Interferone Alfa nel trattamento adiuvante del Melanoma, P. A. Ascierto et al

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a Journal of Experimental and Clinical Oncology OFFICIAL JOURNAL OF SOCIETÀ ITALIANA DI CANCEROLOGIA ASSOCIAZIONE ITALIANA DI ONCOLOGIA MEDICA SOCIETÀ ITALIANA DI CHIRURGIA ONCOLOGICA AND ASSOCIAZIONE ITALIANA DI RADIOTERAPIA ONCOLOGICA

INTERFERONE ALFA NEL TRATTAMENTO ADIUVANTE DEL MELANOMA Rivisitazione della letteratura internazionale e raccomandazioni pratiche sull’uso Reprint from Volume 98, Number 1, January-February 2012


In copertina: Natal’ja Gonˇ carova, Foresta, 1913.


OSSERVATORIO

Report congressuali e notizie dalla ricerca aziendale

INTERFERONE ALFA NEL TRATTAMENTO ADIUVANTE DEL MELANOMA

Rivisitazione della letteratura internazionale e raccomandazioni pratiche sull’uso dell’interferone Paolo A. Ascierto1, Vanna Chiarion-Sileni2, Antonio Muggiano3, Mario Mandalà4, Nicola Pimpinelli5, Michele Del Vecchio6, Gaetana Rinaldi7, Paola Queirolo8 1Unità

di Oncologia Medica e Terapie Innovative, Istituto Nazionale Tumori, Fondazione Pascale, Napoli; Medica 2, Istituto Oncologico Veneto - IRCCS, Padova; 3Struttura Semplice Dipartimentale Melanoma e Patologie Rare, ASL8, Cagliari; 4Oncologia, AO Ospedali Riuniti di Bergamo; 5Malattie Cutanee e Veneree, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Firenze; 6SC di Medicina Oncologica 1, Istituto Nazionale Tumori, Milano; 7Unità Operativa di Oncologia Medica, AOU Policlinico Paolo Giaccone, Palermo; 8Oncologia Medica A, IST, Genova 2Oncologia

INTRODUZIONE A distanza di 15 anni dalla pubblicazione del primo studio sulla terapia adiuvante del melanoma, che dimostrava un vantaggio sia in termini di sopravvivenza libera da recidiva (RFS) che di sopravvivenza totale (OS) nei pazienti trattati con alte dosi di interferone alfa-2b (IFN) (ECOG 1684)1 rispetto al braccio di controllo, il reale beneficio clinico, le modalità ottimali di trattamento (dose, durata, via di somministrazione), l’entità e la gestione degli effetti collaterali sono ancora oggi tema di controversie, discussioni e limitazioni all’utilizzo clinico. L’aumento della OS è stato fino a non molto tempo fa, sia per gli oncologi sia per le agenzie internazionali di valutazione e registrazione dei farmaci, il requisito per misurare l’efficacia di un trattamento adiuvante, soprattutto in patologie quali il melanoma dove la OS non era modifica-

bile dai trattamenti successivi. Attualmente abbiamo almeno due molecole: l’anticorpo monoclonale anti CTLA-42,3 e il vemurafenib4, che si sono dimostrate in grado di aumentare la OS nei pazienti metastatici rispetto al trattamento chemioterapico standard con deticene, e sia l’AIFA che l’EMA hanno riconosciuto il valore della RFS per i pazienti. Negli studi di adiuvante in corso con le nuove molecole (ipilimumab, MAGE-A3 vaccination) l’endpoint primario è infatti la RFS, come era stato per lo studio EORTC 18991 con interferone peghilato5. Pur considerando le modifiche introdotte nella stadiazione e prognosi dei pazienti6-8 dall’applicazione della ricerca del linfonodo sentinella9, molti studi con l’IFN – pur non ottenendo un aumento significativo della OS – hanno mostrato un vantaggio significativo in RFS (French CGM10, Austrian MMCG11, ECOG 169012, EORTC 189915).


