Il libro delle vacanze

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IL LIBRO DELLE VACANZE

ART WORK STUDIO

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Erano cosmopoliti quei poeti, e lo sono anch'io. Un cosmopolita da Malo, vicino a Schio. LUIGI MENEGHELLO, Le Carte, Volume I, Rizzoli, Milano 1999, p. 232


IL LIBRO DELLE VACANZE

OBLIOART


Il libro delle vacanze Art Work Studio - Oblioart 2005 Progetto grafico e impaginazione Art Work Studio L’illustrazione dell’omino con la valigia in copertina è stato gentilmente concesso da Stefano Lazzari. Tutte le immagini e i testi sono di proprietà dei rispettivi autori. La loro riproduzione è consentita soltanto previa autorizzazione degli stessi. Si ringrazia www.lamerotanti.com Stampato da Grafiche Antiga, Cornuda (TV) nel mese di luglio 2005 Non in vendita

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Gigi la Moquette [12:53]: oblaio oblioflat [12:55]: quand'e' che mandi le tue foto per il libro? Gigi la Moquette [12:55]: ma senti... mica ho capito bene di che si tratta sai? oblioflat [12:57]: :-) Gigi la Moquette [12:57]: daiiii oblioflat [12:58]: ma l'hai letta la mail di presentazione? Gigi la Moquette [12:58]: si, velocemente oblioflat [12:59]: ti riassumo brevemente: Gigi la Moquette [13:00]: vai oblioflat [13:01]: 1. vogliamo stampare un libretto da regalare per l’estate... 2. il titolo e': il libro delle vacanze. (come quello che avevi quando facevi le elementari, ricordi?) 3. il libro sara' composto da brevi racconti e immagini, foto, disegni. 4. le immagini-foto-disegni sono quelle che tutti voi ci invierete alla mail librodellevacanze@oblioart.com oblioflat [13:02]: è abbastanza chiaro? non mi sembra difficile.... :-) Gigi la Moquette [13:02]: si ma nn ho foto di vacanze Gigi la Moquette [13:02]: è na cifra d'anni che nn faccio una vacanza oblioflat [13:03]: non ho detto che devono essere foto di viaggi lontani. il titolo è libro delle vacanze. le immagini possono essere di tutti i tipi Gigi la Moquette [13:03]: ah ok ok oblioflat [13:04]: puoi mandarci anche un disegno Gigi la Moquette [13:04]: me ne faccio fare qualcuna oblioflat [13:04]: cioè? Gigi la Moquette [13:04]: boh, tipo di me che suono o robe così... oblioflat [13:05]: si, ok Gigi la Moquette [13:05]: no? Gigi la Moquette [13:06]: tanto le vacanze me le farò a casa a suonare oblioflat [13:06]: preferirei una roba fatta da te... un murales, oppure un disegno illustrator... Gigi la Moquette [13:06]: ti mando anche un disegno ok


Matteo Moro - Rimini

Ivana e Michele Piovesan - Verona

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Paolo Quagliotto - Spiaggia virtuale

Claudio Rocci - USA 2003

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BATTIATO Antonio Koch

Stanotte ho sognato Battiato, che ero in viaggio con Battiato in giro per il mondo e io ero un idiota, sbagliavo gli orari dei treni e degli aerei, arrivavamo in ritardo nei posti, perdevamo le coincidenze, e mi sentivo un idiota perché Battiato era così superiore e distaccato che non mi diceva mai niente, camminavamo con le scarpe rotte in giro per il mondo e non avevamo soldi e per colpa mia sbagliavamo tutto e io mi sentivo un cretino perché volevo andare in viaggio con Battiato per parlare di cose esoteriche e spirituali e stavo facendo una figura di merda, non sapevo nemmeno consultare una cartina, e Battiato non mi rimproverava, non mi diceva niente, viaggiava con me sempre al mio fianco, muto come un pesce, al che a un certo punto mi sono incazzato perché non capivo perché dovevo fare tutto io, solo perché lui era Battiato ed era un maestro peso aveva affidato tutto a me e io non riuscivo a organizzare un cazzo perché io ho poco senso pratico, e allora a un certo punto gliel'ho detto, gli ho detto mi scusi maestro ma io sono a pezzi, sono molto stanco e ho dei complessi di inferiorità, dei muri nella testa, e mi affido a lei, ci pensi lei a trovare un albergo, a trovare un taxi per andare all'aeroporto, o in stazione, e allora Battiato schioccava le dita e compariva un'auto a noleggio, una berlina di una marca che non esisteva tutta dorata e luccicante, con anche i sedili dorati, e mi diceva, ecco fatto, vedi, devi solo chiedere, il tuo problema (mi diceva Battiato) è che non chiedi mai un cazzo a nessuno e invece è proprio questo che devi fare nella vita, devi chiedere le cose a tutti, chiedi e ti sarà dato, com'è che non lo capisci, forza, adesso sali su questo catorcio, guida tu, che io non ho la patente. Questo sogno mi ha molto colpito e penso che Battiato nel sogno aveva ragione, e allora al risveglio sono andato in negozio nel negozio nuovo di Feltrinelli dove lavoro adesso e ho chiesto le ferie, e mi hanno detto che le ferie me le posso scordare perché bisogna averle maturate, e io non ho maturato un cazzo, è appena un mese che lavoro lì e già chiedo le ferie e non va bene, adesso dopo l'estate vediamo, magari ci scappa un week-

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Paolo Quagliotto - Minorca

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end o un weekend lungo, vediamo come mi comporto, vediamo come va il lavoro, la Feltrinelli è una ditta molto grande con delle tecniche complesse di motivazione del personale, hanno delle strategie che funzionano io mi fido di loro, tanto se mi trovo male vado via, mi licenzio e vado a fare l'imbianchino che guadagno molti soldi e poi lo dice anche Battiato, che è meglio un imbianchino di Le Corbusier.

Paolo Quagliotto - Sri Lanka

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Andrea Bizzotto - Creta

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Adriano Santi - She Devil - S. Giorgio in Bosco

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Andrea Pancino - Nevada

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L'INCANTO DIETRO A UNA CURVA Roberto Tossani

Ieri siamo andati al mare, a Caorle. Da Valdobbiadene si prende una strada che porta anche a Bibione e Lignano, però per Caorle si gira prima. Da piccolo andavo sempre a Bibione o a Lignano e quando arrivavo all'incrocio per Caorle mi chiedevo sempre che cosa ci fosse dopo. Perché l'incrocio è una curva a 180° in discesa e nella mia mente fare quella curva e andare verso Caorle doveva portare a chissà quale incanto. La prima volta che l'ho fatta ero ormai adulto, sposato e ho pensato ridendo che non avrei trovato niente. E invece no. Dopo qualche chilometro la strada ti porta ad un paese incredibile: Corbolone. Corbolone si snoda lungo un ampio canale costeggiato da un viale: affascinante, pulito, perfetto. Carmen dice che da un momento all'altro potrebbero spuntare Peppone e Don Camillo. Sì, ma non solo. A Corbolone le case sono come devono essere le case, la chiesa è lì dove ti aspetti che sia, il bar ha i tavolini fuori come se solo ne spostassi uno potesse rompersi l'incanto. Passandoci in auto, con il canale e il viale a destra, le case a sinistra, hai la sensazione che a Corbolone il macellaio sia il Macellaio, la maestra la Maestra, il dottore il Dottore, il prete il Prete: i ruoli sono immodificabili, li riconosci benissimo, ognuno è quello che è. E quindi, rimbecillito da tanto incanto, mi viene in mente ogni volta che passo che se dovessi ambientare un giallo da qualche parte lo farei lì, a Corbolone. Perché il serial killer sarebbe il Serial Killer e io lo scoprirei dopo

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che ha violentato e ucciso Barbara, la Studentessa, Maria Grazia, la Moglie del Sindaco e Gina, la Perpetua. Anche perchĂŠ ogni volta che passiamo da Corbolone, andando o tornando da Caorle, il viale perfetto, che corre lungo il canale perfetto, assume via via le pieghe di un incanto sempre piĂš inquietante e ambiguo. Nessuno passeggia sui geometrici cubetti di porfido pulitissimi, sotto gli alberi secolari e ombrosi, a fianco dell'acqua che si muove appena. Se passate da Corbolone, entrando e uscendo dall'incanto, non vedrete anima viva.

Adrian Schiopu - Lignano


Germana Cabrelle

SENZA LA MACCHINA FOTOGRAFICA Giunti a Capri ci accorgemmo di aver dimenticato la fotocamera in albergo e forse, tutto sommato, fu meglio così, perché avevamo il muso entrambi e non è certo piacevole vedersi immortalati con un sorriso forzato. Allora, per togliermi il broncio, mi regalasti un orologio, identico allo Swatch che indossava una bionda tedeschina incontrata in funicolare. A Marina Piccola un temerario si tuffava da un faraglione: rimanemmo immobili ad ammirarlo per qualche decina di minuti. Per pranzo divorammo un panino - ovviamente alla caprese - con acqua minerale. Alle quattro del pomeriggio, per toglierci del tutto la sete, durante il saliscendi tra le viuzze, ci fermavamo ai distributori d'orzata. Verso sera riprendemmo l'aliscafo per tornare nel Golfo. Il terribile vento dato dalla velocità dell'imbarcazione mi impediva di parlarti. E di udirti. Allora mi indicavi Capri da lontano, inducendomi a voce alta a guardare l'isola che dicevi assomigliare ad un volto femminile. Quel profilo di donna non sono mai riuscita ad imprimerlo in pellicola. Né allora, né quando ci tornai, la bellezza di sette anni dopo, con un altro che non eri te...

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Andrea Bordin

Colonia figli dei dipendenti Enel, Pinarella di Cervia... l'anno no, primi anni settanta, ma: - la sabbia sulla pelle arrossita dal sole - tutti per mano in fila per due - i costumi di "panno" che una volta inzuppati pesavano 10 kg - il cappellino di paglia - il sugo al pomodoro "della colonia" pochi ricordi, pochissimi ricordi belli - le signorine - le morosette - quando si tornava a casa

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Enrico Renai - Grecia

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Da un vecchio libro delle vacanze Alessandro Zaltron

Andare a Chioggia, per me, non è semplicemente spostare il baricentro più a sud. È un ritorno alle origini, piuttosto. È lì, a Sottomarina, che i miei futuri genitori si conobbero e trascorsero assieme le estati che portarono al loro matrimonio e alla mia nascita. Non ho mai ben capito perché non continuarono a frequentare quel mare. A due mesi e mezzo di vita, nel 1970, mi portarono invece a Bibione, dove trascorsi tutti i riti balneari a venire dell'infanzia. Nella famosa teoria sui cinque minuti sostengo che, se quella volta, uno dei due si fosse attardato a lavarsi i denti o a intrecciare i lacci delle scarpe, magari non si sarebbero conosciuti e oggi non sarei, o sarei diverso, che è comunque non-essere (quello che sono). Cerco però di rassicurarmi: quarant'anni fa, sulle spiagge italiane, i vacanzieri erano talmente pochi che non potevano non incontrarsi. Furono i miei zii paterni a gettare il pallone verso le donne sotto l'ombrellone per attirarne lo sguardo. E se avessero sbagliato la mira? Esagero, sbraco, ochei. Ma chi mi dice che fosse tutto segnato? Chi può esserne sicuro? Il cristianesimo ha risolto tutto, a modo suo, alla solita maniera dorotea. Tu scegli ma Qualcuno ha scelto prima di te. Solo che non sai cosa ha deciso. L'importante è che tu sia ignaro, così ti senti libero. È come quando la trama non ti racconta il finale del film: non è che il protagonista si salvi; solamente, tu non sai ancora che finirà stritolato nella macchina dei rifiuti. Difatti t'incazzi quando l'amico di turno ti anticipa le scene salienti. Sono tornato a Bibione, dopo 25 anni: ricalcare i propri passi è un errore da principianti, una caduta di stile. Non trovi il tuo vissuto, comprese le invenzioni per renderlo più ricordabile. Era un carnaio di termitai a formiche convulse, dalla stanza a noleggio vedi sfilare i coatti della vacanza col timer. Ho sbagliato a tornarci, perché non sono neppure riuscito a trovare gli alberghi di allora: Astoria, Alexander. Ho percorso la sabbia solo una volta, di sera, forse nella speranza che il mare avesse nel frattempo rivelato il braccialetto in similoro perso a cinque anni sotto il ponte levatoio di qualche castello friabile. Ma l'unico ritrovamento è un calco da confrontare con il mio: un'orma recente, più piccola, a dita raccolte.

