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MRD nei linfomi: evidenze dai trial clinici e utilizzo nella pratica clinica

Lo stato dell’arte sulla MRD nei linfomi è più complesso rispetto al quadro della LLC o del MM, perché i linfomi sono tanti e molto diversi l’uno dall’altro. Ci concentreremo in particolare sul linfoma mantellare e sul linfoma follicolare, per i quali i dati sulla MRD sono più numerosi, chiari e riproducibili. Nel linfoma mantellare i dati storici di MRD, ormai di più di dieci anni fa, vengono dal gruppo dello European MCL Network, in particolare dai due trial di Fase 3 Younger (Hermine O et al) ed Elderly (Kluin-Nelemans et al), che offrivano uno schema di chemio-immunoterapia e un consolidamento con trapianto autologo per i giovani e un mantenimento con rituximab (vs. interferone) per gli anziani. Già da questi trial si vedeva come la negativizzazione molecolare, valutata in maniera standardizzata tramite Real Time PCR con primers paziente-specifici (la cosiddetta ASO-qPCR) sia su sangue midollare sia periferico, fosse predittiva di una maggiore durata di risposta, anche in analisi multivariata (Pott C et al).

È importante altresì notare a quale timepoint venga studiata la MRD: infatti, sempre nello stesso studio, un aggiornamento del 2014 ci fa vedere che se valutiamo la MRD ad un anno dalla fine del trattamento, a due, tre o quattro anni (landmark analysis), i pazienti MRD positivi hanno una PFS sempre sfavorevole, con una pendenza della curva che aumenta man mano che la positività viene riscontrata in intervalli temporali successivi. Questi dati sono stati anche riprodotti nella serie italiana del protocollo MCL0208 della Fondazione Italiana Linfomi (FIL), con l’analisi a sei e dodici mesi dopo il trapianto autologo (Ferrero S et al). Pertanto, ci si continua a chiedere quale sia il timepoint migliore per valu - tare la MRD, addirittura ipotizzando una valutazione a metà del trattamento (“early MRD”).

Dati analoghi sono stati presentati sul linfoma follicolare nel protocollo FIL-FOLL12 per pazienti trattati con R-bendamustina o con R-CHOP e valutati per MRD alla fine del trattamento e a vari timepoint. In questo caso, la presenza di una MRD positività nei timepoint successivi alla fine del trattamento (a sei, dodici, diciotto e ventiquattro mesi) si traduce in un HR di PFS sempre maggiore, sempre più significativo (Ladetto M et al). Questo concetto si può comprendere in maniera più semplice osservando le curve di sopravvivenza, stratificate per risultato MRD, valutata su sangue periferico. Effettivamente, subito dopo il trattamento non emerge un chiaro impatto prognostico della MRD, ma andando a rivalutare a sei mesi, a dodici, diciotto e ventiquattro, le curve MRD positivo vs. negativo si aprono in maniera significativa (vedi Figura 7).

Per cui la ricerca attuale in campo MRD si sta focalizzando sul concetto di andare a predire l’andamento clinico dei pazienti affetti da linfoma con una valutazione MRD di tipo longitudinale, di tipo cinetico, cioè non solamente andando a studiare un punto, ma tenendo conto contemporaneamente di più punti MRD nel corso del follow-up o della terapia di mantenimento. In questo contesto sono stati sviluppati tool bioinformatici che riescono a catalogare l’andamento MRD di ciascun paziente stratificandoli così in vari gruppi caratterizzati da una peculiare cinetica MRD: questo “clustering” bioinformatico esita in curve di sopravvivenza favorevoli oppure sfavorevoli per ciascun gruppo (Cordero F et al).

