Il Maestro e le margherite, presentazione

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Il Maestro

e le margherite La qualità dell’assistenza sanitaria secondo Avedis Donabedian Edizione italiana commentata a cura di Stefania Rodella Con contributi di Julio Frenk Mark Best e Duncan Neuhauser Haroutune K. Armenian

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Stefania Rodella

Coordinatore dell’Osservatorio Qualità ed Equità Agenzia Regionale di Sanità della Toscana

Prima edizione italiana: novembre 2010 Titolo originale: An Introduction to Quality Assurance in Health Care © 2003 by The American University of Armenia Corporation Published by Oxford University Press, Inc. © 2010 Copyright per l’edizione italiana e per i testi di Rodella, Frenk, Best, Neuhauser e Armenian Il Pensiero Scientifico Editore Via San Giovanni Valdarno 8, 00138 Roma Tel. (+39) 06 862821 – Fax (+39) 06 86282250 pensiero@pensiero.it – www.pensiero.it www.facebook.com/PensieroScientifico Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Nessuna parte del presente volume può essere riprodotta, tradotta o adattata con alcun mezzo (compresi i microfilm, le copie fotostatiche e le memorizzazioni elettroniche) senza il consenso scritto dell’Editore La violazione di tali diritti è perseguibile a norma di legge Stampato in Italia dalle Arti Grafiche Tris srl Via delle Case Rosse 23, 00131 Roma Progetto grafico e impaginazione: Typo srl, Roma In copertina: una mappa storica dell’Armenia (Photos.com) e un ritratto di Avedis Donabedian Coordinamento editoriale: Bianca Maria Sagone ISBN 978-88-490-0331-4

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Indice

Presentazione dell’edizione italiana di Stefania Rodella Avedis Donabedian, il mentore globale di Julio Frenk Avedis Donabedian, medico e poeta di Mark Best e Duncan Neuhauser

An introduction to quality assurance in health care VII XXVII XXXI

Avedis Donabedian, ricordi personali di Haroutune K. Armenian

XXXIII

Presentazione dell’edizione originale di Rashid Bashshur

XXXVII

Prefazione dell’autore Guida alla lettura

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XXXIX XLI

Introduzione

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1. Le componenti della qualità nell’assistenza sanitaria

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2. Determinare l’oggetto del monitoraggio

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3. Stabilire le priorità da sottoporre a monitoraggio

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4. Selezionare gli approcci alla valutazione della performance

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5. Formulare criteri e standard

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6. Ottenere le informazioni necessarie

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7. Scegliere quando e come misurare

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8. Costruire un sistema di monitoraggio

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9. Cambiare i comportamenti

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10. L’efficacia del monitoraggio di qualità

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Appendice

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Bibliografia

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Opere di Avedis Donabedian sul tema della quality assurance

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VI

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Schede di approfondimento di Stefania Rodella 1. Il Total Quality Management (TQM)

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2. I cicli della qualità

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3. Qualità dell’assistenza: modelli concettuali

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4. Efficienza

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5. Quality-Adjusted Life Years

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6. Equità in salute e nell’assistenza sanitaria

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7. Relazione tra qualità delle cure e risultati di salute

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8. Indicatori per il monitoraggio e la valutazione della qualità

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9. Modelli cognitivi in relazione con la salute

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VII

Presentazione dell’edizione italiana Il Maestro è “Mister structure, process and outcome”, come lo chiamavano affettuosamente i suoi allievi. Le sue teorie sulla qualità dei servizi sanitari, delineate per la prima volta alla fine degli anni ’60, hanno avuto fortuna duratura e grande diffusione in molti Paesi e per almeno 40 anni, anche se, come egli stesso afferma, non sempre sono state correttamente comprese. Il nome Avedis in armeno significa “buone notizie”; il cognome è stato diffusamente citato con pronuncia americana (donabìdian), mentre Avedis preferiva comprensibilmente la pronuncia tradizionale armena (donabediàn). Le fotografie più recenti lo ritraggono come un signore canuto, con gli occhiali, una figura esile e un’espressione un po’ apprensiva, che in alcune immagini scivola in un accenno di sorriso. Di lui sir Muir Gray, che ha recensito il testo inglese originale di questa traduzione, ha detto “Avedis Donabedian era un Armeno e la sua nazionalità era in molti modi tanto importante per lui quanto lo erano per Archibald Cochrane le radici scozzesi”.1 Il libro “An introduction to quality assurance in health care ” è stato scritto nella fase finale di ciò che il curatore del volume ha descritto come una “battaglia con un avido cancro che indeboliva i suoi muscoli ma lasciava intatta la sua mente” ed è stato pubblicato nel 2003, tre anni dopo la sua morte all’età di 81 anni. Le margherite sono le sue poesie. Più precisamente, una di esse, “Daisies in winter”, tratta dalla raccolta non pubblicata ‘‘A second supplement to recollections of fugitive loves ” e ripro1

