SalutePiù - Marzo 2010

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5 Hanno collaborato con noi il personaggio

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terme

10 Giancarlo Abete - Il Calcio, una scuola di valori. medicina

6 L’Ortopedico - Correre, correre, correre. 8 La Baropodometria e il plantare. 9 Il Ginecologo - Il dono del latte materno 14 Il Cardiologo - Ma i nostri avi morivano d’infarto? 16 L’Otorinolaringoiatra - Reflusso Gastroesofageo 18 Medicina termale - Combattere l’artrosi alle terme 22 L’Angiologo - La terapia sclerosante in sabina

13 Riserva Tevere Farfa: un magnifico percorso fluviale 20 Poggio Mirteto 21 Fabio Refrigeri - Intervista al Sindaco di Poggio Mirteto

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numero marzo 2010 Direttore Responsabile Fabrizio Sciarretta

Segreteria di Redazione Filippa Valenti valenti@laboratorionomentano.it T 06 90625576

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cardiologo

Marketing, pubblicità e grafica Alessia Gerli gerlicomunicazione@gmail.com T 0774 608028 Editore Laboratorio Clinico Nomentano Srl Via dello Stadio 1 00015 Monterotondo (RM) Iscritto al registro della stampa e dei periodici del Tribunale di Tivoli n. 97/2009 Stampa Graffietti Stampati S.n.c. S.S. Umbro Casentinese km.4.500 01027 Montefiascone (VT)



Fabrizio Sciarretta Direttore Responsabile

Perché SalutePiù? Perché, si sa, la salute è la cosa più importante. Ed anche perché, nel contempo, in un mondo dove l’informazione non è più un genere raro ma, anzi, ve ne è talmente tanta da diventare alle volte confusione, è necessario che sulla salute di confusione non se ne faccia. SalutePiù si pone dunque un obbiettivo semplice a dirsi ma meno a farsi: ovvero fornire ai suoi lettori un’informazione in tema di salute che sia semplice, chiara e, soprattutto, affidabile. Lontana dai termini “per addetti ai lavori”, che quasi ricordano formule magiche. Attenta al vecchio adagio “prevenire è meglio che curare” e quindi impegnata a spiegare e diffondere quelle norme di comportamento che, speriamo, ci consentano di recarci dal medico solo per il periodico controllo senza farci dare brutte notizie. SalutePiù, però, guarda alla “salute” nel suo senso più ampio, che è anche vivere bene, in modo attivo, in rapporto con la bellezza dell’ambiente naturale che ci circonda ma anche con il mondo della cultura, insieme con gli altri in rapporto dialettico. Ecco qui spiegato l’interesse di SalutePiù per lo sport, per l’ambiente, per la cultura e per la Sabina che è quell’incantevole luogo che non viviamo e che non ci godiamo mai abbastanza. Poi, in verità, una rivista deve saper essere quella che i suoi lettori desiderano e, quindi, speriamo che a partire da questo primo numero si avvii un dialogo continuo che renda SalutePiù sempre più dei suoi lettori e sempre più capace di fornir loro un’informazione anzitutto utile.

HANNO COLLABORATO CON NOI LA BAROPODOMETRIA IL REFLUSSO GASTROESOFAGEO Dott. GIUSEPPE ZITO (detto Pino) Dott.ssa MARZIA RUGGIERI La Dott.ssa Marzia Ruggieri si è laureata in Medicina e Chirurgia e si è specializzata in Otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervico-Facciale presso l’Università di Roma La Sapienza Dal 2003 al 2006 ha lavorato presso la Divisione di Otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervico Facciale dell’Istituto Tumori di Roma “Regina Elena”. Attualmente svolge attività libero professionale presso diverse strutture sanitarie ed è Responsabile della Branca di Otorinolaringoiatria del Poliambulatorio Specialistico Nomentano. Sta svolgendo inoltre un Dottorato di Ricerca in “Tecnologie avanzate in Chirurgia” presso l’Università di Roma” La Sapienza”, Dipartimento di Otorinolaringoiatria, Audiologia e Foniatria “G. Ferreri.”

Laureato in “Tecnica Ortopedica” presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore- A. Gemelli – di Roma, consegue un “Master di Posturologia” presso l’Università di Roma “La Sapienza”. Da giovanissimo si interessa di “computer” e della tecnica ortopedica finalizzata agli arti inferiori, rimanendo sempre più affascinato della nuova branca della medicina che và sotto il nome di “Postura”. Queste tre passioni, saranno fondamentali, nella sua vita professionale, tanto da dedicare quasi tutto il suo lavoro alla costruzione di plantari “propriocettivi” e quelli da lui elaborati che li chiama “misto-propriocettivo”. Per questo motivo è stato più volte docente di corsi E.C.M. in varie città Italiane. Attualmente ricopre la carica di direttore tecnico del laboratorio ortopedico “Sanitaria IGEA” di Monterotondo.

MA I NOSTRI AVI MORIVANO D’INFARTO?

Dott. FRANCESCO RUGGIERO ll Dott. Francesco Ruggiero si laurea con lode in Medicina e Chirurgia presso la Seconda Università di Napoli nel 1996. Nel 1997 consegue la specializzazione in Cardiologia presso l’Università di Tor Vergata. Dal 1999 è Ufficiale Medico dell’Esercito ed attualmente in servizio presso l’Unità di Terapia Intensiva Coronarica del Policlinico Militare “Celio” di Roma e Responsabile della Branca di Cardiologia del Poliambulatorio Specialistico Nomentano. Svolge inoltre la sua attività professionale presso diversi poliambulatori e case di cura romani. Dal 1996 è iscritto all’Ordine Nazionale dei Giornalisti Pubblicisti.

SALVAGUARDIAMO I NOSTRI PIEDI IL DONO DEL LATTE MATERNO

LA TERAPIA SCLEROSANTE

Dott. GAETANO LUIGI NAPPI Il Dott. Gaetano Luigi Nappi è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Firenze e specializzato in Chirurgia Vascolare presso il medesimo ateneo e specializzato in Idrologia Medica presso l’Università degli Studi di Milano. E’ Aiuto Capo Reparto Chirurgia d’Urgenza Policlinico Militare “Celio” di Roma e Responsabile del settore di Diagnostica Vascolare presso il Poliambulatorio Specialistico Nomentano.

Dott. FABIO SCIARRETTA Il Dott. Fabio Sciarretta è specializzato in Ortopedia e Traumatologia presso l’Università di Roma “La Sapienza”. Chirurgo ortopedico, ha prestato servizio in qualità di dirigente sanitario presso l’Ospedale San Giovanni Battista di Roma, presso il Reparto di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale Civile di Velletri e presso l’Ospedale Israelitico di Roma. Svolge attualmente la sua attività professionale presso diverse case di cura romane. E’ stato relatore in oltre 40 congressi nazionali ed internazionali ed ha al suo attivo 38 pubblicazioni.

Dott.ssa MANUELA STEFFÈ Medico, specialista in Ostetricia e Ginecologia, da quindici anni svolge la sua attività principale nell’ambito dell’infertilità, della diagnosi alle terapie di 1° e di 2° livello. Co-autrice di 27 lavori originali pubblicati su riviste nazionali ed internazionali. Ha partecipato, quale relatrice, ad 11 congressi presentando lavori originali, tutti di interesse osterico- ginecologico. E’ Responsabile del Centro per la Procreazione Medicalmente Assistita di 1° Livello presso il Laboratorio Clinico Nomentano.


correre,correre La maggior parte delle lesioni che si verificano durante la corsa ed il jogging sono causate da fattori ricorrenti che i runner possono prevenire od evitare da soli.

