informazioni in mio possesso sulla provenienza e sul copista del manoscritto al quale abbiamo consacrato le nostre assidue ricerche. Quanto alla data della trascrizione, essa non dovrebbe essere posteriore al 1812, anno della morte di Antoine-François Raulin. Certo, rimane ancora qualche zona d’ombra sulla storia di questo manoscritto legato al patrimonio lasalliano; ma sull’essenziale ormai c’è piena luce. Non ci potranno essere divergenze tra questo manoscritto e l’edizione stampata delle Meditazioni di San Giovanni Battista de La Salle. Si avrà più rispetto per questa opera che attesta l’importante influenza che il nostro santo Fondatore ha potuto esercitare, oltre che con la Conduite des écoles, i Devoirs d’un chrétien envers Dieu e le Règles de la bienséance, sulle comunità religiose femminili e maschili che si sono ispirate al suo pensiero: e questo, fin dal diciottesimo secolo, cioè sessanta anni dopo la sua morte.

7. Conclusione

Durante le mie ricerche, non avevo avuto nessun contatto con Fratel Joseph LeBars che conduceva, a mia insaputa, una ricerca minuziosa sulle Meditazioni e sul Manoscritto 1731, come lui lo chiama. Siccome avevo scritto un opuscolo nel febbraio 2001 intitolato “Chiarimenti su un intrigante manoscritto di San Giovanni Battista de La Salle” ne avevo inviato una copia a Fratel Jean Pungier, noto studioso lasalliano. Costui ne mise al corrente Fratel LeBars, che nel 1995 aveva sospeso le sue ricerche sul manoscritto lasciando quattro interrogativi. 1. Chi ne è il copista? 2. Quando ha copiato il testo? 3. Partendo da quale testo, cioè da quale edizione? 4. Per chi l’ha copiato? Fratel Joseph LeBars accolse con soddisfazione i risultati della mia ricerca.21 Ormai per buona parte si poteva concludere e archiviare il problema. Lettera di Gilles Beaudet: 18 dicembre 2000 (archivio personale dell’autore). La grafia del “Regolamento” corrisponde a quella del “manoscritto 1731”, di cui posseggo anche una fotocopia. La lettera di Suor Irmine Devieux è datata 20 gennaio 2001 (archivi personali dell’autore). 21 Ho anche depositato negli archivi della Casa Generalizia un esemplare dell’opuscolo di 29 pagine, redatto nel febbraio 2001 e che porta il n°10 della mia “Piccola biblioteca lasalliana”. Al più presto invierò agli Archivi della Casa Generalizia gli originali dei documenti complementari che mi son serviti nella ricerca e che potrebbero essere aggiunti al dossier per servire da riferimento. 19 20


LA SALLE BIOGRAFIE DI GIOVANNI BATTISTA DE LA SALLE CHARLES LAPIERRE, FSC Giovanni Battista de La Salle - cammina alla mia presenza Città Nuova, Roma 2006, pp. 234 L’autore ricostruisce l’itinerario del La Salle nel realizzare la vita che Dio gli ha chiesto “camminando alla sua presenza” e risponde a quanti desiderano conoscerlo come pedagogista e istitutore di grande attualità, ma anche a genitori ed educatori, che vedono in lui un modello da incarnare e un ideale da trasmettere ai giovani.

TERESIO BOSCO, SDB Giovanni Battista de La Salle – la forza di donare la vita Elledici, Leumann (To) 2004, pp. 44 Tratteggia la figura e l’opera del La Salle, pioniere dell’educazione in un tempo decisamente diverso dalla nostra epoca, specie in ambito scolastico ed educativo. La lettura del breve ritratto rende attuale la passione che il santo ebbe per la gioventù dell’epoca. E che i Fratelli delle scuole cristiane continuano a vivere oggi.

MANUEL OLIVÉ, FSC Giovanni Battista de La Salle – una vita per i giovani Istituto Gonzaga, Milano s.d., pp. 96 Biografia agile, incisiva, essenziale. Ricca di illustrazioni, è quanto mai adatta anche ai preadolescenti per iniziare un percorso di conoscenza di un santo educatore che per dedicarsi alla promozione dei ragazzi più poveri ha lasciato il ceto dei benestanti coinvolgendo nell’avventura altri giovani generosi per istituire le scuole gratuite.

LEO C. BURKHARD, FSC Un birichino di Parigi trad. it. di Camillo Coffano, Editrice A.&C., Milano 1961, pp. 160 Una storia romanzata alla gloria del pioniere e santo protettore delle scuole popolari. Tutte le vicende richiamano dei fatti storici. Al fine di garantire l’unità del racconto, l’autore ha ideato il personaggio del narratore attribuendogli dei fatti accaduti a molti. È lui – questo birichino di Parigi trascinato nella scia dell’eroe – che vi parla.

Giovanni Battista de La Salle Fondatore dei FSC e Patrono degli educatori fumetto di G. Signori e F. Pescador – Prov. Italia FSC, Roma 2008, pp. 207 I disegni, il testo e la sceneggiatura del fumetto, mentre non impediscono l’accostamento degli adulti alla vicenda storica e all’opera del La Salle, favoriscono invece un interessante e attento approccio all’opera del santo anche ai più piccini. ••• Per informazioni e ordinazioni: Viale del Vignola, 56 - 00196 Roma tel. 06.322.94.503 - E-mail: gabriele.pomatto@gmail.com tel. 06.322.94.235 - E-mail: fedoardo@pcn.net


Rivista Lasalliana 80 (2013) 2, 241-251

LASALLIANI AUTORI DI LIBRI DI PREGHIERA - III CESARE TRESPIDI1 Cultore di studi lasalliani DI

SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Fr. Leone, Napione Carlo (1831-1900). - 3. L’opera. - 4. Fr. Basileo di Gesù, Cordara Giacomo Luigi (1858-1922). - 5. L’opera. - 6. Fr. Candido, Chiorra Gerolamo (1831-1900). - 7. L’opera.

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1. Premessa

roseguendo nell’illustrazione dei Fratelli che, ad imitazione del santo Fondatore, hanno curato la compilazione di testi di pietà a servizio delle loro scuole e dell’intera comunità cristiana, presentiamo altre opere meritevoli di menzione. Riteniamo davvero utile richiamare alla memoria i frutti di uno zelo fervente, di cui hanno beneficiato diverse generazioni, prodotti da educatori che, a complemento della loro attività di insegnanti e di catechisti, hanno messo a disposizione preziosi sussidi. Essi vi si sono dedicati con autentico spirito apostolico, applicandovisi nei pochi tempi liberi fra le occupazioni pertinenti il loro ministero. Non è arduo ritenere che, con la loro testimonianza ed il loro dono, hanno contribuito ad incrementare il prezioso deposito che costituisce la Comunità dei Santi, imprimendovi anche il sigillo della Congregazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane. Il loro esempio ed il loro insegnamento possono e debbono costituire un riferimento importante anche per i nostri tempi, forse meno sensibili, in genere, ai dettati delle pratiche di pietà: «Quando non sai dove andare, guardati indietro da dove vieni» recita il Talmud.

2. Fr. Leone, Napione Carlo (Torino, 16-5-1831 – Albano Laziale, 17-11-1900)2 La Notice Nécrologique (n° 492, edita a Parigi dalla Casa Madre nel 1901, pp. 268-272) esordisce sottolineando che la particolare devozione alla SS.

1 La prima parte di “Lasalliani autori di libri di preghiera” è stata pubblicata su Rivista Lasalliana (n. 2, 2012, pp. 251-266), la seconda sul n. 1, 2013, pp. 83-93. 2 Purtroppo non è verificabile se il ceppo della famiglia – tanto del nostro quanto del nipote Fr. Leone di Maria, che è stato Assistente Generale e Procuratore per le cause di beatificazio-


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Cesare Trespidi

Vergine è stata da lui attinta dalle frequenti visite al Santuario della Consolata, dove si faceva condurre da bambino, ed accresciuta nelle classi dei Fratelli frequentate dall’età di sei anni. La vocazione, ben presto avvertita, lo portò all’ingresso nel noviziato di Torino all’età di quattordici anni. Sull’inappuntabile fedeltà alle pratiche religiose si innestò un rapido ed intenso perfezionamento nell’insegnamento: gli furono affidate le classi superiori nelle case di Acqui, Vigevano, Torino (due volte), La Motte (Savoia), dopo Piacenza, quindi rivestì la carica di Direttore a Genova, di Procuratore a Castel Gandolfo, di Vicedirettore a Benevento, di Direttore a Roma e a Castel Gandolfo. Il culto per l’Eucarestia, la devozione alla SS. Vergine ed ai santi protettori, l’affetto per la Congregazione, la dedizione agli allievi e, nel 1891, agli scolastici di Albano Laziale, gli ispirarono anche la pubblicazione di cui si dirà: essa gli fu di consolazione quando, dal novembre 1900, costretto a letto da una paralisi, dopo lunghi mesi di sofferenza, poté pensare che «pendant bien des années, toutes les heures libres que lui avaient laissées les occupations du professorat, il les avait consacrées à composer des livres de piété» (p. 272).3

3. L’opera

LA SETTIMANA SANTIFICATA, ossia Nuovo Manuale di Pietà per le Famiglie e le Scuole, contenente la Giornata del Cristiano, dieci Metodi di Messa e Comunione, Istruzioni e Pratiche per le speciali Divozioni dei Mesi dell’anno, il Vespro e il Vangelo delle Domeniche e delle principali Feste, ecc., pubblicata da A. e C., presso Giacomo Arneudo Editore-Libraio, Torino, 1887, 2° edizione, pp. 782, cm. 15,30 x 9. (Approvata e raccomandata dagli Arcivescovi di Torino, di Genova e di Benevento).4 L’ampiezza della titolazione non induce, comunque, a prescindere dalla esplicitazione di qualche ulteriore rilievo: tra le quattro «ragioni» della pub-

ne nella seconda metà del novecento – sia discendente dall’insigne filologo Giovanni Francesco Napione (1745-1830), a cui la città di Torino ha dedicato una via tra i Corsi S. Maurizio e Regina Margherita. 3 È probabile che da lui siano state realizzate altre opere, come si desume dal plurale applicato nella citazione. 4 Una precedente edizione, del 1870, edita nella tipografia Roux e Favale, Torino, pp. VIII-759, è disponibile presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Presso l’archivio del Centro La Salle di Torino si trovano due copie uguali (quelle esaminate), una in cartonato con copertina lavorata che, al centro delle due facciate, riporta in tondo in rilievo la figura di S. Giuseppe che regge Gesù Bambino, l’altra in cartonato granata lucido con linee decorative in oro ed i bordi dorati. Quest’ultima presenta, nella quarta pagina dell’interno, l’illustrazione della flagellazione con, in calce, la citazione di Isaia in francese, e nella pagina precedente una anticipazione della scena, a mo’ di stazione della Via Crucis, in elegante tedesco gotico.


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blicazione, la seconda ci pare assai specifica: «Molte buone famiglie e tanti educatorii e convitti hanno il santo uso della quotidiana assistenza al divin Sacrificio della Messa. Orbene è provato dall’esperienza che il Metodo d’ascoltar la Messa per fanciulli ed adolescenti che l’adoperano ogni giorno, se spesso non si cambia, è presto saputo a mente, e allora le formole di preghiere facilmente si ripetono dalla memoria soltanto senza molta o niuna partecipazione delle altre facoltà. Perciò abbiamo nel nostro Manuale voluto inserirci dieci Metodi diversi di Messa e Comunione, affinché si potesse cambiare ogni giorno della settimana e così diminuire almeno, se non evitare del tutto, le gravi conseguenze dell’inconveniente testé segnalato» (p. 7). Questa è psicologia pura dedotta dall’esperienza! • La giornata del cristiano in una settimana santificata include (pp. 9-159): – un regolamento di vita cristiana per ogni giorno, ogni settimana, ogni mese ed ogni anno; – le preghiere del mattino, della sera, per i pasti, con testi in latino ed italiano; – l’ordinario della Messa con testi in italiano e latino e l’inserimento e l’aggiunta di preghiere; – una Lezione sulla preghiera tramite un’allocuzione di Gesù all’anima cristiana; – meditazioni, precedute da un’istruzione circa la necessità e il metodo, per ogni giorno di un mese. I 31 argomenti sono suddivisi nei tre punti di riflessione, seguiti da uno o due esempi e dal suggerimento di una pratica; – il ritiro spirituale d’un giorno ogni mese, con invito e suggerimento di una «maniera di farlo»; – una meditazione sulla morte seguita da orazioni per la buona morte;5 – ricordi di S. Filippo Neri alla gioventù; – istruzioni e guida sul sacramento della Confessione, con preghiere sia in preparazione sia in ringraziamento; – i sette salmi penitenziali (in latino) e le litanie dei Santi (idem); – preghiere per la S. Comunione seguite da un tesoretto di indulgenze e da un «affettuoso patto con Dio da farsi ogni domenica dopo la Comunione»; – preghiere varie (ogni volta, come in tutta l’opera, vengono specificate le indulgenze applicate). • I «mesi santificati, ossia pensieri e pratiche quotidiane per ogni mese» (pp. In nota (p. 110) viene specificato che tali orazioni sono state composte da una fanciulla protestante fattasi cattolica a quindici anni, e morta a diciott’anni in odore di santità.

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161-212): dopo un’avvertenza, specificando la dedica ad ogni mese, si articolano con la successione di giaculatorie, pensieri e pratiche per ogni giorno. • La novena del S. Natale (in latino). • I dieci metodi di Messa e Comunione sono distribuiti per ogni giorno della settimana, ciascuno con una propria dedica (pp. 217-530).6 Il nucleo è costituito dalla celebrazione eucaristica, ma il “contorno” è ogni volta ricco: istruzione, preghiere pertinenti l’oggetto della dedica, pratiche private e, a complemento, ampio spazio dedicato a preghiere in preparazione e di ringraziamento della Santa Comunione. • L’Appendice per la gioventù studiosa (pp. 531-566) è riservata «ad onore di S. Luigi Gonzaga»: vi si offrono brevi cenni biografici del santo, le pratiche in suo onore, le preghiere per tridui e novene (cinque esercizi), gli inni, le preghiere per la S. Messa con, a conclusione, il ricco complemento per la Comunione di cui si è detto sopra. • I Vangeli per le domeniche e le feste dell’anno, dalla prima domenica di Avvento alla festa di Tutti i Santi, occupano le pagine 567-626. • L’Uffizio della B. Vergine, in latino come quello dei morti che lo segue ed i vespri delle domeniche e dei giorni festivi, occupano le pagine 627-770. • Concludono il testo tre laudi sacre, in italiano: Sopra la passione di G. C., Alla bellezza di Maria, A Maria SS. nostra madre. • L’indice rinvia anche a 65 salmi, 7 cantici e 21 inni, tutti in latino. Esaminato nel dettaglio il contenuto di quest’opera, constatiamo che vi è pienamente realizzato quanto auspicato dall’autore: egli infatti, come si arguisce dal primo dei quattro punti della prefazione, non solo ha saputo «convincere le menti dell’importanza della devozione» ed «attirare i cuori alle pratiche di devozione», ma anche dare vita e sostanza ad un culto interiormente vivo e profondo che si traduca nella pratica della virtù, che produca il frutto della salvezza dell’anima, o, ancor più, sfruttando il titolo, di una vita santificata. Solo un autore così spiritualmente ricco poteva fornire un tale alimento di fervente preghiera con il quale ha infuso calore nei riti liturgici inclusi.

4. Fr. Basileo di Gesù, Cordara Giacomo Luigi (Morano Po - Alessandria, 17-1-1858 – Torino, 8-1-1922)

Seguendo l’esempio del fratello, ancora molto giovane entrò nel noviziato di Chambéry; concluso lo scolasticato a Grugliasco, iniziò la sua attività di maestro elementare alla scuola S. Felice di Torino. Altre comunità che

Il numero dieci si spiega col fatto che al giovedì ci sono due messe, una è nella parte iniziale ed un’altra è aggiunta nell’appendice in onore di S. Luigi Gonzaga.

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usufruirono del suo servizio furono quelle di Parma, di Piacenza, di Biella e di Roma, per la somma complessiva di tredici anni. L’impronta più significativa della sua zelante dedizione, poi, è stata impressa a Grugliasco, dove, testimonia la Notice Nécrologique,7 «plusieurs vocations au sacerdoce et à notre Institut manifestèrent l’esprit surnaturel qu’il savait inculquer à ses élèves». Le ultime obbedienze lo destinarono al Collegio S. Giuseppe di Torino (per sei anni) ed infine a S. Pelagia, della stessa città, finché, colpito da tifo, malattia che sopportò con straordinaria pazienza e fra un’incessante preghiera, nell’imminenza della morte offrì la sua vita a Dio per la prosperità dell’Istituto.8 Le numerose lettere di condoglianze e la notevole affluenza ai funerali testimoniarono, oltre al dolore condiviso, l’impronta significativa che egli aveva lasciato in chi l’aveva conosciuto ammirandone le virtù. Dalla fonte d’informazione citata ricaviamo ancora che Fr. Basileo, fra l’intensa attività del suo impegno di maestro, ha occupato i residui del tempo libero allo studio della liturgia e degli uffizi divini: «compétent en ces matières, il rédigea, à l’usage des élèves, un Manuel de piété qui reçut l’approbation élogieuse de Mgr l’Archevêque de Turin» (p. 13).