“Avedis Donabedian: Introduction to quality assurance in healthcare”. Book review by Sir Muir Gray: www.healthcarecultureprogramme.org/podcasts/1/

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dotta nel 2004, con il permesso del figlio Haig Donabedian, nella rivista Quality and Safety in Health Care. Di quest’arte, che praticò per tutta la vita, il Maestro disse, quando la sua fine era prossima: Quando ero giovane, scrivevo poesie d’amore. Nell’età di mezzo ho scritto poesie religiose. Diventando vecchio ho iniziato a scrivere dei vecchi amici, dei vecchi amori e delle mie esperienze giovanili. Più di recente le mie poesie sono diventate di nuovo a sfondo religioso. Scrivere poesie è molto importante per me. Sono Armeno ma sono cresciuto in Palestina con amici arabi, ebrei, cristiani. Sono andato a scuola in Libano ma ho speso la gran parte della mia vita adulta negli Stati Uniti. Tutte queste esperienze hanno arricchito il mio lavoro come medico e come insegnante. Ma è la poesia che più di ogni altra cosa dice chi sono.

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VIII

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In una corrispondenza del 1997 con Duncan Neuhauser,2 che gli chiede di inviargli un libro dei suoi versi, Avedis risponde: “Non c’è nessun libro né, probabilmente, ci sarà. La mia poesia è decisamente fuori moda, immersa com’è in un romanticismo antiquato e per giunta di insufficiente virtuosismo. Per lo più, ho scritto per me stesso, non tanto per mio personale piacere, ma per il bisogno di fronteggiare in qualche modo le cose dolorose nella mia vita”. “Ma la tua poesia”, risponde Neuhauser, “attraversa il confine tra il nostro austero lavoro professionale e la nostra condizione umana ricca di emozioni... con la poesia dici alle generazioni future che la nostra colta ricerca di una migliore assistenza sanitaria è stata condotta da donne e uomini appassionati e sensibili”.3 Questa traduzione, per i lettori italiani, di quello che è stato il testamento intellettuale di Donabedian, risponde a più di un intento. Il primo di essi potrebbe essere ascritto alla voce “storia del pensiero”: a distanza di molti anni dalla pubblicazione in lingua italiana di un’altra sua opera ormai esaurita e quasi introvabile,4 è sembrato utile rendere facilmente accessibile un testo classico, conciso e al tempo stesso rappresentativo del pensiero di uno studioso che, in tutto il mondo, è stato forse più citato che letto. Un secondo intento esprime un’esigenza di continuità: tante sono state le teorie e diversi i modelli, proposti e applicati in molti Paesi, così come in Italia, a sostegno di azioni e pratiche più o meno estese per il miglioramento della qualità dei servizi sanitari. In ognuno di essi sussistono probabilmente elementi già presenti in altri; tuttavia troppo spesso accade che nuovi modelli o teorie, più o meno intenzionalmente, si sostituiscano 2   Duncan Neuhauser, Professore presso il Dipartimento di Epidemiologia e Biostatistica della Case School of Medicine, Case Western Reserve University, Cleveland, USA. 3

Best M, Neuhauser D. Avedis Donabedian: father of quality assurance and poet. Qual Saf Health Care 2004; 13:472-3.

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Donabedian A. La qualità dell’assistenza sanitaria. Roma: Carocci, 1990.

