CASCO 1 - 2011

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Periodico trimestrale riservato alla classe medica edito in collaborazione con Via Vitorchiano 151 – 00189 Roma Tel 06 36 19 11 – Fax 06 36 380 311 www.univadis.it Numero verde 800 23 99 89 Anno 1 N. 1 – luglio-settembre 2011 Registrazione del Tribunale di Roma in corso Direzione scientifica: Fausto Roila Enzo Ballatori Gruppo editoriale: Claudia Caserta, Sonia Fatigoni, Guglielmo Fumi Azienda Ospedaliera di Terni Il Pensiero Scientifico Editore Via San Giovanni Valdarno 8 00138 Roma Tel 06 862 821 – Fax 06 862 82 250 Internet: www.pensiero.it Stampa: Arti Grafiche Tris, Roma Novembre 2011 Direttore responsabile: Giovanni Luca De Fiore Redazione: Manuela Baroncini Progetto grafico: Antonella Mion Prezzo: Fascicolo singolo €15,00 I contenuti pubblicati dalla rivista rispecchiano le opinioni degli Autori e non necessariamente quelle dell’Editore o della MSD Italia S.r.l. Ogni farmaco menzionato deve essere usato in accordo con il relativo riassunto delle caratteristiche del prodotto fornito dalla ditta produttrice.

Vol 1, n. 1, luglio-settembre 2011

In questo numero EDITORIALE

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Nasce CASCO, per le terapie di supporto ai pazienti oncologici Fausto Roila, Enzo Ballatori

DAI CONGRESSI

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... CASCO ha per obiettivo principale la rapida diffusione delle informazioni sulle novità terapeutiche e la sensibilizzazione degli oncologi nei confronti delle terapie di supporto, affinché dedichino maggiore attenzione a tali aspetti, che sono di importanza tutt’altro che secondaria per il paziente.

Focus sui congressi ASCO (Chicago) e MASCC (Atene) 2011 Fausto Roila

Fausto Roila, Enzo Ballatori

LINEE GUIDA E PRATICA CLINICA

STATISTICA PER CONCETTI

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L’emesi Fausto Roila, Sonia Fatigoni

Il problema dei confronti multipli Enzo Ballatori

TUMORI E TERAPIE DI SUPPORTO

GESTIRE IL BURNOUT

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Tumori del polmone: standard terapeutici e complicanze Lucio Crinò

1. Il burnout in oncologia: come si presenta, perché, come si previene

NOVITÀ IN TERAPIA GESTIONE EVENTI AVVERSI

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Complicanze cardiovascolari nelle terapie del carcinoma mammario Stefano Tamberi

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Farmaci approvati dalla Food and Drug Administration (FDA) e dalla European Medicines Agency (EMA) Fausto Roila, Sonia Fatigoni

CASI CLINICI

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Nausea ritardata Enzo Ballatori

In copertina: Vasilij Kandinskij, Modello di figura per la scena XVI di Quadri di un'esposizione di M. Musorgskij, 1928.



| Editoriale |

Nasce CASCO, per le terapie di supporto ai pazienti oncologici

N

ella più ampia accezione, le terapie di supporto comprendono la profilassi e il trattamento sia degli effetti collaterali della terapia antineoplastica, sia dei sintomi della malattia.

Le terapie di supporto hanno ricevuto, finora, una relativamente scarsa attenzione da parte degli oncologi. Due esempi: solo il 50% dei pazienti con dolore neoplastico ha un soddisfacente controllo di tale sintomo, mentre si calcola che tale percentuale potrebbe salire al 90% se fossero adottate le più efficaci terapie antalgiche; la profilassi dell’emesi ritardata è raramente eseguita, malgrado le raccomandazioni contenute nelle linee guida formulate dalle più importanti associazioni scientifiche in campo oncologico. Tale situazione, però, è destinata a cambiare sotto una duplice spinta: la progressiva affermazione della centralità del ruolo del paziente nel processo decisionale che riguarda la sua cura e l’affacciarsi di nuove tossicità, dovute alle targeted therapies (ad es., tossicità cutanea, cardiotossicità), che vanno a sommarsi a quelle indotte dalla chemioterapia tradizionale. Se da un lato si avverte sempre più il bisogno di una rigorosa ricerca clinica volta all’individuazione delle terapie di supporto ottimali, dall’altro è necessario che i risultati degli studi clinici in tale settore vengano rapidamente portati a conoscenza dell’oncologo. Inoltre, a guardare la crescente voluminosità delle riviste specialistiche, non si può certo dire che non si faccia ricerca su questi argomenti. Purtroppo, però, spesso gli studi riguardano aspetti marginali e comunque quasi mai sono rivolti all’individuazione di terapie ottimali per contrastare i singoli sintomi o loro cluster. Da tali considerazioni emerge il ruolo di CASCO che ha per obiettivo principale la rapida diffusione delle informazioni sulle novità terapeutiche e la sensibilizzazione degli oncologi nei confronti delle terapie di supporto, affinché dedichino maggiore attenzione a tali aspetti, che sono di importanza tutt’altro che secondaria per il paziente. Molte riviste si occupano di terapie di supporto e moltissimi articoli vengono pubblicati. CASCO assume anche la funzione di filtro, facendo selezionare da esperti gli studi che hanno maggiore rilevanza per il loro rigore e per la portata innovativa dei loro risultati. Da ultimo (the last, but not the least), la Rivista ha anche finalità formative analizzando la metodologia degli studi clinici in tema di terapie di supporto e discutendone i risultati, così da far acquisire al lettore competenze tali da consentirgli un’autonoma valutazione critica dei risultati degli studi pubblicati.

Fausto Roila Enzo Ballatori

CASCO — Vol 1, luglio-settembre 2011

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| Dai Congressi |

Focus sui congressi ASCO (Chicago) e MASCC (Atene) 2011

Fausto Roila SC di Oncologia Medica Azienda Ospedaliera di Terni

DOLORE Denosumab è un anticorpo monoclonale anti-RANKL che, in tre studi controllati aventi un identico disegno, era risultato superiore all’acido zoledronico nel prevenire o ritardare il tempo al primo evento scheletrico in pazienti con metastasi ossee da differenti neoplasie. Un’analisi integrata dei tre studi, che hanno arruolato complessivamente 5723 pazienti, ha valutato l’impatto del denosumab, 120 mg sottocute, rispetto ad acido zoledronico, 4 mg ev, sul dolore da metastasi ossee1. Complessivamente il tempo al miglioramento del dolore era simile nei due gruppi (86 versus 85 giorni). Nei pazienti senza dolore o con dolore lieve prima della terapia il denosumab ritardava significativamente il tempo alla progressione a dolore moderato-severo (da 143 a 198 giorni) e una minore percentuale di pazienti trattati con denosumab riferivano dolore moderato-severo durante l’intera durata dello studio. In tutti i pazienti trattati con denosumab era stata riscontrata una minore necessità di passare da un analgesico minore ad un oppioide per il controllo del dolore. La ketamina per via sottocutanea è stata utilizzata per il trattamento del dolore non controllato dai soli oppioidi. Le evidenze a supporto di questa indicazione sono comunque modeste. Uno studio doppio cieco controllato ha valutato l’aggiunta della ketamina all’oppioide, la cui dose era rimasta immodificata nelle ultime 48 ore2. La dose titolata di ketamina utilizzata variava da 100 a 500 mg sottocute die. Nei 185 pazienti non erano state evidenziate differenze significative tra ketamina e placebo. Inoltre, una risposta (una riduzione in media superiore o uguale a 2 punti del Brief Pain Inventory) era stata riscontrata anche nel 28% dei pazienti sottoposti a placebo. La pregabalina è efficace nel trattamento del dolore neuropatico ma la sua efficacia non è stata adeguatamente verificata nei pazienti neoplastici. È stato pertanto eseguito uno studio doppio cieco che ha confrontato la pregabalina versus placebo, ambedue somministrati per 14 giorni, in 120

pazienti con dolore neuropatico parzialmente controllato dagli oppioidi3. La pregabalina titolata (dosi di 150-600 mg die) veniva aggiunta a dosi immodificate di oppioidi. La differenza mediana nell’intensità del dolore durante l’intero periodo dello studio era risultata significativamente inferiore con la pregabalina rispetto al placebo (1,6 versus 0,5). Anche il punteggio della disestesia era stato significativamente ridotto dalla pregabalina. Però, una percentuale elevata di pazienti (25-30%) non ha completato lo studio e solo in 6 pazienti la causa era la presenza di eventi avversi. Sempre nel controllo del dolore neuropatico uno studio di fase II ha valutato due diverse strategie: ossicodone a dosi fisse più pregabalina a dosi crescenti o pregabalina a dosi fisse più ossicodone a dosi crescenti4. Sono stati arruolati nello studio 75 pazienti. Il controllo del dolore nei due bracci dello studio era risultato del 76% con dosi crescenti di pregabalina e 64% con dosi crescenti di ossicodone. Il trattamento con dosi crescenti di pregabalina si era dimostrato più efficace anche a parità di alcuni fattori prognostici quali il sesso e il dolore basale ed inoltre aveva determinato una minore incidenza di effetti collaterali quali stipsi, sonnolenza, nausea e confusione. NAUSEA E VOMITO Forse la principale finalità della terapia antiemetica è attualmente il controllo della nausea ritardata. Sull’argomento è stato presentato all’ASCO 2011 un lavoro accettato per comunicazione orale5. La discussione dei suoi risultati è stata curata da Enzo Ballatori ed appare in un’altra sezione di questo stesso numero della rivista. Uno studio osservazionale, eseguito in 52 centri di 8 nazioni europee, ha valutato l’appropriatezza e l’efficacia della profilassi antiemetica in 991 pazienti sottoposti per la prima volta a chemioterapia di moderato-forte potenziale emetogeno6. Complessivamente una profilassi fatta in accordo con le raccomandazioni del MASCC del 2006 era stata praticata solo nel 28,8% dei pazienti (10,7% di quelli sottoposti a chemioterapia fortemente emetogena, 28,7% delle donne con neoplasia della mammella sottoposte a AC/EC e 39,3% dei pazienti sottoposti a chemioterapia moderatamente emetogena). La risposta completa (no vomito e non terapia di salvataggio) era risultata significativamente superiore nei pazienti che ricevevano una profilassi appropriata (60,0% versus 50,7%). Si tratta di uno studio importante soprattutto perché sottolinea ancora una volta la scarsa attenzione degli oncologi alla terapia di supporto dei pazienti neoplastici. La profilassi dell’emesi in pazienti sottoposti a chemioCASCO — Vol 1, luglio-settembre 2011

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terapia con cisplatino per più giorni consecutivi, regime eseguito specie in pazienti con carcinoma del testicolo, è uno dei problemi irrisolti della terapia antiemetica. Infatti, in tali pazienti nonostante l’uso di un 5-HT3 antagonista più desametasone molti pazienti presentano nausea e vomito acuto e ritardato. In questo sottogruppo di pazienti l’uso degli antagonisti dei recettori NK1 non è stato finora valutato. Uno studio randomizzato, doppio cieco con crossover, ha arruolato 68 pazienti: tutti ricevevano un 5-HT3 antagonista per 5 giorni e desametasone 20 mg i primi 2 giorni7. I pazienti sono stati randomizzati a ricevere aprepitant 125 il giorno 3 e 80 mg dal giorno 4 al giorno 7 più desametasone 4 mg os due volte die nei giorni 6-8 oppure placebo più desametasone 8 mg due volte die i giorni 6-7 e 4 mg due volte die il giorno 8. Una risposta completa (assenza di vomito e mancato ricorso alla terapia di salvataggio) è stata ottenuta nel 47% dei pazienti trattati con aprepitant rispetto al 19% di quelli trattati con placebo. La preferenza era altresì superiore con l’aprepitant (38 versus 11 pazienti). Sempre in pazienti sottoposti a chemioterapia con cisplatino per 5 giorni consecutivi è stato presentato uno studio di fase II in 50 pazienti trattati con un 5-HT3 antagonista per tutti i 5 giorni, desametasone 8 mg giorni 1-8 e aprepitant 125 mg giorno 1 e 80 mg giorni 2-78. La risposta completa era risultata del 47% nei giorni 1-5 e dell’84% nel giorno 1 mentre la protezione completa dal vomito era 88% e 98% rispettivamente. Sarebbe opportuno eseguire uno studio registrativo per confermare questi interessanti risultati. Uno studio ha valutato il ruolo della gabapentina associata a ondansetron, desametasone e ranitidina nel giorno 1 e desametasone nei giorni 2-3 in pazienti sottoposti a chemioterapia di moderato-forte potenziale emetogeno9. La gabapentina era somministrata a dosi di 300 mg die 4 e 5 giorni prima dell’inizio della chemioterapia, 300 mg due volte die 3 e 2 giorni prima, 300 mg tre volte die un giorno prima e fino a 5 giorni dopo la chemioterapia. In 80 pazienti la risposta completa è stata significativamente superiore con la gabapentina (62,5% versus 40%). Ovviamente sono necessari altri studi, meglio disegnati e con un maggior numero di pazienti, per poter definire il ruolo della gabapentina nella profilassi dell’emesi da chemioterapia. Nonostante sia uno studio con risultati negativi è importante anche segnalare il primo studio doppio cieco randomizzato, controllato con placebo che ha valutato il casopitant, un altro NK1 antagonista, associato alla profilassi standard dell’emesi da oxaliplatino (ondansetron più desametasone) versus la sola profilassi standard10. Tale studio, condotto in 710 pazienti, ha evidenziato una risposta completa simile nei due bracci (86% versus 85% rispettivamente). VAMPATE DI CALORE Uno studio doppio cieco controllato con placebo ha valutato i semi di lino, ricchi di lignani (sostanze che appartengono alla classe dei fitoestrogeni), per la riduzione delle vampate di calore in 188 donne in menopausa con carcinoma della mammella11. Le pazienti ricevevano il tratta8