5. L’opera

NUOVISSIMO PARROCCHIANO CATTOLICO, compilato da un Fratello delle Scuole Cristiane,9 Tipografia San Giuseppe degli Artigianelli, Torino, 1904, pp. 442, cm 14,50 x 8,50.

Il testo, dalla copertina cartonata in verde scuro con fregi di croci incluse in cerchi entro due linee parallele in alto ed in basso, richiama, dal titolo stesso, opere precedenti, analoghe a quelle di Fr. Renato Audeny illustrate nell’articolo precedente. Nella pagina introduttiva, motivando “Il perché di questo libro”, ed indicandone «non solo l’opportunità, ma fors’anco la necessità», si legge: «Il numero delle Scuole Cristiane, dei Ricreatori cattolici, delle Opere di perseveranza di ogni genere è grande; i giovanetti e le fanciulle frequentano numerosi la chiesa, specie nei giorni festivi. Un libro che porgesse loro il mezzo di seguire le funzioni del pomeriggio in modo fruttuoso e dilettevole, e che per altra parte desse ai Parroci e Rettori di chiese la gioia di vedere Notices Nécrologiques, N° 92, 1922, Paris, Rue de Sèvres, pp. 12-14. Il suo amore per il Fondatore e per l’Istituto è testimoniato anche da un suo impegno assolto, dopo averne chiesto l’autorizzazione ai Superiori: si adoperò, recandovisi di persona, presso le tipografie e gli editori perché il nome del de La Salle fosse scritto sui calendari. 9 Nella copia presente in Archivio sotto la scritta del titolo – mancante del nome dell’autore – è posta l’aggiunta, a penna e tra parentesi, «Fr. Basileo Cordara». 7 8


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i loro giovani parrocchiani pigliar parte attiva ai canti vespertini, non parve affatto inutile al compilatore del presente». Quindi ne sottolinea la «nota di attualità», in quanto esso «risponde al desiderio del S. Padre, il quale nel suo Motu proprio sulla musica sacra, manifestò vivissima la brama che vengano eseguiti convenientemente gli inni liturgici ed i canti ecclesiastici delle funzioni vespertine». E ne trova conferma nel Regolamento della Commissione per la musica sacra nell’Archidiocesi di Torino (§ V, n. 43). Dalla citazione si coglie l’intento-fulcro del libro: un sussidio per le funzioni del pomeriggio; ma, a renderlo più completo, vi sono aggiunti apporti: a) nella parte iniziale: Preghiere del mattino e della sera – Modo di recitare il Rosario – Litanie della SS. Vergine – Modo d’udir la Messa – Preghiere per la Confessione e la Comunione – 25 orazioni diverse – Messa ed esequie per i morti – Litanie dei Santi – Uffizio della Beata Vergine (pp. 7-116); b) nella parte conclusiva: Le sequenze di Pasqua, Pentecoste, Corpus Domini, Venerdì santo – L’Uffizio dei morti – Coroncina ad onore del S. Cuore e Litanie del S. Cuore – La Via Crucis – Modo di servire la Santa Messa – Vangeli per tutte le domeniche e le feste dell’anno (pp. 325-413) – I testi in italiano di 35 Laudi sacre.10

Il corpus dell’opera (pp. 117-320) è costituito dai Vespri (tutti in latino) ed è così suddiviso: • Vespro delle domeniche e dei giorni festivi fra l’anno (pp. 117-162); • Vespri del Comune di Apostoli ed Evangelisti, di uno o più martiri, di un Confessore Pontefice e non Pontefice, delle Vergini, di una martire e di una santa né vergine né martire, della dedicazione della Chiesa (pp. 162-178); • Vespri delle feste proprie dei Santi dal 30 novembre al 28 novembre, suddivise per mesi, per un totale di 412 citazioni (pp. 178-320).

L’indice dei salmi e cantici (64), degli Inni e Sequenze (79) e delle Laudi (35) conclude il testo, che, in calce, porta un’illustrazione in nero del simbolo eucaristico circondato da una corona di spine e sorretto da due gigli. Da un dattiloscritto che riporta la Convenzione privata fra l’editore Giacomo Arneodo e Fr. Basileo Cordara (firmato, per la Procura, anche da Fr. Roberto), datata 15 gennaio 1911,11 si ricava l’informazione di una seconda edizione, accresciuta e migliorata, di pp. 544, in 24°, edita proprio da Giacomo Arneodo a Torino nel 1911. Essa riproduce nell’antiporta l’illustrazione

10 Per queste Laudi, che si concludono con quella dedicata a S. Giovanni Battista de La Salle (e gioverebbe rileggerla), si rinvia in nota, per la musica, a Laudi Sacre pubblicate da A. e C. presso G. B. Paravia, Torino. 11 E dal catalogo on line (anno 2011) della Libreria Antiquaria “Scripta Manent” di Albenga.


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della Sacra Famiglia, ed ha il titolo leggermente variato: IL PARROCCHIANO CATTOLICO guidato nelle funzioni parrocchiali.12

6. Fr. Candido, Chiorra Gerolamo (Vinchio d’Asti, 26-X-1860 – Roma, 11-XI-1941)

Provvidenzialmente sono fornite ricche informazioni sulla vita, sull’attività e sulla spiritualità di questo Fratello specificamente da tre fonti: a) La Notice Nécrologique (n° 206, Parigi) purtroppo anonima, di 80 pp.; b) il volumetto: Un catechista: Fr. Candido Chiorra, di Fr. Leone di Maria (edito dalla Commissione Catechistica dei Fratelli; tip. Poliglotta «Cuor di Maria», Roma, 1942, pp. 32); c) il profilo dedicatogli sull’Enciclopedia biografica e bibliografica italiana, vol. «Pedagogisti ed educatori», Istituto Editoriale Italiano, Bernardo Tosi, Milano, 1939, pp. 135-136. Le pertinenze del presente articolo non permettono di illustrare la sua figura quanto meriterebbe, anche perché la maggior parte dei suoi scritti13 vertono sull’attività catechistica, ma ci si permetta un suggerimento: si torni a leggere quelle testimonianze che, si assicura, sono fonte di esempio e di suggerimento tali da costituire un autentico nutrimento spirituale e, forse, absit iniuria verbis, suggeriscono una riflessione che vale più di molti discorsi sulla crisi di vocazioni dei nostri tempi. Nato in una terra feconda di vocazioni,14 figlio di un padre viticultore laborioso e cristiano fedele, e di una madre considerata una santa, si può dire che gli anni dell’infanzia e della adolescenza furono già una significativa propedeutica al suo ingresso, all’età di 17 anni,15 prima al noviziato di Chambéry come postulante, poi ad Annecy come novizio (poiché a Torino non c’era il noviziato); l’anno successivo sarà a Grugliasco per lo “scolasticato”. Infatti fino a quell’età era stato il miglior aiutante del parroco don Fi12 Un’altra convenzione, del 16 gennaio1921, stilata in bella grafia, stipulata fra Fr. Basileo Cordara, quale socio della ditta editrice A. e C. e l’editore Mario Edoardo Marietti, è conservata nell’Archivio del Centro La Salle. In essa Fr. Basileo si impegna a «rinunciare a continuare a preparare e rivedere secondo il Nuovo Messale il manoscritto suo, che sarebbe stato edito per conto della Ditta A. e C. col titolo “Parrocchiano cattolico guidato nelle funzioni parrocchiali per mezzo del Messalino e Vesperalino”… senza il consenso del Sig. Marietti». Comunque aggiunge: «restando però libero di poter pubblicare manuali di pietà ad uso scuole ed oratori, escludendo l’opera in concorrenza con le edizioni già in corso di stampa e annunciate sui cataloghi della Ditta Marietti». 13 Nella terza pagina di copertina del volumetto di Fr. Leone di Maria è riportato l’elenco di 31 opere di catechetica, fra cui i 72 Avvisi ai Catechisti che tornerebbero utilissimi tuttora. 14 Pochi anni dopo di lui indosserà l’abito dei Fratelli anche il suo fratello minore Gaspare col nome di Fr. Augusto. 15 Frequentate le scuole a Vinchio ed a Mombercelli, alternava la cura dello studio con l’aiuto al padre nell’attività agricola. Nella sua opera L’Educazione in famiglia, di pp. 48, ci sono gli echi di quanto vissuto nella casa natale.


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lippo Aimery e ad 11 anni era stato scelto come ripetitore di catechismo per i suoi compagni: per la sua abilità comunicativa lo chiamavano l’avvocato.16 Fr. Candido si affermerà proprio come uno dei più fervorosi e zelanti fra gli Apostoli del Catechismo, come definì i Fratelli il santo Papa Pio X in un Breve storico. Conseguiti i due diplomi – inferiore e superiore, come si richiedeva allora – per l’insegnamento primario, iniziò la sua carriera di educatore a S. Pelagia (Torino), nelle scuole elementari della Regia Opera di Mendicità Istruita: gli fu affidata una classe di 72 (!) allievi che mantenne per tutto il corso elementare, finché, nel 1890 fu nominato ispettore di quartiere. Per approfondire la propria cultura pedagogica frequentò l’Università di Torino, ove ebbe come maestri Arturo Graf, Pasquale d’Ercole e, soprattutto, l’insigne pedagogista cattolico Giuseppe Allievo. Laureatosi, trasmise il suo sapere ai suoi giovani confratelli.17 Dopo 17 anni fu trasferito, con rammarico (soprattutto per la sua predilezione per i più poveri), al Collegio S. Giuseppe, dove rimarrà per altri 17 anni prima come Vice-direttore ed Ispettore poi come Direttore. L’albero, efficacemente nutrito dalla linfa di una profonda spiritualità, produsse copiosi frutti. Nel 1913 fu eletto alla carica di Assistente per i distretti di Roma, Torino e Marsiglia, oltre che delle colonie.18 Nuova residenza nella Casa Generalizia a Lembecq-lez-Hal (Belgio). Le sue circolari, nonché le sue visite, mettono in evidenza l’amministrazione abile e solerte: vi si constatano, tra l’altro, la sollecitazione e l’interesse per gli studi dei giovani Fratelli. Notevole il sostegno alla Pia Unione dei Catechisti di Gesù Crocifisso e di Maria SS. Immacolata, sorta a S. Pelagia nel 1914. Dimissionario, in ragione dell’età, nel 1934, scelse di dimorare presso l’Ospizio Bartolo Longo per i figli dei carcerati a Pompei: qui svolse carità attiva per tre anni,19 e si dedicò ancora a compilazioni di opuscoli e di articoli. Ritiratosi infine nella Casa Generalizia di Roma, ma sempre zelante a dispetto dei malanni, vi morì nel novembre 1941, suscitando largo rimpianto non solo tra i Fratelli, ma suscitando echi nel mondo ecclesiastico e cristiano. Tale è rimasta la sua perspicua nota distintiva: basti pensare che una settimana prima di morire tenne una conferenza ai giovani catechisti volontari. 17 Come insegnante inaugurò anche la prima cattedra di Catechetica in Italia nel Seminario di Torino, su pressante invito del cardinale Richelmy, nell’ottobre 1907. 18 In questo tempo si aprirono istituti e scuole a Tripoli, Bengasi, Corfù, Patrasso, Atene, Coo, Rodi. 19 Ma compì anche diversi viaggi per presiedere ritiri, per corsi di metodologia catechistica (a Torino e a Castelgandolfo), per interventi e convegni. 16


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Anche la stampa tributò elogi alla sua genialità personale, all’amore profuso nella sua missione (soprattutto verso i più poveri), alla sua competenza acquisita tramite lo studio delle scienze religiose e delle forme metodiche, sempre surrogato da una preparazione accurata di ogni lezione (testimoniata dal gran numero di quaderni e taccuini).

7. L’opera

LA DIVOZIONE A MARIA SS., mezzo sicuro, indispensabile per salvarci: pratiche e preghiere, A. e C., Torino, Scuola Tip. Ospizio di Carità, Biella, 1917, pp. 48.20

Nell’introduzione all’opuscoletto giustifica l’espressione appositiva del titolo con le citazioni di S. Alfonso de’ Liguori, di S. Bernardo, di S. Antonino, di S. Bonaventura, di S. Bernardino da Siena, di S. Cassiano. Fino a p. 26 si espongono considerazioni sulla necessità ed efficacia della divozione a Maria SS., su Maria che distrugge l’azione del demonio, che ci ottiene la Divina Misericordia, che ottiene ai suoi divoti la perseveranza finale. Le Pratiche e divozioni ad onore di Maria Santissima occupano le restanti pagine e comprendono: la Settimana del divoto di Maria SS.; le Preghiere: per ottenere il perdono dei peccati (lunedì); per ottenere la perseveranza (martedì); per ottenere la buona morte (mercoledì); per ottenere la liberazione dall’Inferno (giovedì); per ottenere il Paradiso (venerdì); per ottenere l’amore verso Maria e Gesù (sabato); per ottenere il patrocinio di Maria SS. La Consacrazione di se stesso a Maria SS., le Virtù care in modo particolare a Maria SS., le Divozioni e preghiere, e 23 Giaculatorie indulgenziate concludono l’opuscoletto. PREGHIERE E PREGHIERA. Educhiamo il bimbo a non dire preghiere soltanto ma a pregare, L.I.C.E.T., Berruti, Sismondi & C., Torino, 1924, pp. 46.

Introdotto, a p. 2, da un augurio benedicente del cardinale Richelmy, l’opuscolo si apre con la constatazione preoccupante che i bimbi, «divenuti poi giovanotti, sono indifferenti alle pratiche di religione, non pregano più, non credono più!». Eppure, anche se «ci sentiamo talvolta sfiduciati nel constatare i deboli risultati in fatto di educazione», dobbiamo credere che «Dio vuol essere, deve essere l’amico intimo dell’uomo». Segue un’accorata allocuzione ai genitori ed agli educatori per l’assolvimento al compito di «orientare, incamminare, indirizzare il bimbo a Dio»: invita a «Dare Dio al bimbo… Dare il bimbo a Dio», coltivandolo al sopranUna seconda edizione, con l’illustrazione di Maria col Bambino in copertina, è del 1926, edita da Valle di Pompei, Scuola Tip. Pont. per i figli dei carcerati. 20


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naturale, avvicinandolo al tabernacolo, fino a procurare che «Dio sia il Compagno indivisibile del bimbo, l’Oggetto indispensabile del suo spirito, del suo cuore» (p. 5). Il testo pare riprodurre una lezione di catechismo in un discorso vivace: è nutrito di considerazioni, di interrogativi, di suggerimenti, di esempi, di citazioni di esperienze personali, ed è suddiviso in vari punti: Come ottenere lo scopo – Ragioniamo un poco – Dire preghiere e pregare – Linguaggio proprio e linguaggio di imprestito – È capace il bimbo di conversare con Dio – Dal vero – Dio esaudisce i bimbi – Il bimbo con Dio e con noi – Insegniamo le preghiere, insegniamo a pregare – Sensibilità dei bimbi – Dio alla mente e al cuore del bimbo – Lavoro = preghiera – Formazione morale – Formazione o Educazione eucaristica. Sette brevi esempi anticipano il fervido appello della conclusione. Il maestro, l’apostolo, il catechista, lo psicologo, insomma tutto il complesso della personalità di Fr. Candido si riversa in questo appassionato discorso.21 PREGHIERE tratte letteralmente dal III e IV libro dell’Imitazione di Gesù Cristo (Traduzione del Bartoccini), Pompei, Scuola Tipografica Pontificia per i figli dei carcerati, 1930, pp. 111.

L’autore constata che «un lato inesplorato dell’aureo libro sono le sublimi preghiere contenute nei due libri»; quindi le riunisce per ordine di libro e di capitolo, augurandosi che giovino ad apprezzare sempre più l’intero testo. Ad ogni preghiera attribuisce un titolo appropriato.

MODO DI CONVERSARE FAMIGLIARMENTE CON DIO. Dalle opere spirituali di Sant’Alfonso de’ Liguori.22 Come si legge nel sottotitolo, gli argomenti sono tratti dalle opere spirituali di Sant’Alfonso de’ Liguori. Nella presentazione si avverte che quelle poche pagine, che definisce sublimi, «non sono da leggersi una volta», ma sono da «rileggere di tanto in tanto», perché «in certi momenti della vita possono riuscire di conforto, di lume, di guida». I “titoletti” sono: Quanto Dio ami l’uomo – Cura che Dio ha di noi – A tu per tu con Gesù – Intimità affettuosa – Nelle afflizioni – Nella prosperità – Nei falli.