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IX

Presentazione dell’edizione italiana a quelli che già esistono, presentandosi come “il nuovo” e perpetuando un’apparenza di contrasto e opposizione là dove invece probabilmente sarebbe possibile far emergere la sostanza delle analogie, la gradualità degli arricchimenti, la molteplicità delle prospettive. Rileggere Donabedian ha dunque significato anche una verifica di “attualità”, una ricerca di corrispondenze, un’attenzione a ciò che è comune, che non cambia, che rimane

valido, che può a ragione rappresentare ancora oggi “una base sicura”5 contro l’invadente frammentarietà e discontinuità dei nostri tempi; ma è stato anche un esercizio critico, un’occasione per riflettere, fare associazioni, condurre approfondimenti e riproporli, di pari passo, al lettore, come una traccia – certamente una delle tante possibili – per un viaggio guidato nella letteratura e nelle esperienze del mondo della qualità, disciplina tuttora controversa e in parte sfuggente, anch’essa probabilmente, come i testi di Donabedian, più citata che appresa, più dichiarata che praticata. Il terzo intento si ricollega ad ambizioni pedagogiche (anzi, andragogiche). Donabedian parla ai professionisti e sottolinea la valenza etica che per loro dovrebbe rivestire un impegno concreto sulla qualità. È un messaggio di cui siamo forse in molti a sentire ormai, insistentemente, la mancanza; una dimensione, quella dell’etica professionale, che troppo poco, o troppo timidamente, o solo da alcune rare voci, viene associata alla teoria e alla pratica della qualità nei servizi sociosanitari. Perché se è vero che le nostre organizzazioni molto devono ancora imparare per applicare con successo i metodi e gli strumenti della buona gestione, è altrettanto vero che nessun professionista, a cominciare da coloro che promuovono e guidano le piccole e grandi imprese a cui vengono affidate ogni giorno assistenza e cura di “coloro che soffrono”,6 dovrebbe allentare o rinunciare a perseguire quella tensione etica quotidiana che, al di là di ogni soluzione, innovazione o riorganizzazione pratica, più o meno vincente, continua ad essere la condizione essenziale a cui ancorare risposte e garanzie da offrire a chi cerca aiuto per la propria salute.

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Due poesie di Donabedian tratte dalla raccolta non pubblicata “A second supplement to recollections of fugitive loves”, 1995-1996 (per gentile concessione della Fundación Avedis Donabedian di Barcellona).

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Questa espressione è stata presa in prestito dal titolo italiano di un celebre libro dello psicanalista britannico John Bowlby, che sviluppò la teoria dell’attaccamento, affermando che “tutti noi, dalla nascita alla morte, siamo al massimo della felicità quando la nostra vita è organizzata come una serie di escursioni, lunghe o brevi, dalla base sicura fornita dalle nostre figure di attaccamento”. 6

Così si esprime infatti Donabedian nel suo stesso libro (vedi Prefazione dell’autore).

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X La vita 7 Donabedian era nato nel 1919 a Beirut, in Libano, negli ultimi tempi del genocidio del popolo armeno.8 Il padre e la madre, di origini contadine, venivano da una piccola città della Turchia centrale, Hoghe (Harput in turco),9 non lontana dalla capitale. La nonna paterna, che in qualche modo aveva a che fare con la medicina, poiché era una specie di guaritrice popolare e ostetrica autodidatta, era molto ansiosa di dare a suo figlio un’educazione. Così lo mandò a un ottimo college,

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Le notizie qui riportate sono state tratte soprattutto da due fonti: un’intervista ad AD condotta da Edward Berkowitz (professore di Storia e politiche pubbliche presso la George Washington University) nel 1998, dal titolo “History of Health Services Research Project: interview with Avedis Donabedian”, pubblicata sul sito della National Library of Medicine (National Information Centre on Health Services Research and Health Care Technology – NICHSR): www.nlm. nih.gov/hmd/nichsr/donabedian.html; e un obituary pubblicato nel 2000 sul Bollettino dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (vol. 78, n. 12) dopo la morte di Donabedian, scritto da Julio Frenk, suo ex allievo molto amato e a quell’epoca Executive Director dell’Evidence and Information for Policy presso l’OMS a Ginevra. Le informazioni contenute in queste due fonti sono state integrate da altri testi, citati nelle note di questa presentazione. 8