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Istanbul Claudia Contarini

Il mare Da una parte il Bosforo, dall'altra il Mar di Marmara, quello è il Corno d'Oro, di lì si arriva all'Egeo. E ponti, ponti, ponti. Ci vuole un attimo a perdere l'orientamento. Si pensa di andare verso la parte asiatica invece si sta solo attraversando il Corno d'Oro, il ponte è più corto e poi ci sono punti di riferimento che sfuggono (come le moschee). In conclusione a Istanbul non si sa mai dove si è. Il Gran Bazar Prima di arrivarci Turista: Ma è vero che al Gran Bazar rapiscono le bionde? Guida: Ma quando mai?!! Ma chi ve l'ha raccontata questa? T: Be', ma si sa… G: Ma no, è una leggenda metropolitana… All'interno Tu: Madò, quant'è grande! Tu ti ricordi dov'era il punto di ritrovo? Collega: No, io mi sono già persa… Tu: Io pure… Mi sa che questa storia dei rapimenti non è mica vera, che alla fine quelle che si dice che le han rapite si sono solo perse… Collega: Anche secondo me, sono ancora qui che girano cercando l'uscita Le moschee A Istanbul ci sono talmente tante moschee che si fa prima a contare le stelle. Ci si confonde poi, a prima vista, specie se non si è pratici. Turista: “E' la Moschea Blu, quella?” Guida: “No, quella è la Moschea di Solimano il Magnifico. La Moschea Blu ha sei minareti” T: “Ah, già, è che avevo visto anche quei due minareti lì sotto…” G: “Quelli sono della Moschea della Sultana” T: “Quella è la moschea che si vedeva nella foto del museo?” G: “No, quella è la Moschea Blu, non vedi i sei minareti?” T: “Uh, non li avevo visti, erano nascosti là dietro…” T: “E' la moschea di Solimano quella?” G: “No. Quella…” Sei giunta alla conclusione che i minareti vivano di vita propria e si spostino da una moschea all'altra solo per confondere i turisti. Angelo Corbetta


Massimo Felicetti

La mia famiglia, la mia vacanza

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Angelo Corbetta


Giancarlo Gennaro - Cittadella 1984


IO, NICCOLÒ, BERIO, TOBBIA, ECCETERA Fabrizio Venerandi

Oggi sono andato con il coccolotto al porto antico di genova, non tanto per improbabili motivi turistici, ma perché mi piace andare al porto antico di genova mi sembra di essere in vacanza. Niccolotto cresce a vista d'occhio, la faccia si modifica di settimana in settimana, tanto che tu ogni tanto non sei del tutto sicuro che stai volendo bene sempre alla stessa persona, vai sulla fiducia. Adesso niccolò parla, è capace di elaborare sintassi di una certa complessità, e gestisce anche le persone di alcuni verbi: tipo 'io vado tu vai' che sembra una cazzata ma la prima volta che l'ho sentito sono sbiancato: tobbia, tanto per dire, non c'è mai riuscito. Parla, ma ho ancora un certo potere decisionale, tipo sul dove portarlo durante la giornata e mentre cecilia dall'ufficio mi tuona sms in cui mi ordina di portarlo in piscina o al mare che gli fa bene, io lo porto alla fnac, a mondadori o all'isola delle chiatte, che gli fa male. L'isola delle chiatte è uno dei posti più belli di genova, soprattutto d'inverno e di sera tardi, in pratica sono quattro chiatte legate assieme con delle panchine sopra e tu ci sali e senti tutti gli stridolii delle chiatte che si muovono, sembra l'inizio di un concerto di berio e infatti gli hanno dedicato l'isola delle chiatte, giuro, ogni volta che leggo la dedica penso che lo abbiano fatto per prenderlo per il culo, ma tanto è morto. Niente di personale, ho quattro cd di berio, originali, pur essendo uno di quegli autori che ne potresti prendere uno, capisci più o meno la solfa, fai la tua bella figura con gli amici, e risparmi, ad esempio prenderne uno di berio, uno di nono, uno di berg, uno di reich, uno di stockhausen, con solo cinque cd ti puoi permettere di parlar male della musica colta contemporanea senza sbagliare di troppo. Con alcuni io ho esagerato, tipo di nono ne ho forse due di cui il secondo è qualcosa che si intitola intolleranza 1960, che mi sembrava un titolo affascinante, poi ho scoperto che era tutto cantato in lingua tedesca e che l'ascolto aveva la capacità di dilatare i tempi, nel senso che dura un'oretta e io non sono mai riuscito ad ascoltarlo tutto perché veniva notte, poi mattina, poi

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giorno e poi ancora notte e il cd era ancora lì a lamentarsi in tedesco e quei dannati sessanta minuti non erano ancora passati. L'inferno. Berio, dicevo, ne ho comperati di più perché uno è bellissimo e si intitola laborinthus II e c'è anche sanguineti nel massimo della maturità che recita i suoi versi dentro l'opera, quello da solo vale tutto berio, la parte di berio che può arrivare a uno che ha la discografia completa di prince, intendo. Comunque, dicevo, sono andato con coccolotto all'isola delle chiatte e ho detto al mio figlio treenne, sai niccolò a tua papà piace molto l'isola delle chiatte e lui mi ha chiesto perché?, e io gli ho detto, niente, niccolò, è una cosa che mi piace tanto, e lui si è girato verso di me e mi ha sorriso, come se fosse felice che anche a suo padre ci fossero delle cose che gli piacciono tanto. Boh, forse per poter fare davvero bene l'hobby del padre i giorni dovrebbero ripetersi, ogni volta ripeti il giorno appena trascorso e solo alla seconda volta si passa a quello successivo. Ti godresti meglio le cose, forse, o forse no, sto scrivendo a un tavolinetto di plastica non posso essere sicuro di niente, ci sono molte cose che odio al mondo, e tra queste i tavolinetti di plastica occupano una buona posizione. Ballano mentre scrivo e mi innervosisco, manco fossi al pianoforte. Anche le zanzare non se la passano male, in buona compagnia di vari insettini seminvisibili più piccoli delle zanzare che hanno preso a voler rantolare attorno alla mia lampada creandomi seri problemi di respirazione. Altra cosa che odio al mondo è il fatto di essere particolarmente intelligente e di uscire la sera a portare a far pisciare uno degli esseri meno intelligenti che conosca (vicini esclusi), parlo del mio cane tobbia, il quale con la sua scondinzolata scoordinata si muove di zona pisciabile in zona pisciabile, ambulando lungo la stradina che dai parcheggi porta a casa nostra. E mentre zompetta, ecco guardatelo, ecco che inizia a zompettare in cerchi irregolari sempre più rutilanti, finché non si ferma zampe davanti indietro e zampe indietro buttate in avanti: si piega e inizia a cacare. La cacca dei cani è calda e spesso molle al tatto. L'odio nasce dal fatto che mentre il cane fa il suo bisogno serale il venerandi che è troppo intelligente per lasciare lì la merda, tira fuori il

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suo sacchettino verde di clean dog, ci infila la mano dentro come a un burattino, e resta in attesa che il cane finisca la sua cacata. A questo punto il cane si gira, annusa la sua opera e si allontana un poco giusto per vedere il venerandi che si piega e con la mano protetta dal sacchetto verde di clean dog, raccoglie la sua cacca, la annoda e la porta con sé, come tesoro prezioso. E mentre alzo la testa incrocio il muso di tobbia e leggo nel suo sguardo slinguante felicità, cazzo devo essere davvero un cane importante se il mio servo tutte le sere è costretto a raccogliere la mia merda, e ansima contento. Così cammino, e mi rendo conto che sera dopo sera faccio confronti olfattivi, tipo stasera tobbia ci ha dato dentro, oppure chissa che cazzo gli hanno dato i vicini da mangiare topi morti, o anche più semplicemente *riconosco* l'odore della cacca di tobbia e la sento amica. D'inverno poi, quel breve tocco caldo prima di chiudere il sacchetto, è capace di veloci brividi al cuore. Ieri comunque tobbia stavo per ucciderlo mi ha fatto scattare una molla che ho iniziato a prenderlo a calci e pugni e mi sono fermato solo quando i guaiti di terrore temevo potessero svegliare i vicini. In pratica ero uscito per fare footing alla sera verso le dieci e mezza e mi sono detto mi porto dietro tobbia così mentre io corro lui piscia e vado a dormire prima, cecilia e niccolò erano già a letto, e allora mi metto la tutina decathlon e inizio a correre con tobbia che mi segue molto molto stancamente e io prendo la strada dell'acquedotto e qui inizia il primo problema ovvero che mi viene subito in mente che avevo finito di mangiare alle nove e non alle sette come di solito e che erano le dieci e mezza e non le undici e mezza e questa cosa non mi viene in mente così per mio sforzo intellettuale, ma perché iniziano a venirmi su le castagne che avevo fatto sulla piastra, sento proprio che dallo stomaco risalgono verso la gola e poi, come morti viventi, fanno il loro acido ingresso nella parte della gola che fatalmente diventa bocca, e io inizio ad annaspare e la mia corsa, da vivace slancio di un trentacinquenne nel massimo del suo sviluppo fisico-morale (anche se cecilia mi ha spiegato che verso i cinquanta avrò uno scarico di melina e di ormoni di cui dovrò far

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Paolo Golumelli - Lisbona Massimo Barbot - New york

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tesoro perché poi c'è la decadenza senile, le pappette e i cateteri), dicevo, la mia corsa diventa il rantolare di uno che sta per avere una congestione sopra un acquedotto deserto, dove non c'è neanche un cane ed è questo il secondo problema, che a metà corsa mi giro e vedo che tobbia è sparito, fino a un momento prima era dietro di me e poi di colpo non c'è più, e io ansimando dico ma dove cazzo è andato e penso che si sia fermato per riposare ogni tanto lo fa e quindi torno indietro fin dove l'acquedotto incontra la strada e non lo trovo e mentre non lo trovo si alza un freddo gelido e io sono sudato marcio inizio ad avere male alla pancia, allora penso che tobbia avrà preso una delle stradine che incrociano l'acquedotto e mentre io ero tornato indietro a cercarlo lui sarà andato avanti e quindi riprendo l'acquedotto e torno dove l'avevo visto l'ultima volta e inizio a dire tobbia tobbia e mi rendo conto che adesso ho i brividi dal freddo e non riesco più a correre perché ho una specie di crampo allo stomaco se inizio a correre e dico tobbia tobbia e alla fine ho il flash che tobbia magari è stato così stronzo da tornare indietro fino a dove l'acquedotto incontra la strada e poi che abbia preso la strada e abbia avuto il suo momento epico di coraggio tipo lassie e sia tornato a casa, tobbia torna a casa sfidando auto ed elementi vari della natura tra cui il vento, tobbia è tornato a casa lasciandomi solo come un cretino a cercarlo per le stradine dell'acquedotto e a questo punto ho il secondo flash, cioé mi vedo tobbia che torna fino a casa nostra e si rende conto che è chiuso fuori di casa e inizia ad abbaiare per entrare e cecilia si alza dal letto, e vede tobbia solo senza il suo padrone e pensa nell'ordine 1- al venerandi mio compagno gli è venuto un infarto mentre faceva footing, 2- il venerandi mio compagno è finito nel gruppo di fascisti che scrivono gli inni al duce sulle panchine dell'acquedotto col pennarello nero e quelli gli hanno sfasciato la testa e gli hanno dato fuoco e adesso io resto sola con due figli a carico non siamo sposati legalmente non eredito manco la sua parte di mutuo, e così io -che sono dall'altra parte del'acquedotto- inizio a correre con lo stomaco e il cuore in gola, nella speranza di arrivare prima che cecilia disperata chiami vicini, polizia, ambulanze, alla ricerca del suo compagno si-

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curamente morente se non morto stecchito, e più corro più mi rendo conto che non riesco a correre sto fisicamente male, smetto di correre e inizio a camminare veloce e più cammino, ogni passo che faccio stremato dallo stress e dal male all'addome è come se dentro al mio corpo si caricasse una molla e quella molla è la carica del calcio che darò a tobbia quando lo incontrerò quel bastardo, ogni passo si carica la molla, mi immagino anche dietro ogni curva di incontrare tobbia che annusa qualcosa e allora mi immagino di urlare tobbia! con voce grossa, tobbia! e vederlo atterrire e iniziare a prenderlo a calci, fare scattare la molla che mi sta mordendo lo stomaco, sono sempre più vicino a casa mia e più mi avvicino più la molla si carica, e poi quando finalmente arrivo vedo che le finestre non sono illuminate, che non ci sono sirene o gente in divisa che mi cerca con le torce accese, e allora mi dico che tobbia non c'è, che si è perso davvero nelle stradine dell'acquedotto, penso anche che abbia incontrato un maniaco che uccide i cani che girano da soli come in infinite jest e che adesso tobbia giace a terra sgozzato da un pazzo maniaco e poi salgo le scalette che portano alla porta di casa mia e fuori c'è tobbia, zitto a cuccia con la testa a penzoloni come quando ha fatto una cosa molto molto grave (tipo sventrare un sacchetto di cemento a pronta presa e poi pisciare sul cemento finito sulle piastrelle) fa la faccia di chi ha fatto una cazzata talmente grande che -tornato a casa- non ha avuto il coraggio di abbaiare per entrare, si sentiva in colpa, e se ne è stato mezz'ora al buio ad aspettare la punizione e io mi sento la molla a mille, una molle bollente di rabbia e una parte di me dice beh magari potresti perdonarlo è solo un povero cane stronzo e l'altra parte dice riempi di botte questa cane bastardo che gli entri nella zucca che non deve più rifare una cazzata del genere e io mi sento come bush dopo l'undici settembre, ma è questione di un attimo.

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Marino Andreetta - Lisbona

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Martina Forato - Londra

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Gianna Bign첫 - New York

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Claudio Rocci - USA 2003

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Massimo Barbot - New York


Lucia Berlanda - New York


Marino Andreetta - New York 2001

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Roger Zanon

Roger Zanon

Franco Zulian - Condom

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Giovanni Casellato - Agosto 2004

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Si viaggia, si è viaggiato (e a volte si ri-viaggia) Alessandra T.