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otto un cielo grigio ma senza pioggia, ai nastri di partenza si sono presentati 43.741 atleti. Tremilacinquecento gli italiani, come spesso accade seconda nazione dopo gli Usa per numero di partecipanti. A festeggiare i partecipanti lungo le strade della città - secondo le stime degli organizzatori - sono scese in piazza circa 2 milioni di persone, 330 milioni in tutto il mondo gli spettatori che hanno seguito la gara in televisione”. Questa è solo una delle tante descrizioni della partecipazione alla maratona più famosa del mondo, quella di New York, che ognuno di noi ha potuto leggere sui nostri quotidiani. I numeri danno una idea della la passione per la corsa, sia a livello amatoriale che agonistico. Non c’è corridore, tuttavia, che non sia incorso almeno una volta in qualche problema. La maggior parte delle lesioni che si verificano durante la corsa ed il jogging sono causate da fattori ricorrenti che i runner possono prevenire od evitare da soli. Le lesioni si verificano, in genere, in quattro distinti periodi di tempo: durante i primi 4-6 mesi di corsa, al momento della ripresa della corsa dopo una lesione, oppure quando si aumentano la distanza o la velocità della corsa. Sicuramente, la prima causa di proble-

mi sono gli errori di allenamento, soprattutto l’assenza di uno stretching adeguato, le rapide variazioni nella distanza percorsa e l’insufficiente riposo tra una sessione e l’altra di allenamento. Un ruolo determinante lo giocano, però, anche le scarpe che devono essere in grado di accogliere in maniera adeguata la particolare anatomia del piede di ciascun atleta e questo ci porta ad approfondire quelle patologie che molto spesso limitano gli atleti a causa dei dolori ai piedi. La più frequente è la tallonite. Con questo termine si intende l’infiammazione dolorosa dei tessuti del tallone, che può propagarsi in avanti lungo la pianta del piede attraverso la fascia plantare o indietro lungo l’estremità posteriore del piede. Talvolta, il dolore può raggiungere addirittura il polpaccio. L’insorgenza può essere la più varia, potendo essere lenta e subdola come improvvisa e causare una completa impotenza funzionale. Che fare? Interrompere immediatamente le attività e mettersi per qualche giorno a riposo. Se il dolore è importante assumere dei farmaci antiinfiammatori per via generale. Terzo, consultare uno specialista ortopedico. Cosa dobbiamo appurare? Se il dolore è stato solo causato da un sovraccarico o dall’utilizzo di una scarpa errata, inadatta o scarica (dopo averle usate per circa 800-1.000 km le scarpe devono essere cambiate) è sufficiente il riposo, la crioterapia locale, la terapia analgesica e delle applicazioni di terapia fisica locale a base di ultrasuoni, laser, tecarterapia, onde d’urto o nuove forme di elettroterapia per risolvere in alcuni giorni il problema. Ben diverso il discorso se all’infiammazione dei tessuti molli si associa la presenza di una protuberanza ossea inferiore o posteriore


correre... Salvaguardiamo i nostri piedi Dott. Fabio Sciarretta Chirurgo Ortopedico

L’ORTOPEDICO

del calcagno con interessamento anche della struttura tendinea più importante e nobile della gamba, il tendine d’Achille, che costituisce il tramite di inserzione dei muscoli del polpaccio sul piede in particolare sul calcagno. In questi casi, lo specialista dovrà visionare un esame radiografico del piede (onde valutare la forma e l’appoggio del piede ed escludere eventuali microfratture da stress) e richiedere un ulteriore approfondimento diagnostico per i tessuti molli, quali una ecografia od una risonanza magnetica. La terapia varierà col variare dei reperti riscontrati. Nei casi più importanti si potrà arrivare a decidere di asportare la parte d’osso sporgente e dolente, a regolarizzare la forma della porzione posteriore del calcagno e a liberare il tendine d’Achille da tutto il tessuto infiammatorio che lo avvolge e lo accorcia, limitandone la corretta funzione e determinando un’alterazione dell’appoggio dei piedi. Va sottolineato che tutto questo oggigiorno può essere effettuato in artroscopia: il che vuol dire solo alcune piccole incisioni di circa un centimetro in anestesia locale ed una semplice fasciatura post-operatoria. Tramite questi piccoli accessi, noi chirurghi ortopedici introduciamo un’ottica collegata ad una telecamera che ci consente di vedere nel massimo dettaglio possibile l’anatomia normale e patologica e di introdurre strumenti miniaturizzati motorizzati in grado di asportare, grattare o radere le superfici ossee nonché particolari terminali di apparecchi di radiofrequenze in grado di coagulare ed asportare il tessuto patologico. Una volta liberato il tendine d’Achille, intorno ad esso è oggi anche possibile depositare fattori di crescita piastrinici in grado di interrompere il processo infiammatorio e rigenerare un tessuto tendineo sano ed elastico. Ciò consente di abbreviare i tempi di recupero e la ripresa

degli allenamenti e delle attività sportive. Ho detto riduce e non azzera i tempi di recupero: ciò significa che dopo l’intervento è sempre di assoluta importanza prevedere 2-3 settimane da dedicare al riposo e alla ripresa, guidata dal chirurgo operatore e dal fisioterapista esperto, del carico e delle attività secondo uno schema opportuno al trattamento effettuato. Al termine di questa fase, sarà cura del preparatore atletico riportare gradualmente l’atleta ai massimi rendimenti. In conclusione, alcuni suggerimenti: • scegliere accuratamente le scarpe sportive, eventualmente dopo aver effettuato un esame baropodometrico e portando con sè i plantari prescritti • prima di cominciare l’attività sportiva effettuare un accurato riscaldamento, con un attento stretching dei muscoli degli arti inferiori • evitare se possibile di correre su superficii in cemento o troppo ruvide • evitare all’inizio l’“hill training” per non sovraccaricare le ginocchia e le caviglie • in caso di attività agonistica, affidarsi ad un preparatore esperto in grado di sviluppare un programma corretto della durata e del tipo degli allenamenti e degli adeguati periodi di riposo mai sottovalutare eventuali primi distur• bi, possibile avvisaglia di patologie importanti


Dott. Giuseppe Zito Dottore in Tecniche Ortopediche - Master di Posturologia

uante volte, di fronte a una richiesta di esame B.P.E. (BaroPodometria Elettronica), rimaniamo perplessi: non sappiamo né cosa sia, né a cosa serva né tanto meno cosa fare. Il termine baropodometro è una parola coniata nel 1986 da Piero Galasso, responsabile del Centro Ricerche della Diagnostic Support, per individuare uno specifico strumento di studio delle pressioni plantari (dal greco: Baro=pressione; Podo=piede; Metro=misura). La baropodometria è costituita da una pedana fornita di sensori sulla quale il paziente cammina in modo naturale in assenza quasi assoluta di vincoli, tale da consentire la rilevazione della pressione piede-terreno. L’esame viene impiegato da più “figure professionali” ed è utile, in statica, per lo studio della valutazione pressoria, per stabilire il baricentro e valutare i carichi in percentuale. Diventa fondamentale, in dinamica, per quantificare molti dei parametri del cammino. Si effettua a piedi nudi o con calzature, tutori, protesi, onde valutare l’effettiva condizione del paziente. Negli ultimi venti anni il Baropodometro Elettronico si è evoluto, con “telecamere ad infrarossi” e “podoscanalyzer”, permettendo di valutare oltre che l’appoggio del piede nella fase statica e dinamica anche le eventuali problematiche dei disordini posturali. Il piede, infatti, è la parte terminale del sistema posturale, cioè il confine tra il nostro corpo e il suolo: così, se nel nostro corpo esistono dei disturbi posturali discendenti, il piede diventa il punto di unione tra gli squilibri e il suolo, adattandosi. Il piede adattato in maniera errata, creerà ulteriori problemi al nostro corpo. Questa teoria è ben conosciuta dagli atleti: infatti, un atleta con una postura corretta ed un piede perfetto, consuma meno energie e crea minore stress sulle strutture anatomiche, ottenendo migliori risultati. Per questo oggi moltissimi atleti si sottopongono all’esame baropodometrico facendosi poi

costruire, se necessario, un plantare, sia per correggere le anomalie che per prevenirle. La costruzione di un plantare previa baropodometria e successiva progettazione informatica avviene grazie a un sistema CAD-CAM, ovvero con l’impiego integrato di sistemi software per la progettazione assistita da computer (Computer-Aided