L’espressione genocidio armeno – talvolta olocausto degli Armeni o massacro degli Armeni (in lingua armena Hayoc’ C’eġaspanowt’yown o Medz Yeghern “grande crimine”, in turco Ermeni Soykırımı “genocidio armeno”) – si riferisce a due eventi distinti ma legati fra loro: il primo è relativo alla campagna contro gli Armeni condotta dal sultano ottomano Abdul-Hamid II negli anni 1894-1896; il secondo è collegato alla deportazione ed eliminazione di Armeni negli anni 1915-1916. Il termine genocidio è associato soprattutto al secondo episodio, che viene commemorato dagli Armeni il 24 aprile. Il 24 aprile 2010 è stato commemorato il 95° Anniversario del Genocidio Armeno. Sul piano internazionale, al 2010 sono 21 gli stati che hanno ufficialmente riconosciuto il genocidio, tra cui l’Unione Europea (sei risoluzioni adottate tra il 1987 e il 2005) e l’Italia, con una risoluzione adottata nel 2000 (http://genocide.am). 9

Harput, o Kharput, città della provincia di Elharzig situata a un’altitudine di circa 1000 metri, si trova tra il Tigri e l’Eufrate; quindi la regione corrisponde all’antica Mesopotamia (tra i fiumi), ma da un punto di vista geografico è in realtà collocata nell’Anatolia orientale. Nella sua storia recente, è stata per molti anni un importante centro per i missionari americani, che avevano costruito un semi-

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Il Maestro e le margherite l’Euphrates College, diretto dai missionari americani. Il padre concluse gli studi e per un po’ di tempo insegnò, ma c’erano problemi politici e così decise di lasciare tutto, nonostante avesse davvero pochi soldi, per andare a Beirut a studiare medicina in un’università americana. La madre rimase ad Harput con due figlie, ma a un certo punto iniziarono le deportazioni. Così Donabedian parla di questo periodo storico: Talvolta li chiamano massacri, altre volte genocidio, ma fondamentalmente consistevano nel raccogliere gli uomini armeni più influenti e fucilarli: raccoglierli in gruppi, fucilarli e poi seppellirli in fosse comuni. Donne e bambini e alcuni uomini più anziani venivano deportati e quindi strappati via da qualunque luogo in cui vivessero e mandati a marce forzate attraverso il deserto, attraverso l’Iraq, giù fino in Siria. Alcuni arrivarono fino al Libano e alla Palestina. Lungo la strada morivano di fame, di malattia, di attacchi diretti, morivano perché venivano gettati in grotte o spinti in acqua. Sono morti in tanti, davvero tanti; le stime parlano di un milione, un milione e mezzo, nessuno lo sa con precisione. Mia madre è passata attraverso tutto questo. Molti componenti della famiglia di Avedis morirono, incluse le sorelle. Ma la madre fu veramente coraggiosa, forte, piena di risorse, intelligente. Non era andata a scuola, fu il marito, dopo il matrimonio, a insegnarle a leggere e a scrivere in armeno. Ma sopravvisse al disastro. Nel frattempo, il padre studiava medicina ed era più o meno al sicuro perché a Beirut non ci furono deportazioni o saccheggi. Dopo le terribili esperienze della guerra, i genitori di Donabedian si riunirono a Beirut. Qui nacque dunque Avedis, duran-

nario teologico, delle scuole ed il “Collegio dell’Eufrate” per le loro missioni protestanti. Nel novembre 1895, durante quelli che furono chiamati i “massacri hamidiani”, Kharput fu attaccata, molte case, chiese e monasteri armeni furono saccheggiati, le scuole protestanti furono date alle fiamme. Molti Armeni perirono nei massacri. Nel 1915, Kharput fu una delle città colpite dal genocidio armeno.

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Presentazione dell’edizione italiana

XI te la seconda fase degli studi medici del padre che, dopo la laurea, si trasferì in Palestina e si stabilì, con la sua vita e il suo lavoro, a Ramallah, a quel tempo una piccola città che contava circa 3000 abitanti, tutti cristiani, in una zona abitata da musulmani. Il padre lavorò a Ramallah come medico della comunità. Era: Il tipico esempio di persona che faceva veramente e praticamente tutto. Era molto dedicato ai suoi pazienti, ce la metteva tutta nel tenersi aggiornato, leggendo riviste mediche e ordinando libri in continuazione. Aveva una grandissima curiosità riguardo alla sua arte e alla sua pratica, ma era soprattutto una persona di grande umanità, davvero gradevole. Visse a Ramallah tutta la sua vita. Dopo Avedis nacquero due fratelli e una sorella, che in seguito, come lui, si sarebbero trasferiti negli Stati Uniti. Della propria appartenenza religiosa Donabedian dice: Siamo cristiani, tutti gli Armeni sono cristiani. Ma non siamo ortodossi, siamo protestanti. I miei nonni si convertirono al Protestantesimo in seguito all’intervento dei missionari in quell’area. Così mio padre era un cristiano e io sono nato come cristiano e protestante, così come mia moglie. Siamo Armeni cristiani protestanti. Come nazione, gli Armeni sono diventati cristiani intorno al 300 d.C.