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mento o il placebo per 6 settimane. Il punteggio della media delle vampate di calore si riduceva di 4,9 punti con i semi di lino e di 3,5 punti con il placebo ma tale differenza non era significativa. Anche la tossicità non era risultata differente nei due gruppi. Un altro studio doppio cieco controllato è stato eseguito in 120 maschi affetti da carcinoma della prostata12. I pazienti ricevevano proteine di soia, venlafaxina, la combinazione dei due trattamenti o il placebo per 12 settimane. Tutti i pazienti hanno presentato una riduzione delle vampate di calore ma senza differenze significative tra i trattamenti ed il placebo. Infine due studi hanno valutato l’efficacia dell’agopuntura. Uno studio di fase II, condotto in 150 donne affette da carcinoma della mammella in menopausa farmacologica o chirurgica che presentavano vampate di calore, ha evidenziato che l’agopuntura auricolare è attiva nel ridurre la frequenza e l’intensità delle vampate di calore13. Il secondo studio, randomizzato e controllato con una falsa procedura è stato eseguito in 90 donne affette da cancro della mammella, sottoposte a terapia antiestrogenica con tamoxifene, che presentavano vampate di calore. Il trattamento era somministrato per dieci settimane14. Il numero medio di vampate di calore durante il giorno e la notte si riduceva significativamente con l’agopuntura del 50% e del 60% rispettivamente e si riduceva del 30% sia di giorno che di notte nelle successive 12 settimane. A ciò corrispondeva un miglioramento della qualità di vita. Anche nelle pazienti che ricevevano la falsa procedura si aveva una riduzione del 25% delle vampate di calore nella notte ma non durante il giorno. NEUROTOSSICITÀ DA DERIVATI DEL PLATINO La neurotossicità da derivati del platino può determinare dolore, turbe funzionali ed è un fattore dose-limitante di questa terapia. Peraltro la neurotossicità può essere irreversibile per cui vi è la necessità assoluta di una prevenzione efficace di tale effetto collaterale. Sono stati eseguiti finora 27 studi controllati che hanno valutato differenti farmaci (fra questi, l’amifostina, il glutatione, l’acetilcisteina, il Ca-Mg, l’oxicarbazepina, la vitamina E) ma non vi sono evidenze di alta qualità che vi sia un agente sicuramente efficace nella prevenzione della neuropatia periferica indotta da chemioterapia. Uno studio doppio cieco controllato con placebo ha valutato l’acido αlipoico, un supplemento dietetico presente negli spinaci, che previene il danno da radicali liberi, rispetto al placebo in 243 pazienti sottoposti a chemioterapia con derivati del platino15. L’acido αlipoico veniva somministrato a dosi di 600 mg, 2 compresse, 3 volte al giorno. Non sono state riscontrate differenze significative in termini di neurotossicità, qualità di vita e risposta tumorale rispetto al placebo. Purtroppo a causa delle dimensioni delle pillole e delle tre somministrazioni quotidiane molti pazienti presentavano una scarsa compliance al trattamento (solo 70 pazienti erano valutabili a 24 settimane dall’inizio della terapia e meno dell’80% delle pillole previste sono state assunte dai pazienti) che potrebbe avere inficiato la possibilità di evidenziare l’efficacia del farmaco.


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TROMBOEMBOLISMO VENOSO I pazienti neoplastici sono ad alto rischio di episodi tromboembolici. Uno studio randomizzato doppio cieco controllato eseguito in 3212 pazienti affetti da carcinoma metastatico o localmente avanzato del polmone, colon retto, stomaco, ovaio, pancreas e vescica ha valutato l’efficacia della semuloparina nella prevenzione di eventi tromboembolici verso placebo; entrambi i trattamenti sono stati somministrati durante l’intero periodo della chemioterapia16. La semuloparina è un’eparina ad ultra basso peso molecolare con elevata attività anti fattore Xa e residua attività anti fattore IIa. Un evento tromboembolico si è manifestato nell’1,2% dei pazienti trattati con semuloparina e nel 3,4% di quelli trattati con placebo (differenza significativa). L’incidenza di sanguinamenti maggiori era simile tra i due bracci dello studio (2,8% versus 2,0% dei pazienti rispettivamente). Lo studio dimostra il beneficio della semuloparina ma non chiarisce se si debba o meno fare una profilassi in questi pazienti e soprattutto, data la bassa incidenza del fenomeno, chi trattare. Un altro studio degno di nota ha valutato il ruolo del posizionamento di un filtro nella vena cava inferiore in pazienti sottoposti a terapia anticoagulante perché affetti da tromboembolismo17. Sono stati arruolati 64 pazienti randomizzati a ricevere fondaparinux più o meno filtro cavale. Lo studio evidenzia che i due gruppi presentano simile incidenza di trombosi venosa profonda (0%), e di embolia polmonare (3%, un paziente per gruppo). Un sanguinamento maggiore si è osservato in due pazienti trattati con fondaparinux da solo ed in uno con l’aggiunta del filtro cavale. Due hanno presentato complicanze da filtro cavale (occlusione in uno e prolungato sanguinamento nella sede dell’incisione in un altro). Pertanto la conclusione degli autori è che in pazienti già sottoposti a terapia anticoagulante l’aggiunta di un filtro cavale non determina ulteriori benefici. SCREENING EPATITE IN PAZIENTI SOTTOPOSTI A CHEMIOTERAPIA Recentemente oncologi ed ematologi hanno posto attenzione al problema del rischio di riattivazione dell’epatite B durante il trattamento chemioterapico e alla conseguente necessità di sottoporre a profilassi i pazienti positivi. Uno studio retrospettivo ha valutato quanti pazienti sottoposti a chemioterapia erano screenati per una pregressa epatite (positività HBsAg o anti-HBc)18. L’epatite veniva definita riattivata se ALT > 100 o >3 volte il valore basale o se vi era un HBV DNA rilevabile nel sangue dopo meno di 6 mesi dalla chemioterapia. Tra 70.737 pazienti neoplastici esaminati, 10.790 avevano ricevuto chemioterapia; di questi 1787 (17%) erano stati screenati per l’epatite B e C. Erano positivi l’8%. Una

riattivazione dell’epatite si osservava nel 44%; dei pazienti positivi, più nei pazienti ematologici che in quelli oncologici (54% versus 35%). La riattivazione era più frequente negli asiatici, nei pazienti giovani e in quelli sottoposti ad immunoterapia e chemioterapia con antibiotici. MUCOSITE I pazienti sottoposti a chemio-radioterapia per carcinomi della testa e del collo presentano frequentemente un’importante mucosite del cavo orale. Uno studio randomizzato doppio cieco ha valutato l’efficacia e la tossicità di pastiglie di lactobacillus brevis CD2 rispetto al placebo19. Sono stati arruolati 200 pazienti con carcinoma della testa e del collo sottoposti a radioterapia (70 Gy in 35 frazioni) più cisplatino settimanale. Una mucosite di grado III e IV si era sviluppata nel 52% dei pazienti trattati con lactobacillus e nel 77% di quelli trattati con placebo (differenza significativa). Una maggiore frazione di pazienti trattati con lactobacillus brevis era libera da mucosite (28% versus 7%). Sono necessari ulteriori studi che confermino questi risultati e, soprattutto, che confrontino l’efficacia del lactobacillus brevis con i trattamenti attualmente standard per la profilassi della mucosite da radio-chemioterapia. • BIBLIOGRAFIA 1. von Moos R, et al. Support Care Cancer 2011; 19 (Suppl. 2): 146, abstr. 222. 2. Hardy J, et al. Support Care Cancer 2011; 19 (Suppl. 2): 170, abstr. 299. 3. Sima L, et al. Support Care Cancer 2011; 19 (Suppl. 2): 181, abstr. 331. 4. Garassino MC. J Clin Oncol 2011; 29: 556s, abstr. 9028. 5. Morrow GR. J Clin Oncol 2011; 29: 552s, abstr. 9012. 6. Aapro M, et al. Support Care Cancer 2011; 19 (Suppl. 2): 186, abstr. 348. 7. Brames MJ. J Clin Oncol 2011; 29: 553s, abstr. 9013. 8. Olver I, et al. Support Care Cancer 2011; 19 (Suppl. 2): 97, abstr. 36. 9. Cruz FM. J Clin Oncol 2011; 29: 554s, abstr. 9017. 10. Hesketh PJ. J Clin Oncol 2011; 29: 554s, abstr. 9019. 11. Pruthi S. J Clin Oncol 2011; 29: 789s, abstr. CRA9015. 12. Vitolins M. J Clin Oncol 2011; 29: 556s, abstr. 9027. 13. El-Asir L, et al. Support Care Cancer 2011; 19 (Suppl. 2): 92, abstr. 12. 14. Hervik JB, et al. Support Care Cancer 2011; 19 (Suppl. 2): 102, abstr. 61. 15. Guo Y. J Clin Oncol 2011; 29: 552s, abstr. 9010. 16. Agnelli G. J Clin Oncol 2011; 29: 783s, abstr. LBA9014. 17. El-Barginear MF, et al. J Clin Oncol 2011; 29: 565, abstr. 9063. 18. Hwang J. J Clin Oncol 2011; 29: 563s, abstr. 9056. 19. Sharma A, et al. Support Care Cancer 2011; 19 (Suppl. 2): 163, abstr. 278.

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| Linee guida e pratica clinica |

L’emesi

Nonostante gli importanti progressi raggiunti negli ultimi venti anni, il vomito e, soprattutto, la nausea continuano ad essere tra gli effetti collaterali più importanti della chemioterapia. Molte sono le variabili che incidono sul rischio di presentare nausea e vomito, alcune legate al paziente (età, sesso, consumo di alcool, emesi gravidica, cinetosi), altre legate alla terapia (tipo di farmaco, combinazione di chemioterapici, modo di somministrazione), ma l’elemento più importante è la presenza o l’assenza di nausea e vomito acuti e ritardati nei cicli precedenti di chemioterapia. Per questi motivi è estremamente importante utilizzare al meglio i farmaci antiemetici a disposizione, con i quali oggi è possibile ottenere un controllo del vomito in circa l’80-90% dei casi. I dati riportati di seguito derivano dall’aggiornamento delle linee guida MASCC (Multinational Association of Supportive Care in Cancer) – ESMO (European Society of Medical Oncology)1 dopo la terza Consensus Conference sugli antiemetici che si è tenuta a Perugia il 20-21 giugno 2009. Anche se in modo piuttosto arbitrario, nausea e vomito vengono distinti in base al tempo d’insorgenza in acuti (entro la 24a ora dal trattamento), ritardati (dopo 24 ore dal trattamento) e anticipatori (prima del trattamento). I farmaci chemioterapici, invece, vengono classificati secondo quattro livelli di rischio (potenziale emetogeno alto, moderato, basso e minimo), suddivisione accettata dalle principali organizzazioni che elaborano raccomandazioni sugli antiemetici1.

Fausto Roila Sonia Fatigoni SC di Oncologia Medica Azienda Ospedaliera di Terni

Prevenzione della nausea e del vomito acuti indotti da farmaci ad alto potere emetogeno Prima dell’introduzione dell’aprepitant, una combinazione di un 5-HT3 antagonista con il desametasone rappresentava il regime di scelta per la prevenzione della nausea e del vomito acuti nei pazienti trattati con cisplatino. L’aprepitant, un antagonista del recettore della neurokinina 1 (NK1), in due studi di fase III con un disegno identico in combinazione con un 5-HT3 antagonista più il desametasone, ha dimostrato la superiorità dello schema a tre farmaci rispetto alla combinazione di desametasone e 5-HT3 antagonista da soli nel periodo di studio di 5 giorni. In tutti e due gli studi la risposta completa (no emesi, no utilizzo di antiemetici di salvataggio) è stata significativamente più alta con l’aprepitant (89% versus 78%, e 83% versus 68% rispettivamente, al giorno 1). Per prevenire la nausea ed il vomito acuti da farmaci altamente emetogeni, quindi, è raccomandato un regime a tre farmaci, comprendente aprepitant, desametasone e un 5-HT3 antagonista, somministrati prima della chemioterapia. Riguardo al tipo di 5-HT3 antagonista, per prevenire la nausea ed il vomito acuti indotti da chemioterapia ad alto rischio emetogeno, al momento i diversi 5-HT3 antagonisti sono da ritenere tutti ugualmente efficaci con effetti collaterali simili. Recentemente è stato approvato un profarmaco per via endovenosa dell’aprepitant, il fosaprepitant. Uno studio recente2 ha confrontato, su 2322 pazienti sottoposti a chemioterapia con cisplatino, la combinazione di desametasone, ondansetron ed aprepitant (125 mg orale il giorno 1, 80 mg i giorni 2-3) verso desametasone, ondansetron e fosaprepitant (150 mg endovena al giorno 1). Tale studio ha dimostrato la non inferiorità della combinazione con il fosaprepitant. Prevenzione della nausea e del vomito ritardati indotti da farmaci ad alto potere emetogeno Tutti i pazienti sottoposti a cisplatino dovrebbero ricevere una terapia antiemetica per prevenire la nausea ed il vomito ritardati. L’efficacia dell’aprepitant contro l’emesi ritardata è stata valutata negli studi doppio-cieco precedentemente discussi, in cui, durante la fase ritardata (giorni 2-5), i tassi di risposta completa nel braccio con aprepitant e standard erano rispettivamente 75% versus 56% e 68% versus 47%. Nei pazienti che ricevono cisplatino, trattati con una combinazione di aprepitant, 5-HT3 antagonista e desaCASCO — Vol 1, luglio-settembre 2011

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| Linee guida e pratica clinica | L’emesi

Emesi indotta da chemioterapia: livelli di rischio emetogeno e nuove linee-guida ESMO e MASCC. Livello di rischio

Chemioterapia

Linee guida

MASCC Livello di evidenza scientifica/livello di consenso

Alto (>90%)

Cisplatino

• Giorno 1: 5-HT3 antagonista + desa + aprepitant

Alto/alto

I/A

• Giorni 2-3: desa + aprepitant

Alto/moderato

II/A

• Giorno 4: desa

Alto/moderato

• Giorno 1: 5-HT3 antagonista + desa + aprepitant

Alto/alto

I/A

Moderato (30%-90%)

AC, EC, FAC, FEC

ESMO Livello di evidenza/ forza della raccomandazione

• Giorni 2-3: aprepitant

Moderato/moderato

II/B

Non antraciclina + ciclofosfamide (ad es. carboplatino, oxaliplatino, irinotecano, ecc.)

• Giorno 1: palo + desa

Moderato/moderato

II/B

• Giorni 2-3: desa

Moderato/moderato

II/B

Basso (10%-30%)

Ad es. taxani, gemcitabina, etoposide, ecc.