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Una recente metanalisi pubblicata da Mocellin et al13, aggiunta alle precedenti (Wheatley 200314 e Wheatley 200715), ci permette alcune considerazioni per un atteggiamento condiviso nell’uso in adiuvante dell’interferone nel melanoma. Gli studi clinici che si sono succeduti negli anni (Tabella 1) hanno interessato popolazioni disomogenee per stadiazione (chirurgia, linfonodo sentinella) e per modalità di follow-up (ecografia linfonodale), e non permettono una comparazione diretta tra i vari trial. Considerando la numerosità necessaria per dimostrare piccole differenze e la loro durata (più di 5 anni), molti studi vanno valutati con aspetto critico e costruttivo per cercare di trarne considerazioni che ci possano permettere un atteggiamento condivisibile nell’approccio al paziente con rischio di recidiva.

LE METANALISI La Tabella 2 riassume le caratteristiche delle metanalisi più recenti sulla terapia adiuvante del melanoma con interferone. Considerando che la metanalisi di Wheatley del 2007 (presentata all’ASCO, ma non ancora pubblicata)15 è un’ evoluzione di quella pubblicata nel 200314, possiamo considerare la seconda e quella pubblicata da Mocellin et al nel 201013 come le più aggiornate e meritorie di considerazione. In particolare Wheatley nel 200715 ha considerato 13 trial randomizzati internazionali per un totale di 6067 pazienti. È stato utilizzato il metodo standard individual patient data (IPD) metaanalysis, che prevede l’uso di un database individuale dei pazienti al fine della valutazione dei risultati. L’IPD è stato ottenuto per 10 dei 13 trial

considerati e per l’85% dei pazienti. Gli studi sono stati suddivisi secondo il dosaggio di IFN in alte dosi (HDI: 20 MU/m2), dosi intermedie (IDI: 5-10 MU), basse dosi (LDI: 3 MU) e dosi molto basse (VLDI: 1 MU). È stata anche eseguita un’analisi dei sottogruppi in relazione all’età del paziente, al sesso e alle caratteristiche della malattia. Il risultato di questa metanalisi ha mostrato un beneficio assoluto in termini di sopravvivenza totale per i pazienti trattati con melanoma del 3% (IC 95%: 1-5%) indipendente dal dosaggio e dalla durata del trattamento. Mocellin et al13 hanno eseguito una metanalisi standard considerando 14 trial clinici randomizzati per un totale di 8122 pazienti. È la metanalisi con il maggior numero di pazienti considerati. L’analisi dei dati ha dimostrato che l’IFN ha un impatto statisticamente significativo, nei pazienti con melanoma ad alto rischio di recidiva, sia sulla sopravvivenza libera da malattia (DFS), con una riduzione del rischio relativo del 18% (HR: 0,82; IC 95%: 0,77-0,87), che sulla OS con una riduzione del rischio relativo dell’11% (HR: 0,89; IC 95%: 0,83-0,96). L’analisi dei sottogruppi ha inoltre evidenziato che negli studi con arruolamento esclusivo di pazienti con stadio III di malattia non è stato riscontrato alcun beneficio statisticamente significativo per la OS, così come non è stato dimostrato alcun vantaggio nel trattamento con IFN nei trial che hanno utilizzato HDI. Allo stesso modo, non è stata evidenziata significatività in rapporto alla durata o al dosaggio. Infatti, considerando il dosaggio di IFN, i risultati dell’analisi dei sottogruppi non hanno evidenziato nessun vantaggio o svantaggio delle HDI rispetto alle LDI o IDI. Va segnalato che l’impatto dell’IFN sulla OS rimaneva statisticamente significativo solo quando venivano considerati gli studi clinici che utilizzavano le LDI o IDI. Sebbene nessuno


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PA Ascierto et al.