21 Nella quarta pagina di copertina, sia di questo opuscolo sia dell’opera precedente, si segnalano i titoli di altri testi di Fr. Candido, con qualche variante. Nel complesso si indicano ben 14 titoli. 22 Una prima edizione, del 1936, della Scuola Tipografica Pontificia e per cura di A. & C., di pp. 33, non riporta sul titolo il nome dell’autore, a differenza della seconda, del 1943, della Casa Editrice A. & C., di pp. 30 per il formato lievemente diverso, ma identica alla prima quanto al contenuto, a parte qualche irrilevante variazione nei “titoletti”.


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Nei dubbi – Intercessione per il prossimo – Desiderio del Cielo – La giornata per Gesù – Vita di fede – La natura e Dio – Ricorso a Gesù. Le quattro pagine conclusive suggeriscono Sospiri d’amore per Iddio, a mo’ di giaculatorie: 87 nella prima edizione, 51 nella seconda.



rivista lasalliana 80 (2013) 2, 253-266

FRERE EXUPERIEN: L’EDUCATION OUVRE UN AVENIR di

Gérard Cholvy Storico

SoMMario: 1. Un itinéraire singulier. - 2. les oeuvres de jeunesse. la société Saint-labre. 3. l’association Saint-labre. - 4. À l’origine du syndicalisne chrétien. - 5. l’entreprise maitresse: l’œuvre des retraites spirituelles.

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1. Un itinéraire singulier

drien Mas naît le 7 juin 1829 au Poujol-sur-orb dans le département français de l’hérault. le garçon est imaginatif, sensible, il a le goût de l’étude. Ses parents recherchent pour lui un établissement de bonne tenue: en octobre 1839, adrien fait son entrée au pensionnat des Frères de Béziers. Cela le marquera durablement: il y développera ses aptitudes intellectuelles, y trouvera un terrain propice à sa vie spirituelle naissante, y fera l’expérience des responsabilités. Peu à peu il désirera rejoindre les éducateurs qu’il côtoie et dont il admire et l’engagement religieux et le service éducatif des jeunes. aussi le 14 septembre 1847 est-il admis au Noviciat des Frères de Toulouse qu’il quittera sept mois plus tard pour retourner enseigner au pensionnat de Béziers qu’il connaît si bien. il y reste dix ans. En 1860, à 31 ans, Frère Exupérien est nommé directeur du Noviciat de Paris. le voilà chargé de la formation de plus de 120 novices et postulants. rapidement, il sait s’adapter à un auditoire d’une extrême jeunesse (de 16 à 20 ans), aux tempéraments très variés. Conscient de sa responsabilité, il sait allier fermeté, douceur et discrétion. En 1873, il est élu assistant du Frère Supérieur Général. il reçoit la charge de deux provinces lasalliennes très différentes, celle de Paris et celle du Puy. la province de Paris compte alors 117 communautés et 251 écoles; celle du Puy, 25 communautés et 32 écoles. au total, près de 1 500 religieux et plus de 40 000 élèves et jeunes gens. En haute-loire et en lozère, où les grandes familles rurales catholiques sont nombreuses, il fait construire des petits noviciats; en 1904, cette province compte 48 maisons et autant d’écoles. Peu enclin aux questions matérielles, son administration est surtout une direction d’âmes. Toutefois, il a le don de trouver de généreux bienfaiteurs pour la vitalité de ses œuvres.


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ESPEriENzE E TESTiMoNi

Gérard Cholvy

À partir de 1880, après l’expulsion des Frères des écoles Municipales, il ouvre de nombreuses écoles libres. Pour lui, en effet, l’école chrétienne est irremplaçable pour une véritable éducation religieuse des enfants et des jeunes. il met toute son énergie à la mise en place de ce nouveau réseau, sollicitant et obtenant des appuis efficaces tant publics que privés. Par ailleurs, afin de prolonger plus longtemps la formation donnée par les Frères et pour répondre aux besoins nouveaux des jeunes à la recherche d’un emploi, il fonde 4 écoles Supérieures de Commerce libres. Soucieux du devenir spirituel des anciens élèves, il crée et développe de nombreux patronages, encourage les cours du soir pour jeunes ouvriers, favorise les Conférences de Saint vincent de Paul. il vise ainsi à réaliser un vrai projet d’éducation humaine et spirituelle des jeunes et spécialement pour ceux du milieu populaire. En 1882, alors que la laïcisation de l’école publique entre en vigueur, expulsant le catéchisme de la classe, il porte le souci de la formation d’une élite apte à relever les défis du moment. ainsi il fonde l’association Saintlabre à l’origine du premier syndicat chrétien, le SECi «Syndicat des Employés du Commerce et de l’industrie». C’est de ce syndicat que naît par la suite la CFTC (Confédération Française des Travailleurs Chrétiens). on lui doit aussi l’émergence de la JoC (Jeunesse ouvrière Catholique). la fécondité spirituelle et sociale de l’association repose sur la solidité de la formation spirituelle et apostolique des Saint-labre pour lesquels Frère Exupérien organise régulièrement des retraites et récollections à athis, en région parisienne. de nombreux prêtres, religieux et laïcs chrétiens en sont issus. attentif au surmenage des Frères-instituteurs, de leurs directeurs occupés toute la semaine (école et patronage), Frère Exupérien se soucie de la qualité de la vie intérieure des Frères. Sur le modèle jésuite, il conçoit l’œuvre des Retraites, véritable entreprise de formation et de rénovation spirituelle pour les Frères et la jeunesse engagée. il va se donner à fond dans cette entreprise de rénovation et de soutien spirituels qu’il juge nécessaire, au vu du nombre élevé de jeunes Frères qui sont envoyés assez rapidement à l’action, en ce temps de grande extension; mais aussi au vu des grands changements de mentalité qui travaillent le pays, et ouvrent la voie à une laïcisation en marche. Frère Exupérien consacre aussi du temps à la correspondance avec les Frères. il pratique ainsi un véritable «apostolat par la plume» et sa cellule, rue oudinot, est une officine de tracts, de brochures et d’ouvrages. au lendemain de la Commune, il porte ainsi le souci de faire connaître les faits survenus dans les communautés de Frères et celui aussi d’amener à sa production une nouvelle biographie de Jean-Baptiste de la Salle, confiée à armand ravelet, pour faire avancer la cause de béatification du Fondateur.


Frère Exuperien: ˙ l’éducation ouvre un avenir

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Sa fin de vie est assombrie par les combats laïques qui vont interdire l’enseignement aux congrégations qui y sont vouées et contraindre à la fermeture de nombreuses écoles pour lesquelles Sœurs et Frères auront tant travaillé tout au long du XiXè siècle et dont tous pouvaient constater les fruits. Jusqu’au bout le Frère Exupérien, membre respecté du Conseil supérieur de l’instruction publique, pensera que l’institut échapperait à cette tempête. il se trompa. Mais il ne se résigna pas. En effet, convaincu de l’importance des écoles chrétiennes, il estimait que les Frères ne pouvaient déserter cet apostolat, et qu’ils devaient s’y maintenir même au prix d’une sécularisation qu’il croyait possible d’endiguer par un surcroît de vie spirituelle et par un accompagnement discret mais régulier des Supérieurs. il meurt le 31 janvier 1905. de cet itinéraire de vie, nous retiendrons ici trois particularités de l’action du Frère Exupérien.

2. Les oeuvres de jeunesse. La société Saint-Labre

les œuvres de jeunesse, les Persévérances, les patronages sont nés au 19 siècle au confluent de deux inquiétudes. la première est liée au détachement religieux des élites voltairiennes; la seconde est liée .aux débuts du machinisme et à la crise de l’apprentissage qui en résulte, le paupérisme industriel. les frères des écoles chrétiennes ne sont pas directement concernés par la première, sinon tardivement avec la réouverture de leurs pensionnats. ils le sont davantage par la seconde, à Paris en particulier, non pas que la grande industrie s’y développe, mais en raison de la fréquentation de leurs écoles communales par le peuple des ouvriers-artisans, des employés de commerce et des petits commerçants de la capitale. Un peuple dont nous savons qu’il borne le plus souvent sa demande religieuse à la première communion de ses enfants. Une première communion qui est la dernière, ou presque. En 1864, dans Secret du peuple de Paris, Charles anthime Corbon parvient à la conclusion que «l’ouvrier de Paris est un apprenti libre-penseur». Cette situation inquiète le F.Exupérien et va le rendre attentif aux œuvres post-scolaires dont quelques membres de l’institut s’étaient souciés avant lui, comme à Montpellier le Frère Tempier qu’il connaît bien. a Paris, Jean-léon le Prévost, principal fondateur des Frères de Saintvincent-de-Paul, avait fondé, en 1835, l’Œuvre des apprentis orphelins. Quelques années après, devant les difficultés rencontrées, le président de cette Œuvre, le vicomte armand de Melun était venu trouver le Frère Philippe, Supérieur général, qu’il persuada de convoquer, à la Maison-mère les Frères directeurs des écoles de Paris. devant eux, l’éloquent laïc fit le rappel des «dangers de toutes sortes qui assaillaient l’enfant après sa première communion. Et de préconiser de commencer une oeuvre qui «par le choix ème


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des patrons, les conditions de l’apprentissage, la surveillance dans les ateliers, et surtout par de bonnes réunions le dimanche, devienne un soutien puissant pour le jeune homme, et le garde contre les influences corruptrices qui ébranlent sa foi et sa vertu». «l’Œuvre est excellente répondit le Supérieur général [...] elle est nécessaire, elle doit être faite. Travaillez tous à sa fondation, et, dans trois mois, vous viendrez me dire ce que vous aurez fait». les Frères directeurs écrivirent à quelques-uns de leurs anciens élèves et l’œuvre fut fondée dans trois arrondissements de la capitale. les jeunes gens étaient réunis, le dimanche, dans les locaux des écoles. Mais ce premier démarrage fut assez lent. Pour deux raisons sans doute: d’abord les Frères sont des enseignants spontanément méfiants vis-à-vis de tout ce qui les détournerait de leur vocation principale; ensuite il faut savoir qu’un courant favorable aux œuvres de jeunesse pointait un peu partout comme on le voit notamment à angers, à Paris avec la récente fondation des Frères de Saint vincent de Paul (1845), à Marseille avec l’œuvre allemand et le P.Timondavid, et don Bosco en italie. or, une fois encore, en 1854, le vicomte de Melun fléchit la détermination du Supérieur général des Frères qui décida le frère Joseph Josserand à reprendre le Cercle des Francs-Bourgeois. il lui assurait la collaboration d’un ancien commerçant marseillais, M. agniel. Celui-ci apporta la méthode allemand. l’Œuvre de la Jeunesse fut fondée dans le local du demi-pensionnat des Frères (par la suite école commerciale Saint-Paul). Comme à Marseille, le recrutement est ici composé de jeunes gens se destinant au commerce, à l’industrie, aux bureaux, voire d’étudiants des grandes écoles. dès le Chapitre de 1858, il est fait mention des «heureux résultats des réunions dominicales» pour les anciens élèves réunis dans les maisons de l’institut. Un dernier élément est à retenir avant que Frère éxupérien n’imprime sa marque personnelle à ces œuvres de persévérance: la publication, en 1859, de la Méthode de direction des œuvres de jeunesse, de Timon-david, le fondateur, en 1847, à Marseille, de l’Œuvre de la jeunesse ouvrière. aux jésuites, le chanoine a emprunté l’importance attachée à la fréquentation des sacrements, le rôle dévolu aux noyaux fervents (les «congrégations»), le sens des responsabilités à développer, le mélange des générations, l’apostolat de camaraderie fraternelle faisant appel aux aînés à l’égard des plus jeunes. Une pédagogie du spirituel qui place haut la barre, incite à la fréquente confession, la piété extérieure devant conduire à la vie intérieure. Simple énumération qui montre combien la convergence de pensée entre le prêtre de Marseille et le Frère assistant était réelle. le Chapitre général de l’institut des FEC, en 1873, insiste donc sur la nécessité des «Œuvres de jeunesse». les Frères de Paris entrent plus nombreux dans le mouvement: ils dirigent 17 patronages en 1875, 21 en 1877, 23


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en 1879, avec plus de 3 400 garçons de 13-14 ans et plus. la quasi-totalité d’entre eux viennent de leurs écoles. le Frère assistant, qui a pris ses nouvelles fonctions avec ce nouveau Chapitre général, sait fort bien qu’une œuvre vaut moins par le nombre des inscrits que par l’esprit qui les anime. dès 1877, il considérait que «Nos patronages se bornent trop à retenir des jeunes gens, pour les préserver des fréquentations malsaines; il leur faudrait une vie chrétienne plus intense et, par ce moyen plus apostolique [...]. le but à atteindre est non seulement l’accomplissement des pratiques obligatoires du christianisme, mais le règne de l’esprit du christianisme. Sans l’esprit chrétien, les œuvres sont un corps sans âme [...]. il faudrait former une congrégation avec l’élite». Sans s’opposer aux séances récréatives, mais en en limitant le nombre et en luttant contre la trivialité, le Frère assistant préconisa la création de petites Conférences de Saint-vincent de-Paul. il visita lui-même les patronages et s’y engagea quelque peu par quelques conférences spirituelles qu’il y donnait à l’occasion. Par ailleurs il est assidu aux rencontres du Conseil général des Patronages, où il côtoie des laïcs soucieux de la jeunesse chrétienne. En 1877, Frère Exupérien fit paraître un Bulletin des Œuvres de la Jeunesse: organe mensuel, au succès durable, assuré qu’il fut de précieux concours. on trouvait dans le bulletin une rubrique «direction religieuse»; d’autres intitulées «controverse», «correspondance», «variétés». l’histoire, la littérature, les sciences y ont leur place. le rédacteur en chef, abel raimbeaux, était du Conseil général de l’Œuvre des Patronages. Pour le seconder, le Frère assistant lui envoya un jeune secrétaire, l’un des animateurs des Francs-Bourgeois, Paul lapérouze. Ce dernier se rendait, chaque semaine, rue oudinot pour soumettre au Frère la composition du Bulletin et recueillir des informations. Ce Bulletin connut un tirage supérieur à 6 000 exemplaires. le frère idelphus, un Nantais, musicien, dramaturge, journaliste et «par-dessus tout homme de prière» y apportait sa touche, avec de nombreux articles pleins de verve. l’un des outils pour former une élite existait donc préparant l’étape suivante.

3. L’association Saint-Labre

alors que la laïcisation de l’école publique allait entrer en vigueur par la loi d’octobre 1882, le frère éxupérien ne cessait de penser à la formation d’une élite apte à relever les défis du moment. le 21 mai, lors de l’assemblée générale des associations de jeunes gens, tenue rue raynouard, au Pensionnat de Passy, il interpella l’abbé Chaumont, le premier aumônier des Frères: «Certainement, des jeunes gens se trouvent ici que transformerait en apôtres une éducation plus forte que celle des patronages. il s’agit de les découvrir, de les grouper, de les exercer, et d’obtenir par eux l’amélioration de nos


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œuvres». le soir du 13 juin suivant, le Frère et l’aumônier réunirent dans un parloir de la rue oudinot neuf jeunes gens proposés par les Frères directeurs des associations. l’abbé Chaumont s’était fait accompagner de l’abbé Charles Gabiller, un prêtre de moins de 30 ans et Parisien dès son enfance. il était initié à la direction spirituelle des adolescents. on y décide d’écrire un règlement; de trouver un directeur spirituel; de communier tous les huit jours; de choisir un patron. l’un des neuf membres fondateurs demande alors la parole. il s’agit d’henri Cuvillier, un Parisien de 26 ans qui raconta plus tard: «Je venais de lire la vie de saint BenoîtJoseph labre, à l’occasion de sa canonisation récente [1881]. J’avais remarqué que, jeune et Français comme nous, il ne se rattachait à aucune congrégation religieuse, mais poursuivait ses pèlerinages en demeurant laïc [...]. Je suggérai de le prendre pour patron». Benoît Joseph labre, cet errant, ce mendiant, ce pouilleux, le choix pouvait surprendre. Surprit-il tellement Frère éxupérien, lui qui, au mois de juillet 1870, avait fait sa retraite annuelle à amettes, ce bourg du Pas-de-Calais où était né ce Benoît-Joseph ? Quoi qu’il en soit, c’était un coup d’audace que de voir de jeunes Parisiens se réclamer d’un saint dont les voies particulières de sainteté étaient tournées en ridicule par les élites positivistes qui ne voyaient leur temps que placé sous le signe d’un Progrès linéaire. Ce défi jeté à l’esprit du siècle fut relevé et la proposition adoptée à l’unanimité. Peu après, le Frère éxupérien distribuait à tous la vie du saint Patron, en attendant que l’association reçoive une relique demandée à rome. l’élaboration d’un règlement prit quelque temps et se trouve résumée dans Les Résolutions de 1882 qui montrent l’exigence de la démarche. voici quelques-uns des seize points du règlement: lever et coucher à heures fixes, prière du matin et du soir à genoux toutes les fois que ce sera possible, et en allant au travail, quand elle n’aura pas pu être faite auparavant; petite lecture, quart d’heure de méditation, résolution pratique; dizaine de chapelet qui a été proposée par le F.Exupérien; adoration quelques minutes du SaintSacrement chaque fois que l’on passe près d’une église; confession au moins tous les quinze jours; communion fréquente; retraite de trois jours chaque année, récollection mensuelle. les réunions propres aux Saint-labre sont rares, une chaque mois de 20 h 30 à 21 h 45.vu le nombre grandissant de participants et, de ce fait les distances, plusieurs sections sont organisées. deux réunions plénières annuelles: l’une dans l’église Saint-roch, le 16 avril, fête de saint labre; l’autre pour le bilan de l’année, l’archevêque de Paris ou son délégué étant invités. Quant à la retraite annuelle, elle réunit en 1886, 377 retraitants dont 141 Saint-labre; en 1902, 966 dont 506 Saint-labre. Peu à peu elles ont lieu à la «maison des retraites» d’athis que les Frères ont acquise en 1884.