Poiché il riscontro di MRD-positività a fine terapia è costantemente associato a un aumentato rischio di recidiva, sono stati fatti numerosi tentativi tesi a ridurre tale rischio, quale, per esempio, la strategia di terapia “precoce”, la “pre-emptive therapy”, che prevede l’impiego di anticorpi monoclonali quali strumento di “purging in vivo”. Dati storici nel linfoma mantellare avevano provato ad utilizzare il rituximab per reindurre risposte molecolari nei pazienti MRDpositivi dopo trapianto autologo - studio “MCL-2” del Nordic Lymphoma Group (Andersen NS et al). Più recentemente un approccio simile è stato pubblicato per il linfoma follicolare nello studio FIL-FOLL 12, dove però una strategia di omissione della terapia di mantenimento con rituximab per i pazienti MRD negativi a fine induzione e di ritrattamento con rituximab dei soli pazienti MRD positivi si è ri- velata inferiore in termini di PFS rispetto al braccio di terapia standard che offriva a tutti i pazienti il mantenimento con rituximab (Luminari S et al). Dati simili in questo senso stanno emergendo anche dagli attuali studi europei sul linfoma mantellare: lo studio LyMa (Le Gouill S et al) del gruppo francese (trattamento di prima linea con quattro cicli di RDHAP, trapianto autologo e poi una randomizzazione sul mantenimento con rituximab vs osservazione) ci fa vedere che i pazienti MRD positivi dopo

Ferrero S et al. Blood 2022;140(12):1378-1389.

Chemoimmunotherapy vs. upfront novel agents BTKi/BCL2i/PI

Contribution to predicting patient outcome

Blombery P, Cheah CY. Blood 2022;140(12):1332–1333.

AutoSCT vs. alloSCT vs. CART vs. no consolidation

Patient/disease factors (age, organ function, MPI, TP53 mut)

Anti-CD20 antibody vs. BTKi vs. lenalidomide vs. other vs. no maintenance

Dynamic longitudinal response assessment (MRD)

Ladetto M et al. Blood 2021;138(Supplement 1):41.

Kaplan-Meier based on Time-To-Progression date trapianto autologo randomizzati al braccio di osservazione sono gli unici pazienti che hanno un PFS inferiore. Questo dato ci suggerisce che il mantenimento con rituximab sia di beneficio non solo per i pazienti MRD positivi, ma anche per i pazienti MRD negativi (Callanan MB et al).

La situazione si complica ulteriormente se andiamo a considerare i recenti dati presentati in forma di abstract sullo studio R2 Elderly dello European MCL Network, protocollo che randomizzava pazienti anziani affetti da linfoma mantellare dopo chemio immunoterapia a una terapia di mantenimento con rituximab versus rituximab + lenalidomide, secondo lo schema “R2” (Delfau MH et al). In questo studio l’unico gruppo che sembra beneficiarsi del mantenimento sperimentale con R2 è quello dei pazienti MRD negativi alla fine dell’induzione. Questi dati suggerirebbero quindi che R2 nei pazienti MRD positivi non dia i benefici attesi. E analogamente la valutazione MRD a dodici mesi dall’inizio del mantenimento ci mostra che i pazienti che rimangono MRD positivi sono a cattiva prognosi, nonostante il mantenimento con rituximab o con la combinazione di rituximab e lenalidomide. Pertanto, ad oggi nei linfomi non è ancora stata individuata una strategia terapeutica in grado di eliminare l’eccesso di rischio determinato dalla MRD positività a fine terapia.

Infine, merita spazio un commento tecnico sulla valutazione della MRD. Infatti, negli ultimi anni sono state pubblicate, utilizzate e confrontate diverse tecniche: dalla classica Real Time PCR, ormai standardizzata a livello internazionale (van der Velden VHJ et al), alla Droplet Digital PCR (Drandi D et al), agli approcci di Next Generation Sequencing, sviluppati in gruppi cooperativi internazionali come il gruppo EuroClonality NGS (Brüggemann M et al). In un recente abstract sono stati confrontati questi tre approcci valutati nei trial dello European MCL Network (Pott C et al). Effettivamente tutti e tre sono in grado di stratificare i pazienti in gruppi favorevoli e in gruppi sfavorevoli, ma mentre la Real Time PCR divide i pazienti in tre gruppi prognostici (negativi, positivi e debolmente positivi, così detti “positivi non quantificabili”, con un outcome intermedio), la Digital PCR e la NGS li dividono solo in due gruppi: i “positivi non quantificabili” in Digital PCR hanno infatti lo stesso andamento clinico dei pazienti MRD negativi, mentre in NGS una prognosi sovrapponibile a quella degli MRD positivi. Questo significa che per produrre dati di MRD comparabili occorre utilizzare tecniche standardizzate, specie qualora vengano impiegate per comprendere l’efficacia delle nuove strategie terapeutiche o per disegnare studi clinici che prevedano una modulazione dei trattamenti proprio sulla base della MRD. a) Linfomi: la MRD non rilevabile può essere considerata il migliore endpoint surrogato per trial clinici, enti regolatori e pratica clinica?