Sto guardando distrattamente un programma televisivo sul turismo. Parlano di Cuba che ho sul lungo elenco di luoghi che mi piacerebbe visitare, ma quasi mi sembra di esserci già stata, visto che le immagini sono le solite: le auto americane anni '50, le fabbriche di sigari, l'architettura sbiadita dal sole… Un po' dopo il programma si sposta sull'Italia e fanno vedere panoramiche dell'Etna. Presto attenzione perché ci sono andata qualche settembre fa. Fanno vedere esattamente quello che ho fatto io: la funicolare chiusa dopo una delle ultime eruzioni e la gente che sale sui pulmini bianchi che abbastanza velocemente portano i turisti in cima a quell'enorme espansione di rocce e sabbia grigie e nere. C'è anche lo stesso cielo triste che trovai io, con vento e fumo che non si capisce da dove esce, visto che non sempre proviene dal cratere. Appoggiandosi a terra si sentiva il calore delle pietre, alzandosi in piedi le raffiche di vento a 3.000 metri impedivano quasi di far foto. Però non mostrano quello che è successo dopo. Cioè io e l'autista del pullman che mi aveva portato lì da Catania che scopiamo al campo base. Non mi ricordo una grande attrazione, piuttosto noia. C'era troppo tempo da aspettare prima che il pullman ripartisse nel pomeriggio verso la città e non c'era niente da fare dopo che avevamo mangiato e camminato lì intorno. Nessuno era stato abbastanza intraprendente da aggiungere una sala giochi, un biliardo, una saletta cinema/TV con magari filmati di eruzioni precedenti o spettacolari o un compendio di altri vulcani del mondo. C'erano solo dei negozi di souvenir troppo brutti e tutti uguali. Scopare è un termine troppo forte, forse. Ci abbiamo provato, ma le rocce su cui poggiavamo erano troppo aguzze e ruvide, e a lui graffiavano le ginocchia, e a me l'osso sacro. E poi non era abituato alla situazione: farlo quasi in piedi, velocemente. E poi aveva anche la ragazza e forse ha pensato a lei, perché l'ardore delle parole iniziali si è spento. Finì a raccontarmi che era un amore contrastato dalla famiglia di lei che non lo considerava all'altezza perché lei studiava all'università e lui faceva l'autista. Pensai di aver sentito una trama come questa mille volte e solo Shakespeare era riuscito a trarne qualcosa di valore. Risalii sul pullman e mi misi a leggere fino alla partenza. Poi il programma si sposta al vulcano di Stromboli, molto più piccolo dell'Etna, ma più inquietante per l'assoluto dominio

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Angelo Corbetta

sull'isola che occupa. C'ero stata nell'80 con Marco. A Stromboli non c'erano minibus e per arrivare in cima impiegammo dal pomeriggio fino a notte inoltrata, quasi non vedendo la cima, ma avvertiti dall'odore inusuale e insopportabile dello zolfo. Arrivati lassù, grondanti di sudore, ci colpì il fatto che non ci fossero barriere: chiunque volesse fare una fine mozzafiato avrebbe potuto correre verso la bocca e gettarsi dentro. In televisione si vede tutto quello che non vidi allora, ma immaginai: colori intensi, fiamme e lava incandescente che si lancia verso il mare, illuminando il paese sottostante dove non c'era elettricità nelle strade. Volevamo quasi passare la notte sulla vetta, ma non era possibile senza permessi. Cominciammo a scendere correndo sulla cenere. Una corsa esilarante nel paesaggio lunare, come le scene d'apertura dell'Uomo Che Cadde Sulla Terra. A velocità sostenuta, impossibile fermarci, quasi sciando verso il mare tinta mercurio in lontananza. Sassi, pietre e ciotoli spiazzati dai nostri piedi volavano sopra la testa di chi ci correva davanti. Nessuno fu ferito, ma distrussi un paio di scarpe da ginnastica - letteralmente la suola si staccò, appena arrivati nelle sterpaglie altissime alla base del vulcano. Ansimanti e con i muscoli delle gambe che tremavano, guardammo gli orologi: la discesa era durata neanche un'ora per percorrere il dislivello da oltre 900 m. Non mi ricordo se Marco ed io scopammo quella notte. Forse sì, forse no. Era una delle prime vacanze insieme, ma forse eravamo troppo stanchi. Nella memoria rivedo la casa in cui abitammo per alcuni giorni, ma non la stanza. Ricordo solo che era al piano terra e a pochi metri dalla casa dove Ingrid Bergman e Rossellini vissero durante le riprese del film omonimo. Lì c'era una targa commemorativa e turisti che facevano foto. Un film memorabile: la mazzara dei tonni, allucinante anche in bianco e nero, la protagonista che non parla italiano e non capisce nulla della vita del marito in questa roccia in mezzo al mare. Ho una foto da qualche parte di Marco che legge Sotto il Vulcano di Malcolm Bradbury… appunto, sotto al vulcano. Chiaro che era intelligente da parte nostra: magari credevamo di essere i primi a portarci dietro quello splendido libro in vacanza a Stromboli, noi che sappiamo fare dell'ironia con la letteratura. Ecco, mi è scappato un verbo al presente. Non so perché, visto che Marco è morto ormai da quindici anni. Un banale incidente d'auto. Ci sono mille vulcani in Indonesia e Sumatra. Non so se il programma ne farà vedere alcuni, ma decido di andarci, prima o poi.


Mauro Antonello - Guia 1986

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Andrea Alessio - Venezia

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Stephane Grenet - Santa Monica L.A.

SOLITO come al solito guardo guardo lontano e non vedo. Strano, molto strano pi첫 lo cerco e meno lo trovo in fondo vedo solo luci, luci gialle e sento sento dei rumori sordi... peccato che loro non mi possano sentire. Stefano Sgarbossa

Gigi la Moquette - Tag

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Lucio Alberton - Venezia

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Devis Da Frè - USA

www.daffy.it

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Claudio Camerotto - USA

Paolo Golumelli - Lisbona

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Paola Milani otto ore a Venezia 06.07.2005

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Valter Fresch - Forte dei Marmi

Paolo Romanin - Monaco

Cesare Biasin - Rovigno

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Oblio - Bardolino 1992

Roberto Zaffalon - Miane TV

Roberto Zaffalon - Miane TV

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Simona Stroppiana - Piemonte

Paolo Romanin - Egitto

Flavio Bullo

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Franco Zulian - Spagna

Franco Zulian - Spagna

Alessandra e Marco Damiani - Austria

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Lorenzo Drapelli - Felix 1973

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VENENDO GIÙ PER VIA SIEPELUNGA Antonio Koch

Venendo giù per via Siepelunga ci sono molti insetti, una grande quantità di mosche moschini moscerini che si spiaccicano sul parabrezza, io però non ce l’ho, il parabrezza, e mi vengono tutti in faccia. Allora quando parto col motorino da Monte Donato e comincio a scendere giù e comincio a sentire il vento sulla faccia la prima cosa che mi viene in mente è che potevo anche lasciarcelo, il parabrezza sul motorino, d’altra parte era rotto, però stava su, se non volevo farlo riparare potevo anche lasciarlo su così, mezzo rotto, almeno era un parabrezza, non mi si spiaccicavano gli insetti sugli occhiali, non mi entravano i moscerini in bocca, invece l’ho fatto togliere, perché non mi piaceva l’idea di avere delle cose rotte nel motorino, tanto viene l’estate, ho pensato, farà caldo, invece non fa caldo, piove sempre e quando non piove c’è molto vento, e lassù a Monte Donato fa freddo la notte senza parabrezza, e scendendo verso Bologna mangio moscerini, mi entrano in bocca e nel naso, e io sputo guidando terrorizzato sputacchio i moscerini perché ho il terrore che poi succede come in quel film di Dario Argento, che il moscerino va nel cervello e fa le uova e poi mi nascono gli insetti dentro però non muoio, rimango vivo e mi escono gli insetti dalla bocca e dal naso e io poi impazzisco, io sono un tipo impressionabile, non li sopporto, gli insetti, penso a questo scendendo tutti i giorni verso Bologna dopo il lavoro, e poi penso che allora magari è meglio che rallento, che vado più piano, che è proprio così stupidamente che si fanno gli incidenti, ti entra un insetto in bocca e tu sputacchi terrorizzato dall’insetto distratto dallo schifo dell’insetto e non ti accorgi che invadi l’altra corsia per sbaglio per un attimo e proprio in quel momento viene un’altra macchina dall’altra parte e come niente sbam, è così che succedono gli incidenti bisogna stare attenti, avere coscienza, il fatto è che io via Siepelunga la conosco benissimo ormai, conosco tutte le sue curve, in una mi sono anche stampato contro il muro una volta ma non col motorino, con la macchina del babbo diversi anni fa, allora adesso so bene

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quando rallentare prima delle curve e a che velocità prenderle anche col motorino, che io non voglio farne più, di incidenti, sono una gran seccatura, ti rompi le gambe, le braccia, ti spezzi le ossa ma scherziamo, fa male rompersi le cose, e poi i danni al veicolo, il trauma da incidente che poi ogni volta che vai in macchina passi da un incrocio da una curva hai il ricordo dell’incidente e hai paura di fare un altro incidente, e i soldi che spendi per rifare la carrozzeria e il carro attrezzi e l’ospedale e il lavoro che va a puttane e tutti che ti chiedono ma dai, ma come hai fatto, ma era colpa tua, ma quanto hai speso per la macchina, come va, ti fa ancora male, quando togli il gesso, meglio stare attenti, meglio rallentare anche se si conosce la strada, allora rallento un po’ all’altezza della villa di Magli che ha asfaltato nuova via Siepelunga davanti a casa sua, da cento metri prima a cento metri dopo del suo cancello c’è asfalto nuovo di zecca, nero e liscio, bello, l’asfalto nero, nuovo, il catrame, e vedendo l’asfalto nuovo così nero e così liscio mi viene in mente Capri, Marina Piccola, c’era sempre del catrame tra i sassi e io camminavo a piedi nudi e la nonna mi diceva sempre di stare attento al catrame, che si attacca, non viene più via, è un casino, toglierlo, e io camminavo guardando i sassi divertito all’erta terrorizzato di trovare il catrame e quando vedevo un po’ di catrame era nero e puzzava di catrame, ci andavo vicino mi chinavo a guardare, ad annusare l’odore di catrame, ancora oggi mi piace l’odore del catrame, dell’asfalto nuovo bollente, sicché all’altezza della villa di Magli comincio a pensare ai miei nonni, a mia nonna e a mio nonno, a tutta una serie di cose molto lontane nel passato, cose nostalgiche, e accelero sul rettilineo prima del dosso pensando che se adesso per esempio viene l’autobus dall’altra parte sono fottuto, perché ho accelerato perché sto andando così veloce, speriamo che non arrivi l’autobus o, se arriva, speriamo che non ci sia l’autista pazzo, c’è uno degli autisti che fanno servizio tra Bologna e Monte Donato che viene su e giù a velocità folle, non suona il clacson prima delle curve cieche, la mattina presto si addormenta alla guida e deve parlare sempre per star sveglio, anche se non sale nessuno sull’autobus lui sta già parlando, parla solo, carica le filippine che lavorano nelle ville qua

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sui colli e impreca contro gli extracomunitari, gli zingari, non ha mai avuto un incidente, non è mai successo niente e anche stavolta non succede niente, meno male, supero il dosso e la strada è vuota, stretta e ombrosa, il rumore del mio motorino mi disturba e sono ormai quasi in città, sono ai piedi dei colli, arrivo al semaforo e giro a destra e ci sono case, una tranquilla strada residenziale dei quartieri alti, siepi, donne grasse e straniere alle fermate del bus, macchine di lusso, al semaforo passo col rosso però guardando bene, prima, rallentando, quindi svolto in via Marchetti che è tutta diritta in discesa simile a una strada di San Francisco, larga e con un punto piatto tra due discese, in quel punto piatto si incrocia con un’altra strada, e dall’inizio di via Marchetti si vede fino a via Murri e io do gas, accelero via Marchetti la faccio sempre così, in velocità, guardando la via Murri che devo raggiungere al più presto, ho la precedenza e quando passo dall’incrocio penso speriamo, speriamo che non ci sia un idiota che non rispetta la precedenza, sarei fottuto, un scemo che mi prende in pieno a questa velocità mi ucciderebbe, quando attraverso l’incrocio il cambio di pendenza fa sobbalzare un po’ lo scooter, faccio un piccolo salto sulla sella, e sfreccio giù, arrivo sulla via Murri in pochi istanti, freno, svolto a destra e passo col rosso in mezzo al traffico, lentamente. Quando guido in mezzo al traffico la gente mi insulta. Testa di cazzo, mi dicono. Ehi coglione, mi urlano dietro, perché commetto in effetti parecchie infrazioni, passo coi rossi, faccio sensi vietati, faccio le preferenziali, sfreccio pericolosamente attraverso gli incroci, rischiando di causare incidenti mortali, la gente mi mostra il medio, mi manda affanculo, le loro grida mi seguono nel vento. Svoltando in via degli Orti cerco di non farmi insultare da nessuno, guido piano, tengo la destra regolarmente, una volta in via Santo Stefano addirittura un tipo in scooter mi ha inseguito urlando, andavo molto forte e non avevo visto una ragazza sulle strisce, l’ho vista all’ultimo momento ed era proprio davanti a me, non facevo in tempo a fare un cazzo, non potevo più frenare andavo troppo forte, allora ho fatto un piccolo scarto e le sono proprio passato vicinissimo, ho sentito il suo corpo la sua maglietta sfiorarmi il gomito di me in motorino che

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Lorenzo Drapelli - Felix 1973

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passavo ai settanta all’ora, il cuore mi ha fatto un tuffo ho detto cazzo, cazzo ho pensato rallentando, merda, e ho sentito delle grida, un uomo che gridava e suonava sullo scooter dietro di me, di fianco a me, e mi sono fermato col cuore in tumulto in mezzo alla strada e accanto a me s’è fermato un uomo con gli occhiali da sole su uno scooter in maglietta bianca e bermuda beige col casco bianco e urlava, brutto coglione non l’hai vista la ragazza, eh? ancora un po’ e l’ammazzavi! coglione! non la vedi la ragazza sulle strisce? coglione! io non riuscivo a dire niente perché ero molto agitato, stavo lì fermo in mezzo alla strada e guardavo quell’uomo che mi insultava, mi sentivo in effetti in colpa perché guidavo come un idiota, quell’uomo gridava incombeva su di me dal suo scooter urlava in mezzo alla strada sembrava che volesse aggredirmi, mi faceva paura, era grosso, con dei segni in faccia. Io non ho detto niente, si è zittito anche lui, mi ha guardato un’ultima volta e poi è sfrecciato via con lo scooter, è partito senza guardare, senza mettere la freccia, e passava il 13 che ha rischiato di investirlo e ha strombazzato, l’autista, gridando insulti, diventiamo aggressivi perché non ci perdoniamo le cose, siamo tutti così distratti, riflettevo, e aspettavo il cuore che rallentava.