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Fin 1883, on comptait 56 Saint-labre; fin 1884, 81, l’année suivante, 400. on commence à poser la question des «mariés» qui veulent rester dans l’association. Cette rapide expansion s’accompagna de la fondation dans les patronages de Petites conférences de Saint-vincent-de-Paul: elles seront au nombre de 39, avec 590 confrères, en 1905. Mais la première oeuvre vers laquelle l’esprit d’initiative des sociétaires s’était porté fut l’adoration nocturne à la basilique du Sacré-Cœur de Montmartre récemment construite; bientôt le frère éxupérien encouragea chaque patronage à s’y faire attribuer une nuit fixe. Tout ceci produisit un fruit considérable: 801 membres en 1909, 1164 en 1914. de 1882 à 1936, sortiront plus de trois cents prêtres et religieux de la Société Saint-labre; et beaucoup travaillèrent dans les quartiers populaires, les œuvres de jeunesse, les mouvements sociaux, la jeunesse ouvrière chrétienne, l’action catholique ouvrière, les «curés des fortifs». Peut-on dire que le Frère fut le seul organisateur de la Société Saintlabre? édouard verdin, aux origines de Saint-labre, des Petites Conférences de Saint-vincent-de-Paul et du syndicalisme chrétien répond: «on ne peut pas dire que le Frère Exupérien fut le seul organisateur de l’Œuvre de Saintlabre, mais il était seul capable d’en assurer l’exécution». Ce qu’il fit avec toute sa foi lasallienne.

4. À l’origine du syndicalisne chrétien

En 1876, le F. hiéron est responsable à plein temps d’une maison de famille pour jeunes travailleurs et d’un bureau de placement. En 1883, ce même Frère est à l’école Notre-dame de Bonne Nouvelle pour y organiser un patronage, rue des Petits-Carreaux. il participe lui aussi à la naissance de l’Œuvre de Saint-labre. de son côté, le Frère Exupérien se préoccupait d’assurer aux jeunes sociétaires, et plus largement, aux jeunes des patronages, une situation honorable quand ils entraient au travail, pour la plupart comme employés, et particulièrement dans le commerce. il fallait leur permettre de remplir les devoirs du chrétien et de rester fidèles aux récollections et aux retraites. Sur son initiative, le Conseil des Œuvres de Paris, organisme central dont l’initiateur et le président était le vicomte de Melun, et dont le Frère était un membre assidu, avait créé un Comité de placement, présidé par le publiciste, proche du Frère, abel raimbeaux. des patrons du commerce et de l’industrie y participaient. Frère éxupérien chargea alors, en 1883, le Frère hiéron qui avait, outre du bon sens, une réelle expérience, de centraliser les demandes et les offres d’emploi. Un bureau fut ouvert, 14 rue des Petits-Carreaux: entre 1883 et 1886, le nombre des placements passa de 230 à 614. Sur ces entrefaites, deux événements d’inégal retentissement, mais d’importance pour faire avancer l’action et la réflexion, survinrent. le premier,


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fut la promulgation de la loi du 21 mars 1884 autorisant la formation des syndicats professionnels; le second, l’intervention, en 1885, du pape léon Xiii. Pragmatique, le Pape qui a succédé à Pie iX en 1878, souhaite saisir l’occasion offerte par la nouvelle législation française. il redoute la formation de syndicats hostiles à l’église et susceptibles d’accroître l’éloignement religieux de la classe ouvrière. Pallier ce danger, c’est chercher à fonder des syndicats d’inspiration chrétienne. léon Xiii se décide à faire appel à l’institut des Frères dont le Chapitre général s’est tenu en 1884 pour donner un successeur au Frère irlide. C’est le Frère Joseph Josserand, bien apprécié du F.Exupérien, qui y a été élu. les Frères n’ont-ils pas une bonne connaissance du monde populaire urbain ? En effet, naguère, à dunkerque, à la rochelle, dans l’ardèche, les Frères ont contribué au mouvement mutualiste. de plus, ils ne suscitent guère d’animosité dans le monde populaire en général. ainsi, trois Frères vont jouer un rôle déterminant dans le lancement du syndicalisme chrétien en France: le Frère Supérieur Joseph, le Frère éxupérien et le Frère hiéron. de plus, un vivier de dirigeants est en ordre de marche: la Société St-labre ! Et le F.Exupérien de conclure: «il faut marcher ! nous ferons comme nous le pourrons mais il faut marcher !» aussi, le 13 septembre 1887, dix-sept jeunes employés se réunissent 30 rue des Bourdonnais, dans les bureaux de l’Union patronale du commerce et de l’industrie pour constituer le «Syndicat des employés du Commerce et de l’industrie» (SECi). les statuts stipulent que les adhérents doivent être catholiques et de bonne réputation. Chaque candidat est parrainé par deux membres et agréé par le Conseil. dès 1888 fonctionne une mutuelle, la Fraternité commerciale destinée à donner des secours en cas de maladie. des magasins consentent un escompte sur les achats. Un restaurant coopératif tente de s’organiser. les débuts sont difficiles. En 1890,1e nombre des adhérents ne s’élève qu’à 253. les difficultés financières pèsent sur le rythme. les Frères seront là pour aider. de plus ils hébergent l’équipe dirigeante au 14 de la rue des Petits-Carreaux, d’où le nom familier donné ultérieurement au Syndicat: «syndicat des petits carreaux». Une quinzaine d’années après, le siège sera transféré 14bis boulevard Poissonnière. En 1891 est lancé le mensuel du syndicat, L’Employé. or 1891, est l’année de la publication de l’Encyclique Rerum novarum sur la condition des ouvriers. les Frères sont réceptifs et se félicitent de voir le jeune syndicat entrer dans les voies que le Pape leur a recommandées dès 1885. Quelle interprétation donnèrent le frère éxupérien et l’institut à l’encyclique ? le Pape avait laissé ouverte la question de l’association professionnelle: syndicat séparant patrons et ouvriers ou modèle corporatif. il est clair qu’en soutenant le SECi, les Frères optaient pour la première solution. En effet, comment, et à quelle condition, devient-on membre du


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syndicat ? Presque toujours le futur adhérent a reçu, dans un patronage, la visite d’un recruteur qui lui a présenté le SECi. S’il a 14 ans au moins et s’il est employé, il perçoit l’intérêt de prendre sa carte. Candidat, il va rester aspirant une bonne année. C’est la période de probation. l’article 2 des statuts exige 1) d’être employé, 2) d’être notoirement catholique et de bonne réputation. deux tuteurs en répondent. l’aspirant devenu syndiqué, la décision est rendue publique dans un numéro du journal L’Employé. S’il veut devenir responsable, il devient recruteur. il lui est confié alors un secteur dans un périmètre géographique qu’il connaît. là il cherche à réunir le plus souvent possible les jeunes employés, les invitant à rejoindre le syndicat. dans le même temps, il suit des cours de formation, il apprend la législation sociale. Futur responsable, il peut entrer dans une Commission. ajoutons encore qu’une grande occasion de recruter pour le syndicat est donnée par les récollections et, plus encore, lors des retraites d’athis que le F.Exupérien n’hésite pas à diriger. Mais pour mieux comprendre l’esprit qui préside à tout cela, regardons le profil des premiers dirigeants du SECi. il y a Jules zirnheld. il est né à Paris en 1876, d’une famille alsacienne très pauvre. élève des Frères, il est au travail à quinze ans comme employécomptable. En même temps, c’est un Saint-labre zélé qui participe avec ardeur aux nuits d’adoration du samedi au Sacré-Cœur de Montmartre. ayant lu l’encyclique Rerum novarum, il adhère au SECi en octobre 1892. En 1896, il est à la Commission d’études et il y parfait sa formation. C’est après la mort de Frère éxupérien qu’il deviendra, le 30 janvier 1907, le président du syndicat. Très éloquent, curieux de tout, il est doté d’une énergie à toute épreuve. Patron incontesté du SECi, il le sera de la Confédération française des travailleurs chrétiens (CFTC) après 1919. Charles viennet est, lui aussi, un Parisien, de deux ans plus jeune que zirnheld. élève des Frères, il devient employé aux écritures dans une maison de commerce. C’est au patronage Saint-dominique qu’il rencontre zirnheld. Pour viennet aussi, la lecture de Rerum novarum est un tournant. il devient un militant infatigable du SECi, puis son secrétaire général. on retiendra de lui, l’aide qu’il apporte aux premiers syndicats d’ouvriers chrétiens. il tombe au champ d’honneur en 1915. Quant à Gaston Teissier, né en 1887, il doit gagner sa vie au sortir de l’école des Frères. Saint-labre, comme tous les dirigeants du syndicat, il adhère à 18 ans, le ‘18 septembre 1905, quelques mois après le décès de Frère éxupérien. «l’avenir de l’employé», article qu’il publie dans L’Employé quelques années après, développe le thème de la progression du secteur «tertiaire». il en déduit l’élargissement du champ d’action du syndicalisme. Pour un zirnheld, la lutte des classes n’est pas le moteur de l’histoire, la négociation est de loin préférable. les dirigeants du syndicat seraient poli-


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tiquement plus «centristes» que la base des adhérents qui se situent plus à droite. Faut-il y voir là l’influence discrète exercée par les Frères soucieux d’éviter que la politique passe avant la religion ? C’est vraisemblable. Ceci n’empêche pas des sympathies pour la démocratie chrétienne et le Sillon de Marc Sangnier, auquel adhère un Gaston Tessier. En 1913, le SECi, qui a essaimé en province, compte plus de 13 000 adhérents. il constitue alors le premier ensemble syndical français d’employés, devant la Confédération Générale du Travail, d’obédience socialiste. il a donné son soutien aux syndicats féminins qui sont nés, dans la même mouvance catholique, à lyon, voiron et Paris, dès la fin du 19ème siècle: Syndicats en liaison, cette fois, avec des congrégations féminines, Filles de la Charité ou Sœurs du Cénacle, ces syndicats de «dames employées». Même si, on le sait, nombre des employés sont issus de milieux très modestes, à proprement parler, ce ne sont pas des ouvriers. En ce domaine, ce sont plutôt les Frères de Saint-vincent-de-Paul qui sont à l’origine du syndicalisme chrétien. le père Jean-émile anizan est, lui, à l’origine, en 1909, des premiers syndicats d’ouvriers chrétiens. il pense qu’il est possible de recruter les premiers dirigeants ouvriers parmi les anciens et les grands jeunes gens des Œuvres. il en réunit quelques-uns rue de lourmel et gagne à cette idée le Bureau central de l’Union des Œuvres. le SECi par l’entremise de Charles viennet lui apporte son aide. En quelques mois, sept syndicats voient le jour. En 1906, Georges Guérin, le fondateur de la JoC française, avait quinze ans lorsqu’il entra à l’amicale Saint-ambroise, l’une des œuvres de jeunesse des Frères à Paris. il fut du nombre des Saint-labre et en devint le conseiller en 1910. Soixante ans plus tard (1969), relisant son propre itinéraire, il soulignera la fécondité des Œuvres de jeunesse qui tenaient à la fois la préoccupation sociale et le souci chrétien; il observera combien maints dirigeants et militants syndicalistes y trouvèrent la force de leur engagement. Si le Frère éxupérien n’avait pas suscité une élite spirituelle au sein des patronages, il n’y aurait pas eu les Saint-labre. Et, si les Saint-labre n’avaient pas existé, qui sait quel temps eût été nécessaire encore pour faire naître en France le syndicalisme chrétien ?

5. L’entreprise maitresse: l’œuvre des retraites spirituelles

la spiritualité ignacienne qui invite le chrétien à être un «contemplatif dans l’action» se conjugue fort bien, aux yeux du Frère Exupérien, avec l’engagement de vie des lasalliens comme aussi, maintenant, de cette élite de jeunes laïcs qu’il entend contribuer à former. Mais un problème sérieux se pose: comment la retraite peut-elle correspondre à des situations aussi variées, au sein de l’institut comme dans les œuvres de jeunesse, avec les différences de condition, d’état, d’âge aussi ?


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voilà pourquoi le Frère éxupérien facilite la spécialisation des retraites dans son institut par la création des retraites des Supérieurs et des visiteurs, des directeurs de maisons de formation et des directeurs de pensionnat, des Frères chargés des œuvres et des Frères employés au temporel; retraites des Frères soldats; retraite de vingt jours avant les premiers vœux, et Grands exercices préparatoires à la profession. il organisa aussi des retraites pour les maîtres laïcs et autres directeurs d’institutions libres. les premières de ces «retraites spécialisées» furent les récollections du jeudi pour les Frères du district de Paris alors que le Frère était Maître des novices. il avait vite perçu combien une année de noviciat ne suffisait pas à affermir une vocation. Mais il y eut des résistances: les Frères des établissements de Saint-Nicolas se raidirent d’abord, donnant pour motif «qu’ils n’avaient qu’un jeudi sur deux pour respirer»; et tous ne répondaient pas à l’appel, trouvant, au début, ces exercices trop multipliés et trop remplis de conférences. au mois de décembre 1874 eut lieu, sous la présidence du Supérieur général, le frère Jean-olympe, une retraite de «maîtres formateurs». le Frère éxupérien lui donna une extension très large. En 1880, ce sont les directeurs des noviciats français et belges qui sont convoqués à Clamart. il en est de même, en 1883, rue oudinot. Puis l’institution, consolidée, se poursuivit à Notre-dame des retraites d’athis qui «était un nouveau Cénacle pour les Frères, les adjoints de Frères et les jeunes gens». depuis 1879, ce sont les Frères visiteurs qui ont leur retraite particulière, à Passy d’abord, puis à athis. de même les Frères directeurs d’établissements scolaires qui, régulièrement, vont se retrouver, plus de cinquante, dans la même maison. les éducateurs chargés des patronages, des cercles ou autres œuvres sociales, sont conviés, eux aussi, pour des périodes plus ou moins longues. réunir les Frères de Paris n’est certes pas une mince affaire lorsqu’on réalise qu’ils étaient au nombre de six ou sept cents, venant de la région parisienne. la loi de 1889 généralisa le service militaire et les jeunes Frères furent enrôlés pour trois ans. aussi fallait-il venir en aide aux partants. Non content d’entretenir une correspondance avec plusieurs d’entre eux, le Frère Exupérien décida d’organiser à leur intention des retraites de départ à athis, puis des retraites pour les permissionnaires et pour les libérés. avec les recrutements massifs de l’institut, sous le généralat du Frère Philippe, resserrer les liens entre les Frères n’en devenait que plus opportun. d’autant plus que la laïcisation de l’école primaire publique en France avait érodé le nombre de recrues: en 1875, les 1 708 novices représentaient 15,5 % du total des Frères mais en 1882, ils n’étaient plus que 739, soit 6,5 % du total.le Frère assistant n’ignorait pas, par ailleurs, l’importance que revêtait


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le “Troisième an” chez les jésuites. Pour lui, le «Second noviciat» pouvait être conçu selon ce modèle. il le suggéra au Chapitre de 1875, celui d’une véritable “refondation” qui résultait de l’examen de conscience lié aux “événements” de 1870-1871. Un arrêté fut pris: «afin de se conformer davantage à l’esprit de nos règles [...] on fera en sorte d’avoir, le plus tôt possible, des locaux convenablement disposés, et distincts des noviciats ordinaires, pour les aspirants aux vœux perpétuels. Ceux-ci y recevront des soins spéciaux, pendant trois ou six mois, selon que les circonstances le permettront et que le Supérieur général l’ordonnera». C’est du 4 août au 15 novembre 1887 que furent inaugurés, à athis, les Exercices du Second noviciat... à la veille de la béatification du fondateur: «le Second noviciat, c’est ce que je souhaite avec le plus d’ardeur !» put dire le Frère éxupérien au pape léon Xiii qui lui accorda une audience à cette occasion. les «Cent-Jours», comme ils furent nommés dorénavant, furent suivis, en 1887, par quarante Frères français, deux belges, deux italiens, un autrichien, un irlandais, deux canadiens, trois américains. ainsi s’amorçait le caractère international, mais alors encore à écrasante prépondérance française, du Second noviciat. En fait, les aspirants aux vœux perpétuels suivirent les Grands exercices et les Seconds novices se recrutèrent, eux, parmi l’élite des lasalliens les plus dévoués et les plus aptes aux charges, ceci selon une «sélection très rigoureuse». la première promotion fut dirigée par le Frère alban-Joseph, le fidèle auxiliaire du Frère assistant. Mais, à partir de la seconde promotion, celle de décembre 1887, et durant de très nombreuses années, c’est le Frère réticius qui en eut la charge. «Ce que doit être le Second noviciat»: sous ce titre, un carnet de notes renseigne sur la conception que s’en faisait le Frère éxupérien. il s’agit d’un retour aux sources, l’objectif étant «Une étude plus complète de l’esprit du Fondateur». il faut «chercher à former le religieux et le maître tel que l’a conçu notre Père». Nouvelle initiation à la vie de Jean-Baptiste de la Salle, mise en pratique de ses enseignements «le salut, la force de l’institut est là; car dieu le bénira à proportion que ses membres vivront de la vie de leur Père».