Design, CAD) e fabbricazione assistita dal computer (Computer-Aided Manufacturing, CAM). Questi sistemi semplificano il trasferimento di informazioni dalla prima alla seconda fase del processo: attraverso la baropodometria, viene progettato un plantare altamente personalizzato, trasferendo i dati della progettazione su un pantografo (detto anche fresa) per essere lavorato. Tuttavia, non è sufficiente un baropodometro, un attento esame posturale, una buona visita medica e un sistema CAD–CAM per far si che un plantare sia perfettamente idoneo al paziente: occorre anche un’accurata scelta dei materiali valutando lo scopo del plantare (curativo, preventivo o altro), il peso e l’età del paziente, il tipo di sport e di lavoro. In conclusione, per ottenere il successo nella cura o nella prevenzione con un plantare, deve esistere una perfetta intesa tra prescrittore, costruttore e paziente: per questo il plantare fa parte di un “qualche cosa” che appartiene non al “singolo” ma alla “multidisciplinarità”.


Il dono del latte materno Dott.ssa Manuela Steffè Ginecologa, Responsabile Centro per la Procreazione Medicalmente Assistita – Laboratorio Clinico Nomentano La promozione dell’allattamento è una delle basi per la salute dei neonati, per le mamme e per gli adulti di domani. Inutile citare gli infiniti studi che confermano questo dato. Il latte materno oltre ad essere la cosa più naturale e spontanea è l’alimento più nutriente e protegge il bambino da disturbi e malattie sia nel periodo di allattamento che durante la crescita successiva.

Come funziona la raccolta? Ogni donatrice è accuratamente selezionata mediante colloqui informativi ed esami di laboratorio volti ad escludere eventuali malattie infettive. Il latte, estratto con compressione manuale o appositi tiralatte secondo le regole universali di igiene, è conservato nel rispetto della catena del freddo. Raccolto a domicilio, viene versato dalle donatrici in recipienti sterili forniti dalla Banca e può essere conservato nel frigorifero di casa per un massimo di 72 ore, senza perdere alcuna delle sue proprietà. Una volta giunto in Banca il latte viene sottoposto a una serie di esami batteriologici, pastorizzato e congelato. Chi usa il latte donato? La principale indicazione all’utilizzo del latte umano di Banca sono i neonati pretermine ricoverati in Terapia Intensiva Neonatale nei casi in cui non sia disponibile il latte materno. I vantaggi, a breve e lungo termine, dell’utilizzo del latte umano donato sono soprattutto la migliore tolleranza dell’alimento, la riduzione del rischio di infezioni e di enterocolite necrotizzante, malattia molto grave in questi neonati. Fra i vantaggi a distanza è stata osservata una riduzione di alcune malattie, quali l’ipertensione arteriosa e il diabete. Inoltre, si usa per la rialimentazione dopo interventi di chirurgia gastro-intestinale, l’insufficienza renale cronica, e alcune malattie metaboliche.

“LA VIA LATTEA” Presso l’Ospedale Bambino Gesù di Roma esiste da tempo una Banca, sede dell’A. I.B.L.U.D., che ha realizzato il progetto, lanciato dalla Provincia di Roma, denominato ‘La via lattea’. Con il prezioso lavoro degli agenti della polizia provinciale, dal luglio 2009 è possibile ritirare il latte materno dal domicilio della donatrice per un viaggio “scortato” fino all’Ospedale Bambino Gesù. La Banca poi smisterà il latte alle strutture che ne faranno richiesta. L’obiettivo è quello di triplicare entro un anno la quantità di latte raccolto, dagli attuali 130 litri al mese fino a 390 litri. E’ auspicabile che progetti di questo tipo possano realizzarsi in tutta Italia, e non solo a Roma. Donare il latte è un atto d’amore che dovrebbe coinvolgere tutte le donne!

IL GINECOLOGO

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on va dimenticato che il latte artificiale è solo la quarta scelta per l’alimentazione del lattante, prima vengono nell’ordine: latte materno fresco della propria madre, latte materno fresco di un’altra donna (se con screening per le malattie a trasmissione via latte), latte materno pastorizzato di una banca del latte e solo dopo questo il latte industriale. Ogni anno in Italia oltre 50.000 bambini hanno bisogno di alimentarsi con latte materno ma non sono nelle condizioni di farlo. La A.I.B.L.U.D. ONLUS (Associazione Italiana Banche del Latte Umano Donato- www.aiblud. org) è stata creata nel 2005 presso l’Ospedale Macedonio Melloni di Milano. L’Associazione persegue esclusivamente finalità di solidarietà sociale, non ha fini di lucro, e si ispira alla Convenzione Internazionale dei Diritti dei Minori (O.N.U., 1989). La Banca del Latte di Milano ha raccolto,negli ultimi anni, una media di 1.000 litri al mese. Che cos’è una Banca del Latte? Le Banche del Latte sorgono all’interno degli Ospedali, sono delle vere e proprie banche e sono responsabili della raccolta, del trattamento e della distribuzione del latte materno. Ad oggi in Italia si trovano 23 Banche del Latte, dislocate principalmente nel nord e nel centro Italia; tutti i materiali e le attrezzature che utilizzano sono frutto di donazioni.


GIANCARLO

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ABETE

Il Calcio, una scuola di valori

Presidente Abete, da sempre lo sport è un eccezionale strumento educativo per l’universo giovanile: qual è il ruolo del calcio in questo processo? Nel nostro Paese il calcio è lo sport di maggior interesse praticato da molti giovani appassionati. Il calcio è da sempre in prima linea per proporre ai ragazzi validi strumenti di crescita. Partendo da questa ottica, la passione sportiva per il calcio consente di trasferire nei giovani i grandi valori originari ed insiti nella nostra pratica sportiva. Quali sono questi valori? Innanzitutto i classici valori che contraddistinguono il nostro sport: il rispetto delle regole e dell’avversario, l’etica del fair play, la tutela della salute, il divertimento e la lotta alla violenza. Inoltre il grande potere di attrazione che il calcio ha sull’universo giovanile consente alla nostra disciplina di porsi come uno straordinario strumento culturale per la crescita dei ragazzi. Ci spieghi meglio La natura popolare ed universale del calcio e la sua conseguente dimensione multidisciplinare lo rende un linguaggio altamente condiviso

IL PERSONAGGIO

La Coppa del Mondo fa bella mostra di sé sul tavolo riunioni del suo studio, all’ultimo piano del palazzo che ospita la Federazione Italiana Gioco Calcio, incutendo negli ospiti del Presidente un misto di timore reverenziale e curiosità. Giancarlo Abete, imprenditore con un curriculum che annovera nel suo passato un seggio di deputato alla Camera e la presidenza dell’Unione Industriali di Roma, ha fatto della sua passione di sempre per il calcio il suo primo impegno di questi ultimi anni: un impegno, però, che non è solo dedicato al lato agonistico di questo sport ma anche al suo valore ed alla sua funzione sociale.