TABELLA 1 Caratteristiche dei principali trial adiuvanti di fase III in pazienti con melanoma ad alto rischio Rif Intergroup trial

Stadio AJCC

N. totale dei pazienti arruolati

Bracci

N. pazienti per braccio

RFS P value

OS P value

Creagan et al, 199531 NCCTG 83-7052

II-III

262

2

HDI Controllo

131 131

0,19

0,40

Kirkwood et al, 19961 ECOG E1684

IIB-III

287

2

HDI Controllo

143 137

0,0023

0,0237

Grob et al, 199810 French CGM

IIAB

499

2

LDI Controllo

253 246

0,035

0,059

Pehamberger et al, 199811 Austrian MMCG

IIAB

311

2

LDI Controllo

154 157

0,02

nd

Kirkwood et al, 200012 ECOG-US Intergroup E1690

IIB-III

642

3

HDI LDI Controllo

203 203 202

0,03 0,17

0,744 0,672

Kirkwood et al, 200121 ECOG-US Intergroup E1694

IIB-III

774

2

HDI GM2/QS-21

385 389

0,006

0,04

Cascinelli et al, 200127 WHO 16

III

444

2

LDI Controllo

218 208

0,50

0,72

Cameron et al, 200138 Scottish MG

II-III

96

2

LDI Controllo

47 49

>0,1

>0,2

Hancock et al, 200439 UKCCCR-MCG

IIB-III

654

2

LDI Controllo

338 336

0,3

0,6

Kleeberg et al, 200440 EORTC 18871

II-III

423

3

UDI IFNg Controllo

240 244 244

0,71 0,73

0,72 0,25

Kleeberg et al, 200440 DKG-80

II-III

407

4

Iscador Controllo

102 102

0,12

0,31

Eggermont et al, 200529 EORTC 18952

IIB-III

1418

3

IHD-IFN ILD-IFN Controllo

565 569 284

0,1

0,2

Eggermont et al, 20085 EORTC 18991

III

1256

2

PEG-IFN Controllo

627 629

0,011 0,107

0,78

Pectasides et al, 200920 He.Co.G

IIBC-III

364

2

mHDI 1 mese 182 HDI 12 mesi 182

0,94

0,51 Segue


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Segue TABELLA 1 Caratteristiche dei principali trial adiuvanti di fase III in pazienti con melanoma ad alto rischio Rif Intergroup trial

Stadio AJCC

N. totale dei pazienti arruolati

Bracci

III

444

3

LDI LDI + DTIC Controllo

Hauschild et al, 200937 DeCOG

IIABC

650

2

Hauschild et al, 201033 DeCOG

IIABC

850

Hansson et al, 201141 Nordic IFN Trial

IIBC-III

Garbe et al, 200832 DeCOG

Chiarion Sileni et al, 201134 IMI Mela Agarwala et al, 201136 ECOG1697

N. pazienti per braccio

RFS P value

OS P value

148 148 148

0,018 0,97

0,0045 0,76

LDI 2 anni 329 mHDI 1 mese + LDI 23 mesi 321

0,90

0,66

2

LDI 18 mese 427 LDI 60 mesi 423

0,72

0,86

855

3

IDI 13 mesi IDI 25 mesi Controllo

285 286 284

0,034 0,178

0,652 0,858

III

330

2

IHDI HDI

172 158

ns

ns

IIABC-IIIA

1,150

2

HDI 1 mese Controllo

581 569

0,690

0,387

RFS: sopravvivenza libera da recidiva; OS: sopravvivenza globale.

studio clinico preso singolarmente e nessuna delle metanalisi finora condotte aiutino ad identificare la dose ideale o la schedula più vantaggiosa o la durata ottimale del trattamento con IFN nella terapia adiuvante dei melanomi a rischio intermedio-alto, la riduzione del rischio di recidiva e in minor misura del rischio di morte – indipendentemente da tali parametri o dalla formulazione peghilata o meno – è sempre consistente e a vantaggio del braccio IFN. Tuttavia, il fatto che non emergano differenze fra dosi e durata non esclude che ci possano essere. In sintesi le due metanalisi dimostrano che il trattamento adiuvante con IFN procura un

beneficio assoluto in termini di sopravvivenza del 3% con una riduzione del rischio relativo del 18% sulla DFS e dell’11% sulla OS. Questa è la base di discussione sull’uso dell’IFN adiuvante nel melanoma. Queste percentuali (soprattutto quella relativa al beneficio assoluto) sono simili alle percentuali ottenute dai trattamenti adiuvanti più importanti usati in oncologia in altre neoplasie come mammella, colonretto ed ovaio (Tabella 3)16 e la diversità di significatività dei singoli studi è sostenuta dalla numerosità e dall’omogeneità di selezione dei pazienti, più che dall’attività intrinseca del trattamento.