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FRATEL EXUPERIEN: L’EDUCAZIONE CHE GUARDA AL FUTURO1 (Sintesi)

adriano Mas nacque il 7 giugno 1829 a Poujol-sur-orb nel dipartimento francese dell’hérault. Nell’ottobre 1839 entra nel pensionato dei Fratelli di Bézier. a poco a poco, egli cominciò a desiderare di essere come gli educatori che non perdeva mai di vista e dei quali ammirava sia l’impegno religioso che il servizio educativo per i giovani. il 14 settembre 1847 è ammesso al Noviziato dei Fratelli di Tolosa, che lascerà sette mesi più tardi per tornare nel pensionato di Bézier. vi resta ben dieci anni. Nel 1860, quando aveva 31 anni, Fratel Exupérien è nominato direttore del Noviziato di Parigi. Eccolo incaricato della formazione di oltre 120 tra novizi e postulanti. Cosciente della sua responsabilità, sa fondere fermezza, dolcezza e discrezione. Nel 1873 è eletto assistente del Superior Generale. riceve l’incarico di due Province lasalliane molto differenti tra loro: quella di Parigi e quella di Puy. la Provincia di Parigi contava allora 117 comunità con 251 scuole; quella di Puy 25 comunità con 32 scuole. in tutto, circa 1500 religiosi e più di 40.000 alunni e giovani. Poco incline ai problemi materiali, la sua amministrazione consisteva soprattutto nella direzione delle anime. Tuttavia, egli aveva il dono di trovare generosi benefattori che sostenevano la sopravvivenza delle sue opere. Nel 1880, dopo l’espulsione dei Fratelli dalle Scuole Municipali, egli apre numerose scuole, sollecitando e ottenendo appoggi efficaci sia pubblici che privati. Preoccupato del futuro spirituale degli ex-alunni, crea e sviluppa numerosi patronati, incoraggia i corsi serali per i giovani operai, favorisce le “Conferenze di San vincenzo dei Paoli”. Mira anche a realizzare un vero progetto educativo umano e spirituale per i giovani, specialmente per quelli del ceto popolare. Nel 1882, quando entra in vigore la laicizzazione delle scuole pubbliche, per cui era vietato lo studio del catechismo nelle scuole, offre il suo aiuto per la formazione di una élite capace di affrontare la sfida del momento. E così fonda l’Associazione San Benedetto-Giuseppe Labre, che dette il via al primo sindacato cristiano, il SECi (Sindacato dei lavoratori nel Commercio e nell’industria). Ed è proprio da questo sindacato che nascerà in seguito la CFTC (Confederazione Francese dei lavoratori Cattolici). la fecondità spirituale e sociale dell’Associazione San Benedetto-Giuseppe Labre si fondava sulla solidità della formazione spirituale e apostolica degli iscritti, per i quali Fratel Exupérien organizzava con regolarità ritiri e raduni ad athis nella regione parigina.


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ESPEriENzE E TESTiMoNi

Gérard Cholvy

Numerosi preti, religiosi e laici cristiani uscirono da quella organizzazione. Sensibile al superlavoro dei Fratelli-istitutori e dei loro direttori impegnati tutta la settimana nella scuola o nei patronati, Fratel Exupérien si prende cura della qualità della vita interiore dei Fratelli. Sul modello di quanto facevano i Gesuiti, egli crea l’opera dei ritiri, con la quale si accollò la formazione e il rinnovamento spirituale dei Fratelli e dei giovani associati. Pratica un vero “apostolato della penna” e la sua stanzetta, in via oudinot, è un’officina di opuscoli e operette. dopo la Comune, offre il suo aiuto mettendo al corrente le Comunità dei Fratelli dei fatti avvenuti e lavora per la pubblicazione di una nuova biografia di Giovanni Battista de la Salle, affidandola ad armando ravelet, e facendo avanzare il processo di beatificazione del Fondatore. Gli ultimi anni della sua vita sono assorbiti a combattere i laicisti che volevano proibire l’insegnamento alle Congregazioni che vi sono votate e a contrastare la chiusura di numerose scuole, per le quali Suore e Fratelli avevano tanto lavorato in tutto il XiX secolo e di cui tutti potevano constatare i frutti che in esse erano maturati. Sino alla fine Fratel Exupérien, rispettato membro del Consiglio Superiore della Pubblica istruzione, penserà che l’istituto sarebbe uscito indenne da quella bufera. Si sbagliava. Ma non si rassegnò. in effetti, convinto dell’importanza delle Scuole Cristiane, non pensava minimamente che i Fratelli potessero disertare il loro apostolato; pertanto che dovevano conservarlo anche a costo di una secolarizzazione che credeva possibile arginare con un sovrappiù di vita spirituale e con una vicinanza discreta ma regolare dei Superiori. Morirà il 31 gennaio 1905. Ci sono delle vite che hanno un valore simbolico, sia perché incarnano la loro epoca, sia perché annunciano e preparano il futuro. la vita di Fratel Exupérien (adriano Mas, 1829-1905) è una di queste. il ricordo di Fratel Exupérien è motivo di ispirazione anche per gli educatori di oggi. Tutta la vita di Fratel Exupérien fu segnata dagli insegnamenti di Giovanni Battista de la Salle, di cui sposò il carisma: guardare le cose con gli occhi della fede, rispondere alle sfide educative dei giovani, alla luce della persona di Cristo e del suo vangelo. l'azione educativa di Fr. Exupérien ha ispisrato l’impegno di generazioni di giovani, diventati i protagonisti della società francese negli anni 1880-1960. 1

Traduzione dalla lingua francese di italo Carugno.


Rivista Lasalliana 80 (2013) 2, 267-270

ESPERIENZE E TESTIMONI

LA SCUOLA DI FORMAZIONE SOCIO-POLITICA “A. DE GASPERI” (Collegio “San Giuseppe” - Torino) DI

ENRICO TRISOGLIO1

SOMMARIO: 1. Motivazione. - 2. Metodi. - 3. Docenti. - 4. Frequentanti. - 5. Durata. - 6. Sostegni didattici. - 7. Costi. - 8. Riconoscimenti. - 9. Collocazione politica. - 10. Carattere. - 11. Ispirazione. - 12. Scopi.

È

1. Motivazione

lamento universale che il mondo moderno stia attraversando una profonda crisi di smarrimento intellettuale e morale; non si ha più una sicura tavola di valori; si ignora in che direzione procedere; è diffusa in tutti gli strati sociali un’immoralità che, il più delle volte, è solo amoralità; non è che non si faccia conto del peccato, se ne ignora anche la nozione. Le diagnosi, spesso obiettive e penetranti, sono frequenti; rarissima è la proposta di una terapia; ci si esaurisce nel deplorare, non si ha la vigoria o il coraggio di proporre il riscatto: La Scuola De Gasperi si prefigge di uscire dalle lamentazioni sterili, per passare ad un’attività di ricostruzione; analizza le negatività per arrivare alla positività; non vuole essere un’accademia di discussioni, ambisce essere una palestra che allena all’azione; invece di dichiarare cattivi i tempi vede che moralmente scadenti sono gli uomini; si impegna quindi ad aiutarli nel formarsi un’anima alacre e fidente.

2. Metodi

La Scuola considera l’uomo nei suoi due aspetti, distinti ed inscindibili, di persona individua, originale ed irrepetibile, e di cittadino, necessariamen1

Fondatore ed animatore della Scuola di formazione politica “Alcide De Gasperi”.


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ESPERIENZE E TESTIMONI

Enrico Trisoglio

te immerso nella comunità. A rendere visibile tale inseparabilità, i due versanti vengono congiuntamente trattati tutte le sere a) ore 20,30-21,30: incontro formativo, fondamentale, che illustra la persona nella sua peculiarità; quindi la vita, la sua natura, il suo senso ed il suo fine; l’ambiente naturale e soprannaturale; l’uomo, come corpo e come anima; l’intelligenza, la volontà, la responsabilità; la virtù e il vizio; la verità; la ragione, l’intuizione, il sentimento; la ragione e la fede; la memoria; le passioni e il loro compito; la moralità e le sue fonti; la legge naturale e quella rivelata; la libertà e la legge; la legge civile e quella ecclesiastica; Chiesa e Stato; l’autorità, sua legittimità e suoi limiti; la persona nella società, influssi dati e ricevuti; i mezzi di comunicazione sociale e la reattività dell’individuo; il lavoro, stabilità e flessibilità; il lavoro e la produttività; economia ed etica; politica ed etica; ecologia; la festa e lo svago; la famiglia; la psicologia maschile e femminile; educazione ed autoeducazione; possibilità ed obbligatorietà d’intervento per il bene comune... L’incontro, guidato da fr. Enrico, si svolge nella più piena libertà d’espressione e d’obiezione, in un clima di conversazione familiare. Motto è “ragionare”, in superamento degli stracchi passivismi assorbiti dall’abitudine o dall’ambiente. b) ore 21,30-23: incontro informativo. Si analizza l’ambiente nel quale la persona si trova a vivere e ad operare. Il programma si incentra su tre assi preminenti: - potenziamento ed illuminazione spirituale (teologia della politica; dottrina sociale della Chiesa; Nuovo Testamento; encicliche sociali nella loro successione); - inquadramento storico per orientare l’azione (dal passato al presente; gl’insegnamenti della storia; l’evoluzione dei sindacati e dei partiti politici; l’emergere di nuove teorie sociali e politiche); - questioni tecniche quali informazioni operative (il governo di comune, provincia, regione; l’amministrazione del denaro pubblico; i rapporti del politico con l’industria; la sanità; gli enti pubblici erogatori di finanza; le istituzioni assistenziali [croce rossa] e tutrici dell’ordine pubblico [carabinieri, polizia, vigili urbani]; le banche, la borsa, i mercati; il cinematografo nelle sue positività e nei suoi limiti; il piano regolatore e la lettura; la politica americana e quella italiana; la globalizzazione; i problemi che incombono sull’Europa; Torino oggi e domani...).

3. Docenti

Sono professori dell’Università di Torino, imprenditori di singolari iniziative produttive, specialisti di chiara e solida competenza.


La Scuola di formazione socio-politica "A. De Gasperi"

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4. Frequentanti

Sono quanti si interessano a capire l’azione pubblica, soprattutto se hanno interesse a parteciparvi; non è richiesta la presentazione di particolari titoli di studio; è invece auspicata una volonterosa buona volontà, per evitare velleitarismi inconcludenti e facili abbandoni. L’iscrizione si effettua dopo un colloquio informativo che illustri lo spirito e gl’intenti della Scuola.

5. Durata

Le lezioni si sviluppano per circa 30 martedì scolastici consecutivi dalla metà di ottobtre alla fine di maggio, con orario dalle 20,30 alle 23.

6. Sostegni didattici

Oltre a quelli consueti, la Scuola possiede una propria Biblioteca specializzata, fornita di oltre 7000 titoli, accuratamente catalogati e computerizzati. È a disposizione per ricerche individuali di interesse personale, con possibilità di guida durante la composizione.

7. Costi

La Scuola è completamente gratuita.

8. Riconoscimenti

Dopo un biennio di partecipazione regolare viene rilasciato un Attestato di frequenza, il quale, pur non avendo carattere ufficiale, viene assai ambito e non di rado esibito in rapporti pubblici.

9. Collocazione politica

La Scuola è indipendente dai partiti politici, dai quali non è stata né fondata né diretta né finanziata né favorita; non è tuttavia ideologicamente neutra, poiché propugna un centrismo democratico, alieno da catalogazioni di destra e di sinistra, che considera fossili privi di significato nella problematica contemporanea, la quale impone di salvaguardare le esigenze vitali di tutte le classi sociali con precedenza di quelle più diseredate ed incapaci di autodifendersi.

10. Carattere

La Scuola rifiuta lo spirito di divisione e di astio, specie tra cattolici; convinta dell’assioma universale che “l’unione fa la forza”, depreca quella diaspora, che, caldeggiata dagli avversari ed ingenuamente assunta dai cattoli-


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ESPERIENZE E TESTIMONI

Enrico Trisoglio

ci, li ha ridotti all’invisibilità ed all’insignificanza, strumentalizzati da forze egemoni. Incita a superare la sfiducia inerte, l’atonia di chi aspetta sempre disposizioni dall’alto. Incoraggia l’alacre iniziativa personale, nella convinzione che ognuno possiede più talenti di quanto non creda e che rischia di lasciare inutilizzati. Suggerisce tecniche concrete d’azione, specie in epoca elettorale.

11. Ispirazione

La Scuola si inserisce negli immensi orizzonti che la fede cristiana apre allo spirito; si connette pertanto con la traccia delle encicliche sociali, con i pronunciamenti occasionali del Papa e della CEI e con la speculazione dei più accreditati e persuasivi analisti di anima cattolica, pur essendo volonterosamente aperta a tutte le voci costruttive da qualsiasi parte provengano.

12. Scopi

Attingere dalla fede cristiana e dalla coscienza naturale la chiarezza concettuale e la forza spirituale per un’azione che sia finalizzata al bene comune; acquisire fondamenti culturali per motivare e dirigere gl’interventi e competenza di parola per ottenere risultati effettivi; incrementare la fiducia nella propria missione sociale. Con Gregorio di Nazianzo: illuminarsi per illuminare.


