Made in damasco

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Il “Made in Damasco” agli albori della ceramica italiana La città di Damasco è una tra le più note al mondo; attualmente è conosciuta per eventi i quali purtroppo hanno ben poco a che fare con la storia dell'arte e di quella delle “cose belle”. Credo di rispettare lo stesso i profughi, i perseguitati e le vittime della violenza, se rendo omaggio a Damasco ricordando la sua fama eterna nel mondo occidentale. Il nome di questa città ha sempre avuto un alone dal sentore fiabesco ed esotico, probabilmente la natura di questa caratterizzazione culturale non proviene da un'elaborazione letteraria astratta come un racconto o una novella, bensì da qualcosa di molto più concreto e capace di colpire la fantasia e l'immaginario anche della gente meno amante della lettura o — come accadeva spesso dieci secoli fa — incapace di leggere. Un evidente collegamento che un po' tutti sono in grado di compiere come per intuito è ricordare che «damaschino» o «di damasco» erano complementi aggiunti a tanti prodotti di uso quotidiano: stoffe, vetri, arazzi, terrecotte, oggetti in metallo (celebre l'acciaio di Damasco), ma nonostante fossero cose comuni, questa denominazione d'origine le rendeva subito oggetti di lusso e preziose. Quante volte si è usato sempre lo stesso complemento «di Damasco» in un romanzo per descrivere con un'efficace citazione un appartamento o un dettaglio d'abbigliamento in tono d'enfasi? Il caso potrebbe persino porre il fatto che la maggioranza delle persone abbia più udito o letto «di damasco» che visti e toccati gli oggetti in questione direttamente. Non è questo il problema, non c'è da vergognarsi affatto, perché in fondo anche nel passato pochissima gente sapeva con precisione dove si trovasse fisicamente Damasco, e molti probabilmente non sapevano neppure bene


cosa fosse in realtà Damasco: Damasco, Catai, Shangri­La, il Graal... Potevano capitare fraintendimenti e mistificazioni d'ogni genere, tanto, ciò che davvero consisteva nel riscontro reale era nell'effetto per il quale qualunque oggetto bello, lussuoso e bramato dagli europei venisse definito «di Damascho»1 anche se in verità non lo era. Come altrove ho accennato, i libri mastri e contabili su cui si trova scritta la dizione «di Damasco» (in qualsiasi ortografia possibile) sono molti, e in Italia concentrati immancabilmente a Venezia in qualità di approdo principale, ma poi queste merci venivano commerciate ovunque possibile, e per una ben determinata ragione toccavano le coste italiane anche nel sud della Sicilia. A questo punto sarà ben chiaro a chiunque come tutte queste merci esotiche e preziose provenissero da un mondo al tempo stesso attiguo ma lontanissimo a quello dell'Europa medioevale e cristiana: era il mondo dei regni arabi del Medio Oriente, ma non solo. Questo fenomeno d'importazione avvenne durante un grande arco temporale tra il IX e il XIV secolo, cioè tra gli anni Mille e Millequattrocento; non è chiaro se vi fu realmente un incremento effettivo di scambi commerciali tra l'Oriente e l'Occidente, ossia se — anche prima — durante l'era più cupa e nebulosa dell'Europa feudale, di cui si dice fosse universalmente più povera e arretrata rispetto all'epoca Classica dell'Impero, c'era un commercio in qualche misura attivo con il mondo islamico. Possiamo dire solo questo: a partire dal X secolo in poi si vedono segni chiari e importanti di un Ovest che importa 1. come avevo già fatto notare in Raccontini e Stili


determinate merci dall'Est, oggetti che in Europa non sapevano fare, oggetti che gli europei consideravano belli. In Europa tra il Basso Medioevo e l'inizio del Rinascimento, il lusso è una categoria di oggetti materiali prodotti nei paesi del mondo islamico. Le attenzioni e il favore nei riguardi dei beni di lusso necessitano innanzitutto di condizioni materiali d'esistenza agiate; queste ebbero una curva in crescita almeno per tutti i secoli del XII e del XIII secolo fino alla prima metà del XIV quando s'interruppe bruscamente causa dell'epidemia di peste del 1348. Secondo elemento indispensabile per il quale i beni voluttuari prosperano, è la presenza delle capacità e delle competenze per crearli. Seppure in superficie possa sembrare che le civiltà umane riescano ad andare alla ricerca del piacere e di realizzarlo con estrema facilità, non è sempre vero. Questo breve scorcio sulla storia delle importazioni occidentali dei prodotti islamici dice e dimostra come, effettivamente, nell'Europa dell'XI e XII secolo mancassero determinati oggetti anche nelle case di chi poteva permettersi di spendere. Per quanto riguarda il settore di cui mi occupo principalmente, la ceramica, ciò che era ricercato per la maggiore consisteva in oggetti destinati a essere contenitori di liquidi: bacili e caraffe soprattutto. La differenza sostanziale consisteva però nel fatto che tali oggetti presentavano la caratteristica della smaltatura. A dispetto degli altri prodotti in argilla cotta nei forni, queste prime ceramiche importate dall'Oriente avevano superfici lisce e lucide, le quali permettevano ai colori di restare brillanti nel tempo. Oggi la smaltatura delle ceramiche viene ottenuta grazie all'Ossido di Alluminio con il quale vengono cosparsi i prodotti prima della cottura finale; durante il processo di fusione la “vetrina” si cuoce insieme agli altri elementi


trasformandosi in un sottile strato di vetro che ricopre come un guscio l'intero pezzo di ceramica. A quei tempi, il senso del tatto e quello della vista dovevano essere sicuramente sollecitati e affascinati dagli effetti della ceramica smaltata, la quale, sebbene offerta ancora in una limitata scelta di colori — verde rame, bruno manganese, poi il giallo e il blu — e dai motivi ingenui e poco elaborati, presto se non subito, divennero esempi da imitare per dare impulso alla produzione di ceramica in proprio nell'Occidente. Questo genere di ceramiche smaltate sono definite protomaioliche.




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