INTERFERONE ALFA E MELANOMA

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PA Ascierto et al.

TABELLA 2 Caratteristiche delle più importanti metanalisi sul trattamento adiuvante con interferone del melanoma Metanalisi

Obiettivo dello studio

Disegno dello studio

N. totale dei trial e dei pazienti inclusi

Wheatley 200314

Valutare l’effetto di IFN su RFS e OS

Metodi standard per le metanalisi quantitative

12 trial N. pazienti = 6086

Wheatley 200715

Valutare l’effetto di IFN su RFS e OS

Standard individual patient data (IPD) meta-analysis

IPD ottenuto per 10 dei 13 trial considerati (per gli altri 3 sono stati usati i dati pubblicati). N. pazienti = 6067 (IPD ottenuto per l’85% dei pazienti)

Mocellin 201013

Esaminare l’effetto di IFN su DFS e OS in pazienti con melanoma cutaneo ad alto rischio

Metanalisi standard

14 trial N. pazienti = 8122

Metanalisi

Risultati chiave e conclusioni

Wheatley 200715

“There was statistically significant benefit for IFN for both EFS (OR = 0.87, CI = 0.81-0.93, p = 0.00006) and OS (0.9, 0.84-0.97, p = 0.008).” “This proportional survival advantage translates into an absolute benefit of about 3% (CI 1%-5%) at 5 years.” “Patients with ulcerated tumors had greater benefit from IFN (EFS: OR = 0.76, OS: OR = 0.77) than those with no ulceration (EFS: OR = 0.94, OS: OR = 0.98).”

Mocellin 201013

“IFN-a statistically significantly improves both DFS (risk reduction = 18%) and OS (risk reduction = 11%) of patients with high-risk cutaneous melanoma.” “In this regard, we must remember that other well-established adjuvant treatments, such as those routinely administered to patients with breast, colorectal, and ovarian carcinomas, are associated with analogous risk reductions.”

TABELLA 3 Beneficio assoluto a 5 anni dei più importanti trattamenti adiuvanti per tumore16 Regime adiuvante

Tipo di tumore

Percentuale beneficio assoluto a 5 anni

IFN vs nessun trattamento

Melanoma

3,0

CT CMF-like vs nessun trattamento

Mammella

4,7

CT a base di antracicline vs CT CMF-like

Mammella

3,3

FolFox vs nessun trattamento

Colon-retto

5,9

CT a base di platino vs nessun trattamento

Polmone

4,1

CT a base di platino vs nessun trattamento

Ovaio

7-9


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MECCANISMO D’AZIONE DELL’INTERFERONE Nonostante l’intenso dibattito suscitato dai risultati controversi dei vari trial clinici, poco è stato detto sul meccanismo di azione dell’interferone. Il razionale dell’uso di alte dosi nello studio ECOG 1684 si basava sull’evidenza in vitro di citotossicità diretta ottenibile solo ad elevate concentrazioni plasmatiche. L’analisi delle curve di riduzione del rischio in qualche modo avvalorava questa convinzione, dimostrando un rapido decremento iniziale sostenuto quasi esclusivamente dal primo mese endovena (ev). Gli studi successivi prodotti dal gruppo di John Kirkwood nel setting di pazienti trattati in regime neoadiuvante hanno invece documentato come il meccanismo sia fondamentalmente immunomodulante indiretto16. La Tabella 4 riassume le principali evidenze dell’azione immunomodulatoria indiretta dell’IFN. Lo studio neoadiuvante di Moschos17 è stato il primo a dimostrare tale tipo di azione delle HDI. Infatti 20 pazienti con malattia linfonodale macroscopicamente evidente (stadi IIIB-C) sono

