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CAPITOLO II

I BENI SUSCETTIBILI DI SEQUESTRO GIUDIZIARIO Sommario: 1. Premessa. 2. I beni incorporei. 3. I beni fungibili. 4. I crediti ed i titoli rappresentativi del credito. 5. I titoli di credito, i titoli messi nel c.d. sistema di deposito accentrato ed i titoli “decartolarizzati”. 6. Le azioni di società. 7. Le quote di società a responsabilità limitata. 8. Le quote di società personali e l’esecuzione su beni sociali. 9. I beni delle associazioni non riconosciute. 10. Le aziende. 11. Gli immobili e le universalità di beni. 12. I provvedimenti di sequestro del giudice civile concernenti la pubblica amministrazione. Il mutato ambito della giurisdizione esclusiva. 13. Segue. I beni pubblici. 14. Segue. I beni oggetto di provvedimenti ablatori della pubblica amministrazione. 15. Le aziende esercitate in base a provvedimento amministrativo.

1. Premessa. L’art. 670 c.p.c. individua in senso ampio e sembrerebbe omnicomprensivo i beni che possono essere - nel concorso naturalmente di tutti gli altri presupposti necessari alla concessione del provvedimento cautelare - oggetto della misura cautelare; il riferimento della disposizione legislativa è infatti genericamente “..a beni mobili e immobili, aziende o altre universalità di beni…..”. La compatibilità del sequestro giudiziario su determinate categorie di beni è però oggetto di discussione in dottrina e giurisprudenza, ed è necessario trattare analiticamente delle incertezze che su questi temi oggi si presentano, e che attengono a profili diversi, vertendo sulle

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caratteristiche strutturali (beni immateriali, beni fungibili), ma anche sul regime di circolazione giuridica (titoli di credito, beni pubblici), o sulla possibilità di essere soggetto a custodia (aziende esercitate in base a provvedimento autorizzativo della P.A.) del bene, e spesso, è naturale, su più profili contemporaneamente. Da qui l’esigenza di dedicare una riflessione analitica alle diverse questioni in oggetto, poiché è da ritenersi un vero e proprio presupposto del sequestro giudiziario anche l’ammissibilità giuridica della pretesa alla consegna del bene. 2. I beni incorporei. È controversa l’ammissibilità del sequestro giudiziario quando esso sia chiesto su beni immateriali, o per essere più precisi, incorporei perché non suscettibili di apprensione materiale, da ultimo così efficacemente schematizzati: “L’espressione abbraccia beni aventi tra loro una diversa oggettività giuridica: beni genericamente incorporei o dematerializzati (ad es. le quote di s.r.l., le azioni di s.p.a.); beni che sono sì materiali, ma non hanno forma corporale sensibile (ad es. le energie); beni immateriali in senso stretto (ad es. le creazioni intellettuali)” 1. Sotto un profilo teorico, la questione in oggetto manifesta di certo un indubbio fascino, se la riflessione non si limita all’esame del pur interessante piano esegetico, dal quale tuttavia è utile prendere le mosse. Chi ritiene inammissibile il sequestro su beni incorporei 2 fonda esegeticamente la propria convinzione sull’art. 677 c.p.c., laddove recita: “Il sequestro giudiziario si esegue a norma degli articoli 605 e seguenti, in quanto applicabili, omessa la comunicazione del precetto…”. Se ne deduce, dunque, che i beni sequestrabili sarebbero solo quei beni che potrebbero essere assoggettati CAPONI, op. ult. cit., 98. ANDRIOLI, op. cit., 149; C. FERRI, op. loc. ult. cit., 468; LUISO, op. cit., IV, 196. In giurisprudenza, il problema dell’ammissibilità del sequestro giudiziario su beni immateriali si è manifestato naturalmente non in astratto ma su una serie di fattispecie concrete, ed in particolare sulla tutela dei diritti di credito e sulle quote di società di persone ed a responsabilità limitata. Se ne darà conto, pertanto, analiticamente nei prossimi paragrafi. V. comunque ad es. Cass. pen., 21 aprile 1997, in Cass. pen. 1999, 635, con nota di LATTANZI, Brevi considerazioni sulla sequestrabilità dei beni immateriali. 1 2

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all’esecuzione forzata per consegna o rilascio, beni cioè “determinati, infungibili e corporei” 3 4. Ma la lettura della disposizione ora proposta, a nostro avviso, non convince. Il punto di partenza di una riflessione esegetica va ricondotto non all’art. 677 c.p.c., che si occupa dell’attuazione della misura, ma in primis all’art. 670 c.p.c., disposizione che espressamente definisce il possibile oggetto del sequestro giudiziario. Questa norma espressamente richiama “l’azienda”, che non sembra di per sé inquadrabile facilmente tra i beni materiali, e che comunque può certo essere composta anche da beni immateriali; più ancora, l’art. 670 c.p.c. fa riferimento a “beni” e non a “cose” (come ad esempio invece l’art. 810 c.p.c.) utilizzando così un termine che ricomprende tanto i beni materiali che i beni immateriali. L’art. 677 c.p.c. va inquadrato per quello che è, solo come una norma che deve delineare come eseguire un sequestro su un oggetto che però già l’art. 670 aveva il compito di definire, come in effetti ha definito; risulta già a tutta prima, dunque, come l’art. 677 c.p.c. possa incidere solo sul modo di eseguire il sequestro, non anche sulla sua ammissibilità. Della stessa disposizione di cui all’art. 677, peraltro, è poi più logico dare una diversa lettura, se solo si pone l’attenzione come quest’articolo richiama gli articoli sull’esecuzione per consegna o rilascio soltanto “in quanto applicabili…”, non escludendo pertanto affatto la possibilità, o meglio l’onere, di individuare le più confacenti forme per l’attuazione del sequestro giudiziario non suscettibile di esecuzione nelle forme di cui agli art. 605 ss. c.p.c. Queste considerazioni sono vieppiù confermate dalla riforma dei procedimenti cautelari introdotta nel 1990 con le disposizioni di cui agli art. 669 bis-quaterdecies c.p.c., che, ai sensi dell’espresso disposto dell’art. 669 quaterdecies, sono applicabili anche alle sezioni sui sequestri (senza previe valutazioni di compatibilità, come invece è previsto per altre misure cautelari); e, segnatamente, dall’art. 669 duodecies c.p.c., che disciplina i poteri del giudice della cautela in merito all’attuazione della misura attribuendo al giudice una ampia discrezionalità nell’adattare l’attuazione al provvedimento ed al bene CAPONI, op. ult. cit., 103. Così G: VERDE-CAPPONI, Profili del processo civile, III, Napoli 1998, 362, escludono che il sequestro giudiziario possa essere attuato sulle energie, in quanto insuscettibili di detenzione. 3 4

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oggetto del provvedimento, e che deve essere intesa come norma generale e di chiusura anche per l’attuazione dei sequestri, per tutti gli aspetti non espressamente disciplinati dalle norme di cui agli art. 677 ss. c.p.c. 5 . In conclusione, sotto un profilo esegetico non vi sono ragioni che permettano di restringere la misura del sequestro giudiziario escludendone la concessione su beni immateriali; argomentazione di per sé probabilmente sufficiente a chiudere il discorso. Va sottolineato, certo, che l’esclusione del ricorso al sequestro giudiziario non comporterebbe altresì l’esclusione di una tutela cautelare, potendo comunque ricorrersi alla misura residuale di cui all’art. 700 c.p.c.; ma, a ben riflettere, anche questa possibilità alternativa non condurrebbe comunque alla medesima situazione per la tutela dei beni incorporei. Possiamo infatti fondatamente sostenere l’identità delle soluzioni solo sotto il profilo dell’attuazione, perché con una lettura ampia della norma di cui all’art. 677 c.p.c. e dell’inciso “…in quanto applicabili…” in buona sostanza otterremmo per l’esecuzione del sequestro giudiziario sui beni immateriali la stessa libertà per il giudice della cautela che l’art. 669 duodecies c.p.c. riserva ai provvedimenti d’urgenza 6; ma rimarrebbe una differenza essenziale tra la tutela dei beni incorporei con la misura del sequestro giudiziario piuttosto che del provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. nei presupposti per la concessione, nel senso che per la concessione del sequestro giudiziario è richiesta una forma di periculum assai leggero, mentre al contrario per la concessione del provvedimento d’urgenza si richiede la presenza di un “imminente ed irreparabile pregiudizio” 7. Da quanto esposto, si deduce l’inopportunità di accogliere una proposta ricostruttiva, d’altronde poco sostenibile già su un piano meramente esegetico, che conseguirebbe il solo risultato di rendere 5 Per una riflessione sui rapporti tra l’art. 669 duodecies e l’attuazione dei sequestri, v. più avanti al par. 3 del Cap VIII. 6 Non si condivide, pertanto, la tesi di MONTESANO, Attuazione delle cautele e diritti cautelabili nella riforma del processo civile, in Riv. dir. proc. 1991, 939 ss.; MONTESANOARIETA, Diritto processuale civile, III, Torino 1999, 287 che ritiene doversi restringere l’area del sequestro giudiziario a favore dei provvedimenti d’urgenza per la più duttile discrezionalità giudiziaria proprio nella fase di attuazione coattiva. 7 Anche CAPONI, op. ult. cit., 113 nota questa disparità di trattamento, pur ritenendo tuttavia di mantenere ferma la sua opinione, contraria all’ammissibilità del sequestro giudiziario per i beni incorporei.

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più difficile la tutela cautelare dei beni incorporei, in dissonanza con il principio di eguaglianza, per la non giustificata disparità di trattamento di tutela tra beni corporei e beni incorporei. Un argomento di estremo interesse a favore della lettura restrittiva dell’oggetto del sequestro giudiziario è però offerto da chi prende le mosse da una rimeditazione del concetto di proprietà da parte della dottrina civilistica, ritenuto solo una tra le possibili tecniche in forza delle quali i privati si appropriano in forma esclusiva dei beni, e che non sarebbe applicabile ai beni incorporei (“se non per via di traslati ed indebite generalizzazioni” 8) ma esclusivamente alle cose materiali, per dedurre l’inammissibilità della misura del sequestro giudiziario per i beni immateriali 9. In buona sostanza, a noi sembra che in questo modo la tesi che nega l’applicabilità della misura del sequestro giudiziario alla tutela dei beni incorporali si fonderebbe proprio sull’art. 670 c.p.c., mettendosi in discussione nel caso in specie l’esistenza di un altro presupposto, l’esistenza di una controversia sulla proprietà o sul possesso di un bene, dato che in questo caso le controversie non sarebbero rivolte alla proprietà o al possesso, concetti che non sarebbero applicabili ai beni immateriali. Ora, neanche questa versione della tesi ci sembra potersi accogliere, ed in prima battuta va già ricordato come la pur interessante prospettazione sulla definizione del concetto di proprietà nei termini generali suesposti non può certo dirsi unanimemente accolta 10, cosicché viene a mancare in radice l’appiglio per estendere questo concetto alla fattispecie di cui all’art. 670 c.p.c. In tutta onestà, sosterremmo probabilmente l’opinione da noi espressa anche se effettivamente la lettura civilistica in senso restrittivo del concetto di possesso e proprietà fosse maggioritaria, perché tenderemmo comunque a PUGLIATTI, La proprietà nel nuovo diritto, Milano 1964, 250; GIORGIANNI, voce Diritti reali, in Noviss. Dig. It., V, Torino 1960, 748 ss.; SCOZZAFAVA, I beni e le forme giuridiche di appartenenza, Milano 1983. 9 CAPONI, op. ult. cit., 105 ss. 10 Il problema dovrebbe essere affrontato analiticamente, distinguendo all’interno della generale categoria dei beni immateriali le diverse ipotesi, e cioè quelle relative ai beni genericamente incorporei o dematerializzati (quali azioni o quote sociali) dai beni immateriali quali le creazioni intellettuali (queste probabilmente non inquadrabili nella categoria della proprietà, ma per le quali peraltro soccorre l’espressa previsione della sequestrabilità dei brevetti e dei marchi) alle energie. Per una panoramica su tali profili cfr. GAMBARO, La proprietà. Beni, proprietà, comunione, Giuffrè 1990, 28 ss. 8

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prediligere una scelta ermeneutica che eviti la penalizzazione della tutela cautelare concessa ai beni incorporei rispetto ai beni materiali; e propenderemmo, allora, per un più ampio concetto di “proprietà” quando il termine sia utilizzato dall’art. 670 c.p.c., come indice comunque semplicemente di un giudizio sull’appartenenza su un bene, con una libertà esegetica del resto che la giurisprudenza ha già dimostrato proprio sul punto laddove, nonostante il disposto legislativo, ha interpretato la disposizione ammettendo anche la tutela degli iura ad rem, e non soltanto degli iura in re, applicando la fattispecie anche alle ipotesi di detenzione ed accogliendo comunque una lettura quasi agiuridica dei termini “proprietà” e “possesso” 11. Beninteso, la nostra opinione sulla tutela cautelare (e in generale giudiziale) sui beni materiali e immateriali non pretende di operare un equiparazione sulle discipline esecutive grazie alle quali fornire la tutela richiesta, e del resto nell’un caso si applicheranno le forme di cui all’art. 605 c.p.c. e nell’altro invece no, ed è indubbiamente vero che spesso i “nuovi” diritti immateriali sono meglio garantiti da “nuove” tutele cautelari speciali 12; e tuttavia, ogni volta in cui ciò non accade, non v’è ragione per consentire una lettura della norma a priori penalizzante per i beni immateriali, concessi solo nelle ipotesi del periculum “estremo” del 700 e non anche del periculum “leggero” tutelato dalla misura del sequestro giudiziario. In argomento, non varrebbe neppure sottolineare come in questa fase di ulteriore evoluzione del diritto si tende a prediligere per il bene immateriale (la cui proprietà non sia soggetta a registrazione) una tutela esclusivamente risarcitoria, più conveniente per ragioni economiche rispetto a misure ripristinatorie; la questione, a nostro avviso, ammesso e non concesso naturalmente che si voglia accettare l’esattezza della anzidetta ricostruzione giuridicoeconomica come quadro di riferimento per la problematica in esame, non può porsi nei termini ora evidenziati se si pone mente che la posizione del terzo acquirente di buona fede è comunque salvaguardata dalla disciplina del sequestro giudiziario 13, e francamente apparrebbe eccessivo escludere un provvedimento