• Giorno 1: desa o 5-HT3 antagonista o anti-dopaminergico • Giorni 2-3: no profilassi di routine

No confidenza possibile/moderato

III, IV/D

Minimo (<10%)

Ad es. vinorelbina, bleomicina, ecc.

• Giorno 1: no profilassi di routine

No confidenza possibile/alto

V/D

• Giorni 2-3: no profilassi di routine Desa, desametasone; AC, adriamicina e ciclofosfamide; EC, epirubicina e ciclofosfamide; FAC, fluorouracile, adriamicina, ciclofosfamide; FEC, fluorouracile, epirubicina, ciclofosfamide.

metasone per la prevenzione dell’emesi acuta, si suggerisce la combinazione di desametasone e aprepitant per prevenire nausea e vomito ritardati, sulla base della sua superiorità rispetto al desametasone da solo. Prevenzione della nausea e del vomito acuti indotti da farmaci a moderato potere emetogeno Le donne sottoposte ad una combinazione di antracicline e ciclofosfamide rappresentano una condizione con un rischio particolarmente alto di nausea e vomito. Uno studio condotto su 866 pazienti ha valutato il ruolo dell’aprepitant, aggiunto a desametasone e 5-HT3 antagonista, in queste pazienti. La risposta completa (no emesi né terapia di salvataggio) era significativamente superiore con l’aprepitant nel giorno 1 (76% vs 69%), nei giorni 2-5 (55% vs 49%) e nei giorni 1-5 (51% vs 42%). Invece la protezione completa dalla nausea non era significativamente diversa tra i due trattamenti, così come la tollerabilità. Per prevenire nausea e vomito acuti in queste donne, viene raccomandato, quindi, un regime a tre farmaci, comprendente una singola dose di 5-HT3 antagonista, desametasone e aprepitant, somministrati prima della chemioterapia. Per prevenire l’emesi acuta indotta da chemioterapia a moderato potere emetogeno, non comprendente la combinazione di antraciclina e ciclofosfamide, può essere consigliato un regime a base di palonosetron e desametasone. Questo suggerimento deriva dall’analisi di tre differenti studi che hanno valutato il palonosetron rispetto ad altri 5HT3 antagonisti. 12

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Nei primi due studi, due dosi differenti di palonosetron (0,25 e 0,75 mg ev) sono state confrontate con dolasetron 100 mg ev ed ondansetron 32 mg ev, in pazienti naive o pretrattati, sottoposti a regimi moderatamente emetizzanti. Il palonosetron in ambedue gli studi era superiore agli altri 5-HT3 antagonisti. Purtroppo in questi studi, differentemente da quanto raccomandato dalle linee guida, spesso il 5-HT3 antagonista non era combinato con il desametasone. Nel terzo studio il palonosetron 0,75 mg ev è stato confrontato con granisetron, ambedue combinati a 16 mg ev di desametasone in pazienti sottoposti a chemioterapia altamente emetogena con cisplatino o regimi AC/EC. Il controllo dell’emesi acuta era simile nei due bracci di trattamento, mentre palonosetron si dimostrava superiore nel controllo dell’emesi tardiva. Prevenzione della nausea e del vomito ritardati indotti da farmaci di moderato potere emetogeno Le linee guida raccomandano che i pazienti sottoposti ad una chemioterapia a moderato potere emetogeno, che si conosce essere associata con un rischio significativo di nausea e vomito ritardati, ricevano una profilassi antiemetica per l’emesi ritardata. Le pazienti con carcinoma della mammella sottoposte ad una combinazione di antracicline e ciclofosfamide e trattate con una combinazione di aprepitant, 5-HT3 antagonista e desametasone per la prevenzione di nausea e vomito acuti dovrebbero ricevere aprepitant per prevenire la nausea ed il vomito ritardati, sulla base dello studio precedentemente discusso.


| Linee guida e pratica clinica | L’emesi

Nei pazienti che ricevono chemioterapia a moderato rischio emetogeno non comprendente la combinazione di antracicline e ciclofosfamide ed in cui è raccomandato il palonosetron in combinazione con il desametasone per la profilassi dell’emesi acuta, una terapia di più giorni con il desametasone orale è il trattamento da preferire per la prevenzione della nausea e del vomito ritardati. Prevenzione della nausea e del vomito acuti e ritardati indotti da chemioterapia a basso e minimo potere emetogeno Per i pazienti trattati con chemioterapia a potenziale emetogeno basso e minimo ci sono poche evidenze derivanti da studi clinici a supporto della scelta di somministrare una terapia antiemetica. Ciononostante, le linee guida raccomandano che i pazienti senza una storia precedente di nausea e vomito, sottoposti a chemioterapia a basso potenziale emetogeno ricevano un singolo antiemetico come profilassi, come ad esempio il desametasone, un 5-HT3 antagonista o un antidopaminergico. Ai pazienti sottoposti a chemioterapia a minimo potere emetogeno e senza una precedente storia di nausea e vomito non dovrebbe essere somministrato di routine un trattamento antiemetico. Per la prevenzione dell’emesi ritardata indotta da farmaci a potere emetogeno basso e minimo non non dovrebbe essere somministrata alcuna terapia profilattica. Prevenzione della nausea e del vomito anticipatori Il rischio di nausea e vomito anticipatori tende ad aumentare con il numero di cicli di chemioterapia ricevuti ed i sintomi possono persistere a lungo dopo il completamento della chemioterapia; una volta insorti, inoltre, sono difficili da controllare con i farmaci. Le linee guida raccomandano un controllo ottimale dell’emesi acuta e ritardata post-chemioterapia come migliore prevenzione dell’emesi anticipatoria. Terapie comportamentali, in particolare un training di ri-

lassamento muscolare progressivo, tecniche di desensibilizzazione e l’ipnosi, possono essere impiegate per trattare nausea e vomito anticipatori. Le benzodiazepine sono i soli farmaci che riducono l’incidenza di nausea e vomito anticipatori ma la loro efficacia tende a decrescere con il progredire dei cicli di chemioterapia. Conclusioni Come già sottolineato, negli ultimi anni il controllo del vomito è nettamente migliorato, mentre resta ancora da migliorare il controllo della nausea, fenomeno diverso rispetto al vomito e che può rispondere a farmaci diversi. L’obiettivo dei prossimi anni sarà, quindi, cercare di identificare e caratterizzare nuovi agenti anti-nausea che vadano a migliorare i regimi antiemetici attualmente utilizzati. Un’altra sfida altrettanto importante è però, nel frattempo, cercare di implementare le linee guida, ottimizzando l’impiego degli antiemetici già a disposizione, per fornire ai pazienti il miglior controllo possibile dell’emesi, con minimi effetti collaterali. Un terzo obiettivo è quello di potenziare la ricerca su altri aspetti della terapia antiemetica tuttora irrisolti, come la profilassi dell’emesi ritardata da giorni multipli di cisplatino, la nausea e il vomito da alte dosi di chemioterapia, l’emesi indotta da chemio-radioterapia e la profilassi antiemetica nei bambini. È necessaria, perciò, sicuramente una ricerca più ampia su tali argomenti, ma anche e soprattutto un’attenzione costante a queste problematiche nella pratica clinica quotidiana. • Bibliografia 1. Roila F, Herrstedt J, Aapro M, et al. Guideline update for MASCC and ESMO in the prevention of chemotherapy- and radiotherapyinduced nausea and vomiting: results of the Perugia multinational Consensus Conference. Ann Oncol 2010; 21: (Suppl. 5): 228-39. 2. Grunberg SM, Chua D, Maru A, et al. Single-dose fosaprepitant for the prevention chemotherapy-induced nausea and vomiting associated with cisplatin therapy: randomized, double-blind study protocol-EASE. J Clin Oncol 2011; 29: 1495-501.

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Tumori del polmone: standard terapeutici e complicanze

Lucio Crinò Oncologia Medica Ospedale Santa Maria della Misericordia Perugia

I

tumori maligni del polmone costituiscono da molti anni la prima causa di morte nel mondo per cancro e nonostante un importante impegno di ricerca con studi clinici controllati e recenti scoperte sulla biologia molecolare del cancro del polmone, la sopravvivenza complessiva a cinque anni dalla diagnosi rimane solo del 15% degli ammalati, con una sopravvivenza mediana nei pazienti con malattia metastatica, per lo più inferiore ad un anno1,2. La maggior parte dei casi di tumore del polmone viene diagnosticata in fase avanzata, metastatica, di malattia e la chemioterapia sistemica con regimi contenenti cisplatino resta il trattamento di scelta. Risultati simili, con una sopravvivenza mediana di 9-10 mesi, sono stati ottenuti in studi controllati di confronto tra regimi contenenti platino in combinazione con gemcitabina, vinorelbina e taxani che hanno condotto alla conclusione che la chemioterapia del cancro del polmone disseminato avesse espresso il massimo delle sue potenzialità con un plateau di risultati non facilmente superabile3. Le linee guida delle principali società scientifiche, in particolare ASCO ed ESMO, indicano quindi il trattamento con

cisplatino in combinazione con gemcitabina, vinorelbina o docetaxel, per la durata di quattro-sei cicli, come terapia di scelta di prima linea nel tumore del polmone non microcitoma4,5. Dalla metanalisi del 1996 era apparso chiaro come la chemioterapia contenente cisplatino inducesse, rispetto alla migliore terapia di supporto, un modesto ancorché significativo vantaggio di due mesi di sopravvivenza con un aumento del 10% (dal 15 al 25%) della proporzione di pazienti sopravviventi ad un anno. La probabilità di risposta alla chemioterapia si attestava tra il 20 ed il 30% e si registrava un miglioramento dei sintomi e della qualità di vita in oltre il 50% dei casi. Per contro nessun beneficio significativo e un aumento della tossicità erano riportati negli ammalati con scarso PS (>2). Negli anni ’90 alcuni farmaci innovativi si dimostrarono efficaci negli studi di fase II nel NSCLC, in particolare gemcitabina, vinorelbina, paclitaxel e docetaxel, e consentirono lo sviluppo di nuovi regimi di terapia in combinazione con il cisplatino, che oggi costituiscono il trattamento di prima linea del carcinoma del polmone non microcitoma metastatico per un numero complessivo di 4-6 cicli di trattamento. In alcuni studi randomizzati nessuno di questi regimi si è dimostrato superiore agli altri in termini di efficacia, pur esistendo differenze anche importanti nel profilo di tossicità (figura 1). Di recente, tuttavia, numerosi studi hanno identificato

Figura 1. Efficacia del trattamento chemioterapico di prima linea con platino.

% sopravvivenza complessiva

Risultati della sopravvivenza complessiva

mesi

paclitaxel + carbo vinorelbina + cis

Kelly et al. JCO 2001

14

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mesi

mesi

paclitaxel + cis gemcitabina + cis docetaxel + cis paclitaxel + carbo

paclitaxel + cis gemcitabina + cis vinorelbina + cis

Schiller et al. NEJM 2002

Scagliotti et al. JCO 2002


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nell’istologia un fattore discriminante per la scelta terapeutica del cancro del polmone distinguendo, sulla base di caratteristiche molecolari e storia naturale, l’adenocarcinoma e l’anaplastico a grandi cellule, dal carcinoma squamoso6. Alcuni studi randomizzati hanno dimostrato come l’aggiunta dell’anticorpo monoclonale anti VEGF bevacizumab alla chemioterapia abbia migliorato il tempo di sopravvivenza libero da progressione e in un solo studio, la sopravvivenza globale rispetto alla chemioterapia nei tumori del polmone ad istologia non squamosa7,8. Gli istotipi squamosi sono stati esclusi dagli studi con il bevacizumab, e con i farmaci antiangiogenesi in generale, per l’aumentata incidenza di eventi emorragici polmonari spesso fatali9. Sulla base di questi studi il bevacizumab in combinazione con chemioterapia contenente platino è stato registrato nel mondo con l’indicazione al trattamento di prima linea del carcinoma non squamoso del polmone, in associazione alla chemioterapia, nonostante la mancanza di beneficio in sopravvivenza globale nello studio Europeo AVAIL8 dove, comunque, la sopravvivenza mediana dell’intera popolazione era stata superiore ai 13 mesi, il risultato migliore mai pubblicato in studi controllati nel carcinoma disseminato del polmone. Più recentemente la valutazione in uno studio prospettico dell’ultimo farmaco citotossico approvato nel tumore del polmone, il pemetrexed, in combinazione con il cisplatino versus cisplatino-gemcitabina, ha evidenziato una maggiore efficacia della combinazione sperimentale nell’istotipo non squamoso con un significativo vantaggio in sopravvivenza10. Questo studio ha condotto alla registrazione del pemetrexed in prima linea di trattamento in associazione al cisplatino nell’istologia non squamosa, nonostante si trattasse di un’analisi per sottogruppi anche se pianificata e non di una osservazione prospettica (figura 2). Se da queste ultime esperienze emerge l’indicazione a

definire le scelte terapeutiche in base all’istologia, diversamente che nel recente passato, non vi è dubbio che i risultati più significativi in termini di miglioramento clinico siano stati ottenuti in questi anni dalla caratterizzazione molecolare dei tumori polmonari, in particolare degli adenocarcinomi, grazie all’identificazione di mutazioni geniche responsabili della crescita neoplastica e bersaglio di terapie molecolari mirate. Si valuta in base agli studi recenti che quasi il 50% degli adenocarcinomi polmonari possa essere classificato per la presenza di una mutazione genica specifica, potenziale bersaglio di terapie molecolari11,12. Le più note di queste mutazioni, che hanno aperto la strada alle “target therapies” negli adenocarcinomi del polmone, sono sicuramente le mutazioni del dominio tirosinchinasico dell’epidermal growth factor receptor – EGFR, gene appartenente alla HER family, gruppo di geni profondamente implicato nella proliferazione e sopravvivenza cellulare. Le mutazioni presenti nell’esone 19-21 di EGFR attivano costitutivamente la fosforilazione di tirosinchinasi ed implicano un’immediata e continua trasmissione dei segnali di proliferazione e sopravvivenza cellulare attraverso le vie di transduzione del segnale controllate da EGFR. La loro presenza implica una specifica sensibilità agli inibitori di tirosinchinasi, come erlotinib e gefitinib, entrambi registrati per il trattamento dei tumori del polmone, che agiscono bloccando la fosforilazione e quindi l’attivazione della tironsinchinasi diretta da EGFR13,14. Le mutazioni di EGFR sono molto più comuni negli adenocarcinomi, dei non fumatori, di sesso femminile e nell’etnia asiatica15, configurando una malattia specifica distinta dai tumori del polmone e più sensibile agli inibitori di tirosinchinasi che alla chemioterapia, come dimostrato da 4 studi prospettici15-18. In tutti questi studi, che hanno confrontato in prima linea di trattamento gli inibitori di tirosinchinasi gefitinib o er-

Probabilità di sopravvivenza complessiva (SC)

Figura 2. Cis/Pem vs Cis/Gem in prima linea nel NSCLC: sopravvivenza complessiva nell’adenocarcinoma o carcinoma a grandi cellule.