TABELLA 4 Principali evidenze del meccanismo immunomodulatore indiretto di HDI16 • Incremento nelle cellule tumorali infiltranti • Modulazione del rapporto STAT1/STAT3 nelle cellule tumorali e nei linfociti dell’ospite • Sviluppo di autoanticorpi e manifestazioni cliniche di autoimmunità (~30%) • Cambio delle concentrazioni sieriche di citochine • Diminuzione di cellule Treg circolanti • Normalizzazione della trasduzione difettosa del segnale nelle cellule T dei linfociti periferici HDI: interferone ad alte dosi

stati trattati, prima dell’intervento di radicalizzazione chirurgica, con il solo schema di induzione (4 settimane ev) dell’ECOG 16841. I pazienti sono stati sottoposti a biopsia preoperatoria per la valutazione dell’infiltrato linfomonocitario. La comparazione dei risultati ottenuti sulle biopsie primarie rispetto a quelli ottenuti sui campioni linfonodali metastatici post-chirurgici, ha evidenziato un incremento, nei pazienti che avevano risposto al trattamento, delle popolazioni CD11c+ e CD86+ che rappresentano sottopopolazioni di cellule dendritiche a derivazione monocitaria. Sempre nello stesso studio di neoadiuvante è stato dimostrato, sui campioni linfonodali metastatici pre e post-trattamento con IFN, l’incremento del rapporto STAT1/STAT3. Infatti, le alte dosi di IFN sarebbero in grado di up-regolare la proteina STAT1, mentre contemporaneamente down-regolano la proteina STAT3. Questa azione combinata sulle proteine STAT1 e STAT3 si traduce in un incremento della risposta immunitaria antitumorale18. Un’altra evidenza a sostegno del meccanismo immunomodulatorio indiretto è lo sviluppo di autoimmunità19 nel corso o dopo trattamento con IFN. Nello studio ellenico20 sul trattamento adiuvante di pazienti con melanoma ad alto rischio, dove è stato comparato il solo trattamento endovena (4 settimane di trattamento con IFN al dosaggio di 15 MUI/m2/5 giorni a settimana) con uno schema modificato dell’ECOG 1684 (4 settimane di trattamento ev con IFN al dosaggio di 15 MUI/m2/5 giorni a settimana seguite da 48 settimane di trattamento con IFN sc al dosaggio di 10 MUI/TIW), è stato dimostrato che lo sviluppo di autoanticorpi e manifestazioni cliniche di autoimmunità, osservabile in circa un quarto dei pazienti trattati, era associato con un miglioramento significativo sia della RFS che della OS.


INTERFERONE ALFA E MELANOMA PA Ascierto et al.

Tale evidenza era presente anche nel gruppo di pazienti trattati con il solo mese di terapia ev. Nello studio ECOG169421 sono state valutate le modifiche nella concentrazione di alcune citochine sieriche, modifiche che sono state correlate con il trattamento con HDI e vaccinoterapia con ganglioside22. Per l’occasione è stato utilizzato un ‘multiplexed cytokine assay’, che ha permesso l’analisi di 29 differenti citochine e fattori di crescita ed angiogenetici nei pazienti dello studio ECOG 1694 e nei donatori sani. L’analisi dei sieri dei pazienti trattati con HDI, con vaccino e nei donatori sani, ha mostrato l’aumento nella concentrazione sierica di alcune citochine (IP-10, IFN-a, MCP-1, IL-12p40, soluble TNFR-I, TNFR-II, IL-2R) e la diminuzione della concentrazione sierica di alcuni fattori di crescita ed angiogenici (VEGF, EGF, HGF). Inoltre, un altro dato interessante è stato che il livello sierico pretrattamento di alcune citochine proinfiammatorie (IL-1a, IL-1b, IL-6, TNFa, e le chemochine MIP1a e MIP-1b) era significativamente più elevato nei pazienti trattati con HDI e che avevano una RFS maggiore di 5 anni, rispetto a quelli con una ricaduta precoce. Tale correlazione non è stata riscontrata nei pazienti trattati con vaccino GMK. Pertanto, il livello basale di alcune citochine sieriche potrebbe predire la responsività al trattamento con HDI. I pazienti con melanoma possiedono livelli basali di linfociti T regolatori (Treg) elevati rispetto ai controlli sani23. Sulla scorta delle evidenze pubblicate da Moschos e dal gruppo ellenico, è stato disegnato uno studio biologico sulla possibile capacità dell’IFN di ridurre i livelli circolanti di Treg come ulteriore possibile dimostrazione di un effetto immunomodulatorio indiretto24. Sono stati valutati i livelli circolanti di Treg di 22 pazienti con melanoma sottoposti a tratta-