capace di affiancare le tradizionali agenzie formative, in primis la scuola, nel processo di sviluppo culturale e di integrazione dei ragazzi, offrendo occasioni di partecipazione che allontanino forme di individualismo e isolamento. Ha parlato della scuola: ci sono occasioni di collaborazione tra la FIGC e il mondo scolastico? Assolutamente si. Il rapporto con il mondo della scuola è stato sempre oggetto di particolare attenzione da parte della Federazione e negli ultimi tempi, grazie anche al prezioso lavoro svolto dal Settore Giovanile e Scolastico della FIGC, abbiamo ulteriormente incrementato il livello di partnership dando vita a diversi progetti che cercano di attuare concretamente ciò che ho espresso in precedenza. Ci faccia qualche esempio Al momento sono due i progetti più significativi che interessano la nostra Federazione e le istituzioni scolastiche. Il primo è denominato “I valori scendono in campo” ed è rivolto a circa 60.000 ragazzi delle Scuole Primarie di 2°ciclo di dieci differenti Regioni. Questa iniziativa ha lo scopo di utilizzare il gioco del calcio come

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IL PERSONAGGIO

strumento formativo interdisciplinare attraverso una rilettura giocosa di materie come la storia, la geografia, le scienze o la geometria utilizzando costantemente come filo conduttore il calcio, le sue regole, i suoi miti e i suoi valori. In cosa consiste invece l’altro progetto? E’ un torneo formativo riservato agli alunni delle classi secondarie di secondo grado denominato “Superclasse Cup” che ha l’obiettivo di sensibilizzare gli studenti ad assumere sempre comportamenti responsabili. Il progetto, che interessa attualmente nove Regioni italiane, si compone di una parte strettamente sportiva, in cui gli studenti sono impegnati in un torneo di calcio a 5, e di una parte didattica in cui agli alunni viene chiesto di creare dei lavori su temi di rilevanza sociale o di forte impatto come l’ambiente, la salute e l’alimentazione, i nuovi media, intrattenimento e la guida sicura. Quindi c’è anche un’attenzione al tema della salute dei ragazzi? L’argomento salute è costantemente ai primi posti nell’agenda della Federazione perché la pratica sportiva deve essere sempre accompagnata da una costante attenzione verso un

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corretto stile di vita. Questo tema riguarda non solo i ragazzi, ma tutto il movimento calcistico nel suo complesso, e numerose sono le iniziative che la FIGC ha posto in essere negli ultimi tempi; ad esempio, per sensibilizzare i giovani calciatori sull’importanza di una sana alimentazione è stato ideato il torneo “Fair Play – Non rompere le ossa” organizzato grazie ad un accordo con la fondazione F.I.R.M.O., il cui obiettivo principale è quello della prevenzione di patologie come l’osteoporosi. Di ben altro respiro, ma sempre inserito fra gli impegni della Federazione verso temi legati alla salute dei calciatori, è stata l’istituzione di una commissione medico-scientifica della FIGC per sostenere la ricerca sulla Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) che fa parte di un progetto più ampio che prevede la creazione di un Dipartimento di Medicina e Tutela della Salute. Proprio la Commissione sulla SLA ha recentemente annunciato importanti passi avanti nella ricerca su tale patologia che apre nuovi e positivi scenari sulla cura di questa terribile malattia. Fabrizio Sciarretta


Riserva Tevere Farfa ...un magnifico percorso fluviale

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uello che si snoda all’interno del parco fluviale del Tevere-Farfa è un percorso perfetto per ogni occasione: pianeggiante e dunque ottimo per rimettersi in sella dopo una pausa o se si pratica una mountain bike solo “domenicale”, bellissimo per i panorami suggestivi offerti dal Tevere e gli incontrai con una numerosa fauna, ideale per andarci con famiglia e amici per la presenza di numerosi punti pic-nic attrezzati. Come arrivare Percorrere l’A1 verso nord per Fiano Romano. Alla rotonda dopo il casello prendere a destra la SP 15 per Nazzano - Torrita Tiberina. Procedere fino a costeggiare a destra le Fornaci Briziarelli e poi la diga Enel. Dopo la diga, all’inizio della salita per Nazzano, girare a destra seguendo le indicazioni per gli Uffici Amministrativi dell’Oasi di Nazzano. Il percorso inizia a sinistra del cancello di ingresso agli Uffici dove una sbarra chiude alle auto l’accesso ad una sterrata. Il percorso Il percorso è quello indicato in verde nella cartina (n° 2). La sterrata costeggia il Tevere in un avvicendarsi di scorci spettacolari e dopo circa 2 km raggiunge un agriturismo posto lunga la strada. Dopo di esso vi è un breve strappo in salita ed in cima prenderemo a destra la strada asfaltata in discesa (via del Tevere) che ci porterà di nuovo alla riva del fiume dove è situata la casetta per le informazioni dell’Oasi. Questo tratto, di circa 300 m. in forte discesa, è, per converso, l’unica salita impegnativa di tutto il percorso quando prenderemo la via del ritorno. A questo punto, abbiamo lasciato il percorso n° 2 e ci siamo immessi nel n° 4, indicato in rosa nella cartina. Pedaliamo per circa 6.5 km lungo il Tevere fino ad arrivare al’approdo di Torrita Tiberina. Il ponte che ci troviamo di fronte è quello della statale Torrita Tiberina - Poggio Mirteto Scalo. Fin qui abbiamo percorso 8 km. Tornando indietro al punto di partenza, avremo dunque totalizzato 16 km. percorribili in circa un’ora.

Qualora invece si desiderasse ampliare la pedalata, vi sono due alternative. La prima è di salire sul ponte della statale Torrita Tiberina - Stazione Poggio Mirteto, attraversare il Tevere, ed al termine del ponte girare a destra e percorrere l’itinerario evidenziato in viola (n° 5) sulla cartina. Il secondo è di continuare dritti lungo il fiume passando sotto il ponte della statale e da lì, a seconda della stagione e quindi della percorribilità di un viottolo piuttosto che un altro, procedere fin sotto Ponzano arrivando al casello autostradale Ponzano - Soratte sull’A1 (circa 16 km. dall’inizio del percorso). Da qui è possibile tornare indietro per la medesima strada oppure, attraversando il Tevere sul ponte immediatamente a ridosso del casello autostradale, imboccare (verso destra) la Statale Sabina e, passando per Gavignano, tornare a Poggio Mirteto Scalo percorrendo, però, un percorso tutto su asfalto. Giunti a Poggio Mirteto Scalo basta attraversare il ponte della statale Torrita Tiberina - Poggio Mirteto Scalo per rientrare sul percorso già visto nella riserva naturale. Questa pedalata totalizza circa 40 km, di cui una quindicina su asfalto.

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Ma i nostri avi Dott.Francesco Ruggiero

Responsabile Branca di Cardiologia - Poliambulatorio Clinico Nomentano

Qualche tempo fa un paziente che era stato colpito da diversi infarti mi ha chiesto se anche i nostri trisavoli morivano d’infarto.