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Andrea Pancino - New York

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Alessia Renai - Bambini

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Michele Piovesan - Parigi

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Carlo Buffa

Siamo al Selvatico di Padova nel 1970, nel corridoio ai piedi di una scala, si giocava con le lettere. Il tema era del professor Bigolin e la lettera era la "C", la mia. Meglio che in vacanza. Per me lo è stato.

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Michele Bernardinatti


È LUI Giulio Mozzi

"Buonasera", dico. "Mi serve un biglietto da Roma a Ferrara, su questo treno" e porgo attraverso la fessura il mio biglietto da Roma a Padova, "e per un posto possibilmente vicino al mio. Con fattura". La signora prende il mio biglietto, lo guarda. "Questo è un biglietto da Roma a Padova", dice. "Sì", dico. "Allora lei vuole un biglietto da Roma a Padova?", dice la signora. "No", dico. "Voglio un biglietto da Roma a Ferrara. Su quel treno, e possibilmente con un posto vicino al mio". "Non capisco", dice la signora. "Che cosa non capisce?", dico. "Che biglietto vuole", dice la signora. "Voglio un biglietto da Roma a Ferrara", dico, "per una persona che prenderà quel treno lì e scenderà a Ferrara, e con la quale mi piacerebbe viaggiare insieme". "Ma il suo è un biglietto per Padova", dice la signora. "E allora?", dico. "Ma la persona che viaggia con lei", dice la signora, "scende a Padova o a Ferrara?". "A Ferrara", dico. "Ah", dice la signora. "Bastava dirlo. E che treno prende?". "Lo stesso che prendo io", dico. "Però lei scende a Padova", dice la signora. "Sì", dico. "Ma vuole il posto vicino?", dice la signora. "Sì", dico, "se possibile, vorrei viaggiare in compagnia di questa persona". "Quindi le devo cambiare il biglietto", dice la signora. "Perché?", dico. "Perché questo è un biglietto per Padova", dice la signora, mostrandomi il biglietto attraverso il vetro. "Lo so", dico. "Io infatti, quel giorno, devo rientrare a Padova".

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La signora tira un sospiro. "Ma lei vuole un biglietto per Padova o per Ferrara?", dice. "Io mio biglietto ce l'ho già", dico. "E' quello che le ho dato. Ne voglio un altro, per Ferrara, sullo stesso treno, possibilmente per un posto vicino al mio". La signora mi guarda. "Ma lei dove scende?", dice. "A Padova", dico. "E l'altra persona?", dice la signora. "A Ferrara", dico. "Cioè non viaggiate insieme?", dice la signora. "Viaggiamo insieme fino a Ferrara", dico, "poi l'altra persona scende, e io proseguo fino a Padova". "Ah, adesso capisco", dice la signora. "Bastava dirlo". "Che cosa dovevo dire?", dico. "Che non scendete nella stessa stazione", dice la signora. "Ma scusi", dico, "le ho pur chiesto un biglietto per Ferrara, no?". La signora diventa tutta rossa. Spero che il vetro sia robusto, penso. "Sì", dice scandendo le parole, con voce che cerca di non alterarsi, "ma questo biglietto che mi ha dato lei, è per Padova. Lo vuol capire?". "Certo che lo capisco", dico. "L'ho appena fatto alla macchina automatica". "E perché non ha fatto anche l'altro?", dice la signora. "Perché per quello da Roma a Ferrara mi serve la fattura", dico. "Ah", dice la signora. "Le serve anche la fattura". "Sì", dico. "E ce li ha i dati?", dice la signora. "Certo", dico, e infilo il foglietto nella fessura. La signora guarda il foglietto. "Questo è lei?", dice. "No", dico, "la fattura non va intestata a me. Quelli sono i dati della persona a cui va intestata la fattura". "Ah", dice la signora. "Almeno questo è chiaro".

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La signora procede. Fa il biglietto. Mi dice quant'è. Infilo nella fessura il bancomat. "Solo in contanti", dice la signora. "Qui c'è scritto", dico, "Sportello abilitato al pagamento con carta di credito e bancomat". "Sì", dice la signora, "ma sono due ore che la connessione non funziona". "Ho capito", dico. "Allora devo fare un bancomat". "Non ce li ha i soldi?", dice la signora. "No", dico, "i contanti non ce li ho. Vado a fare un bancomat e glieli porto". "Ma io ho già fatto la fattura", dice la signora. "Ho capito", dico. "Vado lì fuori", e indico l'ala sinistra della stazione dove so che c'è un bancomat, "prelevo quanto basta, e vengo a pagare". "Adesso mi tocca annullare la fattura", dice la signora. "No", dico. "Non annulli niente. Mi dia cinque minuti che vado, prelevo e torno". "E se non torna?", dice la signora. "Torno, torno", dico. "I biglietti mi servono". "Mi dispiace", dice la signora, "ma io devo annullare tutto. Perché se faccio un'altra operazione, poi non posso più annullare". "Senta", dico. "Non serve che lei annulli. Deve solo darmi cinque minuti". "Non mi complichi l'esistenza", dice la signora. "Non le complico niente", dico. "Piuttosto", aggiungo, "faccia un avviso e lo attacchi al vetro: in modo che si veda, che la connessione non vi funziona. Così uno si regola e si procura i soldi". "Non è mica colpa mia se non c'è la connessione", dice la signora. "Ma, senta", dico, "faccia come vuole: io vado a prelevare i soldi. Mi dia indietro il bancomat". La signora mi ripassa il foglietto e il bancomat. Attraverso l'atrio. Esco sotto il colonnato. Vado al bancomat. Prelevo quanto basta. Mentre aspetto che la macchina sputi i miei soldi, mi viene in mente che mi sono fatto restituire il bancomat, ma il mio biglietto

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Fabio Baggio - Cittadella 1984


(quello da Roma a Padova) ce l'ha ancora la signora. Torno allo sportello. C'è gente in coda. Mi avvicino. "Ho qui i soldi", dico. "Deve rifare la coda", dice la signora. Rifaccio la coda. Una cosa breve, bastano dieci minuti. Arriva il mio turno. "Il mio biglietto ce l'ha ancora lei", dico. "L'ho annullato", dice la signora. "No", dico, "il mio biglietto da Roma a Padova". "Non lo voleva da Roma a Ferrara?", dice la signora. "Sì", dico. "Volevo un biglietto da Roma a Ferrara con un posto vicino al mio, che ho già il biglietto da Roma a Padova. Le avevo dato il biglietto da Roma a Padova perché potesse prenotarmi un posto vicino al mio". La signora si concentra. "Non le ho ridato il suo biglietto?", dice. "No", dico. "Mi sono dimenticato di chiederglielo". "Allora l'ho annullato", dice. "E' sicura?", dico. "Adesso guardo", dice la signora. Controlla. "Sì", dice, "li ho annullati tutti e due". "Bene", dico. "Allora bisogna che me li rifaccia tutti e due. Uno da Roma a Padova, uno da Roma a Ferrara, sullo stesso treno, in posti vicini, con fattura". La signora fa i due biglietti. "Quant'è?", dico. La signora mi dice una somma che è la somma del costo dei due biglietti. "No, scusi", dico. "Io il mio biglietto l'ho già pagato". "No", dice la signora. "Non me l'ha pagato". "L'avevo già fatto alla macchina automatica", dico. "Comunque sia l'ho annullato", dice la signora. "E i miei soldi?", dico. "Come i suoi soldi", dice la signora.

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"Se lei mi ha annullato il biglietto", dico, "dovrà anche ridarmi i soldi". "Ma lei l'ha fatto alla macchina automatica, no?", dice la signora. "Sì", dico. "Le macchine automatiche sono fuori dalla nostra competenza", dice la signora. "E allora?", dico. "E allora deve farsi ridare i soldi dal responsabile delle macchine automatiche", dice la signora. "Sì", dico, "ma dovrò pur avere un documento che attesta che il biglietto è stato annullato". "Guardi qua", dice la signora. Mi fa vedere attraverso il vetro il mio ex biglietto. C'è sopra scritto annullato, con la firma (immagino) della signora, e un timbro datario. "Questo è il documento che attesta che il suo biglietto è stato annullato", dice la signora. "Bene", dico, "posso averlo?". "No", dice la signora. "Questo serve a me". "E io come faccio?", dico. "Lei va dal responsabile delle macchine automatiche e poi viene qui allo sportello con lui", dice la signora. "E dove trovo il responsabile?", dico. "Domani mattina", dice la signora, "A partire dalle otto". "Cioè devo tornare domani per il rimborso?", dico. "Eh sì", dice la signora. "Ma senta", dico, "lei perché ha annullato il mio biglietto?". "Lei non aveva i soldi per pagare", dice la signora. "Ma quel biglietto lì lo avevo già pagato", dico. La signora rimane interdetta. "Lo capisce", insisto, "che lo avevo già pagato?". "E' vero", dice la signora. "Oh là", dico. "Quindi lei non doveva annullarmelo". "Ma lei lo ha lasciato qui", dice la signora. "Sono andato fino al bancomat a prendere i soldi per l'altro", dico.

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"E io non sapevo se lei sarebbe tornato o no", dice la signora. Ci guardiamo. "Senta", dice la signora, "facciamo così. Io adesso le faccio la fotocopia di questo biglietto annullato e le scrivo sotto che glielo rimborsino se lei si presenta entro una settimana. Lei ripassa di qui entro una settimana?". "Sì", dico. "Ecco", dice la signora. "Allora facciamo così. Adesso lei mi paga i due biglietti, e poi si fa rimborsare quello. Va bene?". Non va per niente bene, penso. "Va bene", dico. "Però c'è un problema". "E che problema c'è, adesso?", dice la signora. "Che per pagare entrambi i biglietti", dico, "devo tornare al bancomat a prendere altri soldi". "Cioè non ha i soldi per pagare?", dice la signora. "Non ho i soldi per pagare tutti e due i biglietti", dico. "Perché mai più immaginavo che lei mi annullasse il biglietto già pagato". "Le avevo detto che dovevo annullarlo", dice la signora. "Comunque sia", dico, "adesso devo andare a prendere i soldi". "E a me tocca annullare il biglietto di nuovo", dice la signora. "Ma torno subito!", grido. "Non lo deve annullare! Deve solo aspettare che faccio il bancomat". "Lei non può pretendere di fare i biglietti se non ha i soldi!", grida a sua volta la signora. "Io i soldi ce li ho!", grido. "E' lei che mi ha annullato un biglietto senza nessuna ragione!". La signora si alza senza rispondere. Sparisce per tre minuti. Ritorna allo sportello. "Prego", dice, guardando sopra la mia testa. "Come, prego?", dico. "Prego", dice di nuovo la signora, facendo segni alla persona dietro di me nella coda. In quel momento arrivano due agenti della Polfer. "È lui", dice la signora indicandomi attraverso il vetro.