Mediana SC (95% CI) Cis/Pem (N=512) 11,8 mesi (10,4, 13,2) Cis/Gem (N=488) 10,4 mesi (9,6, 11,2) SC aggiustata per HR (95% CI) Cis/Pem vs. Cis/Gem 0,81 (0,70-0,94) Cis/Pem SC statisticamente superiore vs. Cis/Gem

Tempo di SC (mesi) in pazienti non-squamosi* Cis/pem, cisplatino/pemetrexed; Cis/gem, cisplatino/gem citabina; IC, intervallo di confidenza; HR, hazard ratio. *non-squamosi = pazienti con adenocarcinoma o carcinoma a grandi cellule. Scagliotti GV et al. J Clin Oncol DOI:10.1200/JCO.2007.15.0375

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lotinib rispetto alla chemioterapia tradizionale, negli ammalati con mutazione di EGFR gli inibitori di tirosinchinasi hanno determinato un netto vantaggio statisticamente significativo in termini di tasso di risposte e di sopravvivenza libera da malattia. Il vantaggio rispetto alla chemioterapia si manifesta anche per un miglior profilo di tossicità e per una migliore palliazione dei sintomi in tutti gli studi, determinando un impatto clinico estremamente favorevole per le piccole molecole ad attività antitirosinchinasica nei confronti della chemioterapia contenente cisplatino. In tutti gli studi randomizzati era previsto che gli ammalati randomizzati alla chemioterapia ricevessero al momento della progressione gefitinib o erlotinib e questo può spiegare la mancanza di differenze in sopravvivenza globale finora riportata negli studi. Tumori del polmone, complicanze del trattamento e terapia di supporto La maggior parte dei casi di tumore del polmone, circa il 70%, viene diagnosticato in stadi avanzati di malattia, nei quali l’obiettivo più importante del trattamento rimane tuttora il miglioramento dei sintomi e della qualità di vita, tenendo conto del modesto impatto sulla sopravvivenza che sinora ha ottenuto la chemioterapia sistemica. Per queste considerazioni, è di primaria importanza definire ed adottare una ottimale terapia di supporto sin dall’inizio del trattamento, in associazione alla terapia sistemica farmacologica specifica. Di recente uno studio pubblicato dal Massachussetts General Hospital ha dimostrato come, l’intervento precoce di una specifica terapia palliativa, seguita da personale specializzato in cure palliative, in associazione alla chemioterapia, abbia migliorato la qualità di vita, i sintomi ed anche la sopravvivenza di oltre due mesi, rispetto alla terapia standard19. Nella grande maggioranza dei casi, il trattamento delle neoplasie polmonari in fase avanzata si basa sulla chemioterapia sistemica con regimi di combinazione a due farmaci, contenenti cisplatino o, meno frequentemente in Europa, carboplatino. Il cisplatino ad una dose superiore ai 60 mg/m2 è considerato un farmaco ad alto rischio di emesi sia in termini di effetti acuti che ritardati. Non è quindi sorprendente che nei tumori polmonari, con particolare attenzione, si sia sviluppata la ricerca di una efficace terapia antiemetica nell’ambito della terapia palliativa della fase avanzata di malattia (tabella I). Le più importanti linee guida delle maggiori società scientifiche, in particolare ASCO ed ESMO, concordemente indicano un’associazione di tre farmaci, gli antagonisti (5-HT3) dei recettori della serotonina, desametasone ed aprepitant (antagonista dei recettori di neurokinin) come terapia di scelta per la prevenzione dell’emesi acuta indotta da cisplatino o dai farmaci ad alto potenziale emetogeno (tabella II). Non vi sono significative differenze di efficacia tra i vari 5-HT3 antagonisti come dolasetron, granisetron, ondansetron, tropisetron e palosetron, che vengono usati in dose singola, al dosaggio utile più basso prima della chemioterapia senza differenze negli effetti collaterali. 16

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Tabella I. Potenziale emetizzante dei farmaci antitumorali (linee-guida AIOM 2010).

Grado

Farmaco

Alto

Cisplatino ≥50 mg/m2 Mecloretamina Streptozocina Ciclofosfamide > 1500 mg/m2 Carmustina Dacarbazina Regimi AC o EC (pazienti con ca mammella)

Moderato

Oxaliplatino Citarabina > 1 gr/2 Carboplatino Ifosfamide Ciclofosfamide ≤1500 mg/m2 Adriamicina Epirubicina Daunorubicina Idarubicina Irinotecan Bendamustina Clofarabina Alentuzumab Azacitidina

Basso

Docetaxel Paclitaxel Mitoxantrone Topotecan Etoposide Pemetrexed Methotrexate Mitomicina Gemcitabina Citarabina ≤1000 mg/m2 Fluorouracile Adriamicina liposolubile Bortezomib Cetuximab Trastuzumab Temsirolimus Catumaxumab Ixabepilone Panitumumab

Minimo

Bleomicina Busulfano 2-Clorodeossiadenosina Fludaramina Vinblastina Vincristina Vinorelbina Bevacizumab

Nelle neoplasie polmonari la combinazione a tre farmaci dovrebbe essere sistematicamente somministrata, immediatamente prima della chemioterapia contenente cisplatino ed indipendentemente dagli altri farmaci impiegati, gemcitabina, taxani, vinorelbina o etoposide. Per quanto riguarda il problema assai rilevante dal punto di vista clinico della prevenzione dell’emesi ritardata, le linee guida della letteratura internazionale e delle società scientifiche sono concordi nell’indicare l’associazione di aprepitant e desametasone per la prevenzione della nausea e del vomito ritardati in pazienti con tumori del polmone che abbiano già ricevuto il trattamento ottimale dell’emesi acuta,


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Tabella II. Linee-guida di profilassi antiemetica (AIOM 2010).

Chemioterapia Alte dosi di cisplatino – Emesi acuta – Emesi ritardata

Dacarbazina, mecloretamina, streptozotocina, nitrosouree – Emesi acuta

Antiemetici NK1 antagonista + 5-HT3 antagonista + desametasone – aprepitant + desametasone – metoclopramide + desametasone – 5-HT3 antagonista + desametasone

5-HT3 antagonista + desametasone

Chemioterapia di moderato potere emetogneo (esclusa ciclofosfamide ± epirubicina o adriamicina in donne con carcinoma della mammella) – Emesi acuta palonosetron + desametasone – Emesi ritardata desametasone Chemioterapia contenente ciclofosfamide ± epirubicina o adriamicina in donne con carcinoma della mammella – Emesi acuta NK1 antagonista + 5-HT3 antagonista + desametasone – Emesi ritardata aprepitant Dosi basse e ripetute di cisplatino

5-HT3 antagonista + desametasone (desametasone per vomito ritardato)

CMF (ciclofosfamide orale)

metoclopramide + desametasone 5-HT3 anatagonista

Chemioterapia con basso potere emetogeno – Emesi acuta (desametasone o un antagonista della dopamina con un 5-HT3 antagonista) – Emesi ritardata solo come terapia di salvataggio

consistente nella combinazione di un antagonista 5-HT3, desametasone ed aprepitant. Mentre non è più consigliata nella prevenzione dell’emesi e nausea ritardata la combinazione di desametasone e 5-HT3, non vi sono dati di confronto tra aprepitant e desametasone rispetto allo schema largamente impiegato di metoclopramide e desametasone che resta tuttora indicato nel trattamento di nausea e vomito ritardati5. Standard terapeutici nel microcitoma polmonare La chemioterapia sistemica rimane il trattamento di base del tumore del polmone a piccole cellule sia negli stadi ini-

ziali di malattia limitata che in presenza di malattia estesa. Il regime di scelta nella prima linea di trattamento consiste da oltre venti anni nella combinazione di cisplatino con etoposide confermatasi superiore per efficacia e tossicità ai vecchi schemi contenenti antracicline (CAV) e anche ai nuovi regimi con paclitaxel ed irinotecano associati a carboplatino e cisplatino. Nella malattia limitata il trattamento più efficace consiste nell’associazione di cisplatino ed etoposide con la radioterapia sull’intero volume tumorale. Il trattamento dei sintomi del tumore del polmone La maggior parte degli ammalati con neoplasia del polmone in fase avanzata presenta sintomi sia d’ordine sistemico come anoressia, fatica, perdita di peso, correlati al tumore primario o alle sue metastasi. Considerando gli obiettivi sostanzialmente palliativi di un tumore che in fase avanzata ha una sopravvivenza mediana di circa 10 mesi, è chiaro che il trattamento dei sintomi riveste primaria importanza nella gestione quotidiana di questi ammalati. Sintomi correlati al tumore

Tosse. La tosse è presente in circa il 50% dei pazienti alla diagnosi e si manifesta quasi in tutti nel corso della malattia, provocata da più cause quali la localizzazione centrale del tumore, la polmonite ostruttiva, l’interessamento massivo dei linfonodi mediastinici o la presenza di versamento pleurico. La terapia antitumorale chemio o radiante può indurre un importante miglioramento della tosse, riducendo il volume tumorale, ma molti ammalati continuano a presentare una tosse persistente e spesso debilitante, talvolta anche per cause concomitanti come ostruzione nasale, reflusso gastroesofageo o broncospasmo. Gli oppiacei possono essere utili per le loro caratteristiche proprietà di sedativi della tosse e non vi è tra essi un farmaco di scelta20. Altri farmaci di relativa utilità sono il cromoglicato di sodio, il destrometorfano o la lidocaina 5 ml di soluzione al 2% somministrata ogni 4-6 ore in nebulizzazione. I corticosteroidi sono indicati nella tosse associata alla radioterapia o nella linfangite neoplastica21. Emottisi. La radioterapia sul volume tumorale rappresenta il trattamento di scelta dell’emottisi di media entità sia in forma di radioterapia esterna con diverse modalità di frazionamento, che come brachiterapia endobronchiale22. Il trattamento dell’emottisi massiva varia a seconda del grado di severità e può prevedere, in casi selezionati ed in rapporto alla prognosi, l’instillazione in broncoscopia di soluzioni saline refrigerate o di vasocostrittori o di palloncini di tamponamento, oppure in casi specifici l’intubazione o la tracheotomia23. Dispnea. La dispnea è un sintomo ormai comune nella storia naturale del cancro del polmone e riconosce nel suo sviluppo origini multifattoriali. La crescita del tumore in ambito polmonare può causare dispnea per la perdita di rileCASCO — Vol 1, luglio-settembre 2011

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vante superficie alveolare o per ateletassia e polmonite ostruttiva o per l’insorgenza di diffusa linfangite neoplastica, mentre cause esterne ma correlate al tumore possono essere i versamenti pleuropericardici e l’emottisi. Altre cause comuni di dispnea possono essere una coesistente BPCO, l’insufficienza cardiaca e l’embolia polmonare. Il trattamento della dispnea ne richiede la corretta identificazione eziologica e comprende l’uso di ossigeno, oppiacei e sedativi. L’impiego di O2 essenziale in presenza di ipossia si è rilevato utile in studi eseguiti in pazienti con adeguata saturazione di ossigeno, estendendone quindi l’indicazione24,25. Un ruolo fondamentale nel trattamento della dispnea, in particolare dell’ammalato terminale, è esercitato dagli oppiacei26,27 che non inducono depressione respiratoria in termini rilevanti se somministrati in dosi e modalità adeguate28 per via orale o parenterale. Alcuni studi hanno documentato l’utilità della prometazina o clorpromazina in associazione o meno alla morfina, per il miglioramento della dispnea28,29, così come tra le benzodiazepine il midazolam ha dimostrato in due studi controllati un effetto positivo in associazione alla morfina, e viene comunemente impiegato nella pratica clinica30,31. Nella dispnea associata a BPCO o dovuta a tossicità polmonare da chemio-radioterapia l’impiego di corticosteroidi per via sistemica rappresenta il trattamento di scelta. Un ruolo importante nella gestione della dispnea ha anche un’adeguata informazione per il paziente e i suoi familiari così come l’impiego di esercizi specifici di ginnastica respiratoria e di tecniche di rilassamento.

Dolore toracico. Il dolore toracico è un sintomo comune e spesso precoce nella storia naturale del cancro del polmone, talvolta indipendentemente da una chiara invasione della pleura, della parete toracica o del mediastino. Spesso la causa del dolore non è chiara considerando l’assenza di fibre specifiche per il dolore nel parenchima polmonare. Il trattamento del dolore oltre che sulla terapia antitumorale specifica, chemio-radiante, si base sull’uso appropriato degli analgesici in rapporto alla sua entità e durata. Sindrome della vena cava superiore (SVC). Si tratta di una complicanza piuttosto comune nel cancro del polmone, dovuta ad una ostruzione della vena cava superiore da parte di adenopatie metastatiche paratracheali destre o da compressione diretta del tumore dopo invasione del lobo polmonare superiore destro. È caratterizzata da gonfiore del viso, del collo con edema a mantellina, tosse, arrossamento da vasodilatazione e comparsa di circoli venosi al collo e alla parete toracica superiore. La sua severità prognostica dipende dall’estensione e rapidità di insorgenza dell’ostruzione che non trattata tempestivamente può determinare, in breve tempo, disturbi del SNC, perdita della coscienza, coma e morte. La radioterapia immediata rappresenta il trattamento di scelta della SVC anche se, nel microcitoma polmonare e nei linfomi, la rapidità di azione della chemioterapia può essere un trattamento di prima 18

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linea efficace ed appropriato in combinazione sequenziale con la radioterapia stessa. Una terapia di supporto con cortisone a dosi adeguate (desametasone 8-16 mg) e diuretici può essere un utile ed importante complemento per la riduzione dell’edema e la conseguente palliazione dei sintomi.