V. retro al par. 3 del Capitolo precedente. V. così CAPONI, op. ult. cit., 237 ss. 13 V. più avanti al par. 1 del Cap. XIV. 11 12

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cautelare di tutela per il titolare del diritto per tutelare un terzo in mala fede. _____ _____ _____ Alla luce di quanto asserito, riteniamo ammissibile che si possa procedere a sequestro giudiziario su beni immateriali; tuttavia, ma allo stesso modo che per i beni materiali, per l’ammissibilità del sequestro sul bene dovranno concorrere altre qualità, quale ad esempio la determinatezza. 3. I beni fungibili. Va riservata una riflessione autonoma quanto all’ammissibilità della figura del sequestro giudiziario per quei beni materiali che sono determinati solo nella qualità e nel genere, ritenuti non tutelabili con la misura in questione dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalente 14; una posizione che, tuttavia, va debitamente precisata. Non può accogliersi tout court una tesi che fonda l’inammissibilità della misura sull’inutilità di prevedere una custodia temporanea su beni fungibili; la potenziale utilità di questa si potrebbe rinvenire, invero, anche per le stesse somme di danaro (bene fungibile per eccellenza), di cui si contesti la forma di investimento. Appare invece centrata una opinione che si fondi sull’impossibilità di individuare una controversia sulla proprietà o sul possesso e di eseguire su un bene determinato, nelle ipotesi in cui manca un bene (materiale o no) individuato su cui appunto controvertere. Tale tesi, tuttavia, vale appunto se però riferita esclusivamente ai beni fungibili ed indeterminati; se, per esempio, io ho concluso un contratto per l’acquisto di 1000 bottiglie di acqua minerale di una determinata marca nei confronti di un grossista, non potrò agire per ottenere la statuizione sulla proprietà di 1000 bottiglie individualmente determinate, ma sul diritto a ottenere 1000 bottiglie di acqua minerale di quella marca. Una simile considerazione, invece, non si può applicare de plano anche alle ipotesi in cui il bene sia sì fungibile, ma determinato; in questi casi, CAPONI, op. ult. cit., 103; C. FERRI, op. cit., 468; Trib. Milano, 28 marzo 1994, in Giur. it. 1994, I, 2, 625; così anche Trib. Nocera Inferiore, 17 ottobre 1995, in Arch. Civ. 1996, 622. 14

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infatti, a nostro avviso non c’è ragione di negare la tutela del sequestro giudiziario all’attore che ad esempio contesti la proprietà proprio di quelle 1000 bottiglie di acqua minerale (di una determinata marca) che sono contenute nel tal magazzino (o che in quel magazzino sono state separate dalle altre) e che egli afferma essere state da lui comprate. Quello che va precisata è, semmai, la necessaria correlazione tra il provvedimento cautelare e l’azione di merito, che in buona sostanza spiega il motivo del dissenso tradizionale sulla concedibilità, dato dal fatto che sulle cose fungibili si eseguirebbe con la misura del sequestro conservativo. In effetti, laddove, ad esempio, la domanda sia diretta ad ottenere il risarcimento del danno, o la restituzione di una somma data a mutuo, quel diritto di credito va tutelato con le forme del sequestro conservativo, perché non esiste una controversia sulla proprietà o sul possesso di somme di danaro specificamente individuate; se anche fosse possibile individuare nel caso in specie una quantità di denaro determinata e specifica (ad es. € 10.000 contenuti in una cassaforte) di proprietà del soggetto nei cui confronti si chiede il risarcimento, la richiesta nel merito non si riferirebbe comunque a quella somma individuata, ma pur sempre a una somma di denaro individuata solo nel genere ( e quei 10 milioni ben potranno essere “bloccati” con la misura del sequestro conservativo). Una soluzione diversa dovrà però essere accolta nei (rari) casi in cui la somma richiesta (con l’azione di merito) sia non genericamente una certa quantità di beni fungibili ma espressamente proprio un bene fungibile specificamente individuato; così, riterremmo, ad esempio, per una somma in contanti versata a titolo di caparra e depositata in busta in una cassaforte; allorquando l’attore richieda nel giudizio di merito la consegna proprio della somma contenuta in quella busta ed in quel luogo specifico. In questo caso la richiesta (non solo della misura cautelare ma anche dell’azione di merito) sarebbe rivolta esclusivamente ad un bene fungibile ma determinato, ed a nostro giudizio il sequestro giudiziario dovrebbe essere concesso. Quei beni hanno certo una loro determinatezza ed individualità, sicché è ben possibile che essi siano oggetto di una specifica richiesta di (condanna alla) consegna nel processo di merito, e che poi già in sede cautelare si proceda alla loro individuazione ed esecuzione.

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4. I crediti ed i titoli rappresentativi del credito Parte della dottrina e della giurisprudenza sostengono che i crediti possano essere sequestrati, sul riflesso che la norma non può essere limitata, per l’ampiezza della sua dizione, alla tutela delle cose materiali, perché (ai sensi dell’art. 813 c.c.) le disposizioni concernenti i beni mobili si devono applicare anche a tutti gli altri beni, compresi gli immateriali; e tra questi vanno annoverati i crediti in quanto entità patrimoniali attive suscettibili di commercio giuridico 15. L’orientamento di gran lunga prevalente è contrario, invece, all’ammissibilità del sequestro 16. 15 CARNELUTTI, Sequestro giudiziario di un credito?, in Riv. dir. proc. 1960, 526, secondo cui le misure cautelari non sono eccezionali e le relative disposizioni sono perciò applicabili in via analogica: tra la controversia sulla proprietà di una cosa e la controversia sulla titolarità del credito ricorrerebbe appunto un rapporto di analogia legis e consequenzialmente l’art. 670 n. 1 sarebbe applicabile; né potrebbe condividersi la tesi per cui il sequestro è ammesso solo a garanzia della successiva esecuzione specifica. Una posizione per certi versi simile è in SATTA, op. ult. cit., IV, 160 ss.; nonché, in giurisprudenza, Pret. di Roma, ord. 10 novembre 1975, in Foro it. 1976, I, 1746; Pret. di Roma, ord. 10 gennaio 1969, in Giust. civ. 1969, I, 547 e in Banca, borsa, tit. cred. 1969, II, 467, con nota di RUOPPOLO. 16 Così, ad es. ANDRIOLI, op. cit., 149; BONSIGNORI, Espropriazione della quota a responsabilità limitata, Milano 1961, 105 ss.; CONIGLIO, op. cit., 36; Trib. Potenza, 2 agosto 1995, in Gius 1995, 3373: “… il creditore non ha diritto ad una determinata somma costituita da una specifica quantità di danaro, ma, appunto, ha solo il diritto a farsi consegnare una quantità di numerario corrispondente all’entità del credito”; Cass., 23 novembre 1991 n. 12595, dichiara l’inammissibilità del sequestro giudiziario concesso per un credito verso terzi avente ad oggetto la prestazione di una somma di danaro. Nella fattispecie concreta la somma era stata sequestrata su un libretto di deposito, ed era stato eseguito sulle somme portate nel certificato di deposito al portatore di titoli obbligazionari. La parte assumeva che il sequestro in realtà era stato richiesto e concesso non su una somma di danaro, ma su obbligazioni che erano depositate in amministrazione, ai sensi dell’art. 1838 c.c., con l’obbligo della banca di custodia e restituzione delle stesse cose ricevute, e che pertanto nel caso in specie era invece configurabile una controversia sulla proprietà di detti titoli; la Cassazione ha tuttavia replicato non prendendo posizione sull’ammissibilità del sequestro giudiziario nell’ipotesi così costruita, ma negandone la veridicità nel caso di specie, e dimostrando che la richiesta e la stessa esecuzione del sequestro giudiziario poi revocato erano stato richieste e condotte su una parte della somma (fino al valore di concessione del sequestro) portata in quei titoli (libretti di deposito, certificati di deposito al portatore di titoli obbligazionari)), dunque pur sempre su una somma di danaro.

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In questo paragrafo si affronta il problema della sequestrabilità del credito che si riferisce alla controversia tra persone che si contendono la titolarità dello stesso credito nei confronti del debitore 17. Poiché il diritto di credito dà luogo ad una posizione giuridica tutelata anche nei confronti dei terzi 18, la controversia sull’appartenenza del credito è in qualche misura comparabile a quella sulla proprietà di una cosa. Sennonché, ai sensi dell’art. 670 n. 1 c.p.c., occorre considerare che la misura cautelare non è concessa a tutela di un diritto qualsiasi, bensì di quelli inerenti a beni suscettibili di proprietà o possesso, dei quali (con l’azione di merito) si pretenda la consegna, ed è finalizzata alla custodia o alla gestione degli stessi. E ciò significa, per quanto concerne i diritti di credito che la tutela è applicabile soltanto ai rapporti obbligatori il cui oggetto - inteso nel senso innanzi precisato - sia una res determinata: in queste ipotesi, in sostanza, la cautela concerne non la prestazione in sé considerata, ma il bene che ne forma oggetto, consistente in una cosa individuata. Diversi sono i casi in cui oggetto della prestazione sia una somma di denaro ovvero siano cose determinate soltanto nella qualità e genere, nelle quali ipotesi in radice non si configurano i presupposti della cautela, ove si consideri che la finalità della misura non può essere allora quella di sottrarre alla disponibilità materiale e giuridica delle parti la res controversa, che non è in discussione, bensì quella di impedire al debitore l’adempimento dell’obbligazione nei confronti di una delle parti in contesa, di corrispondere, cioè, la somma o, comunque, di eseguire la prestazione dovuta. Conseguentemente (a differenza di quanto disposto nell’art. 671 relativamente al sequestro conservativo) è inammissibile il sequestro giudiziario di un credito verso terzi, avente ad oggetto la prestazione di carattere obbligatorio e personale di una certa quantità di danaro o di derrate fungibili non individuate né separate, ma determinate soltanto nel genere; in queste ipotesi, quando si voglia impedire al debitore di pagare ad una delle parti e di pregiudicare così le eventuali ragioni degli altri 17 Già nel paragrafo precedente si sono offerti esempi che attenevano ad ipotesi in cui la controversia ineriva alla contestazione circa l’esistenza di un debito tra i soggetti attivo e passivo del rapporto obbligatorio. 18 Sulla tutela nei diritti di credito nei confronti dei terzi, v. CANTILLO, Le obbligazioni, vol. I, in Giur. sistematica dir. civ. comm. fondata da Bigiavi, Torino 1993, 149 ss.

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contendenti, tale risultato può essere raggiunto mediante un provvedimento d’urgenza compreso tra quelli innominati previsti dall’art. 700 c.p.c., che importi il divieto giudiziale al terzo di pagare e quindi la temporanea indisponibilità del diritto di credito 19. Rimane, a nostro avviso, l’ammissibilità del sequestro giudiziario se richiesto in una controversia di merito tra più parti per l’individuazione di quella a cui favore il terzo sia legittimato alla consegna o al pagamento se rivolta ad un bene fungibile ma determinato, ad una somma di danaro individuata e determinata; ad esempio, una somma determinata custodita in una busta e depositata in una cassaforte da un notaio che si sia impegnato a consegnarla alla parte adempiente, quando le parti controvertano su chi sia adempiente ed abbia diritto ad ottenere il bene determinato costituito dalla busta 20. Abbiamo, del resto, già evidenziato come la figura del sequestro giudiziario sia ammissibile anche su beni immateriali, quale è il diritto di credito 21, purché, si può ora aggiungere, siano comunque individuati e determinati (e se ne chieda la consegna con l’azione di merito); pertanto, la soluzione ora proposta sarà allo stesso modo applicabile se la somma di danaro sia stata depositata in banca in una cassetta di sicurezza (così conservando la sua materialità), sia se sia stata depositata in un apposito conto, fino a che mantiene le suddette caratteristiche. Il problema dell’ammissibilità del sequestro giudiziario in queste ipotesi va tuttavia attenzionato anche alla luce dei documenti che potrebbero essere emessi come titoli rappresentativi del credito (del deposito), che in alcuni casi devono anche rispondere alle proprie leggi di circolazione dei titoli; di questo si darà conto nel prossimo paragrafo, per quanto attiene ai titoli di credito. La giurisprudenza, ad esempio, ha avuto modo di pronunciare sull’ammissibilità del sequestro giudiziario sull’atto fideiussorio, “sia come documento in sé che come titolo voluto a garantire il soddisfacimento di una 19 Cfr. Cass., 6 agosto 1965 n. 1879, in Foro it. 1966, I, 316; Cass., 25 maggio 1973 n. 1536; App. Milano, 26 giugno 1973, in Dir. fall. 1974, II, 320; Trib. Lanciano, 8 novembre 1979, in Giur. it. 1980, I, 2,450. BRACCI, op. cit., 181 ss., GUARNIERI, op. cit., 37 ss.; C. FERRI, op. cit., 468; PROTO PISANI, op. ult. cit., 612; CONSOLO, op. ult. cit., I, 271. 20 Per una dimostrazione dell’assunto, si rimanda in fine al precedente paragrafo. 21 In buona sostanza, l’inquadramento giuridico che va dato al denaro depositato in banca da un correntista va qualificato come un diritto di credito su un bene immateriale.