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a risposta, senza inerpicarci in complessi discorsi epidemiologici, sta fondamentalmente nello stile di vita che conduciamo, nei geni che ci portiamo come patrimonio dalle passate generazioni e nelle muffe del dottor Pasteur. Un tempo non molto lontano, circa 100 anni fa, in Europa il principale “terrore” sanitario era rappresentato da malattie come il vaiolo, la malaria, la tubercolosi. Facendo scorrere le lancette dell’orologio ancora più indietro, i killer più feroci erano la peste, il colera, il tifo. Poi arrivò Pasteur. Gli antibiotici hanno permesso di allungare l’età media dell’uomo di diverse decine di anni e ciò anche grazie al generale miglioramento delle condizioni di vita e di alimentazione. Almeno nei paesi industrializzati. E’ difficile adesso stabilire se l’attuale maggiore diffusione delle malattie cardiovascolari, quali infarto ed ictus, sia legata al semplice fatto che l’uomo nel passato moriva precocemente di malattie infettive o sia dovuta ad un regime di vita erroneo. Fatto sta che secondo l’Orga-

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nizzazione Mondiale di Sanità tali malattie rappresentano oggi nei paesi occidentali la prima causa di morte ed una delle prime cause di disabilità. Infatti, se da un lato la ricerca ha trovato cure efficaci nel ridurre anche drasticamente gli effetti negativi di un evento catastrofico come l’infarto, dall’altro lato, ovvero quello della prevenzione, la strada appare ancora lunga. E questo non tanto per la mancanza di farmaci validi, quanto per il fatto che tali presidi trovano il loro utilizzo principalmente in “prevenzione secondaria”, quindi nei soggetti già malati. Secondo l’American Heart Association, la “legge” in materia di cardiologia, evitare l’infarto è possibile seguendo delle semplici norme igieniche. L’alimentazione corretta rappresenta il primo indispensabile presidio nella lotta alle malattie cardiovascolari. E’ provato che il colesterolo ed i grassi polisaturi, per intenderci quelli contenuti nella carne rossa, nelle uova, nelle fritture, nei formaggi stagionati, nei latticini, negli insaccati determinano, as-

sieme ad altri fattori, la formazione della “placca ateroma sica” che è la vera causa dell’infarto. Sicuramente preferibili sono i grassi polinsaturi e gli Omega 3 ovvero sostanze che agiscono in antagonismo con i grassi polisaturi ed esplicano diverse azioni protettive: riducono il colesterolo “cattivo” (LDL), proteggono i vasi, riducono l’infiammazione. Tali nutrienti sono contenuti prevalentemente nel pesce ed in alcuni vegetali come la soia. Allo stesso modo alcune sostanze antiossidanti, quali le vitamine, riducono il rischio di malattie vascolari. Tali sostanze sono riccamente contenute nella frutta e nei vegetali. L’effetto dell’alcool, invece, non è ancora del tutto chiaro. Si può affermare che una modesta assunzione giornaliera, 1 bicchiere a pasto, abbia effetti antiossidanti e pertanto protettivi. Chiaramente si parla di vino e non di super-alcolici. Al contrario una quantità maggiore ha indiscutibilmente effetti negativi sia diretti (aumento della glicemia, alterazioni epatiche) sia indiretti (depressione). Come noto anche il diabete


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morivano d’infarto giornate nei campi, sudando ogni patata raccolta. E qui, difatti, verte il secondo caposaldo della prevenzione: l’attività fisica. Una passeggiata quotidiana di circa tre chilometri e mezzo in pianura a passo svelto, o l’equivalente sempre con un esercizio aerobico (nuoto, ciclismo) di almeno 30 minuti, attiva il metabolismo e riduce le resistenze vascolari così da prevenire l’ipertensione, il diabete e l’ipercolesterolemia che sono alla base delle malattie cardiovascolari. E’ ovvio che l’abolizione di fattori di rischio cardiovascolare universalmente noti come il fumo, l’obesità e lo stress

è necessaria per abbattere il rischio di infarto. Ed altrettanto chiaramente la diagnosi precoce e la possibilità di utilizzare farmaci idonei contribuiscono fortemente alla riduzione della mortalità, tanto che le malattie cardiovascolari sono diventate un rilevante problema sanitario nei paesi emergenti. Ma di questo si parlerà estesamente in un’altra occasione. In conclusione, si potrà obbiettare che la vita dura e semplice del contadino sia monotona, tuttavia non si può negare che probabilmente proprio in questa essenzialità risieda l’elisir di lunga vita.

IL CARDIOLOGO

costituisce una delle principali cause dell’infarto. Nel paziente diabetico, infatti, non solo vengono progressivamente meno i fattori protettivi (alterazione dell’endotelio e del circolo vascolare), ma l’elevata glicemia accelera i processi ossidativi alla base dell’estensione e rottura della placca aterosclerotica. Quindi, l’eccesso di carboidrati è un ulteriore fattore di rischio per l’infarto. Altrettanto dannoso risulta l’eccesso di sale che è uno delle principali cause dell’ipertensione arteriosa. Questa a sua volta entra in gioco nel determinismo dell’infarto in vario modo: espone più rapidamente la placca all’azione dei fattori che ne determinano l’ulcerazione, altera il rivestimento dei vasi facilitando l’insorgenza stessa dell’aterosclerosi, facilita la formazione di trombi che occludono i vasi. Sommando questi vari elementi, si deduce che una corretta alimentazione dovrebbe prevedere pochi carboidrati semplici (pasta, pane), molte fibre e vitamine (vegetali, legumi, frutta), pochissimi grassi saturi, molto pesce azzurro, niente sale aggiunto, un bicchiere di buon vino: la dieta meditteranea. Si badi però che non si parla del regime alimentare del ricco ed opulento Lucullo, ma di quella frugale e a base di prodotti freschi del “povero contadino”. E’ anche vero che il povero contadino per mettere qualcosa nel piatto doveva trascorrere intere

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L’OTORINOLARINGOIATRA

il reflusso gastro esofageo Dott.ssa Marzia Ruggieri Responsabile Branca Otorinolaringoiatria Poliambulatorio Specialistico Nomentano

O

ggi un numero sempre maggiore di pazienti ricorre allo specialista ORL per le cosiddette manifestazioni extra gastriche del Reflusso gastro-esofageo. Per esempio un paziente che lamenta da diverso tempo un bruciore alla gola che non regredisce con altre terapie, un dolore durante la deglutizione, sensazione di gonfiore o di corpo estraneo in gola (globus), raucedine, tosse secca persistente (più spesso notturna o dopo il pasto), dolore all’orecchio, dovrebbe sottoporsi ad una visita Otorinolaringoiatrica. Tutti questi sintomi sono spesso

accompagnati (ma non necessariamente) da un bruciore al petto o alla bocca dello stomaco e da rigurgito di materiale acido gastrico in faringe. Quando questi ultimi due sintomi sono presenti è molto più facile orientarsi verso una Malattia da Reflusso Gastro-esofageo essendo questi ultimi più comunemente conosciuti come elementi tipici di una patologia gastro-esofagea. Per quanto riguarda invece i sintomi precedentemente descritti oggi si è concordi nel considerarli come segni faringo-laringei della Malattia da Reflusso gastro-esofageo.