Cachessia neoplastica. La sindrome da cachessia neoplastica è caratterizzata da anoressia, astenia, dimagrimento rapido e determina un deterioramento importante del sistema immune e del performance status dell’ammalato. Nel tumore del polmone si verifica più frequentemente nelle fasi terminali di malattia, ma può essere presente in una piccola frazione di ammalati sin dall’esordio e rappresenta in questo caso un grave e negativo fattore prognostico32. Le sue cause e i fattori che ne condizionano lo sviluppo non sono ancora del tutto conosciuti. Un ruolo importante esercitano diverse citochine prodotte dal tumore stesso ed ormoni come il tumor necrosis factor (TNF- ), le interlukine, l’insulina e fattori di crescita dei tumori umani tra i quali l’insuline-like growth factor, che possono nel loro insieme esaltare il catabolismo inducendo un rapido impoverimento dell’organismo del paziente33. Il trattamento della cachessia neoplastica non è semplice e non consiste nel semplice supporto nutrizionale anche per via parenterale. È importante riconoscere e trattare eventi correggibili quali mucositi, secchezza delle fauci, dolore, stipsi e sindromi depressive. Il farmaco più comunemente usato nella palliazione della cachessia neoplastica è il megestrolo acetato a dosi non superiori a 800 mg al giorno, che può indurre un aumento della massa magra corporea con un effetto positivo sull’anoressia e sull’appetito. Meno utile e di incerto significato risulta l’impiego di cortisonici che possono essere controindicati per i loro effetti metabolici e di consumo del tessuto muscolare34. • Bibliografia 1. Boyle P, Ferlay J. Cancer incidence and mortality in Europe, 2004 Ann Oncol 2005; 16: 481-8. 2. Goldstraw P. International Association for the study of lung cancer; Staging Manual in Thoracic Oncology 2009 Editorial Rx Press Orange Park, Fl, USA. 3. Schiller JH, Harrington D, Belani CP, et al. Comparison of four chemotherapy regimens for advanced non-small-cell lung cancer. N Engl J Med 2002; 346: 92-8. 4. American Society of Clinical Oncology, Kris MG, Hesketh PJ, Somerfield MR, et al. American Society of Clinical Oncology Guideline for antiemetics in oncology: update 2006. J Clin Oncol 2006; 24: 2932-47. 5. Roila F, Herrstedt J, Aapro M, et al. Guidelines update for MASCC and ESMO in the prevention of chemotherapy and radiotherapy induced nausea and vomiting: results of the Perugia Consensus Conference. Ann Oncol 2010; 21 (Suppl 5): 232-43. 6. Travis WD, Brambilla E, Noguchi M, et al. International association for the study of Lung Cancer/American Thoracic Society/European Respiratory Society international multidisciplinary classification of lung adenocarcinoma. J Thorac Oncol 2011; 6: 244-85. 7. Sandler A, Gray R, Perry MC, et al. Paclitaxel-carboplatin alone or with bevacizumab for non-small-cell lung cancer. N Engl J Med 2006; 355: 2: 2542-50.


| Tumori e terapie di supporto | Tumori del polmone: standard terapeutici e complicanze

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| Gestione eventi avversi |

Complicanze cardiovascolari nelle terapie del carcinoma mammario

Stefano Tamberi Direttore UO Oncologia Faenza (Ravenna)

Introduzione La tossicità cardiaca è una delle più importanti sequele legate ai trattamenti antineoplastici. In particolare l’utilizzo, ormai da anni, di farmaci chemioterapici e biologici gravati da tale tossicità nel trattamento adiuvante, e della fase avanzata del carcinoma della mammella, ha reso disponibili all’oncologo dati sull’incidenza di eventi avversi cardiovascolari acuti, sub acuti e tardivi e sulle modalità di monitoraggio delle pazienti. Accanto alla propria tossicità cardiaca (scompenso cardiaco e riduzione della frazione di eiezione ventricolare) vi sono effetti tossici vascolari (tromboembolico arterioso e venoso, ipertensione) dei farmaci antiangiogenetici che hanno reso necessario un aggiornamento clinico sull’adeguata gestione di tali effetti collaterali. Nel trattamento del carcinoma mammario sono ormai da anni in uso farmaci associati a tale problematica: antracicline, trastuzumab e più recentemente lapatinib e bevacizumab. Di questi farmaci si conoscono meccanismi patogenetici di tale tossicità, ma l’avvento di nuove combinazioni farmacologiche e nuovi farmaci pone all’oncologo lo stimolo per una costante attenzione al problema. Antracicline La tossicità cardiaca delle antracicline può essere acuta, sub acuta e cronica. La tossicità acuta si manifesta durante o subito dopo l’infusione del farmaco con aritmie (tachicardia sopraventricolare) che porta in alcuni casi a scompenso cardiaco, sindrome pericardite-miocardite e alterazioni dell’ecg (prolungamento QT, alterazioni tratto St-T). La tossicità acuta è reversibile e dose-dipendente. La tossicità sub acuta subentra dopo alcune settimane con miocarditi, alterazioni della funzione diastolica con una mortalità del 60%. Tale tossicità acuta e subacuta è rara (1-4%). Clinicamente rilevante è la tossicità cardiaca cronica con un progressivo decadimento della funzione ventricolare fino allo scompenso cardiaco. È ben noto come il principale fattore di rischio sia la dose cumulativa. Infatti, per esempio, il rischio di scompenso cardiaco per la doxorubicina è dello 0,14-5% per ≤ 400 mg/mq, del 7-26% per 550 mg/mq e del 18-48% per 700 mg/mq. Alla dose si aggiungono come fattori di rischio l’età 20

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avanzata, il sesso femminile e la combinazione con ciclofosfamide, taxani, trastuzumab, pregressa radioterapia mediastinica, comorbilità cardiovascolari. Seppure nella maggioranza dei casi la tossicità tardiva si manifesta entro il primo anno dal termine della chemioterapia, le manifestazioni cliniche possono avvenire anche dopo 10-20 anni. Questo suggerisce nelle donne trattate in adiuvante un monitoraggio ecocardiografico anche a distanza di tempo più prolungato. La conoscenza ormai storica di questi dati e l’utilizzo di analoghi meno cardiotossici hanno reso la tossicità cardiaca, intesa come scompenso cardiaco, un evento sempre meno frequente. Tuttavia le alterazioni funzionali asintomatiche evidenziabili nel follow-up variano dal 50 all’85%, anche ad oggi non ne è chiaro il risvolto clinico. Inoltre l’utilizzo del dexrazoxane, farmaco cardio-protettore, può essere una opzione in casi molto selezionati. Come suggerito dalle linee guida ASCO è eventualmente consigliabile l’uso del dexrazoxane in pazienti con dose cumulative di doxorubicina ≥ 300 mg/mq e in cui il riutilizzo sia clinicamente rilevante1,2. Trastuzumab Circa il 20-25% dei carcinomi della mammella esprime una over expression di HER2. Da oltre dieci anni (approvazione FDA nel 1998) il trastuzumab è registrato per il trattamento delle donne con carcinoma mammario avanzato con HER2 positivo e successivamente nel trattamento adiuvante. Nei primi studi in associazione con antracicline l’incidenza di grave scompenso cardiaco (NYHA grado III e IV) fu del 16%. In monoterapia o in associazione ai taxani la stessa grave tossicità cardiaca si riduceva al 2%. Sulla base di queste iniziali osservazioni sono stati approfonditi i meccanismi patogenetici, le caratteristiche cliniche e il monitoraggio strumentale dei pazienti. Il meccanismo patogenetico sembra essere correlato ad un blocco del segnale di HER2 nel miocita con un blocco della via di protezione della cellula miocardica. La funzione di HER2 è necessaria nella embriogenesi cardiaca, nel riparare il danno ossidativo delle antracicline e influenza l’omeostasi del calcio nella cellula miocardica. Inoltre l’inibizione di HER2 si associa a un aumento dell’espressione delle proteine pro apoptotiche di bcl-2 e riduzione di bcl-xL con funzione anti apoptotica. Queste alterazioni dell’equilibrio delle proteine di bcl (BAX) determinano un’alterazione della funzione mitocondriale. Con il ripristino di fisiologici livelli di bcl tale fenomeno scompare dando ragione della reversibilità


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della tossicità cardiaca di trastuzumab e dell’assenza di alterazioni morfologiche del miocita cardiaco1. Una recente metanalisi pubblicata nel 20113 ha ulteriormente analizzato la tossicità del trastuzumab nelle pazienti con carcinoma mammario trattate in fase avanzata e adiuvante. In questo ultimo setting erano già state pubblicate tre metanalisi e fornite agli oncologi linee guida per il monitoraggio e trattamento di tale problematica (Cardiac Guidelines Consensus Committee). Nella metanalisi di Chen et al.3 su un totale 11.882 pazienti trattate con trastuzumab in 10 studi randomizzati l’incidenza di riduzione della funzione ventricolare era pari al 7,5% (IC 95% 4,2-13,1) e di scompenso cardiaco dell’1,9% (IC 95%1 1,0-3,8) con un incremento del rischio di riduzione di LEVF (RR 2,13 95% IC 1,31-3,49 p=0,0003). L’incremento del rischio di scompenso cardiaco (RR 4,19 95% IC 2,73-6,42 p<0,00001) era significativo nelle pazienti trattate in adiuvante come pure in fase avanzata. Inoltre l’aumento del rischio era significativo nelle pazienti trattate con antracicline rispetto a quelle non trattate. Questa ulteriore metanalisi conferma la necessità, specialmente nella terapia adiuvante di una particolare attenzione al rapporto costo beneficio del trattamento. Tali dati che ci forniscono la dimensione globale del problema richiedono alcune precisazioni. Nello studio HERA, l’incidenza della cardiotossicità di chemioterapia adiuvante e trastuzumab sequenziale, che risulta essere inferiore agli altri studi (2% versus 0,2 % pazienti non trattate), è verosimilmente legata al tempo intercorso tra l’esposizione all’antraciclina (3 mesi vs poche settimane) e la terapia con trastuzumab. Nonostante questo il 4,3% delle pazienti ha interrotto il trattamento per problemi cardiaci. Pertanto la sequenza o la concomitanza del trastuzumab alla chemioterapia ed il tempo intercorso dal trattamento con l’antraciclina possono determinare una maggiore o minore incidenza di eventi avversi cardiaci. Pur avendo oggi a disposizione quindi molti dati dalla letteratura scientifica, in una recente review si pone attenzione all’adeguatezza della valutazione della cardiotossicità. Infatti viene sottolineata la scarsità di definiti prospettici end point su tale aspetto, di rilevazioni delle modificazioni cardiache rispetto al basale e pochissime informazioni sulle alterazioni della funzione diastolica. Infine si pone in rilievo la necessità di individuare, in particolare per il dosaggio della troponina, nuove metodiche da affiancare all’ecocardiogramma e alla scintigrafia miocardica3-5. Lapatinib Perez et al.6 hanno eseguito una revisione sulla tossicità

cardiaca su 4990 pazienti trattate in 44 trial clinici. In questi studi il 74% (3689 pazienti) ha ricevuto lapatinib, mentre il 26% (1301 pazienti) non ha ricevuto il trattamento e rappresenta il controllo. La tossicità cardiaca è stata prospetticamente valutata con MUGA e/o ecocardiogramma ogni 8 settimane. Gli eventi cardiaci erano definiti oltre per la comparsa di scompenso cardiaco anche come riduzione della LEVF>20% rispetto al basale. Soltanto in 60 pazienti pari all’1,6% si sono verificati eventi cardiaci di cui tra questi solo 7 pazienti pari allo 0,2%, erano sintomatici. Tale incidenza era molto simile a quanto osservato nel gruppo di controllo. Il precedente trattamento con antracicline era associato a una incidenza del 2,2%, con quadri sintomatici nello 0,3%. Dati sovrapponibili erano osservati (1,7%) per precedente terapia con trastuzumab. Nonostante l’assenza di dati di follow up a lungo termine il lapatinib è gravato da una significativa minore tossicità cardiaca rispetto al trastuzumab. Conclusioni Ad oggi è ben nota nella pratica clinica quale sia la gestione delle complicanze cardiovascolari da antracicline e HER 2 inibitori nel trattamento del carcinoma mammario. Tuttavia nonostante tali eventi avversi siano sintomatici abbastanza raramente, rimane ancora da chiarire quale siano le conseguenze di alterazioni della funzione cardiaca. Inoltre si rende necessaria negli studi clinici una prospettica e omogenea valutazione della cardiotossicità. Le nuove combinazioni e l’affacciarsi di nuove molecole biologiche richiedono l’attenzione ad un costante monitoraggio di tale tossicità. • Bibliografia 1. Senkus E, Jassem J. Cardiovascolar effects of systemic cancer treatment. Cancer Treat Rev 2011; 37: 300-11. 2. Hensley ML, Hagerty KL, Kewalramani T, et al. American Society of Clinical Oncology 2008 clinical practice guideline update: use of chemotherapy and radiation therapy protectants. J Clin Oncol 2009; 27: 127-45. 3. Chen T, Xu T, Li Y, et al. Risk of cardiac dysfunction with trastuzumab in breast cancer patients: a meta-analysis. Cancer Treat Rev 2011; 37: 312-20. 4. Azim H, Azim HA Jr, Escudier B.Trastuzumab versus lapatinib: the cardiac side of the story. Cancer Treat Rev 2009; 35: 633-8. 5. Verma S, Ewer MS. Is cardiotoxicity being adequately assessed in current trials of cytotoxic and targeted agents in breast cancer? Ann Oncol 2011; 22: 1011-8. 6. Perez EA, Koehler M, Byrne J, Preston AJ, Rappold E, Ewer MS. Cardiac safety of lapatinib: pooled analysis of 3689 patients enrolled in clinical trials. Mayo Clin Proc 2008; 83: 679-86.