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pretesa creditoria” laddove sussista un contrasto sull’esigibilità del credito fideiussorio 22. 5. I titoli di credito, i titoli messi nel c.d. sistema di deposito accentrato ed i titoli “decartolarizzati”. In materia dottrina e giurisprudenza non hanno individuato soluzioni univoche. Non si discute che il titolo di credito, come res costituita dal documento, possa formare oggetto di diritti soggettivi e, come tale, sia in astratto sequestrabile, ma occorre considerare in via di principio, che i diritti sul documento che incorpora il credito possono farsi valere esclusivamente secondo la legge di circolazione del titolo, in conformità alla funzione propria del documento. In concreto il problema della sequestrabilità si pone principalmente quando esiste un vizio (o una vicenda estintiva o modificativa) del rapporto sottostante l’emissione del titolo. Per la legge di circolazione del titolo, non è possibile opporre ai terzi che non abbiano agito intenzionalmente ai danni del debitore vicende attinenti al rapporto causale, cui questi ultimi sono per definizione estranei (art. 1993 secondo comma c.c.). In forza di tale principio, condiviso sia dalla dottrina unanime che dalla giurisprudenza, questa ha precisato che non è ammissibile il sequestro giudiziario di cambiali che, a seguito di una serie continua Così Trib. Milano, 13 luglio 1992; Trib. Milano, 2 dicembre 1992, rigetta la richiesta di un provvedimento d’urgenza sul credito fideiussorio, perché non v’è motivo di ricorrere alla misura innominata cautelare quanto sussista tra le parti un contrasto sulla esigibilità del credito fideiussorio, laddove invece la fattispecie va inquadrata sulla normativa della cautela tipica ex art. 670 n. 1 c.p.c.; conseguentemente Trib. Milano, 7 gennaio 1993, decidendo sulla medesima fattispecie concreta, poiché “ sussiste come corollario, una controversia accessoria e conseguente, sul diritto della venditrice-creditrice di ricevere i ratei, sul diritto dell’acquirente-debitrice di non adempiere e, in definitiva, per quanto qui interessa, sulla titolarità ed esigibilità del credito fideiussorio, tra la venditrice – creditrice da una parte e l’acquirente-debitrice dall’altra: l’una assumendo di poterlo escutere e di poterne quindi entrare in possesso l’altra negando tale possibilità, che la spoglierebbe subito ed ingiustamente della somma mentre è in forse la validità del contratto principale da lei impugnata….se non si sottoponesse a sequestro il titolo fideiussorio e la somma da esso portata a garanzia, verrebbero frustrate le (eventuali) ragioni di merito della ricorrente……P.Q.M. Autorizza, anche presso terzi, il sequestro giudiziario degli atti di fideiussione… e dei diritti di credito in essi incorporati”. 22

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di girate, siano in possesso di persone diverse dal contraente diretto di chi richiede il sequestro. Ai sensi dell’art. 1994 c.c., il terzo portatore di un titolo di credito in conformità delle norme che ne disciplinano la circolazione non è soggetto a rivendicazione, e nei suoi confronti non può essere invocato quello jus ad rem che riposa soltanto su un rapporto diretto sottostante all’emissione o al trasferimento e che costituisce il presupposto della misura cautelare, fondata sulla possibilità di una controversia sulla proprietà o sul possesso 23. Dunque, il problema si pone esclusivamente nei rapporti tra i contraenti immediati. Secondo un autorevole indirizzo24, nell’ipotesi in cui l’emittente si avveda che il prenditore, pur non avendo il diritto di chiedere il pagamento del titolo (perché ad esempio emesso sine causa), sia intenzionato a girare il documento ad un terzo di buona fede, la tutela giuridica può essere realizzata facendo ricorso al sequestro giudiziario del titolo. E ciò - è stato osservato perché in tal caso l’emittente ha il diritto di ottenere la restituzione del titolo, e si configura, quindi, controversia sulla proprietà o sul possesso, richiesta ai fini della concessione del provvedimento cautelare. A conforto di tale affermazione si aggiunge che la giurisprudenza, formatasi sotto l’impero dei codici previgenti, già accordava il sequestro giudiziario a tutela non soltanto di un diritto reale, ma anche di un semplice jus ad rem, cioè a tutela di un diritto di credito avente ad oggetto uno o più beni determinati. Trib. Milano, 21 febbraio 1991, in Banca, borsa, tit. cred. 1992, II, 498; Cass., 17 gennaio 1985 n. 106; Trib. Verona, 26 luglio 1958, in Giur. it. 1959, I, 2, 660. Trib. Milano, 18 novembre 1985, in Banca, borsa, tit. cred. 1988, II, 123; Trib. Milano, 19 aprile 1982, ivi¸1983, II, 242, secondo cui non è opponibile al giratario il sequestro del titolo che eventualmente l’emittente riesca ad ottenere nei confronti del prenditore in data successiva alla girata da parte di quest’ultimo. Un’ipotesi particolare è data dalle cessioni di cambiali al factor, su cui Trib. Milano, 22 aprile 1989, in Riv. it. Leasing 1989, 660, (con nota di OLGIATI, Sequestro giudiziario di cambiali cedute al factor): è legittimo il sequestro giudiziario di cambiali consegnate al factor quale accessorio del credito ceduto, poiché il factor medesimo, lungi dal poter essere considerato terzo giratario, per effetto della cessione subentra invece nella identica posizione giuridica del fornitore-cedente, con la conseguente possibilità che gli siano opposte le eccezioni relative al rapporto fondamentale. 24 BIGIAVI, Sequestro giudiziario di cambiale per vietarne la girata, in Riv. dir. civ. 1955, II, 496, nota a Trib. Bologna 30 ottobre 1954; PAVONE LA ROSA, La cambiale, in Tratt. di dir. civ. comm. a cura di Cicu e Messineo, Milano 1982, 663 ss. Per un esempio di sequestro giudiziario concesso su un assegno, v. Trib. Bergamo, 21 novembre 2001, in Foro it. 2002, I, 605. 23

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Tuttavia, altra parte della dottrina 25 ha osservato che il titolo di credito segue le vicende attinenti alla propria legge di circolazione, le quali implicano che il possesso del documento non può non seguire le norme che disciplinano la vita del titolo fino al momento in cui la sua funzione non si esaurisce col pagamento. Non è possibile cioè all’emittente, esercitando diritti derivanti dal rapporto causale, incidere sulla legge di circolazione del titolo, facendo valere eccezioni che attengono non già al diritto sul titolo, ma al diritto menzionato nel titolo 26. Si contesta che l’emittente, una volta venuta meno la causa che determinò l’emissione della cambiale, abbia diritto alla restituzione del titolo, perché le vicende del rapporto causale non possono incidere sulla legge di circolazione del titolo, neanche nei rapporti tra contraenti immediati. La possibilità consentita all’emittente nei confronti del prenditore di paralizzare nei rapporti tra le parti l’esercizio dell’azione cambiaria con le eccezioni ex causa, non esclude che la cambiale conservi comunque la sua struttura e funziona giuridica, tanto vero che nei rapporti interni è il rapporto causale che consente all’emittente di respingere, in via di eccezione, l’azione cartolare spettante per legge nei suoi confronti al prenditore. É dimostrato così che, anche tra i contraenti immediati, i diritti che l’emittente può far valere nei confronti del prenditore attengono al rapporto che ha dato causa all’emissione del titolo, e quindi non possono in nessun caso incidere sulla sua legge di circolazione. L’emittente, una volta che ha rilasciato la cambiale, subisce il rischio inerente alla sua utilizzazione da parte del prenditore secondo la funzione specifica che la legge le riconosce, e non può influire in nessun modo sui diritti spettanti al medesimo in base alla disciplina propria del titolo 27. Le riflessioni ora proposte possono essere riferite anche al sequestro di libretti di deposito al risparmio pagabili al portatore 28, i quali sono sostanzialmente ritenuti dei titoli di credito 29. 25 SATTA, op. ult. cit., IV, 161 ss.; MONTELEONE, Diritto processuale civile, Padova 2002, 1187; MONTESANO, Misure cautelari sulla cambiale a favore di chi la ha emessa senza causa o per causa venuta meno?, in Banca Borsa e tit. cred. 1955, II, 547 ss., contrario anche ad un provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. 26 Cfr. ANDRIOLI, op. cit., 150. 27 In giurisprudenza v. così Trib. Napoli, 3 marzo 2000, in Giur. Napoletana 2000, 334. 28 Diversamente, ma con riguardo al sequestro penale (ex art. 316 c.p.p.), v. Cass., 2 dicembre 1993 n. 11950, in Giust. civ. 1994, I, 672, e in Fallimento 1994, 566.

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L’unica possibilità per l’emittente di ottenere il sequestro giudiziario del titolo si configura, quindi, esclusivamente in relazione al diritto alla restituzione del titolo che egli, secondo la legge di circolazione, può far valere in caso di avvenuto pagamento, quando ha diritto alla consegna della cambiale quietanzata (art. 45 legge cambiaria e art. 1199 c.c.). _____ ______ _____ Una riflessione ulteriore va dedicata ai titoli emessi nel sistema di deposito accentrato ed ai c.d. titoli “decartolarizzati” o “dematerializzati” in senso “forte” o in senso “debole”30, la cui sottoponibilità a sequestro giudiziario è osservata con perplessità 31 a seguito della incorporeità del bene; ma, a tal fine, abbiamo già dimostrato 32 come l’incorporeità del bene non comporti il divieto di ottenere il sequestro giudiziario. 6. Le azioni di società É pacifico in giurisprudenza e in dottrina il principio secondo cui le azioni di società - le quali sono per natura beni mobili e suscettibili in quanto tali di diritti reali e di possesso 33 - possono costituire oggetto di sequestro giudiziario. I problemi si pongono sul ruolo ed i poteri del custode, e sulle modalità di esecuzione del sequestro; temi che saranno trattati in altra sezione di questo scritto, cui pertanto si rinvia 34.

Un esame delle diverse posizioni in materia in dottrina ed in giurisprudenza è offerta da BRIOLINI, Osservazioni in tema di libretti di deposito a risparmio sottoposti a sequestro penale e prescrizione del diritto alla restituzione, in Banca, borsa, tit. cred. 2000, 517, laddove si rammentano anche le tesi contrarie che inclinano a ravvisare nel libretto di deposito al portatore dei semplici documenti di legittimazione. 30 L’esame della normativa in argomento è offerta al par. 8 del Cap. IX cui si rimanda. 31 SPADA, La circolazione della “ricchezza assente” alla fine del millennio in Banca, borsa, tit. cred. 1999, I, 420; CIAN, Dematerializzazione degli strumenti finanziari e “possesso” della registrazione in conto, in Banca, borsa, tit. cred. 2002, 185-186 nota 65. 32 V. retro al par. 2. 33 PELLIZZI, Principi di diritto cartolare, Bologna s.d., 1967, 16. 34 V. al par. 4 del Cap. VIII. 29

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Da ultimo va segnalato che, nelle ipotesi di mancata emissione dei titoli ex art. 5 r.d. n. 239 del 1942 35, si presentano gli stessi problemi di ammissibilità e di esecuzione del sequestro giudiziario che saranno esaminati nel paragrafo seguente per le quote di società a responsabilità limitata. La giurisprudenza ha poi avuto modo di pronunciarsi in un giudizio di impugnazione per nullità di delibera assembleare, nullità che avrebbe comportato l’annullamento delle nuove azioni emesse sulla base della delibera; si è ritenuta inammissibile l’istanza di sequestro giudiziario delle azioni, ammettendosi invece la pronuncia di un provvedimento ex art. 700 c.p.c. teso a inibire l’esercizio del voto con le nuove azioni 36. Nel caso in specie, riterremmo che fosse in effetti difficilmente configurabile il requisito di una controversia sulla proprietà delle azioni; se si può giungere a sostenere che in via mediata si controverte sulla proprietà discutendosi in via immediata sull’esistenza dei titoli, rimane però che non è l’attore che si afferma titolare della proprietà dei nuovi titoli, e pertanto sembra mancare il requisito della necessaria controversia ai sensi dell’art. 670 c.p.c., comma 1° c.p.c., che ci sembra richieda un’affermazione di lesione non a causa del bene, ma direttamente sul bene da parte del richiedente. In ogni caso, nell’ipotesi in specie ci sembra che non fosse stata avanzata la richiesta della consegna dei titoli azionari la cui esistenza giuridica è contestata, ciò che rende comunque il sequestro inammissibile 37.

35 Art. 5 R.D. 29 marzo 1942 n. 239: “Le società per azioni hanno facoltà di deliberare in assemblea straordinaria che non si distribuiscano ai soci i titoli delle azioni. In tal caso la qualità di socio è provata dalla iscrizione nel libro dei soci e i vincoli reali sulle azioni si costituiscono mediante l’annotazione nel libro stesso”. Va rammentato tuttavia il 1° comma del nuovo art. 2355 c.c. (contenuto nel d.lgs. n. 6 del 2003, e che andrà in vigore dall’ 1-1-2004): “(Circolazione delle azioni). Nel caso di mancata emissione dei titoli azionari, il trasferimento delle azioni, ha effetto nei confronti della società dal momento della iscrizione nel libro dei soci”. 36 Trib. Ancona, 15 giugno 1998, in Le Società 1998, 1336 ss. con nota di Giorgio TARZIA, cit. 37 Con l’atto di citazione il tribunale avverte di come nell’atto introduttivo la parte aveva domandato la nullità della delibera e la reintegrazione del capitale sociale tramite riduzione; non si richiedeva, pertanto, la riconsegna-restituzione dei titoli azionari.