Va sottolineato il fatto che il Reflusso gastro-esofageo ed il Reflusso faringo-laringeo sono due entità patologiche separate ed indipendenti tra di loro anche se condividono lo stesso meccanismo patogenetico. Per quanto riguarda il primo l’incontinenza dello sfintere esofageo inferiore (LES) provoca la risalita in esofago di materiale fortemente acido (PH<4) che provoca infiammazione ed ulcerazione della mucosa. Mentre il Reflusso faringo-laringeo si ha quando viene meno il meccanismo di controllo dello sfintere esofageo superiore (UES) situato nel collo

SINTOMI PIU’ FREQUENTI DEL REFLUSSO FARINGO-LARINGEO

Globus (sensazione di corpo estraneo in gola) Difficoltà alla deglutizione Tosse Disfonia (raucedine) Gola secca

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Dolore al collo Dolore all’orecchio Alitosi Ostruzione nasale Asma


in corrispondenza del giugulo. La mucosa della faringe e della laringe (come quella esofagea) verrebbe in contatto con materiale fortemente acido e non essendo in grado di resistere a tali condizioni va in contro ad una serie di danni strutturali responsabili della sintomatologia. Anche nel lattante e nel bambino il Reflusso gastro-esofageo può manifestarsi con affezioni di pertinenza ORL per esempio con otite media con versamnento e riniti ricorrenti o rinosinusiti croniche, provocate dall’azione irritante ed ulcerante delle secrezioni acide gastriche. La diagnosi di Reflusso Faringolaringeo generalmente si basa sui reperti della fibroscopia delle vie aero-digestive superiori. Le lesioni più caratteristiche riscon-

trate sono: edema (gonfiore) od eritema (arrossamento) della mucosa laringea, e nei casi più avanzati polipi o granulomi più spesso in corrispondenza della regione interaritenoidea. La terapia si basa sull’utilizzo di farmaci inibitori della pompa acida (PPI) che sono risultati i più efficaci e tollerati e su alcune semplici regole dello stile di vita. In genere dopo un periodo di terapia di 2 somministrazioni

al giorno per 6-8 settimane si ha la scomparsa o un netto miglioramento dei sintomi; in seguito la terapia potrà essere ridotta come terapia di mantenimento. A questo punto un controllo clinico in fibroscopia potrà mettere in evidenza il netto miglioramento del quadro clinico con scomparsa o attenuazione delle lesioni mucose precedentemente riscontrate.

Come comportarsi?

LA VIDEOLARINGOSCOPIA

E

’un’indagine diagnostica eseguita tramite un fibroscopio sottile e consente, attraverso una fibra ottica, di riprendere immagini degli organi di interesse e visualizzarle sul video di un computer. La parte che contiene la fibra ottica si presenta come un sondino del diametro di 3 mm circa che viene inserito dal naso nella cavità da esaminare (faringe e laringe). Nel caso del reflusso faringo-laringeo, la fibroscopia è finalizzata a valutre le condizioni della mucosa della laringe e della faringe . L’esame è assolutamente indolore, si esegue senza anestesia, in ambulatorio, non richiede alcuna preparazione specifica (salvo evitare di mangiare nelle 3 ore precedenti) può risultare leggermente fastidioso (soprattutto nei soggetti che presentano una notevole vivacità del riflesso faringeo ) ma non doloroso. Ha durata di pochi minuti ed è molto utile oltre che nella diagnosi anche nel controllo a distanza per valutare gli effetti della terapia.

Alcune semplici norme di comportamento possono aiutare a prevenire questa malattia o a facilitare la guarigione.

1 Osservare una dieta adeguata (alcuni cibi devono essere evitati) effettuando pasti piccoli e frequenti 2 Non andare a dormire con lo stomaco pieno ma aspettare almeno tre o quattro ore 3 Alzare la testa-tronco durante il sonno con un cuscino o elevare la spalliera del letto poiché così si mantiene l’esofago in posizione verticale e si impedisce la risalita di materiale acido dallo stomaco 4 Non indossare abiti che stringano l’addome ed evitare il sovrappeso 5 Non compiere sforzi fisici a stomaco pieno 6 Non utilizzare farmaci che possono causare il reflusso Non fumare

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Dott. Gaetano Luigi Nappi Specialista in Chirurgia Vascolare e Idrologia Medica

Combattere l’ar L

’artrosi (osteoartrosi) è una malattia cronica-degenerativa molto diffusa che colpisce contemporaneamente: • la cartilagine dell’articolazione, rendendola meno elastica, fissurandola ed assottigliandola; • l’osso, generando la sua deformazione (gli “osteofiti”, escrescenze di tessuto osseo localizzate sulla superficie dell’articolazione, generalmente a forma di becco, determinano un “attrito” durante il movimento di un’articolazione, che può condurre a complicazioni infiammatorie e successivi deficit meccanici della stessa). Altra complicanza può essere la compressione da parte di queste deformità ossee delle radici nervose che fuoriescono dalla colonna vertebrale, che possono essere causa di cervicalgie, dorsalgie, lombalgie, sacralgie (dolori alla colonna vertebrale cervicale, dorsale, lombare, sacrale).

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L’uso dell’automobile, occupazioni sedentarie con posizioni del capo obbligate, i lavori “pesanti”, gli stress meccanici ripetuti espongono le articolazioni al rischio di artrosi, con conseguenti dolore, rigidità e limitazione funzionale. La crenoterapia (dal greco “crené”, sorgente) è la terapia che si effettua utilizzando i mezzi termali, che sono le acque minerali, le grotte, le stufe e i fanghi, sfruttando le loro caratteristiche intrinseche e le metodiche di applicazione di questi. Nel caso specifico dell’artrosi, il tipo di terapia termale più utilizzata è la fangoterapia, terapia che prevede l’applicazione di fanghi sulla parte interessata dalla patologia. I fanghi sono mezzi termali derivanti dalla commistione di argilla, di microflora (batteri, alghe ed altri microrganismi), di microfauna (diverse specie vegetali), di humus, di detriti cellulari e di secrezioni, con acqua minerale (quella più utilizzata è l’acqua sulfurea, ma vengono utilizzate


Tuttavia questa terapia può agire anche sui cosiddetti reumatismi “extra–articolari”, cioè quelli che interessano non solo le articolazioni, ma anche i tessuti molli circostanti (tendiniti, borsiti, periartriti) e nelle patologie del tessuto connettivo a carattere “fibrotico” (connettiviti, collagenopatie, fibrosi) e per le quali la crenoterapia sulfurea (fangoterapia nella quale il fango viene plasmato con acque sulfuree) agisce contrastando i processi fibrotici tipici delle malattie del connettivo (produzione abnorme di fibre, con successiva perdita di elasticità del tessuto connettivo). Ciò avviene grazie alle diverse diverse azioni positive che le acque sulfuree hanno nei confronti della cartilagine e dei tessuti connettivi, delle quali la più importante è l’azione trofica (ne migliora le caratteristiche qualitative): nelle patologie articolari croniche, infatti, si osserva una perdita dello zolfo fisiologicamente contenuto nella cartilagine sottoforma di acido condroitinsolforico; la fangoterapia sulfurea, dunque, agirebbe come un integratore di zolfo, in quanto è provato che lo zolfo va a concentrarsi spontaneamente nelle cartilagini articolari.