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| Casi clinici |

Nausea ritardata

Enzo Ballatori Docente di Statistica Medica, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di L’Aquila

on ci sarebbe Medicina se non ci fosse il soggetto malato; la minuziosa analisi della sua malattia è detta “descrizione di un caso clinico”. Purtroppo, però, anche la Medicina scientifica ha la sua patologia consistente in studi affetti da errori che, per il metodologo, hanno un significato analogo a quello che i casi clinici hanno per il medico. Abbiamo così conservato il nome di “Casi clinici” per indicare una rubrica, incentrata sulla fisiopatologia della ricerca clinica nel campo delle terapie di supporto, avente diverse finalità: a. consentire di valutare la credibilità delle conclusioni dello

N

studio clinico esaminato, riguardandone i risultati alla luce della correttezza del processo con cui sono stati ottenuti; b. far apprendere la metodologia della ricerca clinica a partire dagli aspetti positivi e dagli errori che sono stati commessi negli studi che verranno via via esaminati; c. far constatare che la vera complessità della ricerca clinica non è – o non dovrebbe essere – negli strumenti di analisi, ma nella specificità dei problemi del campo di applicazione in cui si colloca lo studio. In altre parole, è difficile che un ricercatore che non conosca le peculiarità, e le insidie, di uno specifico settore della Medicina possa correttamente progettare uno studio clinico in quel campo di ricerca ed analizzarne i risultati. La rubrica, che non sarà presente in tutti i numeri della rivista, si articola in due parti: una scheda riepilogativa del lavoro su cui

SCHEDA RIEPILOGATIVA

A Phase III Study for Prevention of Delayed Nausea: University of Rochester CCOP Study of 1,021 Patients receiving chemotherapy Lo studio (randomizzato, doppio cieco, controllato con placebo, multicentrico USA), presentato all’ASCO 2011 da JA Roscoe*, fu progettato per rispondere a tre quesiti: 1. se palonosetron (PALO) sia più efficace di granisetron (GRAN) contro la nausea ritardata (DN), quando entrambi sono somministrati al giorno 1; 2. se l’aggiunta di desametasone (DEX) nei giorni 2 e 3 migliora il controllo di DN; 3. se l’aprepitant (APR) combinato con PALO + DEX è il regime più efficace per il controllo di DN. Metodi Criteri di eleggibilità: pazienti in età ≥18 a., trattati per la prima volta con chemioterapia altamente o moderatamente emetogena, cioè

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includente cisplatino o un’antraciclina, o carboplatino, o oxaliplatino, qualunque dose/schedule, tranne multiple-day. Criteri di esclusione: radioterapia concomitante, antracicline e cisplatino liposomiali, dacarbazina, nitrosouree, streptozocina, esametilmelamina. Misura della nausea: analogo visivo a 7 punti per la misura della massima intensità di nausea. Il punteggio va riportato nella diary card in ciascuna casella relativa al mattino, pomeriggio, sera e notte dei giorni 1 (giorno della chemioterapia), 2 e 3. Fu rilevata anche l’occorrenza di vomito. Trattamenti: pazienti randomizzati a 4 gruppi sperimentali: T1. Giorno 1 (G1): PALO (0,25 mg iv) + DEX (20 mg iv); giorni 2 (G2) e 3 (G3): proclorperazina 10 mg ogni 8 ore (PR). T2. G1: GRAN (1 mg iv) + DEX (20 mg iv); G2 e G3: PR. T3. G1: PALO (0.25 mg iv) + DEX (12 mg iv) + APR (80 mg); G2 e

G3: APR (80 mg) + DEX (8 mg). T4. G1: PALO (0,25 mg iv) + DEX (20 mg iv); G2 e G3: PR + DEX (8 mg). Contrasti per rispondere al quesito 1: T1 vs T2; al quesito 2: T1 vs T4; al quesito 3, T3 vs T4. Risposta: media dei punteggi di DN. Analisi statistica: ANOVA con trasformazione Box-Cox per asimmetria; correzione di Bonferroni perché furono eseguiti 3 contrasti (livello di significatività: P < 0,017). Risultati Popolazione in studio: 1021 pazienti; 80% donne; 59% mammella, 18% tratto gastro-intestinale; 59% doxorubicina, 17% carboplatino, 17% oxaliplatino, 6% cisplatino, 1% epirubicina. Nessuna differenza significativa tra i 4 gruppi. Risultati generali: 55% ebbero DN, 16% vomito ritardato (DV) Risultati specifici (valori approssimati perché letti da grafico):


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verterà la discussione e la sua analisi. Inoltre, quando nel lavoro vengono usati strumenti statistici che non si ritiene siano nella conoscenza di tutti i lettori, uno di questi sarà trattato nello spazio “Statistica per concetti”, dove il rigore sarà sacrificato, almeno in parte, alla comprensibilità dell’esposizione. La scheda, che riassume uno studio sulla nausea ritardata indotta da chemioterapia moderatamente o altamente emetogena, è stata compilata sulla base delle diapositive di supporto alla presentazione orale di JA Roscoe al congresso ASCO 2011. Si tratta di uno studio doppio cieco, controllato con placebo, multicentrico condotto esclusivamente negli USA, in cui i pazienti venivano randomizzati ad uno di 4 bracci, diversi in relazione alla profilassi dell’emesi (nausea o vomito) acuta (quella che si manifesta nelle prime 24 ore dopo la somministrazione della chemioterapia) e ritardata (quella osservata dal 2° giorno in poi). Malgrado i quesiti cui lo studio tenta di dare una risposta siano di tutto rilievo, i risultati vanno presi con estrema cautela non tanto per le lacune necessariamente presenti in ogni esposizione orale (che si spera vengano colmate in sede di stesura definitiva del lavoro), quanto per l’esistenza di numerosi importanti elementi di criticità. Finalità della presente nota sono, da un lato, sottolineare

quanto poco attendibili siano spesso le comunicazioni a congressi (non sono mai considerate – o non dovrebbero esserlo – ai fini della formulazione di linee guida) e, dall’altro, evidenziare alcuni aspetti, soprattutto metodologici, che rendono inaffidabili i risultati dello studio. L’ambizione più grande, però, è quella di fornire al lettore alcuni strumenti teorici per una valutazione critica dei risultati degli studi sugli antiemetici che vengono attualmente pubblicati. Il primo elemento di sconcerto è che Gary Morrow, primo firmatario del lavoro, è stato il coordinatore di una commissione di metodologi che, nell’ambito della 1997 Perugia Antiemetic Consensus Conference, ha messo a punto lineeguida per la ricerca sui farmaci antiemetici1, argomento che nelle successive edizioni della Consensus Conference non fu più ripreso perché si ritenne che non ci fosse nulla da modificare o da aggiungere.

a. Relazione tra incidenza di nausea e vomito nella fase acuta e in quella ritardata. È stato ampiamente dimostrato, dapprima dai lavori dell’IGAR (Italian Group for Antiemetic Research) e successivamente anche da altri autori, che il predittore più importante della nausea ritardata è la presenza di nausea nella fase acuta, così come il predittore più importante del vomito ritardato è il vomito acuto. Ciò ha indotto la Consensus Conference sugli antiemetici del 1997 a raccomandare che in ogni studio cli-

Conclusioni 1. Differenza non significativa tra T1 1. Palonosetron non è più efficace di granisetron né contro il vomito e T2: anche rispetto a DV, PALO ha T1 1,8 2,7 ritardato, né contro la nausea la stessa efficacia di GRAN quando T2 1,8 2,9 ritardata quando entrambi sono entrambi sono somministrati T3 1,5 2,2 somministrati in aggiunta al insieme a DEX. desametasone nel giorno 1 e alla 2. Differenza non significativa tra T1 T4 1,6 2,4 proclorperazina nei giorni 2 e 3. e T4: l’aggiunta di DEX nei giorni 2 2. I pazienti che ricevono e 3 non migliora l’efficacia di PR. desametasone nei giorni 2 e 3 3. Differenza significativa (P < 0,048) Nausea ritardata: confronti hanno un’intensità media di tra T3 e T4: APR è più efficace di 1. T1 vs T2: diff (DN) = –0,01, PR contro il vomito ritardato. nausea significativamente P < 0,73 (n.s.). inferiore. Però, l’aggiunta di 2. T1 vs T4: diff (DN) = 0,19, Nausea ritardata condizionata desametasone non riduce P = 0,013. L’aggiunta di DEX nei da vomito ritardato significativamente l’incidenza di giorni 2 e 3 migliora l’efficacia di (analisi esplorativa): vomito ritardato. PR. a. nei pazienti che non ebbero 3. L’aprepitant, pur non fornendo un 3. T3 vs T4, ossia APR vs PR nei giorni vomito ritardato l’intensità media beneficio significativo rispetto alla 2 e 3: diff (DN) = –0.03, di DN fu praticamente proclorperazina nella riduzione P < 0,59 (n.s.). Nella fase ritardata, sovrapponibile nei 4 gruppi; dell’intensità media della nausea APR ha la stessa efficacia di PR b. nei pazienti che soffrirono di DV, ritardata, riduce significativamente nella prevenzione della nausea. APR è risultato significativamente l’incidenza di vomito ritardato. più efficace di PR (P < 0,001) nel 4. È necessario un miglior controllo Vomito ritardato: percentuale ridurre l’intensità media di DN; della nausea ritardata. di pazienti con vomito ritardato nessuna differenza significativa * Morrow GR. J Clin Oncol 2011; 29: 5525, negli altri 2 confronti. T1: 18%; T2: 24%; T3: 8%; T4: 14%. abstr. 9012. Trattamento

Media della intensità media di DN

Media della massima intensità di DN

Confronti:

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nico sull’emesi (nausea o vomito) ritardata sia tenuta costante la profilassi dell’emesi acuta, cioè che tutti i pazienti ricevano lo stesso trattamento antiemetico per la fase acuta e vengano quindi randomizzati ai trattamenti per la prevenzione dell’emesi ritardata. Infatti, se così non accadesse, la minore incidenza (o severità) dell’emesi ritardata potrebbe essere imputabile alla maggiore efficacia della profilassi dell’emesi acuta – che ha un trascinamento di effetti nella fase ritardata – e non alla profilassi dell’emesi ritardata individuata come più efficace. Nel lavoro in oggetto, con l’eccezione del confronto tra T1 e T4, così non è. Ad esempio, il braccio T3 è quello in cui i pazienti sono stati trattati con la combinazione dimostratasi ottimale (quella raccomandata dalle attuali linee guida) per la prevenzione dell’emesi acuta. Solo per tale ragione è naturale attendersi una maggiore protezione dal vomito ritardato (che di fatto è stata poi riscontrata), indipendentemente dal trattamento antiemetico ricevuto nella fase ritardata. In altre parole, non è detto che la somministrazione di aprepitant più desametasone nella fase ritardata sia realmente più efficace di un altro trattamento antiemetico: la sua evidente maggiore efficacia potrebbe essere imputabile unicamente alla maggior efficacia della combinazione aprepitant + palonosetron + desametasone nella prevenzione dell’emesi acuta.

b. Eterogeneità della popolazione in studio. Gli autori hanno l’ambizione di riferire i risultati alle chemioterapie moderatamente e a quelle altamente emetogene. In realtà si tratta soprattutto di pazienti donne (80%) (che, notoriamente, rispetto ai maschi, presentano una maggiore incidenza di emesi), sottoposte ad una chemioterapia moderatamente emetogena, in quanto i pazienti trattati con cisplatino sono solo il 6% del totale. In pratica, quindi, contrariamente alle intenzioni degli autori, tale eterogeneità consente di riferire i risultati a pazienti sottoposti a chemioterapia moderatamente emetogena, dove la presenza di pazienti trattati con cisplatino (peraltro non se ne menziona nemmeno la dose), può solo produrre rumore aggiuntivo.

c. Valutazione individuale della nausea. L’intensità della nausea ritardata è stata rilevata con un analogo visivo a 7 punti. Il paziente sceglie quel valore che meglio rappresenta l’intensità di nausea che ha avuto il mattino, il pomeriggio, la sera e la notte dei tre giorni successivi alla somministrazione della chemioterapia e lo trascrive nella corrispondente casella. Sebbene se ne comprenda l’utilità pratica, una scala a 7 punti non costituisce affatto uno standard nella ricerca sugli antiemetici, dove si usano abitualmente o un analogo visivo lineare lungo 100 mm, senza ancoraggi intermedi tra i punti estremi, o una scala di Likert a 4 punti: nessuna nausea, nausea lieve (compatibile con tutte le attività quotidiane), nausea moderata (non compatibile con tutte le attività), nausea severa (il paziente è costretto a letto dalla nausea). I risultati, quindi, non sono comparabili con quelli ottenuti in altri studi; almeno si auspica che lo strumento adottato sia stato in precedenza validato. Un secondo elemento di criticità scaturisce dal fatto che la nausea ritardata è stata rilevata solo nei giorni 2 e 3 suc24

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cessivi alla chemioterapia, mentre è noto che tale fenomeno si protrae spesso fino al 5° giorno e talora anche fino all’8°. Infatti, ad esempio, il Functional Living Index-Emesis (FLI-E), messo a punto per la valutazione dell’impatto della nausea e del vomito sulla qualità di vita del paziente, viene somministrato al 6° giorno facendo riferimento ai primi 5 giorni dopo la somministrazione della chemioterapia.

d. Valutazione complessiva della nausea. La media delle 8 valutazioni individuali (4 x 2 giorni della fase ritardata) è assunta come endpoint primario. Per ciascun braccio di trattamento, la sintesi delle valutazioni individuali della nausea ritardata è stata eseguita in due modi: con la media aritmetica delle medie delle 8 valutazioni individuali, M(DN), e calcolando la media della massima intensità di nausea riscontrata in ciascun paziente nelle 8 valutazioni, M(maxDN). Così operando, però, le medie sono appiattite per la presenza dei pazienti che non hanno avuto nausea ritardata (quasi la metà) e tendono a variare poco da trattamento a trattamento. Come per la nausea, così per molti altri eventi avversi di una terapia, una loro completa conoscenza dovrebbe basarsi su diverse dimensioni: presenza o meno, intensità, frequenza, durata, rilevanza (cioè, impatto sulla qualità di vita). Infatti, ha senso valutare (e confrontare) intensità, frequenza e durata considerando solo i pazienti che hanno presentato tale sintomo. Nel caso della nausea è stato dimostrato che la dimensione che ha il maggiore impatto sulla qualità di vita del paziente è la durata e, solo secondariamente, l’intensità2. D’altronde, tale risultato è conforme all’esperienza comune: per il paziente, il protrarsi a lungo di una nausea moderata o lieve è spesso assai peggio di pochi minuti di nausea molto intensa. In conclusione, come raccomandato dalle linee guida, sarebbe stato preferibile analizzare come endpoint principale la presenza o meno di nausea ritardata lasciando l’intensità come endpoint secondario, studiandola però nei soli pazienti che hanno sofferto di nausea, anche perché sembra paradossale parlare di intensità di nausea in pazienti che non l’hanno avuta. Invece, nel lavoro in oggetto non è dato sapere se un basso valor medio dipenda dalla presenza di molti pazienti protetti e pochissimi con nausea severa, o invece da molti pazienti, tutti con bassa intensità di nausea. Inoltre, osservando come è stata rilevata la nausea in ciascun paziente, ci si poteva illudere che almeno una proxy della durata sarebbe stata analizzata: speriamo che gli autori lo facciano nel lavoro definitivo.