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7. Le quote di società a responsabilità limitata. (∗) La questione dell’ammissibilità del sequestro giudiziario delle quote di società a r. l. è oggetto di divergenti soluzioni in dottrina e in giurisprudenza. La tesi negativa pone l’accento sulla natura personale del diritto attinente alla quota, sostenendone l’inquadramento nello schema dei diritti di credito e quindi l’impossibilità di dar luogo a posizioni giuridiche suscettibili di qualificazione nell’ambito della nozione di proprietà o possesso, cui si riferisce l’art. 670 n. 1 c.p.c.38. La tesi positiva, oggi prevalente in giurisprudenza, muove dal rilievo che la quota si inquadra nella categoria dei beni e si presta, quindi, ad essere assoggettata a misure cautelari, potendosi configurare rispetto ad essa una controversia in ordine alla titolarità o appartenenza 39. (∗) Le osservazioni di cui al testo si riferiscono esclusivamente alla normativa in vigore fino al 31-12-2003. Quando questa monografia era in fase di ultimazione sono stati varati i decreti legislativi n. 5 e 6 del 2003, pubblicati sul S.O. n. 8 della Gazzetta Ufficiale n. 17 del 22 gennaio 2003, che innovano radicalmente la disciplina delle S.p.A., delle s.r.l. e delle cooperative, e istituiscono il c.d. “processo societario”. Le nuove disposizioni del processo societario non sembrano innovare quanto alla disciplina del sequestro giudiziario (d. lgs. n. 5/2003), e peraltro, mercé il rinvio del nuovo art. 2471 bis c.c. al nuovo art. 2352 c.c., ora si prevede espressamente il sequestro delle quote di s.r.l. Tuttavia la radicale riscrittura del procedimento e della struttura della misura di cui all’art. 700 c.p.c. potrebbe consigliare una diversa riflessione quanto ai rapporti tra sequestro giudiziario e provvedimento d’urgenza, argomento non inessenziale nelle nostre riflessioni sulla stessa ammissibilità del sequestro giudiziario su beni incorporei. Abbiamo tuttavia ritenuto di astenerci del commentare anche le nuove disposizioni (che andranno in vigore dal 1-1-2004), per non limitarci ad offrire un’attività interpretativa non sufficientemente meditata, riservando la riflessione ad altra occasione più avanti nel tempo. 38 Trib. Reggio Emilia, 7 giugno 1993, in Gius. 1994, I, 99; Trib. Roma, 23 marzo 1974 (decreto), in Giust. civ. 1974, I, 1164, in Foro it. 1974, I, 2502 ed in Riv. not. 1975, 586; Pret. Roma, 5 maggio 1969, in Giust. civ. 1969, I, 1589; Pret. Roma, 7 marzo 1967, in Giust. civ. 1967, I, 1301 e in Banca, borsa, tit. cred. 1967, II, 316, con nota adesiva di RUOPPOLO, Sulla pretesa applicabilità dell’art. 670 c.p.c. alle quote di società a resp. lim.; Trib. Roma, 18 ottobre 1960, in Foro it. 1961, I, 384, ed in Temi Romana 1960, 684, ivi, ulteriori richiami. In dottrina SANTINI, Società a responsabilità. limitata., in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma 1964, 164 ss.; ANDRIOLI, op. cit., 150; RIVOLTA, Sequestro giudiziario di quote sociali?, in Riv. dir. soc. 1960, 823. 39 Cass., 26 maggio 2000 n. 6957, in Le Società 2000, 1131 ss., (con commento di COLLIA, Sequestro giudiziario di quote di società a responsabilità limitata); Trib. Biella, 6

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Quest’ultimo indirizzo merita di essere condiviso. L’equivoco in cui è caduta l’opinione negativa risiede nell’aver sovrapposto tra loro nozioni che invece devono essere tenute nettamente distinte per affrontare adeguatamente il problema. Nessuno dubita che nei rapporti tra soci e società a r. l., proprio per la distinta soggettività giuridica di quest’ultima, i diritti che il socio può far valere sul patrimonio sociale nei limiti della quota non possono essere che diritti di credito esercitabili secondo la legge o lo statuto sociale. Ciò tuttavia non esclude che la posizione del socio, in se stessa considerata, debba prendersi in esame partendo dal rapporto tra il medesimo e la quota di cui è titolare. Sotto questo profilo, non può essere trascurato che la quota costituisce la misura della partecipazione del socio nella società, che comprende diritti di natura patrimoniale (ad esempio, partecipazione agli utili e alla ripartizione finale del patrimonio sociale), diritti di ingerenza e di partecipazione alla vita della società (diritto al voto e all’opzione); e comprende altresì i corrispondenti doveri derivanti dalla disciplina dell’organizzazione societaria, assumendo così rilievo giuridico come situazione unitaria avendo la consistenza di individualità ontologica oggettiva, rispetto alla quale il soggetto socio si trova in relazione di appartenenza. marzo 1998, in Giur. Merito 1999, I, 242; Trib. Roma, 27 luglio 1994, in Giust. 1994, fasc. 17, 79; Trib. Piacenza, 16 luglio 1993, in Banca, borsa, tit. cred. 1994, II, 537 con nota di CAREDDA; Trib. Ferrara, 9 gennaio 1991, in Giur. Merito 1992, 1135, con nota di BIANCO, Il sequestro giudiziale di quote di s.r.l.: presupposti e modalità; Trib. Bologna, 20 novembre 1991, in Le Società 1992, 691; Trib. Chiavari, 6 giugno 1990, in Foro it. 1991, I, 621; Trib. Napoli, 6 aprile 1987, in Giur. Merito 1987, 847; Trib. Prato, 3 settembre 1986, in Foro it. 1987, I, 597; Trib. Napoli, 18 maggio 1981, in Dir. giur. 1981, 3160, ed in Giur. comm. 1982, II, 364, con nota di RACUGNO, In tema di sequestro giudiziario di quote di s.r.l.; Pret. di Roma, 23 febbraio 1974 (decreto), in Foro it. 1974, I, 2503; Trib. Roma, ord. 7 giugno 1973, in Giust. civ. 1974, I, 1164, in Foro it. 1974, I, 2502 ed in Riv. not. 1975, 586; Pret. di Roma, ord. 6 marzo 1970, in Giur. Merito 1971, I, 117; App. Milano, 25 maggio 1970, in Foro pad. 1970, I, 607; App. Roma, 9 aprile 1963, in Foro pad. 1964, I, 913; App. Palermo, 28 novembre 1958, in Foro it. 1959, I, 1988 ed in Banca borsa e tit. di credito, 1960, II, 267, con nota di MAGRONE, Brevi osservazioni sul sequestro giudiziario della quota di società a r. l.. In dottrina, cfr. FERRARA, Gli imprenditori e le società, Milano 1971, 598, secondo cui il sequestro giudiziario e istituto generale applicabile a tutti i beni in senso lato; MESSINEO, Manuale di dir. civ. comm., Milano 1954, IV, 534; SATTA, op. ult. cit., IV, 161 ss.; MILONE - LOPS, Il sequestro della quota, in Dir. fall. 1985, I, 476; CAGNASSO, Sequestro giudiziario di quota di società a responsabilità limitata o provvedimento d’urgenza?, in Giur. comm. 1978, II, 880; MORERA, Contributo allo studio del sequestro di azioni e quote di società, in Banca, borsa, tit. cred. 1986, I, 502.

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Pertanto, il concetto di quota sociale esprime la tutela giuridica di un complesso di interessi che fanno capo al titolare e che l’ordinamento gli garantisce sia nella titolarità e nel godimento sia nella possibilità di disporne. Sussistono nella fattispecie gli elementi essenziali che identificano nel rapporto anzidetto tra il titolare e questa complessa serie di situazioni soggettive, unificate e vivificate dallo status di socio, gli estremi del diritto di proprietà della quota (art. 832 c.c.). Il titolare, infatti, non soltanto può godere della quota esercitando nei confronti della società i diritti ad essa inerenti, ma ha il potere di disporne attraverso il trasferimento sia per atto tra vivi che per successione mortis causa con effetti nei confronti della società, la quale è tenuta ad operarne l’iscrizione nel libro dei soci, salva contraria disposizione dell’atto costitutivo (art. 2479 c.c.). Inoltre, la quota può formare oggetto di espropriazione (art. 2480 c.c.) e di pegno (come si desume con argomentazione a contrario dall’art. 2483 c.c.), nonché di usufrutto; ed un argomento di carattere testuale si ricava dall’art. 2482 c.c., secondo cui la quota sociale può formare oggetto di proprietà comune, con la conseguenza che torna applicabile il principio di indivisibilità della gestione del bene, come sancito dall’art. 2347 c.c., cui la norma rinvia 40. Va semmai verificata la tesi della cassazione allorquando equipara la quota, bene immateriale, ad un bene mobile non iscritto in pubblici registri: questa definizione, ineccepibile nella considerazione che il libro soci non è un pubblico registro (in quanto può essere visionato solo dai soci e le iscrizioni non hanno efficacia se non verso la società), deve adesso essere riconsiderata alla luce dell’istituzione del registro delle imprese 41; sicché a nostro 40 Cass., 26 maggio 2000 n. 6957: “….In particolare, questa Corte ha più volte affermato che la quota di partecipazione in una s.r.l. esprime una posizione contrattuale obiettivata, che va considerata come un bene immateriale equiparato al bene mobile non iscritto in pubblico registro, ai sensi dell’art. 812 c.c., di talché ad essa possono applicarsi- a mente dell’art. 813 ultima parte, c.c. - le disposizioni concernente i beni mobili e, specificatamente, la disciplina delle situazioni soggettive reali e dei conflitti tra di esse sul medesimo bene: la quota, se non può considerarsi come un bene materiale al pari dell’azione, tuttavia ha un valore patrimoniale oggettivo, che è dato dalla frazione del patrimonio che rappresenta, ed è trattata dalla legge come oggetto unitario di diritti (oltre che di obblighi), che impediscono di considerarla come un mero diritto di credito (cfr. Cass. 1355/85, 7409/86, 697/97)….”. 41 Al par. 5 del Cap. VIII mostreremo come l’istituzione del registro delle imprese influisce sulle modalità di attuazione del sequestro giudiziario.

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avviso dovrebbe adesso riflettersi sull’equiparazione della quota, ora, semmai al bene materiale iscritto in pubblici registri 42. Poche parole possono ora riservarsi per superare le tesi contrarie all’ammissibilità del sequestro giudiziario alla luce dell’immaterialità del bene e della conseguente impossibilità di eseguire ai sensi degli art. 605 ss. c.p.c. 43; già nel secondo paragrafo, infatti, si è dimostrata l’erroneità di questo assunto, ed in questa sede appare sufficiente il rinvio alle considerazioni ivi espresse 44. _____ ______ _____ La personalità giuridica della s.r.l. esclude poi la richiesta dei soci di procedere al sequestro giudiziario dell’azienda quando si lamenti la cattiva gestione dell’amministratore 45; in queste ipotesi non esiste alcuna controversia sulla proprietà o sul possesso dell’azienda societaria, e le esigenze di tutela del socio troveranno dunque soddisfazione con i rimedi espressamente previsti dalla disciplina societaria. 8. Le quote di società personali e l’esecuzione su beni sociali. Iniziamo dall’ipotesi di una controversia su quale tra due soggetti sia davvero il legittimo titolare della quota (ciò accade, in genere, a seguito di un trasferimento della quota poi contestato). Riteniamo di ammettere la possibilità di ottenere un sequestro giudiziario sulla

42 A nostro giudizio, peraltro, se anche si equiparasse la quota ad un diritto di credito, si dovrebbe comunque utilizzare il sequestro giudiziario poiché la quota appare come un bene individuato e determinato (in specie nel registro delle imprese) di cui si chiede specificatamente la consegna. 43 C. FERRI, op. cit., 468, e similmente sembra VULLO, L’attuazione dei provvedimenti cautelari, Torino 2001, 297, nota 126; GRASSO, L’espropriazione della quota, Milano 1957, 213 ss.; per l’indicazione di altri ulteriori autori che si riferiscono in generale all’inammissibilità del sequestro sui beni immateriali, v. retro al par. 2. 44 Va poi richiamata l’opinione di VULLO, op. loc. ult. cit., che ritiene che un argomento a favore dell’inammissibilità della tutela con il sequestro della quota delle s.r.l. potrebbe essere ricavato dalla difficoltà che giurisprudenza e dottrina rinvengono nell’individuazione delle modalità di esecuzione; non ci sembra comunque che una (peraltro ingiustificata) incertezza applicativa possa indurre a ritenere l’inammissibilità della misura. 45 Tribunale di Ascoli Piceno, 3 aprile 1993, in Foro Pad. 1995, I, 266.

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quota 46 (ma non direttamente sui beni sociali 47), poiché abbiamo già dimostrato come sia possibile sequestrare con la forma del sequestro giudiziario anche beni non suscettibili di materiale apprensione. Per il sequestro delle quote di società di persone rimane però da risolvere un problema ulteriore, che invece non si presenta per il sequestro di quote delle s.r.l., e che è dato dalla presenza dell’intuitus personae 48, che potrebbe rivelarsi ostativo della praticabilità del sequestro giudiziario, poiché la sostituzione dei membri delle società di persone richiede il consenso di tutti i soci (in quanto modificazioni del contratto sociale) 49. Tuttavia occorre

Favorevole, da ultimo, Cass., 30 gennaio 1997 n. 934, in Le Società 1997, 897 ss., Foro it. 1997, I, 2177 (che assimila la quota ad un bene mobile e non a un credito); Trib. Monza, 21 gennaio 2001, in Giur. Mil. 2001, 209, che autorizza il sequestro di tutte le quote sociali di una società in nome collettivo, che il ricorrente assume di aver integralmente acquistato in forza di un contratto preliminare, negando al contempo invece il sequestro direttamente sull’azienda; contra Trib. Trani, 20 luglio 1983, in Foro it. 1984, I, 2358. 47 Trib. Cassino, 24 ottobre 1997, in Le Società 1998, 329 ss. (con commento di GUFFANTI) assume che il socio di una società di persone, quando a seguito del trasferimento della quota di partecipazione insorge una controversia sulla titolarità di questa, può chiedere il sequestro giudiziario della quota sociale, ma non direttamente dei beni sociali. 48 GUFFANTI, op. cit., 335, ricorda come i citati problemi vengano in parte meno quando nello statuto della società è stata prevista una clausola di libera trasferibilità delle quote, perché in questi casi i soci hanno concordato che anche un soggetto terzo possa entrare a far parte della società senza alcuna necessità che gli altri soci prestino il proprio consenso. Guffani tuttavia opta per l’inammissibilità comunque del sequestro giudiziario nei confronti delle società di persone per la difficoltà nell’esecuzione del sequestro giudiziario, optando dunque per una ricostruzione che privilegia invece la concessione del provvedimento ex art. 700 c.p.c. nelle ipotesi in specie. Una tesi che riteniamo di non condividere, atteso che a nostro giudizio proprio nell’esecuzione su quote il giudice della cautela ha la stessa discrezionalità nel disporre le modalità di esecuzione di quelle che avrebbe determinando come eseguire un provvedimento ex art. 700 c.p.c. (sul punto v. al par. 4 del Cap. VIII); ne deriva dunque l’inopportunità dell’applicazione del provvedimento d’urgenza in luogo del sequestro giudiziario, alla luce della maggiore gravosità dei presupposti richiesti dal provvedimento d’urgenza, e dell’ingiustizia che ne deriverebbe vista la disparità di tutela che verrebbe a crearsi con la tutela cautelare offerta per i beni materiali (in argomento, v. già al par. 2). 49 Così, ad es. MORERA, op. cit., 492 ss.; Trib. Benevento, 24 settembre 1991, in Dir. giur. 1993, 343 (con nota favorevole della SCHISÀ), ritiene inammissibile il sequestro giudiziario della quota dell’accomandatario perché l’eventuale custode della quota otterrebbe il diritto di amministrare la società, determinando così la violazione della disciplina di cui all’art. 2319 c.c., da cui si desume che la società debba essere 46