TERME

anche altre acque, come le salso-bromo-iodiche e le radioattive), nella quale il fango viene fatto “maturare” (la maturazione dei fanghi avviene in apposite vasche, in un periodo compreso tra 6 e 12 mesi). Questa terapia termale si mostra eccellente nel trattamento di quasi tutte le forme artrosiche. E’ importante ricordare che in questo ambito di patologia la terapia termale svolge un’azione riabilitativa finalizzata a recuperare la funzionalità delle articolazioni colpite tramite l’attenuazione, fino all’eliminazione, dell’infiammazione e del dolore. La terapia termale, se praticata abitualmente, è in grado di ridurre la frequenza e l’intensità degli episodi acuti di dolore, migliorando in modo significativo la sintomatologia, il quadro clinico e quindi la qualità di vita del paziente. Dunque la fangoterapia conduce a due tipi di risultati terapeutici: a breve termine e a medio-lungo termine. A breve termine nella maggior parte dei casi si assiste ad un miglioramento della sintomatologia e ad un certo grado di

rtrosi alle terme ripresa funzionale evidenziabile dall’incremento dell’articolarità e dalla riduzione delle limitazioni nel compiere gesti quotidiani o lavorativi. A medio-lungo termine si osserva il miglioramento di parametri quali il numero degli episodi acuti e l’intensità degli episodi acuti (studi recenti fondati sull’andamento clinico della patologia nel periodo inter-cura hanno dimostrato il miglioramento di altri parametri, oggi considerati importanti, vale a dire l’assenteismo lavorativo e il ricorso ad altre terapie). La fangoterapia, oltre agli effetti locali, ha anche degli effetti generali sull’organismo, in quanto porta al potenziamento delle difese immunitarie, alla risoluzione di infiammazioni croniche di altri distretti del corpo, al riequilibrio e allo stimolo della secrezione ormonale.

Per godere al massimo di questi vantaggi, infine, le acque sulfuree andrebbero utilizzate presso le terme con apparecchiature direttamente alimentate dalla sorgente (i processi di imbottigliamento e di conservazione comportano una perdita del gas, per cui tanto più vicina è la fonte tanto maggiore sarà l’effetto).

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Poggio Mirteto IN SABINA

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oggio Mirteto colpisce sia chi vi arriva per la prima volta che gli abitué per lo splendido colpo d’occhio della sua piazza rinascimentale dalla caratteristica forma ovale brulicante di una vita intensa fatta di caffè all’aperto, shopping o quattro passi pomeridiani: certamente la piazza più vivace dell’intera Sabina ! Ma l’atmosfera di allegria che vi si respira è creata anche dalla bellezza dell’architettura che la guarnisce: la Cattedrale dell’Assunta, edificata tra il 1641 ed il 1725 ed articolata su tre importanti navate. La Chiesa di San Rocco, che, con una struttura quasi circolare, domina la piazza dall’alto della sua scalinata ed, infine, posta a confine tra la Poggio Mirteto rinascimentale e quella medioevale, la Porta Farnese costruita nel 1573 dal cardinale Alessandro Farnese, abate di Farfa. Superata la porta, le geometrie cambiano: agli ampi spazi teatrali del Rinascimento si sostituiscono i ritmi raccolti dei vicoli e degli slarghi della Poggio Mirteto medievale, nata in secoli ben più problematici e dagli approcci urbanistici più “difensivi”. La perla di questo antico borgo è il castello trasformato in palazzo abbaziale e successivamente in Palazzo Vescovile che sovrasta l’abitato e le campagne intorno. Anche qui si rivela il segno del Cardinale Farnese che restaurò e l’ampliò il palazzo abbaziale che già nel ‘400 era stato trasformato per divenire la sede principesca dell’abate di Farfa. Da visitare è poi la Chiesa di San Paolo, antica chiesa cimiteriale ove sono stati sepolti i defunti fino al 1800. Risale al XIII sec. e si ritiene coeva delle prime abitazioni di Poggio Mirteto. La navata ha un abside semicircolare, tre cappelle laterali e torre campanaria quadrata. Conserva affreschi del XIII e XVI sec. Saltando molti secoli, e parlando di “archeologia industriale”, va citata l vetreria che si incontra in via San Paolo: è stata la prima ad essere costruita in Italia nel 1825 da un belga. La ciminiera è la sua ultima testimonianza insieme con il suo parafulmine che raggiunge i 35 m. d’altezza. Da ultimo, una visita va dedicata al Museo Civico con la sua sezione archeologica, quella sociologica dedicata alla società sabina dell’800 ed, infine, quella dedicata alla Banda

Garibaldina. Questa è un importante tradizione di Poggio Mirteto che va raccontata: infatti, nel 1867 la banda musicale di Poggio Mirteto seguì Garibaldi nella battaglia di Mentana ed ancora oggi i musicisti indossano la caratteristica camicia rossa dei “mille” in ricordo di quei fatti. Per gli amanti del Carnevale, infine, una visita a Poggio Mirteto s’impone: infatti, durante il Carnevale Poggiano, che va avanti dal 1861, caratterizzato dalla sfilata dei carri allegorici e di un grande fantoccio di cartapesta, simbolo del Carnevale, che viene bruciato in piazza durante la prima domenica di Quaresima. I festeggiamenti proseguono poi anche durante la seconda domenica di Quaresima con il Carnevalone Liberato.

el “Chronicon Farfense” si parla di una località detta Mirtetum, già nel 988. Il luogo pian piano divenne centrale in quell’area sovrastante la sponda sinistra del Tevere e gli abitanti di alcuni “castra” limitrofi vi conversero nel corso dei secoli: il castrum Limisanum, l’attuale Rimisciano, il castellum in Vulpianum o Vulpinianum, l’attuale Volpignano, Montorso, ormai nel ‘400, sono tra questi. Nel XIII secolo, comunque, Poggio Mirteto era fiorente e nel XIV già ricca di numerose chiese e cappelle. Nei secoli successivi continuò a crescere sia in termini demografico-urbanistici che amministrativi. Da tempi remoti appartenete all’Abbazia di Farfa, nel XVI secolo divenne feudo Farnese e successivamente passò agli Orsini, ai Mattei, ai Bonaccorsi per tornare, infine, sotto la giurisdizione dello stato pontificio. Il 700 e l’800 furono importanti per lo sviluppo della cittadina: il prelato governatore fu trasferito da Collevecchio a Poggio Mirteto. Nel 1837 Poggio Mirteto ebbe il titolo di “città” da Gregorio XVI e nel 1841 divenne sede diocesana come lo è ancora oggi. Poggio Mirteto seguì Garibaldi nella battaglia di Mentana ed ancora oggi i musicisti


IL SINDACO DI POGGIO MIRTETO

42 anni, da 6 anni sindaco di Poggio Mirteto e prima di allora per nove anni assessore, per Fabio Refrigeri la politica e Poggio Mirteto rappresentano certamente le passioni di una vita. Passioni vissute con la capacità di guardarsi intorno oltre i confini comunali per individuare progetti e soluzioni che fanno di Poggio Mirteto una realtà in fermento e tra le più importanti per lo sviluppo futuro della Sabina. Sindaco Refrigeri, Lei è al suo secondo mandato: come è cambiata Poggio Mirteto durante questi anni ? Quali sono state le dinamiche sociali ed economiche più rilevanti ? Certo la Poggio Mirteto di oggi non somiglia molto a quella di quando ho iniziato la mia attività politica né tantomeno a quella di quando ero ragazzino. Intendiamoci, il centro storico è ancora quello di sempre, quello che descriveva anche il pittore Filippo De Pisis che qui ha insegnato negli anni ’20, perché ne custodiamo gelosamente l’integrità, ma tutto il resto è molto cambiato. Poggio ha avuto una significativa espansione demografica negli ultimi dieci anni, circa il 30%, ed è di conseguenza cresciuta l’area urbana nonchè le infrastrutture dedicate ai servizi alla popolazione. Queste ultime, poi, hanno fatto si che anche gli abitanti dei comuni vicini spesso gravitino qui e, dal 2004, viviamo un costante flusso di nuovi abitanti che provengono da Roma. L’aggregazione diventa così un tema all’ordine del giorno. Non c’è dubbio. Chi arriva qui, specie se a seguito di una scelta ponderata di cambiare vita, di lasciare la gran-