e. I farmaci in studio. Nella profilassi dell’emesi ritardata, nei gruppi T1, T2 e T4 compare la proclorperazina, un farmaco che non è mai stato preso in considerazione per la profilassi dell’emesi dalle lineeguida di trattamento antiemetico. La ragione di tale scelta risiede nei risultati di un unico lavoro, prodotto dallo stesso gruppo di ricerca, in cui la proclorperazina, somministrata nei giorni 2 e 3 alla dose di 10 mg 3 volte al giorno, risulta più ef-


| Casi clinici | Nausea ritardata

ficace degli antagonisti dei recettori 5-HT3 (somministrati senza l’aggiunta di desametasone) nella prevenzione della nausea ritardata3. Tale studio presenta gli inconvenienti sopra descritti, con l’eccezione della relativa omogeneità della profilassi contro l’emesi acuta (uno qualsiasi dei 5-HT3 antagonisti + desametasone). Soprattutto, però, ha anche altri inconvenienti, tra cui particolarmente importante è la mancanza di un comparator appropriato, dato che il trattamento raccomandato dalle linee guida prevede l’uso del desametasone. Per quanto esposto, mancano affidabili evidenze dell’efficacia della proclorperazina nella prevenzione della nausea o del vomito ritardati.

f. Relazione tra nausea e vomito. La nausea è definita come sensazione di vomito imminente. Però, se è raro osservare vomito senza nausea, è frequente la presenza di nausea che non dà luogo a vomito. In un lavoro pubblicato una quindicina di anni fa4, fu provata l’esistenza di almeno due tipi di nausea, un tipo concomitante al vomito ed almeno un altro tipo indipendente da esso. Il che spiega come farmaci assai potenti nel controllo del vomito, come i 5-HT3 antagonisti, lo siano molto meno nel controllo della nausea. Infatti, essendo tali farmaci altamente selettivi contro il vomito, riescono a ridurre la nausea concomitante al vomito e poco quella indipendente da esso. Tali considerazioni spiegano anche il successo della proclorperazina nello studio di Hickok3.

g. I risultati dello studio. Articolati essenzialmente in 3 contrasti, i risultati dello studio vanno presi con cautela, sebbene possano almeno in parte essere interpretati alla luce delle considerazioni fatte sopra. Il palonosetron ha la stessa efficacia di ogni altro 5-HT3 antagonista nella prevenzione della nausea (e del vomito) ritardati (confronto tra T1 e T2). Il suo effetto sulla nausea ritardata può essere in parte spiegato con la relativa scarsa efficacia dei 5-HT3 antagonisti sulla nausea, mentre desta sorpresa l’equivalente effetto sul vomito rispetto al granisetron. Se tale risultato fosse confermato, sarebbe la migliore prova che nella ricerca clinica non vale il principio di additività degli effetti dei singoli farmaci, in quanto sono stati pubblicati diversi studi in cui, come agente singolo, palonosetron è superiore ad altri 5-HT3 antagonisti. Tuttavia, sia per la mancanza di ogni indicazione circa la potenza del contrasto, sia per la brevità del periodo di osservazione, sia per la inappropriatezza della proclorperazina nella profilassi della nausea ritardata, non resta che sospendere il giudizio. Sebbene con tutti i limiti dello studio, si conferma il ruolo del desametasone nelle prevenzione dell’emesi ritardata (confronto tra T1 e T4), conoscenza, questa, consolidata da lungo tempo.

L’aprepitant è più efficace della proclorperazina nella prevenzione del vomito ritardato (T3 vs T4). In linea teorica ciò sembra scontato, ma occorre cautela nell’accettare tale risultato, soprattutto perché i due gruppi non hanno ricevuto lo stesso trattamento per la prevenzione dell’emesi acuta; pertanto, la maggiore efficacia contro l’emesi acuta del regime del braccio T3, per via dell’effetto di trascinamento, potrebbe aver avuto un impatto sul vomito ritardato, così che la riduzione della sua incidenza potrebbe essere imputabile più a tale effetto che ad una reale maggior efficacia della profilassi dell’emesi ritardata contenente aprepitant. (Analisi esplorativa, come è stata definita dagli autori). Nei pazienti che hanno avuto vomito ritardato (ma non in quelli che non ne hanno sofferto) la nausea ritardata è risultata significativamente meno intensa nei pazienti che hanno ricevuto aprepitant (braccio T3). Come si è visto, nausea e vomito sono fenomeni correlati, pertanto è maggiore la probabilità che riferiscano nausea i pazienti che hanno vomitato. Poiché l’aprepitant riduce l’incidenza di vomito ritardato, sono più numerosi nel braccio T3 i pazienti protetti dal vomito e, pertanto, è più probabile per essi non avere nemmeno nausea. Per come è stata calcolata l’intensità media di nausea ritardata per braccio (tutti i pazienti contribuiscono alla media, indipendentemente dall’aver sofferto o meno di nausea), è evidente che una maggiore incidenza della protezione dal vomito ritardato si ripercuota in una minore intensità media di nausea ritardata. Sarebbe interessante verificare se la riduzione di intensità della nausea ritardata, osservata nel braccio T3, si conserva considerando i soli pazienti che hanno sofferto la nausea. In conclusione, le critiche mosse allo studio sulla nausea ritardata mostrano ancora una volta come la ricerca clinica attuale sulla terapia antiemetica si muova lungo coordinate che la allontanano sempre più dai canoni della ricerca scientifica. È quindi necessario per l’oncologo procedere di volta in volta ad una lettura critica dei lavori che vengono pubblicati, attrezzandosi con strumenti metodologici idonei alla comprensione di una realtà tanto complessa. •

Bibliografia 1. Morrow GR, Ballatori E, Groshan S, et al. Statistical considerations in the design, conduct and analyses of antiemetic trials. An emerging consensus. Supp Care Cancer 1998; 6: 261-5. 2. Ballatori E, Roila F, Ruggeri B, et al. The impact of chemotherapyinduced nausea and vomiting on health-related quality of life. Supp Care Cancer 2007; 15: 179-85. 3. Hickok JT, Roscoe JA, Morrow GR, et al. 5-hydroxytryptaminereceptor antagonists versus prochlorperazine for control of delayed nausea caused by doxorubicine: a URCC CCOP randomised clinical trial. Lancet Oncol 2005; 6: 765-72. 4. De Angelis V, Ballatori E, Tonato M, et al. [The Italian Group for Antiemetic Research]. On the relationship between nausea and vomiting in patients undergoing chemotherapy. Supp Care Cancer 1994; 2: 171-6.

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| Statistica per concetti |

Il problema dei confronti multipli

N

ello studio riportato nella scheda, si fa correttamente riferimento all’uso della disuguaglianza di Bonferroni, dovendo eseguire 3 confronti (o contrasti) tra i 4 bracci di trattamento. Il problema dei confronti multipli è particolarmente importante in Oncologia, in quanto si ripresenta anche in altre occasioni, come, ad esempio, nelle analisi ad interim. Il livello di significatività di un test statistico è la probabilità di sbagliare nel respingere l’ipotesi di uguale efficacia dei trattamenti (ipotesi nulla); convenzionalmente il livello di significatività viene fissato al 5% (cioè, 0,05). Quindi, se i trattamenti sono ugualmente efficaci, si corre un rischio pari al 5% di trovare una differenza significativa, ossia di dichiararli, invece, diversamente efficaci. Ciò vuol dire che in 20 casi in cui l’ipotesi nulla viene respinta al livello del 5%, ci si attende che in un caso tale decisione si riveli errata. Il complemento a 1 di una probabilità misura la probabilità dell’evento contrario. Nel nostro caso, il complemento a 1 del livello di significatività (pari al 95%, ovvero 0,95) è la probabilità che, se i trattamenti sono ugualmente efficaci, si accetti l’ipotesi nulla, cioè che il test non risulti significativo. In altre parole, se i trattamenti sono ugualmente efficaci, c’è il 95% di probabilità di accorgersene accettando l’ipotesi nulla. Ora, si vogliano eseguire più confronti (o contrasti) indipendenti sullo stesso materiale sperimentale (ad es., nel lavoro sintetizzato nella scheda, sono stati eseguiti 3 confronti) e si supponga che i trattamenti siano tutti ugualmente efficaci. Poiché i confronti sono eseguiti indipendentemente l’uno dall’altro, la

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probabilità di accettare sempre l’ipotesi nulla, ossia di accettarla in ciascun confronto, è pari al prodotto delle tre probabilità di accettarla: 0,95 x 0,95 x 0,95 = 0,857. L’evento contrario ad “accettare sempre (cioè in tutti e 3 i contrasti)” l’ipotesi nulla, si articola nel respingere l’ipotesi nulla in un contrasto, respingerla in due, respingerla in tutti e 3 i contrasti; per brevità diremo “respingere l’ipotesi nulla in almeno un contrasto”. Il complemento a 1 della suddetta probabilità è il reale livello di significatività, cioè è la probabilità di respingere erroneamente l’ipotesi nulla in almeno un contrasto: 1 – 0,857 = 0,143. Quindi, la probabilità di sbagliare almeno una volta è pari al 14,3%, ed è ben superiore al 5% fissato convenzionalmente: ciò mina alla base la logica del test statistico che è incentrata proprio sulla rarità dell’errore (un evento che ha il 14,3% di probabilità di verificarsi non può certo essere considerato “raro”). Bonferroni suggerisce di ridurre il livello di significatività per ciascun contrasto (rendendo così più difficile respingere l’ipotesi nulla), in modo tale che sia pari al 5% quello complessivo. Esiste un procedimento semplice per giungere alla soluzione esatta del problema, ma richiede qualche passaggio algebrico che può essere evitato potendosi dimostrare che una sua buona approssimazione si ottiene dividendo il livello di significatività complessivo (cioè, 0,05) per il numero di contrasti da eseguire. Nel lavoro citato, dovendosi eseguire 3 contrasti, affinché il livello di significatività complessivo resti al 5%, il livello di significatività per ciascun contrasto viene posto pari all’1,7% (= 0,05/3). Ovviamente, al crescere del

numero dei contrasti, per mantenere al 5% il livello di significatività complessivo, il livello di significatività per ciascun contrasto diminuisce sensibilmente. Ad esempio, se i contrasti fossero 4, il livello di significatività per ciascuno sarebbe all’incirca pari all’1,25% (cioè, 0,05/4); se fossero 5 sarebbe pari a circa l’1% (0,05/5), e così via. Il teorema di Bonferroni ha una portata assai generale: ogni volta che si eseguono più test statistici sullo stesso materiale sperimentale, si altera il livello di significatività complessivo, indipendentemente sia dalle finalità dell’analisi (investigative, esplorative), sia da considerazioni derivanti dal contesto, come ad esempio, che l’esecuzione dei test sia programmata, ovvero fatta di nascosto (nessuno lo verrà mai a sapere; anche da qui scaturisce la preoccupazione del ricercatore per la prassi che assegna all’industria la proprietà dei dati statistici). Nella pratica, sempre allo scopo di conservare il livello di significatività complessivo al 5%, è opportuno eseguire il minor numero possibile di contrasti, limitandosi solo a quelli veramente indispensabili, così da alterare il meno possibile il livello di significatività del singolo contrasto. Anche le analisi ad interim vanno assoggettate a questa logica. Per una serie di ragioni che esulano dagli scopi di questa nota, un’analisi ad interim non pianificata dovrebbe sempre essere evitata. Tuttavia, se la si è condotta, è necessario considerare che l’esecuzione di un test statistico aggiuntivo (quello per l’analisi ad interim) modifica il livello di significatività. Infatti, poiché i confronti da eseguire sono ora due (quello per l’analisi ad interim e quello


| Statistica per concetti |

per l’analisi finale), affinché sia pari al 5% il livello di significatività complessivo, il livello di significatività da assumere per ciascun confronto è all’incirca pari a 0,05/2=0,025. Ovviamente se le analisi ad interim fossero 2, il livello di significatività per ciascuna di esse e per l’analisi finale sarebbe pari a circa l’1,7%. Da un altro punto di vista, c’è da considerare che, in una sequenza di test statistici eseguiti più volte indipendentemente su dati che si accumulano nel tempo, ad un certo istante si potrebbe evidenziare una significatività destinata però ad essere riassorbita nel prosieguo dell’accrual dei pazienti. Sotto tale profilo, il teorema di Bonferroni concretizza una norma di cautela che mira a ridurre il più possibile la probabilità dell’errore di dichiarare diversamente efficaci i trattamenti, quando in realtà non lo sono. Nel caso che l’analisi ad interim sia pianificata, potrebbe rivelarsi opportuno considerare due diversi livelli di significatività, scegliendone uno assai basso per l’analisi ad interim, così da modificare poco quello per l’analisi finale. Ad esempio, scegliendo pari al 5 per mille (0,005), il livello di significatività per l’analisi ad interim, quello per l’analisi finale risulterà pari a circa 0,045, molto vicino al 5% programmato senza analisi ad interim. In tal modo, se il nuovo trattamento è molto più efficace della terapia standard, il confronto risulterà assai significativo anche con relativamente pochi pazienti e, se è P < 0,005, lo studio potrà essere interrotto dopo l’analisi ad interim, così da consentire ai pazienti del braccio di controllo di ricevere subito la terapia dimostratasi più efficace. Anche per quanto esposto è necessario che le analisi ad interim siano pianificate e che, per evitare ogni arbitrarietà, tutti i loro dettagli vadano riportati nel protocollo dello studio. Enzo Ballatori