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sottolineare come con il sequestro non si sostituisce in via definitiva al legittimo socio un terzo, ma si conferiscono in via provvisoria i poteri connessi alla quota ad un custode imparziale proprio al fine di consentire alla fine che l’esercizio dei poteri della quota torni di competenza appunto del socio legittimo 50; a nostro avviso, nel bilanciamento degli interessi è preferibile ritenere l’ammissibilità del sequestro stante la temporaneità della situazione, la finalità sottesa che è proprio quella di consentire all’esito del giudizio ordinario l’uso dei poteri sociali al socio legittimo, la possibilità che il giudice che ha emanato il sequestro possa, nella discrezionalità che per l’attuazione di questa misura gli è concessa anche indicare al custode di esercitare i poteri del socio allo scopo di effettuare un controllo della gestione degli altri soci, valutando che le decisioni prese non siano certo dannose per il valore della quota custodita, piuttosto che una più diretta e pesante intromissione nelle decisioni squisitamente gestorie, quando non siano dirette ad intaccare il valore della quota 51. _____ ______ _____ L’ammissibilità del sequestro giudiziario della quota di società di persone va invece esclusa tanto con riferimento alle ipotesi in cui si discute dello scioglimento del vincolo sociale limitatamente ad un socio, quanto riguardo alle fattispecie - che risultano essere prevalenti fra quelle esaminate in giurisprudenza - in cui la controversia fra i soci concerne difformità di vedute o di indirizzi circa la gestione o l’amministrazione societaria, deducendosi dal socio la violazione, da parte degli altri soci, degli obblighi assunti amministrata da un socio accomandatario scelto dalla volontà sociale nel contratto o in assemblea con quorum qualificato. 50 Così Cass., 30 gennaio 1997, n. 934, in Le Società 1997, 898: “…non si comprende, poi, l’argomento dell’intuitus personae che è nell’essenza della società in nome collettivo, dal momento che è proprio questo a venire in gioco in caso di controversia sulla titolarità della quota, cioè l’appartenenza dei poteri e delle facoltà connessi con tale titolarità, essendovi interesse a che essi vengano esercitati da chi ne ha effettivamente diritto e, in attesa della decisione, da un gestore imparziale nominato dal giudice”. GALLETTI, Appartenenza all’organizzazione, vincoli sulla quota ed esercizio dei diritti sociali: ancora sulle “gestioni straordinarie”, in Giur. Comm. 2000, II, 142143 sottolinea che l’ammissibilità della nomina del custode deriva dal fatto che la misura cautelare non è diretta a provocare la sostituzione di un terzo al socio, e dunque non vi sono ostacoli ad ammettere la tutela d’urgenza. 51 V. più avanti al par. 6 del Cap.VIII.

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con il contratto sociale. Nei casi suddetti la controversia fra i soci non incide sulla proprietà o possesso dei beni conferiti, i quali per il vincolo di destinazione impressovi non possono essere distolti dalla realizzazione dello scopo sociale finché dura la società. Non si configura un rapporto fra socio e società qualificabile in termine di proprietà o di possesso, dovendosi al primo riconoscersi soltanto in caso di scioglimento del vincolo o della società - il diritto alla somma di denaro che rappresenta il valore della quota 52 (e non direttamente una quota dei beni). Per quanto riguarda, poi, il controllo della gestione sociale, qualsiasi controversia deve essere decisa all’interno del rapporto societario in base alle regole che disciplinano il singolo tipo di società, secondo la legge (v. art. 2259 e 2286 c.c.)e lo statuto sociale 53. 52 In dottrina: SATTA, op. ult. cit., IV, 157 e 163 ss.; ANDRIOLI, op. cit., 148. Trib. Napoli, 25 febbraio 1994, in Foro it. 1994, I, 3226; Trib. Benevento, 24 settembre 1991, cit. (con nota di SCHISÀ); la sentenza riguarda la domanda di sequestro giudiziario della quota di partecipazione del socio accomandatario, sequestro che è stato ritenuto inammissibile anche sulla considerazione che l’attribuzione dell’amministrazione della quota ad un custode estraneo produrrebbe l’interferenza, nell’esercizio dei poteri di amministrazione, di un soggetto diverso di un socio, in contrasto con la disciplina di cui all’art. 2319 c.c.; Trib. Trani, 20 luglio 1983, in Foro it. 1983, I, 2358. In senso contrario, per l’ammissibilità del sequestro; ad es. App. Napoli, 2 maggio 1960, in Giust. civ. 1960, I 1495; Trib. Napoli, 25 febbraio 1987 (decr.), in Giur. Merito 1987, 1166, in ipotesi di espulsione del socio per uso illegittimo delle cose sociali, ex art. 2256 c.c. 53 Cfr. nello stesso senso, SATTA, op. ult. cit., IV, 163 ss.; Trib. Bari, 20 marzo 1965, in Dir. fall. 1965, II, 349 con nota adesiva di RAGUSA MAGGIORE, Applicazione del sistema e del metodo del sequestro giudiziario dei beni appartenenti ad una società di persone; Trib. Napoli, 13 giugno 1958, in Foro nap. 1958, I, 333 e in Foro pad. 1959, I, 1333. Trib. Roma, 1 marzo 1986, in Foro it. 1986, I, 2658, che ha ritenuto inammissibile il sequestro giudiziario di azienda conferita in una società di persone per una controversia insorta tra i soci. Trib. Napoli, 20 aprile 1994, in Gius. 1994, fasc. 18, 69; Trib. Napoli, 25 febbraio 1993, in Dir. e giur. 1993, 372, specifica che se si lamenta la violazione ad opera dell’altro socio e co-amministratore dei diritti amministrativi di cui è titolare anche l’altro socio, data nel caso di specie la previsione dell’amministrazione congiuntiva, non si tratta di una controversia sulla proprietà o il possesso dell’azienda sociale, e questa situazione può al più evocare una giusta causa di revoca dell’amministratore ex art. 2259 o 2286 c.c., tutelabile semmai in via cautelare ex art. 700 c.p.c., in vista della rimozione dell’amministratore. In nota alla citata decisione, SANNINO, Note in tema di sequestro giudiziario dell’azienda sociale, in Dir e giur. 1993, 367 ss. individua l’ammissibilità del sequestro giudiziario sull’azienda sociale se chiesto dal co-amministratore estromesso dalla gestione, perché questi potrebbe lamentare la lesione del suo possesso sull’azienda, così integrando il

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A prescindere dai beni che costituiscono il patrimonio, l’esistenza di una società implica l’applicazione delle regole societarie nelle ipotesi in cui il socio controverta con gli organi societari sulle modalità di godimento di un bene che fa parte del patrimonio sociale; la struttura e le regole della disciplina societaria, dunque differenziano la situazione rispetto ai casi in cui sul bene insiste (non una società ma) una semplice comunione o comproprietà 54. Quanto fino ora asserito consente di prendere posizione sulla controversa ammissibilità del sequestro giudiziario direttamente sui beni sociali, e non sulla quota, come spesso è richiesto, in specie quando la richiesta punta direttamente ad ottenere il sequestro giudiziario dell’azienda sociale. Se si rifiutano le tesi restrittive dell’autonomia giuridica delle società di persone, pur autorevolmente sostenute 55, che negano che queste società diano vita ad un centro autonomo soggettivo di diritti (e che pertanto i beni sociali dovrebbero considerarsi come in una comunione sui generis, con una presupposto richiesta per il sequestro giudiziario; a nostro avviso, tuttavia anche in questo caso le forme di tutela, cautelari e non, vanno comunque in prima battuta ricavate dalla disciplina delle società, e pertanto al caso di specie sarà semmai applicabile la disciplina prevista per la revoca dell’amministratore giudiziario. In senso contrario PROTETTÌ, op. cit., 18 ss., ritenendo che la domanda del socio che chiede il sequestro giudiziario con la revoca dell’amministratore della società darà luogo ad una controversia sul possesso, che rientra nell’ambito di applicazione della misura. App. Bologna, 21 luglio 1971, in Giur. it. 1971, I, 2, 1080; App. Firenze, 3 marzo 1967, in Giur. tosc. 1967, 395; Trib. Melfi, 8 novembre 1965, in Temi nap. 1966, I, 141. Trib. Piacenza, 28 febbraio 1995, in Le Società 1995, 1202, (con commento di PATANIA), ritiene ammissibile il sequestro giudiziario dell’azienda su istanza del socio di società di persone a tutela della quota di partecipazione, che concede all’interno di una controversia in cui era stata sospesa la delibera di esclusione del socio, onde evitare i pregiudizi derivanti dall’attività di gestione ed amministrazione nel frattempo posti in essere dagli altri membri della compagine sociale (Patania, nel commento alla sentenza pur contestando la soluzione adottata mette in luce come alla luce delle disposizioni sulle società di persone sia prevista la revoca degli amministratori, ma non l’amministrazione giudiziale ex art. 2409 c.c. sicché il sequestro giudiziario colmerebbe una lacuna ordinamentale che rischia di paralizzare altrimenti la gestione sociale). Anche Trib. Catania, 8 giugno 2000, in Giur. Comm. 2001, 476 ss., ammette il sequestro giudiziario dell’azienda alla luce del rifiuto del socio-amministratore di interlocuzione con il socio-ricorrente, di cui l’amministratore contesta la qualità di socio. 54 Per i rapporti tra comunione e sequestro giudiziario, v. al par. 3 del Cap. I. 55 G. FERRI, Le società, Torino 1988, 266; GHIDINI, Società personali, Padova 1972, 204.

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comproprietà dei soci direttamente sui singoli beni 56) e si ammette invece che la società acquista una propria ed autonoma soggettività, distinta da quella dei soci 57, appare immediato sostenere che il socio non abbia un potere di discutere direttamente sulla proprietà e sul possesso dei singoli beni 58, se non nelle ipotesi in cui si ritenga ad esempio che la società si sia tramutata in comunione 59. Tuttavia, la Corte di Cassazione, quando si è trovata a giudicare espressamente sulla richiesta di sequestro giudiziario promossa da un socio di una società irregolare (cui si applicano le regole della società semplice) che lamentava di essere stato di fatto estraniato dalla gestione sociale e privato dei poteri di disposizione ed

Ma v. comunque Trib. Napoli, 25 febbraio 1994, cit., che nega che anche così ritenendo il sequestro giudiziario chiesto dal socio potrebbe essere autorizzato, perché la ricostruzione così operata qualificherebbe la quota comunque come un mero diritto di credito, ed inoltre perché in ogni caso la “comproprietà speciale” dei soci non sarebbe equiparabile ad una normale comunione, in forza del vincolo di destinazione comunque dei beni sociali. Diversamente invece, Trib. Piacenza, 28 febbraio 1995, cit., che ammette il sequestro giudiziario sui beni aziendali proprio sul presupposto che nelle società di persone la relazione con i beni aziendali non è imputabile alla società, ma direttamente ai singoli soci 57 Tale appare, inoltre, l’opinione della cassazione. V. ad es., anche per ulteriori richiami, Cass., 24 maggio 1989 n. 3498, in Foro it. 1990, I, 1617. Contra, v. le considerazioni espresse da ultimo da Trib. Piacenza, 28 febbraio 1995, cit., che dall’art. 2248 c.c. desume che la differenza tra società di persone e la comunione è costituita dal solo scopo del godimento, dalla finalità dello sfruttamento dei beni, ma non su quello dell’imputazione soggettiva del potere di fatto sulle res comuni. 58 Da ultimo, v. ad es. Trib. Padova, 17 agosto 2000 (provvedimento emesso in sede di reclamo, in riforma di un provvedimento che aveva invece accolto la richiesta di sequestro dell’azienda del preteso socio di fatto che lamentava l’estromissione dalla gestione), in Le Società 2001, 332, che esclude l’ammissibilità del sequestro d’azienda proposto da un socio di una società di fatto anche nelle more del giudizio in cui si contesti la stessa esistenza della compagine sociale, poiché se anche il processo si concludesse con l’accertamento dell’esistenza della società, l’azienda non sarebbe in proprietà del socio istante, ma appunto solo della società. 59 Un’ipotesi simile è data da Trib. Roma, 19 gennaio 1991, in Giur. Merito 1992, 1123 ss. (con nota di DI CAMILLO, Società di fatto, comunione di impresa, società di mero godimento), che però, a differenza di quanto da noi assunto, ritiene in astratto l’ammissibilità del sequestro giudiziario di una azienda già appartenente ad una società di fatto tra due soci, allorquando l’erede del socio defunto affermi che prima dei sei mesi ex art. 2722 n. 4 c.c. la società sarebbe proseguita per facta concludentia ed il socio superstite neghi tale fatto, sostenendo la sola esistenza di un credito liquidatorio nei confronti della controparte, quale erede del socio defunto (nel caso di specie, poi, il sequestro non è stato comunque concesso perché non si è ritenuta assistita dal fumus boni iuris la prospettazione della perdurante esistenza della società). 56