de città, vuole riconoscersi in Poggio Mirteto ed è compito dell’amministrazione rendere questo percorso più facile. Noi siamo partiti pensando ai bambini: abbiamo realizzato un campo di calcio proprio per loro a Poggio Mirteto Scalo, poi, sempre allo Scalo, la nuova scuola, la piazza. Proprio nell’ottica di aggregare. Abbiamo anche puntato molto sulla condivisione delle tradizioni e della cultura poggiana. Lei sa che noi andiamo fieri della nostra Banda Garibaldina: abbiamo voluto offrirle ogni supporto, ed oggi è composta da 60 elementi, moltissimi giovani. Sono ragazzi entrati in una tradizione, in una dimensione di appartenenza, che essi stessi ora portano avanti e diffondono. C’è anche un bell’esempio nello sport, dico bene ? Si, dice bene. Parliamo di una avventura che coinvolge quest’anno 280 ragazzi dai 16 anni in giù. Questi 280 ragazzi formano 16 squadre diverse, provengono da 31 comuni e, ci siamo divertiti a contarle, appartengono a 14 etnie. Non è stato un caso, però: siamo partiti con un progetto per mettere in rete gli impianti sportivi del territorio, per mettere in comune le risorse. Così, adesso, i comuni della Valle del Tevere si muovono in modo unitario in un ambito importantissimo per la crescita dei nostri ragazzi. A questo proposito, Lei è il vice-coordinatore nazionale per l’associazionismo comunale dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani, ndr). Cosa significa, in pratica, oggi, collaborare tra comuni ? Vede, un sindaco di un piccolo comune si rende conto molto in fretta

che la reale competitività del territorio che amministra, cioè il livello dei servizi offerti alla cittadinanza, lo sviluppo economico, la qualità della vita, non sono temi e processi che possano essere gestitI in perfetta solitudine. Bisogna, invece, trovare sinergie con i comuni limitrofi. Così è nata l’Unione dei Comuni della Bassa Sabina che attualmente comprende oltre a Poggio Mirteto, Montopoli, Forano, Cantalupo e Tarano ma che potrebbe presto estendersi a Stimigliano, Collevecchio, Casperia e Poggio Catino. In questo momento gestiamo in modo unitario la polizia municipale, il sistema delle biblioteche, la raccolta dei rifiuti, anche differenziata, lo sportello unico della attività produttive e, ma in questo caso siamo già in 20 comuni a farlo insieme, i servizi sociali. Immagino che non pensiate di fermarvi qui. No assolutamente, contiamo di fare ancora parecchia strada. Stiamo ragionando in un’ottica di territorio che prescinde dall’appartenenza ad una determinata provincia per guardare al dato di fatto: nella valle del Tevere ci sono venti comuni che possono operare in modo integrato sulle due sponde del fiume, quella romana e quella reatina. Si possono fare cose importanti: esempio sviluppare un’ ”economia corta” dove le produzioni locali possano trovare un’unica vetrina nell’ExpoGreen di Sant’Oreste. Per garantire uno sviluppo di lungo periodo ai nostri comuni ci vuole “qualità di territorio”, cioè essere capaci ci migliorarsi continuamente, rispondere sia alle esigenze dei nostri concittadini di oggi sia di coloro che guardano a Poggio Mirteto o agli altri comuni limitrofi come un possibile posto dove venire a vivere. Nuove tecnologie di comunicazione, servizi di mobilità, un’offerta culturale qualificata, un ambiente intatto, piani regolatori rispettosi della qualità della vita sono tutti aspetti della qualità complessiva del territorio ed è molto più probabile riuscire araggiungere questi obiettivi mettendo insieme le forze che da soli.

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La Terapia Sclerosante Dott. Gaetano Luigi Nappi, Specialista in Chirurgia Vascolare, Responsabile Settore Diagnostica Vascolare – Poliambulatorio Nomentano

L’ANGIOLOGO

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cleroterapia o terapia sclerosante è una metodica di cura delle varici e delle teleangectasie. Le vene varicose o varici sono una dilatazione patologica delle vene superficiali, che divengono tortuose ed appaiono come rigonfiamenti, gavoccioli verde/bluastri a livello della coscia e/o della gamba con sensazioni di tensione, gonfiore, prurito, bruciore, alterazioni della sensibilità degli arti, crampi. Le teleangectasie sono un fenomeno simile ma relativo ai vasi sanguigni capillari. La terapia sclerosante consiste nella iniezione all’interno di un segmento venoso varicoso o della telangectasia di un farmaco che induce una reazione infiammatoria a carico della pa rete interna del vaso stesso: da questa reazione infiammatoria si passa ad una obliterazione e quindi ad una fibrosi (chiusura) della vena. La scleroterapia, che deve essere eseguita sempre da un medico specialista, è indicata soprattutto nei pazienti con vene varicose in fase iniziale, ovvero con calibro inferiore ai 6-7 millimetri. Essa, inoltre, non è un trattamento definitivo: spesso, negli anni, i pazienti devono sottoporsi a “ritocchi” sui segmenti venosi già trattati o a nuove sedute su vene neoformatesi. Nel 70% dei casi, a distanza di 3 - 7 anni, le vene sottoposte a trattamento tendono a recidivare, cioè a tornare evidenti. Sarà quindi necessario effettuare un nuovo trattamento o optare per altre terapie. La scleroterapia si dimostra inoltre efficace nel trattamento delle piccole vene varicose ricorrenti, che possono insorgere anche molto tempo dopo un intervento chirurgico di stripping venoso. Una seduta di scleroterapia dura circa 15-20 minuti; dopo l’iniezione

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del farmaco all’interno della vena si procede al bendaggio della gamba sottoposta al trattamento (o di un suo tratto). Il dolore è minimo: il paziente avverte solo un “pizzico” dovuto all’iniezione, effettuata comunque con aghi molto sottili, quasi indolori; il bendaggio può essere sostituito efficacemente da una calza elastica di II^ classe di compressione. Le sedute di scleroterapia vengono effettuate ogni 7 giorni in caso di “capillari”, ogni 10-15 in caso di vene più grosse; questa tecnica non può essere praticata su pazienti che hanno avuto una recente flebite o una trombosi venosa profonda, né in pazienti in gravidanza; onde ridurre al minimo il rischio di varico-flebite, le pazienti che fanno uso di pillola anticoncezionale devono sospenderla almeno due mesi prima della terapia. Dopo il trattamento, nelle sedi di iniezione possono comparire dei piccoli pomfi (rigonfiamenti della cute), piccole ecchimosi o piccoli noduli, dovuti allo stravaso del farmaco e/o del sangue nei tessuti sottocutanei; queste alterazioni in genere scompaiono nel giro di qualche settimana. Anche le reazioni allergiche al farmaco utilizzato per la terapia sclerosante sono molto rare; tuttavia, i soggetti tendenzialmente allergici devono avvertire il medico prima del trattamento. Questa tecnica, dunque, se praticata con accuratezza, consente di ottenere buoni risultati soprattutto nella cura delle vene varicose di piccolo calibro e delle teleangectasie: è però imprescindibile, sia per la qualità del risultato che per la sicurezza del paziente, rivolgersi esclusivamente a medici qualificati, esperti nel trattamento delle vene varicose e delle teleangectasie.

Per mantenere in forma le vostre gambe:

1 Camminate almeno mezz’ora al giorno; non state a lungo in piedi fermi 2 Tenete le gambe sollevate quando siete seduti o dormite bevete da uno a due litri al giorno 3 Mangiate frutta e verdura usate scarpe comode con tacchi contenuti 4 Utilizzate calze elastiche a compressione graduata 5 Al mare non surriscaldate le gambe sotto il sole, anzi bagnatele spesso 6 Evitate il sovrapeso


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