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Maurizio Battistella - Niger

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PRONTO, SIETE QUELLI DEL SENEGAL? Valentina Colosimo

Esistono persone che vivono per chiamare tutti i numeri che compaiono su riviste e locandine, pronte a infliggervi le storie delle loro vite. Me li immagino pigiare sui tasti del telefono freneticamente, indovino la loro soddisfazione silenziosa quando il numero risulta libero e l'intimo compiacimento quando finalmente dall'altro capo lo sventurato risponde. - Pronto, siete quelli del Senegal? - No, quelli del Senegal si chiamano senegalesi e in realtà il concetto di popolo è molto fragile da quelle parti, visto che tra appartenenti di diverse etnie si odiano. Per esempio i polar non vanno d'accordo con i serer, lo sapeva? - Del viaggio? - Sì. - Ma di dove siete perché qui c'è solo un numero di cellulare? (tono seccato) - Di Milano, la partenza è da Milano Malpensa. - Ah, da Malpensa? (tono seccatissimo) Ma io sono di Firenze… con tutto il traffico che c'è da Monza… - Son problemi. - Volevo qualche informazione sul viaggio. - Guardi, noi siamo un'associazione, si parte il 27, è un gruppo di dieci persone, si farà un tour… - No, ecco, mi spieghi bene perché sono interessata. - Sì, dicevo, il tour comprende anche… - Sì, ma dov'è che posso avere qualche materiale informativo? - Se mi dà il suo indirizzo mail le spedisco il programma altrimenti può andare sul sito. - Oh, uffa, sempre internet, io non sono capace di andare su internet. - Va bene, facciamo così: glieli porto a casa io, mi dica quando è più comoda. - No, perché anch'io ho fatto volontariato in Africa…

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Dall'astuccio estraggo il temperino, smonto la lametta, tiro su le maniche e mi osservo le vene disegnate sui polsi bianchi. - …sono stata tante volte in Africa…. Allontano il telefono. Avvicino la lametta al polso sinistro. - …missioni… tanta povertà… Una passeggera in piedi accanto a me intercetta il movimento della mia mano e mi blocca. - Ma che attività fate là? - Tante cose, per esempio una campagna… - Insomma, come posso fare a mettermi in contatto con il gruppo di Roma? - Adesso non ho il numero dietro, sono sull'autobus, ma più tardi le mando un sms con il numero della responsabile. - Uffa, sempre questi sms, ma io non so leggerli gli sms, non avete un telefono fisso? - Senta, questa non è un'agenzia di viaggi, è un'associazione, io sono una volontaria e ora sono sull'autobus e sto andando al lavoro. - Ah, non è un'agenzia? - Le dico di più. Sono contenta che per arrivare a Malpensa ci sia tanto traffico, sono felice che lei non faccia il viaggio e anche se lo volesse fare io le direi che siamo già pieni, a persone come lei dovrebbero togliere i diritti civili. - Allora la richiamo domani così mi dà il numero di quelli di Roma?

Marco Beretta

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Maurizio Battistella - Niger Carlomaria Corradin - Lampedusa

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Roberta Tosolini - Cina luglio 2005

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Roberta Tosolini - Cina luglio 2005

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Delhi cittĂ babilonica di sudore e bazaar, che nella notte gli stracci dormono sulla strada, con pelli sudate. E gli animali della notte, danzano attorno al loro sonno. Stefano Lazzari India estate 1982

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Carlo Antiga LADAKH, India del Nord. Un Invito a pranzo.

A volte in vacanza mi pago le spese extra con dei piccoli lavoretti ...quello che capita, capita... LAVORO OFFRESI A AMBOSESSI AUTOMUNITI OTTIMA RETRIBUZIONE NECESSARIA MINIMA CONOSCENZA CAMPO MUSICALE. Annuncio su Kathmandu Today. Ho provato! Ciao Titi

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Bruna Bortolin - Patagonia

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“Andare in ferie è sempre più caro, per risparmiare ogni tanto vado a mangiare dai frati” titi Silvio “titi” Antiga - Tibet

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Massimo Drapelli - Egitto

Cristina Romanello - Egitto

Lucio Alberton - Egitto

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EST EST EST Andare in bicicletta da Castelfranco Veneto a Trieste, utilizzando le strade "basse", cioè quelle secondarie, si è rivelata un'esperienza sorprendente da parecchi punti di vista. Immergersi in quelle ignorate, verdi, segrete pieghe del nostro territorio ci ha in parte consolato. Non tutto è andato distrutto, non tutto è stato deturpato, in onore del dio "scheo". Il traffico è del tutto inesistente, eccezion fatta per il transito sui ponti del Piave e del Tagliamento. S'incontra una vitalità economica ed una capacità di rinnovamento tecnologico da primi della classe, coniugata con una lodevole attenzione alle radici storiche, culturali ed alla conservazione paesaggistica. Evitando le principali direttrici dello sviluppo, siamo riusciti ad attraversare le province di Treviso, Pordenone, Udine, Gorizia e Trieste, nei primi giorni di agosto, senza aspirare i gas di scarico di nessuna colonna di auto e camion fermi. I capannoni, i tralicci, i raccordi autostradali, basiliche, obelischi, totem delle zone industriali, li abbiamo sempre scorti da lontano. L'idea e l'organizzazione del giro ciclistico mittleuropeo è stata di Flavio Bisson, consulente aziendale e scrittore. Ad accompagnarlo ha chiamato Ciano Xera, da Fontaniva, Dina e Gianni da Cittadella. Amici di vecchia data, esperti cicloturisti, ben allenati. Il percorso complessivo è stato di circa 325 Km., percorsi in tre giorni dal 6 al 8 agosto 2002. Si è partiti la mattina di martedì 6 alle 8.30 dall'abitazione di Flavio. Il cielo aveva il muso lungo. La portiera dello stabile ci salutò con un incoraggiante : "A Trieste in bici ! Ma sio mati ! ". Prendemmo le vie "basse", previste dal piano di Flavio, ed in breve raggiungemmo Fanzolo, via San Floriano. Incrociavamo le statali, ma sempre c'erano dei sottopassi, dei passaggi alternativi. Foto dinnanzi a Villa Emo Capodili-

sta, e quindi una veloce corsa fino a Barcon di Vedelago. Prima sosta per visitare la barchessa di Villa Pola, del Massari. E prima felice sorpresa. Il restauro conservativo della barchessa concluso. Una costruzione imponente. Splendida. Ospiterà la più moderna birreria d'Europa. C'è una delegazione di birrari tedeschi in visita. L'apertura è prevista per il prossimo settembre. I posti a sedere sono 2500, con la capacità di 500 pasti/ora. Sono in costruzione piste da ballo ed un sala cinematografica. Tutti gli impianti tecnologici sono interrati e messi in sicurezza. Oltre 26 Km. di cavi sono dedicati agli impianti d'allarme. Un esempio di conservazione storica e culturale, con utilizzo economico ad alta tecnologia. Probabilmente il nuovo Veneto. Ripartiamo in direzione Montello. Il tempo, già imbronciato, diventa ancora più scuro. Le prime gocce ci bagnano mentre Flavio ci stà mostrando i resti dell'abazia di Sant' Eustachio, a Nervesa della Battaglia, dove monsignor Giovanni della Casa scrisse il Galateo. Diluvia durante il passaggio del ponte sul Piave. Fende le acque Ciano Xera da Fontaniva. Avvolto nel suo poncho marrocino sembra l'abate Faria in fuga dal Chateau d'If. Segue, leggera, grintosa, Dina dalla svolazzante mantellina arancione. Rosse quelle di Flavio e Gianni. La pioggia non dà tregua fino ad Oderzo. Arrivati in piazza smette. Ormai sono le due. I bancari rientrano al lavoro. Mangiamo mandorle, uvetta e pistacchi, miscela preparata da Dina. Beviamo qualcosa di caldo. L'aria non è fredda ed il sole riscalda. Quando arriviamo a Passiano di Pordenone siamo asciutti. Abbiamo percorso più di cento Km. Ci troviamo nel cuore dolce del basso Friuli. Le strade scelte corrono sopra gli argini di fiumi e torrenti. La campagna s'estende in ogni direzione mostrando sapienti, millenari, lavori di regolazione delle acque. All'agritu-

rismo Lazzarotto ci accolgono aprendo una bottiglia del loro Chardonnay. La vecchia stalla è stata trasformata in una foresteria dall'ampio portico, con molto buon gusto e rispetto delle proporzioni antiche. Ci danno le camere. I Lazzarotto sono originari di Bassano del Grappa. Le due sorelle, Glorianna ed Annalisa, gestiscono l'ospitalità con molta gentilezza e cortesia. Annalisa è incinta ed incanta per l'armonia e la bellezza del suo muoversi, effonde una luce che solo le donne in quello stato irradiano. Dopo cena offrono vino e grappa, sempre di loro produzione, ed il portico si anima. Oltre a noi ci sono una coppia di anziani italo canadesi. Sono originari del Vajont. La moglie ha sofferto gravi lutti durante la tragica notte del distacco del monte Toch. Parlano con un forte accento nord-americano. Ma quando lei dice : "Cò torno là, in Erto, el core me se struca, resto sensa fià" sembra non essersi mai mossa dalle sue valli. Sono entrambi al secondo matrimonio, essendo rimasti vedovi. Si sono conosciuti ad Acapulco, dov'erano in vacanza. In loro onore Flavio canta Yesterday. Un successo. Da giovane suonava in una band. Cantare è contagioso. Dai successi dei Beatles si passa alle nostre canzoni degli anni '60, per finire con cante di montagna e popolari. Partecipano anche le due sorelle con il marito ed il fidanzato, che suona il pianoforte. Edoardo Lazzarotto, il patriarca della famiglia, offre una bottiglia di dolce verduzzo friulano, per chiudere la divertente serata. Alla colazione del mattino ci servono : Fette di pane abbrusolito, burro, marmellata di mele cotogne, melone, appena colto dal campo, latte, caffè, biscotti zaleti ed un dolce al limone, tutto di loro produzione, escluso il caffè. Glorianna ci accompagna fin sulla strada per darci le indicazioni sulle strade basse di quella zona. Avanziamo nella lavorata campagna. Riuscendo a sfiorare i centri maggiori come San Vito al Tagliamento e Casarsa della Delizia. Passiamo per Azzanello, Bannia, Fiume veneto, alternando anche pezzi di sterrato. Uno dura circa mezzora. In mezzo ad un pioppeto che non mostra la fine in qualsiasi direzione si guardi.


nella, strudel. Cabernet e vino Sbuchiamo in una strada che si bianco del Collio, infine una seapre verso un vecchio mulino ririe di grappe fruttate della zona. strutturato. Circondato da vivi Tutto squisito. Al mattino secorsi d'acqua, collegato con un guente i Winkler ci fanno passare ponte a tre arcate di pietra, orper un viottolo sterrato di qualnato di rossi fiori di vetro. Scoche centinaio di metri che finisce priamo così, per caso, "L'ultimo con un sottopasso ferroviario. Mulino" un ristorante a quattro Vogliono farci prendere la strada stelle. Tre ordini di ruote, ancora che costeggia l'Isonzo, quella mefunzionanti, si trovano dal lato no frequentata, stretta, usata sodel giardino, dove ci sono tendolo dal traffico locale. Passiamo ni per i ricevimenti all'aperto. un paio di graziose frazioni e poi Un altro restauro da ammirare. troviamo un ponte ciclabile e peUn manufatto del 1600, corredadonale che passa l'Isonzo. Sull'alto di attrezzi e strumenti d'epotra sponda la strada è sempre ca. Ci offrono da bere. Lasciano tranquilla ed arriviamo in centro fare delle foto. Attraversiamo il a Gorizia senza aver trovato un lungo ponte sul Tagliamento vesolo semaforo. Saliamo al castellocemente per poi deviare subito lo. Possiamo vedere da dove siaverso l'interno del territorio di mo arrivati ed i Codroipo. E' tutto contrafforti del un susseguirsi di Il mezzo fà il viaggio. Se si vogliono Carso che ci atpaesi distesi nella ritrovare pezzi di triveneto vivibili tendono. Sul lato medesima manieoccorre inforcare una buona bici ed est osserviamo la ra : lungo due andare in cerca di strade basse. Ad ogni parte slovena delsvolte ad esse delchilometro c'è qualcosa da vedere. la città. Il centro la strada. BertioUn albero secolare, una cappella, una storico di Gorizia lo, Talmassons, villa, una casa colonica. Importante è ben conservato. Castion di Straavere dei pezzi di ricambio e saperli Quasi su ogni abida, e le loro frausare. La lunghezza delle tappe deve tazione ci sono zioni. I nomi venessere calcolata in base targhe che ne ingono scritti anall'allenamento che si ha. L'agriturismo dicano la data di che in friulano. In Lazzarotto di Pasiano di Pordenone e la costruzione ed i ogni contrada si trattoria Winkler di San Lorenzo proprietari, più o possono risconIsontino sono due punti di riferimento meno illustri. trare testimoche i cicloturisti farebbero bene ad Proseguiamo senianze storiche annotare. Sono da est, est, est. guendo le indicadella Serenissima zioni dei Winkler. o del periodo auAppena usciti da Gorizia prenstrungarico. A Passariano attradiamo per Sant' Andrat e cominversiamo villa Manin, un po' in ciamo ad arrampicarci sul monte decadenza, ma imponente, bellisSan Michele. "Xe 'na strada dura sima. Il sole comincia a farsi senma val la pena de 'ndar de là - ci tire. Durante il mattino era semavevano raccomandato i Winkler pre stato velato dalle nubi, e spi- tuta in ombra, e in cima xe vede rava un venticello continuo e rituto el Carso. Xe cocolo". In cima storatore. Beviamo molta acqua arrivò per prima Dina. Il monte e mangiamo la miscela della DiSan Michele è tutto un monuna. La sosta più lunga la riserviamento della prima guerra monmo per Palmanova. Le mura sono diale. Ci sono cippi, statue, fusti completamente ricoperte di verdi cannone, cappelle votive e rizura, illeggibili. Il centro, a cermembranti di ogni tipo d'arma. chi concentrici, è frequentato da Da lì inizia la lunga discesa verso altri ciclotuirsti. Mangiamo una Trieste. Una discesa fatta di molcoppa di gelato. Schiviamo Goti falsi piani ed alcune ripide rinars e facciamo un'incursione a salite. Compensate dai paesaggi Medea. Un piccolo paese incastoche s'incontrano. Ogni svolta è nato alle prime pendici del Coluna sorpresa. Qui un vigneto, sulio. Vigneti carichi di uva bianca bito dopo dure, grige, spigolose, si arrampicano sulle impervie sterili rocce. Indi una piana colpendici. Stanchi arriviamo alla tivata a mais e girato il tornante Trattoria Winkler, a San Lorenzo una forra profonda ricoperta di Isontino. Abbiamo percorso più macchia mediterranea. Poi aldi 125 Km. I gestori sono due siml'improvviso un campanile, una patici cognati, già nonni. Ci prechiesa, una piazzetta, quattro caparano una cena con piatti della se. Ci siamo fermati ad una fracucina tipica. Rotolo di pasta di zione di Doberdò del Lago. Al Bar gnocchi ripieno di spinaci, gnocPieric dove abbiamo bevuto ledechetti in sugo di cinghiale, filetto ni ciai, the freddo. Ci fermiamo a di cinghiale con piselli, peperoSan Giovanni al Timavo. Proprio nata, insalatina con fagioli e cidove questo fiume carsico ripolla. Per dessert gnocchi ripieni spunta ribollendo. In una zona di susine con burro fuso e can-