Recensioni

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RECENSIONI

BIANCHI E., Nuovi stili di evangelizzazione, San Paolo, 2012, pp. 128, e 4,90

In due piccoli riquadri di prima e quarta pagina di copertina sono ben sintetizzate le due idee di fondo che permeano tutta l’opera di Enzo Bianchi “Nuovi stili di evangelizzazione”. Riflettono due antichi adagi latini: “Verba movent, exempla trahunt”, cioè la forza dell’esempio e l’altro “Est modus in rebus” e quindi lo stile da salvaguardare in ogni cosa. Sono esattamente i due aspetti sottolineati dalla prima all’ultima pagina del libro: l’evangelizzazione mediante la “testimonianza” e il suo “modo” di realizzarla. Perché la Nuova Evangelizzazione abbia infatti senso e produca i frutti che tutti si augurano è fondamentale dare preminenza assoluta al “nostro” personale essere cristiani, curando anche al massimo il “come” realizzarla, cioè lo “stile” che essa esige per non essere infruttuosa o addirittura controproducente. In una prima parte introduttiva del libro si accenna rapidamente agli interventi di Paolo VI (per esempio nella Evangelii nuntiandi del 1975) sull’importanza della testimonianza come primo aspetto basilare dell’evangelizzazione e al magistero del Card. Ratzinger quando, in una conferenza tenuta nell’Aula Paolo VI in Vaticano il 10 dicembre 2000, spiegava che evangelizzare significa mostrare “la Strada” per realizzarsi

come uomini, imparando l’arte di vivere. Il futuro Pontefice indicava questa strada nella conoscenza del Vangelo e nell’incontro diretto con Gesù che disse “Io sono la Via…”. È evidente che da duemila anni, dal tempo cioè del mandato di Gesù agli Apostoli “Andate e predicate…”, la Chiesa si è sempre sentita per sua natura in stato di missione. Tuttavia è in questi ultimi decenni che l’espressione “nuova evangelizzazione” ha avuto particolare risonanza a partire da un appassionato appello del Card. Stefan Wyszynski il 21 settembre 1978 a Fulda in Germania e da tutto il magistero del Beato Giovanni Paolo II, grande maestro di missionarietà per tutti gli uomini del mondo, credenti o non credenti. In una nota importante che fa sua e che riprenderà nel corso della trattazione, Bianchi ricorda una fondamentale precisazione di Mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione: l’evangelizzazione è più azione di Cristo nella forza dello Spirito Santo che non azione, pur indispensabile, dell’uomo. E poiché l’evangelizzazione per volontà del Signore è rivolta a tutti, la Chiesa deve preoccuparsi, nell’ordine, di evangelizzare in primis se stessa, quindi i cristiani e poi tutti gli uomini. L’idea, infatti, che ritorna martellante a ogni pagina del libro è che la Chiesa deve essere in uno stato di conversione


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permanente, deve cioè evangelizzare se stessa affinché da “evangelizzata” diventi proficuamente “evangelizzante”. Entrando nel vivo delle questioni, l’autore sottolinea che all’inizio dell’opera di evangelizzazione sta e deve stare la Parola di Dio, “Parola viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio” (Eb 4,12). I nuovi evangelizzatori devono essere certi dell’efficacia intrinseca di questa Parola perché è Dio stesso che all’origine, per sua libera iniziativa, uscendo da sé parla e si rivela garantendo che come la pioggia scende dal cielo e non vi ritorna senza aver prima fecondato la terra (cfr Is 55,8 e segg.), così la sua Parola “creatrice” produrrà frutto in chi è disposto ad accoglierla. L’esperienza dei primi cristiani lo dimostra ampiamente. “La Parola di Dio cresceva e si moltiplicava” (At 12,24) semplicemente perché è Parola di Dio e non parola di uomini. Bisogna però stare attenti a non costruire sulla sabbia, trascurando di entrare in costante dialogo personale con questa Parola. Prima di essere Chiesa “docens”, portavoce di una Parola non sua, ma di Dio, la Chiesa deve quindi preoccuparsi di essere Chiesa “audiens”. Un importante aspetto di cui tenere conto in una ben programmata evangelizzazione, secondo l’autore, è il contesto in cui essa si trova oggi a operare, assai diverso e certamente più difficile di quello di altri tempi e luoghi. Ogni evangelizzatore deve mettere nel conto vari ostacoli da superare: un clima di soffocante secolarizzazione e il muro dell’indifferenza da parte di chi è deluso dalla fine delle ideologie o da un mancato, secondo alcuni, rinnovamento

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ecclesiale o da parte anche del cosiddetto homo technologicus, convinto di poter tutto dominare mediante i ritrovati sempre più sofisticati e indubbiamente straordinari della tecnica. Un altro ostacolo è rappresentato dal pluralismo religioso dovuto, fra le tante cause, alle massicce migrazioni di credenti di altre religioni. Molto sottile, ma deleterio nell’opera di evangelizzazione, è pure il predicare una Chiesa che non riesca a esprimere “la differenza” rispetto a tutte le altre religioni. E qui l’autore invita gli evangelizzatori a battersi il petto con un sincero mea culpa perché il difetto è senza dubbio nel manico: la mancanza, come già detto, di un rapporto diretto e personale con la Parola viva ed efficace che è Gesù Cristo. Muovendosi in un contesto tanto variegato, è importante che l’evangelizzatore sappia creare spazi di accoglienza, avere la capacità pentecostale di parlare la lingua dell’altro evitando, nel dialogo anche fra genitori e figli, travolti da tante seduzioni, le risposte aprioristiche e prefabbricate. Beati, si legge fra le righe, quei pochi che sanno accogliere l’annuncio della Buona Notizia con la semplicità e la confidenza dei bambini: di essi è il Regno dei Cieli cioè, et nunc, l’inizio di una nuova e beata vita in Dio. Una buona evangelizzazione deve avere profonde motivazioni in chi è chiamato ad evangelizzare. Egli deve essere convinto che tutte le strade indicate dalle diverse religioni hanno certamente qualcosa di bello, di buono e di vero da insegnare, ma solo il Vangelo si presenta con una marcia in più che il buon evangelizzatore dovrà evincere da una profonda esplorazione della Parola di Dio nello studio, nella meditazione e nella preghiera.


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Curioso e assai originale, a questo proposito, è l’accostamento che l’autore fa tra Chiesa Occidentale e Chiesa Orientale. Mentre la prima storicamente insisteva sul fatto dell’uomo “salvato”, la seconda sottolineava di più l’aspetto dell’uomo “divinizzato”. Sembrerebbero due opposti, in realtà complementari l’uno dell’altro. La novità che Bianchi indica nella nuova evangelizzazione sta in un terzo importante aspetto: la Chiesa deve presentare Gesù che predica sì Dio ma predica anche “l’uomo” mostrandoci, cioè, quale debba essere la vera vita umana. Egli ne è il perfetto testimone vivendo per gli altri e spingendo il suo amore per gli uomini fino all’estremo sacrificio della croce nella certezza della resurrezione. Il proprium del cristiano in mezzo al mondo e alle altre religioni sta proprio in questo: testimoniare prima e annunciare poi l’amore di Cristo per Dio e per gli uomini, a sua imitazione che coepit facere et docere (At 1,1). Al di là delle apparenze che ci mostrano una società estranea e refrattaria nei riguardi della religione, in realtà Bianchi avverte, soprattutto nel mondo giovanile, l’anelito di molti a “voler vedere Gesù” (Gv 12,21). È solo a lui, alla sua persona, a quanto ha fatto e insegnato che si dovrà continuamente fare riferimento nell’opera di evangelizzazione. Purtroppo, ammette l’autore riprendendo una parola del Papa, sembra a volte che la Chiesa stessa si riveli il principale ostacolo alla diffusione della fede. Chiarito che il contenuto fondamentale dell’evangelizzazione consiste nell’annunciare e testimoniare Gesù, l’autore indica tre passi indispensabili per il raggiungimento della fede: 1) la conversione e un coraggioso atto di fede, come

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scriveva anche il Card. Martini in una sua lettera pastorale del 1995; 2) un chiaro annuncio delle questioni ultime, ad esempio di Gesù che teneva sempre vivo e dominante l’orizzonte escatologico; 3) l’annuncio della remissione dei peccati, cioè della salvezza in Cristo che sarà ratificata alla fine dei tempi, ma ha oggi il suo inizio e la sua felice realizzazione per quanti sapranno appropriarsene. Come si può dedurre da quanto detto finora, l’autore dedica circa metà del suo libro a delineare i caratteri generali da tenere presenti nella evangelizzazione, mentre nella seconda parte ne indica i nuovi stili da ben considerare per fronteggiare fiduciosi un mondo assai più scettico e critico nell’accostare il discorso religioso rispetto al passato. È questa soprattutto la novità e l’originalità che l’autore intende mettere in luce nella sua opera. Si tratta di uno stile di evangelizzazione realistico, molto aderente alla complessa realtà dei nostri giorni e che salvaguarderebbe, nonostante la buona volontà, da sempre possibili errori. Sintetizzandoli al massimo, ecco i nuovi stili che l’autore propone per una corretta ed efficace evangelizzazione: – essere umilmente consapevoli che i cristiani sono una minoranza, ma più matura rispetto a una volta; – non “imporre” l’amore verso Dio trascurando quello degli uomini; – non ostentare certezze prescindendo dallo stile di dialogo e comunicazione; – non annunciare un Dio mite, sarebbe controtestimonianza, con stile arrogante, ma evangelizzare nella carità e nella benevolenza; – badare alla qualità degli annunciatori non preoccupandosi del loro numero e neppure dell’auditel;


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– ricordare, come l’autore ben riporta dal Papa Paolo VI, che se il mondo è estraneo alla Chiesa, questa non è estranea al mondo; – rivivere in sé quegli aspetti apparentemente paradossali del cristianesimo (vivere nel mondo senza essere del mondo) descritti nella famosa lettera di un anonimo del II secolo al pagano Diogneto e citati anche in alcuni documenti del Concilio; – rifuggendo dai poteri forti, essere sale, lievito, piccolo gregge, coerente con la croce; – testimoniare che la vita cristiana, come non si stanca di ripetere Benedetto XVI, è bella, buona, vera, beata: è il mezzo più convincente per attirare nuovi credenti; – evitare il pericoloso dualismo di stampo manicheo “bene-male” predicando di conseguenza la “fuga mundi”; – presentare invece “tutto” il creato come “cosa buona” di cui saper fare un uso corretto; – infine privilegiare gli incontri personali dando meno importanza a quelli più formali e cattedratici. Nell’ultima parte del libro Bianchi affronta lo strettissimo rapporto esistente fra evangelizzazione e liturgia, luogo dove il vangelo è ascoltato, pregato e vissuto, tre aspetti corrispondenti alla triplice lex orandi, credendi, vivendi. Dalla “fides ex auditu” (Rom. 10,17) si passerà alla vita sacramentale come premessa a una rinnovata vita non solo nello spirito ma nel concreto del vivere quotidiano. Un’ultima suggestione, fra le tante, riguarda il rapporto fra liturgia e vita spirituale, cioè fra preghiera pubblica e preghiera personale. Bianchi avverte che non c’è divaricazione fra l’una e l’al-

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tra, ma non si deve dimenticare che il primato spetta alla liturgia come fonte della teologia, della spiritualità e, di conseguenza, della pastorale. Anche la ricchezza della simbologia liturgica (acqua, pane, crisma, sale, fuoco, luce, incenso, immagini, musiche…), sollecitando tutti i sensi dei fedeli presenti alle sacre cerimonie, è da valorizzare in quanto ogni simbolo è capace di introdurre con immediatezza alla fede. La liturgia cioè, se ben condotta con quella che si può definire l’”ars celebrandi”, è già essa stessa un’ottima fonte di evangelizzazione. Pur contenuto nel numero di pagine, il libro di Enzo Bianchi si presta come un ottimo vademecum di idee e originali impostazioni anche metodologiche per chi si sentirà chiamato a collaborare nell’opera urgente di una nuova evangelizzazione che dovrà continuare ben oltre la data ufficiale di chiusura dell’Anno della Fede, indetto da Papa Benedetto XVI. Raffaele Norti JORGE MARIO BERGOGLIO “PAPA FRANCESCO”, Guarire dalla corruzione, EMI, 2013 e 6,90.

8 settembre 1990: una ragazza di soli 17 anni, Maria Soledad Morales, viene brutalmente assassinata in San Fernando di Catamarca dai “figli del potere” locale. Si tratta di un omicidio su commissione, perpetrato dalle mani oscure della criminalità organizzata e sul quale anche le autorità locali non sapranno o non vorranno reagire sufficientemente in nome della giustizia. Il delitto sarebbe rimasto oscuro ed “insabbiato” se la popolazione non avesse finalmente reagito ai soprusi, protestando e mobilitandosi.


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Il sacrificio di Maria Soledad Morales donò al popolo argentino la forza di prendere posizione contro le strutture di potere semifeudale resistenti, producendo un considerevole cambiamento del regime politico di Catamarca. Quest’omicidio fece talmente scandalo da provocare un sussulto d’ indignazione nell’intera popolazione argentina. Da allora, le cosiddette “marce del silenzio” furono il metodo di lotta più diffuso, ovunque si dovesse reclamare verità e giustizia contro l’impunità dei violenti detentori del potere. Ci vollero anni per giungere ad identificare almeno due colpevoli e condannarli. Un amaro commento alla sentenza, ancor oggi reperibile su un sito brasiliano dichiara: ”¿Dormirán tranquilo estos hijos de...? 21 años de cárcel no bastan para esta lacra de la sociedad.”, “Potranno mai dormire serenamente questi figli di … ? Ventun anni di detenzione non sono sufficienti a rimarginare questa ferita sociale”.

Il Vescovo di Buenos Aires si interroga sulla natura della corruzione.

In tale contesto, il futuro Papa Francesco, ascoltando il cuore del popolo, si accorge che l’orrore suscitato da quello e da molti altri crimini similari, non riesce a trasformare le coscienze, pur ferite da tanta violenza. Nella sua posizione di Pastore d’anime percepisce lungo gli anni e le esperienze della violenza politica e militare, non meno aggressive ed ingiuste di quelle ordite dalla criminalità organizzata, che dopo l’orrore si fa strada, paradossalmente, una sorta di assuefazione all’ingiustizia, considerata quasi inevitabile, accettata come ineluttabile destino del popolo. Egli promuove dunque una riflessio-

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ne evangelica sugli avvenimenti, alla ricerca della verità sull’uomo contestando il troppo facile pretesto per cui debolezza umana e complicità, creano di per sè l’humus propizio alla corruzione. “Ci farà molto bene, alla luce della parola di Dio, imparare a discernere le diverse situazioni di corruzione che ci circondano e ci minacciano con le loro seduzioni”1 Con la dovuta prudenza, “perché non succeda che accettiamo la corruzione come fosse solo un peccato in più” possiamo generare una nuova e più autentica dimensione morale ripetendoci: “Peccatore sì, corrotto no!”.2 Va fatta una precisa distinzione fra la condizione di peccatori che ci vede tutti davanti a Dio in atteggiamento di umiltà e davanti agli uomini in atteggiamento di fraternità, e la condizione arrogante che caratterizza invece la tipologia del “corrotto”. Il messaggio di Gesù richiede di iniziare il cammino verso Dio, riconoscendoci peccatori; sì, peccatori felici di essere riaccolti nella Sua inesauribile tenerezza misericordiosa, tutte le volte che eleviamo lo sguardo e lo riconosciamo come Padre. In quest’atteggiamento c’è solo gratitudine, speranza, gioia di essere accolti, impegno e nuova responsabilità per un mondo migliore e più giusto da costruire e proteggere dal male. La Liturgia giunge paradossalmente ad esaltare la 1 J. M. Bergoglio: Guarire dalla corruzione, introduzione, p. 8. 2 Stupisce l’imprecisione teologica e testuale di Gian Guido Vecchi in “Corriere della sera” del 24 marzo 2013 traducendo questa emblematica espressione, del resto ben spiegata dal Pontefice, con: “Meglio essere peccatori che corrotti” e cioè quanto il Papa non ha mai voluto dire.


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possibilità catartica del riconoscersi peccatori di fronte a Dio.3 “Ma quanto è difficile che il vigore profetico sciolga un cuore corrotto!, … arroccato nella soddisfazione della sua autosufficienza, tanto da non permettere di farsi mettere in discussione”.4 “L’orientamento quasi maniacale della persona corrotta è riassunto dall’ “inquestionabilità” grazie alla quale egli non accetta critiche, impegnandosi a gettare discredito su persone o istituzioni che eccepiscono sul suo operato. Egli si impegna ad eliminare, ricorrendo a sofismi ed equilibrismi nominalistico-ideologici creati al fine di giustificarsi, qualsiasi autorità morale in grado di criticarlo; sminuisce gli altri e attacca con l’insulto coloro che pensano diversamente da lui”.5 Il Vangelo presenta molte tipologie di corruzione materiale, sociale, spirituale, denunciando così fin dai tempi di Gesù “il pericolo di crollo personale e sociale che si annida nella corruzione e proviene dalla complicità quotidiana con il peccato”.6

Comprendere la corruzione ed intercettare i suoi segnali.

Per comprendere la “corruzione” è necessario esaminarla con metodo: prima di tutto ci si deve “addentrare nella struttura interna dello stato di corruzione,… sapendo che, sebbene la corruzione sia legata al peccato, si distingue in alcuni punti da esso”.7 In secondo luogo è utile precisare che il cuore di un

3 “O felix culpa, quae talem ac tantum meruit habere Redemptorem!” (Exultet, testo nel rito romano). 4 J. M. Bergoglio: op. cit. p. 9-10. 5 Idem, pp. 10-11. 6 Idem, p. 12. 7 Idem, p. 17.