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utilizzazione dei beni sociali, ha concesso la misura cautelare richiesta direttamente sui beni sociali 60. _____ ______ _____ Altra è, invece, l’ipotesi in cui sia in discussione la stessa validità ed efficacia del titolo costitutivo del conferimento perché si contesta la validità della propria partecipazione sociale o addirittura del contratto sociale, e pertanto la controversia potrebbe investire la proprietà o il possesso dei beni conferiti. In tal caso il sequestro giudiziario investirebbe non già la quota sociale, ma i singoli beni conferiti in virtù del titolo contestato; con la conseguenza che in queste ipotesi l’esistenza del vincolo di destinazione non varrebbe ad impedire la cautela, perché con la caducazione dei titoli o del conferimento verrebbe meno anche l’efficacia del vincolo 61; ciò, naturalmente se si ritenga tuttavia di non dover applicare alle ipotesi in specie per analogia la disciplina che l’art. 2332 c.c. detta per le ipotesi di nullità delle società per azioni quando appunto si lamenti 60 Cass., 10 novembre 1992 n. 12087, che peraltro sembra giustificare il sequestro sui beni proprio per l’esistenza di una società, mentre l’esistenza di una comunione sembrerebbe sortire effetti negatori: “…qualora dovesse necessariamente farsi applicazione delle norme sulla società semplice…per le quali l’amministrazione spetta a ciascuno dei soci, che può opporsi alle operazioni che gli altri vogliono compiere (art. 2257 c.c.) ed il socio non può servirsi, senza il consenso degli altri, delle cose appartenenti al patrimonio sociale per fini estranei a quelli della società (2256 c.c.)…nell’ambito dei poteri che la disciplina giuridica applicabile al caso concreto attribuisce a ciascun socio, è quindi configurabile una controversia, cautelativamente tutelabile con il sequestro giudiziario, quando uno dei soci sia di fatto estraniato dalla gestione in modo da togliere ogni contenuto sostanziale e ogni effettività ai suoi diritti e da privarlo dei poteri di disposizione e di utilizzazione del bene, che costituiscono oggetto di una controversia riflettendosi sulla proprietà e sul possesso…”. 61 Così, ad es. in obiter Trib. Benevento, 24 settembre 1991, in Dir. e giur 1993, 343 ss.; Trib. Firenze, 1 agosto 1990, in Giur. Comm. 1993, II, 307, assume che la domanda del socio receduto in seguito a revisione della stima, diretta ad ottenere il sequestro giudiziario del bene conferito, introduce una fondata controversia in ordine alla proprietà ed al possesso del bene medesimo. Particolare è poi la fattispecie concreta su cui si pronuncia Trib. Cassino, 4 novembre 1995, in Le Società 1996, 1179 ss., (con commento di FABRIZIO), che ammette il sequestro giudiziario di una farmacia (azienda) che deve essere conferita in forza di un contratto preliminare di società in nome collettivo in un giudizio in cui il contraente adempiente (che doveva conferire una somma di denaro) richiede la pronuncia di cui all’art. 2932 c.c.; è tuttavia immediato notare che la controversia sulla proprietà del bene investirà certo il socio inadempiente, ma il socio adempiente che richiede il sequestro non si assume lo stesso titolare del bene, che sarà la costituenda società.

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l’invalidità del contratto sociale, nel qual caso il vincolo di destinazione sul bene permarrebbe, rendendo inammissibile il sequestro giudiziario 62 (e analogo discorso vale anche per l’invalidità della singola partecipazione sociale, ove è controverso se il socio abbia diritto alla restituzione del conferimento o alla liquidazione della quota 63). Nessun dubbio invece sembra poter sorgere quanto all’ammissibilità del sequestro giudiziario quando il procedimento di liquidazione si sia ormai completato, e dunque i beni residui (che danno luogo ad una comunione pro indiviso) potranno essere sottoposti a sequestro se sorga controversia sulla proprietà degli stessi. _____ _____ ______ Infine, scontata è l’ammissibilità del sequestro sui beni sociali quando questo sia richiesto dalla società di persone che pretenda la consegna del bene posseduto da altri soggetti, siano essi terzi o singoli soci che ne assumano la titolarità. 9. I beni delle associazioni non riconosciute. Il sequestro è stato ritenuto ammissibile nell’ipotesi di scissione di un partito politico, in relazione alla controversia concernente la proprietà o il possesso dei locali e degli arredi di una sezione del partito che erano detenuti da un gruppo contrario alle deliberazioni di trasformazione adottate dagli organi centrali e da quelli locali del partito medesimo, gruppo dissidente che perciò aveva aderito ad altra formazione politica 64. Al riguardo va osservato che le sezioni dei partiti politici sono, al pari di questi, associazioni non riconosciute, le quali, sebbene sfornite di personalità giuridica, sono figure soggettive distinte dagli associati in quanto, per gli scopi che perseguono, ad opera In argomento, v. SANNINO, op. cit., 363 ss., ivi anche per un primo esame delle posizioni in dottrina sul punto. 63 V. ad es. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale. Diritto delle società, II, Torino 2002, 74-75 e 183-184. 64 Si trattava della trasformazione in partito democratico della sinistra deliberata dal Congresso del P.C.I., tenutosi a Rimini dal 31 gennaio al 3 febbraio 1991; i dissidenti costituirono una nuova associazione, denominata Rifondazione Comunista. 62

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dell’ordinamento sono disciplinate come centri di imputazione delle situazioni giuridiche soggettive concernenti il gruppo sociale. Esse, fra l’altro, hanno capacità processuale attiva e passiva (art. 36 c.c.) e sono titolari dei beni che costituiscono il fondo comune (id est, il patrimonio dell’associazione), che è del tutto autonomo rispetto al patrimonio dei singoli associati, essendo sottratto al godimento e alle disposizioni degli stessi, nonché all’azione dei loro creditori personali come si evince dall’art. 37 seconda parte c.c., che sancisce il divieto di divisione del fondo e di liquidazione della quota in caso di recesso degli associati medesimi. Inoltre la distinta soggettività è attestata dall’enunciato dell’art. 2659 (come modificato con la l. 27 febbraio 1985, n. 52): secondo cui la trascrizione di atti fra vivi riguardanti le associazioni non riconosciute, al pari di quelle relative a società di persone, vanno fatte al nome dell’associazione medesima 65. Ciò comporta che una controversia sulla proprietà o sul possesso di beni del fondo comune non può aversi nei rapporti fra l’associazione e gli associati uti singuli giacché i beni non formano oggetto di una comunione di diritto reale fra gli stessi, i quali non hanno diritto ad una quota del patrimonio neppure nel caso di scioglimento del rapporto individuale. Pertanto la richiesta dei soci che chiedano un sequestro giudiziario sui beni dell’associazione non potrà essere accolta. Viceversa il presupposto della controversia sulla proprietà o sul possesso è integrato quando sia l’associazione non riconosciuta a lamentare uno spoglio o la contestazione sulla proprietà di beni (che l’associazione assume di sua proprietà), sia che esso provenga da terzi che da singoli associati. Nella fattispecie qui considerata, ad esempio, giacché la controversia è fra due associazioni non riconosciute, ciascuna delle quali pretende la titolarità e/o il 65 Cass., 23 giugno 1994 n. 6032; Cass., 10 dicembre 1988 n. 6725; Cass., 12 giugno 1986 n. 3898, in Giur. it. 1987, I, 1, 1016; Cass., 26 febbraio 1985 n. 1655, in Giur. it. 1986, I, 1, 1247; Cass., 16 novembre 1976 n. 4252, in Giur. it. 1978, I, 1, 624. In dottrina v. GALGANO, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, in Comm. cod. civ. a cura di Scialoja e Branca, Bologna - Roma, 1972, 214 ss.; RESCIGNO, Sindacati e partiti nel diritto privato, in Persona e comunità, I, Padova, 1987, 158 ss.; RUBINO, Le associazioni non riconosciute, Milano, 1952; REALMONTE, Associazioni non riconosciute, in Dizionario dir. priv. a cura di Irti, 1, Diritto civile, Milano, 1978, 57 ss.; SANTORONI, Associazione, voce in Dig. disciplin. privatistiche, Sez. civ., I, Torino 1987, 484, cui si rinvia per altri riferimenti.

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possesso di beni che dovrebbero appartenere al fondo comune di una di esse 66, la richiesta di sequestro giudiziario è stata a nostro avviso correttamente accolta. 10. Le aziende La questione dell’ammissibilità del sequestro giudiziario di azienda è stata definitivamente risolta dall’art. 670 c.p.c. che, tra i beni suscettibili della misura cautelare, comprende anche l’azienda 67 68. Si risponde così alle esigenze del sistema economico di tutela non solo della proprietà, ma soprattutto dell’impresa, assicurandone la gestione temporanea quando si controverta sulla proprietà o sul possesso. _____ _____ _____ Va tuttavia dato atto di una recente tesi che ritiene l’inammissibilità del sequestro giudiziario d’azienda quando l’azienda “presenti caratteristiche tali da non poter essere sequestrata attraverso le norme sull’esecuzione forzata per consegna o rilascio”, ed in quei casi invece “è aperta la strada dei provvedimenti d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c.” 69; ma l’opinione ora richiamata è contraddetta, oltre che immediatamente dal dato normativo, anche dalla ricostruzione prima operata che ha già dimostrato Nello stesso senso, v. Tribunale Brindisi, ord. 3 ottobre 1991, in Giur. it. 1993, I, 2, 157, con nota di LIVI, Sulla “scissione” riferita alla sezione di un partito politico; ivi, ampi richiami di dottrina e giurisprudenza. 67 È necessario che l’azienda sia ancora in vita, al momento dell’autorizzazione al sequestro. Si veda, ad es. Cass., 9 giugno 1981 n. 3723: poiché l’azienda è un complesso di beni e servizi (capitale, fisso e circolante, e lavoro) unificati dalla unitaria destinazione produttiva, in funzione della quale sono organizzati e coordinati dall’imprenditore, essa cessa di esistere quando i vari elementi siano stati dispersi, assumendo i singoli beni destinazioni diverse, nella specie, per la chiusura dell’esercizio di vendita, la rimozione delle merci e delle attrezzature e la restituzione al proprietario del locale; pertanto, in tale situazione, non è configurabile una misura cautelare (nella specie: sequestro conservativo) sull’azienda stessa, ormai cessata di esistere. 68 Rimangono, naturalmente, aperti innumeri problemi che attengono alle modalità di esecuzione ed ai poteri del custode giudiziario per l’attuazione della misura cautelare, ma di essi daremo conto in altra parte di questo scritto. 69 CAPONI, op. ult. cit., 111. 66

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l’ammissibilità del sequestro giudiziario anche quando richiesto su beni incorporei 70. Va ricordato, ancora, che in giurisprudenza sono stati rilevati limiti all’ammissibilità del sequestro d’azienda in riferimento ad ipotesi in cui la proprietà dell’azienda è imputabile ad una società di persone per contrasti insorti tra i soci; sotto questo profilo, tuttavia, va solo puntualizzato come eventuali problemi in ordine alla sequestrabilità si pongono per l’azienda esattamente allo stesso modo che per altri beni di appartenenza della società, e pertanto può rinviarsi alle considerazioni ivi espresse 71. 11. Gli immobili e le universalità di beni. Non dà luogo a particolari problemi interpretativi il sequestro giudiziario dei beni immobili, in relazione al quale va comunque applicata la disposizione dell’art. 816 c.c., in virtù del quale gli atti e i rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa principale comprendono anche le pertinenze, se non è diversamente disposto. Ove si tratta, poi, di beni concessi in locazione a terzi si può discutere circa l’ammissibilità del sequestro giudiziale, per la sua eventuale incompatibilità con i diritti del locatario; ma, in ogni modo, questo non incide sull’ammissibilità del sequestro, anche se può comportare delle conseguenze anche radicali sulle modalità attuazione della misura 72. Non sorgono particolari problemi circa la sequestrabilità delle universalità di beni, secondo la nozione da trarre dall’art. 816 c.c., per cui per aversi universalità occorre una pluralità di cose autonome, materialmente e giuridicamente distinte, le quali appartengono alla stessa persona ed hanno una destinazione unitaria, svolgendo una funzione comune. Considerato che l’assoggettabilità alla misura cautelare è appunto correlata al carattere unitario del vincolo che avvince le universitates, il sequestro giudiziario deve ritenersi ammissibile, ai sensi dell’art. 670 primo comma c.p.c. (che espressamente richiama anche le universalità di beni), sia per le universalità di mobili che per le V. retro al par. 2. V. retro al par. 8. 72 V. al cap VI par. 2. 70 71

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universalità di diritto. Ciò non esclude che il sequestro possa eventualmente cadere su singole cose o rapporti compresi nell’universitas, i quali possono costituire oggetto di separati atti o rapporti giuridici ( art. 816 secondo comma c.c.). In applicazione dei suddetti principi, quindi, sono assoggettabili alla cautela le biblioteche, le pinacoteche, il gregge, l’eredità, ecc. ovvero singoli elementi di tali universitates 73. 12. I provvedimenti di sequestro del giudice civile concernenti la pubblica amministrazione. Il mutato ambito della giurisdizione esclusiva. Il tema dei sequestri nei confronti della pubblica amministrazione o, comunque, coinvolgenti un provvedimento amministrativo, sarà considerato al par. 9 del sesto Capitolo con riferimento all’abrogazione, operata dalla disciplina cautelare uniforme, dell’art. 672, comma 3, c.p.c., che consentiva al giudice ordinario, in base al criterio del luogo di esecuzione della misura cautelare, la concessione del sequestro nelle materie appartenenti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Ivi si osserverà che, stante il carattere rigidamente strumentale assunto in detta disciplina uniforme (anche) dai sequestri, al giudice ordinario – in materia estranea alla sua giurisdizione – è consentito emettere i provvedimenti cautelari solo quando ciò sia previsto da un’espressa disposizione di legge. Conseguentemente, mancando una siffatta disposizione, la concessione dei sequestri è inibita al giudice ordinario relativamente a tuttora molta parte dell’attività amministrativa ed in tutta la vasta area della giurisdizione esclusiva, il cui ambito – com’è noto – è stato notevolmente ampliato in forza delle leggi n. 80 del 1998 e n. 205 del 2000, che, nel contesto di un’incisiva riforma del processo amministrativo, hanno sostanzialmente spostato il baricentro del criterio discretivo di riparto della giurisdizione dalla consistenza delle situazioni soggettive, secondo l’alternativa diritto-interesse, alla specialità delle