fresca, con una chiesa che solo guardandola ci racconta la sua lunga storia. Sui prati altri reperti ci parlano della vita greca e latina. La sosta più lunga la facciamo a Duino. Una nuotata ristoratrice ci voleva. Ville asburgiche e moderne, alberghi con un firmamento di stelle, il massiccio molo, invece, è frequentato da bagnanti che arrivano con il bus, il traghetto, o in bici. Verso le 17 risaliamo alla litoranea e riprendiamo a scendere. Il golfo di Trieste si fa ammirare senza reticenze. Ci fermiamo un paio di volte sui belvedere. Il Carso a picco da un lato, un mare blu, solcato da ogni tipo d'imbarcazione dall'altro. Tutto cambia appena si giunge sul piano. Un'accozzaglia di auto, bus, moto, corpi, porfido, clacson, oli abbronzanti, idrocarburi combusti, cespugli sull'orlo di una crisi di nervi, lungo tutto lo stretto litorale. Siamo in città. Fortunatamente quando finisce il, chiamiamolo così, lido, il caos svanisce. Ci sono anche delle piste ciclabili. Arriviamo in piazza Goldoni, al nostro Bed & Breakfast. Lo gestisce un'intelligente odontoiatra ungherese, italiana da 22 anni. La sera giriamo a piedi per Trieste. Una delle capitali mittleuropee. Piena di luci. Di nuove zone pedonali. Coccolissime. Di piazze e palazzi austeri. Con chiese cattoliche, luterane, evangeliche, ortodosse. La sinagoga. Una forte comunità cinese. Trieste porta d'oriente. Spalancata. Il nostro viaggio è finito. Il giorno dopo piove. A scrosci. Non c'è la bora, nè il borino. Facciamo i percorsi di Umberto Saba ed Italo Svevo. Visitiamo San Giusto, castello e chiesa romanica. Festeggiamo con un pranzo di pesce la buona riuscita del nostro giro ciclistico mittleuropeo. Torniamo in treno. Partenza intorno alle 18. Alle 17 ci congediamo dalla signora Zeidi Maria Edit Dobrinka, titolare del B&B. Non piove più. Zigzagando per le isole pedonali scendiamo alla stazione con le nostre bici. Sull'ultima piazzetta c'è una bella "mula" che suona la fisarmonica. La pioggia le ha rovinato l'incasso. Appena ci vede esce dal portico. L'empatia è più diffusa del colpo di fulmine. Si siede su una panca e riprende a suonare. Con passione. L'ascoltiamo con eguale trasporto. Trieste, città del mondo, ci saluta con musiche che s'ascoltano negli spettacoli di Momi Ovadia e Goran Bregovic. GIANNI MARCHIORELLO


Paolo Simonetto - Padova 2005

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LAPIN EN BLUE Barbara Delfino

Cercando le chiavi di casa nella borsa, la coda dell'occhio le si fermò un attimo prima dell'angolo cieco della visuale e fu così che lei vide il primo coniglio nel vaso di lavanda esposto fuori dal negozio di fiori che mangiava beato e felice. Credette di aver avuto un'allucinazione da sovrasforzo della retina, tornò a bestemmiare per prendere le chiavi che continuavano a scappare prima nel taschino-metto-qui-le-cose-che-mi-servono-subito, poi sotto la trousse del trucco con dentro un preservativo scaduto da almeno tre anni, un tampax con la carta ormai massacrata, ma non aveva cuore di buttarli: erano così simboli del maschile e del femminile tardo anni novanta, ormai avevano fatto amicizia, era certa volessero andare a vedere un film la settimana passata. Tampy voleva vedere un film sentimentale, un polpettone con Gere che faceva il ginecologo, Dury un film di guerra sparatutto con un tizio pieno di steroidi che uccideva con un paio di bacchette del ristorante giapponese tutta una famiglia yazuka e poi l'imperatore del sol levante gli offriva in ringraziamento la propria figlia come sposa, ma lui rifiutava con delicatezza - non si sa mai che si offendano 'sti nani gialli - ma accettava volentieri l'ultimo modello di home theatre della Sony. Sia come sia Tampy voleva fare gridolini all'apparire della zazzera brizzolata, Dury voleva sparare con tre uzi per braccio, ma la questione si era risolta con la chiusura della zip della borsa ed erano ancora offesi, uniti contro il nemico che li aveva chiusi nel bunker di pelle di tapiro della borsa Borbonese. Girò la faccia: vide la fioraia che tentava di scacciare il coniglio dal vaso di lavanda e un secondo che stava seduto in mezzo all'aiuola spartitraffico come un vigile alle prime armi. Tornò alla sua borsa e si fermò un attimo ad osservare un biglietto del treno, Milano Roma a/r, seconda classe, carrozza otto, posto ventuno e risucchiò la voce della hostess che ripeteva l'annuncio di benvenuto in inglese.

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Uelcom tu auar castomer, trenitalia is praud give you the restaurant is in the mezz of de tren. Cose del genere. Riannusò il delicato profumo di gelsomino che tentava di offuscare ascelle e piedi e aliti e panini che spuntavano verso mezzogiorno. Non annunciarono che si sarebbero fermati all'altezza di Prato perché un tizio aveva deciso di buttarsi sotto il treno con la macchina, la cosa gli sarebbe anche riuscita se non che lui aveva una Porche Cayenne Turbo S e il treno era una trattrice Badoni che viaggiava a due chilometri orari. Avevano ricoverato il macchinista per trauma toracico: stava spedendo sms porno all'amante e l'impatto gli aveva fatto infilare l'antenna del telefonino nella ghiandola che si trova nel trait d'union dello sterno, mentre il mancato suicida era sceso dall'auto urlando al mondo di andare a farsi fottere. Si ricordò che per ingannare l'attesa era scesa dal treno e si era messa a cercare cicoria e aveva trovato il tizio sconsolatissimo seduto in mezzo all'erba che masticava denti di leone. Le chiavi. Eccole. No. E' la bustina dello spazzolino/dentifricio da viaggio. Un terzo coniglio apparve magicamente, oppure era sempre stato lì: era ai piedi del semaforo e fissava sorridendo il cambiare delle luci. Lo raggiunse rinunciando a cercare le chiavi: non aveva nessuno ad attenderla in casa, non sarebbe stato l'attraversare una strada per andare a vedere da vicino un coniglio seduto di fronte ad un semaforo che le avrebbe cambiato la vita. Arrivò assieme agli altri due conigli e tutti e quattro fissarono il semaforo: uno degli animaletti si mise a mangiare l'erba ad una velocità imbarazzante e lei si accorse che apparivano delle lettere in mezzo all'aiuola, il piccolino stava scrivendole un messaggio. Pus.

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“Pus?”, si chiese lei a voce alta. Il coniglio più grosso le disse scocciato: “Lo scusi, è una bestia con le lingue straniere, intende dire push, premi, questi giovani d'oggi, vogliono fare gli esterofili, ma ai miei tempi queste cose non erano permesse, tutto in italiano perfetto e mi creda, i treni arrivavano in orario e il mio bisnonno morì per infarto dalla gioia un giorno che scese dal tram in piazza del Duomo a Milano e si ritrovò un intero campo di mais”. Il terzo coniglietto, quello che era arrivato per primo al semaforo, battè con impazienza una zampa posteriore e le indicò col nasino rosa il bottone di chiamata pedonale: lei lo premette e il semaforo iniziò a mostrare solo colori blu ad intermittenza.

Monica Dengo - San Francisco

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UNA SETTIMANA IN PILLOLE Claudia Contarini

La cosa migliore di Formentera era il prosciutto crudo. A Formentera non c'è la luna. In compenso ci sono stellate impressionanti e anche qualche stella cadente. Anche perché non c'è un lampione che sia uno. Però ci sono tramonti che affondano nel mare spandendo luce rosa sulla sabbia. Oppure a volte affondano tra le nuvole, dietro un rilievo, addirittura alle spalle di un panfilo. Sono tutti molto alcolici e tu hai addirittura una maglietta per testimoniarlo. A Formentera il mare è pulito e trasparente ed è di tutte le sfumature del blu e dell'azzurro. In alcune spiagge, addirittura, pare bianco, come quello di certe isole dei mari del Sud. Il Mediterraneo è un mare del Sud? Formentera è piena di verde e le manca l'asfalto quasi dappertutto. Delle stradine sterrate con delle buche che levati. Drew guida come un provetto pilota della Paris-Dakar. Il prossimo anno ce la iscrivi. Formentera è lunga più o meno venti chilometri, questo ne fa una specie di paesone disabitato. E spiega perché alla fine ci si rincontri tutti in giro prima o poi. Anche coloro che vorresti evitare. Per buon gusto o per buon senso. Formentera è una specie di festival del fitness a cielo aperto. Metà degli uomini erano palestrati come i modelli sulle copertine di Man's Health. Non ci si poteva guardare in giro. Metà degli uomini tra l'altro si comportavano in modo piacione, sono quel tipo d'uomo per cui evidentemente la quantità conta più della qualità. Tu in un caso hai fatto numero, ma non ce l'hai più con te stessa per questo. In un altro caso, invece lui era nato il tuo stesso giorno, solo, sei anni dopo. Nessuno si stupisce più di questo. A Formentera c'è un solo locale per la sera, quello dove ci si ritrova tutti come al Roxy Bar. E dove si fanno spesso conversazioni inutili e superflue, addirittura conversazioni da schiaffi. Ma tanto, supponi, si potrebbero fare ovunque. E perciò. Da Formentera si torna tutti il 2 settembre.

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Paolo Andretta - Formentera 2004

Paolo Andretta - Formentera 2004

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La metropolitana di New York Stefano Berton