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corrotto è strutturalmente diverso dal cuore di un peccatore. È utile inoltre considerare talune forme di corruzione con cui Gesù ebbe a che fare al suo tempo ed apprendere da queste narrazioni evangeliche la pedagogia anti-corruzione del Cristo. Per ultimo è utile interrogarsi a quali forme di corruzione sia esposta la persona che professa la vita religiosa e che, comunque, anche se in modo meno grave (veniale), si espone alle seduzioni corruttrici.8 Il peccato reiterato conduce alla corruzione non per motivi quantitativi ma qualitativi, generando abitudini che deteriorano e limitano la capacità di amare a tutto vantaggio dell’egoismo personale. Questa “stanchezza della trascendenza”9 fa dimenticare al corrotto la propria dimensione di peccatore. Egli si erge di fronte a Dio in modo autonomo. Prima in forma quasi inconsapevole e poi in modo assunto come “naturale, normale”; il corrotto celebra la propria autosufficienza, stancandosi di chiedere perdono a Dio. E sarà proprio quest’ autosufficienza ad esercitare sul suo cuore una seduzione devastante rendendolo schiavo e rapace nella conquista di ogni forma di potere.10 La corruzione genera da se stessa uno squilibrio progressivo dovuto allo sbilanciamento tra la convinzione di bastare a se stessi ed una realtà percepita ma accuratamente negata di essere ormai schiavi del “proprio irrinunciabile tesoro di potere” che assorbe ogni dimensione dell’anima divenuta insensibilmente violenta. “Il corrotto non si accorge del proprio stato di corruzione. Succede Idem, pp. 17-18. Idem, p. 19. 10 Idem, p. 20. 8 9


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come con l’alito cattivo: difficilmente chi ha l’alito pesante se ne rende conto. Sono gli altri che se ne accorgono, e devono farglielo notare”.11 La corruzione, come una malattia, ha bisogno di essere guarita. Il corrotto inoltre, come già gli Scribi e Farisei del Vangelo, è molto preoccupato di curare le apparenze, perché le “buone maniere nascondono le sue abitudini cattive”12 transitando da atteggiamenti velleitari e frivoli alla convinzione radicata di essere migliore di tutti gli altri. Egli cura attentamente la modalità di confronto con gli altri e con la società, per quanto tale confronto risulti spesso caricaturale o su se stesso, come è ben descritto dalla parabola del Fariseo e del pubblicano, o caricaturale verso le relazioni sociali e le tradizioni (come l’accusa verso il Cristo di essere un bestemmiatore, oppure nella demoniaca insinuazione del Sinedrio nei confronti di Pilato: “Se lo lasci libero, non sei amico di Cesare, perché chi si fa re si oppone a Cesare”; insomma nell’arte di manipolare la realtà sociale “ad usum delphini” solo per sordidi interessi di parte.13 Al corrotto stanno a cuore le strategie per negare la verità e proteggere il nucleo stesso del proprio giudizio menzognero contro la vita che, poco per volta gli si rivolterà contro, quando il

pudore, che custodisce la verità, la bontà, la bellezza e l’unità dell’essere, sarà venuto meno14 trasformandosi in “pudica sfacciataggine”. Così, la non negoziabilità dei principi etici cede il passo alle pure convenzioni sociali.15 Particolare caratteristica del corrotto è il trionfalismo con cui egli si autoubriaca e si riempie di “mondanità spirituale”. Egli non cerca fraternità o amicizia ma solo complicità. Ogni sua relazione tenderà a pretendere complicità, distinguendo con accuratezza chi gli è complice e servo da chi, non essendolo, verrà classificato come nemico.16 Egli non commette l’errore di invitare direttamente altri a commettere peccati, reati, azioni disoneste: ciò svelerebbe le sue intenzioni perverse suscitando contrapposizioni e critiche. Al corrotto, invece, stanno a cuore le convocazioni per “arruolare nello stato di corruzione” servendosi della seduzione della ricchezza e del potere.17 I Vangeli ci offrono molti esempi di corruzione abilmente dissimulata ma chiaramente percepibile.18 “La corruzione non è tanto un fatto o un atto, quanto uno stato personale e sociale nel quale ci si abitua a vivere, attivando processi di pigmeizzazione19 e di sottrazione;20 sopprimendo il trascendente o riducendolo ad una “trascendenza frivola” in balìa di una “pudica sfaccia-

Idem, p. 21. Idem, p. 22. 13 Coraggiosamente, Papa Francesco, denunciò con questo scritto, coloro che erano da tutti conosciuti e temuti, cioè i “Carapintadas”: gruppi di attivisti militari nazionalisti che per quattro anni promossero sanguinose rivolte verso i governi argentini del tempo e mai pagarono la loro aggressiva arroganza e tantomeno gli eccidi di cui si macchiarono.

Idem, p. 27. Idem, pp. 47-48, nota 16. 16 Idem, p. 29. 17 Idem, p. 30. 18 Idem, pp. 30-32. 19 Idem, p. 33 “processo consistente nel convocare proseliti al fine di abbassarli al livello di complicità ammesso”. 20 Idem, p. 33 “il processo di integrazione nella corruzione sottrae realtà a favore dell’apparenza”.

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taggine”. La corruzione non si caratterizza con percorsi repentini, tutt’altro: essa è invece, un lento cammino scivoloso, quasi impercettibile. Non si identifica con la quantità dei peccati che si possono commettere ma con l’equivocità e la falsità della coscienza che interpreta, induce, giustifica ed organizza coscientemente il male. Il vero peccato consiste nell’accogliere e realizzare un “cammino verso la corruzione”.21

Il dramma di una corruzione impalpabile e “veniale” nella vita consacrata.

Una particolare riflessione, di solito inusuale in forma così esplicita, viene infine dedicata al rischio di corruzione in cui incorre una persona dedita alla vita religiosa quando, non credendo e non proteggendo i principi delle proprie libere scelte di impegno, consente al mondo esterno di intaccare le proprie convinzioni, la vita di preghiera che dovrebbe continuamente nutrirlo, “l’essere nel mondo ma non del mondo” per cui ha fatto professione in forma definitiva, subendo invece, poco per volta una “sclerosi del cuore” sostanziata da mediocrità e tiepidezza, strada aperta ad ogni concessione e relativismo spirituale. Questa corruzione che Papa Francesco definisce “corruzione veniale” è più diffusa di quanto non si supponga, interessa uomini e donne “riducendo a uno stato pietoso la loro consacrazione, sistemando la loro anima a bordo della piscina, osservando – per 38 anni – come l’acqua muova e gli altri guariscano“.22 Idem, p. 34. Idem, p. 40 Allusione alla ben nota pagina evangelica in Gv 5,5.

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A questi corrotti “veniali”, Papa Francesco, ricorda anche oggi che la corruzione impedisce la guarigione, fiacca le energie e tenta di sopprimere persino la speranza di rigenerarsi. Ma ricorda anche che Dio è più forte, più grande della nostra debolezza e ci invita sempre a non avere paura …; e ad avere speranza perché si tratta di una speranza che non delude”.23 Fin qui, il magistrale itinerario di un Vescovo che viveva nella bufera dell’ingiustizia eretta a corruzione e che oggi è chiamato nella Chiesa a confermare nella fede e nella verità evangelica un miliardo di credenti in Gesù Cristo È un’analisi inusitata, poco diplomatica, intensamente concentrata sulla conoscenza della vicenda umana che può fare dell’uomo un santo o un devastante servitore del maligno; è uno scritto paterno, che non dimentica mai la possibilità di sollevarsi e rigenerarsi grazie alla forza della Grazia di Dio. È un cammino in cui ci viene insegnato con realismo come riconoscere le impronte digitali della corruzione in noi stessi e nella società, partendo dal principio che è necessario conoscere bene questi segnali, per potere efficacemente combatterli e “curarli” alla luce della parola di Dio.

Una curiosa aggiunta editoriale al documento del Pontefice.

La postfazione, a cura del Presidente del Senato della Repubblica On. Pietro Grasso, pur associandosi all’argomentazione del Papa e cogliendo l’occasione per ribadire la necessità di una rigenerazione morale della nostra realtà sociopolitica fortemente venata di corruzio-

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Idem, p. 41.


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ne, ha però il sapore di una giustapposizione impropria, quasi che il pensiero così limpidamente spirituale del Pontefice avesse bisogno di un rinforzo da parte dell’istituzione politica. Non si negano le buone intenzioni dell’Editore e nemmeno la correttezza istituzionale del pensiero dell’ On. Presidente del Senato, ma l’impressione di un assemblaggio editoriale piuttosto azzardato permane in chi, dopo la meditazione di Papa Francesco, affronta il successivo testo ove emergono urgenze legali, politiche, economiche ma disarticolate dal contesto antropologico ed evangelico cui il Pontefice ci aveva con paternità introdotto. Fortunatamente l’Editore ha optato per una post-fazione e non per una prefazione, rendendo più sopportabile questa commistione contenutistica che, in fondo, nulla sembra aggiungere di specifico e di più importante al testo del Papa. (Franco Savoldi, Docente dell’Istitut lasalliano “Gonzaga “ - Milano). FIORIN I., Scuola accogliente, scuola competente. Pedagogia e didattica della scuola inclusiva, Editrice La Scuola, 2012, pp.186. e 13,00.

Alunni migliori e alunni fragili, eccellenza ed equità, meritocrazia e inclusività, concezione aziendalistica e concezione comunitaria della scuola. Coniugare i due aspetti o scegliere una direzione preferenziale? In quale contesto culturale? Dagli anni Sessanta fino agli anni recenti è prevalso un atteggiamento didattico inclusivo, secondo alcuni responsabile di un appiattimento dei valori individuali, ostacolando l’emergere dell’eccellenza. Nella scuola l’espe-

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rienza del “successo” ha un ruolo fondamentale, ma esso va collegato alla responsabilità personale, piuttosto che al confronto competitivo, favorendo la condivisione: l’autorealizzazione è strettamente legata alle qualità delle relazioni interpersonali. Dapprima la scuola si è storicamente posta il problema di contrastare lo svantaggio sociale e culturale, successivamente ha aperto le porte agli alunni con disabilità, infine si rende accogliente nei confronti degli alunni di altri Paesi e culture. E’ necessaria una didattica che non abbassi i traguardi per renderli accessibili a tutti, ma che cambi in relazione alla sfida della diversità. Di quale identità è possibile parlare in tempi di accentuato pluralismo culturale? Le riforme scolastiche hanno il compito di ridefinire le due grandi «missioni» della scuola entrate in crisi: quella della formazione rivolta al futuro e quella della trasmissione dei valori fondanti la cittadinanza. Il Libro Bianco dell’Istruzione, pubblicato dalla Commissione Europea nel 1995, sintetizza un orientamento complessivo nello slogan “insegnare ad apprendere”. L‘”apprendimento” sostituisce, per gli insegnanti, l’”insegnamento” inteso come trasmissione. I valori di stampo funzionalista espressi dal Libro Bianco vengono poi integrati in senso antropocentrico dal Rapporto Delors: l’educazione deve «collaborare a liberare l’idea di sviluppo dalla semplificazione generata dal riduzionismo economista».1 La prospettiva antropocentrica «costruisce il curricolo non a partire dai

1 Cfr. E.MORIN, Educare per l’era planetaria, Armando, Roma 2005, p.117-118.


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“profili di uscita”, ma dalle esigenze profonde di sviluppo della persona». Si può concepire il servizio scolastico come servizio definito dalla domanda dell’”utenza”, e si può, quindi, valutarlo prendendo in esame l’efficienza/efficacia nella soddisfazione dell’utentecliente? Si può applicare alla scuola lo stesso concetto di “produttività” proprio dell’impresa? Una diversa metafora da quella dell’impresa sembra più promettente per la scuola, che integri le esigenze di efficienza produttiva con altre pedagogicamente irrinunciabili, quali significatività, cooperazione, cittadinanza. E’ la metafora della scuola intesa come “comunità”. Presupposta l’attenzione alla persona e allo sviluppo delle sue dimensioni costitutive, il concetto di cittadinanza si coniuga con l’impegno per la costruzione di un mondo migliore e la comunità educante è identificata come la dimensione che meglio consente di accogliere la persona stessa, valorizzarla appieno e aiutarla ad assumere responsabilità nei confronti degli altri e dell’ambiente. Per capire l’introduzione di tali valori in una riflessione anche problematica sulla scuola e sulla pedagogia, l’autore conduce un confronto con i percorsi scolastico-educativi del secondo Novecento, sia sotto l’aspetto istituzionale e normativo, che dei modelli di istruzione alternativa, come quella di Barbiana e del suo privilegiare gli “ultimi”, considerando le ragionate motivazioni per un giudizio positivo sulle innovazioni introdotte tra la fine degli anni Sessanta e i Settanta, che la scuola ha recepito e attuato negli anni seguenti, con un ritardo della superiore fino agli anni Novanta. Tali innovazioni d’impostazione della scuola hanno la loro ricaduta effettiva sui programmi d’insegnamento, in

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tutti gli ordini e gradi, influenzati dalla cultura del curricolo, facendo spazio alla scuola della ricerca e ridimensionando quella della lezione. Fiorin si sofferma sui molteplici aspetti anche discussi e problematici che segnano i cambiamenti dei vari gradi di scuola, come quello molto delicato del passaggio dal maestro unico alla pluralità nella scuola elementare e del processo d’integrazione degli alunni con disabilità nella scuola inclusiva. Le sfide didattiche esigono un cambiamento della cultura pedagogica nella direzione della flessibilità, anche la valutazione deve essere gestita alla luce dei fini formativi che presuppone, superando la logica del voto, assumendo tali istanze in una diversa gestione della programmazione. L’integrazione richiede la ristrutturazione profonda del funzionamento della scuola, con un’assunzione di responsabilità da parte di tutti coloro che a diverso titolo svolgono un ruolo che la comunità scolastica ha richiesto, comunità che, quindi, nel suo insieme si assume la responsabilità del successo degli studenti che la frequentano. Ancora più attuale è la realtà degli immigrati, in una società ormai stabilmente multiculturale, sfida pedagogica affrontata nel documento del MIUR La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri. Una classe è un universo di piccoli e grandi problemi, che richiedono di essere riconosciuti e affrontati con competenza. L’OCSE ha individuato tre grandi categorie di bisogni: quelli che si riferiscono al campo dei deficit e delle disabilità; quelli relativi alle situazioni di svantaggio sociale e culturale, in cui rientrano gli immigrati; quelli che sono chiamati Disturbi Specifici dell’Apprendimento. Rispetto a un modello burocrati-


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co, o ideologico, o funzionalista di organizzazione scolastica, l’autore presenta quindi l’interesse di un modello personalista, che assimila alcuni pregi degli altri, quali l’attenzione ai valori e la disponibilità al cambiamento, ma soprattutto esprime la consapevolezza che la scuola è chiamata a offrire un’esperienza ricca di senso, non solo di nozioni. Assumere l’impegno di promuovere questo tipo di scelta educativa porta un necessario approfondimento delle competenze professionali, che inserite nel tessuto della relazione comunitaria, possono condurre alla più autentica efficacia educativa. La classe è la sola organizzazione possibile? E’ adatta a rispondere alla richiesta di apprendimento di tutti gli alunni? E’ possibile differenziare l’offerta degli insegnamenti, è necessario favorire l’evoluzione da classe a gruppo, educando all’autocoscienza e alla cooperazione. L’idea di percorsi in forma di laboratorio può coniugare tali esigenze. All’approfondimento delle competenze professionali dell’insegnante corrisponde lo sviluppo delle competenze del discente: promuovere la persona, nelle sue molteplici dimensioni costitutive, significa far evolvere le potenzialità originarie di ciascuno in modo che diventino competenze sempre più sviluppate e adeguate. L’autore si sofferma sull’impiego di una varietà di mediatori didattici, che «facilita la sollecitazione alle diverse “intelligenze” degli alunni, offrendo punti di forza anche a quelli che si trovano in difficoltà quando sono interpellati soltanto attraverso la mediazione del linguaggio», con un’attenzione agli aspetti affettivo-emotivi dell’intelligenza, d’importanza complementare alla competenza cognitiva; in particolare

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convertendo in positività le inevitabili difficoltà e gli eventuali insuccessi. Molto efficace è in tal senso il metodo della ricerca, che caratterizza l’approccio della didattica per problemi e aiuta a diventare pensatori più efficaci, pervenendo attraverso un agire riflessivo ad acquisire autocoscienza e autostima. L’idea inclusiva ha un’estensione dall’aula alla scuola, quindi al territorio: la società ha bisogno della scuola, ma anche la scuola ha bisogno di una società che attraverso le sue istituzioni e i suoi servizi, oltre che attraverso i valori culturali che esprime, accolga e sostenga la sua offerta formativa. (Michele Cataluddi, Docente dell’Istituto lasalliano “Collegio S. Giuseppe-Istituto “De Merode” - Roma) FILOGRASSO I. – VIOLA T. V., Oltre i confini del libro. La lettura promossa per educare al futuro, Armando Editore, 2012, pp. 176. e 15,00.