In alto: marcia degli Armeni deportati dalla città di Harput (immagine della Croce Rossa americana). In basso: profuga armena con il figlio (immagine dalla mostra fotografica di Armin Wegner organizzata dalla Comunità Armena di Roma).

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Così Donabedian, cresciuto in questa piccola città araba, figlio di un medico, frequenta una scuola quacchera privata (appartenente alla rete delle famose “Friend’s Schools”), dove riceve la migliore educazione allora disponibile in Palestina. Ma, soprattutto, Avedis dichiara di aver ricevuto un’educazione alla coscienza sociale e all’apertura mentale, alla disponibilità ad accettare le differenze: Penso che tutti coloro che frequentarono quella scuola furono in qualche modo contagiati da questa mentalità e da questa disponibilità ad accettare le diversità. Loro insegnavano che

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XII

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un buon musulmano è esattamente uguale a un buon cristiano o a un buon ebreo. Così fu davvero una bella esperienza, sia in termini di formazione che di ideologia. Dopo la scuola superiore decide di studiare medicina, seguendo le orme del padre, perché, sostiene, che altro si poteva fare a quei tempi in Palestina? Si poteva scegliere di essere un farmacista, un dentista o un medico. Non credo sia stata una scelta molto ponderata. Mio padre era un medico, io ho fatto il medico... avevo paura del sangue, ma ho scelto di fare il medico. Per studiare medicina ritorna alla sua Beirut natale, a quell’epoca città cosmopolita, elegante, tranquilla, certo assai diversa da ciò che sarebbe diventata. Lì Avedis incontra Dorothy, che più tardi sposerà; e qui, come il padre, frequenta l’Università americana. Si laurea nel 1944 e a quel punto, dovendo scegliere la specializzazione, si orienta verso la medicina interna, perché... Non riuscivo a immaginarmi come specialista. Qualunque specialità era semplicemente troppo ristretta. Per intenderci, visitare solo bambini per tutto il tempo... non potevo scegliere niente che fosse più limitato della medicina in generale, così sono diventato un medico generalista. Sono tornato alla città di mio padre, la mia città, Ramallah, e ho perso un po’ di tempo qui e là senza decidere che cosa fare. Alla fine ho preso lavoro all’ospedale della Missione inglese a Gerusalemme. Ma dopo un anno o due si rende conto dell’utilità di sviluppare un’esperienza specifica in qualche settore. Così sceglie la pediatria e trascorre sei mesi in Inghilterra, non diventando uno specialista nel vero senso della parola, ma acquisendo maggiori competenze nella cura dei bambini. Erano momenti difficili, sia il viaggio di andata sia quello di ritorno vengo-

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no fatti in navi militari, cabine separate per donne e uomini, in Inghilterra c’era il razionamento, non c’era frutta, ma Avedis ricorda quel periodo come un momento felice e poi, sottolinea, “eravamo giovani”. Quando ritorna a Gerusalemme e, dopo aver lavorato per un po’ ancora all’Ospedale della Missione inglese, si accinge ad avviare il suo ambulatorio medico privato, scoppia la guerra10 e tutto va in fumo. Donabedian e la moglie perdono tutto: proprietà, mobili, libri, ogni cosa. Tornano a Beirut e Avedis ottiene un lavoro all’Università americana, dove gli viene chiesto di fare “tutto quello che nessun altro voleva fare”. Esercita soprattutto come medico generico, svolgendo anche qualche attività di insegnamento in fisiologia e farmacologia, nutrizione... fa insomma un po’ 10

Siamo negli anni ’47–’48, quando ha inizio il conflitto arabo-israeliano.