Adrian Schiopu

Eccolo lì, già sull'aereo di ritorno. Era tutto passato troppo in fretta, come d'altronde vanno in fretta i momenti importanti della vita. Nel grande magazzino di materiali elettrici dove lavorava, ogni tanto un fornitore metteva a disposizione un viaggio aereo, e quella volta era stato estratto il suo nome. Quasi non ci credeva e non voleva partire, aveva trovato anche la scusa buona, ma alla fine qualcuno gli aveva fatto la valigia e l'aveva imbarcato sull'aereo, mettendogli in mano all'ultimo un vecchio vocabolarietto d'inglese e un taccuino. E adesso, già sull'aereo di ritorno, si faceva passare le otto ore di volo ripensando a quei dieci giorni di vacanza. La partenza, con l'accelerazione che schiaccia al sedile, i motori che rombano, l'aereo che s'era impennato prima della brusca sterzata a sinistra del pilota, da togliergli sia il respiro che la vista della laguna. Sul taccuino bianco, che all'inizio l'aveva riempito quasi per dovere, c'era scritta una dedica: "A volte, è più importante viaggiare che arrivare". Chissà mai se aveva capito davvero cosa volesse dire. Adesso quel taccuino marrone, dove diligentemente aveva messo in fila ogni posto visitato, gli serviva soprattutto per riportare alla mente le diverse emozioni. La dogana, dove un negro in divisa veniva pagato per dirigere le file per il controllo dei passaporti, l'uscita all'aperto con l'afa che gli aveva subito incollato la maglietta, l'autobus a zero gradi, col condizionatore che gocciolava, che lo aveva scaricato nel respiro afoso della metropolitana, dove un altro odore, indefinibile ma nello stesso tempo familiare, assaliva il naso. Il primo hamburger alle 10 di sera passate (che, facendo il calcolo dei fusi orari, era come aver fatto colazione alle 4 e mezza di mattina). Dentro, come dappertutto, l'aria condizionata che ti stringe la pancia (i primi due giorni, poi ti ci abitui). Accidenti, a pensarci bene quel taccuino gli era stato proprio utile, altrimenti già adesso, sul viaggio di ritorno, sarebbe stato impossibile mettere in ordine tutte le cose viste e fatte, anche se alcune non avrebbe avuto alcun bisogno di segnarle lì, se le sarebbe ricordate tutta la vita. Non ti puoi dimenticare Central Park e la casa di Lennon, la città vista dalle torri gemelle di giorno e dall'Empire State Building di notte, e poi le luci di Times Square e dei teatri di Broadway. Il baseball? Beh, quello sì, aveva bisogno del taccuino per ricordarsi che gli Yankee le avevano buscate 3 a 1 da Toronto, ma

vuoi mettere il calcio? Tutta un'altra cosa. Il baseball era stato un ripiego, lui avrebbe voluto vedere una partita di football americano, ma non era stagione. E il traffico? semplicemente da impazzire, anche solo a fare il pedone. Fortuna che non aveva mai preso un taxi, perché non è che gli andava tanto di buttare i soldi: Manhattan se l'era girata in lungo ed in largo con la metropolitana. Ecco, il caldo atroce e quell'odore strano era un'altra di quelle cose che non aveva bisogno di scrivere per ricordarsele. Ma dove l'aveva già sentito quell'odore, prima che a New York? "Oh guardalo qua, lo yankee!". Il primo a salutarlo era stato Antonio, il barista, per via che dal bancone vedeva entrare tutti. Tutto normale, le solite facce, al bar non era cambiato niente: tutti a chiamarlo, a voler sapere se aveva visto De Niro, com'era il Bronx, com'erano le negre, se l'avevano mai rapinato. Lui aveva lasciato dire, si era seduto sul tavolo e gli altri avevano spostato le sedie. Ovviamente gli sarebbe toccato tirar tardi a raccontare, ma altrettanto ovviamente al bar c'era andato soprattutto per quello. E poi, con ancora un po' di fuso orario americano in corpo, poteva benissimo far schiattare tutti alla distanza. Antonio gli portò una rossa alla spina, finalmente una birra come dio comanda, non quelle sciacquette bionde da 3 gradi (e poi dicevano che in America trovi tutto). Guardò l'orologio. Le sei di sera, mezzogiorno sulla East Coast. Esattamente 24 ore prima si era sparato l'ultimo hamburger, lì nella 8th Avenue, stesso posto dove aveva mangiato il primo, stessa aria condizionata micidiale. Ormai il Quarter Pound gli usciva dalle orecchie, ma gli era sembrato ovvio finire lì, da dove aveva iniziato, quasi un omaggio alla Grande Mela, e per imprimersi ancora una volta nel cervello il sapore dell'America. Come quell'altro odore che l'aveva accompagnato su e giù per Manhattan, quello della metropolitana. Alzò gli occhi dall'orologio. Guardò gli amici. Si era fatto silenzio. Aspettavano lui, che raccontasse. Ancora un sorso di birra, giusto per farli cucinare un altro po'. D'improvviso sorrise, a se stesso più che agli altri. Si tolse i 10 dollari di berrettino blu comprato allo Yankee Stadium, posò il bicchiere ed iniziò. "La metropolitana di New York sa di cane bagnato."


Arachidi Connection Freddy Tampax Non tutti i giorni le arachidi si svegliano di buon umore, anzi. Talvolta, difatti, può capitare di vedere un'arachide alzarsi di soprassalto, sudata ed ansimante, che impreca con la sua voce roca e gracchiante contro le prime cose che le vengono intorno. La cosa che fa più imbestialire le arachidi è l'essere paragonate alle uova. Le arachidi sono notoriamente più intelligenti e colte, più belle e slanciate, più nobili delle uova; non a caso usano dare del "testa d'uovo" a quegli individui che non si distinguono per la perspicacia. Eppure nessuno può negare che esista una certa somiglianza tra uova ed arachidi: forse la forma ovale, forse la tinta, lo stesso portamento (fatte le debite proporzioni!). Tra l'altro, le uova di solito non sono nemmeno considerate antipatiche. Ma, si sa, a volte l'immagine ha un peso più che esagerato. Già il fatto che le arachidi siano dette ovali, e non che le uova siano dette arachidali, ha sempre dato un tale fastidio alle arachidi da essere alla base di numerose polemiche (pare anche che una nota casa editrice sia stata più volte invitata a rettificare il termine "ovale" in "arachidale" nei propri dizionari; sono in corso anche alcune cause). Nel loro vocabolario ufficiale, neanche a dirlo, compare l'attributo arachidale (la cui definizione occupa varie pagine) mentre negli istituti d'istruzione delle arachidi chi impiegasse il termine "ovale" (a sproposito o meno) sarebbe passibile di votazione insufficiente, di bocciatura e in taluni casi anche di espulsione dai suddetti istituti. Questo odio così intenso verso le uova ha in realtà insospettito molti psicologi, che stanno indagando sulla psiche delle arachidi nel tentativo di capire finalmente il perché di un rapporto tanto travagliato. L'argomento è diventato, tra l'altro, di gran moda; io non posso certo vantare l'originalità di questa mia testimonianza, ma si sa che tutto quanto è di moda viene in genere ingurgitato con più entusiasmo dai lettori. Io spero comunque di riuscire a dire qualcosa di gradevole ma soprattutto di personale, che aiuti magari a chiarire meglio il quadro di assieme e a dare qualche nuovo impulso all'argomento. Sembra, tornando al problema, che gli psicologi abbiano individuato una sorta di frustrazione delle arachidi che deriva da un complesso di inferiorità inconscio, che esse si portano dentro

dal periodo mesozoico, in piena preistoria. Allora, lontani come si era da ogni forma di civiltà, la forza bruta era usata più di adesso come mezzo di sopravvivenza e come strumento per prevalere su eventuali nemici. Le pur pacifiche uova, più grandi e più forti delle antenate delle arachidi, avevano gettato queste in una specie di schiavitù, destinando loro i compiti più umili e relegandole a condizioni di vita misere, dalle quali riuscirono ad affrancarsi solo 6.000 anni più tardi. Sicuramente, molte opere d'ingegno tra le più grandi della nostra civiltà le dobbiamo alle arachidi, come anche tantissime altre testimonianze artistiche e i contributi di personaggi rimasti immortali. La superiorità intellettuale delle arachidi (che si sono abbondantemente vendicate delle uova e anche delle patate) è ormai indiscussa. Tuttavia, mai come ora la nostra società appare instabile, corrotta, decaduta, priva di ideali e di spinte innovative. E mai come ora è temuta l'ipotesi di un ritorno alle barbarie e all'inciviltà (le antiche invasioni dei ravanelli insegnano). Perciò quelle paure, rimaste sopite nel delicato subconscio delle arachidi per secoli, sembrano ora riaffiorare inquietanti e minacciose, quasi si volessero cancellare in un attimo lustri di conquiste e progressi (anche il boom recente dei film di Ovald Swarzeneger contribuisce a rafforzare queste paure). Ora che il fenomeno sembra aver raggiunto proporzioni assai preoccupanti, è lecito porsi qualche domanda. Come metter fine a questo malessere di fondo delle arachidi, che rischia di sfociare in qualche forma di pericoloso dissenso? Che tasti toccare per calmare le teste calde, più facilmente portate a fastidiose discriminazioni razziali? Come evitare - fin che si può - che da tutto questo casino ne derivi una grossa frittata? Come eludere, infine, il pericolo del grave disastro ecologico che deriverebbe dalla rottura di milioni di uova, nel caso di un conflitto di civiltà? Io, che nel mio piccolo voglio cogliere dalla storia una lezione che valga anche per il futuro, spezzo un guscio in nome della tolleranza: uova e arachidi possono tranquillamente convivere, svolgendo ognuno il ruolo più adatto alle proprie capacità e inclinazioni. Solo così potranno vivere ancora in pace, e soddisfare il disegno che il grande cuoco ha predisposto per loro. E se può essere d'aiuto, liberalizziamo l'origano: aiuterebbe a calmare gli animi e ad accettare con più serenità le grandi differenze che, necessariamente, sono alla base di società come la nostra. Insomma a convivere meglio, in un mondo senza spigoli.

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Michele Bernardinatti - Barcellona Maurizio Alberton - Barcellona

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Roberta Temporin - Maastricht Roberta Temporin - Maastricht

Roberta Tosolini - Cina

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Mirella Bernar - Misurina 1968

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Udo Kรถhler - Cuba

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DOMENICA 15 AGOSTO Katia Belli

Milano è esattamente come ci si aspetta di vederla il 15 agosto. Lontani dalla stazione Centrale, il deserto. La calma. Il silenzio. La temperatura è piacevole. Spalancando le mie finestre, c'è una bella corrente. La prima cosa che faccio, ancor prima di cambiarmi, è togliere le foglie secche dalle piante sul balcone. Le rose che la volta scorsa sembravano morte, ora hanno già i boccioli e un fiore arancio già aperto. La rampicante è un po' devastata dai parassiti. C'è chi cresce e chi invecchia. Chi rinasce dalle ceneri, chi abbandona il gioco. Anche dall'altra parte, quella che ho lasciato, c'è silenzio. Conosco la sensazione. Quando hai la casa piena di gente e, tutto d'un colpo, si svuota. Quando ti abitui ad alzarti e dare il buongiorno ad altri volti, quando rivoluzioni orari ed abitudini, quando non ti poni obiettivi ma vivi minuto per minuto, quando per mangiare devi tirar fuori le sedie di riserva. Sì, quella sensazione. Qualche anno fa, quando quel lui è partito per l'ennesima volta, il giorno dopo mi sono ammalata. L'ho preso come un segno del destino, ma era perché avevo dormito nuda. In due, nel letto singolo. E ogni volta che scompare dopo giorni e giorni di aperitivi casalinghi e

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chiacchiere e confessioni e le luci rosse sul pavimento e la musica sempre alta e tutto il resto, c'è quella sensazione di sbandamento e, nello stesso tempo, di ritorno a sè stessi. E chi parte non lo percepisce così forte. Ma le regole non sono uguali per tutti. Tornare qui ha sempre un perché. Non mi chiedo mai, seriamente, il motivo per cui lo faccio. Questa casa ha un senso. Questo cielo ha un senso. Ovunque sia stata, qualunque cielo o casa abbia visto. E adesso ricominciamo, un'altra volta. Nel coraggioso tentativo di riempire quei vuoti. E magari, bruciare delle abitudini per far posto ad altre. Buon ferragosto.


TARTE TATIN Barbara Delfino

Diego Meneghetti

"Sì, mi piace, ma non c'è in nero?" Uscì dal negozio di abiti senza aver trovato la blusa desiderata e sollevata di non aver speso ulteriori soldi; con la coda dell' occhio vide la commessa fare dei gestacci stizziti e sorrise. La pelle le si tirava lungo il corpo per il troppo sole preso: la fronte cominciava a rilasciare sebo come difesa naturale. Entrò nell'edicola di fronte alla boutique ed acquistò un quotidiano francese, un sacchetto di caramelle al limone e una rivista di sesso droga e rock'n'roll con allegato il sessanta per cento di pagine in pubblicità. “Tabernac!” esclamò sottovoce, così: tanto per dire qualcosa. Uscì dall'edicola e schermandosi gli occhi dal sole biancastro con la mano destra diede uno sguardo alla strada, alle persone che camminavano indaffarate. Musica, acquisti compulsivi, comprare dei compact disc, entrò in un negozio definibile Tacchi dadi e datteri poiché offriva dalle compilation del Festivalbar alle ciabatte infradito, ma si risolse nel prendere solo un anello d'argento una margherita di onice. Si avviò alla fermata del traghetto, prese il biglietto, si sedette su una panchina e nell'attesa iniziò a sfogliare la rivista sentendosi vecchia e decrepita. Una rockstar in posa da iguana. Una starlette finta Jean Harlow. Sorrise osservando i replicanti di un'epoca gloriosa e si chiese da quanti anni non si fumasse una canna degna di questo nome. Troppi. Il traghetto attraccò e lei si alzò abbandonando la rivista patinata: meritava l'acquisto solo per la pubblicità, la lasciò senza tristezza.

Stazione locale. Treno affollato e sudato. Chiacchiericcio in sottofondo. “Ho un posto al finestrino e nella direzione di marcia, posso resistere quest'ora e mezza senza problemi”. Stazione centrale. Treno elegante e climatizzato. Voci ovattate di sottofondo. “Ho il mio posto al finestrino e nella direzione di marcia, posso resistere queste otto ore senza problemi”. Scese alla Gare Du Nord, prese il Metrò, risalì in superficie, camminò una buona mezz'ora con passo spedito. Non aveva bagagli, solo giornali francesi. Le caramelle le aveva usate come cibo ore prima, la margherita bianca scintillava al dito medio della mano sinistra. Era presto, un orario antelucano per i turisti: qualche passante frettoloso con il cane che faceva il giro mattutino erano figure che stavano bene tra le pareti della piazza perfettamente quadrata. Si avviò verso il lato nord e si mise ad osservare i camerieri del locale che preparavano i tavolini. Uno di loro si fermò a guardarla, così immobile, un sorriso leggero: si accese una sigaretta e la fissò come per offrirgliene una. Lei si sedette ad un tavolo già pronto, prese il menù e fece finta di leggerlo con attenzione. Mi suona il cellulare. "Dove cazzo sei?" "Qua" "Qua dove? Porca puttana, che cazzo stai combinando, dove sei, torna a casa" "Son qua" "Qua dove?" "Qui" "Qui?" "Quo" Oh, è finita la batteria del telefonino. Che peccato. Lei ordinò una fetta di torta che assomigliava a quelle di Nonna Papera.