«Da sempre la narrazione di storie rappresenta una forma di spiegazione, il laboratorio di senso della vita di ogni persona, la più antica delle strade della conoscenza umana, la più umana delle strategie per decifrare e percorrere il complesso labirinto dell’esistenza». Ogni storia racconta un percorso di formazione e l’uso educativo del narrare «introduce ed avvia il processo razionale, conduce ad una prima formazione della mente in senso cognitivo, legandola al paradigma esplicativo, sia pure attuato in modo simbolico e traslato». La capacità di narrare coincide con quella di scambiare esperienze, importante ancora di più nei tempi odierni, quando l’ampliamento delle possibilità comunicative ottenuto dalle innovazioni tecno-


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logiche non coincide tuttavia con un’espansione qualitativa della comunicazione narrativa, bensì con una sua contrazione. Confrontarsi con la narrazione significa anche porsi una questione di senso dell’esperienza vissuta (narrata); la stessa cultura è un tessere narrativamente le esperienze, un mettere in relazione passato, presente e proiezioni future, in ricerca del significato stesso della vita, che la salva. Il narrare nutre l’attività simbolica della mente, che funge da orientatore di senso. «Un’educazione alla narrazione è anche un percorso di strutturazione di “mondi possibili”, di versioni del sé e di costruzioni della propria autobiografia».2 L’immaginazione pone «in atto una discontinuità nel nodo compatto del reale»,3 ne dilata le frontiere, rendendo pensabile e realizzabile l’alterità, l’altrove, il dissenso, la capacità di dire no; saldando il cognitivo all’etico. Per questo la narrazione deve saper giocare sui due piani del lontano e del prossimo. L’immaginazione può essere funzionale allo sviluppo della mente, contrassegnandola della creatività, per completare l’uomo e migliorare la società. La narrazione mentre rivela il significato non aspira a catturare nella definizione: il racconto è un apparato cognitivo e metacognitivo potenzialmente eversivo, perchè svela come la realtà sia manipolabile e le rappresentazioni del mondo rinegoziabili.

2 Cfr. G. RODARI, Grammatica della fantasia, Einaudi, Torino 1973, p.35. 3 Cfr. F.CAMBI, La funzione formativa della narrazio-

ne, in R.M. MORANI (a cura di), Libri libroni libracci. Leggere a scuola senza annoiarsi, Carocci, Roma 2007.

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La mancanza di parole lascia i pensieri confusi, isola. Non c’è emozione della vita reale che non possa essere esplicitata dalla lettura, sia pure in forma simbolica e mediata: l’immedesimazione o comunque il confronto con un personaggio, contribuisce alla formazione dell’immagine di sé, reale e ideale, necessaria per lo sviluppo della personalità, commisurandosi con il modello proposto dal testo. La lettura fa uscire dall’isolamento ma insegna a stare soli; è uno dei processi più complessi che il nostro cervello possa compiere, non essendo gli esseri umani programmati per essere dei lettori. In essa sono coinvolte almeno tre parti del cervello: una elabora i suoni associati alle parole e alle immagini, un’altra controlla le informazioni visive, l’ultima analizza il significato delle parole, delle frasi e dell’intero testo, stabilendo ponti e connessioni tra le precedenti conoscenze e le nuove informazioni. Gli autori si soffermano sul valore pedagogico di un’educazione alla lettura, nelle diverse età dello sviluppo, a partire da un’analisi dell’importanza di un approccio alla lettura nell’età più infantile, presentando approfonditi riferimenti a un’ampia bibliografia sul tema. E’ introdotta quindi una riflessione sul senso della lettura oggi, a fronte anche di una crescita smisurata del mercato editoriale, ripercorrendo i tratti salienti della storia recente di un consapevole sviluppo della promozione della lettura in Italia. L’affezione alla lettura diventa nei nostri tempi inattuale, eccetto per una ristretta cerchia di lettori, ciò rende la sfida pedagogica più complessa e difficile, anche rispetto un’offerta editoriale più spesso interessata al consumo che mossa da un’adeguata selettività critica, una pre-


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sentazione del libro come oggetto, che comunica un’idea fuorviante di lettura come pratica divertente, che lascia la mente a riposo, che trascura l’impegno del leggere nella sua più alta accezione, come percorso, talvolta doloroso, di rispecchiamento, di crescita spirituale. Indagini statistiche portano a distinguere bambini e ragazzi in lettori e non lettori. I primi attribuiscono una rilevanza anche esistenziale alle loro letture: «quando il libro diventa oggetto di scambio e commento “tra pari”, alla stregua di giornalini, videogiochi, cartoni animati televisivi, significa che esso fa parte integrante del mondo immaginario dei ragazzi e contribuisce alla rappresentazione del mondo che le giovani generazioni si vanno costruendo. Viceversa il fatto che i non lettori non adottino quei comportamenti dovrebbe confermare una certa impermeabilità alla cultura del libro e ribadire, appunto, che il libro e la lettura restano estranei alla loro esistenza». Il lettore, inoltre, mostra particolare attenzione alla scrittura e una sensibile consapevolezza metacognitiva. Saper leggere presuppone l’acquisizione di abilità adeguate, tuttavia «fin dall’inizio il bambino deve venir persuaso che l’acquisizione di queste capacità è soltanto un mezzo per raggiungere un obiettivo e che l’unica cosa importante è che egli diventi letterato».4 Lo stadio più importante nello sviluppo della lettura coincide con la capacità di applicare la comprensione dei vari usi delle parole, per sviluppare la comprensione oltre le parole stesse, passando dallo status di lettore fluente a quello di lettore strategico, «che sa come 4 Cfr. B. BETTELHEIM, K. ZELAN, Imparare a leggere, Feltrinelli, Milano 1982, p.18.

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attivare il sapere che possiede già, prima, durante e dopo la lettura; che sa come decidere che cosa, in un testo, è più importante; che sa sintetizzare le informazioni, fare deduzioni durante e dopo la lettura, porre domande, autoesaminarsi e correggersi».5 Un lettore esperto ha molti mondi a disposizione e molti modi d’interpretare, rappresentare, pensare, desiderare, progettare il suo essere nel mondo. L’autrice si confronta dunque con alcune delle più note pubblicazioni per l’infanzia, mettendone in luce le valenze letterarie ed educative; riflettendo anche sul rapporto tra le forme tradizionali di comunicazione e i nuovi mezzi mediatici: le competenze tradizionalmente acquisite a scuola, la capacità di ricerca, il vaglio delle fonti, l’analisi critica dei testi non sono soppiantate, ma enfatizzate nell’ottica del necessario ripensamento del concetto classico di literacy, volto ad «integrare la logica dell’immagine e dello schermo come medium con la logica della scrittura tradizionale e del libro, cui si affiancano, nelle nuove testualità, come tasselli di un unico messaggio decifrabile con strumenti semiotici sofisticati, parole, suoni, colori, immagini, simulazioni». Vengono valorizzati tutti i generi letterari, come il fantasy, con le sue “possenti fortificazioni” e “brillanti corazze”, «riscoperto e rivalutato quando vi è l’impressione diffusa che la lotta sia imminente»; 6 è infatti una letteratura che invita a “serrare i ranghi davanti

5 Cfr. R.VACCA, From efficient decoders to strategic readers, in “Reading and Writing in the Content Area”, 60 (2002), 3, pp. 6-11. 6 Cfr. W. GRANDI, Infanzia e mondi fantastici, BUP, Bologna 2007, p. 118.


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all’avvenire”. Accanto alla letteratura classica e ai generi fantastici, vi è una scrittura che riproduce la complessità del mondo attuale; nell’insieme, insomma, la narrativa può fungere da “scuola di comprensione umana”. La grande letteratura ritrae la vita di tutti i giorni, ma ci porta un passo oltre nella nostra comprensione di essa rispetto a dove potremmo arrivare semplicemente osservandola accadere. Il genere d’avventura custodisce la speranza degli uomini nelle proprie possibilità, importante in particolare in un’epoca di scoraggiamento; mette in contatto anche con i temi difficili dell’esistenza, come la morte; conduce a confrontarsi con una dimensione psicologica più profonda. Viola si sofferma poi sul valore di un’editoria ambientale, che favorisca la consapevolezza della bellezza del territorio e una sensibilità ecologica, assumendo ancora come riferimento costante la riflessione già proposta da Rodari. La questione ambientale si scopre basata su paradigmi culturali nuovi, introducendo il pensiero per relazioni, le idee della complessità e dell’imprevedibilità, contaminando la produzione let-

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teraria dalla seconda metà del Novecento ad oggi, della quale l’autore presenta alcuni esempi interessanti rivolti ai giovani lettori, per educarli alla coerenza tra saperi, valori e comportamenti. Viene così superata in chiave interdisciplinare l’arida contrapposizione di letteratura e scienza, di tempo storico e tempo biologico. La Filograsso si sofferma quindi sulle strategie di promozione della lettura da parte dell’educatore, secondo un metodo articolato nelle fasi della comunicazione e della condivisione. Verso la conclusione, l’autore apre a un confronto di più ampio respiro con le forme di comunicazione e partecipazione culturale, il ruolo degli animatori-educatori e le istituzioni preposte ai servizi di mediazione. Interessante è l’idea strategica del laboratorio di lettura, anche in quanto percorso sociale di gruppo, percorso di ricerca autentico non rivolto a una risposta già data; presentando infine alcune suggestive proposte di lavoro, condivisione e rielaborazione. (Michele Cataluddi, Docente dell’Istituto lasalliano “Collegio S. Giuseppe-Istituto “De Merode” - Roma).


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SEGNALAZIONE LIBRI Area biblico-teologica

HAGEMANN W., Innamorato della Parola di Dio, Città Nuova Editrice, 2013, pp. 400. e 28,00. RIGATO M.L., Genitori di Gesù (I). Una rilettura di Matteo e Luca, EDB, 2013, pp. 160. e 13,50. Area storico-filosofica

BEDESCHI G., La prima Repubblica (1945-1993). Storia di una democrazia difficile, Rubbettino, 2013, pp. 356. e 19.00. BETTAZZI L., Viva il papa, viva il popolo di Dio. Cicaleccio sul Concilio Vaticano II, EDB, 2013, pp. 88. e 7,50. FERRAROTTI F., Religione dissacrante (La). Coscienza e utopia nell’epoca della crisi, EDB, 2013, pp. 176. e 15,00. MANCA F., Charles Darwin genio o cattivo maestro, Europa Edizioni, 2013, pp. 442. e 18,90. PETTI D., Dialogo sulla politica con Papa Benedetto XVI, Lateran University Press, 2013, pp. 561. e 26,00. VALENTI G., Ratzinger al Vaticano II, S. Paolo Edizioni, 2013, pp. 224. e 14,00. Area psicopedagogico-didattica

ALBISETTI V., Un valore per crescere e dare senso alla vita, Paoline, 2012, pp. 144. e 13,00. APRILE B., (a cura di), La relazione educativa nella post-modernità. Itinerari tra scienze, culture e sapienza, Edizioni Messaggero, 2012, pp. 496. e 28,00. CALÌ R., Palla al centro. Il valore pedagogico dello sport, Paoline, 2013, pp. 232. e 14,00. CAMERINI M., Elementi di retorica e stilistica, Graphisoft Edizioni, 2013, pp. 65. e 12,00. CARZAN C. - SCALZO S., Economia felice. Educare i bambini a uno stile di vita consapevole, La Meridiana, 2012, pp. 144. e 16,50. CASADEI I., Educare al successo. Aiutare i figli nella scelta della scuola superiore, La Meridiana, 2012, pp. 152. e 16,00.


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CRAVERO D., Educare il desiderio, Edizioni Messaggero, 2012, pp. 172. e 9,00. CRAVERO D., L’educazione alla solitudine, Edizioni Messaggero, 2012, pp. 172. e 10,50. CROCETTI G., I bambini vogliono la coppia. Per una genitorialità responsabile, Elledici, 2012, pp. 120. e 10,00. DONATI P., La famiglia. Il genoma che fa vivere la società, Rubbettino, 2013, pp. 256. e 12,00. GUARCELLO E. - SERMENATO L.G., Crescere. Che storia! Il racconto per accompagnare lo sviluppo del bambino, La Meridiana, 2012, pp. 112. e 14,00. MANICARDI L., Il racconto come luogo educativo, Edizioni Messaggero, 2012, pp. 200. e 12,00. MARCONI S. - MELE F., Educare alla felicità attraverso il cibo, La Meridiana, 2012, pp. 172. e 18,00. OCCHIOGROSSO F., Il secolo dell’infanzia, La Meridiana, 2013, pp. 224. e 18,00. POLITO M., Educare il cuore. Strategie per una comunità che si prende cura delle nuove generazioni, La Meridiana, 2012, pp. 172. e 18,50. ROSITO V., L’ordine della reciprocità. Il ruolo del dono e dello scambio nella religione e nelle istituzioni, Cittadella Editrice, 2012, pp. 284. e 19,50. SCOLA A., La famiglia risorsa decisiva, Edizioni Messaggero, 2012, pp. 124. e 7,50. SOCCI A., Lettera a mia figlia. Sull’amore e la vita nel tempo del dolore, Rizzoli, 2013, pp. 190. e 16,50. VALERI A. - PENATI C., Il teatro bambino. Itinerari formativi per l’infanzia, Meridiana, 2012, pp. 128. e 14,00. Area pastorale e spirituale

BENEDETTO XVI, Nell’Anno della fede, LEV, 2013, pp. 176. e 24,00. BORGHI G., Dio inutile (Un). I giovani e la fede nei post di un blog collettivo, EDB, 2013, pp. 192. e 14,00. CARLOTTI P., La virtù e la sua etica. Per l’educazione alla vita buona, Elledici, 2013, pp. 96. e 8,08. GRÜN A., Il cammino del silenzio, Elledici, 2013, pp. 32. e 3,82. MORANTE G., Itinerari per l’educazione alla vita di fede, Elledici, 2013, pp. 182. e 11,05. ROVELLO A., Morale e i movimenti ecclesiali (La), EDB, 2013, pp. 248. e 22,50. WOLF N., Imparare dai monaci, EDB, 2013, pp. 288. e 20,00.


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Rivista Lasalliana, pubblicazione trimestrale di cultura e formazione pedagogica, fondata in Torino nel 1934, si ispira alla tradizione educativa di Jean-Baptiste de La Salle (1651-1719) e delle Scuole Cristiane da lui istituite. Affronta il problema educativo in un’ottica prevalentemente scolastica, offrendo strumenti di lettura valutativa dei contesti culturali e stimoli orientativi all’esercizio della professione docente. Promuove studi storici sulle fonti bibliografiche della vita e degli scritti del La Salle, sull’evoluzione della pedagogia e della spiritualità del movimento lasalliano, aggiorna su ricerche in corso, avvalendosi della collaborazione di un gruppo internazionale di consulenti. È redatta da un Comitato di Lasalliani della Provincia Italia e di altri esperti in scienze umane, pedagogiche e religiose operanti con ruoli di ricerca, docenza e formazione in istituzioni scolastiche, para-scolastiche e universitarie.




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Rivista lasalliana

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Rivista Lasalliana, pubblicazione trimestrale di cultura e formazione pedagogica, fondata in Torino nel 1934, si ispira alla tradizione educativa di Jean-Baptiste de La Salle (1651-1719) e delle Scuole Cristiane da lui istituite. Affronta il problema educativo in un’ottica prevalentemente scolastica, offrendo strumenti di lettura valutativa dei contesti culturali e stimoli orientativi all’esercizio della professione docente. Promuove studi storici sulle fonti bibliografiche della vita e degli scritti del La Salle, sull’evoluzione della pedagogia e della spiritualità del movimento lasalliano, aggiorna su ricerche in corso, avvalendosi della collaborazione di un gruppo internazionale di consulenti. È redatta da un Comitato di Lasalliani della Provincia Italia e di altri esperti in scienze umane, pedagogiche e religiose operanti con ruoli di ricerca, docenza e formazione in istituzioni scolastiche, para-scolastiche e universitarie.

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Rivista lasalliana 19

ISSN 1826-2155

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trimestrale di cultura e formazione pedagogica

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Donato Petti Jean Baptiste de La Salle e l’identità spirituale dell’educatore Francesco Trisoglio Di fronte all’errore: l’atteggiamento di Anfilochio

Edgar Genuino Nicodem Compartir el carisma lasallista de la “cum-munio” a la “cum-munus”

Edwin Arteaga Tobón S. Miguel Febres Cordero en el 150° de los Hermanos de La Salle a Ecuador

Dario Antiseri Perché e come studiare storia della filosofia

Antonio Augenti Linee di politica educativa nell’Unione europea Paolo Fichera L’educazione al pluralismo

Comunicare la fede: intervista a Mons. Enrico dal Covolo

Gilles Beaudet Copia manoscritta delle Meditazioni di J.B. de La Salle: autentica? Cesare Trespidi Lasalliani autori di libri di preghiera - III

Gérad Cholvy Frère Exupérien: l'éducation ouvre un avenir

Enrico Trisoglio Collegio “San Giuseppe” (Torino) - Scuola di formazione socio-politica APRILE - GIUGNO 2013 • ANNO 80 – 2 (318)


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