Attualmente la negatività della MRD si ritiene non possa essere considerata il migliore endpoint surrogato per gli enti regolatori nel campo del linfoma mantellare e follicolare. Il discorso potrebbe essere diverso per altri tipi di linfomi, quali quelli aggressivi, ma in questo caso i dati disponibili sono ancora veramente troppo limitati per potersi esprimere con certezza. Ritornando invece ai linfomi follicolari e mantellari, sono al momento in uso alcune terapie molto efficaci in grado di controllare la malattia per anni, pur senza determinare la MRD negatività quali, ad esempio, gli inibitori di BTK. In questa situazione è sicuramente necessario procedere con lo studio della MRD su ampie casistiche di pazienti trattati con nuove strategie terapeutiche per chiarire l’impatto di ciascuna (e delle loro combinazioni) sulla cinetica della MRD. In questo senso il disegno di trial clinici che prevedano come endpoint surrogato la negatività della MRD (alcuni dei quali sono già in corso) potrà aiutare la comunità scientifica a fare chiarezza su questo interrogativo. Infine, non si crede si possa ancora considerare il raggiungimento della MRD negatività come migliore endpoint nella pratica clinica proprio in ragione delle perplessità espresse finora. b) Linfomi: qual è la tecnica preferibile per lo studio della MRD? c) Linfomi: qual è il timepoint più utile per la sua valutazione e la valutazione è da preferire localizzata o centralizzata?

Al momento la tecnica gold standard per lo studio della MRD dei linfomi è ancora la classica Real Time PCR con utilizzo di primers e probes paziente-specifici per la ricerca del riarrangiamento IGH o IGH::BCL-1 nel linfoma mantellare e del riarrangiamento IGH e del gene di fusione IGH::BCL-2 nel linfoma follicolare. Questa tecnica di PCR quantitativa è stata standardizzata a livello internazionale dal gruppo cooperatore EuroMRD e permette di ottenere risultati riproducibili e confrontabili tra i diversi laboratori. Negli ultimi anni però sta emergendo l’utilizzo di diversi approcci di tecnologia NGS che permetterebbero di ottenere perlomeno gli stessi risultati della Real Time PCR mediante l’utilizzo di un set di reagenti standard, quindi non più paziente-specifici. Questo rappresenta un grosso vantaggio, unito alla possibilità di studiare la MRD in un numero maggiore di pazienti rispetto alla tecnica classica, utilizzando un approccio “unsupervised”, ossia capace di riconoscere qualsiasi clone presente in qualunque momento e non solo quello presente alla diagnosi. Rimangono ancora dei dubbi invece sulla possibilità e la convenienza di impiegare l’NGS per raggiungere livelli di sensibilità più profondi (< 10^-5) rispetto alla Real Time PCR. Prima di dichiarare che gli approcci NGS siano la tecnica preferibile per lo studio della MRD nei linfomi occorrerà però aspettare la pubblicazione dei risultati degli studi di confronto su ampie serie di pazienti. La citofluorimetria invece, nonostante gli importanti sviluppi ottenuti in altri campi, al momento non ha ancora dimostrato di essere una tecnica adeguata, sensibile e riproducibile per la valutazione della MRD nei linfomi.