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XIII

Presentazione dell’edizione italiana In alto: scorcio di Beirut (I love Beirut/photos.com). In basso: Chiesa Armena di Sant’Elia a Beirut.

di tutto, ma il suo lavoro principale è avere cura di pazienti e studenti, prestando anche servizio in un piccolo “piano di salute” (una specie di Health Management Organization ) collegato all’Università. Più tardi diventa direttore del Servizio sanitario per gli studenti. Dopo qualche anno di questa attività Donabedian vuole imparare di più, sia sul modo di condurre un ospedale, sia sulla diffusione delle malattie: la scelta della Public health è pressoché obbligata. E nel 1953 prende la strada degli Stati Uniti e si stabilisce ad Harvard con una borsa di studio, mentre la moglie ottiene una borsa alla Boston University per proseguire i suoi studi in discipline infermieristiche. Quando parte, Donabedian spera di poter restare negli Stati Uniti a lungo, per molte ragioni: La prima ragione era l’incertezza politica. I miei genitori erano rifugiati nel Medio Oriente e non sentirono mai di appartenervi. Erano trattati con ogni riguardo, mio padre era un medico, ma semplicemente non facevano parte di quella popolazione. Loro erano rifugiati, noi eravamo diventati rifugiati. Io ero un rifugiato palestinese in Libano, usavo le carte di razionamento. Mi dissi: “Questo accadrà ancora. I miei figli diventeranno rifugiati. Quando è troppo è troppo. Negli Stati Uniti invece potranno sistemarsi in modo abbastanza stabile”. Poi c’erano ragioni professionali; semplicemente vedevo maggiori opportunità. Non volevo essere legato a quell’unica università, senza possibilità di andarmene se avessi avuto dei contrasti. Nel 1955 Donabedian conclude il suo Master of Public health. In teoria, secondo gli accordi, egli dovrebbe tornare in Libano e riportare nel suo Paese le competenze acquisite. Ma grazie al suo principale insegnante e supervisore, Franz Goldmann (anch’egli un rifugiato dalla Germania, con una famiglia ebrea), viene presentato a Leonard Rosenfeld, un autorevole ricercatore che acconsente a sponsorizzarlo e lo assume come assistente di ricerca in un suo progetto. Così Avedis smette di essere un vero medico...

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XIV

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Non ho mai veramente pianificato quello che faccio ora. Quando sono venuto negli Stati Uniti non sapevo nemmeno che cosa fossero la Blue Cross o la Blue Shield.11 Non sapevo proprio nulla. Rosenfeld divenne la persona più importante della mia vita, plasmò i miei interessi e mi formò nel campo della Health services research. Seguendo il progetto di Rosenfeld, Donabedian comincia a interessarsi alla valutazione di qualità in diversi settori dell’assistenza alla popolazione di Boston, tra cui l’assistenza prenatale, il follow-up in comunità di pazienti con malattie croniche dimessi dall’ospedale, gli standard di cura in diversi tipi di ospedali. Quando quel progetto ebbe termine, dopo un breve periodo trascorso ad insegnare epidemiologia e medicina sociale al NewYork Medical College, fu lo stesso Rosenfeld a raccomandare Avedis per un incarico all’Università del Michigan, presso la scuola di Public health, dove dal 1961 in avanti avrebbe insegnato Health care administration e avrebbe proseguito la carriera accademica, diventando uno dei più autorevoli membri della facoltà. Qui, ad Ann Arbor, in quegli anni si sta sviluppando un programma multidisciplinare che vede fianco a fianco medici, sociologi, economisti, psicologi, esperti di management, epidemiologi, statistici, impegnati nell’analisi descrittiva e nella comprensione del sistema sanitario, in una prospettiva che era, di fatto, quella tipica della Health care policy e dell’Health care management. Penso che le due principali prospettive, in qualche misura in competizione tra loro, siano da un lato quella del welfare e delle politiche sociali e, dall’altro, quella tipica del management e del privato business-oriented. Non è chiaro quale sarà

In alto: Università del Michigan. In basso: Donabedian e il suo allievo Julio Frenk (dal sito della University of Michigan School of Public Health). Nella pagina a destra: Frenk, ora preside della Harvard School of Public Health.

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Blue Cross e Blue Shield rappresentano una Federazione di 39 compagnie di assicurazione degli USA. Le due organizzazioni, nate separatamente l’una nel 1929 e l’altra nel 1939, sono confluite in un’unica federazione nel 1982.

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