Cass., 30 gennaio 1987 n. 892, concernente il sequestro giudiziario di beni appartenenti ad un’eredità in ipotesi di nullità di testamento. 73

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materie ricadenti in tale giurisdizione 74. E ciò anche nei giudizi nei quali non sia direttamente parte la pubblica amministrazione. Ai sensi dell’art. 6, 1° comma, la devoluzione alla giurisdizione esclusiva – in tema di procedure di affidamento di lavori sottoposte all’applicazione della normativa comunitaria o dei procedimenti ad evidenza pubblica – avviene non già in base alla natura pubblica o privata dei soggetti affidanti, ma con rinvio alle norme o procedimenti che questi sono tenuti ad applicare. Inoltre, l’art. 7, comma 4, l. n. 205 del 2000, attraverso la manipolazione dell’art. 35 d. lgs. n. 80 del 1998, ha attribuito al giudice amministrativo, indipendentemente dalle controversie ascrivibili alla giurisdizione esclusiva, quelle relative al risarcimento dei danni, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali. A radicare la giurisdizione amministrativa, è sufficiente, quindi, che il diritto alla restituzione o al risarcimento venga prospettato come consequenziale ad una domanda demolitoria del provvedimento amministrativo od anche ad una domanda di accertamento dell’illegittimità di un atto o di un comportamento della p.a. 75. 74 Si tratta del punto di arrivo, pressoché esaustivo, di un disegno di politica legislativa che valorizza, attraverso la ripartizione della giurisdizione per blocchi di materie omogenee, la direttrice di sviluppo dell’organizzazione giudiziaria tracciata dall’art. 103 Cost., tuttavia interpretato non già secondo la linea tradizionale della previsione di ipotesi derogatorie rispetto al principio di tendenziale unicità della giurisdizione, bensì come vera e propria fonte di rango costituzionale legittimante l’espansione dell’ambito cognitivo dei giudici in essa previsti. La conformità di questo disegno all’impianto costituzionale – che aveva presente il criterio di riparto storicamente formatosi con riferimento alla violazione delle situazioni soggettive – non è scevra da dubbi (accennati in alcune sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, quali le n. 71 e 72 del 2000; diversamente v. sent. n. 40/2000), ma è doveroso riconoscere la razionalità della scelta in punto di effettività della tutela dei cittadini nei confronti della p.a.; e appunto in questo senso – al di là della battuta d’arresto costituita dalla privatizzazione del rapporto di pubblico impiego e la devoluzione, per altro parziale, delle relative controversie al giudice ordinario (apparsa ingiustificata ad autorevole dottrina) – deve dirsi che il giudice amministrativo tende sempre più ad assumere la veste di giudice naturalmente competente a conoscere delle controversie su rapporti involgenti la posizione della pubblica amministrazione o, comunque, regolate da un diritto pubblico derogatorio rispetto al diritto comune. 75 La disposizione costituisce, a ben vedere, la risposta del legislatore all’orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 500 del 1999, che riconosce il valore di norma primaria all’art. 2043 c.c. e ritiene risarcibile il danno da illecito a prescindere dalla consistenza della posizione di diritto o di interesse rispetto al bene della vita che si pretende leso. Ciò induce a

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Sono comprese nella giurisdizione esclusiva, in quanto appartenenti alla “materia urbanistica”, le controversie concernenti tutti gli aspetti dell’uso del territorio determinate da atti, provvedimenti o comportamenti della p.a., dunque ogni attività giuridicamente rilevante, sia essa formale o materiale. Per altro, fuori dalle ipotesi della giurisdizione esclusiva, due altri principi limitano l’ammissibilità dei sequestri in materia. Il primo attiene alla particolare disciplina cui sono assoggettati alcuni beni dell’amministrazione, quali i beni demaniali e quelli indisponibili riservati o destinati ad una funzione o ad un servizio pubblico. È evidente che il sequestro, rendendo indisponibile il bene, ne contraddice la destinazione pubblicistica. Il secondo limite è dato dall’ordinario principio, posto dall’art. 4, comma 2, l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, che vieta al giudice ordinario di incidere su atti amministrativi: né il sequestro conservativo, né quello giudiziario sono ammissibili quando elidono o limitano l’efficacia di un provvedimento amministrativo, di carattere autoritativo, compiuto, cioè, nell’esercizio di poteri pubblicisti attribuiti dalla legge 76. 13. Segue. I beni pubblici. La sequestrabilità di beni demaniali non soggetti a concessione è esclusa in ragione della loro destinazione a fini pubblici 77. In via di principio il sequestro giudiziario di beni pubblici è inammissibile in considerazione del regime giuridico degli stessi, in quanto destinati a realizzare un fine di pubblico interesse, e consequenzialmente, dell’impossibilità del giudice ordinario di adottare provvedimenti che possono interferire con l’esercizio dei poteri autoritativi spettanti alla p.a. sui beni medesimi 78. ritenere che si sia inteso adottare un criterio di riparto fondato semplicemente sulla domanda e non sul vecchio criterio dell’alternativa diritto-interesse; comunque sia in tal modo tutte le controversie sul risarcimento del danno, compreso quello da illecito, vengono attratte nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. 76 V. ad esempio R. GALLI – D. GALLI, Corso di diritto amministrativo, II, Padova 2001, 1451 ss.; per tutti DOMINICHELLI, in Diritto amministrativo, a cura di MazzarolliPericu-Romano-Roversi Monaco-Scoca, Bologna 1998, 2111 ss. 77 G. VERDE-CAPPONI, op. ult. cit., III, 362. 78 Si veda invece Trib. Frosinone, 26 maggio 1986 in Foro it. 1987, I, 597, che autorizza un sequestro giudiziario su un depuratore consortile del quale era stata

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La preclusione non ricorre, quindi, in caso di concessione di beni demaniali qualora insorga controversie fra privati su diritti oggetto della concessione medesima, senza che il provvedimento cautelare, operante inter partes, possa toccare l’esercizio dei poteri autoritativi spettanti all’amministrazione concedente. In giurisprudenza si è perciò ritenuta ammissibile la misura cautelare relativamente ai frutti di un bene demaniale nel caso in cui abbiano formato oggetto di un negozio di diritto privato fra il concessionario ed un terzo (trattavasi di prodotti erbosi) 79. Il che appare corretto ove si consideri che in base al negozio traslativo, consentito al concessionario, i prodotti del bene demaniale erano destinati ad essere separati dal medesimo ed a perdere pertanto la loro qualificazione pubblicistica. Ugualmente è stato autorizzato il sequestro di un bene demaniale nella controversia tra il concessionario ed un terzo, al quale il primo si era obbligato a trasferire la facoltà e i poteri inerenti alla concessione, consegnandogli il bene e obbligandosi a compiere le formalità necessarie al subingresso dello stesso nella titolarità della concessione 80. Bisogna, tuttavia, valutare se la materia non sia attratta nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, laddove vengono in questione “atti, provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche …. in materia urbanistica…”, ex art. 34 d. lgs. n. 80 del 1998. Il sequestro è ammissibile quando si tratti di un bene disponibile della p.a., la quale abbia stipulato con il privato un rapporto di carattere privatistico, jure gestionis 81. 14. Segue. I beni oggetto di provvedimenti ablatori della pubblica amministrazione.

revocata l’autorizzazione all’allacciamento: nominando un custode che provveda al compimento di tutta una serie di attività tese al riallacciamento. Nel caso di specie, appare evidente come il giudice ordinario sia intervenuto su un provvedimento di revoca della Pubblica amministrazione. 79 Cass., 9 aprile 1954 n. 1135, in Giur. it. 1954, I, 1, 800. 80 Cass., 14 luglio 1981 n. 4592, in Giust. civ. 1981, I, 2488 ss., nella quale si evidenzia, per altro, che la p.a. può non approvare il trasferimento e disporre la revoca della concessione, così facendo venir meno la vicenda privatistica cui si riferiva il sequestro; in ipotesi di sub concessione. 81 Cass., 22 febbraio 1974 n. 530.

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In base alle considerazioni svolte nel precedente paragrafo, si deve escludere il sequestro di immobili che abbiano formato oggetto di provvedimenti amministrativi ablatori (espropriazioni, occupazioni, requisizioni), a nulla rilevando che sia insorta controversia in ordine alla legittimità del provvedimento. Infatti, il potere del giudice ordinario di disporre il sequestro di un bene privato di cui la p.a. abbia autoritativamente conseguito il possesso deve essere coordinato con il principio di cui all’art. 4 della legge n. 2248 del 1865, nel senso che, comportando la modifica di tale situazione, il sequestro può essere disposto solo se non esista un titolo di diritto amministrativo che legittimi l’amministrazione a detenere l’immobile, perché altrimenti il provvedimento medesimo si risolverebbe in una revoca sia pure temporanea, dell’atto amministrativo, che esula dall’ambito dei poteri del giudice ordinario 82. E poiché l’esistenza del titolo a favore dell’amministrazione esclude lo jus possidendi del privato, che pertanto non è titolare di una posizione di diritto soggettivo tutelabile dal giudice ordinario, il divieto di adottare il provvedimento implica, in materia di sequestro, anche il difetto di giurisdizione di detto giudice 83. Questa conclusione è valida - si noti - non solo quando l’azione cautelare è strumentale ad un giudizio proponibile o già proposto innanzi al giudice amministrativo, ma anche quando, assumendosi che il provvedimento sia stato emesso in carenza di potere, l’azione è finalizzata alla tutela di una posizione di diritto soggettivo (la proprietà o il possesso del bene ablato) ed è perciò proposta innanzi al giudice ordinario. In tal caso è ugualmente precluso al giudice di disporre la misura cautelare, la quale, comportando un sia pur provvisorio spossessamento del bene controverso (affidato ad un custode), si risolve in una revoca o riforma dell’atto amministrativo, in violazione appunto dell'art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E 84. La situazione muta, invece, se l’atto ablatorio venga annullato dal giudice amministrativo, perché allora la posizione del privato riacquista l’originaria consistenza di diritto soggettivo e il potere del V. ad es. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano 2001, 640. V. sent. S. U. n. 3599 del 1989; n. 1158 del 1984; n. 373 del 1980; com’è noto, ai fini della giurisdizione rileva la situazione soggettiva, non la natura del provvedimento chiesto al giudice ordinario. 84 Cass. S. U., 16 gennaio 1980 n. 373. 82 83

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giudice ordinario non trova ostacolo neppure quanto alla misura cautelare 85. A riguardo occorre aggiungere, anzi, che questa conseguenza si produce ancorché la decisione di annullamento non sia diventata cosa giudicata, stante l’esecutività stabilita dall’art. 33 comma primo della legge n. 1034 del 1971 per la pronuncia del T.A.R. impugnata o ancora soggetta al gravame. In proposito si è talvolta sostenuto che, a differenza delle decisioni coperte dal giudicato, quelle di annullamento prive di tale forza precluderebbero all’amministrazione di dare ulteriore esecuzione dell’atto annullato, ma non travolgerebbe, fino all’eventuale giudicato formale, gli effetti già prodotti. La tesi non può essere condivisa in quanto pone sullo stesso piano, accomunandoli nella medesima disciplina, l’effetto proprio della pronuncia di annullamento, cioè l’eliminazione dell’atto amministrativo impugnato, e le modifiche sostanziali originate dall’attività giuridica e materiale posta in essere sul presupposto della validità dell’atto medesimo. Se in relazione a tali conseguenze ulteriori si può porre, in concreto, un problema di rinvio al passaggio in giudicato (ove si ritenga che per la loro rimozione, dunque per la riduzione in pristino, si richieda il massimo grado di certezza della statuizione), la sentenza di annullamento in ogni caso elimina immediatamente l’atto impugnato, privandolo di efficacia giuridica ed escludendo che possa essere considerato ancora esistente dall’amministrazione; pertanto, la sentenza medesima ripristina il rapporto precedente tra l’amministrazione e il privato, il quale è restituito nella pienezza del diritto soggettivo di cui era 85 Laddove invece l’atto amministrativo sia non ancora annullato, ma soltanto sospeso nel giudizio amministrativo, il giudice ordinario non riacquisterà alcun potere, perché la sospensione riguarda l’efficacia, non l’atto in sé. Al riguardo, Cass. S.U., 4 agosto 1989 n. 3599, in Giust. civ. 1990, I, 1046 ss., (con nota di CHIRULLI) ed in Foro it. 1990, I, 552 precisa che il giudice ordinario avrebbe il potere di concedere il sequestro giudiziario già anche a seguito della sospensione dell’atto amministrativo ottenuta in via cautelare dal giudice amministrativo; la soluzione si giustifica tuttavia, anche alla luce dell’esistenza del giudizio di convalida, che consente una valutazione sul sequestro anche quando al giudice ordinario sia precluso il giudizio di merito (nella specie di competenza del giudice amministrativo); istituto che adesso è ormai abrogato. Sulla soluzione adottata, v. del resto già nel vigore della disciplina anteriore al 1990 per il processo civile ed al 2000 per il processo amministrativo le perplessità espresse dalla DI TARANTO, Sull’utilizzazione del sequestro giudiziario come mezzo di reazione all’inadempimento di una ordinanza di sospensione, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2000, 1383 ss.