mento ev con IFN (sia come adiuvante sia come neoadiuvante). Lo studio ha dimostrato un trend nella riduzione di tale sottopopolazione circolante in seguito al trattamento con HDI (riduzione media di 0,29% a settimana). Infine, il gruppo di Lee25 ha studiato la trasduzione difettosa del segnale nei linfociti T dei pazienti affetti da melanoma. Infatti è stata utilizzata l’analisi dello STAT1 fosforilato per documentare la frequenza elevata della trasduzione difettosa del segnale nelle cellule T dei linfociti periferici (PBL) di pazienti con melanoma avanzato (~30%). L’esposizione in vitro di tali linfociti ad alte concentrazioni di IFN (quali quelle che vengono raggiunte in seguito a trattamento con HDI) normalizza tale difetto ripristinando la fosforilazione dello STAT1. Tale risultato non è stato raggiunto con l’esposizione di tali linfociti a dosaggi più bassi di IFN. Inoltre, in una limitata esperienza di pazienti trattati con HDI neoadiuvante26 i responder e quelli con un risultato a lungo termine hanno mostrato un aumento significativo nei linfociti periferici del signaling dell’interferone dal day 0 al day 29, in confronto ai pazienti clinicamente non-responder e quelli che hanno sviluppato metastasi. Tali risultati suggerirebbero che il pattern di signaling dell’IFN nei PBL potrebbe correlare con la risposta clinica all’IFN e predire la risposta al trattamento con HDI nei pazienti con melanoma.

L’INTERFERONE ATTRAVERSO I VARI STUDI CLINICI Lo studio ECOG 16841 ha rappresentato il primo studio positivo nel trattamento adiuvante del melanoma. Nonostante ciò, i risultati negativi sulla OS del successivo studio ECOG 1690 (dove

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si confrontavano HDI e LDI vs l’osservazione)12 e la tossicità del trattamento hanno innescato una controversia che ancora oggi non trova soluzione sulla schedula più appropriata dell’IFN e la sua durata. Il risultato delle metanalisi non supporta l’idea che il solo trattamento con HDI impatti sulla OS, benché studi singoli come il WHO 1627, che aveva riportato risultati preliminari interessanti28, non abbiano raggiunto la significatività statistica né sulla DFS né sulla OS con trattamento triennale con LDI. Tuttavia qualche considerazione al riguardo di quest’ultimo trial andrebbe fatta. Innanzitutto 432 dei 444 pazienti arruolati (97,3%) presentavano malattia clinicamente evidente. Inoltre, all’epoca non era stata ancora introdotta la variabile chirurgica del numero minimo di linfonodi che devono essere escissi al fine dell’adeguatezza del trattamento chirurgico radicale. Questa popolazione (essenzialmente stadio IIIB e C) si è dimostrata non responsiva al trattamento con IFN nei 2 studi di adiuvante dell’EORTC 1895229 e 189915 (HR: 0,96; IC95%: 0,82-1,11; p: 0,57)30. Mentre nella popolazione N1 e con ulcerazione del primitivo il trattamento con IFN ha mostrato un impatto sulla OS rilevante con un HR di 0,59 (IC95%: 0,35-0,97; p: 0,006). Non va però trascurato che gli studi di neoadiuvante hanno dimostrato un’efficacia e un’attività delle HDI nella malattia macrometastatica. Anche lo studio di Creagan31, che utilizzava dosaggi elevati di IFN somministrati per via im, non aveva mostrato alcun vantaggio sia in termini di DFS che di OS. Uno studio più recente del gruppo cooperativo tedesco, in cui i pazienti affetti da melanoma con metastasi linfonodali ricevevano LDI per 24 mesi, ha evidenziato un significativo miglioramento sia nella DFS che nella OS32.