Nel campo dei linfomi non c’è accordo su quale sia il time point più utile per la valutazione della MRD, in quanto studi diversi su patologie diverse trattate con terapie differenti hanno ovviamente portato a risultati eterogenei anche nell’ambito della predizione dell’outcome. Si può dire che la risposta dipende dall’insieme dei fattori descritti. In generale, sia nel linfoma follicolare che nel linfoma mantellare il singolo time point di MRD di “fine terapia” (quindi posttrapianto o post-induzione) indagato su aspirato midollare rappresenta un time point con chiaro significato prognostico. Tuttavia, diverse evidenze suggeriscono come una misurazione ripetuta della MRD nei mesi e negli anni successivi al termine della terapia (oppure in corso di terapia di mantenimento) sia da preferire in termini predittivi rispetto ad una singola misurazione (“MRD cinetica”). Inoltre, la possibilità di ripetere queste misurazioni su sangue periferico (la cosiddetta “biopsia liquida” renderebbe possibile a livello pratico un monitoraggio non invasivo della MRD, maggiormente predittivo in termini di outcome e più conveniente per il paziente. Come già sottolineato nel punto precedente, per avere risultati affidabili la valutazione MRD deve essere centralizzata presso laboratori specializzati e standardizzati a livello internazionale.

d) Linfomi: qual è l’impatto della MRD sulle strategie terapeutiche?

Nel campo dei linfomi le evidenze di impatto del risultato MRD sulle strategie terapeutiche sono ancora purtroppo piuttosto limitate. nel setting del linfoma mantellare, per esempio, sta emergendo il concetto che le attuali strategie di mantenimento (a base di rituximab e lenalidomide) sembrino beneficiare maggiormente i pazienti MRD negativi al termine delle terapie di induzione, per cui pare impru- dente omettere il mantenimento in questi pazienti, pur a buona prognosi. Come eliminare invece l’impatto prognostico infausto di una persistente MRD positività è tuttora oggetto di dibattito, poiché non sono ancora emerse evidenze convincenti di beneficio di una specifica terapia in questo ambito. Alcuni studi sul linfoma mantellare stanno testando la possibilità di interrompere dopo alcuni anni la terapia di mantenimento nei pazienti persistentemente MRD negativi, ma i risultati di tale strategia non sono purtroppo ancora disponibili. Infine, iniziano ad emergere solo in questi ultimi mesi i primi risultati relativi alla MRD a seguito di terapie di mantenimento con inibitori del BTK, per cui il quadro descritto potrebbe mutare in seguito alla disponibilità di questi nuovissimi dati.

Conclusioni

Nonostante alcuni aspetti ancora da chiarire, alcune differenze tra le diverse patologie ed alcune criticità metodologiche ed interpretative, la valutazione della MRD sta assumendo un valore sempre più centrale nel management delle principali malattie onco-ematologiche, in quanto il suo ruolo predittivo sugli outcome a lungo termine è ormai universalmente accettato. Alcune metodiche di valutazione della MRD sono universalmente raccomandate e standardizzate, altre più nuove, quali per esempio quelle da sangue periferico o biopsia liquida, sono in fase di valutazione sperimentale. Le nuove combinazioni farmacologiche e la disponibilità di farmaci con nuovi meccanismi di azione garantiscono una percentuale sempre più elevata di MRD negatività nei diversi contesti; la prospettiva nel breve termine è pertanto quella di impiegarla come potenziale driver del tipo e della durata della terapia. Questo è, infatti, l’obiettivo di diversi studi in corso in svariate patologie, da quelle linfoproliferative al mieloma multiplo alle leucosi acute.

Tuttavia, nella pratica quotidiana, al di fuori degli studi clinici, l’impiego della MRD è molto più eterogeneo, legato alla disponibilità di risorse e di expertise nei diversi centri e per lo più riservato a finii prognostici, ma mai volto ad influenzare le scelte terapeutiche. Il panel di esperti ritiene pertanto che per poter traslare la MRD dal laboratorio alla clinica sia fondamentale la creazione e la implementazione di una rete di laboratori sul territorio italiano che innanzitutto armonizzino le tecniche molecolari e di imaging avanzato, in modo da poter produrre dati ineccepibili e riproducibili, frutto di elevata sensibilità ed accuratezza. Infatti, l’obiettivo è quello di utilizzare l’MRD come driver decisionale di terapia, nell’ottica di de-intensificare il trattamento per coloro che siano (persistentemente?) MRDnegativi e di intensificarlo per coloro che presentino una MRD citofluorimetrica/molecolare o all’imaging. Tutto ciò, infatti, dovrebbe ulteriormente contribuire alla “patient-tailored therapy” che significa maggiore probabilità di successo, minore incidenza di eventi avversi e pertanto risparmio di risorse umane ed economiche.