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titolare prima del provvedimento ablatorio. Ciò è sufficiente per affermare la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda cautelare proposta dal privato a tutela del suo diritto. Non ha rilievo, infatti, la circostanza che la sentenza non è immutabile, giacché fin quando non venga modificata (dal giudice dell’impugnazione), la statuizione priva l’amministrazione del titolo autoritativo che le attribuiva lo jus possidendi e che aveva efficacia degradatoria del diritto del privato, per modo che, se ancora desse attuazione all’atto impugnato, essa agirebbe sine titulo 86, e rimane naturalmente ferma la possibilità di adire il giudice ordinario tutte le volte in cui l’amministrazione abbia operato sine titulo 87. Le considerazioni ora svolte, tuttavia, non si applicheranno quando si tratti di immobili, alla luce del t.u. 8 giugno 2001 n. 327 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione di pubblica utilità, in vigore dal 30 giugno 2003) che, per quanto concerne “…. l’espropriazione, anche a favore di privati, dei beni immobili o di diritti relativi ad immobili ….” (art. 1), ne devolve la giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo per tutte “ … le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi ed i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti ad esse equiparati ….” (art. 53), ciò che esclude la competenza, anche solo residuale, del giudice ordinario, anche quando l’amministrazione agisca sine titulo, ponendo in essere appunto un’attività che appare ricompresa nell’espressione “comportamenti” ora richiamata. 15. Segue. Le aziende esercitate in base a provvedimento amministrativo. Si è posto il problema circa l’ammissibilità del sequestro giudiziario quando l’azienda si riferisce ad un’attività economica esercitata dal titolare in base ad un apposito provvedimento concessorio o autorizzatorio. Si è affermato al riguardo che la misura cautelare non interferisce sul provvedimento amministrativo di concessione o di autorizzazione in forza del quale l’azienda è stata 86 In questo senso, da ultimo v. sent. Cass. S. U., 3 agosto 1989 n. 3599, cit.; Cass. S. U., 7 agosto 1991 n. 8585; Cass. S.U., 24 novembre 1993 n. 11607. 87 V. ad es. DOMINICHELLI, op. cit., 2114. Ma diversamente v. R. GALLI – D. GALLI, op. cit., 1455. ss.

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in precedenza gestita, in quanto esso è destinato ad esaurire i suoi effetti nell’ambito dei rapporti di diritto privato fra il titolare del potere concesso o autorizzato e i terzi, e non pregiudica quelli di diritto pubblico fra il predetto e l’autorità amministrativa 88. Si è ritenuta ad esempio la giurisdizione del giudice ordinario a concedere il sequestro di aziende relative a distributori automatici di carburante, ancorché non venga nominato custode il precedente gestore e salvo, peraltro, l’obbligo per il custode di munirsi della licenza prescritta dall’art. 3 primo comma d.l. 5 maggio 1957, n. 271, convertito in l. 2 luglio 1957, n. 474 89. Le licenze e le autorizzazioni occorrenti per l’esercizio di un’impresa non entrano in collisione con il provvedimento di sequestro perché rispetto a questo svolgono una funzione ed hanno una efficacia del tutto propria e distinta. L’ipotesi di una modifica dell’autorizzazione o della licenza potrebbe profilarsi se il giudice ordinario, nominando custode dell’azienda sequestranda persona diversa dal titolare della licenza o dell’autorizzazione, le trasferisse l’intestazione di tali atti o comunque le conferisse il potere di gestire senz’altro l’azienda sottoposta a vincolo. Ma che il custode è tenuto a munirsi a sua volta di autorizzazione o licenza, sul rilascio della quale l’autorità amministrativa deciderà senza che alcun vincolo ne derivi dal provvedimento giurisdizionale 90. Sarà questo, invece, che rimarrà privo di efficacia, e dovrà essere rinnovato con altra designazione, qualora il custode non ottenga l’assenso della p.a. Si potrebbe, tuttavia, più analiticamente distinguere a seconda che il Cass., 25 novembre 1974 n. 3819, in Foro it. 1975, I, 588 con osservazione di BARONE , La licenza amministrativa opera anche nei confronti dei legittimi sostituti, tra i quali va annoverato il custode: v. Cass., 21 ottobre 1971 n. 2955; Trib. Monza, 29 gennaio 2001, cit., ha escluso il sequestro dell’autorizzazione amministrativa, concedendo invece il sequestro di tutte le quote sociali di una società in nome collettivo (e non direttamente dell’azienda: v. retro al par. 8) sulla cui proprietà si controverteva. 89 Cass., 25 novembre 1974 n. 3819. 90 Cass., 11 luglio 1996 n. 6325: “…D’altro canto la licenza, per il suo carattere personale, consente l’esercizio dell’attività aziendale esclusivamente da parte del titolare e dei suoi legittimi sostituti e tra questi ultimi deve ritenersi compreso anche il custode nel sequestro giudiziario, il quale, anche se persona diversa dal titolare, può legittimamente gestire l’esercizio commerciale: con la citata sentenza a S. U. n. 2955 del 1971, infatti, questa Corte ha affermato che la nomina del custode nel sequestro d’azienda in persona diversa dal titolare non importa alcuna modificazione od ingerenza nei poteri spettanti all’amministrazione che ha concesso la relativa licenza, provvedimento che comunque condiziona il legittimo esercizio dell’azienda proprio perché il custode è sostituto del titolare”. 88

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provvedimento amministrativo di licenza o autorizzazione riguardanti il soggetto o l’attività aziendale, riservando solo alla prima ipotesi la necessità del custode di munirsi della prescritta autorizzazione. Invero, l’autorizzazione e la licenza non hanno carattere imperativo, bensì solo permissivo, nel senso che non impongono a coloro cui sono rilasciate di svolgere una determinata attività, ma si limitano a renderne possibile l’esercizio, talora a determinate condizioni (che hanno natura di oneri accessori). _____ ______ _____ È stato precisato in giurisprudenza ancora come non sia invece ammissibile la richiesta del sequestro giudiziario proprio ed esclusivamente sulla licenza 91, e non sull’azienda. É sorta questione sull’ammissibilità del sequestro giudiziario di una farmacia, in considerazione delle interferenze che possono verificarsi tra il provvedimento giurisdizionale e l’atto amministrativo che consente l’esercizio farmaceutico. La giurisprudenza ha dato al quesito risposta positiva, sempre che il sequestro giudiziario non determini la dissociazione della titolarità della farmacia dalla relativa gestione; ciò che potrà essere evitato dal giudice, imponendo particolari modalità della custodia, ai sensi dell’art. 676 c.p.c. 92. In proposito è stato osservato che il sequestro giudiziario di una farmacia, adottato nel rispetto della normativa in materia, non incide sugli aspetti pubblicistici dell’attività farmaceutica, la quale, sebbene regolata anche da norme di diritto pubblico che l’assoggettano al controllo dell’amministrazione in relazione al conferimento della titolarità e sia nello svolgimento del servizio, resta fondamentalmente un’attività economica privata, cui si applica

91 Cass., 15 novembre 1985 n. 5596, in Giust. civ. 1986, I, 758; Cass., 21 ottobre 1971 n. 2955, in Riv. dir. civ. 1972, I, 85; da ultimo, Trib. Monza, 29 gennaio 2001, in Giur. Mil. 2001, 209; PROTETTÌ, op. cit., 11, sostiene che il provvedimento di sequestro sulla licenza riguarderebbe direttamente l’atto amministrativo, ed inciderebbe sul potere attribuito alla P.A., perché il provvedimento di sequestro tenderebbe in pratica a vietare l’esercizio impedendo la revoca la modifica il trasferimento dell’azienda e la intestazione della licenza ad un nuovo titolare. 92 Cass. S. U., 17 gennaio 1986 n. 274, in Foro it. 1986, I, 1910, con nota di FERRARA ; Cass., 13 febbraio 1963 n. 286, in Giust. civ. 1963, I, 1626 e Foro amm. 1963, II, 322. In senso contrario, Trib. Napoli, 1° ottobre 1954, in Foro it. 1955, I, 1133.

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l’ordinaria disciplina dell’impresa commerciale 93. Muovendo da questa premessa, il principio è stato ritenuto valido anche nel quadro della disciplina introdotta con la l. 2 aprile 1968, n. 475, che ha modificato in parte qua il t.u. delle leggi sanitarie 27 luglio 1934, n. 1265. Una volta ritenuto, infatti, che l’azienda farmaceutica, intesa come complesso dei beni organizzati dal farmacista per l’esercizio dell’attività, forma oggetto di ordinari rapporti e situazioni di diritto privato, non vi sono valide ragioni per negare in modo assoluto il potere del giudice ordinario di adottare, a tutela di posizioni di diritto soggettivo di terzi, provvedimenti cautelari concernenti l’azienda medesima, in particolare di autorizzarne il sequestro giudiziario ove ne sia controversa la proprietà o il possesso 94. Effettivamente la l. n. 475 del 1968 ha reso necessaria la coincidenza nella stessa persona delle qualità di titolare e di gestore della farmacia, stabilendo che la titolarità impone inscindibilmente la conduzione tecnico-professionale del servizio e la gestione patrimoniale dell’azienda (art. 11), ed altresì sanzionando con la decadenza dal servizio il trasferimento del diritto di esercizio non accompagnato da quello della connessa azienda commerciale (art. 12) 95. Come la Corte di Cassazione ha più volte precisato, il titolare deve avere, cioè, la gestione personale e diretta dei beni patrimoniali della farmacia, per modo che non solo non è consentito che un 93 In questa prospettiva la Corte di Cassazione aveva in precedenza escluso che il rapporto giuridico fra il farmacista e la p.a. abbia natura di concessione di pubblico servizio. Cass. S. U., 9 novembre 1985, in Foro it. 1986, I, 982. 94 Come rileva la sent. n. 274 del 1986, una tale controversia può ora insorgere anche in conseguenza di trasferimento inter vivos del diritto di esercizio della farmacia, che la nuova legge, accentuando la connotazione patrimoniale dell’impresa farmaceutica, ha consentito a determinare condizioni: art. 12 della l. n. 475 del 1968. 95 L’originario art. 11 della l. 475 del 1968 (“Il titolare della farmacia deve avere la gestione diretta dell’esercizio e dei beni patrimoniali della farmacia… È tuttavia consentita la sostituzione temporanea con altro farmacista iscritto all’ordine dei farmacisti nella conduzione professionale ed economica della farmacia: a) per motivi di salute; …………”) è stato in parte modificato dall’art. 11 della l. 362 del 1991 (“Il titolare della farmacia ha la responsabilità del regolare esercizio e della gestione dei beni patrimoniali della farmacia. L’unità sanitaria locale competente per territorio autorizza, a seguito di motivata domanda del titolare della farmacia, la sostituzione temporanea con altro farmacista iscritto all’ordine dei farmacisti nella conduzione professionale della farmacia: a) per infermità;…. È facoltà del titolare della farmacia conferire al sostituto la conduzione economica.”) Le richiamate modifiche, tuttavia, non ci sembrano dover condurre a conseguenze rilevanti in ordine alle problematiche sull’ammissibilità (e le modalità di attuazione) del sequestro giudiziario sulla farmacia.

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terzo si sostituisca a lui o comunque interferisca nella direzione tecnica del servizio, ma è altresì vietata la costituzione di rapporti che attribuiscono ad un diverso soggetto la gestione economicopatrimoniale dell’azienda 96. Alla stregua di tale disciplina, potrebbe dunque ritenersi viziato per eccesso di potere giurisdizionale tanto il provvedimento di sequestro che, incidendo immediatamente sull’atto amministrativo di autorizzazione all’esercizio, sostituisce il titolare con il custode (per sé munito di abilitazione professionale) anche nella conduzione tecnica del servizio, quanto probabilmente anche il provvedimento che affidasse al custode giudiziario la sola gestione economica dell’azienda farmaceutica. Ma è altrettanto evidente che il provvedimento di sequestro risulta legittimo quando la cautela venga costituita in conformità alla disciplina suddetta, conservando al titolare della gestione della farmacia. Ciò si verifica, anzitutto, nel casi in cui la custodia ed amministrazione dell’azienda farmaceutica vengono affidate allo stesso titolare destinatario della misura cautelare: questa non interferisce con la titolarità e le modalità dell’esercizio farmaceutico bensì incide soltanto sul titolo (privatistico) della gestione dell’impresa, che viene svolta dal titolare - custode non più nel proprio interesse, ma quale ausiliare del giudice e per fini di giustizia. Al medesimo risultato si perviene, poi, quando con il provvedimento cautelare la custodia dell’azienda sia affidata ad un estraneo e tuttavia il titolare venga autorizzato a gestire la farmacia, così ottenendo la persona disponibilità, sia pure sotto la sorveglianza anche contabile del custode (che curerà di acquisire i ricavi), dei beni e dei mezzi occorrenti per l’esercizio dell’impresa 97. La misura cautelare non interferisce con la disciplina pubblicistica dell’attività, venendo ad incidere solo sugli aspetti patrimoniali della gestione, i cui risultati utili sono acquisiti dall’amministrazione giudiziale.

Cfr., tra altre, Cass. S. U., 8 novembre 1983 n. 6587, in Foro it. 1984, I, 465. V. ad es. Trib. Arezzo, 3 aprile 1995, in Ra. giu. farm. 1996, fasc. 34, 97: può essere disposto, a norma dell’art. 670 c.p.c., nominando un custode con compiti di controllo contabile ed attinenti all’acquisizione dei ricavi e con l’obbligo di offrire al gestore i mezzi finanziari necessari per l’esercizio dell’impresa ed affidando la gestione dell’azienda al titolare della farmacia. Trib. Salerno, 30 aprile 1996, in Ra. giu. farm. 1996, fasc. 36, 47, affida la sorveglianza contabile ad un custode, lasciando il titolare della farmacia nella gestione dell’impresa per il suo esercizio. 96 97

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In conclusione, in forza del principio che vieta la dissociazione della titolarità della gestione della farmacia, il sequestro può essere autorizzato solo con le modalità suddette - che il giudice ha il potere-dovere di stabilire - giacché in tal caso non si riscontra eccesso di potere giurisdizionale, secondo il principio innanzi ricordato 98.

98 Ritenendo ammissibile con questi precisi limiti il provvedimento cautelare, si superano le perplessità manifestate dalla dottrina: cfr. ANGELICI, L’organizzazione del servizio farmaceutico, Milano 1972, 100 ss., il quale, pur ritenendo consentito, in via di principio, il sequestro giudiziario che incide solo sui rapporti privatistici, sostiene che esso non possa investire l’azienda nella sua globalità, ma debba essere limitato a particolari categorie di merci giacenti nella farmacia.

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