Sebastiano - New York Massimo Barbot - New York

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Andrea Pancino - Germania


Riccardo Zanotto - Australia

Stefano Collanega - Viaggio a Troye

Campeggio a Ervy les Chatelle, vicino a Troye, 100 km nella campagna a sud di Parigi. Nella foto potete ammirare Mec e gli Atomic Bongo, il gruppo durante il viaggio ha composto e registrato a Les Bordes D'Auvreuil un disco dal titolo “Enciclopedia Universale dello Scibile Umano Vol.1 : VIAGGIO A TROYE�.

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Mente Aperta Ero al cinema, guardavo un giallo inglese, quando ebbi l'impressione che ci fosse dietro a me qualcuno con un po' di tosse che tossiva piano piano, a più riprese. Pur essendo infastidito dalla cosa, apprezzai lo sforzo di non disturbare. "La creanza oggi è rara da trovare, questo almeno il suo rumore un poco dosa". Poco dopo ebbi la netta sensazione che il tossire fosse più affannoso, stanco e una voce disse con un fiato: "manco, però non disturberò la proiezione". Mi è rimasta impressa, poi, quell'esperienza, come esempio di suprema cortesia. Quando, all'intervallo, fu portato via, quel cadavere guardai con deferenza. Marco Romagnoli

Nicola Artuso Michele Bernardinatti

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Paolo Capozzo


QUELLI CHE VANNO IN FERIE A LUGLIO Katia Belli

Quelli che vanno in ferie a luglio, quando partono fanno i fighi. Spariscono prima degli altri, spendono meno, il loro countdown è breve, ma quando gli "agostini" se ne vanno, loro restano a guardare. E a sorbirsi i vantaggi della città deserta. Quelli che vanno in ferie a luglio approfittano dei saldi, ma in realtà le vere svendite sono in agosto: smerci di magazzino, sì, ma anche prezzi pazzi. Quelli che vanno in ferie a luglio tornano con un'abbronzatura pazzesca, se sono stati al mare. Pensano di fare invidia. E immagino come possano essere guardati quelli come me, per strada, e chissà se le domande che scaturiscono sono le stesse che mi faccio io, quando guardo una persona che è stata in vacanza. Quali meravigliose avventure avrà vissuto? Sarà cambiata la sua vita? Avrà trovato l'amore? Quanto avrà imparato? Sarà ebbra di nuove conoscenze culturali e umane? E... … perché ha quella faccia imbronciata?!

Flavio Bullo

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CAPITE IL MIO DRAMMA? Virginia Michetti

Io non so più cosa fare. In questi anni ho cercato di rivestire al meglio il mio ruolo di zia, educare e guidare e portare sulla retta via. Cioè, era con le migliori intenzioni che. Come quando Chiara aveva neppure due anni ed eravamo al mare; dal suo box indicava col ditino morbidoso gli anfibi che stavo indossando e scuoteva la testolina bionda e diceva disgustata NO NO NO e si capiva bene che voleva che col caldo che c'era mettessi i sandali come logica avrebbe voluto. E io rispondevo SÌ SÌ SÌ, le davo un bacetto e uscivo tronfia dei miei piedi lessati. Come quando aveva tre anni e indicando il poster di Robert Smith Chiara mi diceva «Che bea signoa» e io le dicevo «No, è un signore» e lei «ma no è una signoa, a ossetto» e io «No, è un signore truccato» e mi guardava dubbiosa. Allora indicava il poster di Trent Reznor coi capelli lunghi e una maglia rete e chiedeva «E questa è signoa?» e io ridevo «No piccola, è un signore» e lei mi guardava perplessa. Poi le facevo vedere Kurt Cobain, che almeno aveva sempre un filo di barba e non c'erano dubbi. Ok. Con la musica divago, non c'entra niente col dramma del momento, ma è per dire che alla formazione intellettuale dei miei nipotini (sì perché c'è anche Andrea insieme a Chiara) ci ho sempre tenuto, a modo mio. Quando erano piccoli leggevo e raccontavo loro le favole, finché si addormentavano - o mi addormentavo io. Gli facevo vedere i libri, parlavo loro delle meraviglie della lettura, dimostravo il mio impegno nell'essere una brava tutrice, quella che allarga gli orizzonti mentali, apre la mente a nuove prospettive, spalanca l'ingresso alla cultura,

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alla voglia di sapere e alla non omologazione nelle loro giovani testoline. Ecco, entriamo nel nocciolo della questione. Andrea mi dà soddisfazioni, perché legge legge legge. Meraviglioso. Ha 10 anni e divora i libri. L'ultima volta che l'ho visto è venuto in camera mia, gli ho fatto vedere la mia libreria. Gli ho prestato La Storia Infinita: è stato il primo libro in assoluto che ho amato davvero. Andrea mi ha guardato con gli occhi spalancati quando gli ho raccontato che avevo la sua età e l'ho letto in 24 ore. Gli ho fatto notare i due colori in cui è scritto, rosso e verde, e il serpente che si morde la coda in rilievo sulla copertina color rubino, e lui l'ha accarezzata mesmerizzato. Qui vengono i dolori della giovane Virginia. Chiara è una secchiona a scuola, ma non ama leggere. Ci mette 6 mesi a finire un libro di 100 pagine. Quando ha visto La Storia Infinita che Andrea teneva in braccio ha alzato gli occhi al cielo esclamando «Ah, quel libro... Elena (un topo di biblioteca dalle sembianze di una bambina di 12 anni, la migliore amica di Chiara dalla prima elementare) me l'ha menata per mesi su quanto è bello e meraviglioso e incredibile e che palle. Un libro così spesso non fa per me». Un colpo al cuore. Adesso Chiara è in vacanza-studio in Inghilterra. Le ho scritto per sapere come va. Lei mi ha risposto con un sms. «Ciao tutto ok! A parte le stanze ke sembrano celle..... stasera sono andata in discoteca e sono stankissima anke xkè stamatbene anke se alcune risp le ho sparate a casaccio.» Capite il mio dramma? CINQUE KAPPA!!!

Devis Da Frè - California

tina abbiamo fatto il test d'entrata. è andato abbastanza


Andrea Pancino - Romania

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Michele Bernardinatti - Italia

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SPAM! Il Libro delle Vacanze è stato realizzato interamente con il materiale inviatoci dalle persone che abbiamo contattato con l’e-mail riportata qui sotto. Vogliamo ringraziare tutti quelli che ci hanno risposto e che elenchiamo nella pagina a fianco: la loro partecipazione è stata superiore alle nostre aspettative sia per la qualità che per la quantità delle “robe” che hanno cercato, trovato o inventato nel poco tempo a disposizione. Non siamo riusciti a farci stare tutto: speriamo in un volume II, III, IV...

ciao, stiamo realizzando un libricino composto da racconti brevi e immagini fotografiche da regalare ai nostri amici, collaboratori e a tutti quelli che ci conoscono. Il titolo: "il libro delle vacanze". La nostra idea e' di mettere insieme testi e immagini in un piccolo libro tascabile raccogliendo foto, disegni e testi di tutti gli amici con i quali abbiamo avuto modo di collaborare in questi anni. Se ti fa piacere puoi partecipare alla realizzazione inviandoci qualche tua foto (o disegno, o testo) con soggetto che, secondo il tuo personale giudizio, meriti di essere pubblicato... Invia le immagini a questo indirizzo: librodellevacanze@oblioart.com Vorremmo stampare e spedirvi il libretto in tempo utile affinche' possiate sfogliarlo e sfoggiarlo in spiaggia... quindi, come al solito, siamo in ritardo... Affrettatevi e rispondete numerosi! Lucio, Pol, Felix, Roberto Art Work Studio

Qualche nota: il libretto conterrà alcuni racconti e altri testi che stiamo raccogliendo da amici che pubblicano in internet su blog personali; lo spirito di questa iniziativa è decisamnete lontano da intenti prettamente promozionali e non vuol'essere nemmeno un pretenzioso esercizio di stile, ma semplicemente un desiderio di mescolare idee e personalita' diverse, in modo un po' scanzonato, e vedere l'effetto che fa'. Le immagini inviate possono essere di qualsiasi dimensione e realizzate con ogni mezzo: dal foro stenopeico al banco ottico, dalla reflex digitale al telefonino ma anche qualsiasi elaborazione grafica (si consiglia un formato di circa 12x18 cm o maggiore, a 300 dpi salvati in jpeg qualita' 10) .

Si prega di inviare le foto entro il 7 luglio 2005 Aggiungere anche il nome dell'autore e l'indirizzo al quale possiamo spedire il libro. Per qualsiasi altra informazione ci potete contattare al telefono 0423.839088 oppure in email: lucio@artworkstudio.com pol@artworkstudio.com felix@artworkstudio.com librodellevacanze@oblioart.com

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GRAZIE A: Adrian Schiopu Adriano Santi Alessandra e Marco Damiani Alessandra T. Alessandro Bosello Alessandro Zaltron Alessia Renai Andrea Alessio Andrea Bizzotto Andrea Bordin Andrea Pancino Angelo Corbetta Antonio Koch Barbara Delfino Bruna Bortolin Carlo Antiga Carlo Buffa Carlomaria Corradin Cesare Biasin Claudia Contarini Claudio Camerotto Claudio Rocci Devis Da Fre' Diego Meneghetti Enrico Renai Fabio “Bajo” Baggio Fabrizio Venerandi Felix Drapelli Flavio Bullo Franco Zulian Germana Cabrelle Giancarlo Gennaro Gianna Bignù Gianni Marchiorello Gigi “Raul” La Moquette Giovanni Cesellato Giovanni “Titi” Da Broi Giulio Mozzi Ivana e Michele Piovesan Katia Belli Lorenzo Drapelli Lucia Berlanda Lucio Alberton

Marco Beretta Marco Buratto Marco Romagnoli Marino Andreetta Martina Forato Massimo Barbot Massimo Drapelli Massimo Felicetti Matteo Moro Maurizio Alberton Maurizio Battistella Mauro Brunello Michele Bernardinatti Michele Pizzolato Mirella Bernar Monica Dengo Nicola Artuso Oriana Chantal Balliana Paola Milani Paolo Andretta Paolo Capozzo Paolo Golumelli Paolo Quagliotto Paolo Romanin Paolo Simonetto Riccardo Zanotto Roberta Temporin Roberta Tosolini Roberto Tossani Roberto Zaffalon Roger Zanon Sebastiano Zanolli Silvio Antiga Simona Stroppiana Stefano Berton Stefano Collanega Stefano Lazzari Stefano Sgarbossa Stephane Grenet Udo Koehler Valentina Colosimo Valter Fresch Virginia Michetti


ART WORK STUDIO pubblicità e design

Via Feltrina, 49 31035 Crocetta del Montello TV tel. 0423.839088 fax. 0423.839194 info@artworkstudio.com

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“Art For A Better Life” - Installazione di Urs Lüthi - Padiglione Svizzero, Biennale di Venezia 2001 (i due in piedi sono una installazione a parte...)


Venerdì 24 giugno siamo in studio a parlare del più e del meno. Viene fuori che cosa potremmo fare per augurare buone ferie a clienti e fornitori. Si parte con una cartolina. La cartolina si dilata (quando noi parliamo gli oggetti si dilatano sempre: viviamo in un micro-universo in espansione). Ci mettiamo dentro un'operazione promozionale di marketing applicato, un'idea che coinvolga gli amici, il desiderio di costruire qualcosa di nostro (numerose divagazioni autobiografiche che incidono creando incisi e rimandi), caffè e sigarette. Alla fine del venerdì nasce l'idea del Libro delle Vacanze. Verrà realizzato con foto, disegni e testi che ci invieranno amici, collaboratori, conoscenti e che regaleremo a tutti quelli a cui abbiamo voglia di regalarlo. Il sabato mattina partono le prime 120 e-mail (il testo lo troverete a pagina 106), seguite nella settimana successiva da altri 40 messaggi e più. Diamo pochissimo tempo per rispondere: il 7 luglio. E subito inizia ad arrivare il primo materiale. E poi ancora dell'altro. Ne arriva tanto. Robe belle. L'adesione è alta: più di 80 persone che si impegnano e si divertono a tirare fuori immagini e parole dalla loro memoria, o le inventano al momento. Quando il 9 luglio iniziamo a dare forma al Libro delle Vacanze ci accorgiamo che ci sono molti più contributi di quanti ce ne possano stare, ma va bene così. Potremo inaugurare una serie, un'uscita annuale. Scansioni, impaginazioni, revisioni, photoshop, editing, comunicazioni al volo (perché dobbiamo fare in fretta, molto in fretta). Oggi, 19 luglio, scriviamo questa presentazione. Nel pomeriggio porteremo il materiale in tipografia. Per una volta tanto il nostro micro-universo in espansione ci ha permesso di realizzare il Libro delle Vacanze in un mese. Lo dedichiamo a tutti voi che lo leggerete. Buon ferragosto.



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