| Gestire il burnout |

1. Il burnout in oncologia: come si presenta, perché, come si previene

L

a Mayo Clinic descrive il burnout come “uno stato di esaurimento fisico, emotivo o mentale associato a dubbi circa le proprie competenze e il valore del proprio lavoro”. Si caratterizza per essere una particolare sindrome indotta da stress lavorativo ed occupazionale. Ad essere particolarmente esposti a rischio di burnout sono gli operatori delle professioni di aiuto, ossia coloro che si occupano di aiutare gli altri nella sfera sociale, psicologica, medica, ecc. Pertanto le categorie più coinvolte dal fenomeno di burnout sono gli infermieri, i medici, gli psicologi, gli psichiatri, gli assistenti sociali, ecc. Per questi, la fonte di stress è duplice: lo stress personale e quello della persona cui prestano il loro sostegno. L’oncologia risulta una delle aree mediche più esposte a burnout, per la forte connotazione emotiva e la relazione operatore-paziente particolarmente stressante. L’incontro con il paziente oncologico, con la sua famiglia e con i caregiver si caratterizza per essere frequente fonte di stress psicofisico, necessitando quindi di ottime competenze (anche tecniche) di tipo psicosociale per farvi fronte. Michael Goldstein, del Beth Israel Deaconess Medical Center e Presidente del Workforce Advisory Group dell’American Society of Clinical Oncology, nel corso dell’ultimo congresso di Chicago dell’ASCO ha richiamato l’attenzione su quello che considera già un effetto del bournout sull’organico coinvolto nell’ambito oncologico: sin d’ora, infatti, e durante tutto il prossimo decennio, le professioni oncologiche andranno incontro ad un’evidente riduzione di unità e quindi

scarseggeranno gli operatori ad esse collegati, non solo i medici ma tutti i membri del team oncologico. “Il risultato del burnout è reso evidente dai medici che attualmente abbandonano la professione. Accanto a chi lascia come risultato di un’insoddisfazione nel lavoro, vi è chi ha una palese depressione e chi ricorre a droghe e alcol”. E sempre Goldstein afferma: “Mentre è possibile definire il burnout, la vera sfida sta nella sua prevenzione”. Al di là degli aspetti prettamente emotivi, il burnout risulta anche associato ad un carico eccessivo di pratiche e di lavoro di tipo amministrativo-burocratico che il medico e l’operatore sanitario si trovano a dover espletare. Nel 2006 uno studio commissionato dall’ASCO sulla forza lavoro in oncologia, e che ha coinvolto 4000 operatori oncologici, ha confermato proprio il peso che il lavoro di tipo burocratico ha sull’emergere del burnout: il 32% → I sintomi del burnout (secondo la Mayo Clinic) •

Divenire cinici o critici nel lavoro

Sentire di doversi trascinare a lavoro e avere problemi nel cominciare a lavorare una volta arrivati

Essere irritabili o impazienti con colleghi e pazienti

Percepire una mancanza di energia nell’essere produttivi

Sentirsi insoddisfatti circa i propri risultati o disillusi nel lavoro

Ricorrere a cibo, droghe o alcol per sentirsi meglio

Vedere modificati il sonno e l’appetito

Mal di testa, mal di schiena o altri malesseri fisici inspiegabili

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1. Il burnout in oncologia

| Novità in terapia |

Farmaci approvati dalla Food and Drug Administration (FDA) e dalla European Medicines Agency (EMA)

→ degli intervistati dichiara che

almeno una volta a settimana percepisce un senso di insoddisfazione e di frustrazione, legato soprattutto al tempo e alle energie dedicati – per obblighi di legge - a questioni squisitamente amministrative, di documentazione, aggiornamento dei documenti e burocratiche in genere. Carolyn Runowicz, della University of Connecticut Health Center e Board of Directors dell’ASCO a partire dal congresso del 2011, ha incluso tra le sue priorità per l’ASCO l’approccio al burnout. “La frustrazione di dover documentare tutto quello che hai fatto ogni volta, come se non documentandolo nulla risultasse fatto, non esisteva anni fa. Uno dei paradossi è che puoi occuparti di un paziente in 20 minuti ma il lavoro burocratico può occuparne 40. Le carte sono diventate parte sempre più importante delle nostre responsabilità e si aggiungono alle ore di lavoro che facciamo e, a mio avviso, rappresentano l’aspetto meno gratificante di tutto quello che facciamo”. È di nuovo Goldstein a dichiarare che “la lista delle attività che gli oncologi considerano più onerose non comprende, come si potrebbe pensare, la morte di un paziente, la perdita, le tante ore di lavoro o i turni di notte e dei fine settimana (…); ciò che considerano più stressante è riempire quelle che molti considerano carte senza senso, soprattutto la necessità di dedicarsi a pratiche che non contribuiscono al benessere del paziente”. Il dato interessante è che tra le nuove generazioni di oncologi si registra una minore insoddisfazione lavorativa. Prima di tutto, perché le nuove generazioni si sono formate in un’epoca di sempre crescente burocratizzazione della professione medica, pertanto esse non percepiscono il lavoro di tipo amministrativo-burocratico come carico aggiuntivo ma come parte integrante del loro lavoro; in

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n questo numero della rivista discuteremo di due nuove formulazioni di fentanyl, approvate ambedue per il trattamento del breakthrough pain, cioè quel dolore episodico intenso che è stato riportato nel 33-95% dei pazienti neoplastici con dolore cronico di base controllato con oppioidi. Tali pazienti generalmente presentano 3-4 episodi di breakthrough pain al giorno, il dolore raggiunge il picco in pochi

minuti e dura per un breve periodo, in genere meno di 45 minuti. Tale dolore storicamente è stato trattato con morfina o altro oppioide a immediato rilascio ma le caratteristiche farmacocinetiche di tali farmaci non sono quelle ideali per contrastare un simile dolore; infatti, con questi farmaci l’inizio dell’attività analgesica richiede almeno 20 minuti dopo la somministrazione e raggiunge un picco dopo circa un’ora quando il breakthrough pain è ormai cessato. Nel nostro paese abbiamo a disposizione per il trattamento del breakthrough pain due formulazioni di fentanyl a rapido assorbimento: il fentanyl pastiglie orosolubili con

secondo luogo perché i giovani medici, ed oncologi nella fattispecie, considerano molto importante il giusto equilibrio tra lavoro e vita privata. Questo lascia immaginare per

un prossimo futuro un minor rischio di andare incontro a burnout da parte dei membri del team oncologico. A cura della redazione editoriale

Fausto Roila Sonia Fatigoni SC di Oncologia Medica Azienda Ospedaliera di Terni

I

Prevenire il burnout: 6 punti da tenere a mente •

Appoggiati ad un mentore, supervisore o collega per un aiuto. Il supporto psicologico deve essere tra le priorità di chi lavora – a vario titolo – in un team oncologico.

Prenditi il tempo per attività che ti piacciono. Hobby, viaggi, e tempo dedicato ad altro aiutano a recuperare vitalità ed entusiasmo.

Considera prioritaria la tua salute fisica. Non si può essere medico di se stessi, non si è invincibili. Prendersi cura di sé è una priorità.

Non temere di cercare un consiglio, anche quando desideri che rimanga un fatto privato. Se tutelare la propria privacy è fatto importante e necessario, è meglio cercare allora aiuto al di fuori della propria istituzione di appartenenza piuttosto che rinunciare del tutto ad un consiglio e ad un aiuto.

Utilizza i tuoi giorni di vacanza: te li sei guadagnati! Spesso il burnout si carica di fatica. Un periodo di vacanza serve a ricaricarsi.

Se non vuoi fare tutto ciò per te, fallo per i tuoi pazienti. Un medico sereno sul lavoro lo comunica ai pazienti; un medico sofferente può occuparsi della giusta dose di terapia ma la sua relazione con il paziente ne soffrirà comunque.


| Novità in terapia | Farmaci approvati dalla Food and Drug Administration (FDA) e dalla European Medicines Agency (EMA)

applicatore tipo “lecca-lecca” (Actiq) e il fentanyl compresse orosolubili (Effentora). Negli Stati Uniti a queste si aggiunge anche il fentanyl buccale film solubile (Onsolis). In tutti gli studi che hanno valutato diverse formulazioni di fentanyl i pazienti arruolati erano adulti e con tolleranza agli oppioidi (il dolore episodico intenso si presentava nonostante ricevessero almeno 60 mg di morfina orale al giorno o una dose equianalgesica di altro oppioide). La prima nuova formulazione, approvata dalla FDA nel gennaio 2011, è costituita dal fentanyl compresse sublinguali (Abstral). Con questa formulazione il farmaco raggiunge livelli plasmatici dosabili in 8-11 minuti1. Il fentanyl compresse sublinguali è stato approvato sulla base di uno studio eseguito in 131 pazienti che sono stati titolati per due settimane in aperto. La titolazione serve ad identificare la dose efficace in ogni singolo paziente. In 78/131 (60%) si evidenziò la dose efficace e 61 di questi sono stati arruolati nello studio doppio cieco versus placebo2. La somma delle differenze di intensità del dolore nei 30 e 60 minuti dopo la somministrazione era significativamente superiore con il fentanyl rispetto al placebo (49,5 vs 36,6 e 143,0 vs 104,5, rispettivamente). Il fentanyl sublinguale compresse era superiore al placebo anche nelle differenze di intensità del dolore e del controllo del dolore. Il farmaco era ben tollerato. La dose iniziale consigliata è 100 mcg da titolare fino all’identificazione della dose che determina una adeguata analgesia (massimo 800 mcg). Per ogni episodio di breakthrough pain non si possono usare più di due dosi di farmaco e poi bisogna aspettare almeno due ore prima di trattare un altro episodio di breakthrough pain. Il farmaco è disponibile in compresse a dosi di 100, 200, 300, 400, 600 e 800 mcg. È controindicato come tutte le formulazioni di fentanyl in pazienti che non siano già tolleranti agli oppioidi e nel trattamento del dolore

acuto o postoperatorio; in questi pazienti infatti anche una singola dose di farmaco potrebbe provocare una depressione respiratoria. Inoltre i forti inibitori del CYP3A4 come la claritromicina o l’itraconazolo possono aumentare le concentrazioni plasmatiche del farmaco a livelli tali da causare depressione respiratoria. L’altro farmaco, approvato dalla FDA nel giugno 2011 e già disponibile anche in Italia (Instanyl della Nycomed), è il fentanyl spray nasale. Il farmaco è stato approvato sulla base di tre studi: due verso placebo e l’altro verso la morfina a immediato rilascio. Il primo è stato eseguito in 114 pazienti; la fase di titolazione in aperto ha evidenziato una dose con adeguata analgesia di 100-800 mcg in 83 pazienti; questi sono stati arruolati nello studio doppio cieco e randomizzati a ricevere la dose titolata di fentanyl o placebo3. La somma delle differenze dell’intensità del dolore dopo 10, 30 e 60 minuti dalla somministrazione era significativamente superiore con il fentanyl spray nasale rispetto al placebo. Il secondo studio è stato eseguito in 113 di 120 pazienti che erano stati titolati adeguatamente: la differenza di intensità del dolore dopo 10 minuti dalla somministrazione era significativamente superiore con il fentanyl rispetto al placebo (2,36 versus 1,10, superiore alla differenza clinicamente rilevante di 0,5)4. Il terzo studio, uno studio doppio cieco di confronto con morfina a rilascio immediato, è stato eseguito in 84 di 110 pazienti in cui la titolazione permetteva di identificare la dose efficace5. L’intensità del dolore dopo 10 minuti dalla somministrazione era significativamente più ridotta con il fentanyl spray nasale che con la morfina orale. La dose iniziale consigliata per tutti i pazienti è 100 mcg da titolare fino all’identificazione della dose che determina una adeguata analgesia (massimo 800 mcg). Per ogni episodio di breakthrough pain non si possono usare più di due dosi di farmaco e poi bisogna aspettare

almeno due ore prima di trattare un altro episodio di breakthrough pain. In conclusione i due farmaci approvati dalla FDA sono efficaci. Gli effetti collaterali sono quelli tipici degli oppiacei potenti. Il problema attuale del breakthrough pain è, avendo a disposizione ben 4-5 formulazioni di fentanyl, come scegliere la via di somministrazione da utilizzare nella pratica clinica. Ci sono differenze tra queste formulazioni in termini di efficacia? Per rispondere a questo quesito sarebbero necessari studi indipendenti rigidamente doppio cieco controllati. Purtroppo l’unico studio disponibile, che ha confrontato il fentanyl spray nasale con le pastiglie orosolubili di fentanyl con applicatore tipo “lecca lecca” (Actiq) è stato eseguito in aperto e sponsorizzato dall’azienda produttrice dello spray nasale6. Inoltre, il confronto di queste formulazioni finora è stato fatto con la morfina a immediato rilascio, farmaco poco utile nel breakthrough pain per i motivi sopra riferiti e non con la morfina per via sottocutanea che sicuramente ha un assorbimento più rapido di quella orale a immediato rilascio. Pertanto, considerando anche che i costi delle tre formulazioni disponibili in Italia sono identici, la scelta è soggettiva ad eccezione dei casi in cui la via buccale non sia percorribile come nei pazienti con mucosite o sindrome della bocca secca in cui lo spray nasale è da preferire. • Bibliografia 1. Lennernas B et al. Br J Clin Pharmacol 2005; 59: 249-53. 2. Rauck RL et al. Curr Med Res Opin 2009; 25: 2877-85. 3. Portenoy RK, et al. Pain 2010; 151: 61724. 4. Kress HG, et al. Clin Ther 2009; 31: 1177-91. 5. Davies A, et al. J Pain Symptom Manage 2011; 41: 358-66. 6. Mercadante S, et al. Curr Med Res Opin 2009; 25: 2805-15.

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*

Blocca la a CINV C prima a che c inizi con EMEND D in n terapia di associazione one e

11-13-EMD-2011-IT-6173-PU

Deposito AIFA: 23/ 11/ 2011

* CINVV = Nausea e vomito indotti da chemioter chemioterapia rapia

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Prima della prescriz prescrizione, zione, consultare il riassunto delle caratte caratteristiche eristiche del prodotto accluso.

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