Sempre il gruppo tedesco ha dimostrato che un trattamento prolungato per 60 mesi rispetto ai classici 18 mesi33 con LDI nei pazienti con un melanoma primitivo ≥ 1,5 mm non modifica in alcun modo la DFS e l’OS. Sembrerebbe che i pazienti con malattia macrometastatica possano beneficiare maggiormente di un trattamento adiuvante con HDI endovena, mentre i pazienti con micrometastasi ed ulcerazione della lesione primitiva possano beneficiare di un trattamento a dosaggi più bassi o con PEG-IFN. In conclusione, poter identificare i pazienti responder da quelli non responder è la chiave di volta per l’uso adiuvante dell’interferone nel melanoma. Sembra infatti assodato che le differenze nei risultati dei vari trial clinici ed il risultato stesso delle metanalisi sia dovuto più alla mancanza di selettività biologica e molecolare nella scelta dei pazienti da trattare che alla scarsa efficacia dell’interferone.

One shot treatment Lo studio ellenico20 di comparazione del trattamento con la sola schedula di induzione endovena verso un trattamento prolungato ha creato l’aspettativa che potessero bastare le sole quattro settimane endovena. La possibilità di un trattamento tutto e subito (one shot) è attraente e sarebbe molto gradita ai pazienti per il minore impatto sulla qualità di vita e sull’attività lavorativa, considerando che l’età media dei pazienti con indicazione al trattamento è di circa 50 anni. Lo studio neoadiuvante di Moschos17 supporta tale idea dimostrando l’impatto delle HDI endovena sul sistema immunitario e sulla riduzione delle metastasi linfonodali clinicamente evidenti. Inoltre, proprio lo studio ellenico ha dimostrato che l’incidenza della comparsa di au-


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toanticorpi o manifestazioni cliniche autoimmunitarie nei pazienti trattati con IFN è stata di poco superiore nei pazienti che hanno ricevuto il trattamento per un anno rispetto a quelli trattati con la sola induzione (28% vs 24%). Infine, il gruppo italiano IMI ha riportato recentemente34 i risultati di uno studio su 330 pazienti che paragonava uno schema di HDI intensificato (HDI: IFN alfa-2b 20 MU/m2 ev/die per 5 gg/settimana x 4 settimane; 1 month off - 4 cicli, 7 mesi) rispetto alla classica schedula HDI dello studio ECOG 1684. L’analisi dei dati sulla OS e sulla RFS a 5 anni non ha evidenziato differenze significative tra i due trattamenti (HR: 1,0; IC95%: 0,8-1,5), anche se la mediana di RFS è di 48 mesi per il trattamento intensivo ev rispetto a 39,6 mesi per il trattamento standard. Sarebbe necessaria una numerosità nettamente superiore perché il risultato avesse la giusta confidenza. Il gruppo dermato-oncologico tedesco35 ha completato uno studio simile: l’analisi congiunta porterebbe alla numerosità necessaria per chiarire questo punto. Un’ulteriore osservazione è che la one shot therapy dovrebbe essere riservata ai pazienti con stadio IIIBC di malattia. Infatti lo studio ECOG 169736, che comparava il mese di sola induzione con HDI versus la sola osservazione e che ha arruolato pazienti allo stadio IIAB (80% della popolazione totale) e IIIA (il rimanente 20%), non ha evidenziato differenze significative tra la sola induzione con HDI e l’osservazione, e ha confermato l’ottima prognosi dei pazienti in questi stadi di malattia. Anche lo studio DeCOG del 200937, che comparava uno schema con HDI modificate (10 MU/m2 ev x 5 gg/settimana per 2 settimane e 10 MU/m2 sc x 5 gg/settimana per altre 2 settimane) seguito da 23 mesi con LDI versus 2 anni con le sole LDI, non ha evidenziato differenze significative nella categoria dei pa-

zienti allo stadio IIA, B e C (100% della popolazione arruolata) (Tabella 1).

LE RACCOMANDAZIONI DELL’ADVISORY BOARD ITALIANO Anche se questa ulteriore trattazione potrebbe risultare ancora non abbastanza convincente su quale atteggiamento adottare nei confronti dei pazienti con melanoma ad alto rischio, ci permettiamo di dare delle indicazioni. I risultati delle metanalisi non lasciano ombra di dubbio sul fatto che l’IFN dia un beneficio sulla OS (3% assoluto; 11% riduzione del rischio relativo). Poiché al momento non esiste nessun trattamento che possa dare un simile beneficio in termini di OS, l’IFN deve essere proposto, al di fuori delle sperimentazioni cliniche, ai pazienti ad alto rischio di recidiva. Anche le linee guida AIOM (versione aggiornata a dicembre 2010), alla luce dei risultati della metanalisi di Mocellin, raccomandano quanto meno di proporre al paziente un trattamento adiuvante con IFN nei melanomi cutanei ad alto rischio. Qual è la schedula da preferire? Abbiamo cercato di analizzare le varie possibilità di trattamento in considerazione di quanto sopra discusso e dei vari stadi di malattia. La Tabella 5 riassume le indicazioni, a nostro avviso raccomandabili, sul trattamento adiuvante con IFN secondo gli stadi di malattia. Per quanto riguarda lo stadio IIA, in considerazione dello studio francese che ha dimostrato un trend positivo nei pazienti trattati con LDI per 18 mesi10, considerando anche che il suddetto trial non prevedeva la biopsia del linfonodo sentinella (con possibilità di sottostadiazione di tali pazienti) e in attesa di ulteriori conferme in questo

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TABELLA 5 Le raccomandazioni sul trattamento con IFN nei vari stadi di malattia Stadio

Trattamento con IFN

IIA

Nessun trattamento o LDI

IIB

LDI

IIC

LDI/HDI

IIIA-IIIB

LDI/HDI/PEG*

IIIC

HDI

IVRO

No raccomandazioni

*Al momento non disponibile in Italia.

setting di pazienti, la scelta può ricadere sulla decisione di non trattare i pazienti a buona prognosi ed eventualmente riservare le basse dosi per 18 mesi per quelli a prognosi meno buona (indice

mitotico elevato, spessore > di 1,5 mm, sesso maschile, localizzazione al dorso o testa e collo). Nello stadio IIB è consigliabile un trattamento con LDI per 18-24 mesi. Nello stadio IIC è possibile scegliere tra un trattamento LDI o HDI. Negli stadi IIIA-B, sulla scorta di quanto sopradiscusso, è possibile scegliere tra un trattamento con LDI, HDI o PEG-IFN (appena sarà disponibile in Italia) a seconda delle caratteristiche del paziente da trattare e sulla scorta dell’esperienza clinica. Negli stadi IIIC il trattamento con HDI sarebbe da preferire agli altri perché sembra il solo in grado di impattare in questa categoria di pazienti. La one shot therapy (il solo trattamento d’induzione) potrebbe comunque essere una valida alternativa e è la schedula più appropriata da utilizzare nel setting preoperatorio neoadiuvante.

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Medicinale soggetto a prescrizione medica (RR) Prima della prescrizione consultare il riassunto delle caratteristiche del prodotto fornito dalla ditta produttrice. Classe A - Prezzo al pubblico IntronA 10 MUI Sol. Iniett. 1 flac. 10 MUI 88,46 IntronA 18 MUI Sol. Iniett. 1 flac. 18 MUI 147,46 IntronA 25 MUI Sol. Iniett. 1 flac. 25 MUI 203,69 IntronA Pen 18 MUI Sol. Iniett. 1 penna multidose 166,16 IntronA Pen 30 MUI Sol. Iniett. 1 penna multidose 274,63 Tali prezzi potrebbero essere soggetti a variazioni determinate da provvedimenti legislativi.

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